Life before Legend - Parte 1

8

description

Life before Legend di Marie Lu, una raccolta di due racconti ispirata a Legend, la bellissima saga di Marie Lu. Ho suddiviso il tutto in quattro uscite/parti. Questa è la prima e non mi resta altro che augurarvi buona lettura! Per altre traduzioni venite sul mio blog, My Bookish Philosophy (http://mybookishphilosophy.blogspot.it/)!

Transcript of Life before Legend - Parte 1

Page 1: Life before Legend - Parte 1
Page 2: Life before Legend - Parte 1

LifebeforeLegend

Tre anni prima degli eventi di Legend

Note dell’autrice: In Prodigy (il sequel di Legend), June chiede a Day di raccontarle del

suo primo vero bacio. Questa è una breve storia per rispondere a quella domanda.

Ho dodici anni.

Vivo nella Repubblica d’America.

Mi chiamo Day.

Il mio vecchio nome era Daniel Wing, fratello minore di John, fratello maggiore di Eden, figlio di una madre e di un padre che vivevano nei quartieri poveri di Los Angeles.

Se sei povero da sempre, non pensi seriamente che le cose possano andare diversamente. E qualche volta sei perfino felice, perché almeno hai la tua famiglia e la salute e le tue braccia, le tue gambe e un tetto sopra la testa.

Ma adesso non ho più nemmeno questo. Mia madre e i miei fratelli pensano che io sia morto. Ho un ginocchio ferito che potrebbe non guarire mai. Vivo per le strade del settore Lake. Una topaia che corre lungo le coste del gigantesco lago di Los Angeles, e ogni giorno riesco in qualche modo a sopravvivere.

Ma le cose potrebbero essere peggiori, giusto? Almeno sono vivo, almeno mia madre e i miei fratelli sono vivi. C’è ancora speranza.

È appena mattina e io sono appollaiato sul balcone di un complesso di appartamenti in rovina alto tre piani, con tutte le finestre sbarrate da assi di legno.

Mi sostengo con la gamba buona mentre quella malandata penzola oltre il bordo distrattamente. Lo sguardo è fisso su uno dei moli che circondano la costa del lago, l’acqua luccica attraverso la foschia dello smog mattutino. Attorno a me i jumbo-schermi sugli edifici trasmettono le ultime notizie della Repubblica sugli operari delle fabbriche del settore Lake che come un fiume infinito e costante procedono. Qualche strada più in là, si vede una folla di ragazzi e ragazze che si dirigono alla scuola superiore del luogo. Devono avere circa la mia età. Se io non avessi fallito la Prova, probabilmente adesso starei in mezzo a loro. Alzo lo sguardo verso il sole e strizzo gli occhi per lo sforzo.

Page 3: Life before Legend - Parte 1

Il giuramento nazionale alla Repubblica inizierà da un momento all’altro. Odio quel maledetto giuramento.

Il cinegiornale in onda sui jumbo-schermi si ferma per un attimo, dopodiché una voce familiare riecheggia per la città provenendo da ogni singolo altoparlante. Per le strade la gente interrompe ciò che sta facendo, gira il volto in direzione della capitale e alza le braccia in saluto. I loro cori uniti a quello dell’altoparlante.

GIURO FEDELTÀ ALLA BANDIERA DELLA GRANDE REPUBBLICA D’AMERICA, ALNOSTRO ELECTOR PRIMO, AI NOSTRI GLORIOSI STATI, ALL’UNITÀ CONTRO LECOLONIE,ALLANOSTRAVITTORIAIMMINENTE!

Quando ero molto piccolo, recitavo il giuramento come tutti gli altri, e per un certo periodo, ho persino pensato che fosse giusto, dichiarare il mio eterno amore per il mio paese. Adesso invece, me ne sto zitto, anche se tutte le persone per strada pronunciano i versi obbedientemente. Perché disturbarsi a fingere per un qualcosa in cui non credo? E poi, non è che qualcuno mi possa vedere quassù. Quando è finito e il trambusto per le strade riprende, i jumbo-schermi si risintonizzano sul cinegiornale. Leggo i titoli d’apertura mentre scorrono: LA DODICENNE JUNE IPARIS, PRODIGIO ALLA PROVA, DIVENTA LA PIÙ GIOVANESTUDENTESSA MAI AMMESSA ALL’UNIVERSITÀ DI DRAKE, PER ESSERE POIUFFICIALMENTEARRUOLATALASETTIMANAPROSSIMA.

«Puah,» sbuffo disgustato. Non ho dubbi che la ragazzina sia una riccastra che vive la vita facile nell’entroterra, lontano da qui, in uno dei settori dell’alta società di Los Angeles. Chi se ne frega del suo punteggio alla Prova! Tutto il sistema è truccato per favorire i ragazzini ricchi, e poi probabilmente si sarà comprata il punteggio alto. Mi volto anche se i titoli continuano a scorrere, elencando tutti i suoi successi. Mi sta venendo mal di testa. La mia attenzione ritorna di nuovo sul molo. Una delle barche è piena di lavoratori che si affaccendano sul ponte. Stanno scaricando un sacco di casse che probabilmente contengono cibo inscatolato, manzo tritato e patate, spaghetti, salsicce e hot dog di cinghiale. Lo stomaco brontola. Prima le cose importanti: rubare la colazione. Non mangio da quasi due giorni e solo la vista delle casse mi stordisce. Avanzo lentamente lungo il lato del complesso di appartamenti, attento a rimanere coperto dall’ombra degli edifici. Qualche poliziotto pattuglia il molo, ma la maggior parte è annoiata, già esausta dall’afa del giorno. Di solito non prestano molta attenzione agli orfani che gironzolano praticamente in ogni angolo del settore Lake, e nei giorni buoni, sono troppo pigri per prendere tutti quelli che cercano di rubare il cibo. Raggiungo il margine dell’edificio. Un tubo di drenaggio corre lungo la parete, a malapena sprangato al muro. Ma sembra essere abbastanza robusto per sopportare il mio peso. Lo testo mettendoci con cautela un piede contro e spingendo forte. Vedendo che non si muove, afferro il tubo e scivolo giù fino allo stretto vicolo accanto all’edificio. La gamba malandata colpisce il terreno di traverso… perdo l’equilibrio e poi cado a terra sulla schiena. Uno di questi giorni, questo stupido ginocchio migliorerà! Spero. E poi potrò finalmente schizzare su e giù per questi edifici come voglio io. È una giornata calda. L’odore di fumo, bancarelle di cibo, grasso animale e dell’oceano aleggia nell’aria. Riesco a sentire il calore del cemento attraverso le mie scarpe logore. Praticamente nessuno mi nota zoppicare verso il molo, io sono soltanto un altro ragazzino dei quartieri poveri

Page 4: Life before Legend - Parte 1

dopotutto, ma una ragazza in cammino verso la scuola intercetta il mio sguardo. Arrossisce quando mi volto verso di lei, anche se poi distolgo velocemente lo sguardo. Mi fermo sulla riva per sistemarmi il cappellino sulla testa, per essere sicuro che tutti i miei capelli siano infilati sotto. La luce arancione e dorata che si riflette sull’acqua mi fa strizzare gli occhi. Accanto al molo i lavoratori stanno ammassando le casse di cibo accanto a un piccolo ufficio, dove un ispettore sta scrivendo annotazioni sul carico. Di tanto in tanto distoglie lo sguardo e parla attraverso un auricolare. Resto dove sono per un po’, monitorando lo schema di comportamento dei lavoratori e dell’ispettore. Abbasso poi lo sguardo verso la strada che corre lungo la costa. Nessun poliziotto in vista. Perfetto. Quando sono sicuro che nessuno stia guardando, salto verso il bordo della sponda e zoppico fino all’ombra del molo. Delle travi si incrociano sul bassoventre del molo, sostenendolo mentre si protende in acqua. Afferro alcune rocce dal fango vicino all’acqua e me le ficco nelle tasche. Poi mi isso sul labirinto di travi e le scalo in direzione delle casse. L’acqua salata spruzza, finendomi addosso. Il suono delle onde che si infrangono contro il molo si mischia alla voci che provengono da sopra di me. «Hai sentito anche tu di quella ragazza, vero?» «Che ragazza?» «Hai presente… la ragazza, che è entrata alla Drake a… quanti? dodici…» «Oh sì! Quella. Deve avere dei genitori ricchissimi. Ehi, dov’è che sei entrato tu?» Il tipo ride. «Chiudi il becco. Almeno io sono andato a scuola.» L’acqua copre di nuovo la loro conversazione. Sento parecchi suoni sordi che risuonano nelle assi sopra la mia testa. Stanno ammucchiando casse proprio qui. Ho raggiunto il posto esatto sotto il piccolo ufficio e il carico di merci. Mi fermo per riaggiustare la posizione dei piedi. Dopodiché scalo diverse travi, afferrando il bordo del vialetto del molo, mi sollevo e do un’occhiata in giro. L’ufficio è proprio sopra la mia testa. L’ispettore si mette contro il lato lungo, dandomi la schiena. Mi arrampico in silenzio sul vialetto e mi stringo contro l’ombra del muro dell’ufficio. Le rocce nelle tasche si scontrano l’una contro l’altra. Ne prendo una ma controllo costantemente con lo sguardo i lavoratori. In un momento di calma lancio più forte che posso la roccia contro la barca, colpendola al fianco con un tonfo forte abbastanza da attirare l’attenzione dei lavoratori. Molti di loro si girano in direzione del suono, mentre altri si dirigono lì. Colgo l’occasione per precipitarmi fuori dal mio nascondiglio e dirigermi verso il mucchio di casse. Riesco a scivolare in tempo dietro le casse prima che qualcuno mi veda. Il cuore mi batte freneticamente nel petto. Ogni volta che rubo delle provviste della Repubblica, mi immagino di venire arrestato e trascinato alla centrale di polizia del luogo. Per farmi spezzare le gambe, come quello che è successo a mio padre. O forse non essere portato affatto alla centrale. Forse mi avrebbero semplicemente sparato sul posto. Non riesco a decidermi su quale sia peggio. Il tempo sta per scadere. Tiro fuori il coltellino dalla scarpa dove l’avevo infilato con cura e poi lo infilo tra le assi delle casse finché una non si rompe. Continuo a colpire il più silenziosamente possibile, attento a guardare nella direzione delle guardie. La maggior parte di loro ormai si è allontanata, per fortuna. Ne rimangono solo due e in ogni caso se ne stanno distanti dalle casse, persi in stupide chiacchiere. Questo carico è sicuramente pieno di prelibatezze. Mi viene l’acquolina in bocca al pensiero di cosa potrei trovare dentro. Hot dog e sardine. Carne di tutti i tipi. Grano, uova in salamoia, fagioli. Forse perfino fette di pesche o pere. Una volta sono riuscito a rubare una pesca fresca, ed è stata la cosa più buona che io abbia mai mangiato in vita mia. Il mio stomaco brontola. «Ehi.» Sobbalzo. Gli occhi saettano in alto per trovare una ragazza appoggiata contro le casse, che mordicchia uno stuzzicadenti e mi guarda con una smorfia divertita. Tutte le fantasie sul cibo svaniscono. Immediatamente tiro via il coltello della cassa e scappo di corsa. Gli altri uomini sul molo mi vedono, urlano qualcosa e iniziano l’inseguimento.

Page 5: Life before Legend - Parte 1

Corro più veloce che posso. Il ginocchio malandato brucia per l’improvviso movimento, ma lo ignoro. Un ginocchio malandato non importerà più se sono morto. Mi faccio forza, aspettando il dolore lancinante di un proiettile nella schiena. «Charlie!» Urla uno di loro. «Prendi quel ladruncolo!» La ragazza risponde con qualcosa che non riesco a sentire. Mi imbatto in un paio di lavoratori portuali confusi, raggiungo la fine del molo e l’inizio delle vie di Lake e corro verso il vicolo più vicino che riesco a vedere. Dietro di me, sento ancora il rumore dei miei inseguitori. Stupido, sono stato così stupido. Sarei dovuto essere più silenzioso, oppure avrei potuto aspettare che facesse buio. Ma sono così affamato. Spero solo di riuscire a seminarli nel labirinto dei vicoli di Lake. Il cappello vola via ma ho troppa paura per fermarmi e prenderlo. I capelli biondi mi ricadono oltre le spalle in disordine. Qualcuno mi afferra da dietro. Sguizzo fuori dalla sua presa e poi tento un salto verso il muro riuscendo ad aggrapparmi a un terrazzo al secondo piano. Ma il ginocchio malandato, già debole per la fuga affrettata, in fine cede e io collasso al suolo nelle ombre del vicolo. I miei polmoni vengono svuotati dall’aria nel colpo, ma lo stesso mi giro e scopro i denti, pronto per affondarli in chiunque mi stia tenendo. «Ehi, calmo!» È la ragazza che inizialmente mi aveva visto. Non ha una faccia minacciosa, ma mi immobilizza con fermezza al suolo. «Sono da sola. Ho detto al personale di mio padre che ti avrei rintracciato io. Loro sono ancora al molo.» Continuo a dimenarmi. «Senti, possiamo andare avanti tutto il giorno.» La ragazza piega la testa verso di me e aggrotta le sopracciglia. Continuo ad aspettarmi che faccia scivolare un coltello sulla mia gola. Ma non lo fa. Dopo qualche lungo secondo, mi calmo. Mi fa un cenno del capo. «Cosa stavi cercando di rubare dal carico di mio padre?» Mi chiede. «Solo un po’ di cibo,» rispondo. Faccio ancora fatica a prendere fiato e il dolore al ginocchio non mi aiuta. «Non mangio da due giorni.» «Sei del settore Lake, cugino?» Le sorrido. Spero che non riesca a vedere quanto sono nervoso. «Quanto te,» dico, notando il suo gergo. «Probabilmente dal tuo stesso vicinato.» Mi studia per un momento. Adesso che finalmente riesco a guardarla bene, si vede che è abbastanza carina, con la pelle abbronzata e ricci capelli neri tirati indietro in due trecce disordinate. Ha un leggero accenno di lentiggini sul naso e i suoi occhi sono bruno-dorati. Le sue sopracciglia sono permanentemente fisse in una smorfia divertita. Probabilmente ha quindici o vent’anni, anche se è piccola. Un sorriso si diffonde sul suo viso quando si accorge che la sto adocchiando. Con cautela mi permette di sedermi, ma non mi lascia il braccio. «Hai intenzione di lasciarmi andare prima o poi?» Chiedo. «O mi riporterai dal tuoi paparino e dai suoi compari?» «Dipende.» Fa schioccare la lingua contro una guancia con un gesto inconsapevole. «Stavi rubando del cibo dal nostro carico. Se ce l’avessi fatto, mio padre avrebbe dovuto spiegare alle autorità portuali della Repubblica perché non aveva raggiunto la quota. Pensi che ci piaccia pagare multe? O venire arrestati?» «Beh, mi dispiace. Pensi che mi piaccia essere affamato?» La ragazza ride di me. «Ascoltati, tipo tosto. Sei veramente adorabile, Potrei pizzicarti le guanciotte fino a strappartele.» Arrossisco al suo tono derisorio, ma non voglio darle la soddisfazione di sapere che mi ha colpito e affondato. Quindi la guardo senza nemmeno sbattere le palpebre. Lei smette di ridere, mastica pensierosa lo stuzzicadenti e poi dice, «Quindi, anche se hai fame? Che succederebbe se ti trascinassi da mio padre proprio adesso? Potrei dir loro di buttarti nel lago. Oppure potrei dire di portarti alla centrale di polizia. L’equipaggio di mio padre mi adora. Mi darebbero ragione qualsiasi cosa dica loro.» Ingoio un boccone amaro al pensiero, ma poi faccio buon viso a cattivo gioco. «Oh, andiamo, cugina.» Tengo i palmi delle mani rivolti verso di lei con lo sguardo più innocente possibile.

Page 6: Life before Legend - Parte 1

«Faresti davvero questo a povero ragazzo di strada che muore di fame? Fai finta che sia scappato. Non tornerò più, prometto. Puoi perfino prendere il mio coltellino se vuoi qualcosa in cambio, è tutto ciò che ho.» «Quanti anni hai?» «Quasi tredici.» «Oh, sei ancora un bambino.» Mi sorride e poi esita per un minuto buono. «Senti. So come ti senti,» dice infine, «e credimi, non c’è niente di peggio dei morsi della fame.» «Quindi stai ancora pensando di consegnarmi?» Riacquisto un poco le mie speranze. «Posso fare qualcosa per te per restare fuori dalla prigione della Repubblica?» Chiedo. «Che cosa sei disposto a fare?» Risponde. Faccio un sorriso di chi la sa lunga. «Qualsiasi cosa tu voglia che io faccia, tesoro.» Le sopracciglia si alzano sorprese, poi getta la testa indietro e ride. Non riesco a decidere se sono lusingato o insultato. Pensavo di aver detto la cosa giusta. Passa un altro po’ prima che la ragazza finalmente si calmi, si alzi e mi tiri su. Adesso che siamo entrambi in piedi, vedo chiaramente che è solo un paio di centimetri più alta di me e altrettanto magra. Fa un cenno con la testa in direzione del molo. «Facciamo così. Lavorerai per mio padre per tre giorni e in cambio ti darò tre lattine di cibo. Puoi scegliere qualsiasi lattina tu voglia… tranne la frutta, però.» Scuote la testa quando legge nei miei occhi la delusione. «Scusa. Tre giorni di lavoro non comprerebbero a nessuno una lattina di frutta.» Lavorare nello stesso posto per tre interi giorni. Il pensiero mi rende un po’ nervoso… non mi piace fermarmi per così tanto tempo. Gli occhi della Repubblica sono ovunque. Ma non ho molta scelta, ed è una buona offerta che difficilmente otterrò ancora. Annuisco esitante. «Ok. Va bene. Abbiamo un patto allora.» Allungo la mano libera per stringere la sua. Non la afferra, invece inclina la testa un poco, sputa lo stuzzicadenti e mi sorride. «Non ho finito.» Dice. La mia mano vacilla. «Che altro vuoi?» «Sei piuttosto sfrontato con le ragazze, no? Hai mai baciato una ragazza?» Se ho mai baciato una ragazza? Che c’entra? Anche con tutto il mio flirtare non ci sono mai andato così tanto vicino. Beh, ho baciato qualche ragazza sulla guancia, e viceversa, ma sulle labbra? Mi stavo scervellando per uscire da quella situazione. I miei occhi si soffermano sulle sue labbra, adesso scure e sorridenti, e sento il mio viso infiammarsi più di prima. «Lo prendo per un no.» Ride. «Beh, fai del tuo meglio, ragazzino. Vediamo se riesci a reggere il confronto con la tua sfacciataggine.» Quando ancora non mi muovo, la ragazza si inclina verso di me, chiude gli occhi e preme le labbra contro le mie. Mi irrigidisco. Sono molto più morbide di quanto mi aspettassi… non so cosa mi aspettassi, in realtà. Ovviamente sarebbero state morbide. Un formicolio mi percorre tutta la colonna vertebrale. Cosa dovrei fare? Mi dovrei muovere? Occhi aperti o chiusi? Per un po’, rimango completamente immobile e tengo le labbra congelate. Forse dovrei seguire il suo esempio. Quindi ci provo. Adagio, comincio a baciarla anch’io. Non è più così difficile dopo un po’, riesco anche a rilassarmi, lascio che la mia mente abbracci il fatto che sono incollato alle labbra di una ragazza più grande. Le mie mani sono intorpidite. Non mi sento più le gambe. Si tira indietro. Anche se non toglie la mano dal mio braccio, il suo sorriso è meno impenetrabile. Sto ancora cercando di recuperare fiato. «Non così male per essere la tua prima volta,» dice allegra. Il suo naso sfiora il mio. «Stai tremando?» Mi tiro un po’ indietro imbarazzato. Speravo che non l’avesse notato. Per mio sollievo, ride prima che io possa dire qualcosa di imbarazzante. «Ragazzo, sei davvero adorabile.» Mi da un colpetto sul naso e poi si allontana da me. «Va bene, abbiamo un patto. Torniamo al molo. Sei farai il bravo, potrei anche darti un altro bacio.» Per i successivi tre giorni lavoro al suo fianco sulla barca di suo padre assegnatagli dalla Repubblica. Si chiama Charlie e ha appena compiuto sedici anni. Mi racconta del suo lavoro al

Page 7: Life before Legend - Parte 1

molo mentre carichiamo e scarichiamo carichi dall’alba al tramonto. La madre è morta qualche anno fa in un incidente in fabbrica. Ha una sorella che ha ottenuto alla Prova un punteggio abbastanza alto da essere ammessa al college. Ama la zona Lake, anche se significa puzzare come l’oceano tutto il tempo. È contenta che la Repubblica le abbia assegnato un lavoro che le permette di lavorare con suo padre al molo, invece di venire mandata al fronte a ripulire dopo il passaggio delle truppe. Non mi disturba dirle che è quello che mio padre fa, beh, faceva, prima quando ancora tornava a casa. Le mani mi si sono riempite di schegge a forza di portare le casse avanti e indietro e al secondo giorno, mi sento come se la mia schiena stesse per cadere a pezzi. Il padre di Charlie, un enorme uomo barbuto dalla pelle chiara, mi ignora completamente, anche se a volte annuisce in approvazione del mio duro lavoro. Mi piace il lavoro. La ragazza mi da due lattine di cibo al giorno, invece di una, il che significa che posso mangiare ogni giorno una lattina e risparmiarne una per i pasti futuri. Inoltre riesco anche ad accumulare qualche arnese che potrebbe tornarmi utile in futuro: affilate schegge di legno che potrei usare come armi, un paio di tele da sacco abbandonate, un barattolo rotondo per portarmi dietro l’acqua. Charlie mi sorprende a passeggiare sul molo, raccogliendo dei vecchi chiodi e infilarli in tasca. «Che fai? Ti prepari per la guerra?» Mi chiede sorridendo. Scrollo le spalle. «Non sono sopravvissuto così a lungo senza un minimo di autodifesa.» Charlie ride, ma mi lascia continuare. Alla sera si siede accanto a me, mentre l’equipaggio di suo padre si riunisce giù al molo. Io la osservo, un po’ geloso, flirtare con gli altri lavoratori quando suo padre non è nei paraggi. Aveva ragione su una cosa: è la loro cocca e se avesse mai detto loro di gettarmi in acqua, l’avrebbero fatto senza esitazione. Un po’ alla volta mi abituo al suono del lago che si infrange sui pilastri di cemento e alla strana comodità di dormire all’aperto, sapendo che al mattino ci sarebbe stata una lattina di cibo ad aspettarmi. Che lusso. Qualche volta, lancio un’occhiata a Charlie quando lei non sta guardando e mi immagino il replay del nostro bacio nella mia testa. Mi chiedo se significhi qualcosa per lei. E se era seria o no sul darmene un altro. Alla nostra ultima notte insieme, Charlie si appoggia all’indietro e mi osserva attraverso la debole luce della nostra lampada. Siamo seduti insieme alla fine del molo, guardando i grattacieli del centro illuminarsi uno dopo l’altro. È una bella serata. Perfino l’afa non è male come al solito e di tanto in tanto si sente una brezza fresca. «Allora, hai ripagato il tuo debito. Che farai domani?» Mi chiede. Scrollo le spalle. «Non lo so ancora. Prendo le cose come vengono giorno per giorno.» Mangiamo in silenzio per qualche altro minuto prima che lei parli ancora. «Non mi hai raccontato molto di te,» dice. «Non so nemmeno come ti chiami.» Metto giù la lattina di salsiccia e fagioli che sto mangiando, e poi mi stendo appoggiandomi sui gomiti. «Ed,» rispondo, sparando il primo nome che mi è venuto in mente. «Che altro vuoi sapere?» Mi studia. Nella tremolante luce della lampadina, i suoi occhi hanno una sfumatura color miele. «Da quanto vivi a Lake?» Mangia un altro boccone di cibo e poi mette da parte la lattina. «Che è successo alla tua famiglia? E come hai fatto a ridurre in quel modo il tuo ginocchio? Hai sempre vissuto per strada?» Resto in silenzio mentre lei butta fuori tutte quelle domande. È giusto che me le chieda, ovviamente, visto che lei mi ha raccontato molto di sé. Ma se c’è una cosa che ho imparato vivendo per le strade, è di tenere i dettagli della mia vita segreti. E poi, da dove comincerei? Il mio nome è Day. La mia famiglia abita a trenta isolati a nord-est da qui. Ho una madre, un fratello maggiore e un fratello minore. Pensano tutti che io sia morto. I dottori della Repubblica mi hanno aperto il ginocchio facendo esperimenti sul mio corpo. Mi hanno spedito da loro dopo aver fallito la Prova e mi hanno lasciato per morto nel seminterrato di un ospedale. Dopodiché ho barcollato per settimane, sanguinando. Viaggio sempre da solo, perché se la Repubblica mai mi trovasse, mi

Page 8: Life before Legend - Parte 1

farebbero fuori in un secondo. Giro la testa quando i ricordi mi invadono e minacciano di uscire fuori. Ho così tante storie da raccontare. Ma le spingo lontano nella mia mente una per una. Charlie riflette sul mio silenzio. «Beh,» inizia, un po’ imbarazzata per la prima volta da quando la conosco. Gioca con una delle sue trecce. «Tutto a tempo debito, quando sarai pronto.» Le sorrido attraverso la luce della lampada. «Se vuoi, sai, puoi restare per un altro paio di giorni,» continua. «Mio padre dice che sei un buon lavoratore e hai dimostrato il tuo valore… sarebbe felice se restassi un altro po’. Potrebbe anche darti qualche soldo sottobanco. E, beh, sei un bravo ragazzo. Le strade sono un posto duro in cui vivere… non so per quanto ancora resisterai là fuori per conto tuo.» L’offerta mi tenta. Il mio cuore si scalda, e ho delle parole di gratitudine sulla punta della lingua. Cerco di assorbire l’immagine del suo viso lentigginoso e delle trecce arruffate, e in quel momento sono assolutamente sicuro di dire sì. Mi immagino lavorare fianco a fianco con lei e riuscire a farmi una vita qui. Mi si stringe il cuore al pensiero di appartenere a una famiglia di nuovo, diventare amico di questa ragazza. Chiudo gli occhi e mi perdo nella fantasia. «Ci penserò,» rispondo finalmente. È una risposta sufficiente per il momento. Charlie scrolla le spalle e contemporaneamente ritorniamo alla nostra cena. Dormiamo fianco a fianco sul ponte della nave quella notte, abbastanza vicini da far toccare le nostre spalle e da sentire il calore venire dal suo corpo. Trascorro quasi tutta la notte a osservare il cielo. È abbastanza limpido per vedere una dozzina di stelle. Le conto e le riconto finché mi cullano in un sonno leggero.