Life before legend parte 2

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Life before Legend di Marie Lu, una raccolta di due racconti ispirata a Legend, la bellissima saga di Marie Lu. Ho suddiviso il tutto in quattro uscite/parti. Questa è la seconda e non mi resta altro che augurarvi buona lettura! Per altre traduzioni venite sul mio blog, My Bookish Philosophy (http://mybookishphilosophy.blogspot.it/)!

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LifebeforeLegend

Un grido mi sveglia di colpo.

Istintivamente salto in piedi, ma sussulto non appena il ginocchio malandato si fa sentire e mi forza a sedermi. Gli oggetti che avevo raccolto mi danno fastidio sul fianco. Che sta succedendo? Cos’è successo? È mattina? L’unica cosa che noto nella mia confusione è la luce fioca dell’alba che tinge tutto di un grigio bluastro.

«No! Non puoi!»

Un altro grido. Questa volta sento distintamente che proviene giù dal molo, dove l’equipaggio è affollato attorno a qualcosa. Dei passanti curiosi hanno iniziato a fermarsi per la strada. Non avvicinarti. Stai lontano. Urla il mio istinto, però io invece di dargli ascolto, corro verso un ammasso di casse vicino e mi apposto nell’ombra.

Dapprima non riesco a capire cosa sta succedendo. Poi, quando sforzo gli occhi per vedere meglio, capisco cosa sta accadendo. Qualche soldato della Repubblica vestito con l’abbigliamento formale della pattuglia cittadina, non semplici poliziotti, ma una vera pattuglia cittadina, sta urlando domande contro un uomo piuttosto grande. Il padre di Charlie. Le grida vengono da Charlie, che viene trattenuta da diversi membri dell’equipaggio.

Un soldato della pattuglia cittadina tira un pugno a suo padre in pieno viso. Cade in ginocchio.

«Voi maledetti bastardi!» Urla Charlie alla pattuglia. «Bugiardi! Non siamo indietro con la merce, non ci occupiamo nemmeno di quello! Non potete…»

«Stai buona,» scatta uno dei soldati contro di lei. «O assaggerai la mia pistola. Capito?» Poi fa un cenno con la testa verso i suoi compagni. «Confiscate il loro carico.»

Charlie urla qualcosa che non riesco a capire, ma suo padre scuote la testa, come avvertimento rivolto a lei. Una scia di sangue scende a lato della bocca. «Andrà tutto bene,» le grida anche mentre i soldati si dirigono verso la fine del molo e caricano le casse nel loro furgone.

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Attendo in silenzio nell’ombra mentre riempiono il furgone. Se prendono tutto il carico di Charlie, non verranno pagati per almeno due settimane. Alcuni di loro soffriranno la fame di sicuro. Un ricordo mi investe, di quando la pattuglia cittadina aveva portato via mio padre per interrogarlo e l’avevano riportato sanguinante e con le ossa rotte. Furia e avventatezza mi invadono. Strigo gli occhi verso i soldati, poi mi precipito fino al margine con l’acqua. Mentre il caos continua a dilagare al molo, nessuno mi nota scivolare senza alcun rumore in acqua e raggiungere la riva. Il ginocchio malandato protesta allo sforzo fisico, ma stringo i denti e lo ignoro.

Quando ho nuotato abbastanza distante da raggiungere la successiva serie di moli, salgo sulla sponda, mi trascino fino a livello della strada e mi confondo con la folla di prima mattina. L’acqua gocciola dal mio mento, gli stivali fradici sprizzano acqua a ogni passo. I soldati impiegheranno probabilmente qualche altro minuto per finire di caricare tutto, e per quando si metteranno in marcia per la centrale di polizia di Lake, sarò pronto per loro. Zoppicando tra la folla, allungo le mani sulla cintura e apro strattonando la sacca che contiene gli oggetti di fortuna che ho trovato. Ho una buona riserva di chiodi. Li spargo per la strada finché non sono sicuro di aver coperto una striscia di strada abbastanza grande. Poi giro l’angolo, sfreccio in un vicolo stretto e mi accovaccio dietro un grande bidone dell’immondizia. Il ginocchio pulsa in protesta. Tolgo delle ciocche bagnate di capelli dal viso.

Cautamente allungo la gamba, sussulto e massaggio la vecchia cicatrice che percorre il ginocchio. Devo muovermi veloce se voglio che funzioni. Controllo che il coltellino sia assicurato allo stivale, poi mi sistemo per l’attesa. Pochi minuti più tardi, sento ciò che stavo sperando. Il suono di un furgone della pattuglia cittadina avvicinarsi da lontano, la sua classica sirena risuona per le strade. Il mio corpo si tende.

Il furgone si fa più vicino. La gente si sposta ai lati quando il furgone si fa largo a suon di clacson nella fretta mattutina.

Poi…

Un colpo!

Uno degli pneumatici scoppia, sbanda e poi cade distendendosi su un fianco, facendo urlare la folla. Si schianta a pochi metri da dove mi trovo io. Mi alzo a fatica. Il retro del furgone si è aperto nel caos e una dozzina circa di casse giacciono aperte e rovesciate sulla strada.

Due soldati saltano fuori dal furgone proprio quando la gente comincia a radunarsi lì attorno, qualcuno con impazienza sta già raccogliendo lattine di carne che sono rotolate fuori dalle cassi rotte. «State indietro!» Urla un soldato invano alla folla. L’altro soldato la spinge indietro con il fucile.

Mi affretto a raggiungere il gruppo. Se riuscissi a raccogliere anche solo una cassa e riportarla a Charlie, sarebbe una vittoria. Le persone torreggiano su di me, spingendomi avanti e indietro, visto che tutti stanno cercando di afferrare una piccola parte di cibo. Chino la testa, mi faccio più piccolo che posso e spingo tenacemente in avanti. Finalmente, vedo il furgone davanti a me e il contenuto rovesciato a terra.

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Mi abbasso e infilo due lattine di carne nelle tasche. Poi afferro il bordo di una cassa, tiro indietro più forte che posso e inizio a trascinarla. Molti altri soldati sono arrivati per dare supporto ai primi due, cerco di fare più in fretta quando cominciano a spingere via le persone dal luogo. Stringo la mascella e tiro più forte.

«Ehi… Via di là!»

Un soldato mi scorge, mi afferra per il colletto della maglia e mi lancia senza tante cerimonie indietro verso la folla. Il ginocchio cede, urlo per il dolore e atterro in una posizione scomoda. Il soldato afferra la cassa che stavo trascinando e mi lancia un’occhiataccia. «Maledetti ragazzini di strada,» sputa fuori. «Ritornatene al tuo vicolo. Giù le mani dai beni della Repubblica.»

È mia, urlo silenziosamente. È per Charlie. A mia sorpresa, un forte bisogno di piangere monta dalla profondità di me. È per la mia famiglia. Per le persone a cui tengo.

Ma non c’è molto che io possa fare adesso. Sono arrivato troppo tardi, sono troppo piccolo e troppo debole. L’incidente che ho causato mi è inutile ormai, troppi soldati sono arrivati e le persone non hanno più il fegato per afferrare il contenuto delle casse.

Mi alzo a fatica e mi faccio largo tra la folla mentre i soldati si radunano per ispezionare lo pneumatico scoppiato del loro furgone. Almeno sono riuscito a far schiantare uno dei loro preziosi veicoli. Penso maligno. Torno verso il molo dove lavora l’equipaggio di Charlie. Quando arrivo lì, il mio ginocchio è dolorante. Sono sudato ed esausto. Charlie mi vede da lontano, salta giù dalla pila di casse su cui è seduta e si affretta verso di me. «Eccoti qui,» dice. Sembra che si sia calmata dalla scenata di prima. I suoi occhi scorrono sui miei vestiti zuppi. «Dove sei andato?»

Scrollo le spalle. Tiro fuori le due lattine di carne dalle tasche. «C’è stata un po’ di agitazione in fondo alla strada,» rispondo, consegnandole le lattine. «Un furgone si è rovesciato. Ho preso queste. Scusa, non ci hanno lasciato avvicinare. Come sta tuo padre?»

«Sta bene. Ha subito di peggio in passato.» Charlie fa una smorfia come ringraziamento, ma mi ridà le lattine. «Tienile tu queste. Due lattine non ci serviranno a molto.» Guarda l’equipaggio oltre le sue spalle. Poi si china verso il mio orecchio e sussurra, «Sei stato tu, vero? Hai visto tutto stamattina. E hai trovato il modo di far rovesciare il furgone, no?»

Sbatto le palpebre. «Io…»

Charlie sorride della mia espressione colpevole. «Eravamo anche noi là fuori. La tua trovata ha permesso a qualcuno dell’equipaggio di mio padre di andare lì e afferrare qualcuna delle nostre casse.»

Il peso che mi opprimeva il petto diminuisce un poco. La guardo sorpresa e poi le sorrido. «Eravate lì? Hai visto il furgone?»

Gli occhi di Charlie studiano i miei. Per un momento, mi sembra che possa leggermi fin dentro il cuore. «Hai un desiderio di morte o che?» Dice finalmente. Allunga una mano per scompigliarmi i capelli. «Te lo concedo, hai proprio dei nervi d’acciaio, a scappare via così e fare casini con la pattuglia.»

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Arrossisco, poi mi guardo i piedi. «Sono solo stato fortunato,» mormoro. Ma in fondo, non posso evitare di sentirmi orgoglioso. Hanno riavuto qualcuna delle loro provviste. Forse la mia trovata non è stata così inutile dopotutto.

L’espressione di Charlie si ammorbidisce. La sua mano mi alza il mento, così da incrociare il suo sguardo. Si abbassa verso di me e mi da un tenero bacio sulle labbra. «Grazie,» dice. «Sei un bravo ragazzo. Scommetto che la Repubblica non ha idea di con chi ha a che fare.»

Quella notte dormo con l’equipaggio sul ponte della nave. Ma alla mattina presto, quando l’alba ha a malapena raggiunto l’orizzonte con l’acqua e gli occhi di Charlie sono ancora chiusi, mi alzo e sgattaiolo via in silenzio. Non porto via niente con me, eccetto gli oggetti che avevo trovato e le lattine di cibo. Non la guardo un’ultima volta, e non le lascio nessun biglietto né le dico addio. L’aria è fredda, mi pizzica le guance e le labbra, un promemoria dello spazio vuoto attorno a me. Tengo le mani in tasca e la testa in alto. I capelli sciolti.

Non posso restare. Se non altro, gli eventi di ieri mi hanno ricordato molto chiaramente del perché vago per le strade da solo, perché non mi permetto di farmi coinvolgere in una relazione con chiunque qui a Lake. I soldati hanno attaccato il padre di Charlie solo per non aver soddisfatto delle scadenze sul carico, cosa accadrebbe a loro se i soldati scoprissero che stavano dando rifugio a un ragazzo che è scappato dai laboratori della Repubblica? Un ragazzo che si suppone essere morto? Mio padre mi ha sempre insegnato a essere sempre due passi avanti, non indietro.

Quindi continuo a dirigermi lontano dal molo e verso i quartieri poveri. È meglio essere soli, qui fuori. Uno spirito errante, un fantasma… Non appartengo a nessun luogo. Le parole di Charlie riecheggiamo nella mia testa.

Scommetto che la Repubblica non ha idea di con chi ha a che fare.

Sorrido. No, spero sinceramente di no.

I miei piedi mi sembrano pesanti, ma non producono alcun suono.