Capitolo 2- I popoli del mondo-Indicatori e andamenti...

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Capitolo 2- I popoli del mondo-Indicatori e andamenti demografici nelle principali aree, il rapporto tra popolazione e sviluppo, la transizione demografica. Perché iniziare un testo di economia dello sviluppo dalla popolazione? Si potrebbe pensare al bisogno di fornire sempre e comunque fondamenta microeconomiche e mai dati e teorie. Questo in parte è vero e anche si giustifica. Tuttavia noi non seguiamo in questo contesto un approccio particolarmente micro allo studio dello sviluppo, anzi, semmai privilegiamo gli aspetti macroeconomici e di struttura. Altri testi danno maggiore rilevanza ai fondamenti micro, ad esempio il Raj. I microfondamenti sono importanti, ma le ragioni per cui riteniamo significativo partire dagli individui nello studio dello sviluppo non sono legate al loro ruolo di consumatori effettivi o, come più spesso accade, potenziali. Le peculiarità demografiche sono aspetti strutturali che caratterizzano in maniera determinante i Paesi in via di sviluppo e nello stesso tempo condizionano lo sviluppo economico stesso. Ci sono due altri motivi alla base di tale scelta. La prima ragione si riassume in tre considerazioni. Primo, gli individui e i popoli sono sempre e comunque gli attori dei processi di sviluppo. Secondo, essi sono coloro che nel caso dei Paesi a basso reddito devono beneficiare di questo fenomeno. Terzo, ma non meno importante, sono gli individui e i popoli che devono convincersi che un processo di sviluppo economico, e non solo, di cui sono protagonisti sia veramente tale. Si possono fornire dati e tabelle, ma la percezione che individui e popoli hanno delle trasformazioni che li coinvolgono è fondamentale per determinare la sostenibilità nel tempo e per dare un giudizio positivo o negativo sul fenomeno stesso. In sostanza gli individui e i popoli si trovano al centro dello sviluppo, ne sono il fine, gli autori e i giudici; guai a scordarcene. La seconda motivazione si basa sulla constatazione che i processi di sviluppo sono trasformazioni delle società nel tempo e sappiamo bene quanto sia difficile studiare un oggetto che si muove e si trasforma in continuazione. Ebbene fra i vari aspetti dello sviluppo la popolazioni gode di un privilegio non indifferente: i suoi movimenti sono decisamente più lenti di quelli dell’economia. Banalizzando potremmo dire che se prendiamo come indicatore di sviluppo il PIL pro capite (PIL/ popolazione totale), il denominatore si muove ma molto più lentamente del numeratore. Per questo è possibile fare previsioni sulla popolazione futura, anche a venticinque o cinquanta anni, mentre nulla di tutto questo si può credibilmente fare con l’economia. Questa caratteristica consente anche di individuare con maggior facilità e con buona precisione alcune relazioni di causa e effetto fra le variabili demografiche; tali relazioni si ritrovano con gran sistematicità in diversi Paesi del mondo. Un’ ultima notazione: anche l’ambiente naturale rispetto all’economia ha questa caratteristica di “lentezza” e, in effetti, popolazioni e risorse naturali sono tra loro strettamente collegati e rappresentano realtà di grandissima importanza per lo studio dei processi di sviluppo. 2.1 Quanti e dove si trovano gli abitanti del pianeta? Qual è il paese al mondo con maggior popolazione? Tutti conoscono la risposta: la Cina, quasi 1,4 miliardi di persone, anche sul secondo posto ci sono pochi dubbi, l’India abitata da 1,2 miliardi di individui (Tavola 2.1). Dopo i due giganti ci sono altri nove Paesi con più di cento milioni di abitanti e spesso non è facile ricordarsi chi detiene il terzo e quarto posto; che l’Indonesia sia il quarto Paese per numerosità e il più grande Paese islamico è spesso una realtà poco conosciuta.

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Capitolo 2- I popoli del mondo-Indicatori e andamenti demografici nelle principali aree, il

rapporto tra popolazione e sviluppo, la transizione demografica.

Perché iniziare un testo di economia dello sviluppo dalla popolazione? Si potrebbe pensare al bisogno di fornire sempre e comunque fondamenta microeconomiche e mai dati e teorie. Questo in parte è vero e anche si giustifica. Tuttavia noi non seguiamo in questo contesto un approccio particolarmente micro allo studio dello sviluppo, anzi, semmai privilegiamo gli aspetti macroeconomici e di struttura. Altri testi danno maggiore rilevanza ai fondamenti micro, ad esempio il Raj. I microfondamenti sono importanti, ma le ragioni per cui riteniamo significativo partire dagli individui nello studio dello sviluppo non sono legate al loro ruolo di consumatori effettivi o, come più spesso accade, potenziali. Le peculiarità demografiche sono aspetti strutturali che caratterizzano in maniera determinante i Paesi in via di sviluppo e nello stesso tempo condizionano lo sviluppo economico stesso. Ci sono due altri motivi alla base di tale scelta. La prima ragione si riassume in tre considerazioni. Primo, gli individui e i popoli sono sempre e comunque gli attori dei processi di sviluppo. Secondo, essi sono coloro che nel caso dei Paesi a basso reddito devono beneficiare di questo fenomeno. Terzo, ma non meno importante, sono gli individui e i popoli che devono convincersi che un processo di sviluppo economico, e non solo, di cui sono protagonisti sia veramente tale. Si possono fornire dati e tabelle, ma la percezione che individui e popoli hanno delle trasformazioni che li coinvolgono è fondamentale per determinare la sostenibilità nel tempo e per dare un giudizio positivo o negativo sul fenomeno stesso. In sostanza gli individui e i popoli si trovano al centro dello sviluppo, ne sono il fine, gli autori e i giudici; guai a scordarcene. La seconda motivazione si basa sulla constatazione che i processi di sviluppo sono trasformazioni delle società nel tempo e sappiamo bene quanto sia difficile studiare un oggetto che si muove e si trasforma in continuazione. Ebbene fra i vari aspetti dello sviluppo la popolazioni gode di un privilegio non indifferente: i suoi movimenti sono decisamente più lenti di quelli dell’economia. Banalizzando potremmo dire che se prendiamo come indicatore di sviluppo il PIL pro capite (PIL/ popolazione totale), il denominatore si muove ma molto più lentamente del numeratore. Per questo è possibile fare previsioni sulla popolazione futura, anche a venticinque o cinquanta anni, mentre nulla di tutto questo si può credibilmente fare con l’economia. Questa caratteristica consente anche di individuare con maggior facilità e con buona precisione alcune relazioni di causa e effetto fra le variabili demografiche; tali relazioni si ritrovano con gran sistematicità in diversi Paesi del mondo. Un’ ultima notazione: anche l’ambiente naturale rispetto all’economia ha questa caratteristica di “lentezza” e, in effetti, popolazioni e risorse naturali sono tra loro strettamente collegati e rappresentano realtà di grandissima importanza per lo studio dei processi di sviluppo. 2.1 Quanti e dove si trovano gli abitanti del pianeta?

Qual è il paese al mondo con maggior popolazione? Tutti conoscono la risposta: la Cina, quasi 1,4 miliardi di persone, anche sul secondo posto ci sono pochi dubbi, l’India abitata da 1,2 miliardi di individui (Tavola 2.1). Dopo i due giganti ci sono altri nove Paesi con più di cento milioni di abitanti e spesso non è facile ricordarsi chi detiene il terzo e quarto posto; che l’Indonesia sia il quarto Paese per numerosità e il più grande Paese islamico è spesso una realtà poco conosciuta.

Tavola 2.1 -Paesi con popolazione superiore ai 100 milioni di abitanti.

Paese Totale popolazione

1998 (milioni).

Totale popolazione

2008 (milioni).

Cina 1242 1326

India 982 1140

Stati Uniti 276 304

Indonesia 201 228

Brasile 169 192

Pakistan 132 166

Bangladesh 134 160

Russia 147 142

Nigeria 118 151

Giappone 126 128

Messico 95 106 Fonte: World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database di World Development

Indicators, anno 2009. Di questi nove Paesi solo gli Stati Uniti, nel Nord America, e il Giappone, in Asia, sono annoverati tra i Paesi ricchi; tutti gli altri sono PVS ( Paesi in Via di Sviluppo) e ovviamente sei su undici si trovano in Asia. Alcune notazioni. Le prime cinque posizioni sono abbastanza stabili nel tempo, ma dal 1998 al 2007 il Pakistan ha guadagnato due posizioni superando Bangladesh e Russia. Quest ultimo Paese ha perso tre posizioni negli ultimi dieci anni, è stato, infatti, superato anche da Bangladesh e Nigeria. Fra non molto il Pakistan supererà il Brasile. Insomma anche la popolazione si muove. Il Messico ha superato i 100 milioni nei primi anni del 2000 e a ridosso di questa soglia troviamo altri Paesi che spesso non ci si aspetta, più di 80 milioni di persone vivono in Vietnam e poco meno in Etiopia. La popolazione mondiale supera i 6,5 miliardi di persone, e se si guarda alla sua distribuzione nel pianeta si notano immediatamente alcune particolarità. Più della metà della popolazione vive in Asia mentre in Africa e Americhe si contano soltanto 800 milioni di individui. In Asia ci sono due regioni distinte, l’Asia Meridionale, che include l’India, e l’Asia Orientale, che include la Cina; la seconda è più numerosa, ma la prima nel suo complesso ha più popolazione della Cina, rispettivamente le due aree sono popolate da 1,5 miliardi e 1,9 miliardi di persone (Figura 2.1). La maggior parte della popolazione mondiale si trova nei Paesi del Sud del mondo, i Paesi in via di sviluppo (Figura 2.1 e 2.2) a basso e medio reddito. I “ ricchi” dei Paesi ad alto reddito sono poco più di un miliardo.

Figura 2.1- Numerosità della popolazione mondiale distribuita per aree geo-economiche, 2008

(milioni).

Africa Sub-Sahariana;

818

Medio Oriente e

Nord Africa; 325

Paesi ad alto reddito;

1069

Asia Orientale e

Pacifico; 1931Asia Meridionale;

1543

Europa e Asia

Centrale; 441

America Latina e

Caraibi; 565

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development Indicators, anno 2009.

Figura 2.2-Evoluzione dal 1980 ad aggi della numerosità della popolazione mondiale distribuita

per aree economiche (milioni).

Milio

ni

Alto reddito 875 997 1067

Medio reddito 3063 4139 4651

Basso reddito 502 786 973

1980 1998 2008

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development Indicators, anno 2009.

Tale geografia della popolazione sta già influenzando l’economia e anche la geo-politica. Pensiamo all’Onu e ai dibattiti sulla riforma del Consiglio di Sicurezza che vanno avanti da anni; al momento ci sono ci sono solo cinque membri permanenti con diritto di veto: Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina, in altre parole, i vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Sarà difficile negare all’India il desiderio di farne parte in modo permanente, anche senza il diritto di veto, dal momento che rappresenta il 16 per cento della popolazione mondiale. Fra gli undici grandi Paesi ci sono altri giganti regionali che potrebbero presentare aspirazioni in linea con quella indiana, parliamo del Brasile in America Latina, anche se il Messico potrebbe avere obiezioni, e la Nigeria in Africa Sub- Sahariana, e in questo caso forse sarebbe il Sud Africa ad obiettare. 2.2 – La densità demografica

Esiste un modo molto semplice per cominciare ad avere un’idea della relazione fra popoli e natura, fra uomini e territorio. Immaginiamo un planisfero su cui rappresentiamo per ogni paese del mondo il numero di abitanti per

chilometro quadrato ovvero la densità demografica. Questo numero varia moltissimo da Paese a Paese, tralasciando i Paesi molto piccoli con meno di un milione di abitanti e le Città –Stato come Singapore dove la densità demografica è molto elevata, si va dai 2-3 abitanti per chilometro quadrato in Namibia e Mongolia agli oltre 1000 in Bangladesh il cui territorio è metà di quello italiano ma con una popolazione tre volte più elevata. Sul nostro planisfero vediamo grandi spazi vuoti poco abitati: le Americhe, soprattutto al Sud, l’Africa e la Russia. Alcune aree tuttavia presentano eccezione come i Caraibi in America Latina, il Marocco, l’Egitto e il Golfo di Guinea in Africa e Israele e alcuni Stati del Golfo Persico in Medio Oriente. Al contrario l’Europa, Russia esclusa, e l’Asia sono densamente popolate (Tavola 2.2). In Italia la densità della popolazione è di circa 200 abitanti per km quadrato, ma in Olanda supera i 450 abitanti. India e Germania hanno la stessa densità di popolazione di circa 350 abitanti, mentre è decisamente più bassa quella della Cina che presenta un valore di 140. Anche Giappone e Taiwan hanno densità superiori ai 350 abitanti superati tuttavia da Corea del Sud e Taiwan dove tale indicatore è di 450 abitanti.

Tavola 2.2-Densità demografica per regione geografica, 2007 (abitanti per chilometro quadrato).

AFRICA AMERICA LATINA

E CARAIBI ASIA EUROPA

AMERICA SETTENTRIONALE

Africa complessivo

32

America Latina e Caraibi

complessivo

28 Asia

complessivo 126

Europa complessivo

32 America

Settentrionale complessivo

16

Africa Orientale

48 Caraibi 176 Asia Orientale 131 Europa

Orientale 16

Africa Centrale

18 America Centrale

60 Asia Centro-Meridionale

158 Europa

Settentrionale 454

Africa Settentrionale

24 America

Meridionale 21

Asia Centro Orientale

126 Europa

Meridionale 115

Afrcia Meridionale

21 Asia

Occidentale 45

Europa Occidentale

169

Africa Occidentale

46

Fonte: United Nations (www.unstats.un.org), Demographic Yearbook, 2007, Table 1.

Qualche domanda Che relazioni esistono fra popolazione e territorio? Ovvio, ce ne sono moltissime ma provate a fare una tabella “buoni-cattivi” come si faceva una volta a scuola; da un lato tutte le possibili relazioni positive, le sinergie con segno “più”, dall’altra parte le situazioni che mettono in contrasto la popolazione con la natura. La densità della popolazione è positiva o negativa per la crescita economica e lo sviluppo? Anche in questo caso si può usare lo schema “ buoni-cattivi”. 2.2- La crescita della popolazione

2.2.1- Il tasso di crescita della popolazione

Come tutte le grandezze che riguardano i processi di sviluppo anche la popolazione si modifica e in particolare essa cresce nel tempo. Perciò forse più che la rappresentazione dello “stato di fatto in un momento preciso”, insomma la “fotografia” della numerosità della popolazione, è interessante studiare la variazione di tale variabile e soprattutto capire le ragioni che determinano tale fenomeno. La crescita avviene con velocità assai diverse nelle varie aree e nei Paesi del mondo. La Figura 2.3 ci mostra la numerosità degli abitanti delle sette aree geo-economiche in cui abbiamo suddiviso il pianeta dal 1960 ad oggi, con proiezioni fino al 2030 e 2050.

Figura 2.3-Andamento della popolazione nelle aree geo-economiche dal 1960 con proiezioni fino

al 2050 (milioni).

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050

Asia Orientale e Pacifico Paesi ad alto reddito Asia Meridionale

Europa e Asia Centrale Africa Sub- Sahariana America Latina e Caraibi

Medio Oriente e Nord Africa

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query (fino all’anno 2005) e Population Projection Tables (dal dato 2005-2010), Health, Nutrition and Population (HNP) statistics, anno 2008. Si notano immediatamente alcuni fenomeni interessanti. Innanzi tutto vi sono due aree in cui la popolazione si è stabilizzata, e forse è in leggera diminuzione: i Paesi ad alto reddito e l’Europa e Asia Centrale. Nelle altre cinque zone la popolazione prosegue il suo percorso di crescita ma con ritmi assai differenti che si possono individuare guardando all’inclinazione delle curve che descrivono l’andamento della popolazione stessa: la tangente a queste curve rappresenta il tasso di crescita della popolazione. In secondo luogo, osserviamo che la dinamica della popolazione cambia le posizioni relative delle varie aree nel tempo, in particolare l’Africa Sub-Sahariana oggi ha relativamente poca popolazione, ma questa aumenterà molto e nei prossimi decenni, superando secondo le stime il miliardo e mezzo di persone, si collocherà in terza posizione dietro ai colossi asiatici. Terzo commento, in ogni area la curva presenta una concavità rivolta verso il basso, in sostanza esiste una tendenza dell’inclinazione, e quindi del tasso di crescita, a ridursi. Contrariamente a ciò che alla fine del diciottesimo secolo aveva in qualche modo immaginato Robert Malthus, autore che troveremo più avanti all’inizio della seconda parte di questo libro, la popolazione non ha un andamento esplosivo, in tal caso evidentemente le curve dovrebbero presentare la concavità rivolta verso l’alto.

Dobbiamo crederci se possiamo pensare a questo fatto come ad una “legge” demografica, un

fenomeno che tende a presentarsi con caratteristiche simili in diverse aree del mondo e per altro

osservabile in molti Paesi. Non ne troveremo molte di queste leggi.

La modificazione dei tassi di crescita avviene lentamente e in momenti storici assai differenti. Nei Paesi ad alto reddito e in Europa e Asia Centrale la curva si è già appiattita, al contrario nelle altre regioni quindi in Africa Sub- Sahariana, Sud Asia, Asia Orientale e Pacifico, America Latina e Carabi e Medio Oriente e Nord Africa la curva fa un angolo e si inclina maggiormente attorno agli anni Settanta del secolo scorso ciò significa che il tasso di crescita è aumentato.

Tuttavia si osserva che dalla fine degli anni Novanta si assiste ad un rallentamento della crescita stessa; si prevede un’ulteriore riduzione del tasso di crescita verso il 2030 quindi una riduzione dell’angolo della curva e un tendenziale appiattimento della stessa. In effetti, dalla fine degli anni Ottanta, i tassi di crescita della popolazione presentano una diminuzione in tutte le aree in via di sviluppo e in generale in tutti i PVS compresi quelli dell’Africa Sub-Sahariana la cui popolazione in ogni caso cresce ancora con un ritmo superiore ai 2 punti percentuali ogni anno. 2.2.2 Perché e in che modo si può prevedere la popolazione futura

Come per ogni altra grandezza la variazione della popolazione nel tempo può essere descritta con una semplicissima formula:

tP = tP tn)1( + (2.1).

La popolazione al tempo t, diciamo il 2050, dipende dalla popolazione iniziale al tempo 0, diciamo il 2009, dal tasso medio annuale di crescita n che ci si attende di avere nel periodo 0-t, vale a dire nel corso di quei quarantuno anni. È evidente che nella formula 2.1 n è la grandezza decisiva nel determinare la popolazione futura. Ricordiamoci di n perché il suo ruolo non si limita affatto alla demografia, lo ritroveremo, infatti, quando parleremo di crescita economica e del tasso naturale di crescita. Nel corso degli anni n cambierà, eppure è possibile estrapolare i suoi valori futuri da quelli passati e questo per due ragioni fondamentali:

• Abbiamo già visto che le grandezze demografiche variano ma con lentezza e quindi i valori futuri di n non saranno molto differenti da quelli passati;

• Ma la Figura 2.3 ci mostra qualche cosa di ben più importante; possiamo, infatti, predire la direzione verso la quale n cambierà prevedendo in particolare la sua tendenza a ridursi.

Queste due caratteristiche rendono possibili previsioni nel lungo termine; calcoli su periodi così lunghi sono impossibili per le grandezze economiche ed anche per questo è utile iniziare il discorso sullo sviluppo, vale a dire sulla modificazione delle società nel tempo, dalla popolazione.

La formula 2.1 ci consente di “giocare” con le grandezze; non è necessariamente P t la variabile da determinare avendo n e t come parametri. Se assumiamo che in ogni anno conosciamo il valore della

popolazione esistente in un Paese, P 0 , cosa che appare ragionevole, anche n e t possono diventare incognite. Un tipico calcolo che si fa è la valutazione del tempo di raddoppio della popolazione che corrisponde al numero di anni in cui la popolazione raddoppia. In questo caso l’incognita sarebbe t e si ricava come soluzione della formula:

2 OP = OP ( 1+n)t (2.2)

Per trovare t dobbiamo ricorrere ai logaritmi naturali per cui la 2.2 si vede facilmente che diventa:

tln(1+n)=ln2

Il logaritmo naturale di 2 è circa 0,7 perciò t=0,7/ln( 1+n). Il calcolo non è difficile un normalissimo “calcolatore tascabile” ci permette di trovare il logaritmo naturale di 1+n e conseguentemente il valore di t. Ad esempio con n=3%, il tempo di raddoppio è di circa 24 anni, questo significa che nel giro di una generazione quella popolazione raddoppierà. Ovviamente anche n può essere l’incognita nella relazione 2.1.

Per vedere con maggior dettaglio i tassi di crescita riferiti ai singoli Paesi possiamo far riferimento alla figura 2.4. Analizzando i valori riferiti ai singoli paesi si può notare come per alcuni popoli il tasso di crescita demografica raggiunge e supera il 3%.

Figura 2.4- Tassi di crescita nei singoli Paesi, 2007 ( %).

World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development Indicators,

anno 2008. Sulla base del tasso di crescita atteso per la popolazione si può perciò prevedere la numerosità degli abitanti a distanza di anni. Non è difficile valutare che nel 2050 il paese più popoloso al mondo sarà l’India e non più la Cina, per via del tasso di crescita elevato. Al terzo posto ci sarà molto probabilmente il Pakistan seguito dalla Nigeria e gli Stati Uniti che scenderanno al quinto posto. Guadagneranno posizioni fra i paesi più grandi anche Bangladesh, Etiopia, Iran e Repubblica Democratica del Congo.

Figura 2.5-Andamento dei tassi di crescita della popolazione nelle aree geo-economiche dal 1960

ad oggi (%).

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

4,0

4,5

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2008

Europa e Asia Centrale Asia Meridionale Asia Orientale e Pacifico

Africa Sub- Sahariana Medio Oriente e Nord Africa America Latina e Caraibi

Paesi ad alto reddito

World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development Indicators,

anno 2009. Alcuni Paesi dell’Africa e del Medio Oriente hanno tassi di crescita che sfiorano il 4%, la popolazione quindi raddoppierà in circa 18 anni. In Nigeria la popolazione cresce a tassi che sfiorano il 3% ciò significa che in 20 anni questo Stato potrebbe essere popolato da 200 milioni di persone. In Africa- trascurando possibili epidemie, carestie o guerre- si prevede che nel 2050 la popolazione supererà il miliardo e mezzo di persone raggiungendo in numerosità il doppio della popolazione attuale. Nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo vi sono tassi di crescita demografici di poco inferiori a quelli dell’Africa Sub- Sahariana e doppi rispetto a quelli dei Paesi europei della sponda nord; la popolazione di Turchia e della regione del Medio Oriente e Nord Africa supererà presto quella europea. Sembra anche emergere una relazione inversa tra il livello del reddito pro-capite tra il livello del reddito pro-capite e quindi in un certo senso dello sviluppo economico e il tasso di crescita della popolazione. In particolare è netta la distinzione fra i Paesi ad alto reddito e i Paesi a medio-basso reddito. Non sempre il reddito pro capite da solo fornisce la spiegazione dei fenomeni sociali, gli aspetti culturali e anche religiosi sono importanti. È interessante notare che i tassi di crescita più elevati si riscontrano in Paesi molto poveri dell’Africa Sub-Sahariana ma anche in Paesi a medio-alto reddito di cultura islamica. Così l’Arabia Saudita ha un tasso di crescita demografica di ben un punto percentuale superiore allo Zambia. È questo un esempio semplice della questione della complessità e spessore dei fenomeni che concernono lo sviluppo di cui si è parlato nel capitolo precedente.

2.2.3 Il passar del tempo e le generazioni Siamo abituati a misurare lo scorrere del tempo in termini di anni, ma a volte sono utili anche altre convenzioni. Nel caso della popolazione può essere interessante misurare il tempo in termini di generazioni che convenzionalmente poniamo di lunghezza pari a venticinque anni. La generazione offre spesso maggior immediatezza e significato rispetto al dato numerico; affermare che la popolazione raddoppia in una generazione dà un’ idea più immediata rispetto a dire che essa aumenta al 2,8 per cento. Inoltre la misurazione in generazioni ci dà una prospettiva differente sui fenomeni di cambiamento che caratterizzano lo sviluppo: per la maggior parte degli Stati africani, ad esempio, dal momento dell’indipendenza ad oggi non sono trascorse ancora 2 generazioni. Oppure dalla rivoluzione industriale ad oggi si sono avvicendate nove generazioni. Infine quando tratteremo degli indicatori legati ai cambiamenti naturali ed ambientali sarà ancora più chiaro che il ragionamento per generazioni fornisce una prospettiva assai più pregnante. Questo vale anche per l’idea di sviluppo: in fondo ognuno di noi pensa allo sviluppo come un processo che porti ad un mondo migliore per i propri figli e quindi per le generazioni future. Parlare di generazioni ci consente di citare uno stimolante grafico pubblicato dall’Economist nel 2000. Il grafico riporta la numerosità della popolazione planetaria dal primo anno dell’era cristiana ad oggi con previsioni fino al 2050. É chiaro che si tratta di un esercizio suggestivo, i numeri almeno fino all’anno 175 hanno un valore puramente indicativo. Eppure tenendo presente il carattere approssimativo della rappresentazione grafica si scoprono nozioni interessanti. Dall’ anno 1 all’anno 1000 la popolazione è rimasta pressoché stazionaria intorno ai 300 milioni, nel 1500 la numerosità di abitanti ha raggiunto i 500 milioni: in 60 generazioni la popolazione mondiale non era neanche raddoppiata. Tuttavia nel 1800 si sfiora il miliardo di individui, la popolazione mondiale raddoppia quindi in trecento anni di storia cioè 12 generazioni. Altri duecento anni e oggi siamo arrivati a oltre 6 miliardi di persone e questa volta sono state sufficienti otto generazioni. Difficile dire con esattezza quanti saremo nel 2050, ma potrà essere un valore che si aggira intorno ai 9 miliardi: in due generazione vi sarà un incremento di 3 miliardi di individui. Forse nel 1798 Malthus scrivendo il suo saggio sulla popolazione non aveva avuto un’intuizione totalmente erronea, almeno per ciò che riguarda la crescita della popolazione. Il grafico dell’Economist presenta anche valori della popolazione totale dal 1950 al 2050 per Europa, Africa, Asia e Americhe. Questi dati ci confermano quelli già visti nella Figura 2.3, anche se in questo caso la prospettiva è decisamente più lunga. Ovviamente l’Asia è sempre stato il continente più popolato e continuerà ad esserlo con oltre cinque miliardi di abitanti, l’Africa si aggira intorno ai 2 miliardi e sta rapidamente superando le Americhe e l’Europa. Quest ultimo è l’unico continente che presenta una popolazione stazionaria e in leggero calo con meno di 800 milioni di abitanti. Anche in questo grafico ciò che è interessante sono i punti di cambiamento del tasso di crescita, dove in pratica la curva della popolazione fa un angolo. Vediamo che dopo la Seconda Guerra Mondiale, la popolazione si impenna in modo nettissimo in tutti i continenti eccetto l’Europa e, infatti, dal 1950 al 2000 la popolazione mondiale aumenta di 2,4 volte. Possiamo calcolare il tasso di variazione con la formula 2.1 utilizzando i logaritmi naturali. 2000P = 1950P 50)1( n+

Dal calcolo emerge che durante quelle due generazioni la popolazione mondiale è crescita al tasso medio del 1,76 per cento.

È quindi possibile introdurre un’ulteriore considerazione e soprattutto una domanda: perché il tasso di crescita della popolazione si modifica? Attenzione: fin dall’inizio si è affermato che lo sviluppo è un fenomeno che riguarda un processo di cambiamento strutturale, è chiaro che la modificazione della pendenza delle curve descrive un cambiamento e anche un profondo che influisce sulle zone e le società in cui si manifesta. In sostanza ci chiediamo cosa c’ è dietro alle variazione del tasso di crescita della popolazione. La questione non riguarda solo il cambiamento e la dinamica ma soprattutto coinvolge i popoli e gli individui che li compongono. La risposta a questa domanda ci dà la possibilità di illustrare un metodo di lavoro che cercheremo di utilizzare in tutta la nostra analisi dello sviluppo. Ovviamente la variazione della popolazione è legata ad un complesso di fenomeni sociali, i più vari: dalla cultura, alla ricchezza, ma noi vogliamo esaminare ciò che spiega il tasso di crescita demografica passo per passo iniziando dagli indicatori immediatamente vicini a questo, quegli indicatori che quasi per definizione ci dicono se una popolazione cresce più o meno velocemente. Arriveremo anche ad aspetti apparentemente poco legati alla demografia percorrendo tutti i passaggi intermedi magari anche quelli che appaiono banali cercando di non tralasciarne. Questo è un modo per cercare di muoversi nella complessità dello sviluppo, un metodo che nel caso della demografia si mostra particolarmente utile e anche di relativa facile applicazione.

2.3-La transizione demografica 2.3.1 Natalità e Mortalità Il tasso di crescita di una popolazione dipende dalla differenza fra tasso di natalità e tasso di mortalità. Il tasso grezzo di natalità è il numero di nati all’anno ogni 1000 abitanti, mentre il tasso grezzo di mortalità corrisponde al numero di morti in un anno ogni 1000 abitanti. Maggiore è la differenza fra i due tassi, maggiore è la crescita della popolazione. La Figura 2.6 illustra il fenomeno della transizione demografica. Nelle società pre-industriali o spesso definite, ma meno correttamente, pre-moderne, i due tassi non sono molto differenti tra loro e si collocano a livelli compresi tra il 35 e 40 per mille. In tale circostanza la popolazione non aumenta o aumenta molto lentamente. In una fase successiva il tasso di mortalità inizia a diminuire, mentre il tasso di natalità si mantiene più elevato; è quindi evidente che in questa fase la popolazione aumenta e aumenta tanto più rapidamente quanto si allarga la differenza fra i due tassi. In un terzo momento anche il tasso di natalità inizia a ridursi fino al punto, ed entriamo così nella quarta fase, che i due tassi si ricongiungono a valori molto prossimi ma assai inferiori rispetto a quelli di partenza, solitamente inferiori al 10 per mille. Durante questo processo si viene a creare un temporaneo sfasamento che spiega gli alti tassi di crescita della popolazione dei Paesi in Via di Sviluppo poiché questi Paesi non hanno ancora assistito alla caduta del tasso di natalità che è già osservabile nei Paesi Sviluppati. Si verifica perciò un boom demografico dovuto soprattutto alla riduzione della mortalità; la mortalità decresce più velocemente della natalità e ciò implica un aumento significativo della differenza fra i due tassi. L’intero processo di passaggio da un sistema con alti tassi di mortalità e natalità ad un sistema con bassi tassi di mortalità e natalità è definito “transizione demografica”. È chiaro che questo fenomeno descrive un aspetto profondo ed importantissimo di cambiamento strutturale: si passa, infatti, da un modello demografico, e dovremmo dire riproduttivo, di tipo contadino, in altre parole quello della fase iniziale, ad un modello di tipo urbano. Inoltre si passa dalla società pre-industriale a quella post-industrial, e ancora, da livelli di reddito pro-capite bassi a livelli più elevati.

Figura 2.6- Rappresentazione del processo di transizione demografica.

La transizione demografica sembra essere una di quelle regolarità della storia dell’umanità che possiamo forse chiamare “legge”, se pur con tutte le cautele. In sostanza tutti i Paesi del mondo sono interessati da questo fenomeno trovandosi ovviamente in fasi differenti. Più il fenomeno della transizione è recente più aumenta velocemente la popolazione e questo avviene poiché il sistema di un Paese che entra di recente in tale processo non deve creare ex novo tutte le condizioni necessarie per affrontarlo e in particolare quelle che, come vedremo, aiutano a ridurre il tasso di mortalità. Può, infatti “importarle” da Paesi che in precedenza si sono trovati in condizioni simili. Per questa ragione i tempi della transizione si accorciano. L’Inghilterra è stato il primo Paese a sperimentare questo fenomeno che ebbe inizio verso la metà del diciottesimo secolo con la caduta del tasso di mortalità. Il tasso di natalità ha iniziato a diminuire solo verso la fine del 1800 e i due tassi si sono così ricongiunti negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale; in sostanza il processo ha coinvolto approssimativamente sei o sette generazione. In Italia sono bastate quattro generazione; dall’unità del Paese al miracolo economico del dopoguerra (da verificare). In molti Paesi in Via di Sviluppo il passaggio sembra essersi ulteriormente ridotto e, di fatto, in quasi tutti questi Paesi stiamo assistendo ad una riduzione del tasso di natalità.

Dal punto di vista demografico molti Paesi in Via di Sviluppo si collocano fra il secondo e terzo stadio mentre i Paesi ad alto reddito hanno già raggiunto la quarta fase, quella in cui il processo di transizione si è concluso. In moltissimi PVS il tasso di mortalità è ormai sceso al di sotto del 10 per mille, ma quello di natalità è ancora elevato nell’ordine del 20-25 per mille se pur in chiara diminuzione dalla metà degli anni Ottanta quindi durante l’ultima generazione. Siamo quindi di fronte ad un fenomeno molto chiaro e anche recente. 2.4 Il tasso grezzo di mortalità

Da che cosa dipende il tasso di mortalità e soprattutto come possiamo spiegare le sue variazioni, in particolare quella diminuzione che in un certo senso dà inizio alla transizione demografica? Riteniamo che vi siano due indicatori che più direttamente influiscono sulla mortalità: il tasso di mortalità infantile e l’aspettativa di vita alla nascita. La riduzione del primo implica che più bambini raggiungono l’età adulta e quindi fertile il che rappresenta una spinta formidabile all’aumento della popolazione. L’ aumento dell’aspettativa di vita implica che le persone vivono più a lungo e che quindi più generazioni popolano un Paese, o il pianeta, in uno stesso momento.

2.4.1 La mortalità infantile entro il primo anno di vita Il tasso di mortalità infantile è dato dal numero di bambini che muoiono entro il primo anno di vita, in inglese si usa il termine infant mortality, esiste anche un indice relativo alla mortalità entro i primi cinque anni di vita denominato internazionalmente child mortality. La Figura 2.7 ci mostra l’andamento di questo tasso nelle sei aree in via di sviluppo dal 1960 al 2005. Ovunque il trend è in diminuzione e quindi molto positivo, tuttavia l’Africa Sub-Sahariana e l’Asia Meridionale presentano valori assoluti ancora molto elevati soprattutto se paragonati a quelli dei Paesi ad alto reddito dove il tasso di mortalità infantile entro l’anno di vita è attualmente circa il 5 per mille (Tavola 2.3). In Africa Sub-Sahariana e in Asia Meridionale vi sono ancora grandissime potenzialità di miglioramento per questo indicatore, circostanza che ovviamente porterebbe ad un’ulteriore spinta all’aumento demografico in quelle aree. Del resto la mortalità infantile entro l’anno di vita è un obiettivo auspicabile e anche “relativamente facile” da raggiungere nella misura in cui esso richiede strumenti abbastanza chiari come le vaccinazioni che sono efficaci e relativamente poco costose. Le campagne di vaccinazione sono probabilmente state alla base della forte accelerazione del tasso di crescita della popolazione registrato fra il1945 e il 1970, eppure c’ è ancora moltissimo da fare; ad esempio in Africa Sub- Sahariana e in Asia Meridionale solo il 60 per cento dei bambini è stato vaccinato contro il morbillo.

Figura 2.7-Andamento del tasso di mortalità infantile entro l’anno di vita dal 1960 al 2005 nelle

aree in via di sviluppo ( morti per 1000 nascite).

0

50

100

150

200

250

300

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Medio Oriente e Nord Africa Africa Sub- Sahariana Asia Meridionale

America Latina e Caraibi Asia Orientale e Pacifico Europa e Asia Centrale

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition

and Population (HNP) statistics, anno 2009. Vale la pena inserire a questo punto una considerazione che riguarda la maggior parte degli indicatori che troveremo ma che per quanto riguarda il tasso di mortalità infantile risulta avere una valenza più significativa. La distribuzione del reddito influenza in modo decisivo il valore del tasso di mortalità entro il primo anno. In tutte le aree in via di sviluppo permangono, infatti, enormi differenze fra le varie classi di reddito: il tasso di mortalità infantile del quintile più povero della popolazione è quasi il doppio, e spesso si aggira o supera il 100 per mille, di quello del quintile più ricco. La differenza fra “ricchi” e “ poveri” è particolarmente elevata in alcune aree dove prevalgono i Paesi a medio reddito come l’America Latina, il Medio Oriente e Nord Africa e l’Asia Orientale; diverso è il caso dell’Europa Centrale in cui la distanza fra i due gruppi della popolazione è più contenuta. In sostanza anche questo indicatore semplice e relativamente poco costoso è fortemente influenzato dalla distribuzione del reddito. Questa constatazione deve servire a ricordarci che i numeri che troviamo in questo e in altri Capitoli sono il più delle volte delle medie, per aree o Paesi, che ovviamente celano differenze assai profonde. 2.4.2 La mortalità infantile entro i cinque anni di vita. Uno degli Obiettivi del Millennio, precisamente il quarto, riguarda la riduzione della mortalità infantile entro i cinque anni di vita ovvero la child mortality. La Tavola 2.3 mostra che questo dato è più elevato di quello relativo all’indicatore infant motality soprattutto in Africa Sub-Sahariana dove in alcuni Paesi il tasso supera il 150 per mille.

Tavola 2.3 – Tassi di mortalità infantile entro l’anno di vita e tasso di mortalità infantile entro i 5

anni nelle aree geo-economiche del pianeta, anno 2007 (morti per 1000 nascite).

AREA GEO ECONOMICA INFANT MORTALITY

RATE (2007)

CHILD MORTALITY RATE

( 2007)

Paesi ad alto reddito 6 7

Europa e Asia Centrale 21 23

America Latina e Caraibi 22 26

Asia Orientale e Pacifico 22 27

Medio Oriente e Nord Africa 32 38

Asia Meridionale 59 78

Africa Sub-Sahariana 89 146

Fonte: World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition and Population (HNP) statistics,

anno 2009. La Figura 2.8 ci mostra anche che il tasso di mortalità infantile entro i cinque anni è in forte riduzione nonostante l’Africa Sub-Sahariana e l’Asia Meridionale presentino anche in questo caso enormi differenze rispetto ai valori stimati per i Paesi ad alto reddito. Inoltre le differenze fra i più poveri e i più ricchi sono molto significative con valori del child mortality rate relativi al quintile più povero anche tre volte più elevati rispetto ai medesimi valori relativi al quintile più ricco. Abbiamo detto che la riduzione del child mortality rate dei due terzi entro il 2015 è il numero quattro degli Otto Obiettivi del Millennio, su questo punto ritorneremo nel prossimo Capitolo. Vale la pena di notare che in alcuni Paesi dell’Africa Sub-Sahariana fra il 1990 e il 2001 si è verificato un aumento del tasso di mortalità infantile entro i cinque anni, ad esempio in Zambia, Costa d’Avorio e Tanzania, Paesi che comunque non sono stati colpiti da guerre o disastri naturali. Dei quasi 10 milioni di bambini sotto i cinque anni deceduti nel 2006 quasi la metà è nata in Africa Sub-Sahariana e più del venti per cento nella regione dell’Asia Meridionale. Il settanta per centro circa della mortalità infantile entro i cinque anni si riscontra in queste due aree (Figura 2.9) il che conferma che sono le due regioni del mondo in cui si vivono le maggiori situazioni di disagio e privazione.

Figura 2.8-Andamento del tasso di mortalità infantile entro i 5 anni di vita dal 1960 al 2005 nelle

aree in via di sviluppo (morti per 1000 nascite).

0

50

100

150

200

250

300

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Africa Sub-Sahariana Medio Oriente e Nord Africa Asia Meridionale

America Latina e Caraibi Asia Orientale e Pacifico Europa e Asia Centrale

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition

and Population (HNP) statistics, anno 2009.

Figura 2.9- Distribuzione della mortalità infantile entro i 5 anni di vita tra le aree geo-

economiche del pianeta, anno 2007 (%).

Medio Oriente e Nord

Africa

11%

Asia Meridionale

23%

Africa Sub-Sahariana

41%

Paesi ad alto reddito

2%

Europa e Asia

Centrale

7%

America Latina e

Caraibi

8%

Asia Orientale e

Pacifico

8%

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition

and Population (HNP) statistics, anno 2009.

Nonostante il trend positivo che si desume dalla riduzione della mortalità infantile, il miglioramento di questo indicatore in Africa Sub-Sahariana fra il 1990 e il 2005 è stato abbastanza modesto: la riduzione della mortalità infantile è stata di pochi punti soprattutto nelle zone dell’Africa Occidentale e Centrale dove i livelli di mortalità superano il 150 per mille. La riduzione della mortalità infantile entro i cinque anni comporta interventi diversi rispetto a quelli necessari per ridurre l’infant mortaliy rate, forse l’Obiettivo del Millennio è stato troppo ambizioso anche se certamente considerando ciò che l’indicatore rappresenta è legittimo ambire a miglioramenti molto rapidi. Si tratta di interventi e politiche che hanno un carattere maggiormente strutturale e meno ad hoc come invece sono le vaccinazioni. È necessario intervenire nel settore della sanità generale, nel settore dell’alimentazione ma soprattutto sull’educazione delle madri. Le cause di mortalità sono principalmente legate a disturbi gastro-intestinali oppure alle malattie respiratorie e ai vari tipi di “febbri”. L’ attenzione delle madri ai bambini e ai sintomi della malattia è fondamentale per poter intervenire in tempo. Lo stesso dicasi per la prevenzione delle malattie. É anche chiaro che la mortalità entro i cinque anni di vita è correlata con alcune caratteristiche del sistema sanitario generale di un Paese, ad esempio, la prossimità di un ospedale o di un presidio sanitario. 2.4.3 L’aspettativa di vita alla nascita

I due indicatori relativi alla mortalità infantile sopra citati riguardano la sopravvivenza di porzioni di popolazione e il loro ingresso nell’attività riproduttiva. L’aspettativa di vita alla nascita indica il numero di anni che mediamente una persona vive e quindi misura la longevità della popolazione. Un allungamento dell’aspettativa di vita riduce la mortalità e fa aumentare la popolazione anche se l’impatto di questa grandezza è assai minore rispetto a quello della mortalità infantile poiché non modifica il numero di coloro che si trovano in età riproduttiva. Questo indicatore mostra le condizioni di vita della popolazione e in particolare le condizioni sanitarie di un Paese. La Figura 2.10 mostra l’andamento dell’aspettativa di vita dal 1960 al 2005. Si evince che l’aspettativa di vita nei Paesi più poveri è in aumento anche se ancora lontana dai livelli dei Paesi ad alto reddito dove pure l’aspettativa di vita sta crescendo. La qualità dell’assistenza sanitaria generale è un elemento fondamentale che aiuta a spiegare il miglioramento dell’indicatore. In particolare si dovrebbe cercare di raggiungere con i servizi sanitari il maggior numero di persone, garantendo così una copertura sanitaria a tutta la popolazione. Anche per questo indicatore l’Africa Sub-Sahariana e l’Asia Meridionale sono le aree con maggiori problemi: la situazione è grave soprattutto in Africa Sub-Sahariana dove la distanza dal livello raggiunto dai Paesi ad alto reddito supera i 30 anni di vita. Non solo ma dalla metà degli anni Ottanta si assiste ad una riduzione del valore di questo indicatore. L’aspettativa di vita alla nascita è fortemente legata in alcuni Paesi all’impatto dell’infezione da HIV, Human Immunization Virus, che colpisce soprattutto la fascia di persone in età adulta quindi in età riproduttiva e più produttiva da un punto di vista economico provocando danni notevoli anche alla crescita economica. É molto difficile stabilire ora quale sarà l’impatto dell’epidemia da HIV sulla crescita demografica dell’Africa Sub-Sahariana; certamente sarà rallentata, ma è ancora troppo presto per capire se l’epidemia è ormai sotto controllo o se riprenderà con forza.

Figura 2.10- Andamento dell’aspettativa di vita alla nascita nelle aree geo-economiche del

pianeta dal 1960 al 2005 (anni).

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Paesi ad alto reddito Europa e Asia Centrale America Latina e Caraibi

Medio Oriente e Nord Africa Asia Meridionale Africa Sub- Sahariana

Asia Orientale e Pacifico

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development Indicators, anno 2009.

Tavola 2.4–Aspettativa di vita alla nascita e infezione da HIV nelle aree geo-economiche del

pianeta (rispettivamente anni e %), anno 2007.

AREE ASPETTATIVA DI VITA

ALLA NASCITA (2007)

PERCENTUALE DI

ADULTI TRA I 15 E 49

ANNI AFFETTI DA HIV

(2007)

Paesi ad alto reddito 79 0,33 Paesi a medio reddito 69 0,63 Paesi a basso reddito 59 2,29

Asia Orientale e Pacifico 72 0.20 Europa e Asia Centrale 70 0,6

America Latina e Caraibi 73 0,54 Medio Oriente e Nord Africa 70 0,12

Asia Meridionale 65 0,25 Africa Sub- Sahariana 52 4,95

Fonte: World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development

Indicators, anno 2009. La Figura 2.11 ci mostra che il Botwana ha perso più di 10 anni di aspettativa di vita tra il 1990 e il 2000, un fenomeno paragonabile a quello che si verificò durante la Prima Guerra Mondiale. Altri Paesi

hanno subito perdite più contenute, ma si è verificata comunque una tendenza negativa che costituisce un fenomeno inatteso; ci si aspettava piuttosto che con maggiore o minore velocità il processo di miglioramento di questo indicatore fosse confermato per tutti i Paesi del mondo. Come vedremo nel Capitolo 3 anticipiamo che l’aspettativa di vita è uno degli indicatori che compongono l’indice di Sviluppo Umano predisposto dalle Nazioni Unite (v. Cap 3, sezione.). Figura 2.11-Valori dell’ aspettativa di vita alla nascita nel 1990, 2000 e 2007 relativi ai Paesi che

hanno perso più di 5 anni durane l’ ultimo ventennio (anni).

BotswanaSud Africa

Cameroon Costa D' Avorio

Swaziland Lesotho

R.Centro Africana

Kenya

Zambia

Namibia Zimbabwe

0

10

20

30

40

50

60

70

1990 2000 2007

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development Indicators, anno 2009.

Nel corso di queste pagine troveremo altri fenomeni in qualche modo stupefacenti poiché molto difformi dalle tendenze previste e prevedibili, e poiché si tratta di fenomeni rari, a volte unici nella storia dell’umanità. Uno di questi riguarda la crescita di tre punti per mille della mortalità in Russia fra il 1989 e il 1993, un dato drammatico per via del numero brevissimo di anni in cui è avvenuto, della sua rapidità e del fatto che si è mosso in senso opposto alle aspettative. Va notato che il dato sulla mortalità dell’allora Unione Sovietica era all’incirca lo stesso dei Paesi ad alto reddito. D’ altra parte si constata guardando la Figura 2.10 che nei Paesi dell’Europa ed Asia Centrale non vi è stato alcun progresso dell’aspettativa di vita dalla metà degli anni Ottanta in poi. Negli anni Settanta i cosiddetti “Paesi dell’est” avevano indicatori del sistema sanitario ottimi e del tutto simili a quelli dei Paesi ad alto reddito dell’Europa Occidentale. Non è semplice spiegare l’aumento della mortalità in Russia; può essere ad esempio dovuto al passaggio troppo rapido da una situazione sociale protetta e garantita sul piano dell’occupazione e della sanità ad un sistema di mercato. Ma può anche essere accaduto che il sistema socio economico centralizzato in progressivo indebolimento e disfacimento stesse già subendo nel corso degli anni ottanta un peggioramento delle strutture di assistenza sanitaria.

2.5 Il tasso grezzo di natalità Molti fattori possono spiegare il tasso di natalità e le sue variazioni, ma certamente un ruolo decisivo lo gioca il tasso di fertilità. Il tasso di fertilità si può calcolare per gruppi di età conteggiando il numero di nati vivi in un anno da donne appartenenti ad una determinata fascia di età diviso per il numero totale di donne in quella fascia. La media per tutte le fasce di donne in età fertile fornisce il tasso di fertilità totale ovvero il numero totale di figli che una donna ha in media nel corso della propria vita. Nei Paesi in via di sviluppo questo numero può anche essere di 5-6 figli (contro 2 dei Paesi sviluppati). È importante sottolineare che nel Sud del mondo vi è una tendenza marcata alla riduzione dei tassi di fertilità e ci si attende un trend che porterà i tassi di fertilità dei PVS intorno a 2 figli per donna verso il 2050. Da qui la prospettiva che non vi sarà un’esplosione infinita della popolazione mondiale; Malthus aveva ragione per il secolo diciannove e venti ma nel corso del ventunesimo secolo la crescita della popolazione subirà un rallentamento. Nonostante i miglioramenti nell’ambito della mortalità infantile e dell’aspettativa di vita alla nascita che determinano un aumento della popolazione, la riduzione del tasso di fertilità produrrà una forte riduzione del tasso di natalità che come sappiamo è l’indicatore che agisce per il compimento della cosiddetta transizione demografica. Ma perché la fertilità si riduce? Va notato immediatamente che non si può trattare la fertilità come la mortalità; a livello di esseri umani la mortalità è per così dire un evento esterno, una disgrazia che in larga parte non dipende da scelte individuali anche se ovviamente dipende dalle politiche sanitarie e non solo, messe in atto a livello nazionale e internazionale. Il comportamento riproduttivo è in larghissima parte una scelta personale certamente condizionata da cultura, religione, tradizione, livello di educazione e benessere economico ma comunque ha in sé un elemento di scelta, di decisione e questo avviene tanto più quanto i Paesi e le persone hanno un reddito più elevato. Si tratta perciò di un indicatore molto “delicato” che rappresenta una realtà influenzabile da diversi fattori che richiede un coinvolgimento e partecipazione attiva degli individui e in particolare delle famiglie. La fertilità è un fenomeno legato al miglioramento delle condizioni di vita, ai processi di urbanizzazione, all’informazione, all’educazione, alla sessualità e alla riproduzione che include l’informazione per le donne sui metodi di contraccezione.

Figura 2.12 Andamento dei tassi di fertilità nelle aree geo-economiche dal 1960 ad oggi con

proiezioni fino al 2050 (n. di figli per donna).

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1960

1965

1970

1975

1980

1985

1990

1995

2000

2005

2005-10

2010-15

2015-20

2020-25

2025-30

2030-35

2035-40

2040-45

2045-50

Medio Oriente e Nord Africa Africa Sub- Sahariana Asia Meridionale

America Latina e Caraibi Asia Orientale e Pacifico Europa e Asia Centrale

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query (fino all’anno 2005) e Population Projection Tables (dal dato 2005-2010), Health, Nutrition and Population

(HNP) statistics, anno 2009.

Tavola 2.5- Tassi di fertilità nel 1990 e 2005 per aggregati economici e aree geo-economiche

(n. di figli per donna).

AREE 1990 2007

Paesi ad alto reddito 1,8 1,8 Paesi a medio reddito 3 2,2 Paesi a basso reddito 5,6 4,2 Europa e Asia Centrale 2,3 1,7 Asia Orientale e Pacifico 2,4 1,9 America Latina e Caraibi 3,2 2,4 Asia Meridionale 4,2 2,9 Medio Oriente e Nord Africa 4,8 2,8 Africa Sub- Sahariana 6,2 5,1

Fonte: Fonte: World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition and Population

(HNP) statistics, anno 2009.

Da notare anche il comportamento del tutto simile dei Paesi dell’Europa Occidentale e di quelli dell’Europa Orientale, Russia inclusa, nonostante la differenza marcata di reddito. In alcuni casi le crisi economiche modificano profondamente i comportamenti riproduttivi delle famiglie nella direzione di una rapida riduzione del tasso di fertilità. In pochi anni nei Paesi a basso reddito si è passati da 6 figli per donna a 2 figli. Questa tendenza accomuna tutte le aree geografiche (Asia, America Latina, Medio Oriente e Nord Africa) ad eccezione dell’Africa Sub-Sahariana che mantiene un tasso di fertilità ancora di 5,5 figli per donna. Tale diminuzione della fertilità, in linea con le teorie sulla transizione demografica, è imputabile con buona probabilità ad un generale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione mondiale a livello aggregato. Conviene fare alcune osservazioni per i Paesi maggiormente popolati ovvero Cina e India per i quali si possono fare specifiche considerazioni. In India Indira Ghandi ha attuato un tentativo di controllo delle nascite, fondamentalmente basato sulla vasectomia, fortemente consigliata alle famiglie numerose. La politica non ebbe successo poiché fu largamente rifiutata e osteggiata dalla popolazione, soprattutto quella maschile. La fertilità e il tasso di crescita della popolazione sono in diminuzione in India ma in modo non rilevante e con una velocità abbastanza regolare. Diverso è il caso della Cina dove il tasso di crescita della popolazione è diminuito drasticamente soprattutto a causa del crollo della fertilità tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta; nello spazio di quindici anni, meno di una generazione, la fertilità è passata da sei figli per donna, livello pari a quello dell’Africa Sub-Sahariana, a due figli per donna. La politica del figlio unico è stata estremamente efficace anche se ovviamente ha comportato interventi di tipo forzoso che certamente hanno influenzato le scelte e limitato la volontà delle famiglie. Questa politica è stata ora “alleggerita” nelle campagne e per le minoranze etniche ma permane nelle aree urbane. È chiaro che questi interventi hanno sollevato evidenti problemi in merito al rispetto dei diritti umani. D’altra parte se la Cina avesse mantenuto il precedente tasso di crescita degli anni Cinquanta la popolazione della Repubblica Popolare Cinese sarebbe ben maggiore di quella attuale e raggiungerebbe presto la soglia dei due miliardi di individui. Con i dati attuali sulla crescita della popolazione, e salvo forti diminuzioni del tasso in India, non è difficile prevedere che antro al massimo due generazioni l’India avrà una popolazione più numerosa della Cina. 2.6 La struttura della popolazione

Lo studio della popolazione dei vari Paesi del mondo e soprattutto di come questa si modifica nel tempo presenta importanti implicazione per l’economia. Alcune di queste implicazioni emergono con chiarezza quando si prende in esame la struttura della popolazione cioè la composizione della popolazione nelle diverse classi di età. La distribuzione per età è data dalla serie delle diverse quote numeriche di popolazione associate a ogni gruppo di età solitamente costituito da classi di dieci o cinque anni come nelle Figure 2.12 e 2.13 e suddiviso in maschi e femmine. La distribuzione per età è rappresentata graficamente nelle Figure 2.12 e 2.13. La forma a piramide è tipica di una popolazione giovane caratterizzata da tassi di fertilità ancora elevati e che quindi non ha ancora completato la transizione demografica (ad esempio la Giordania e l’Arabia Saudita). La struttura a “piramide” è peculiare soprattutto dei Paesi dell’Africa Sub-Sahariana e dell’area del Medio Oriente, caratterizza quindi Paesi a basso reddito pro capite e dipende anche da differenze non solo economiche ma anche culturali delle diverse aree del mondo. La base della

piramide può essere tale per cui anche più del 50 per cento della popolazione si trova nei primi due gruppi demografici quindi con un età inferiore ai 10 anni di vita; ciò può essere spiegato anche dal fatto che siano pochi coloro che raggiungono le classi di età più avanzate. La struttura della popolazione a “botte” è tipica di una popolazione matura che ha già completato la transizione demografica in cui i nati sono relativamente pochi mentre il numero degli anziani è maggiore, si possono riportare come esempi l’Italia e tutti i Paesi ad alto reddito. Anche in Europa e Asia Centrale la popolazione presenta una struttura simile con variazioni dell’ampiezza delle classi di popolazione intermedie. La forma può ricordare maggiormente una botte o un parallelepipedo in cui i vari gruppi dal punto di vista numerico si differenziano assai poco gli uni dagli altri. I Paesi che presentano questa struttura hanno sia in termini percentuali sia in termini assoluti un numero consistente di anziani che si presta ad aumentare nella misura in cui comunque cresce l’aspettativa di vita alla nascita pur già elevata.

Figura 2.13- Struttura della popolazione nei Paesi a basso reddito, 2005 (gruppi di età).

0-4

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10-14

15-19

20-24

25-29

30-34

35-39

40-44

45-49

50-54

55-59

60-64

65-69

70-74

75+

FEMMINE(%)

MASCHI (%)

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank, Health, Nutrition and Population (HNP) statistics.

Figura 2.14- Struttura della popolazione nei Paesi ad alto reddito, 2005 (gruppi di età).

0-4

5-9

10-14

15-19

20-24

25-29

30-34

35-39

40-44

45-49

50-54

55-59

60-64

65-69

70-74

75+

FEMMINE(%)

MASCHI (%)

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank, Health, Nutrition and Population (HNP) statistics

La struttura stessa per età influenza i tassi di natalità e mortalità e ciò appare chiaro se si va a guardare la percentuale di donne in età fertile. La relazione tra variabili demografiche e sviluppo economico è biunivoca: la crescita della popolazione e la struttura per età sono fortemente influenzate dalle condizioni dello sviluppo economico di un Paese e nello stesso tempo esse contribuiscono a determinare tali condizioni. Possiamo fare qualche veloce considerazione su alcune implicazioni abbastanza dirette che la struttura demografica comporta per l’economia di un Paese. Per esempio la distribuzione per età condiziona in modo diverso il mercato del lavoro e le politiche economiche nei Paesi in via di sviluppo così pure nei Paesi sviluppati. Nei Paesi caratterizzati da una struttura a piramide, come è il caso della maggior parte dei Paesi a basso o medio-basso reddito, vi sono molti giovani nelle classi di età comprese fra i 5 e i 20 anni che prima di tutto vanno istruiti. Ai Paesi che hanno il 50-70 per cento della popolazione in età scolare è richiesto uno sforzo enorme nel settore dell’istruzione. Certamente possono arrivare aiuti dall’estero ma l’istruzione dovrebbe comunque assorbire una parte consistente del bilancio pubblico, in particolar modo l’istruzione primaria. Non si tratta soltanto di un problema di alfabetizzazione di accesso per tutti i bambini alle scuole primarie, che è peraltro un Obiettivo del Millennio, ma anche di una questione di qualità dell’istruzione impartita. È fondamentale la preparazione degli insegnanti così come il numero di ore che i bambini trascorrono a scuola. In moltissimi casi si deve ricorrere a 2 o 3 turni giornalieri di aule o

di maestri; è chiaro che in tali condizioni la copertura scolastica può essere garantita a tutti ma ci si deve interrogare sulla qualità dell’insegnamento. Nei Paesi con una struttura giovane della popolazione si presenta anche un problema relativo al mercato del lavoro. Terminato un qualche livello di scolarizzazione, in un età comunque compresa tra i 10 e i 20 anni, o poco più tardi se si continua con una formazione di terzo livello, universitaria, si riversa sul mercato del lavoro una quantità elevata di giovani. Si valuta che nel complesso tra Marocco, Algeria, Tunisia, Siria Giordania e Palestina vi siano oltre tre milioni di giovani che ogni anno si presentano sul mercato del lavoro alla ricerca di un’occupazione; più della metà sono egiziani. Anche se nei Paesi con popolazione giovane vi fosse un sistema di pensionamento per coloro che raggiungono una certa età, cosa assai rara, o anche solo tenendo conto di coloro che smettono di lavorare per l’età avanzata, è evidente guardando la struttura piramidale che sicuramente i giovani non possono essere assorbiti dalle occupazioni lasciate libere da coloro che smettono di lavorare. L’ unico modo per assorbire queste vere e proprie ondate di giovani sarebbe realizzare una crescita economica molto forte e sostenuta, ma questo, anche come vedremo nel prossimo Capitolo, non è stato sempre il caso. In mancanza di possibilità di occupazione, e se ne hanno i mezzi, i giovani possono continuare a studiare anche se in ogni caso prima o poi è necessario cercare un lavoro. In realtà la situazione più comune cui si assiste è un impegno contestuale da parte dei in un’attività lavorativa e in un’attività di studio tramite la frequenza di corsi serali. Ovviamente l’altra soluzione che viene percorsa è quella dell’emigrazione; spesso ad emigrare sono i lavoratori che hanno acquisito una formazione comunque relativamente migliore nel contesto del loro Paese. Da ultimo conviene accennare al tasso di dipendenza ovvero al rapporto fra la popolazione in età non lavorativa, sotto i 15 anni e sopra i 64, e la popolazione lavorativa, quella compresa nell’intervallo di età tra i 15 e i 64 anni. Questa definizione di tasso di dipendenza tiene conto esclusivamente dell’aspetto demografico e riflette la struttura per età della popolazione. È chiaro che può disegnare una realtà assai differente dal rapporto effettivo fra chi non lavora e chi lavora nei vari Paesi. Tuttavia è un buon indicatore di come la demografia e in particolar modo la struttura della popolazione per età possa influenzare l’economia. La Figura 2.14 mostra che come per la transizione demografica anche per il tasso di dipendenza si nota un andamento assai simile in differenti aree del mondo che però si trovano in diverse fai dell’evoluzione del tasso stesso.

Figura 2.15- Andamento del tasso di dipendenza nelle aree geo-economiche del pianeta dal 1960

al 2005 ( pop. in età non lavorativa/pop. età lavorativa).

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

Medio Oriente e Nord Africa Africa Sub- Sahariana America Latina e Caraibi

Asia Meridionale Asia Orientale e Pacifico Europa e Asia Centrale e

Paesi ad alto reddito

Fonte: elaborazione grafica basata su World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition and Population (HNP) statistics, anno 2009. Quando la popolazione è giovane e la crescita demografica elevata, il tasso di dipendenza è anch’ esso alto, anche con valori prossimi al 90 per cento. Con un rallentamento della crescita demografica il tasso di dipendenza si riduce fino a raggiungere valori intorno al 50 per cento come avviene attualmente nei Paesi ad alto reddito. Tuttavia con l’invecchiamento della popolazione questo tasso riprende a crescere. Nella Figura 2.15 si vede molto bene che la sinusoide si manifesta in tutte le aree del mondo ma in tempi diversi.

Conclusioni La ricostruzione delle cause che influiscono sulla crescita demografica può essere sintetizzata in un semplice schema (Figura 2.16) che riassume ciò che abbiamo tratta in questo Capitolo. Tuttavia abbiamo qui voluto inserire anche le variabili meno prossime alla crescita demografica che stanno a “monte”, certamente nel lungo periodo queste grandezze giocano un ruolo decisivo nel determinare l’evoluzione della popolazione di un Paese e non abbiamo qui la possibilità di soffermarci su di esse. Vogliamo però porre l’attenzione del lettore sull’età in cui una donna ha il primo figlio o diciamo l’età del matrimonio ed ancora il livello di educazione femminile e il tasso di partecipazione al mercato del lavoro. Ricordiamo che l’uguaglianza di genere è uno degli Obiettivi del Millennio.

Figura 2.16-Catena di relazioni che influiscono sulla crescita demografica.

Bibliografia e siti web Debraj Ray. Development Economics. capitolo 9, Princeton University Press, Princeton New JERSEY 1999 United Nations, Demographic Yearbook 2006, www.unstats.un.org. World Bank (www.worldbank.org), Quick Query Data selezionati dal database World Development

Indicators, anno 2009. World Bank (www.worldbank.org) Quick Data Query, Health, Nutrition and Population (HNP) statistics, anno 2009.

Tasso di mortalità

Tasso di natalità

Mortalità infantile

Aspettativa di vita alla nascita

Tasso di fertilità

Popolazione totale e tasso di crescita della popolazione