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I N D I C E

• LA PROGRAMMAZIONE DI CARITAS ITALIANA:

punti di riferimento e prassi ......................... 1

• GIUSTIZIA, PACE, SA LVAGUARDIA DEL CREAT O :LA SFIDA EDUCAT I VA E PROMOZIONALE

orientamenti per riflettere ............................. 9

• PROSPETTIVE DI LAVORO PASTORALE ......... 28

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LA PROGRAMMAZIONE DI CARITAS ITA L I A N Apunti di riferimento e prassi

P r e m e s s a

Nell’ultimo decennio Caritas Italiana ha individuato come centrale l’attenzione a formedi programmazione che avessero come obiettivo la piena partecipazione delle Caritasdiocesane e delle Delegazioni regionali nella valutazione dei bisogni del mondo Caritas,nella condivisione degli scenari socio pastorali del momento, nell’individuazione di prio-rità su cui lavorare insieme, nella verifica sul lavoro fatto, …

P r o g r a m m a z i o n e, quindi, come luogo in cui confrontarsi e crescere insieme nell’ottica del ser-vizio alla comunità dei fedeli e secondo il mandato statutario di promuovere la testimonian-za della carità «in forme consone ai bisogni e ai tempi» (cfr. Statuto Caritas Italiana, art. n. 3).

Un lavoro caratterizzato dagli incontri di Caritas Italiana con le Delegazioni regionaliCaritas (solitamente nei mesi di aprile e maggio) che vedono da sempre la partecipazio-ne della quasi totalità delle Caritas diocesane. Si tratta di un momento molto significa-tivo: l’occasione per fermarsi, almeno una volta l’anno, per pensare insieme le temati-che proposte, a partire dallo specifico di ogni regione ecclesiale.

I trent’anni di storia di Caritas in Italia chiedono la rilettura delle istanze statutarie alla lucedel testo della Carta pastorale (cfr. Lo riconobbero nello spezzare il pane, n. 37/42), in fun-zione di un futuro che stiamo già costruendo giorno dopo giorno. La domanda «Q u a l eCaritas per i prossimi anni?» segna il nostro cammino dall’anno pastorale 2001/2002.

Gli ultimi tre anni sono stati caratterizzati dalla scelta di “lavorare per progetti”. Un len-to ma costante passaggio dalla p r o g r a m m a z i o n e, intesa come elenco di attività, alla p r o-g e t t a z i o n e pensata come processo articolato di costante attenzione a coniugare singoleattività all’interno di scenari che variano sempre più velocemente (basti pensare alladimensione delle politiche sociali).

La scelta di questo modello trova riscontro nell’individuazione di un preciso metodopastorale per leggere la realtà e costruire la Caritas del futuro: osservare, ascoltare,d i s c e r n e r e. Non solo parole; molto più che strumenti. L’Osservatorio delle povertà e del-le risorse (OPR) e il Centro di Ascolto (CdA) sono “luoghi propri”, caratterizzanti leCaritas diocesane. Solo dall’incontro quotidiano con i poveri e dalla lettura attenta deifenomeni e delle cause di povertà e ingiustizia possono scaturire germi di proposte con-crete per un nuovo sistema di politiche sociali.

Caritas Italiana lavora quindi per rafforzare la propria presenza e migliorare il proprio ser-vizio alle Caritas diocesane. La scelta di promuovere forme di coordinamento regionale

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su specifiche attenzioni pastorali (dalla promozione/ accompagnamento delle Caritas par-rocchiali ai Centri di Ascolto) ha portato i suoi frutti soprattutto in termini di partecipa-zione al lavoro di animazione, nella Delegazione regionale e sul livello nazionale.

Siamo finalmente in grado di passare dal p r o g r a m m a (elenco statico di attività) alla p r o-g r a m m a z i o n e (elenco dinamico delle attività), in vista di un vero e proprio lavoro di p r o-g e t t a z i o n e (individuazione di obiettivi e di attività).

Aree e Uffici per un adeguato lavoro di progettazione pastorale

Per Caritas Italiana tutto questo ha significato vivere alcuni passaggi fondamentali: • l’evoluzione dello stile, del contenuto e del metodo dello strumento p r o g r a m m a z i o n e

(dal calendario delle iniziative formative ad un programma “cofanetto” articolato);• la riorganizzazione del 1999;• il lento ma costante assestamento delle Aree e dei Servizi per un migliore servizio alle

Caritas diocesane;• la crescita della capacità di analisi degli scenari nazionali e internazionali nel tenta-

tivo di costruire nuovi cammini di testimonianza della carità.

Le Aree e i Servizi hanno assunto negli ultimi anni un ruolo fondamentale nell’elabora-zione del “cofanetto programmazione”.

Occorre assumere uno stile che faciliti il lavoro di insieme all’interno dell’Area, a parti-re dalle attenzioni specifiche privilegiate nel lavoro dei singoli U f f i c i.

Questi stanno diventando lo strumento per l’osservazione e l’ascolto di determinatetematiche (Centri di Ascolto, ad esempio). L’obiettivo è individuare prime linee di discer-nimento (attività di formazione, per esempio).

L’A r e a / S e r v i z i o diventa il luogo in cui fare sintesi delle letture offerte dagli Uffici ecostruire un quadro progettuale ampio che tenga conto:• dei bisogni delle Caritas diocesane e delle Delegazioni regionali;• dello scenario socio-pastorale;• del tema dell’anno.

L’obiettivo è pensare le singole attività proposte dagli Uffici all’interno di questo quadro.

Il ruolo dell’Equipe Aree/Servizi (EAS) è rileggere quanto elaborato dalle Aree e costrui-re una proposta che sarà oggetto di confronto e analisi nelle realtà istituzionali(Consiglio Nazionale, Presidenza) e nelle occasioni di incontro con le Caritas diocesanee le Delegazioni regionali (incontri regionali, convegno nazionale, convegni regionali).

Un processo articolato, da curarsi in ogni fase, che vuole rispondere all’appello conte-nuto in Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: non appiattirsi sul tempo pre-

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s e n t e ma costruire una nuova storia in ascolto dei bisogni della comunità, promuoven-do il discernimento comunitario ( c f r. CVMC, n. 42/50).Sinteticamente, quindi, riportiamo i punti di riferimento statutari e organizzativi per lap r o g r a m m a z i o n e .

Da dove partire…

IDENTITÀ DI CARITAS ITALIANA (c f r. St a t u t o art. n. 1)

Organismo pastorale vale a dire: non centro documentazione, non pura realtà di formazione, non organizza-zione di solo intervento, non ente gestore, ma… organismo pastorale:

• punto di partenzauna particolare attenzione agli ultimi, con prevalente funzione pedagogica, educativa.

• con la finalitàdi promuovere “collaborativamente” la testimonianza della carità della comunitàecclesiale italiana (privilegiare progetti di pastorale d’insieme quali: progetto Po l i c o r o ,progetto Caritas-Azione Cattolica, progetto Caritas-Pastorale familiare, progetto Ca-r i t a s - Pastorale sanitaria, progetto Caritas-Catechesi-Liturgia, Caritas-FondazioneMigrantes, …).

• con la modalitàdi agire attraverso azioni e itinerari in forme consone ai tempi e ai bisogni.

• con l’obiettivo di operareper lo sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace.

COMPITI DI CARITAS ITALIANA (c f r. St a t u t o art. n. 2)

Collaborazione con i Vescovi, le Chiese locali, in particolare attraverso le Caritas diocesane.

• Promuovere l’animazione:— del senso della carità verso persone e comunità;— del dovere di tradurlo in interventi concreti con carattere promozionale.

• Curare il coordinamento delle iniziative e delle opere caritative e assistenziali diispirazione cristiana.

• Indire, organizzare e coordinare interventi di emergenza in caso di calamità in Italiae all’estero.

• Collaborare con altri Organismi di ispirazione cristiana per:— realizzare studi e ricerche sui bisogni,— promuovere il volontariato,— favorire la formazione degli operatori,— contribuire allo sviluppo umano e sociale dei Paesi in via di sviluppo.

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…per quale programma

C A R I TAS ITALIANA E LA SUA ORGANIZZAZIONE

• Organizzazione per Aree/Servizi e Uffici per favorire la comunicazione e l’operativitàunitaria secondo la propria appartenenza.

• Organizzazione che ha sempre più bisogno di essere sostenuta da senso di apparte-nenza, cammini di interazione e luoghi unitari di lavoro.

C A R I TAS ITALIANA E IL RAPPORTO CON IL TERRITORIO NAZIONALE, EUROPEO EI N T E R N A Z I O N A L E

a . rapporto Caritas Italiana e Caritas diocesane;

b. rapporto Caritas Italiana e Delegazioni regionali Caritas: entrambe a servizio del-le Caritas diocesane, non sovrastrutture.

• La modalità di lavoro da condividersi costantemente ad ogni livello è quella dell’o s s e r-vare, ascoltare e discernere attraverso i luoghi-strumenti pastorali propri di Caritas: Centridi Ascolto, Osservatori delle povertà e risorse, tavoli del discernimento delle Po l i t i c h eSociali (anno pastorale 2001/2002: Cammini di osservazione, ascolto e discernimento) .

• La dimensione comunitaria della testimonianza della carità (carità di popolo) deveimpegnare la Caritas, ad ogni livello, a collegare e ben armonizzare l’attenzione, lapresenza e l’intervento nella quotidianità e nell’emergenza senza sbilanciature odimenticanze, attraverso cammini unitari tra Caritas e famiglia, Caritas e parrocchia,Caritas e servizi, Caritas e gruppi, movimenti, … (anno pastorale 2002/2003: C o l l e g a r eemergenze e quotidianità) .

• I cammini educativi alla giustizia, alla pace e alla salvaguardia del creato d e v o n oimpegnare la Caritas, a tutti i livelli, a curare le prassi che promuovono stili e scelteordinarie e quotidiane di giustizia, pace e attenzione al territorio (anno pastorale2003/2004: Scelte di giustizia, cammini di pace) .

…con quali modalità

scegliere e promuovere un modo di lavorare organico e unitario

IN CARITAS ITALIANA

• lavoro organico nelle singole Aree, Servizi e Uffici;• lavoro organico nell’Equipe Aree-Servizi e in Direzione;• promozione di progetti di lavoro organico interaree/servizi.

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IN CARITAS DIOCESANA

Favorire e promuovere un lavoro di Caritas diocesana centrato su tre principali blocchidi attenzioni:• promuovere e formare Caritas, …• curare i luoghi dell’ascolto, dell’osservazione e del discernimento (CdA, OPR, Opere

segno); attenzione e promozione di servizi e risposte per le aree di bisogno, …• educazione alla mondialità, difesa diritti, cooperazione e interventi in ambito inter-

nazionale, …

NELLE DELEGAZIONI REGIONALI CARITAS

Sostenere il cammino e il lavoro delle Delegazioni regionali Caritas perché crescanocome luoghi di comunione, di confronto e di accompagnamento reciproco, sempre a ser-vizio delle Caritas diocesane.

Dentro alcuni livelli di partecipazione…

I luoghi decisionali e partecipativi di Caritas Italiana sono:

PRESIDENZA DI CARITAS ITA L I A N A ( cfr. Statuto art. n. 6/7)

— coadiuva il Presidente nell’assolvimento dei compiti previsti dallo Statuto;— redige i programmi di attività, che sottopone all’approvazione del Consiglio

N a z i o n a l e ;— approva il piano di copertura economica del programma annuale di attività e il

bilancio annuale consuntivo;— nomina uno o più vicedirettori;— …

CONSIGLIO NAZIONALE DI CARITAS ITALIANA ( c f r. Statuto art. n. 11 / 1 2 )

— elegge tre delegati regionali quali membri della Presidenza;— approva proposte di indirizzo sulla diaconia della carità presentate dalla Presidenza

e ne elabora di proprie;— chiede l’approvazione ai competenti organi della Conferenza Episcopale Italiana per

le dichiarazioni e i documenti importanti che intende pubblicare;— approva il programma annuale di attività;— …

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GRUPPI NAZIONALI1

…fino al 2002

• Gruppo nazionale Caritas parrocchiali• Gruppo nazionale Obiezione di coscienza e servizio civile• Gruppo nazionale Politiche sociali• Gruppo nazionale Osservatori povertà e risorse• Gruppo nazionale Centri di Ascolto

valutazione dei punti di forza…• i Gruppi nazionali hanno consentito un’ampia possibilità di confronto;• gli incontri nel corso dell’anno sono stati preziose occasioni di condivisione di linee

c o m u n i ;• in alcuni casi (CdA, OPR, Politiche sociali) i Gruppi hanno costruito e realizzato ini-

ziative unitarie (percorso G3).

…e dei limiti• per alcune Delegazioni regionali Caritas era impossibile esprimere un referente per

ciascun Gruppo nazionale: alcuni risultavano incompleti;• ogni Gruppo lavorava indipendentemente dagli altri anche quando per alcuni sareb-

be stato necessario programmare e lavorare in maniera unitaria;• il numero dei Gruppi era eccessivo e comportava notevoli oneri organizzativi.

dal 2003/2004a . Gruppo nazionale Promozione Caritas

Sviluppa in modo particolare un’attenzione unitaria al promuovere Caritas favorendolo sviluppo di prassi capaci di esprimere progetti di:• accompagnamento alla costituzione e all’assunzione di un metodo unitario di lavoro

delle Equipe delle Caritas diocesane e delle Delegazioni regionali Caritas;• formazione dei componenti delle Equipe Caritas diocesane;• promozione e accompagnamento delle Caritas parrocchiali;• studio, ricerca e documentazione (criteri e modalità di indagine e comunicazione);• pastorale unitaria (Caritas-Famiglia, Caritas-Sanità, Caritas-Migrantes, Caritas-

Catechesi-Liturgia, Caritas-Azione Cattolica, Progetto Policoro, …);• comunicazione e cura delle reti pastorali sul territorio.

1 Lo scorso anno il Consiglio Nazionale di Caritas Italiana ha stabilito di ripensare le forme di coinvolgi-mento e partecipazione delle Caritas diocesane secondo tre livelli:• Gruppi nazionali (Servizio Promozione Caritas, Area Nazionale, Area Internazionale);• c o o r d i n a m e n t i ;• tavoli di lavoro.

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b. Gruppo nazionale Promozione UmanaSviluppa in modo particolare un’attenzione unitaria al promuovere servizi socio-pastoralie politiche sociali, favorendo lo sviluppo di prassi capaci di esprimere progetti di:• cura dei luoghi dell’ascolto, dell’osservazione, dell’accoglienza e della relazione con i poveri;• cura delle varie aree di bisogno/ volti di povertà;• cura delle risorse impegnate a servizio dei poveri: giovani obiettori in servizio civile,

giovani e ragazze in servizio civile volontario, gruppi e realtà di volontariato vario,mondo della cooperazione, istituti di religiosi e religiose, famiglie solidali;

• interventi nelle situazioni di emergenza a livello nazionale, dalla risposta immediataalla riabilitazione e sviluppo.

c .Gruppo nazionale Educazione alla mondialitàSviluppa in modo particolare un’attenzione unitaria al promuovere prassi e cammini dieducazione alla mondialità capaci di esprimere progetti di:• intervento nelle emergenze a livello internazionale;• c o o p e r a z i o n e ;• cammini di accompagnamento delle Chiese locali;• azioni di difesa e tutela dei diritti dei popoli più poveri;• percorsi di riconciliazione.

Principali punti di forza dell’esperienza dei tre Gruppi nazionali • È facilitata la partecipazione di tutte le Delegazioni regionali Caritas, coinvolte in un

cammino unitario “minimo”, ma ampiamente condiviso.• Ogni Delegazione regionale può comunque, in presenza delle risorse necessarie, orga-

nizzarsi e lavorare in modo più ampio.• Esistono le condizioni per pensare, progettare e lavorare in modo via via più unitario.• È favorita la crescita di una “Equipe di Delegazione regionale Caritas” (Delegato e mem-

bri dei tre Gruppi nazionali), con ruolo di traino e animazione delle Caritas diocesane.• Si creano alcune condizioni per consentire alla Delegazione di favorire la crescita di

una Equipe nelle singole Caritas diocesane.• Per converso, il Gruppo nazionale rappresenta un momento importante di formazio-

ne e di crescita nella capacità di servizio alle Delegazioni regionali.

In prospettiva: • I Gruppi nazionali debbono assumere, progressivamente, uno stile comune di lavoro

(metodo, contenuti, …). Un’ipotesi è quella di lavorare coniugando le attenzioni spe-cifiche e il tema annuale secondo i seguenti ambiti: l’Equipe diocesana, la promo-zione della testimonianza della carità (in particolare le Caritas parrocchiali), ladimensione educativa.

• Il referente del Gruppo nazionale potrebbe assumere, nelle forme e nei tempi stabilitidalla Delegazione regionale, un ruolo di sostegno del lavoro della Delegazione stessa.

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C O O R D I N A M E N T I

I coordinamenti nazionali promossi ad oggi da Caritas Italiana sono 14, su altrettantetematiche (carcere, immigrazione, tratta, Balcani,…) e con diverse modalità di gestione. Nel corso di quest’anno i coordinamenti hanno incontrato alcune fatiche:• il passaggio da una storia di Gruppo nazionale ad una realtà di coordinamento;• la difficoltà a chiarire identità, obiettivi e risorse dei singoli coordinamenti;• la necessaria, ma a volte problematica differenziazione degli stili di conduzione tra

coordinamenti diversi;• il rapporto con le eventuali reti regionali;

Sembra quindi opportuno:• differenziare modalità e proposte in base alle diverse storie e alle funzioni di ciascun

coordinamento; • ripensare le forme di sostegno economico;• individuare livelli diversi di coordinamento (per esempio istituzionali, con rappresen-

tanza regionale,…).

TAVOLI DI LAVORO AD HOC

I tavoli di lavoro nascono come “strumento” agile finalizzato alla produzione, in tempibrevi, di riflessioni significative, linee, documenti (si pensi, ad esempio, al documentosul Libro bianco) .

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GIUSTIZIA, PACE E SA LVAG UARDIA DEL CREAT OLA SFIDA EDUCAT I VA E PROMOZIONALE

orientamenti per riflettere

dallo Statuto di Caritas Italiana«… è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di pro-muovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità del-la comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello svi-luppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare atten-zione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica» (cfr. art. n. 1).

«… indire, organizzare e coordinare interventi di emergenza in caso di pubbliche cala-m i t à, che si verifichino sia in Italia che all’estero» (cfr. art. n. 3/c).

«… contribuire allo sviluppo umano e sociale dei Paesi del Terzo Mondo con la sensibiliz-zazione dell’opinione pubblica, con prestazione di servizi, con aiuti economici, anche coor-dinando le iniziative dei vari gruppi e movimenti di ispirazione cristiana» (cfr. art. n. 3/d).

P r e m e s s a

«Quale Caritas per i prossimi anni?».L’interrogativo posto dalla Carta pastorale Lo riconobbero nello spezzare il pane nel 1995accompagna da tre anni la Caritas in Italia, impegnandola a verificarsi e a sperimentar-si in “un modo fedele e sempre nuovo” di vivere il proprio mandato.

A seguito della significativa riflessione su cammini di osservazione, ascolto e discerni-m e n t o (anno pastorale 2001/02) e del lavoro svolto alla luce della sfida di coniugareemergenze e quotidianità (anno pastorale 2002/03), le Caritas diocesane sono chiamatea confrontare il proprio agire quotidiano con quanto proposto dal n. 41 della Cartapastorale, a partire dalla consapevolezza di una funzione prevalentemente pedagogicache si serve di «ogni iniziativa, ogni proposta, ogni intervento» per «proporre alla gentenon di dare un’offerta, ma di donare se stessi; non di stare a guardare, ma di coinvol-g e r s i» (cfr. Carta pastorale, n. 40).

«In questa prospettiva la Caritas educa alla mondialità e alla pace, aiuta a pensare auna carità non separata dalla giustizia e perciò capace di denunciare le strutture di pec-cato attraverso cui i ricchi sfruttano i poveri (è il nostro mondo che impoverisce il Suddel mondo) e propone scelte ispirate alla nonviolenza: obiezione al servizio militare e di-fesa popolare nonviolenta in primo luogo.

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Lo spirito di Assisi (dialogo e riconciliazione tra religioni mondiali: 1986) e una cre-scente sensibilità in ambiente ecumenico (Giustizia, pace e salvaguardia del creato: Basi-lea 1989), ma anche drammatici conflitti e tensioni a livello mondiale, ci spingono a gio-care la nostra “prevalente funzione pedagogica” sia nel campo dell’educazione delle co-scienze ai fondamentali valori umani, sia nella sensibilizzazione delle comunità cristia-ne - dei giovani soprattutto - alla riconciliazione, alla pace, al servizio.

Attraverso itinerari mirati, tendenzialmente sempre comunitari, possiamo coltivarealtrettante espressioni del “dono sincero di sé” (Giovanni Paolo Il) e favorire la diffusionedi stili di gratuità, di pacificazione, di responsabilità verso ogni creatura di cui S. Francesco, patrono d’Italia, è modello attualissimo» (Carta pastorale, n. 41 ) .

Raccogliere la sfida educativa e promozionale relativa alla giustizia, alla pace e alla sal-vaguardia del creato, lo dicono ogni giorno gli eventi su scala nazionale e internazio-nale, è imperativo quanto mai pressante. «… La nostra speranza si fonda soprattutto sul-la fiducia che è Dio stesso a condurre in modo misterioso i fili invisibili della storia. Maquesto non può affatto deresponsabilizzarci: lo Spirito Santo opera normalmente nelmondo attraverso la nostra cooperazione» (cfr. CVMC, n. 33).

Il tema della giustizia e della pace, unitamente a quello dell’utilizzo equo e responsabi-le delle risorse del creato, può diventare il filtro attraverso cui rileggere tutti gli ambitie le attenzioni pastorali della Caritas.

L’esperienza di questi trent’anni dice il valore della promozione di stili di vita fortemen-te incarnati, nell’ambito dei luoghi educativi del quotidiano agire pastorale (la famiglia,la scuola, la catechesi,…), avendo cura di diversificare le proposte rispetto ai destinatari.Alla luce di questo impegno, la riflessione annuale si propone di offrire alle Caritas dio-cesane occasioni per ripensare il tema nei propri contesti, rileggendo le prassi educativein atto e individuando prospettive di lavoro pastorale per il futuro, nella certezza che«perché il Vangelo divenga cultura e possa dare i suoi frutti più belli nella storia, noi cri-stiani vivremo nella compagnia degli uomini l’ascolto e il confronto, la condivisione del-l’impegno per la promozione della giustizia e della pace, di condizioni di vita più degneper ogni persona e per tutti i popoli, fiduciosi in un arricchimento reciproco per il benedi tutti» (cfr. CVMC, n. 60).

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S C E LTE DI GIUSTIZIA, CAMMINI DI PACE

Croce, Eucaristia e speranza

«Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costan-te del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Diovivo e vero, ma anche chi è l’uomo. Solo seguendo l’itinerario della missione dell’Inviato– dal seno del Padre fino alla glorificazione alla destra di Dio, passando per l’abbassa-mento e l’umiliazione del Messia -, sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile mis-sionario conforme a quello del Servo, di cui essa stessa è serva» (cfr. CVMC, n. 10 ) .

Se ci chiedessero dove sta il cristiano, dove lo si può trovare, dovremmo dire: ai piedidella Croce. Solo lì egli sa chi è; lì, e non altrove, riceve la sua identità. Il Crocifisso èDio che si rivela all’uomo, rivelando l’uomo a se stesso: è la Presenza di Dio all’uomo;è l’uomo alla presenza di Dio. Presenza misteriosa e nascosta. Eppure solo a quella pre-senza l’uomo sta al posto giusto: è salvo.

Quel mistero muto della Presenza non parla che in relazione alla vita e alla storia diGesù: dell’Uomo che, in nome di Dio, è passato tra noi benedicendo e benefacendo, con-fermando ed autorizzando ogni speranza per la causa dell’uomo. In lui, inizialmentequasi per caso poi con tante titubanze e tradimenti, abbiamo creduto; abbiamo messo inostri passi dietro ai suoi. Vorremmo, noi che abbiamo una volontà così debole, semprestare con lui, ogni momento della nostra vita.

Davanti al Crocifisso, al mistero della Presenza si sta; meglio, si cade in ginocchio. È ilgesto che esprime la fede e l’abbandono; il gesto in cui prende forma l’atto fondamen-tale della religione che è la preghiera. Davanti al Crocifisso il gesto non viene da unragionamento, da una ricerca; viene dal cuore che arde: è la meraviglia, l’ammirazionesuscitata dalla visione di ciò che apparendo davanti agli occhi dà forma a quello cherimaneva nascosto nel cuore.

«L’Eucaristia è tensione verso la meta, pregustazione della gioia piena promessa daCristo… tutto nell’Eucaristia esprime l’attesa fiduciosa che “si compia la beata speranzae venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. Annunziare la morte del Signore “finché eglivenga” (1Cor. 11,26) comporta, per quanti partecipano all’Eucaristia l’impegno di tra-sformare la vita, perché essa diventi, in certo modo, tutta “e u c a r i s t i c a ”» .

( c f r. Giovanni Paolo II, Ecclesia De Eucaristia, n. 18)

«Desidero ribadirlo con forza all’inizio del nuovo millennio, perché i cristiani si sentanopiù che mai impegnati a non trascurare i doveri della loro cittadinanza terrena. È lorocompito contribuire con la luce del Vangelo all’edificazione di un mondo a misura d’uo-mo e pienamente rispondente al disegno di Dio.

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Molti sono i problemi che oscurano l’orizzonte del nostro tempo. Basti pensare all’ur-genza di lavorare per la pace, di porre nei rapporti tra i popoli solide premesse di giu-stizia e di solidarietà, di difendere la vita umana dal concepimento fino al naturale suotermine. E che dire poi delle mille contraddizioni di un mondo «globalizzato», dove i piùdeboli, i più piccoli e i più poveri sembrano avere ben poco da sperare? È in questo mondo che deve rifulgere la speranza cristiana!».

( c f r. Giovanni Paolo II, Ecclesia De Eucaristia, n. 20)

1. Segni dei tempi e valori in campo

note di contesto

1 . L’inizio del terzo millennio non preannuncia l’affermazione e la diffusione delleistanze di umanità su cui si basa l’impegno cristiano per la pace, la giustizia, la sal-vaguardia del creato. È uno scenario che mette in discussione valori umani fonda-mentali e rende più arduo il riconoscimento dei segni di vita e di speranza.

2 . Restano dominanti l’idea e la pratica del ricorso alla forza come via di risoluzionedelle controversie economico/politiche.

3. L’irruzione di un’inedita manifestazione del t e r r o r i s m o internazionale ha favorito unimbarbarimento dei comportamenti, suggerendo strategie di contrasto che, di fatto,rischiano di porsi sullo stesso terreno.

4 . Anche a livello nazionale perdurano fenomeni degenerativi quali, ad esempio, unadiffusa cultura di i l l e g a l i t à, la criminalità organizzata e mafiosa.

5 . La crisi di autorità dell’Onu, dovuta alla sottrazione di poteri e di fiducia, lascia spa-zio a regolamenti unilaterali di conti, nei quali il ricorso alla forza non ha più biso-gno di giustificazioni etiche. Il “diritto di guerra”, che la carta dell’Onu aveva sot-tratto ai singoli Stati conferendone la gestione all’autorità internazionale, torna adessere prerogativa delle “potenze”.

6. Le stesse conquiste più significative degli ultimi anni, come il Tribunale penale inter-nazionale per i crimini contro l’umanità, sono sminuite dalla revoca di consensideterminanti e dalla richiesta di deroghe a vantaggio dei più forti.

7. Va comunque segnalato l’emergere di un anelito mondiale alla pace e alla giustizia,che trova radicamento in culture, prassi ed esperienze diverse e che si è espresso conchiarezza rispetto all’ultimo conflitto iracheno.

8. Ma alla p a c e e a chi la persegue, nell’educazione e nella prassi, tocca spesso il trat-tamento riservato a chi ignora le ragioni del realismo. La pace torna ad essere con-siderata in termini relativi, cioè come una parentesi tra due guerre. Pochi la guarda-no come il compimento del destino dell’umanità.

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9. Così come l’impegno per la salvaguardia del creato, frutto recente di una positivapresa di coscienza, non trova traduzioni adeguate nella prassi dei governi, dei centrieconomici e degli stessi cittadini: questo aggrava i rischi di deperimento della quali-tà della vita sulla terra.

10 . La dimensione educativa si confronta con difficoltà e ostacoli antichi e nuovi, tra i qua-li anche il diffondersi di visioni pseudo-religiose, imperniate sul desiderio di appaga-mento individuale che attenua la sensibilità per la dimensione sociale della giustizia.

11. Emerge con crescente rilievo il ruolo della c o m u n i c a z i o n e.Sempre più soggetta al dominio dei poteri politico ed economico, oltre che condizio-nata la comunicazione può essere condizionante. Essa produce spesso un’informa-zione selettiva, tale da ignorare, tra l’altro, tanti conflitti e strumentalizzarne le moti-vazioni reali attraverso l’enfatizzazione di fattori etnici e religiosi.

1 2 .D’altro canto, le comunicazioni oggi velocissime rischiano di essere vuote, inespres-sive, asettiche, spesso irrimediabilmente distinte dalle relazioni.

prospettive e impegni per le Caritas

13. Nella realtà delle tendenze sopra esposte deve immergersi la comunità ecclesiale, ein particolare la parrocchia, nell’impegno, che le è proprio, di essere centro di pro-mozione di una cultura di pace attenta alla ricerca delle cause di profonda ingiusti-zia diffuse nel nostro Paese e nel mondo intero.

1 4 . La pace è una dimensione che fonda la comunità ecclesiale: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vici-ni grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei dueun popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimici-zia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti,per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconci-liare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in sestesso l’inimicizia» (Ef 2, 13/16). Solo una comunità capace di perdono reciproco eattore di riconciliazione può vivere e annunciare la pace.

1 5 . La profezia della connessione tra pace e perdono, che comporta il coraggio della purifi-cazione della memoria, è il polo di orientamento dell’azione educativa. Il suo significatova riproposto alle coscienze come fondamento del rispetto delle ragioni altrui, ancorchénon condivise, e del dialogo sempre più indispensabile nella ricerca della pace. «A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricom-porre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà:i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comu-nità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedie comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilis-simo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio»

( c f r. Pacem in terris, n. 87).

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1 6 . Perdonare non significa dimenticare il male ma portarlo con chi lo ha causato. Questitemi, eredità del Giubileo, interrogano sulla capacità di perdono delle nostre comunità,delle famiglie e della società, provocando la riflessione sulla responsabilità dei singolic r i s t i a n i .

1 7 . L’impegno per una pedagogia della pace diventa ambito privilegiato della testimo-nianza di una carità non astratta ma pienamente coinvolta nella storia. Essa trova ilriferimento più pregnante nell’indicazione della Pacem in terris, confermata daGiovanni Paolo II, per cui la pace è intesa come il frutto di un ordine giusto cheesclude e previene la guerra: «… la pace rimane solo suono di parole, se non è fon-data su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza:ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dallacarità e posto in atto nella libertà» (cfr. Pacem in terris, n. 89).

1 8 . Così l’annuncio profetico della pace si confronta con la storia e l’attraversa lungo “i sentieri di Isaia” in grado di verificare la capacità delle comunità cristiane di pro-muovere segni e percorsi concreti di pace: «forgeranno le loro spade in vomeri, le lorolance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eser-citeranno più nell’arte della guerra». (Is 2 , 4 ) .

1 9 . Il compito delle comunità cristiane è quello di “risvegliare le coscienze” anche attra-verso la promozione e la rinnovata azione delle Caritas parrocchiali.

2 0 . Diverse possono essere le piste di lavoro in questa direzione:• la valorizzazione della nonviolenza come pedagogia della pace;• la realizzazione di percorsi formativi a partire dalla rilettura della Pacem in terris;• il recupero di figure di testimoni impegnati sul tema della giustizia e della pace;• la ricerca di percorsi di dialogo con le nuove forme di coscienza civile che si mani-

festano soprattutto tra i giovani.

21 . Il tema della comunicazione, strettamente legato alla promozione delle Caritas par-rocchiali, è nevralgico per l’azione della Caritas e di tutta la Chiesa.Occorre esserne consapevoli per mantenere capacità critiche e prevenire manipola-zioni e strumentalizzazioni a vantaggio di interessi specifici.

2 2 . Soprattutto, la sfida per la Caritas è riaffermare il primato delle relazioni come veicolo dicomunicazione efficace. Ciò significa considerare la fiducia verso l’Altro come elementofondamentale di una cultura di pace. Ricostruire la fiducia, a diversi livelli (rapporti per-sonali, relazioni di prossimità, relazioni internazionali, …) anche attraverso la promozio-ne di scelte ispirate alla nonviolenza, è uno dei compiti della Caritas dei prossimi anni.

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2. Globalizzazione e diritti: la dimensione universale

note di contesto

1. La dinamica economica rivela sempre più un carattere planetario. Dominata dallalogica speculativa del capitale finanziario, si caratterizza per la molteplicità delle rela-zioni e delle interazioni che determinano un complesso sistema di interdipendenze. In corrispondenza di ciò, manca la capacità di leggere e fronteggiare efficacemente que-sti fenomeni secondo un’ispirazione di giustizia che persegua il bene umano universale.

2. Libero mercato e opera degli strumenti internazionali in campo economico hannorealizzato un intreccio che moltiplica indubbiamente la produzione della ricchezza,ma favorisce nello stesso tempo il crescere delle povertà di interi continenti e di areepenalizzate dallo sviluppo.

3. Appare ancora drammatica la condizione dei Paesi del Sud del mondo rispetto al d e b i-t o, nonostante l’attenzione e le campagne dedicate a questo tema durante il Giubileo.

4. Anche se, proprio per effetto della globalizzazione, l’opinione pubblica internaziona-le cresce nella coscienza dei d i r i t t i, la loro effettività resta rinchiusa in ambiti ristret-ti di gruppo o di nazione o di cerchia di interessi. Sul piano istituzionale la dignitàdella persona umana, di ogni singola persona, è affermata in astratto ma non rispet-tata in concreto.

5. Le d i s u g u a g l i a n z e crescono, e con esse risulta più facile entrare nella sfera dellapovertà e più difficile uscirne. A livello nazionale un’applicazione discutibile delprincipio di sussidiarietà rischia di aggravare le condizioni di disparità sociale e ledisuguaglianze territoriali.

6. Lavorando su tale terreno ci si incontra naturalmente con le diverse articolazioni del-l’impegno missionario, l’azione delle organizzazioni non governative e, più in gene-rale, con movimenti e iniziative che esprimono, oltre il ruolo dei governi, la doman-da popolare di un ordine giusto del mondo.

7. Lentamente e faticosamente si fa strada la consapevolezza che la costruzione del-l’ordine che fonda la pace esige una strategia di governo che corregga le tendenzedei processi in atto, in modo da riequilibrare, con opportune misure di intervento er e d i s t r i b u z i o n e, le condizioni delle aree geografiche e delle popolazioni più svan-taggiate, mettendole in grado di partecipare equamente ai benefici della crescita.

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prospettive e impegni per le Caritas

8. A fronte della situazione descritta, è necessario riaffermare con chiarezza il primatodella politica, istanza di bene comune rispetto alle logiche comunque particolari chesi affermano nella pretesa di affidare al mercato una funzione regolatrice che nonpuò né deve avere.

9. Ciò vale anche rispetto al tema, unificante delle esigenze dell’intero pianeta, dellasalvaguardia del creato dalle manipolazioni e dall’inquinamento non meno che dal-la rapina di risorse. Ne consegue la necessità di un’accurata riflessione politica sullaqualità dello sviluppo e sui limiti da stabilire perché i suoi esiti non si risolvano indanni irreparabili.

10 . Le condizioni delle regioni meridionali del nostro Paese sul piano economico e occu-pazionale impongono rinnovati sforzi per la promozione di culture e prassi di svi-luppo che mettano al centro la dignità e i diritti delle persone e l’autopromozionedelle comunità locali.

11. A questo proposito ci impegnano fortemente le parole pronunciate da GiovanniPaolo II il 17 maggio scorso, durante la Lectio Magistralis pronunciata in occasionedella Laurea Honoris Causa conferitagli dall’Università La Sapienza: «La Chiesa èconvinta di servire la causa dei diritti dell’uomo quando, fedele alla sua fede e allasua missione, proclama che la dignità della persona umana ha il suo fondamento nel-la sua qualità di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio».

1 2 . Le nostre comunità parrocchiali devono costantemente essere protagoniste di unostile di comunione e povertà, chiave di un’educazione alla mondialità che punti allaformazione di coscienze consapevoli e motivate, capaci di comprendere il nesso trasituazioni locali e destino globale dell’umanità.

1 3 . L’elaborazione di un nuovo pensiero, adeguato alle esigenze di uno sviluppo giustoed equilibrato, comprende l’indicazione di priorità operative diverse da quelle in atto.

1 4 . In particolare alcuni piste di lavoro possono essere:• un’azione educativa tesa alla modifica degli stili di vita e delle abitudini di consu-

mo nelle aree dell’opulenza e del benessere;• un’azione di pressione finalizzata all’impostazione dei bilanci a tutti i livelli isti-

tuzionali, tale da fissare, prima di ogni altra voce, ciò che tassativamente si desti-na alla promozione dello sviluppo nelle aree svantaggiate;

• un’analoga azione di verifica verso i bilanci familiari, diocesani, parrocchiali, al finedi educare ogni livello della comunità cristiana ad uno stile di sobrietà e di giustizia;

• la formazione specifica di alcuni operatori finalizzata all’acquisizione di una mag-giore capacità di lettura dei bilanci.

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3. Promuovere gesti e percorsi di pace e giustizia

note di contesto

1 . I m m i g r a z i o n e. Occorre considerare gli effetti della legge in vigore, ispirati alla impo-stazione restrittiva che considera l’immigrato solo come lavoratore e non comepotenziale cittadino. Non possono passare in secondo piano, inoltre, le conseguenzederivanti dalle procedure di sanatoria (fortemente lesive della dignità dei lavoratoriimmigrati), nonché le previsioni legate all’ampliamento dell’Unione Europea cherischiano di rafforzare in senso ancor più restrittivo derive del fenomeno migratorio.

2 . Sud Italia. Va segnalato il riacutizzarsi dell’emigrazione interna dal meridione d’Italia cheevidenzia una fallimentare idea di sviluppo, ancora ispirata a dimensioni quantitative.

3 .Problemi della città. Le situazioni di violenza, di disordine, di criminalità, di qualitàdell’urbanizzazione, di chiusura ai rapporti interpersonali, di problemi relativi al lavo-ro, … tutto ciò impone un maggiore investimento nell’impegno educativo orientatoalla prospettiva di una convivenza pienamente umana.

4 .N o n v i o l e n z a. Il contesto dell’educazione alla pace e alla nonviolenza è gravementeindebolito dall’idea dominante del ricorso alla forza nelle controversie e dall’attualelegislazione italiana.

prospettive e impegni per le Caritas

5 .Giustizia e pace sono temi che conducono ad una verifica impegnativa delle prassi inatto. Pace e giustizia, evangelicamente intese, debbono divenire sempre più il filtro attra-verso cui passano tutte le attenzioni pastorali della Caritas. Non si tratta della sola ela-borazione culturale ma soprattutto di condotta “feriale”, stile di comportamento, orien-tamento e impulso. È compito delle Caritas evidenziare nei comportamenti quotidiani,ispirati dalla testimonianza della carità, le dimensioni della pace e della giustizia, e mol-tiplicare le occasioni perché queste linee e queste proposte diventino tessuto ordinario.

6 . Pace e giustizia diventano così un assillo, un richiamo costante per i singoli e per lecomunità, oltre che per la stessa Caritas. Le domande sono: “quello che faccio o nonfaccio, dico o non dico (e il modo in cui lo faccio o lo dico) hanno un senso, un pesopur minimo nella grande causa della costruzione dell’ordine che crea la pace?”.

7 . Tra le occasioni di pedagogia dei fatti, va riaffermato il valore della promozione delvolontariato come scuola di disponibilità ed apertura agli altri, pur nella consapevo-lezza delle difficoltà relative al mondo giovanile.

8 . Il tema dell’immigrazione va assunto pienamente come momento di educazione allainterculturalità e al dialogo interreligioso.

9. Vanno promosse strategie di sviluppo capaci di promuovere le risorse locali e rela-zioni di reciprocità tra le regioni del nostro Paese, come cerca di sperimentare da annii l Progetto Po l i c o r o .

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10 . Occorre perseguire continuamente una saldatura tra la riscoperta della responsabilitàverso gli altri nei contesti ordinari di vita (la famiglia, la scuola, il territorio, la par-rocchia, …) e la percezione della sua insufficienza rispetto a ciò che è richiesto dalladimensione globale dei problemi. Le Caritas parrocchiali debbono utilizzare ogni occa-sione per ricordare, per promuovere, per sostenere percorsi educativi in tal senso.

11 . Emerge con forza la necessità del recupero di una educazione alla legalità a livellopersonale e comunitario.

1 2 . Restano valide le ragioni dell’obiezione di coscienza al servizio militare, così comealle leggi incompatibili con la dignità della persona e con i valori cristiani.

1 3 . Il servizio civile va riconfermato come spazio di educazione alla solidarietà, pren-dendo atto della modifica delle motivazioni che spingono i giovani ad avvicinarsi adesso – in particolare al Sud, afflitto dalla disoccupazione – e quindi della necessitàdi un rinnovato impegno pedagogico.

1 4 . Quest’attenzione pedagogica deve partire dalla dimensione del “progetto”, centralenel nuovo servizio civile, e dalla realtà di giovani a volte “fragili” sul piano motiva-zionale e umano, da accompagnare con modalità inedite rispetto al passato.

1 5 .Deve essere rilanciata l’attenzione verso le forme di difesa civile non armata, sotto-lineando quanto l’azione solidale, anche sul piano territoriale, sia elemento di costru-zione di relazioni e prevenzione dei conflitti sociali.

1 6 . Le Caritas parrocchiali, come quelle diocesane, devono continuare con costanza econ cura il lavoro di insieme promosso in questi ultimi anni con i vari ambiti dellapastorale, cercando di sostenere insieme quel «desiderio di prossimità» (cfr. CVMC, n.37) presente soprattutto fra i giovani. Ne consegue l’esigenza di partecipare, semprein piena autonomia, alle iniziative di educazione alla pace, in modo da valorizzarela ricchezza delle diversità nel perseguimento di finalità condivise.

1 7 . Vanno incoraggiate le forme di sostegno a progetti di cooperazione allo sviluppo,prendendo atto delle loro molteplici articolazioni. È necessario avviare un discerni-mento critico che aiuti le comunità cristiane a definire criteri verificabili per unsostegno a iniziative ispirate al valore della giustizia.

1 8 . È da confermare la linea che punta all’adozione di modelli alternativi di consumo,commercio, risparmio e investimenti.

1 9 . Il “principio di non appagamento”, come quello che continuamente misura lo scar-to, a livello personale e comunitario, tra ciò che la fede domanda e ciò che si è ingrado di fare, va assunto come propulsore di una sempre più vasta e credibile testi-monianza della carità nella pedagogia della pace.

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4. Rendere ragione della speranza

1 . Tutta la storia della salvezza va letta nella logica della Carità, dell’amore di Dio perl’uomo. Il Vangelo della carità è come la cifra sintetica della storia di quest’amore divi-no, tanto che si tende ad evitare ormai ogni contrapposizione tra Antico Testamento eNuovo Testamento, preferendo pensare ad un’unica Storia della Salvezza.

2 . La parola definitiva di tale amore è stata detta in Cristo Gesù, in un gesto supremo didonazione per l’uomo: la Croce. La Croce è il segno di pace; la Croce richiama unagiustizia che chiede perdono; la Croce assume le sofferenze degli innocenti; la Crocedà dignità alle vittime; la Croce riconcilia.

3 . La narrazione della storia di Dio come Amore è la Parola di Dio. La fonte e il culmi-ne di una rinnovata presenza d’amore di Dio è l’Eucaristia. Nella fede, che si apre allasperanza, accostandoci all’Eucaristia noi anticipiamo (è il “già”) la gioia e la scoper-ta di un amore che sarà totale soltanto alla fine (è il “non ancora”), e ci impegniamo(= incarnazione) ad essere vicini ai drammi di ogni uomo perché soltanto così avre-mo la gioia senza fine (= beatitudine).

4 . L’Eucaristia, celebrata la Domenica, giorno del Signore, prepara e orienta la vita setti-manale, dando valore non solo ai tempi degli uomini, ma anche ai tempi di Dio (riposo).“Intimamente uniti” nella celebrazione dell’Eucaristia, la proclamazione della Parola, lafrazione del pane e il servizio della carità, costruiscono la “struttura” della comunità cri-stiana, insieme all’originalità della libertà e della fantasia dei singoli fedeli, presbiteri ediaconi, laici e consacrati. Liturgia, catechesi e carità, celebrate sul territorio, tra la gen-te (= parrocchia), offrono i tratti concreti di un cammino di Chiesa-comunione.

5 . Non si può trascurare o dimenticare che la Domenica costituisce la prima risorsa percrescere nella carità cristiana, alla scuola della Parola, alla presenza del Signore e incompagnia dei fratelli. L’Eucaristia celebrata nel giorno del Signore non si riduce aun semplice rito, ma educa, è scuola di vita: apre mente e cuore ad andare e fare deldono di sé la “struttura” della propria storia personale di vita. La testimonianza cheguarda alla croce e si nutre dell’Eucaristia scopre di essere non un segno della volon-tà dell’uomo, ma un gesto del fare la volontà di Dio.

6 . In sintesi: l’Eucaristia non si può celebrare ignorando il povero. Non ha senso se nondiviene coerente esperienza di vita. Il cammino educativo dei cristiani alimentato dal-la catechesi, chiede di “ripartire dall’Eucaristia” per “ripartire dagli ultimi”.

7 . É la fede a nutrire la speranza che il mondo sarà salvato. É la Croce ad assicurare chela povertà di Dio (il Dio che si fa povero) diventa ricchezza del mondo. É la resurre-zione a confermare che solo l’amore dà un futuro di gioia e di pace.

8 . Muove da qui l’obbligo per il credente di dare ragione di tale speranza attraverso l’im-pegno personale, un rinnovato stile di vita, la testimonianza comunitaria, la comuni-cazione e l’educazione. L’impegno per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creatosono un dovere ordinario per il cristiano, in riscontro al comandamento essenziale del-l’amore verso il prossimo. L’icona delle B e a t i t u d i n i ne coglie il cuore.

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9. Possiamo, a partire dal nostro specifico, sostenere una autentica ricerca di valorimediante una spiritualità attenta al quotidiano. Più che mai oggi, in presenza di tan-ti sintomi di crisi, tocca ai cristiani di farsi cellule di un mondo nuovo e di un nuo-vo modo di vivere nell’amore reciproco, nella forza delle famiglie e nel senso dicomunità, attraverso un rinnovato impegno sociale e politico.

10 . Perciò, il cristiano svolge la sua azione per la pace, la giustizia e la salvaguardia del crea-to non disertando ogni appuntamento in cui la sua fondamentale identità di costrutto-re di pace possa risaltare nel confronto e nel dialogo in ogni direzione, ma alimentan-do con fantasia e gioia ogni gesto e segno di comunione, ogni legame responsabile.

5. Testimoni di pace e giustizia

5.1 Papa Giovanni XXIII

Angelo Giuseppe Roncalli nasce il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, in provincia diBergamo, in una famiglia di contadini.A 11 anni entra nel seminario di Bergamo per gli studi ginnasiali e liceali. Qui maturala determinazione di fare ogni sforzo per diventare santo, come si legge ripetutamentene Il giornale dell’anima, il diario che comincia a scrivere nel 1895. Nel 1901 viene mandato a Roma per continuare gli studi. Fa richiesta di anticipo volon-tario per il servizio militare, sacrificandosi a favore del fratello Zaverio che è necessarioa casa per i lavori nei campi. Si laurea in Sacra Teologia nel 1904. Il 10 agosto di quel-l’anno viene ordinato sacerdote.È segretario del Vescovo di Bergamo, incaricato dell’insegnamento di Storia e Pa t r o l o g i ain seminario, cappellano dell’Ospedale a Bergamo. Consacrato Vescovo il 19 marzo 1925, è nominato Visitatore Apostolico in Bulgaria,dove, nonostante la difficilissima situazione sociale, politica e religiosa, rimane fino al1934, quando viene nominato Amministratore Apostolico dei Latini di Istanbul. Neldicembre del 1944 Pio XII lo nomina Nunzio Apostolico a Parigi. Nel gennaio del 1953viene creato cardinale e nominato Patriarca di Venezia. Il 28 ottobre 1958 a 77 anni, con sorpresa di tutti per la sua avanzata età, Roncalli vie-ne eletto Papa. Assume il nome di suo padre, del patrono del suo paese natale e dell’e-vangelista della carità: Giovanni.Il 25 gennaio 1959, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, annuncia tra la generale sorpresail XXI Concilio Ecumenico (che sarà poi chiamato Vaticano II), il I Sinodo della Diocesi di Romae la revisione del Codice di Diritto Canonico. Una settimana prima del Concilio si reca in pel-legrinaggio a Loreto e ad Assisi pregando e facendo pregare per l’evento imminente: è la pri-ma uscita di un Papa fuori del Lazio dopo l’annessione di Roma allo Stato italiano nel 1870 .L’ 11 ottobre 1962 apre solennemente in S. Pietro il Concilio Vaticano II.Nel marzo 1963 viene conferito al suo nome il premio internazionale Balzan per la pace.Un riconoscimento per l’impegno nell’evitare i conflitti e nell’indicare all’umanità ilcammino per giungere ad una pacifica convivenza dei popoli, come testimoniato, ad

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esempio, dal suo intervento durante la crisi di Cuba tra USA e URSS nel 1962 e dall’en-ciclica Pacem in terris pubblicata l’11 aprile 1963.Angelo Roncalli muore il 3 giugno 1963. Dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, nel1965, Paolo VI introduce la causa della sua beatificazione. Il 3 settembre 2000 GiovanniPaolo II beatifica Giovanni XXIII, fissando la sua festa liturgica l’11 ottobre, giorno del-l’apertura del Concilio.

Ha scritto• Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II

«… è necessario anzitutto che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio della veri-tà, ricevuto dai padri, ma al tempo stesso essa deve anche guardare al presente, allenuove condizioni e forme di vita introdotte nel mondo moderno, le quali hanno aper-to nuove strade all’apostolato cattolico».

( c f r. Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II)

• Pacem in terris«Tra i popoli, purtroppo, spesso regna ancora la legge del timore. Ciò li sospinge a pro-fondere spese favolose in armamenti: non già, si afferma - né vi è motivo per noncredervi - per aggredire, ma per dissuadere gli altri dall’aggressione. È lecito tuttaviasperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vin-coli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprireche una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra irispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore».

( c f r. Pacem in terris, n. 67)

• Il Giornale dell’anima di Giovanni XXIIIa cura di A. Melloni, Milano, Jaca Book 2000, p. 128

• Discorsi, messaggi, colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 6 volumi

Hanno scritto di lui• Papa Giovanni (1881 / 1 9 6 3 )

G. Alberigo, Bologna - EDB 2000, p. 221

5.2 Don Primo Mazzolari

Primo Mazzolari nasce a Cremona il 13 gennaio 1890 da una famiglia di agricoltori. Nel1902 entra in seminario, completa gli studi e viene ordinato sacerdote il 25 agosto 191 2 .Vicario cooperatore a Cremona, insegnante di Lettere nel ginnasio del seminario, nel cor-so del 1914 è in Svizzera per assistere gli emigranti italiani rimpatriati dalla Germania.Nel 1915 l’Italia entra in guerra. Don Primo è a Genova come soldato semplice, poi aCremona come caporale nell’ospedale militare. Dal 1918 al 1920 è cappellano militare inFrancia, sul Piave e infine in Polonia: un’esperienza di condivisione e di sofferenza chesegnerà profondamente il giovane Mazzolari.

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Al ritorno dalla guerra è parroco di Bozzolo, la parrocchia da cui avvierà un percorso pasto-rale e letterario profondamente legato agli ambienti e ai movimenti sociali e politici italiani. Nel 1941 partecipa a Milano al movimento clandestino neo-guelfo contro il nazi-fasci-smo e nel 1944 collabora alla resistenza partigiana. Arrestato e rilasciato tre volte, ricer-cato dalle SS, entra nella clandestinità. Dopo la liberazione s’impegna ad evitare vendette e a preparare i giovani a una nuovastagione democratica. Nel 1949 fonda il quindicinale di cultura sociale e politica Ad e s s o.Due anni dopo convoca a Modena un convegno sulla pace, proponendo a tutti gli ita-liani un patto di fraternità.Nel 1954 il Santo Ufficio gli proibisce di predicare fuori dalla sua Diocesi e di scriveres u l l ’Ad e s s o.Ma nel 1957 l’allora arcivescovo di Milano, cardinal Montini, lo invita a predicare nel-la Missione di Milano e nel febbraio del 1959 è ricevuto in udienza da Giovanni XXIII.Colpito da ictus mentre predica alla Messa domenicale, don Primo Mazzolari muore aCremona il 12 aprile 1959.

Ha scritto• La più bella avventura ( 1 9 3 4 )• Il Samaritano ( 1 9 3 8 )• Tra l’argine e il bosco (1938)• La via crucis del povero (1939)• Impegno con Cristo (1943)• La pieve sull’argine (1952)• La parola che non passa (1954)

• Tu non uccidere«La nonviolenza non va confusa con la non resistenza. Non violenza è come dire “noalla violenza”. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia,l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza. La nonviolenza simanifesta nell’impegnarsi a fondo. La nonviolenza può dire con Gesù: “Non sonovenuto a portare la pace ma la spada”».

( c f r. Tu non uccidere, Vicenza - La Locusta, 1955, p. 92)

• La parrocchia«La parrocchia soprattutto deve tornare ad essere lo strumento efficace di una caritàsenza limiti, come senza limiti sono i bisogni dei parrocchiani, dei vicini, che sonopochi, dei lontani, che sono molti. La parrocchia è una meravigliosa e insostituibileistituzione, ma chiede di essere “rifatta” su misura delle nuove, urgenti necessità».

( c f r. La parrocchia, Vicenza - La Locusta, 1957, p. 8)

Hanno scritto di lui• Primo Mazzolari. Biografia e Documenti

C. Bellò, Brescia - Queriniana, 1981 .

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5.3 Edith Stein Nata a Breslavia nel 1891, in una famiglia ebraica, Edith perde subito il padre, un commer-ciante di legname. La madre, donna intelligente e di carattere, continua con successo l’atti-vità del marito. Edith ha la possibilità di studiare filosofia all’Università, distinguendosi subi-to tra gli studenti più brillanti. Laureatasi in Filosofia, è codiscepola di Heidegger e per mol-ti anni assistente del filosofo Husserl di cui segue il nuovo indirizzo fenomenologico.Convertitasi al cattolicesimo, riceve il battesimo il 21 gennaio 1922. Nel 1933 entra nel-la clausura del Carmelo. Sceglie il nome di suor Benedetta della Croce, a testimonianzadella luce che ha profondamente segnato la sua vita. I superiori le danno la possibilità di continuare gli studi e di intrattenere un copiosa cor-rispondenza con i filosofi del tempo. Il suo pensiero si apre ad una prospettiva di con-ciliazione della filosofia fenomenologica con la filosofia dell’essere.Catturata dai nazisti e internata nel campo di concentramento di Auschwitz, muore conla sorella e altri 700 ebrei presumibilmente il 9 agosto 1942.Nel 1987 Giovanni Paolo II l’ha beatificata. Il 1 ottobre 1999 l’ha proclamata, con SantaCaterina da Siena e Santa Brigida di Svezia, copatrona d’Europa.

Ha scritto1

• La preghiera della Chiesa (1936)• La scienza della croce (1941 )

• La donnaIl significato della scuola va oltre il ruolo sostitutivo delle agenzie educative origina-rie. Lo spirito umano è orientato alla creazione, alla comprensione e fruizione cultu-rale. Non può svilupparsi appieno, se non entra in contatto con varie sfere culturali,e il singolo uomo non può raggiungere ciò a cui è chiamato, se non conosce a fondola sfera verso la quale è attratto dalle sue doti naturali.Appena un popolo raggiunge un dato grado di sviluppo, dispone di un tesoro cultu-rale che non può più venire dominato dal singolo. Introdurre sufficientemente in tut-ta la vita culturale di un popolo va al di là delle possibilità familiari. Introdurre nellevarie realtà e dimensioni della cultura e fare in modo che svolgano una funzione edu-cativa dei giovani: ecco il compito della scuola».

( c f r. La donna, Roma - Città nuova, 1968, p. 238/239)

• Il Mistero del Natale«Chi appartiene a Cristo deve vivere fino in fondo tutta la vita di Cristo. Deve cre-scere sino alla maturità di Cristo, deve intraprendere la via crucis, deve passare peril Getsemani e il Golgota».

( c f r. Il Mistero del Natale, Brescia - Queriniana, 1989, p. 37)

Hanno scritto di lei• Edith Stein

L. Borrello, Roma - Libreria editrice vaticana, 1992.

• La settima stanzafilm, S. Paolo video

1 Tutte le opere di Edith Stein sono state pubblicate in tedesco, in un’edizione critica degli anni 1950-51 .Sono qui citate alcune opere pubblicate anche in italiano.

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5.4 Simone Weil

Nata a Parigi da genitori ebrei nel 1909, Simone cresce nell’ateismo. Compiuti gli studi universitari in filosofia, insegna per alcuni anni nelle scuole superiori,seguendo sul piano filosofico l’ispirazione a sfondo etico, carica di spiritualità, del filosofoLe Senne. Lasciato l’insegnamento, desiderosa di sperimentare la condizione degli oppressie la durezza del lavoro in fabbrica, lavora alla catena di montaggio della Renault. Intantomatura una spiccata sensibilità verso i problemi sociali e le attese della povera gente.Nel 1936 è corrispondente di guerra dalla Spagna. L’anno dopo si converte al cristianesi-mo – ma non riceverà mai il battesimo - ammirata soprattutto della “sofferenza di Dio” chescopre essere la via esistenziale per la felicità. L’io, infatti, svuotandosi della sua autosuffi-cienza e delle sue sicurezze, e insieme aprendosi all’alterità - Dio e gli altri - si redime.Nel 1942 Simone partecipa alla resistenza francese e, ricercata, si rifugia esule negli StatiUniti. L’anno successivo rientra in Europa. Colpita da TBC, muore in un sanatorio ingle-se il 24 agosto 1943.

Ha scritto

• Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale (1934)• La prima radice (1942)• L’attesa di Dio (1950)• Pensieri senz’ordine sull’amore di Dio (postumo, 1962)• Lettere alle allieve (1998)

• Quaderni - III«La carità può e deve amare, in un Paese, tutto ciò che è condizione di sviluppo spiri-tuale degli individui, vale a dire da una parte l’ordine sociale, anche se cattivo, in quan-to meno cattivo del disordine; dall’altra il linguaggio, le cerimonie, i costumi, ecc., tut-to ciò che partecipa al bello, tutta la poesia che avvolge la vita di un Paese. Si possonoe si debbono così amare tutti i Paesi, ma si hanno obblighi particolari verso il proprio».

( c f r. Quaderni - III, Milano- Adelphi, 1988, p. 169)• Morale e letteratura

«La persona non può essere protetta contro il collettivo e la democrazia assicurata, se nongrazie a una cristallizzazione nella vita pubblica del bene superiore, che è impersonale esenza relazione con alcuna forma politica. È vero che la parola persona è applicata spes-so a Dio. Ma nel passo dove Cristo propone Dio stesso agli uomini come il modello di unaperfezione che è comandato loro di compiere, non vi aggiunge soltanto l’immagine diuna persona, ma soprattutto quella di un ordine impersonale: “Diventare i figli di vostroPadre, quello dei cieli, in quanto fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e cadere lasua pioggia sui giusti e sugli ingiusti”. Questo ordine impersonale e divino dell’universoha come immagine fra di noi la giustizia, la verità, la bellezza. Niente di inferiore a que-ste cose è degno di servire d’ispirazione agli uomini che accettano di morire. Sopra le isti-tuzioni destinate a proteggere il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inven-tarne altre destinate a discernere e ad abolire tutto ciò che, nella vita contemporanea,schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna e della bruttezza».

( c f r. Morale e letteratura, Pisa - ETS, 1990, p. 69)

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Hanno scritto di lei• Simone Weil

G. Gaeta, Firenze - Edizioni cultura della pace, 1992

5.5 Don Lorenzo Milani

Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923. Il nonno è un notissimo archeologo,la madre una raffinata signora ebrea, il padre un professore universitario.Nel 1930 si trasferisce con la famiglia a Milano, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza.A 18 anni annuncia ai genitori di non voler proseguire gli studi all’Università e di voler-si dedicare alla pittura. In questo periodo si “apre” alla vita: pur non rinunciando allaspensieratezza e ad una certa agiatezza, è provocato dal contatto con la gente comunee soprattutto dall’esperienza, seppur indiretta, della guerra in atto. Si interessa partico-larmente di pittura religiosa e si avvicina alla Chiesa. Nel 1943 riceve la cresima. Nellostesso anno entra in seminario. Il 13 luglio 1947 è ordinato sacerdote. La sua prima destinazione è San Donato a Calenzano, un paese che conta circa 1500 abi-tanti, per lo più contadini che, abbandonate le terre, approfittano del forte sviluppoindustriale del dopoguerra per diventare operai. Il racconto dei sette anni di lavoro a SanDonato è raccolto in Esperienze pastorali.Il giovane prete, ansioso di conoscere il popolo, condivide le miserie materiali e spiri-tuali della gente e si applica allo studio dell’ambiente in cui opera, scontrandosi con ladisoccupazione, lo sfruttamento del lavoro minorile, la crisi degli alloggi. L’analisi socia-le condotta con rigore scientifico lo porta a perseguire due obiettivi: l’educazione deigiovani e la rieducazione del clero.Fonda una scuola popolare nella canonica, mentre comincia a delinearsi lo scontro sui temipiù politici che lo porteranno agli attriti con altri confratelli e con la Curia fiorentina. Nel dicembre del 1954 don Milani viene trasferito nella piccolissima parrocchia di Barbiana.Nonostante l’evidente condizione di “esilio”, prende a cuore le sorti dei suoi parrocchiani,per lo più povera gente, e dà vita a quell’esperienza conosciuta come Scuola di Barbiana.L’ 11 febbraio 1965 i cappellani militari in congedo della Toscana votano un documentonel quale pubblicamente disprezzano l’obiezione di coscienza al servizio militare. DonMilani risponde con una lettera aperta che lo porterà in tribunale. Non potendo esserepresente all’udienza per motivi di salute, scrive una Lettera ai giudici.Muore a Firenze, il 24 giugno 1967.

Ha scritto• Esperienze pastorali

«Non è esagerazione sostenere che l’operaio d’oggi col suo diploma di quinta elemen-tare è in stato di maggior minorazione sociale che non il bracciante analfabeta del1 8 41. La libertà di stampa è un immenso bene. Ma quando s’è fatto solo la quinta nonse ne gode più in Italia che in Russia. Che meraviglia se il povero non vorrà battersiper ciò che non ha mai goduto?».

( c f r. Esperienze pastorali, Firenze - Libreria Editrice Fiorentina, 1958, p. 49/51 )

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• Lettera ai giudici«… C’è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, mache è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell’umanità la chiama legge di Dio, l’altra lachiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né all’una né all’altra non sono cheun’infima minoranza malata. Sono i cultori dell’obbedienza cieca. Condannare la nostralettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscien-za, che devono obbedire come automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati.C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio didire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è mai più una vir-tù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo nédavanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano l’unico responsabi-le di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un pro-gresso morale parallelo e proporzionato al suo progresso tecnico».

( c f r. Lettera ai giudici, Firenze - Libreria editrice fiorentina, 1965, p. 49/51 )

• L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di don MilaniFirenze - Libreria editrice fiorentina, 1965, p. 84

Hanno scritto di lui• Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell’ultimo.

N. Fallaci, Milano - BUR, 1993, p. 61 5

5.6 Don Tonino BelloAntonio Bello nasce ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935. Ordinato sacerdote l’8 dicem-bre 1957, studia teologia a Milano e a Roma. Rettore del seminario di Ugento, sarà ancheparroco a Ugento e a Tricase. Il 30 ottobre 1982 è ordinato Vescovo della Diocesi diM o l f e t t a - R u v o - G i o v i n a z z o - Te r l i z z i .Sin dall’inizio del suo ministero episcopale mostra una particolare attenzione alla rea-lizzazione della “Chiesa popolo di Dio” delineata dal ConcilioVaticano II, come dimo-strano il tono informale delle sue relazioni con tutti, l’attenzione ai “volti” delle perso-ne che incontra, la speciale predilezione per i poveri. È la “Chiesa del grembiule”, comeamava definirla, che non ammette strabismi tra la fede e la vita e che si ispira alla radi-calità evangelica. Non risparmia critiche verso gli amministratori locali e compie gesti significativi diaccoglienza e solidarietà verso le persone in difficoltà, rischiando l’incomprensioneanche all’interno della sua comunità diocesana.Nel 1985 è chiamato alla presidenza nazionale di Pax Christi, il movimento cattolicointernazionale per la pace. Diventa un punto di riferimento per i molti, cristiani e non,che fanno dell’impegno per la pace il proprio ambito d’azione. Si confronta con i temidel disarmo, delle obiezioni di coscienza, della militarizzazione, del commercio dellearmi, oltre che della guerra, da quella del Golfo a quella nella ex-Jugoslavia. A metàdegli anni ’80 è tra i promotori della campagna di pressione sul Parlamento per ottene-re una legge che regolamenti il commercio delle armi.Nell’aprile 1986 scrive un appello ai consiglieri regionali della Puglia, sostenuto da die-

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cimila firme, per chiedere la revoca della delibera che destina una vasta area dellaMurgia barese a sede permanente di poligoni militari. Si fa ispiratore del documentoTerra di Bari: terra di pace, che i sette Vescovi della Metropolia di Bari firmano neldicembre 1987. Il 5 giugno 1988 gli stessi Vescovi sottoscrivono un appello contro l’i-potesi del governo italiano di installare a Gioia del Colle (Bari) uno stormo di 72 cac-ciabombardieri. Non mancano le polemiche a livello nazionale.Il 7 dicembre 1992, già gravemente malato, partecipa alla marcia nonviolenta dei 500che tenta di aprire un fronte di pace nella Sarajevo martoriata dalla guerra. Muore a Molfetta, il 20 aprile 1993.

Ha scritto2

• Sui sentieri di Isaia«La Bibbia allude spesso ad abbracciamenti tra pace e giustizia simili a quelli tra madree figlia, o tra due amanti comunque. Frutto della giustizia è la pace, dice Isaia in unosplendido passo. Pace, sì. Ma che c’entrano i 50 milioni di esseri umani che muoiono ogni anno per fame?Sulla pace non si discute. Ma che cosa hanno da spartire con essa i discorsi sulla massi-mizzazione del profitto? La pace, va bene. Ma non sa di demagogia chiamare in causa,ad ogni giro di boa, le divaricazioni esistenti tra Nord e Sud della terra? Pace, d’accordo.Ma è proprio il caso di tirare in ballo la ripartizione dei beni, o i debiti del Terzo Mondo,o le manipolazioni delle culture locali, o lo scempio della dignità dei poveri? Attenzione!È in atto una campagna “soft” che spinge pace e giustizia alla “separazione legale”, conespedienti che si vestono di ragioni morali, ma camuffano il più bieco dei sacrilegi».

«È giunta l’ora in cui occorre decidersi ad arretrare (arretrare o spingere?) la difesa del-la pace sul terreno della nonviolenza assoluta. Richiamarsi al dovere di “c a m m i n a r econ i piedi per terra”, e fare spreco di compatimento sul preteso “fondamentalismo”degli annunciatori di pace, significa far credito alle astuzie degli uomini più di quan-to non si faccia assegnamento sulle promesse di Dio.La nonviolenza è la strada che Gesù Cristo ci ha indicato senza equivoci. Il grandeesodo che oggi le nostre comunità cristiane sono chiamate a compiere è questo:abbandonare i recinti di sicurezza garantiti dalla forza per abbandonarsi, sulla paroladel Signore, alla apparente inaffidabilità della nonviolenza attiva».

( c f r. Sui sentieri di Isaia, Molfetta - La Meridiana, 1989, p. 13/14/15)

Hanno scritto di lui• Don Tonino Fratello Ve s c o v o

C. Ragaini, Edizioni Paoline 1994 e 2003.

2 Gli Scritti di Mons. Antonio Bello (4 volumi) sono pubblicati a cura della Diocesi di Molfetta-Ruvo-G i o v i n a z z o - Te r l i z z i .

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PROSPETTIVE DI LAVORO PA S T O R A L E1

sac. Vittorio Nozza - direttore Caritas italiana

Premessa: che cosa succede nell’oggi?

Stabilito che il creato non è un giardino nel senso letterale del termine ma un sistemaaperto di interazioni vitali finalizzato alla massima espansione delle potenzialità e deitalenti di ciascuno, nel rispetto di un ordine che non consente violenze o frodi, occorreindicare, guardando all’oggi, i fattori che ne alterano le coordinate e lo riducono in cat-tivo stato. Il criterio che meglio consente di procedere nell’analisi, senza perdere di vistal’intreccio tra dati materiali, fisici e strutturali da un lato e, dall’altro, dati riferibili all’o-pera dell’uomo, è quello delle strutture di peccato, contenuto nell’enciclica Sollicitudo reis o c i a l i s di Giovanni Paolo II. Si tratta di comportamenti umani negativi che, protratti neltempo ed entrati nelle abitudini, si conformano come stratificazioni che danno luogo avere e proprie s t r u t t u r e mentali e sociali.

Nel giardino universale di oggi perdura l’abitudine di uccidere, cioè di non rispettare lavita o di considerarla come una variabile dipendente da altri valori ritenuti superiori: laguerra, in tutte le sue espressioni, è la struttura che rivela il massimo di devastazioneumana. Che si tratti di una struttura resistente è dimostrato dalla difficoltà che si incon-tra quando si tenta di confrontare con il comandamento evangelico dell’amore del pros-simo i giudizi e i pregiudizi su cui si fondano, anche oggi, le dottrine che proclamanonon esservi alternativa al ricorso alla forza per ridurre alla ragione le forze del male. Aquesta posizione, che è oggettivamente d i s p e r a t a , il cristiano non oppone un’arrende-vole acquiescenza all’ingiustizia e al sopruso, ma l’impegno assiduo della ricerca e deldialogo ostinato, anche con e tra quanti sono, o sono ritenuti, nemici. Nel 40° anniver-sario della Pacem in terris di Giovanni XXIII è utile rivisitare la distinzione tra e r r o r e e de r r a n t e per condannare il primo e per riconoscere tuttavia nel secondo i tratti di unacomune umanità alla quale fare appello per impedire l’esplosione di conflitti e perseguirela pace in ogni ambito. Quella pace che non è semplicemente il contrario della guerrama un valore autonomo, un bene universale, che vive di vita propria se reggono i pila-stri su cui poggia: «un ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificatoe integrato dalla carità e posto in atto nella libertà» (cfr. Pacem in terris, n. 89).

Inoltre nel giardino universale di oggi perdura l’abitudine di rubare, cioè di comportar-si in modo ingiusto e scorretto nei confronti del bene e dei beni altrui e, soprattutto, delbene e dei beni di tutti. Gli esempi possibili sono tanti, ma due bastano a rendere l’ideaperché sono tratti da un’attualità che brucia.

1 Relazione conclusiva al 29° Convegno Nazionale delle Caritas diocesane “Scelte di giustizia, cammini dipace ...pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi (1 Pt 3,15)” Orosei (NU), 16/19 giugno 2003.

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• Il primo attiene alla g l o b a l i z z a z i o n e, cioè il processo economico che moltiplica la ric-chezza del mondo ma la distribuisce in modo talmente diseguale da accrescere l’in-giustizia e da alimentare quella che la Populorum progressio di Paolo VI chiamava «l acollera dei poveri». Il prelievo dei ricavi della ricchezza prodotta avviene infatti inmodo ingiusto a causa di un meccanismo economico che resiste ad ogni ipotesi di cor-rezione per via politica, anzi presume di assorbire in sé tutte le istanze della politica,che considera sua ancella. Ciò vale sia quando l’esito è quello della fame e della mise-ria di interi popoli, sia quando si determinano alterazioni irreversibili dell’ecosistemadistruggendo foreste o immettendo nell’aria sostanze che nuocciono agli esseri viven-ti e modificano le condizioni di vita del pianeta.

• L’altro esempio riguarda l’inosservanza dei doveri inderogabili di solidarietà sui qualisi basa ogni architettura di coesione sociale. Ciò accade quando l’evasione fiscale è pra-ticata e presentata, più o meno, come una sorta di dovere civico in presenza di uno sta-to (democratico) assimilato ad un rapinatore; quando la falsificazione dei bilanci perfrodare il fisco è declassata a peccato veniale; e quando di tali comportamenti si fa pale-se apologia senza provare vergogna e senza che scatti la pubblica indignazione.

Ancora, nel giardino universale di oggi perdura l’abitudine di mentire, cioè di parlare eoperare non secondo verità ma secondo convenienza. Si pensi alle m a n i p o l a z i o n i d e l-l’informazione, alle costanti dimenticanze nei confronti di conflitti e sfruttamenti di ognitipo, alla rappresentazione conformistica di eventi e personaggi a vantaggio di poteri ointeressi costituiti. Il fenomeno è grave sia quando si verifica in contesti totalitari in cuiil potere comunicativo è apertamente confiscato da chi detiene il comando, sia quandosi manifesta in un contesto di libertà formale delle istituzioni e dei ruoli, ma con unasostanziale riconduzione dell’ambito mediatico ad un’unica centrale direttiva. Fiori diversi per forma e colore, ma tutti con lo stesso profumo. Vale negli affari quando sonotraditi gli interessi dei risparmiatori come è accaduto qualche mese fa negli Stati Uniti; e valenella politica quando le istanze della propaganda prevalgono su ogni altra dimensione. Nella civiltà dell’apparenza non sembra siano consentiti errori o insuccessi; e quandoavvengono si corre a darne versioni rasserenanti e ottimistiche, perché neppure il sospet-to della sconfitta intacchi il carattere v i n c e n t e della fazione o del personaggio in causa. Difronte a fenomeni di questo genere ci si sente impotenti e si perde ogni motivazione allapartecipazione civile e politica. Si ha qui la conferma di un pensiero di Pio XII sulla demo-crazia, contenuto nel radiomessaggio natalizio del 1944: non basta proclamare l’esercizioformale dei diritti se poi il cittadino comune vive nel sospetto che dietro la facciata diquello che si chiama stato si cela in realtà il giuoco di potenti gruppi organizzati.

Infine, nel giardino universale di oggi perdura l’abitudine di dimenticare o di negare ip o v e r i. È questo probabilmente il compendio, cioè il risultato di tutte le altre abitudini.La civiltà della ricchezza non può sopportare una convivenza sgradevole; e non vuoleneppure riconoscere di avere bisogno dei poveri per affermarsi in quanto luogo dell’o-pulenza. Al massimo si concede qualche parentesi benefica, in cui il tema della povertàsi incastona in una cornice di spettacolo, da destinare, naturalmente, alla riparazione deidanni più gravi arrecati a questo o quel Paese da una guerra o da un’epidemia o da unacarestia. Parentesi, appunto. Tensioni passeggere, da superare rapidamente evitando

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soprattutto di riflettere sulle situazioni che provocano il male e che andrebbero rimosseper prevenirlo. E quando i poveri fuggono dalla loro miseria e premono alla soglia deiPaesi dell’abbondanza, c’è sempre qualcuno pronto a riproporre anche per loro – esseriumani disperati che si affidano a mercanti brutali su carrette sovraccariche – la tecnicadel tappeto: farli sparire, portarli fuori dal nostro campo visivo, magari usando le armidella guerra per mare. Di fronte a questa negazione dei poveri, che si risolve non nel-l’impegno di contrastare la povertà ma nella volontà di farli sparire, il nostro compitoha una duplice valenza. Da un lato ricordare a noi stessi e a tutti che i poveri esistonoe che la loro condizione interpella la coscienza di tutte le persone oneste. Dall’altroimpegnarsi affinché i diritti dei poveri – che sono i diritti di ogni persona umana – ven-gano riconosciuti ed affermati in ogni dimensione: dalla vita alla scuola, alla salute, allacasa, ai mezzi di sussistenza, alla tutela dell’età anziana. Vale per il mondo e vale per l’Italia. Probabilmente – e la probabilità è connessa al fat-to che viviamo nella società della comunicazione – a recare disturbo non sono solo ipoveri, ma anche la presenza di quelli che se ne fanno voce, che ne reclamano i diritti,che ne assumono il gratuito patrocinio verso la società e le istituzioni. Abbiamo il dove-re di non abbassare il volume ma di essere presenti con assiduità e determinazione peressere in tal modo fedeli ai poveri ed assicurare chi di dovere che… non toglieremo ild i s t u r b o. Queste persone, u l t i m e, sono i primi a cui guardare nell’educazione e nellatestimonianza della carità. Le prime che insegnano da dove ripartire. Le prime che chie-dono una fantasia nel pensare gesti, segni e strumenti, percorsi di carità.

Naturalmente le infestazioni prodotte dalle strutture di peccato non sono incurabili. Esistonogli antidoti educativi, sociali e politici, per contrastarne gli effetti e rimuoverne le cause. Maprima occorre una seria presa di coscienza dell’esistenza e della gravità della situazione edella conseguente necessità di mettere in campo adeguati interventi correttivi. La premessadi tutto, in ogni caso, sta nel non rinunciare, nel non rassegnarsi, nel credere che si puòpassare da un ciclo ancora selvatico ad un ciclo pienamente umano.

1. Alcuni segni da assumere … a partire dalla Pacem in terris

L’ascesa delle classi lavoratriciGuardando al processo storico realizzato, si può affermare che il segno dell’ascesa delleclassi lavoratrici era autentico ma aveva in se stesso il limite di una visione non univer-sale sia dello sviluppo sia della giustizia, che invece la Pacem in terris esortava ad ali-mentare. I s e g n i di una nuova coscienza sono oggi presenti nei movimenti che denun-ciano il carattere unilaterale e falso dello sviluppo, l’ingiusta distribuzione delle ricchez-ze nel mondo, la manipolazione della natura per fini di profitto. E sono anche presentinegli esperimenti di correzione del carattere predatorio di un mercato che compra a pocoe rivende a tanto, oltreché nelle testimonianze disinteressate di tanti volontari che scel-gono di praticare una lotta ìmpari contro i giganti che dominano il mondo, confidandosoprattutto nella validità delle ragioni sostenute e nell’autenticità del lavoro compiuto. Le classi di un tempo si sono frantumate. Ma lo spirito dell’azione per la giustizia si ripro-

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pone in altre forme e con altri soggetti. Ancora una volta, come sempre nella storia, ilcompito dei cristiani è quello di depurarne il significato dalle scorie della violenza e del-l’odio e di orientarne l’azione nel senso di una piena affermazione di umanità. Il compi-to che ci è dato è rispondere in modo concreto alla domanda: che cosa ha da dire e checosa ha da fare la Caritas a questo riguardo nelle dimensioni nazionale e internazionale?

L’ingresso della donna nella vita pubblica

Anche il segno della crescita del ruolo sociale della donna va verificato dopo la prova deltempo. Il riconoscimento del diritto di voto è l’indice rivelatore di un parità di diritti nega-ta per secoli. Ma ciò riguarda l’intero svolgersi dei rapporti familiari e sociali. Va detto anche che l’affermazione di una responsabilità esclusiva al femminile, come adesempio nel caso dell’interruzione della gravidanza, porta specularmente ad una derespon-sabilizzazione dell’altro genere, conferma di una consuetudine che ha sempre visto la don-na in solitudine davanti ai drammi più acuti dell’esistenza. Se si considera infine la condizione di soggezione riservata alla donna in ordinamenti noninfluenzati dalla cultura occidentale – fino al limite della lapidazione per un concepimen-to fuori dal matrimonio – c’è solo da convenire sul carattere problematico e programmati-co di quel s e g n o, di cogliere quindi nel suo divenire e nella sua perdurante attualità. Anche nella vita della Chiesa la questione si pone e può essere affrontata in due modi.Quello teorico/dottrinale e quello empirico/fattuale. Un approccio, questo, che parte dal-la constatazione della presenza femminile nella struttura e nell’operatività delle comu-nità cristiane. Catechesi, liturgia, testimonianza della carità sono in larga misura affida-te alle donne. È un dato su cui riflettere senza anticipare conclusioni indebite. Si puòsolo ricordare che ordinariamente, nella vita comune, la presenza e il numero suscitanouna domanda che richiede una risposta. Che cosa è richiesto al riguardo alla Caritas?Che cosa possiamo fare, quali scelte e cammini promuovere?

Il post-colonialismo

Durante il pontificato di Giovanni XXIII si compì gran parte della decolonizzazione in Asiaed in Africa, due dei tre continenti nei quali gli europei avevano, nel passato, esportato o cer-cato di esportare la propria civiltà: usi, costumi, lingua, religioni, culture. La decolonizzazio-ne era davvero un segno di speranza per tutti. Anche per le Chiese, che vedevano la loro azio-ne missionaria svincolarsi dalla protezione delle armi dei c o n q u i s t a t o r i. Si inaugurò invece lastagione del n e o c o l o n i a l i s m o, nella quale rimase un rapporto di sfruttamento anche se ingen-tilito nelle forme di uno scambio diplomatico. Un procedere del tutto diverso da quello imma-ginato da Paolo VI nell’enciclica Popolorum progressio, in cui riteneva che uno sviluppo equi-librato e giusto avrebbe potuto realizzare le condizioni di una pace giusta e stabile. Una considerazione speciale merita poi la politica della cooperazione allo sviluppo c o m esistema di aiuti dei ricchi ai poveri del mondo, programmaticamente, senza secondi finipolitici. Tutte le previsioni e gli impegni sono stati stracciati e le misure di prelievo pertale destinazione sui volumi della ricchezza delle singole nazioni sono rimaste smisurata-mente al di sotto delle percentuali fissate e sottoscritte. Ci deve essere, si deve trovare un modo per aprire gli animi e per scuotere la politica. Laquale, quando vuole, mostra di saper prendere decisioni addirittura fulminee in materia di

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condoni fiscali a fini privati. Possibile che altrettanta prontezza di riflessi non sia percor-ribile quando si tratta di opere di bene comune? Quale è il ruolo della Caritas? Quali azio-ni individuare e incrementare per una politica della cooperazione allo sviluppo?

I diritti fondamentali e le costituzioni

I diritti fondamentali e le costituzioni sono e restano segni dei tempi imprescindibili. Macon un appannamento del valore di riferimento di tali strumenti. Il tema dei diritti uma-ni e delle libertà fondamentali è stato uno dei fattori decisivi del collasso interno del-l’impero sovietico. La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, come espressioneincoercibile della coscienza, apriva la strada al confronto e al dialogo. Oggi quegli stes-si impulsi operano sulle tensioni che attraversano il mondo e mirano, nel magistero diGiovanni Paolo II, a togliere ogni alibi religioso ai conflitti che si sono scatenati dopo lafine della guerra fredda e si sono incrudeliti con le imprese del terrorismo internaziona-le e le logiche di guerra cui si è fatto ricorso nelle risposte. Nel momento in cui per mol-ti aspetti tanti trasgrediscono i principi e i patti costituzionali solennemente sottoscritti,l’insegnamento della Chiesa ha assunto il carattere di un simbolo di libertà e di auten-ticità nell’ostinata ricerca della pace. Mai come oggi risuonano forti ed autorevoli leragioni della fraternità umana oltre le divisioni e le stragi. E mai come oggi è grande laresponsabilità dei cristiani nella fatica della costruzione della pace sulla terra.

Il negoziato al posto della forza e il ruolo dell’ONU

Sono questi i due segni più clamorosamente smentiti nel tempo trascorso dal 1963 adoggi. Almeno questa è l’apparenza, dominata da un’attualità frustrante. Anche se il tem-po trascorso non registra solo vicende di guerre combattute e vinte. In almeno due casila storia ha dovuto occuparsi di due guerre non combattute, cioè di conflitti risolti colnegoziato: Cuba 1963 e gli euromissili degli anni Ottanta. Ed è proprio l’avvenuta dimo-strazione della concreta possibilità e dell’efficacia del negoziato che induce a meditaresul grande spreco della pace che s’è fatto e si continua a fare tutte le volte che, sotto iriflettori della televisione o nell’oscurità delle situazioni dimenticate, si lascia che i fat-tori scatenanti dei conflitti abbiano libero corso, salvo poi piangere sulla crudeltà deibombardamenti e sulla perversione degli avversari. Le motivazioni del realismo politicosono sempre in agguato, specialmente quando si fanno i bilanci dei conflitti e quandosi fa sentire la tracotanza dei vincitori. I quali irridono più che agli sconfitti sul campo,verso i quali anzi sembrano, poi, esercitare i loro spiriti compassionevoli, agli avversaridei fronti interni, quelli che con franchezza hanno esposto le ragioni contrarie alla guer-ra. Ci chiedono di a r r e n d e r c i, di riconoscere che la nostra posizione era sbagliata, di noninsistere sulle ragioni di legalità trasgredita una volta che le cose sono andate… a buonfine. Al contrario, proprio questo è il momento di riproporre con decisione le ragioni deld i r i t t o: in una parola è il momento di riproporre senza riserve la causa delle NazioniUnite. Disprezzate e ignorate, incapaci di essere all’altezza dei compiti assunti. Da rifor-mare in profondità e tuttavia indispensabili come luogo di certezza a fronte della nuo-va stagione dell’anarchia mondiale che si va profilando dietro la formula delle guerrepreventive e del protettorato d e m o c r a t i c o del più forte.

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2. Alcuni tempi, segni e questioni … da decifrare

I tempi nuovi e i segni da decifrare

Quali siano le caratteristiche dei tempi d’inizio di questo XXI secolo è ormai evidente. Lo scenario è quello della guerra globale, una situazione nella quale lo sbocco cruentodei conflitti può manifestarsi non importa dove, come e perché. C’è un pericolo genera-le di imbarbarimento, espresso dalla rabbiosa geometria con cui è stato portato l’attac-co terroristico al cuore dell’Occidente, conoscendo in anticipo che rabbia e orgoglio neavrebbero guidato la reazione. Ma c’è anche l’incognita di un’attenuazione, nell’emer-genza, delle garanzie democratiche interne, che pure l’Occidente si vanta di difendere eaffermare nel mondo. Due linee di conflitto incombono sull’umanità: quella tra unOccidente radicalizzato e un Islam fanatico; e quella tra un Nord in crisi di opulenza eun Sud preda della miseria, delle malattie e dell’esclusione. Le due linee, naturalmente,possono intrecciarsi e sovrapporsi con inevitabili effetti di moltiplicazione.

Domanda: vi sono entità che siano in grado di prevenire o contrastare tali pericoli peraprire all’umanità nuovi percorsi di pace e di cooperazione?

Anche qui due appaiono essere i soggetti in formazione, in costruzione, che vanno col-ti nella loro evoluzione e quindi senza la pretesa di rappresentarli in versioni stabilizza-te. Sono il movimento per la pace e il movimento per una diversa globalizzazione,originati da tensioni diverse e spinti ultimamente ad unire le loro forze fino a prefigu-rare una sinergia costruttiva “… la Caritas dovrebbe sempre cercare ogni possibile formadi collaborazione con tutti gli esseri umani e i gruppi che sono mossi dalle stesse ansie– gli uomini e donne di buona volontà – non importa se credenti o non credenti, nonimporta quale sia la loro provenienza filosofica o culturale, ma che hanno a cuore glialti valori presenti nell’animo umano anche se non ne conoscono l’autore” (c f r. GS,92 el’ultima sezione della Pacem in terris) – (Chiavacci, 29° Convegno Nazionale delle Caritasd i o c e s a n e ) .

• La formula usata a proposito della p a c e indica una pluralità di soggetti diversi permatrice e per vocazione che confluiscono su un obbiettivo condiviso: il rifiuto dellaguerra e la creazione delle condizioni della pace. Un insieme di forze e di impulsi chenon hanno una forma organizzata e che non cercano neppure di darsela, ma esercita-no una presenza e una pressione persuasiva di carattere etico sul punto più vulnera-bile dei governi democratici: quello del consenso. La sfida che sta di fronte all’ultimomovimento per la pace è quella di evitare di compiacersi della grandiosità delle mani-festazioni realizzate. Volendo agire sulle motivazioni del consenso si deve guardarenon solo ai tanti che scendono in piazza, ma anche ai tantissimi che restano a casa;non solo alle finestre con la bandiera arcobaleno ma anche a quelle senza. Il movimento non cresce in efficacia se non realizza con qualche continuità una edu-cazione alla pace dalla quale trarre le premesse per iniziative che non abbiano per finesolo quello di scongiurare la fase armata di un conflitto, ma anche di prevenirne lecause e i pretesti.

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Sotto questo profilo non si dovrebbe mai smettere di parlare di disarmo, di tenereaperta la finestra sul dialogo delle culture, di incoraggiare le cose buone che pure sirealizzano. Educare alla pace significa recuperare il ruolo della politica come arte del-la pace. E l’impresa è oggi resa più difficile dal fatto che, a differenza delle fasi in cuil’orrore della guerra era un argomento convincente, il ricorso alle armi torna ad esse-re un’opzione tra le altre, senza remore morali o, come si dice, moralistiche. È la stes-sa cultura che si fa valere nei rapporti sociali, dove reclama spazio la legge del piùforte. Ed è proprio la cultura più ostile alle beatitudini della nonviolenza, della mitez-za, della fatica di costruire la pace. Pochi come i cristiani, nelle comunità in cui vivo-no, hanno risorse e opportunità di svolgere, per se stessi e per gli altri, un’autenticacatechesi di pace. Il non farlo, il non dare significato allo scambio del segno di paceè una fuga dalle responsabilità. Tutto ci spinge invece a riassumere come centrale que-sto aspetto vitale dell’annuncio e della testimonianza.

• Quanto al movimento per una diversa globalizzazione, si può dire che la sua evolu-zione complessiva sta passando da un’espressione dominata dalla protesta ad un’e-spressione più orientata alla proposta e al confronto. L’insofferenza verso la disugua-glianza e l’ingiustizia nel mondo rimane alla base del movimento e della contestazio-ne assidua che esso compie verso le istanze di un potere di fatto, simboleggiato dalG8, che regge le sorti del mondo e ne consolida l’ingiustizia. Anche per tale movi-mento si pone però un problema di scelta. Dalla reazione a una situazione inaccetta-bile si può uscire con la suggestione di uno scontro risolutivo tra sfruttati e sfruttato-ri, che non esclude, al limite, lo stesso ricorso alla violenza, sempre in agguato quan-do si considera negativa la ricerca di luoghi e contenuti di mediazione. Ma si può usci-re anche – e qui va esercitata l’influenza educante dei credenti – con un tasso più altod’impegno e di solidarietà verso chi versa in stato di bisogno. Il giudizio sulla realtà,sulle strutture che l’articolano e sui poteri che la governano non è meno severo inquesta seconda versione. Che però ha dalla sua una maggiore opportunità di stabilirerapporti, di creare alleanze, di collegare il disegno strategico di riequilibrio del mon-do ai piccoli passi che, intanto, si possono compiere per sovvenire ai bisogni imme-diati o per dimostrare che un altro tipo di sviluppo è possibile. Quali compiti per laCaritas? Quali azioni educative e promozionali alla pace, alla giustizia e alla salva-guardia del creato favorire e incrementare, in riferimento a questi tempi e a questi duenuovi segni, a supporto del grande desiderio di giustizia e pace che abbiamo visto cre-scere in moltissimi cuori nei mesi precedenti?

Altri segni e questioni

• Solidarietà, fisco e condoniCome sono vissuti e gestiti oggi i doveri inderogabili di solidarietà di cui parla laCostituzione? Non è cessato il malcostume dell’evasione e dell’elusione fiscale: unfenomeno in sé riprovevole che, oltre alla decurtazione delle entrate pubbliche, pro-voca un indotto deleterio in ambito sociale, specie quando gli indicatori di redditocostituiscono titolo per l’accesso alle prestazioni. Chi denuncia tutto viene escluso, chidenuncia meno del dovuto ottiene benefici cui non avrebbe diritto.

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• Welfare, cittadinanza e compatibilitàCome quando si affronta il tema della giustizia nel mondo, così all’interno dei singo-li Paesi il metodo da seguire dovrebbe essere quello dell’individuazione delle esigen-ze basilari delle persone, delle famiglie, delle comunità e, conseguentemente, dellapredisposizione delle risorse necessarie per affrontarle. L’impianto dei bilanci sarebbeconseguente e vi sarebbe spazio e modo per contemperare diritti e doveri e per rea-lizzare la giusta compensazione degli oneri. Sia pure in modo non sempre nitido, i lLibro bianco dedicato alla materia dal Ministero competente mette in chiaro unavolontà politica “a l t r a ”. Sul Libro bianco Caritas Italiana, insieme con gli Organismisocio-assistenziali della Consulta ecclesiale nazionale, ha prodotto un documento cheè stato lodato per equilibrio e rigore. Ad esso faccio rinvio per raccomandarlo cometermine necessario nel confronto culturale e politico che converrà mantenere aperto,specie nel dialogo con le regioni e gli enti locali e nella sinergia da promuovere contutti i soggetti interessati. Che il clima non sia favorevole lo denunciano oggi anchequelle organizzazioni del Terzo Settore che lamentano un “disimpegno del governoverso le politiche sociali”.

• Devoluzione, federalismo, legge 328/00 e… bene comuneSe si affrontano gli aspetti istituzionali italiani nei loro intrecci con il welfare, vienespontaneo constatare che la confusione sotto il cielo è davvero grande. Il capitolo del-la finzione devolutiva si inserisce agevolmente nel quadro già preoccupante della cor-rosione della democrazia e denota una ulteriore difficoltà non solo per le politichesociali ma soprattutto per la politica tout court come scienza del bene comune. Di positivo, in un quadro alquanto fosco, c’è soltanto il fatto che la maggior parte del-le regioni ha cominciato ad operare sulla base dell’unico strumento compiutamentedisponibile, vale a dire la legge 328/00. Esistono leggi organiche di attuazione, direttiveapplicative ed altre figure giuridiche che denotano come, al di là degli schemi ideologi-ci, le norme della 328/00 mantengano una loro validità sostanziale. E ciò induce a per-sistere nella scelta di agganciare a tale schema, ancorché non più vincolante per le regio-ni, l’iniziativa di accompagnamento e di proposta dei soggetti sociali, Caritas inclusa.

• La famigliaÈ tema delicato da affrontare tenendo conto che viene vista di volta in volta come fat-tore di contrasto del decremento demografico o come fattore di compensazione dellelacune del welfare. C’è da ribadire il giudizio di inefficacia e di iniquità delle politicheperequative affidate ai soli sgravi fiscali, che agevolano solo chi possiede redditi sgra-vabili. Forse c’è lo spazio per rilanciare con decisione la linea degli assegni familiariuguali per tutti che oggi sembra trovare sensibilità anche nell’ambito del F o r u m .

• I soggetti socialiL’esperienza accumulata consente di mettere meglio a fuoco il ruolo dei vari soggettisociali in rapporto al welfare, distinguendo in primo luogo quelli che hanno vocazio-ne imprenditoriale (impresa sociale) regolata dal profitto, anche se non redistribuito, equelli che hanno vocazione compassionevole o meglio s o l i d a r i s t i c a, regolata dalla logi-ca del dono. In ogni caso va evidenziato il problema della indipendenza dei soggetti e

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delle opere. Là dove l’iniziativa dei soggetti sociali si orienta a conquistare una p r o-pria indipendenza economica (a partire dalla quale instaurare con l’erogatore pubblicorapporti non subalterni, sapendo che l’attività continuerebbe anche in caso di perditadei finanziamenti), le opere cattoliche potrebbero assumere un ruolo di prima linea.

• I comportamenti pubblici negativiLe convenienze della politica che coinvolgono tutti i soggetti operanti sul campo tendonoad ammortizzare gli aspetti etici negativi dei comportamenti pubblici. La catechesi diGiovanni Paolo II, basata sul Salmo 10 0, si è concentrata sulle virtù dell’onestà, della leal-tà, del rigore, del disinteresse personale come caratteristiche del servizio agli altri. Va anchedetto che il mancato contrasto di comportamenti eticamente riprovevoli si ripercuote nelpopolo come una sorta di lasciapassare: se si accetta una situazione moralmente riprove-vole in alto, perché censurarla in basso? Va ripresa senza riserve l’educazione alla legalità,non solo come rispetto della legge scritta, ma anche come aderenza alla legge morale.

• I riferimenti costituzionaliNella ricerca dell’etica comune, alla quale esorta anche il Papa, i riferimenti ai princi-pi costituzionali hanno un valore importante. Si tratta infatti di concetti costruiti sullabase di un consenso che acquista importanza proprio perché espresso da soggetti diver-si, con matrici e orientamenti differenti. Potersi richiamare ai principi sulla famiglia, sullavoro, sulle tutele sociali, sulle regole del buon governo, è un vaccino contro le deri-ve degenerative della democrazia, che fallisce quando si riduce a mera legge del nume-ro. Perciò i cattolici, che furono tra i maggiori artefici della Costituzione, hanno il dove-re di non consentire che se ne facciano caricature o se ne disprezzino i vincoli.

• Il lavoroQuesto tema è importante soprattutto in casa cattolica dove, dopo la serie delle enci-cliche dedicate all’opera dell’uomo che lavora, al suo valore superiore a quello delcapitale ed alle conseguenze r i f o r m i s t e di una siffatta gerarchia, si è introdotta, sullascia del pensiero di Michel Novak, una diversa dottrina. Questa si impossessa dellaCentesimus annus, nella parte che valorizza l’iniziativa personale, la estrapola dall’e-quilibrio del contesto e la ripropone come dottrina dell’impresa, solo all’interno dellaquale trova collocazione e giustificazione la figura del lavoro, ovviamente relaziona-ta e subordinata alle istanze dell’impresa stessa e della sua vocazione primaria al risul-tato economico. Occorre svolgere un compito di approfondimento e di contrasto teo-rico in una situazione che appare alquanto compromessa.

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3. … quali prospettive di lavoro pastorale per educare e promuovere scelte di giustizia e cammini di pace?

3.1 Una presenza profetica che impegna a frequentare la politica per governare ic a m b i a m e n t i

Il contesto nel quale viviamo è segnato da una profonda riorganizzazione degli spazi dellanostra vita, individuale e collettiva. Ciò comporta per noi pensare diversamente sia il globa-le sia il locale: “… a fianco della carta politica tradizionale, dobbiamo fornirci di tante altrecarte, relative ai vari fenomeni: i flussi di turisti e quelli di migranti e profughi; i nodi di inter-net e i centri di produzione culturale; le città globali e le aree in via di abbandono…” (Magatti,29° Convegno Nazionale delle Caritas diocesane). Gli effetti indesiderati sono molteplici: l’au-mento delle disuguaglianze e delle povertà che si manifesta in modo drammatico; l’aumentodelle diversità e il loro crescente intrecciarsi facendo entrare in crisi le vecchie identità e facen-done nascere di nuove; l’aumento dei conflitti e dell’uso della forza perché gli assetti, le rego-le, i rapporti di potere sono più indeterminati. Ciò a cui stiamo assistendo è un “…processo discomposizione e ricomposizione dei luoghi e delle appartenenze…” (Magatti) - quali i quar-tieri, le città, le regioni e le nazioni - che segue una logica di creazione di nuovi margini, con-fini, divisioni, esclusioni. L’i n s i c u r e z z a diventa un tema dominante. Che fare?

• Occorre sviluppare politiche di coesione e di solidarietà. Viviamo in una fase della sto-ria del nostro Paese e delle nostre città in cui i meccanismi di socialità e la qualità del-le relazioni sono messa in forse da diversi fattori. I fenomeni di urbanizzazione (nonsempre guidati correttamente), gli stessi tempi della vita delle città, i crescenti ritmilavorativi, il senso di insicurezza, rendono sempre meno scontata l’esistenza di comu-nità locali coese e solidali. La solitudine urbana, la parcellizzazione sociale, la diffi-coltà a incontrarsi nelle città (al di là dei luoghi di consumo urbani), debbono in qual-che misura interrogarci. Non si tratta di mitizzare le comunità locali del passato, madi chiederci seriamente se le politiche urbanistiche, le innovazioni nel settore com-merciale, l’organizzazione dei tempi cittadini, alcune politiche di contrasto alla pover-tà e all’esclusione, rappresentino un’effettiva risposta allo sfaldarsi della comunitàlocale o, addirittura, possano rappresentare fattori di d e s o l i d a r i z z a z i o n e.

• Un territorio accogliente è un territorio sicuro. Solo una comunità coesa e solidaleriesce a creare un territorio sicuro. Sicuro innanzitutto su un piano sociale, cioè unterritorio che non lascia fuori i soggetti deboli, che sa esercitare un accompagnamen-to sociale verso tutte le condizioni a rischio di devianza, che non crea ghetti urbani esociali. Non è un bene, non torna di utilità a nessuno agitare lo spettro della sicurez-za per coprire, il più delle volte, l’assenza di politiche che creino coesione e sicurezzasociale; non è una politica sana quella che nasconde un sistema economico che creastrutturalmente insicurezza individuale e di gruppo, ma che enfatizza solo il proble-ma della sicurezza personale. Affrontare i problemi per quello che sono, per comevanno affrontati, definendoli nella loro concretezza, è il compito di amministratoriche dovrebbero amare la verità quanto la loro città. C’è bisogno di prevenire, di inter-rompere i percorsi di devianza, di inventare risposte nuove a fenomeni nuovi. Pe r t a n t o

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il mondo degli adulti deve frequentare maggiormente la politica per determinareopportune scelte e uscire dai comportamenti di indifferenza e di cinismo, una pre-condizione per percorsi moltiplicati di devianza e di povertà.

3.2 Una presenza profetica che impegna a costruire relazione con l’altroCome fare a vivere insieme? Costruire pace e giustizia oggi significa sforzarsi di rispon-dere a questo interrogativo. Si tratta di esserci per r i u m a n i z z a r e la storia, nella consape-volezza di avere cominciato un nuovo Esodo: non sappiamo quando terminerà e dove cicondurrà. Di fatto, “… la crisi della separatezza spaziale e l’aumento della diversità cicostringono a pensare un’individualità più relazionale, meno autocentrata. Che lo voglia-mo o no, siamo forzati a uscire da noi stessi e a misurarci con l’Altro da noi, con il diver-so, dato che ci troviamo ad avere a che fare con un’alterità che risulta meno filtrata dal-l’elemento istituzionale” (Magatti). In questa situazione, “…la responsabilità per l’altrodiviene il fatto bruto della condizione umana. Indipendentemente dal fatto che ci assu-miamo la responsabilità gli uni degli altri, in realtà, essa è già in noi e noi possiamo fareben poco per scrollarcela di dosso”1. Proprio per questo l’etica dell’alterità ha qualcosa da dire rispetto ai grandi nodi del nostrotempo: innanzitutto la ricostruzione delle basi della convivenza umana passa per unarifondazione dell’idea di persona uscendo dalla sindrome dello spettatore che ci rende tut-ti indifferenti. In secondo luogo, il bisogno che come esseri umani abbiamo di abitare ingruppi sociali relativamente piccoli, non può cancellare le fedeltà più ampie che ci lega-no ad altri esseri umani. Inoltre il difficile processo di costruzione di nuove istituzioni(locali, statuali, globali) deve svilupparsi nel rispetto delle persone e non contro di esse.Infine, è nell’etica dell’alterità che si trova il fondamento di ogni possibilità di dialogo e,di conseguenza, della pace stessa. “Il vero sviluppo umano è quello centrato sulla perso-n a ; …uno sviluppo a misura d’uomo oggi è uno sviluppo umano e nonviolento…l’umanitàpuò perdere i complessi di orgoglio di sé, di superiorità sul prossimo, di sottomissione del-la natura e dominio dei popoli, recuperando il vero valore del tempo, del silenzio, dell’au-tolimitazione e del lavoro” (Martirani, 29° Convegno Nazionale delle Caritas diocesane).

L’etica dell’A l t r o non è una parola magica, ma può costituire oggi più che mai il pre-supposto per lavorare per la pace e la giustizia, cioè per la costruzione di una nuova con-vivenza tra gli uomini.

3.3 Una presenza profetica incarnata nei luoghi del quotidianoScendendo ad analizzare le concrete prospettive del prossimo anno pastorale, mi sem-bra significativo attingere ad alcune analisi contenute nell’indagine sul clero in Italia,pubblicata con il titolo: Sfide per la Chiesa del nuovo secolo.2

• Innanzitutto va segnalata la rivincita della parrocchia, vale a dire la sua tenuta comeluogo di coesione sociale, di visibilità e di presenza della Chiesa locale nel territorio.

1 Z. Bauman, La società individualizzata, Il Mulino-Bologna, 2002 - p. 892 Franco Garelli (a cura di), Sfide per la Chiesa del nuovo secolo – indagine sul clero in Italia, 2003, Bologna,

Il Mulino

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• Emerge con forza, inoltre, il senso di un cambiamento nelle parrocchie, particolarmentepercepito su tre versanti: lo studio e l’approfondimento della Parola, l’impegno caritati-vo e solidaristico, il coinvolgimento dei laici nella gestione dell’attività parrocchiale.

• Parallelamente cresce in maniera molto contenuta sia la relazione delle parrocchie congli enti pubblici territoriali (scuole, servizi sociali, centri di accoglienza, …) sia la funzio-ne di riflessione culturale offerta dalle realtà religiose di base sui temi sociali emergenti.

Ovviamente questa crescita è un frutto del Concilio e del lungo lavoro di ricezione ope-rato dalla Conferenza Episcopale Italiana attraverso i suoi organismi e i suoi orienta-menti pastorali: risultato importante che deve incoraggiarci a continuare la nostra pre-senza e azione educativo-pedagogica.Questa crescita, però, non sembra trovare vie ordinarie di relazioni con l’esterno, rischian-do di rimanere un enorme lavoro sotterraneo che fatica a essere visibile sul piano terri-toriale: “Vi è la (…) scarsa propensione a inserirsi nella rete delle risorse locali di cui oggisi compone il territorio …, magari privilegiando un’azione autonoma nei vari campi. (…)Le parrocchie in questi ultimi anni non hanno incrementato la riflessione e i dibattiti sul-le questioni socio-culturali, non impegnandosi in particolare in quella funzione di discer-nimento pubblico che rientra nelle funzioni di una comunità umana e religiosa”3.

D’altro canto l’esperienza laicale adulta sembra essere giocata sempre più nei luoghi delvolontariato, sempre meno nel campo politico-sindacale: “I laici credenti preferisconomisurare la propria identità e dare il loro apporto assai più nell’azione altruistica a finidi solidarietà e in alcuni impegni ecclesiali di servizio, che nell’assunzione delle responsa-bilità connesse all’esercizio dei loro ruoli istituzionali e della partecipazione collettiva”4.

Dentro questo contesto vivono le nostre comunità cristiane, non solo m i n o r i t a r i e m aanche fragili, che sanno capire meglio la traduzione sociale del messaggio cristiano cheil messaggio stesso nella sua interezza. Per quanto è nella nostra missione, dobbiamoessere la porta che consente a quanti sono in difficoltà e a quanti faticano a trovare l’es-senza della speranza cristiana, di entrare in comunità vive e attente, non perfette macapaci di far sperimentare l’esperienza cristiana, nella concreta e quotidiana passione perla vita, per la giustizia, la pace, l’attenzione al territorio.

3.4 Abitare il territorio e valorizzare i luoghi del coinvolgimentoTutto questo, con le sue luci e le sue ombre, conferma la bontà delle scelte operate: dell’avermesso al centro dell’azione pastorale la comunità parrocchiale senza recedere nonostante lefatiche, le lentezze, le incomprensioni e a volte gli scarsi risultati. Questa soddisfazione non èfrutto di una sopravvalutazione degli esiti della nostra presenza e servizio, ma della maggio-re consapevolezza che ci danno questi dati nel continuare su questa strada. Ma, soprattutto:— non si costruisce l’etica dell’A l t r o, se non lo si incontra; — non si costruisce una comunità solidale, se non ci si vive in mezzo; — non si può parlare di rete sociale, se non si legano i nodi che sono persone, storie, percorsi.

3 op. cit., p. 2284 op. cit., p. 21 8 / 21 9

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Al riguardo, la comunità parrocchiale è chiamata a stare dentro un cammino da far cre-scere in modo costante; cammino che porta la parrocchia ad “uscire dal tempio per anda-re verso il territorio”. Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, così si esprimeva: «Io vescovo mifarò strada a fatica in mezzo alla gente che stipa la chiesa. Giungerò davanti alla portasbarrata. Dall’interno batterò col martello tre volte. I battenti si schiuderanno. E voi, folladi credenti in Gesù, uscirete sulla piazza per un incontenibile bisogno di comunicare la lie-ta notizia all’uomo della strada». La Chiesa è inviata per servire ed esiste per servire. E la comunità parrocchiale non ha undiverso destino:— proprio per servire è diffusa su tutta la terra ma al tempo stesso è ben collocata in un

luogo, in un territorio;— è Chiesa locale che ha una missione da realizzare in una terra precisa;— la territorialità è da ritenersi come un dato determinante, da assumere in chiave non

semplicemente sociologica ma autenticamente teologica.

Proprio il territorio può essere inteso come garanzia oggettiva e stabile di possibileappartenenza ecclesiale per tutti. La parrocchia, infatti, ha di proprio il fatto di riunire icredenti «senza chiedere nessun’altra condivisione che quella della fede e dell’unità cat-tolica. La sua ambizione pastorale è quella di raccogliere nell’unità persone le più diver-se tra loro per età, estrazione sociale, mentalità ed esperienza spirituale» (c f r. Comunionee comunità, n. 43). Ciò fa capire come mediante la parrocchia sia offerta la possibilitàche nessuno resti senza una comunità di -almeno tendenziale- appartenenza. La par-rocchia, si può dire, rende visibile la Chiesa per chiunque: «Ogni parrocchia ha senso perannunciare il Vangelo di sempre e per spezzare l’unico pane eucaristico in quel posto, inquel momento storico, con le attese e i problemi, le fatiche e le speranze, i valori e lecontraddizioni di quelle persone…» ( c f r. Da questo vi riconosceranno, n. 18).

Non può dunque esistere la parrocchia “standard”. La parrocchia ha il dovere di ripensa-re sempre se stessa, conoscendo i volti delle persone che la compongono, sempre imma-ginando con fantasia e ricostruendo con pazienza la sua figura. La parrocchia dunque:— è PER il territorio, ossia per tutti gli uomini e le donne che vi abitano: questo “e s s e r e

per” porta ad escludere ogni forma di colonizzazione spirituale, manipolazione reli-giosa e possesso delle persone;

— è NEL territorio, cioè nel cuore stesso dell’umanità, espressione visibile di una Chiesanel mondo: ciò porta ad escludere ogni sorta d’estraneità e di lontananza. La presenzadella parrocchia nel territorio è s p r e g i u d i c a t a, ossia senza pregiudizi verso alcuno;

— è CON il territorio, e questo vuol dire solidarietà, condivisione, stare dalla parte del-l’uomo povero. Questo è impegnare la giustizia a baciare la pace (cfr. Sal 84).

3.4.1 A livello diocesanoSe – per ipotesi - le Caritas diocesane lasciassero a se stesse le comunità parrocchiali inquesto processo faticoso, questo mondo variegato di presenze di solidarietà rischierebbedi non avere punti di riferimento tali da rafforzare la loro dimensione missionaria, lacapacità di dialogo con il territorio, la volontà di confronto che sembra difettare. La sfi-da della promozione di una verace testimonianza di carità si gioca nel territorio, a par-

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tire dalla comunità parrocchiale. Quello che maggiormente sembra mancare, a partiredalla ricerca citata, è un metodo che sappia collegare: — esperienze e animazione territoriale, — riflessione e discernimento socio- pastorale.

Senza avere la presunzione di dare ricette valide sempre e comunque, continuare a offrireun metodo (osservare, ascoltare, discernere), dei luoghi privilegiati di servizio al territorio(i Centri di Ascolto e le locande dell’accoglienza), luoghi di coinvolgimento e di promozio-n e (le Caritas parrocchiali), mi sembra che rappresenti un quadro di riferimenti con cui lecomunità parrocchiali possano modulare organicamente il loro operare quotidiano.Ovviamente il ruolo degli Osservatori delle povertà e risorse diviene strategico per fornireuna visione di insieme, di rete territoriale, che aiuti a uscire dalle strettoie di esperienzeparrocchiali che rischiano di non navigare in orizzonti più ampi. Una Caritas diocesana aservizio, che accompagni, aiuti, formi le Caritas parrocchiali, mi sembra una prospettivache non solo il nostro modo di operare, ma anche la realtà descrittaci ci stimola a svilup-pare. Ovviamente con una attenzione che sappia connettere sempre le realtà parrocchialia tutte le risorse territoriali, in particolare ecclesiali, perché educare alla carità è sempre ecomunque educare alla comunione, all’incontro, alla collaborazione, a relazioni intense dipace e di riconciliazione. Le realtà di servizio promosse, le opere-segno, ma anche le pre-senze caritative s t o r i c h e delle nostre Diocesi, sono anch’esse l u o g h i da connettere, accom-pagnare con una responsabilità ulteriore sul piano della formazione e delle prospettive diquanti sono chiamati ad agire – anche come operatori – in queste realtà.

Dentro questo modo di operare – per logica interna – non si può non giungere a sceltedi giustizia, vale a dire a comportamenti che sappiano coniugare sempre di più l’azionecaritativa all’a d v o c a c y alla difesa dei diritti degli ultimi e a cammini di pace e di ricon-ciliazione con quanti sul territorio sono considerati sempre più come un problema diordine pubblico. Essere costruttori di socialità, di reti, di tutele concrete ed efficaci è ilnostro ruolo fondamentale. La pace è sempre più un valore, un modo di abitare il terri-t o r i o da costruire dentro ai nostri contesti di vita, oltre che operare solidarmente all’e-stero, a partire dall’accoglienza, dall’esperienza di una necessaria e possibile aperturaverso l’Altro, povero, straniero, diverso da me. L’etica dell’A l t r o è, innanzi tutto, il suoriconoscimento come persona, come portatore di dignità e di diritti.

L’enfasi posta sulla dimensione parrocchiale non vuole dimenticare le opere-segno.Credo, anzi, che vada ulteriormente approfondita una riflessione che riguarda questerealtà e quanti operano in questi contesti. Tanto più in una fase certo difficile anche perla stessa vita di alcune esperienze di cooperazione, che mette in evidenza la responsabi-lità delle comunità cristiane verso coloro, in particolare operatori, coinvolti in esperien-ze anche esigenti di servizio, che rischiano di non essere o non sentirsi particolarmentesostenuti sul piano della formazione, delle prospettive future, correndo il rischio didisperdere patrimoni di motivazioni e percorsi personali.

Nell’impegno di andare incontro ai poveri nel cammino di animazione e accompagna-mento delle comunità parrocchiali, è importante che la Caritas diocesana si rifaccia a t r eattenzioni prioritarie come suo compito specifico.

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1 . Ci si attende anzitutto la costituzione di un riferimento-luogo diocesano di documentazio-n e che fornisca materiale, studi, letture del territorio. Ci si attende anche una regia dioce-sana che sappia attivare centri di trasmissione sparsi sul territorio che fanno da diffusoridi questo sapere e da stimolatori per la sua produzione. E che aiutano il tessuto socialelocale (compreso quello ecclesiastico) ad una continua apertura verso i volti del territorioe del mondo, ad un continuo ascolto verso il bisogno. Ci si attende che questa regia dio-cesana faccia anche da amplificatore e da diffusore delle diverse strategie di accoglienzae di soluzione dei bisogni elaborate sul territorio dalle diverse realtà ecclesiali locali.

2. Ci si attende poi una presenza diocesana di presa in carico del territorio. Ci sono pro-blemi che superano le singole realtà locali, sia per urgenza che per complessità del-l’intervento richiesto, di fronte alle quali una Chiesa dimostra la sua esistenza perchéè in grado di accorrere e di esserci. Questo sarà molto utile per evitare che il discorsosull’attenzione agli ultimi scada nella retorica: evita alla Chiesa di dire e di non esser-c i, di apparire come una sovrastruttura pronta a richiamare i doveri delle singole real-tà locali, senza tuttavia mostrare di saper partecipare alle loro fatiche, di saper ascol-tare i loro problemi e di condividerne la soluzione.

3. Ci si attende infine che si progetti e si avvii un luogo di formazione diocesano d e g l iincaricati e dei ministri che le varie realtà locali destinano a questo ministero eccle-siale. La figura della Caritas diocesana del futuro potrebbe proprio essere quella di unapresenza caratterizzata fortemente come presenza di formazione: — una presenza incaricata di studiare percorsi di formazione, di educazione e di moti-

vazione per tutti coloro che in Diocesi vengono deputati ad aiutare il tessuto socia-le locale nella promozione di cammini di pace, giustizia e salvaguardia del creato;

— una presenza diocesana capace di presentarsi come interlocutrice credibile e parite-tica presso la sfera civile e politica, che fa del settore sociale un luogo primario nel-lo sviluppo della propria strategia di gestione della cosa pubblica.

3.4.2 A livello regionaleQuanto detto a livello diocesano va coniugato anche a livello regionale. Ormai a tutti èchiara la rilevanza di questa dimensione di coinvolgimento: questo tempo ci impone direndere ordinario e ordinato questo impegno in uno sforzo leale di collaborazione e diintesa. La rete nazionale dei Centri di Ascolto e degli Osservatori, i progetti Otto per mil-l e I t a l i a, se non trovano a livello regionale un sostegno efficace, un’attenzione lungimi-rante, una cura ordinaria, rischiano l’esito di una certa autoreferenzialità.

La rete nazionale può incentivare una rinnovata presenza regionale sul grande frontedella tutela dei diritti dei più deboli, a partire dai dati prodotti.

Credo che davvero non si debbano perdere le occasioni che abbiamo, quelle che sonoiscritte nel nostro lavoro quotidiano. Valorizzare quanto è già nei nostri compiti, nellenostre iniziative, nei nostri contesti ordinari, deve essere la priorità di questo anno dilavoro. Tutto ciò non significa estraniarsi dai grandi temi che emergono a livello localee nazionale: si tratta di rispondere a partire da un metodo e con modalità che valoriz-zano quanto già abbiamo, puntando al coinvolgimento delle nostre comunità, lavoran-

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do affinché la Caritas sia percepita come il mezzo di una responsabilità comunitaria ver-so i poveri, mai come il fine.

3.4.3 A livello nazionaleTutto questo deve riverberarsi a livello nazionale: costruire socialità a partire dai nostricontesti vuol dire valorizzare luoghi ordinari della partecipazione responsabile e delcoinvolgimento di Caritas italiana a partire:

— dal Consiglio Nazionale, — dalla rinnovata struttura dei Gruppi nazionali e dei coordinamenti, che dovranno

essere sempre più strumenti di elaborazione e collegamento a servizio dei delegatiregionali e delle Delegazioni, nonché delle Caritas diocesane.

Il nostro sogno è che l’azione di rappresentanza, di presenza nei luoghi istituzionali edecclesiali nazionali, sia sempre più nutrita, da una relazione intensa e organica con larete nazionale, che valorizzi il lavoro concreto di ogni articolazione della Caritas. Unlavoro dal basso che consente una sua visibilizzazione ordinaria e continua, senza l’il-lusione di raggiungere sempre risultati immediati, ma consapevoli di una lenta e costan-te seminagione culturale ed esperienziale.Pertanto, diventano prioritarie l’attenzione privilegiata e la buona cura verso:

— i luoghi dell’ascolto, dell’osservazione, dell’accoglienza e della relazione con i pove-ri, anche durante gli interventi nelle situazioni di emergenza a livello nazionale;

— le varie aree di bisogno/volti di povertà; — le risorse impegnate a servizio dei poveri: giovani obiettori in servizio civile, giova-

ni e ragazze in servizio civile volontario, gruppi e realtà di volontariato vario, mon-do della cooperazione, istituti di religiosi e religiose, famiglie solidali;

— la promozione di politiche sociali e di risposte ecclesiali e comunitarie deve essereil modo comune di lavorare per costruire scelte di giustizia e cammini di pace.

Ritessere la rete a tutti i livelli, curare e nutrire tutti i suoi nodi, vuol dire una piccola edenorme cosa: credere che le relazioni innanzitutto, la loro qualità, potranno dare un vol-to umano-abitabile a questo nostro mondo. La cultura ambientalista ce lo ricorda: non c’è futuro senza cura, senza rispetto, senzascelte che si pongono la domanda di quale impatto provocheremo. Così come ce lo inse-gnano le dimensioni della paternità e soprattutto della maternità umana, ove la relazio-ne, la prossimità e la cura vincono ogni affermazione verbale, anche la più efficace. Fuorida un quotidiano intestardirsi, da un perdere tempo ogni giorno dietro ciò che è picco-lo, laterale, meno visibile, coi poveri e con le nostre comunità, non c’è incarnazione, rela-zione, credibilità, fiducia, futuro, speranza.

3.4.4 A livello internazionaleAnche l’educare e l’agire a livello internazionale si nutrono della stessa metodologia.Partire dal contatto diretto coi volti della povertà, l’ascolto delle loro voci e delle loro gri-da, l’osservazione dei fenomeni che li riguardano da vicino, l’analisi sociale partecipativasempre più sperimentata anche da Caritas Italiana in affiancamento alle Chiese locali,sono strumenti volti a costruire sempre più prossimità e condivisione. La nostra presenza

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nel contesto internazionale, in collegamento con Caritas Europa e Caritas Internationalis,vuole essere espressione del mandato del Papa a globalizzare la solidarietà, a costruirelegami profondi tra comunità che vogliono vivere la gratuità evangelica senza riserve.

Educhiamoci ed educhiamo ancora alla mondialità e alla pace. È un imperativo quanto maipressante in un tempo di violenze e chiusure! La nostra prevalente funzione pedagogica, l anostra storia vissuta nel tessuto pastorale, la forza delle esperienze che condividiamo coni piccoli della terra, la pedagogia dei fatti, ci danno valide ragioni per ritenere ancora prio-ritario il nostro educare ad una fede collegata alla vita, alla gratuità e al dono di sé, a sti-li di vita sobri e responsabili. Non possiamo non vivere la sfida della costruzione della pace a livello internazionale. C’èchi si limita a mantenere la pace. È un compito r e a t t i v o, che consiste nel separare i con-tendenti, ma non basta. Occorre andare oltre: costruire la pace è un’azione a t t i v a, è lavo-rare per un futuro di tolleranza, rispetto e responsabilità. Costruire la pace è il realismo del-l ’etica dell’A l t r o. Si esprime in un meticoloso e spesso silenzioso “stare accanto”, per abbat-tere le barriere della sfiducia, per tessere la tela delle relazioni, per imbastire percorsi dinonviolenza e riconciliazione… Nella speranza di una purificazione delle memorie aperteal perdono. La solidarietà verso tutti libera da pregiudizi e contrapposizioni. Il nostro ope-rare umile e paziente apre porte a volte inaccessibili.

C’è un tempo del silenzio, ma c’è anche un tempo della denuncia: i diritti negati – a par-tire dal diritto alla vita, alla salute e all’istruzione - in intere regioni come l’Africa el ’Asia; l’oppressione sistematica e programmata della dignità umana e i disordini ecolo-gici in America Latina; i meccanismi di neoliberalismo mal governati dal FondoMonetario Internazionale e dalla Banca Mondiale in Europa; le derive neo-colonialistedi una globalizzazione svincolata da uno sviluppo sostenibile; il silenzio e le semplifi-cazioni di certi media sui drammi di intere popolazioni, sulle vittime civili e innocentidei conflitti dimenticati... Tutto ciò non può essere taciuto. Ecco il senso della nostra pre-senza a livello internazionale: educare, accompagnare, denunciare.

3.4.5 Le prospettive del prossimo annoSullo sfondo temporale del prossimo anno si intravede un grande appuntamento eccle-siale che ci vedrà coinvolti: un convegno co-promosso insieme all’Ufficio Liturgiconazionale ed all’Ufficio Catechistico nazionale sul tema della Pa r r o c c h i a (14-17 giugno2004 in Puglia). Auspico che questo Convegno possa essere preceduto da momentiregionali di confronto per consentire un processo di coinvolgimento ampio e di lavorocomune a tutti i livelli: in questo senso stiamo lavorando con gli altri Uffici della C.E.I.Mi sembra una prospettiva sulla quale impegnarci. Sappiamo delle difficoltà del passa-to, ma anche di contesti locali nei quali è consuetudine comune operare in maniera cora-le su questi temi: pertanto viviamo questa prospettiva – ancora lontana – come unaopportunità che va ad inserirsi quasi naturalmente nelle scelte e negli impegni che stia-mo realizzando.

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3.4.6 La chiusura del percorso “Quale Caritas nei prossimi anni”Il nostro cammino di riflessione su “Quale Caritas per i prossimi anni?” vedrà unaapparente pausa. Ma credo in realtà che di pausa non si tratti. Se alla fine di questopercorso pluriennale non saremo in grado di dirci con chiarezza, a partire dalla par-rocchia, quale è il nostro servizio nella Chiesa italiana, non avremo colto l’obiettivo.Solo partendo dalle circa 25mila parrocchie italiane, da quei luoghi concreti di incar-nazione della speranza cristiana, potremo sperare di animare davvero alla testimo-nianza comunitaria della carità.

Anche in questo dobbiamo nutrire un sogno: che quanto diciamo in difesa degli ultimi alivello internazionale, nazionale, diocesano, risuoni come condiviso nei nostri territori;non perché diremo parole meno esigenti, ma in quanto quelle saranno parole familiari,ascoltate e vissute, che hanno già aperto il cuore e la mente delle nostre comunità par-rocchiali, che le hanno già liberate dai luoghi comuni, dagli slogan di divisione, dalle cul-ture di esclusione. In questo viaggio a ritroso, oltre la Parrocchia, vi è in fondo al nostro percorso di rifles-sione il riscoprire una spiritualità che fondi e accompagni l’agire quotidiano, che ridiagerarchia agli impegni, ma innanzi tutto dia ordine, speranza e bellezza alla nostra vita ealla vita delle nostre comunità, alla vita degli ultimi.

Il nostro essere a servizio sia sempre più scelta consapevole e matura. Che non ci sembriun fardello pesante da portare, una servitù ingrata a un mondo e a un territorio spesso dif-ficili, a storie e a volti che faticano a liberarsi dalle schiavitù a cui sono costretti.L’ambiguità etimologica che lega il servizio alla servitù, va indagata, non rimossa, e le paro-le di Gesù ce lo ricordano «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sonomite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce eil mio carico è leggero» (cfr. Mt 11, 29/30). Il nostro essere a servizio non deve farci schiavi, assoggettati ad un destino che non pos-siamo comprendere, ma servi liberi e consapevoli, capaci di servire in maniera liberata eliberante, di sperare e far sperare dentro l’orizzonte, pure difficile, del quotidiano.

Secondo la leggenda riferita a S. Marta anche noi siamo chiamati a “… domare il dragoe a ricondurlo nelle profondità del Medioevo…” assumendo la scelta di quella semplicedonna russa che distribuiva pane ai prigionieri tedeschi che attraversavano in treno ilsuo territorio: “Io do il pane a tutti quelli che hanno fame. Quando i soldati tedeschi por-tavano prigionieri di guerra russi attraverso il villaggio, ho dato anche a loro da man-giare e quando voi sarete condotti attraverso il nostro villaggio dalla polizia segreta, daròdel pane anche a voi”. (Moltmann, 29° Convegno Nazionale delle Caritas diocesane).Questa è la luce del sole e la forza della pioggia garantita a chi crede in una vita adimensione comunitaria.

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