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Il servizio scolastico integrato nelle prime esperienze regionali, Istruzione e servizio pubblico, a cura di C. Marzuoli, Bologna, il Mulino,2002 1. La via amministrativa per la realizzazione del servizio integrato pubblico-privato: l’intervento della Regione Toscana. 2. La realizzazione forzosa di un servizio integrato pubblico- privato mediante convenzioni obbligatorie: la legislazione della Regione Piemonte. 3. Compiti differenziati tra Regione e Enti locali per buoni scuola e finanziamento delle scuole private: la legislazione della Regione Veneto. 4. L’effetto di risonanza di norme autoriprodotte come strumento di condizionamento del legislatore nazionale: la legislazione della Regione Emilia-Romagna. 5. La strada dello scontro frontale per l’introduzione della “parità”: La Legislazione della Regione Lombardia. 6. Il sistema scolastico come servizio universale gestito dalle Regioni in regime di sussidiarietà orizzontale. Il riparto di competenze tra Stato e regioni è oggi stabilito dal rinnovellato Capo V della Costituzione e dovrà trovare definitiva sistemazione con la revisione degli Statuti regionali. Probabilmente questo assetto non assumerà nel breve periodo caratteristiche uniformi e ciò dipende in larga parte dalle politiche fin qui seguite dalle diverse regioni per ampliare la loro sfera di intervento, soprattutto relativamente ad alcune materie rispetto alle quali esse hanno cercato in passato di conquistarsi una piena competenza, erodendo con diverse 1

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Il servizio scolastico integrato nelle prime esperienze regionali, Istruzione e servizio pubblico, a cura di C. Marzuoli, Bologna, il Mulino,2002

1. La via amministrativa per la realizzazione del servizio integrato pubblico-privato: l’intervento della Regione Toscana. 2. La realizzazione forzosa di un servizio integrato pubblico-privato mediante convenzioni obbligatorie: la legislazione della Regione Piemonte. 3. Compiti differenziati tra Regione e Enti locali per buoni scuola e finanziamento delle scuole private: la legislazione della Regione Veneto. 4. L’effetto di risonanza di norme autoriprodotte come strumento di condizionamento del legislatore nazionale: la legislazione della Regione Emilia-Romagna. 5. La strada dello scontro frontale per l’introduzione della “parità”: La Legislazione della Regione Lombardia. 6. Il sistema scolastico come servizio universale gestito dalle Regioni in regime di sussidiarietà orizzontale.

Il riparto di competenze tra Stato e regioni è oggi stabilito dal rinnovellato Capo V della Costituzione e dovrà trovare definitiva sistemazione con la revisione degli Statuti regionali. Probabilmente questo assetto non assumerà nel breve periodo caratteristiche uniformi e ciò dipende in larga parte dalle politiche fin qui seguite dalle diverse regioni per ampliare la loro sfera di intervento, soprattutto relativamente ad alcune materie rispetto alle quali esse hanno cercato in passato di conquistarsi una piena competenza, erodendo con diverse strategie i poteri dello Stato centrale. Si registra oggi un “effetto di trascinamento” di scelte di politica legislativa e normativa, secondo linee che si sono sviluppate nel tempo con un disegno coerente e che sembrano differenziare alcune Regioni dalle altre; tuttavia, se guardiamo il risultato ultimo, queste strade, apparentemente diverse, hanno teso a conseguire un unico risultato: espandere i poteri regionali rivendicando la piena ed esclusiva potestà legislativa nella materia.

A influenzare le differenti scelte di tecnica legislativa e dei tempi di attuazione di un disegno strategico complessivo tendente ad far crescere le competenze regionali è stato spesso il diverso orientamento delle popolazioni e un certo “pudore” della classe politica regionale che, dovendo aggredire e superare limiti segnati

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dalle norme costituzionali, ha preferito ricorrere a comportamenti improntati al formale rispetto della riparto delle competenze, sancito dall’art. 117 della Costituzione del 1948, violato invece nella sostanza, oppure ha rivendicato un ruolo di “apripista” verso una nuova legislazione nazionale di settore approvando una legge regionale che, benché si fosse certi che sarebbe stata impugnata dagli organi di controllo e dal Governo, avrebbe segnato comunque una strada, una direzione lungo la quale operare1, lasciando comunque traccia, attraverso il proliferare della legislazione di contorno e dei provvedimenti amministrativi che avrebbe creato una situazione di fatto difficile da rimuovere. Queste strategie, che differiscono da regione a regione, costituiscono la chiave interpretativa del diverso approccio delle amministrazioni regionali all'applicazione della riforma del Capo V, Parte seconda della Costituzione, sia per ciò che attiene la legislazione di settore che la collocazione delle materie in sede di redazione dei nuovi statuti regionali.

Per sviluppare l’indagine dedicheremo la nostra attenzione ai provvedimenti assunti da alcune regioni relativamente alle competenze in materia scolastica e di attuazione della parità, con riferimento al rapporto pubblico-privato per costruire un nuovo rapporto relativamente all’erogazione di servizi pubblici.

1. La via amministrativa per la realizzazione del servizio integrato pubblico-privato; l’intervento della Regione Toscana

In materia di finanziamento alla scuola privata, la Toscana ha seguito una propria strada improntata a mantenere un rispetto formale della norma costituzionale del 1948, tuttavia derogandola nella sostanza fin dai primi anni della costituzione della Regione. Già la legge n. 5 del 1980 andava nella direzione dell’integrazione della scuola privata nel servizio pubblico, tanto che questa strategia subì all’epoca una battuta d’arresto2 per poi essere riproposta con la

1 G. Cimbalo, Emilia-Romagna, il pesce pilota, “Il Manifesto”, 10 genn. 1999, 14. 2 G. Cimbalo, La normativa regionale in materia di diritto allo studio: il caso della Toscana. Nuove prospettive per la legislazione ecclesiastica, Atti II Convegno nazionale di Diritto Ecclesiastico, Siena 27-29 nov. 1980, Milano 1981, 717-770; S. Grassi, Diritto allo studio, La Regione in Toscana, a cura di P. Caretti e R. Zaccaria, Milano, 1987, 316 ss.

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L. 53 del 1981 e successive modificazioni. Se analizziamo quel provvedimento rileviamo che, in conformità a quanto disposto dall’art. 42 del d. p. r. 616/77, la Regione intervenne allora a favore delle scuole materne private quando queste svolgevano la funzione di scuole a sgravio3 in relazione ad aree non coperte dal servizio pubblico; in tal modo il finanziamento avrebbe dovuto rimanere in vigore – almeno formalmente - per il periodo di tempo necessario all’amministrazione pubblica per intervenire, istituendo proprie scuole per coprire il servizio ai cittadini. Certo l’intervento finalizzato all’espansione del servizio pubblico vi fu, ma già da allora si tendeva alla costruzione di un servizio integrato pubblico-privato di scuole per l’infanzia4, aggredendo l’art. 33, c.2 della Costituzione.

Questa scelta strategica si è protratta negli anni, è dimostrata dal perdurare dei finanziamenti pubblici alla scuola materna privata ed è emersa da ultimo, in tutta evidenza, con la deliberazione del Consiglio Regionale della Toscana con la quale è stato approvato il Piano di indirizzo per il diritto allo studio 1999/2000, che prevedeva tra gli interventi aggiuntivi del diritto allo studio la concessione di finanziamenti “alle scuole materne non statali gestite, senza fini di lucro da soggetti privati che concorrono a soddisfare la domanda e che si convenzionino con i Comuni ”5. A tal fine il provvedimento ha disposto l’assegnazione alle Province di un apposito finanziamento, espressamente finalizzato al sostegno diretto alla scuola materna privata. Le Province avrebbero potuto erogare i finanziamenti a condizione che le scuole in questione offrissero determinate garanzie di qualità relativamente alla qualificazione degli insegnanti, al rispetto dei programmi scolastici, alla democraticità della gestione, ecc. Tali condizioni sono desumibili da un protocollo di intesa concernete le scuole materne private operanti in Toscana, stipulato dalla Giunta Regionale Toscana, la Federazione Istituti di Attività Educative (FIDAE) e la Federazione Italiana Scuole materne (FISM)6.

3 A. Talamanca, Libertà delle scuole libertà nella scuola, Padova, 1975; P. A. Bonnet,, “Scuola a sgravio“ e pluralismo scolastico, Milano, 1979.4 G. Cimbalo, La normativa regionale in materia di … cit., 764 ss.5 Deliberazione Consiglio Regionale della Toscana n. 85 del 13 aprile 1999 concernente “Piano di indirizzo per il diritto allo studio 1999/2000”, lett. A , punto 8.3; Deliberazione Giunta regionale Toscana n. 516 del 3 maggio 1999.

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Si tratta, come vedremo, di un risultato conseguito con altri strumenti da numerose altre regioni. In questo caso la Regione Toscana ha utilizzato le previsioni della L. 59/97 e dell’art. 139 del D. lgs. 112/98 come norme alla luce delle quali dare una interpretazione estensiva della legge regionale vigente in materia di diritto allo studio7, affidando ai successivi provvedimenti delle Giunte Provinciali il compito di applicare la norma. Questo modo di operare ha consentito alla Giunta regionale di non esporsi alle ripercussioni che un dibattito sull’approvazione di una nuova legge sul diritto allo studio avrebbe potuto avere, suscitando, come è avvenuto in Emilia Romagna, forti resistenze.

La scelta della via amministrativa per la realizzazione di fatto di un sistema integrato pubblico-privato di scuole per l’infanzia ha avuto il risultato di rendere più difficile la tutela giurisdizionale e problematica l’individuazione dei titolari dell’azione. E’ stato infatti necessario attendere l’approvazione di specifiche delibere da parte delle Giunte provinciali per poter adire il giudice amministrativo8, che tuttavia ha trovato il modo di sottrarsi alla richiesta di pronunciarsi nel merito, lamentando il difetto di legittimazione attiva e di interesse dei ricorrenti 9. Il TAR Toscano – investito della questione - ha sostenuto che i partiti politici non sarebbero legittimati

6 Per il testo della Convenzione vedi allegato n. 5 al “Piano di indirizzo per il diritto allo studio 1999/2000”.7 Sul contenuto di tali norme vedi: P. Caretti, F. Donati, L’assetto delle competenze nel settore dell’istruzione scolastica: il quadro attuale e le prospettive di riforma, Scuola e federalismo, a cura di A. Binazzi, P. Caretti, F. Donati, D. Ragazzini, Firenze. 1997, 7- 66; D. Ragazzini, Centro e periferie nella storia della scuola in Italia, Scuola e federalismo…cit, 67-96; L. Barberio Corsetti, artt. 135-139, Commento al D. lgs. 112/98. Il nuovo modello di autonomie territoriali, con il coord. e un saggio introduttivo di M. Stipo, Rimini, 1998, 577-604; Lo Stato autonomista Funzioni statali, regionali e locali nel decreto legislativo di attuazione della Legge Bassanini n. 59 del 1997, commento a cura di G. Falcon, Bologna 1998, in particolare, relativamente al capo III, concernente l'istruzione scolastica. A. Pajno, Art. 135, 903-913;CORPACI A., Artt. 136-137, 914-922; C. Marzuoli, Artt. 138-139, 923-932..8 Ad essere impugnata è stata la Deliberazione del Consiglio Provinciale di Pistoia n. 56 del 26 aprile 1999 emanata in attuazione della L. R. n. 22 del 14 aprile 1999 che all’art. 3 individua i compiti della Provincia in materia di redazione e attuazione del Piano di indirizzo e fissa altresì i compiti dei Comuni e il ruolo dei privati.

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all'impugnazione di atti perfezionatisi con il metodo democratico, pena lo stravolgimento delle regole proprie di tale metodo. Se il ricorso fosse stato considerato ammissibile il giudice – ha sostenuto il collegio - si sarebbe inserito nelle funzioni politiche proprie di organi a ciò deputati, senza reale compromissione della posizione soggettiva della persona fisica o giuridica facente parte dell'organo che aveva deliberato10. Relativamente alla mancata legittimazione di insegnanti della scuola pubblica – anch’essi ricorrenti - il giudice ha ritenuto che il beneficio derivante dall'annullamento del provvedimento sarebbe stato eventuale ed ipotetico. Tale tesi è stata sostenuta malgrado che, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, è sufficiente a radicare l'interesse a ricorrere anche il cosiddetto "interesse strumentale", rappresentato dalla possibilità per il ricorrente di conseguire un vantaggio dall'annullamento dell'atto impugnato e dal riesame della questione controversa da parte dell'organo competente11.

La vicenda toscana dimostra, dunque, quanta poca tutela vi sia di fronte al provvedimento amministrativo, soprattutto in una fase di forte rafforzamento degli esecutivi, di attenuazione dei controlli amministrativi interni e di ridotta tutela giurisdizionale. La via

9 Contro la citata delibera regionale e quella della Provincia di Pistoia è stato presentato ricorso amministrativo davanti al TAR Toscano, respinto con la motivazione squisitamente procedurale del difetto di legittimazione attiva da parte di tutti i ricorrenti (un partito politico e alcuni insegnanti) che avevano interposto ricorso. Cfr.: TAR Toscana, sez. I, Sentenza 9 maggio 2000, n. 815. Pres. Virgilio, est. Colombati. PCR e altri. C. Regione Toscana e altri, con nota di N. Felli, Piano regionale di indirizzo per il diritto allo studio, finanziamenti pubblici alla scuola materna privata e legittimazione ad agire. “Rivista Amministrativa della Regione Toscana”, supp. a “Rivista Amministrativa Repubblica Italiana”, 54 ss.10 Per l’impugnazione degli atti da parte dell’organo collegiale, TAR Lombardia – Brescia, 20 giugno 1996, n. 705; Cons. Stato, sez. V, 27 sett. 1990, n. 697. In ragione del collegamento con le relative finalità di azione del gruppo la legittimazione a ricorrere in via giudiziale è riconosciuta in termini generali non solo ai singoli, ma anche ai gruppi organizzati portatori di interessi diffusi. Sul punto TAR Lazio, sez. II, 14 febb. 1992, n. 382; TAR Lazio, sez. II, 17 sett. 1990, n. 1650. G. G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., 92, n.11 Vedi: TAR Sicilia, Catania, 5 giugno 1977, n. 1249; TAR Puglia, Bari, sez. I, 6 nov. 1997, n. 749; TAR Lazio, sez. III, 10 aprile1955, TAR Marche, 21 febb. 1995, n. 77.

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amministrativa alla costruzione del sistema integrato pubblico-privato di istruzione si è dimostrata così estremamente efficace e ci ha offerto l’esempio di come nella attuale fase di trasformazione dei compiti e delle funzioni dei poteri locali, l’attività degli organi esecutivi sfugge ad ogni controllo. Si riesce così operando a neutralizzare perfino i controlli di legittimità costituzionale e quelli di controllo sociale, esercitabili attraverso la partecipazione democratica dei cittadini alla vita delle istituzioni. Si pensi al ruolo degli organi assembleari elettivi, allo strumento del referendum popolare abrogativo, alla possibilità di accesso in tempi rapidi alla tutela giurisdizionale, che vengono privati di efficacia, facendo prevalere la necessità di potenziare l’azione di governo degli esecutivi e quella di una maggiore supposta efficienza del sistema politico, liberato dalle “pastoie dei controlli” e della mediazione tra le diverse forze politiche12.

Questa scelta di politica legislativa fa parte di una visione organica dell’assetto istituzionale del Paese che presuppone una Costituzione debole, costantemente sottoposta ad una interpretazione “evolutiva” del testo, che finisce per annullare ogni garanzia e introduce forti elementi di incertezza e instabilità nelle istituzioni politiche, minando alla base il sistema democratico13.

La copertura giuridica a questo modo di procedere è stata fornita dall’introduzione del federalismo amministrativo, attuato attraverso una riforma dell’ordinamento giuridico a “costituzione invariata” che ha consentito che le chiavi interpretative della norma costituzionale fossero le scelte politiche dell’esecutivo, per le quali peraltro non è stata necessaria l’approvazione parlamentare. Sovente è stata sufficiente la presentazione in un qualche disegno di legge o in una proposta discussa in Commissione parlamentare per fornire le “basi giuridiche” per operare con effetti devastanti sulla legislazione esistente. Emblematico a riguardo il caso della Bicamerale14 che – benché abortita - ha coperto l’emanazione di una legislazione emergenziale, maldestramente oggi tutelata attraverso una modifica affrettata del capo V della Costituzione che darà luogo a notevoli

12 G.U. Rescigno, Revisione della Costituzione o nuova Costituzione?, “Dir. Pubbl,” 1997, 623.13 G.U. Rescigno, Una transizione verso una Costituzione non scritta, “Rass. Parl”, n. 1, genn/marzo 2000, 25-34.14 BARBERA A., Le regioni nel testo della "Bicamerale", Saggi e materiali di diritto regionale, a cura di A. Barbera e L. Califano, Bologna, 1997

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conflitti di attribuzione e necessiterà di un pressoché costante intervento della Corte Costituzionale per essere applicata15.

La copertura offerta dal rinnovellato testo costituzionale non ha inciso comunque sulle tecniche legislative utilizzate dalla regione Toscana. Ne è prova la recente approvazione della L. R. 32/200216

che riordina la legislazione regionale in materia di diritto allo studio, formazione e lavoro, ma con l’occasione rinvia la concreta regolazione della materia a un “regolamento di esecuzione” in relazione al quale la tutela dei cittadini potrà essere esercitata con difficoltà, come del resto è avvenuto fino ad ora nella Regione,

15 A.. Manzella, Un architrave per la repubblica, "La Repubblica", 1 marzo ’01, contra: M. Luciani, Camicia di forza federale. "La Stampa", 3 marzo, 2001; A. Ferrara, L. R.. Sciumbata, Il progetto di legge costituzionale recante modifiche al titolo V della Parte Seconda della Costituzione , Milano, 2001 (con interventi di V. Cerulli Irelli, L. Vandelli, L. Elia, M. Pepe, M. Cammelli, A. D’Atena, C, Pinelli, F. Pizzetti, A. Ruggeri, M. Scudiero, A. Anzon, R. Luovin, A. Ferrara, L. Sciumbata, G. Lombardi).16 “Articolo 32 (Regolamento di esecuzione) 1. Entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, sentiti gli organismi rappresentativi degli enti locali e delle parti sociali, attuando le procedure di concertazione con i soggetti istituzionali e con i soggetti economici e sociali, approva un regolamento di esecuzione con il quale definisce le regole generali di funzionamento del sistema integrato disciplinato dalla presente legge, ferma restando la competenza degli enti locali, ai sensi dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione, all`emanazione delle norme regolamentari attinenti alla organizzazione e svolgimento delle funzioni amministrative loro attribuite. 2. Il regolamento regionale definisce le norme che attengono: a) alla classificazione dei presidi ed ai loro requisiti tecnico strutturali, relativamente agli standard riguardanti la localizzazione dei servizi, le caratteristiche funzionali generali, gli spazi per gli utenti, la ricettivita`, il dimensionamento; b) ai requisiti generali che assicurano i livelli di qualita` delle prestazioni, riguardanti la configurazione funzionale dei sistemi, le metodologie ed i moduli operativi, il rapporto operatori/utenti, gli standard di base per l`erogazione dei servizi, la qualificazione degli operatori; c) alla regolazione ed al controllo del sistema, al regime di accreditamento, al regime di autorizzazione, al sistema di accertamento delle competenze e di rilascio delle relative attestazioni formali, al sistema generale dei crediti formativi e di istruzione, al sistema di rendicontazione degli interventi, al sistema di vigilanza ed ai conseguenti interventi. […]”.L.G. Toscana 26 luglio 2002, n. 32, “Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro”, BUR Toscana - n. 23, 5.8.2002

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trattandosi di norme amministrative. Con separata delibera vengono nel contempo stabiliti i finanziamenti relativi alla scuola privata17, senza che alcuno strumento sia immediatamente attivabile per rimettere in discussione questa scelta.

2. La realizzazione forzosa di un sistema integrato pubblico-privato mediante convenzioni obbligatorie: la legislazione della Regione Piemonte.

Il 6 agosto 1996 la Regione Piemonte ha approvato la L.R. n. 61, con la quale, affermando di voler dare attuazione agli artt. 3, 33 e 34 Cost. e all’art. 4 dello Statuto regionale, si disponevano interventi finanziari finalizzati a “conseguire il trattamento paritario degli utenti delle diverse scuole statali e non statali, funzionanti sul territorio della regione”18. Le risorse finanziarie, messe a disposizione dalla Regione sul proprio bilancio “… sono distinti e aggiuntivi rispetto agli interventi di assistenza scolastica destinati agli alunni a norma delle vigenti disposizioni, nonché rispetto a qualsiasi altra contribuzione prevista dalla normativa statale e regionale in favore delle scuole non statali e a quanto previsto e stanziato dai comuni nei rispettivi bilanci a favore delle scuole materne di cui al successivo

17 Regione Toscana, Delibera n. 120 del 24 luglio 2002, “Deliberazione Consiglio regionale 19 giugno 2001, n.128 "Piano di indirizzo per il diritto allo studio e per l'educazione permanente": aggiornamenti ed integrazioni per gli anni 2002 e 2003.”.“ […] Specificato che, per quanto attiene all'allegato D, la spesa complessiva da sostenere negli esercizi 2002 e 2003 relativamente ai contributi da erogare nell'anno scolastico 2002/2003, alle scuole non statali è stimabile complessivamente, sulla base delle risultanze statistiche e contabili possedute, in una cifra pari ad euro 31.219.000,00 a fronte della quale sono disponibili, negli esercizi finanziari 2002 e 2003, risorse da trasferire da parte dello Stato pari ad euro 15.212.687,00, in attuazione del d.p.c.m. 13 novembre 2000 e risorse regionali, allocate nella UPB 6.1.3. dei bilanci degli esercizi 2002 e 2003 pari ad euro 5.491.000,00 per cui, in via previsionale, esiste per assicurare la copertura finanziaria un ulteriore fabbisogno, attualmente non soddisfatto, pari ad euro 10.515.313,00; […]”.18 Art. 1. punti 2 e 3 L. R. Piemonte, 6 agosto 1996 n. 61, Contributi ai Comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome (B.U., 14 agosto 1996 n. 33).

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art. 2“19. La legge tuttavia riguarda esclusivamente, ai sensi dell’art. 2 del provvedimento, le “… scuole materne non statali e non dipendenti da Enti locali territoriali, istituite e gestite nell’ambito della normativa vigente, purché non abbiano fine di lucro e siano aperte alla generalità dei cittadini”. Il sostegno a queste scuole avviene “…tramite i comuni che, attraverso convenzioni, concorrono alle spese di gestione delle stesse”20. Si tratta dunque di un provvedimento dichiaratamente estraneo alla legislazione sul diritto allo studio che si prefigge il finanziamento delle scuole private al fine di differenziare l’offerta formativa sul territorio regionale. Questa scelta, non consentita nemmeno dal novellato art. 117 della Costituzione, è stata motivata dal legislatore regionale affermando che “non si possono intendere in senso restrittivo le funzioni di assistenza scolastica che l’art.117 attribuisce all’Ente Regione”21. Tuttavia l’identità dei soggetti che sono gli esclusivi destinatari del provvedimento è ulteriormente evidenziata dall’art. 4 della legge che prevede che, al fine dimostrare l’assenza di finalità di lucro della scuola privata che beneficia del finanziamento, il rendiconto annuale dovrà fare riferimento, per le spese “al contratto collettivo di lavoro, alle convenzioni con le eventuali congregazioni religiose o ad altre forme di cooperazione”22. Va sottolineato il fine particolare del provvedimento, evidenziato dal fatto che la richiesta di stipulare la convenzione e l’avvenuta stipula della stessa costituiscono, rispettivamente, la condizione per accedere ai finanziamenti e quella per la liquidazione degli stessi in un unica soluzione23. Si tratta di una scelta strategica che va perseguita – ad avviso del legislatore 19 Si accoglie in tal modo l’indirizzo espresso nella relazione alla Proposta di legge n. 18 del 31 luglio 1995 a firma dei Consiglieri Montabone, Picchioni, Cotto, Cavallera, Leo, Deorsola, Casari, Botta, Burzi, Pichetto, Ferrero, Grasso, Casoni, la dove afferma che: "Non sono soggetti a convenzionamento, previsti dalla presente legge, i contributi relativi al Diritto allo studio, i quali sono regolati dalla L. R. Piemonte, n. 49 del 29 aprile 1985".20 Art. 3.1, ibidem21 Regione Piemonte. Relazione introduttiva alla Proposta di legge n. 18 del 31 luglio 1995… cit.22 art. 4. 8.1., L. R. Piemonte, 6 agosto 1996 n. 61.23 A copertura della legge viene disposta la somma di 5 miliardi annui, istituendo un apposito capitolo di bilancio denominato: “Contributi ai comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome”. Art. 6, L. R. Piemonte, 6 agosto 1996 n. 61.

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regionale – anche in assenza della disponibilità dei Comuni di accedere al sistema convenzionale24; prova ne sia che l’eventuale indisponibilità del Comune a stipulare la convenzione con le scuole private presenti sul suo territorio viene superata, consentendo alle scuole private interessate di richiedere il finanziamento direttamente alla Giunta regionale, previa la mera presentazione di un “programma di attività” il cui contenuto non è meglio specificato25.

Si da vita, in tal modo, ad un sistema forzoso di realizzazione di un servizio integrato pubblico-privato che trova nell’attività della Regione l’ente gestore a livello politico e amministrativo di tale processo26 e sembra avere poca rilevanza il fatto che per perseguire

24 In base all’art 3. i contributi avrebbero dovuto essere assegnati: “a) nella misura del 75 per cento dello stanziamento globale per ogni sezione funzionante, ed avente i requisiti di cui all'articolo 2, nelle scuole dei comuni con popolazione fino a 6.000 abitanti e alle scuole materne delle frazioni con unica sezione dei comuni capoluogo; b) nella misura del 25 per cento da destinare alle scuole materne dei comuni non capoluoghi di provincia con popolazione superiore a 6.000 abitanti”. Questa norma è stata modificata, abrogando ogni differenziazione tra comuni. Vedi:: Proposta di legge regionale n. 306 del 15 aprile 1997, di iniziativa dei Consiglieri Peano, Saitta, Gatti, convertita in L. R. 14 gennaio 1977, n°. 8, B. U n.3 del 22/01/97.25 Art. 3. 2., L. R. Piemonte, 6 agosto 1996 n. 61.26 Recentemente la Regione è intervenuta in materia con L. R. 15 marzo 2001, n. 5, Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 26/04/2000, n. 44. Disposizioni normative per l’attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti Locali, in attuazione del CAPO I della legge 15/03/1997, n.59”, B. U. 21 marzo 2001, 3° supplemento al N.12, CAPO IV, art.119-123, in particolare. Tale potere sembra trovare conferma nell’ art.120 (Funzioni delle Regioni) che sono di competenza delle Regioni le funzioni amministrative concernenti la determinazione degli indirizzi, modalità e attuazione degli interventi che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale in materia di: a) interventi ordinari e straordinari per il diritto allo studio, questi ultimi con particolare riguardo all’integrazione scolastica degli allievi portatori di handicap, nonché attuazione di interventi di diritto allo studio di preminente interesse regionale rivolti alla qualificazione del processo educativo; b) realizzazione dell’osservatorio sulla scolarità e anagrafe dell’edilizia scolastica; c) realizzazione del piano di riparto dei fondi statali per il programma di edilizia scolastica ed approvazione delle norme tecniche per la progettazione esecutiva degli interventi. La Regione esercita anche le funzioni amministrative delegate ai

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questo disegno si violi – tra l’altro - il principio di delega delle competenze ai Comuni in tale materia27, facendo prevalere il potere di programmazione dell’assetto del territorio ad opera della Regione, relativamente a fini di carattere generale, come quelli dell’assetto complessivo e strategico della gestione del servizio scolastico per l’infanzia rispetto, al principio di autonomia degli enti locali. E’ indubbio che un tale esautoramento del Comune da vita ad un sistema omogeneo di finanziamento su tutto il territorio regionale, creando una vera e propria rete di scuole private, con il risultato che le procedure individuate non danno la certezza che non vi saranno scuole private convenzionate e finanziate dalla Regione, anche la’ dove l’offerta pubblica è più che adeguata alle esigenze della popolazione. In tal modo la concessione di finanziamenti e la stipula di convenzioni finisce per rispondere esclusivamente al bisogno di differenziare l’offerta formativa, al fine di consentire la scelta tra la scuola statale, pluralista e aconfessionale e quella di tendenza, finanziata con risorse pubbliche. Questa scelta illiberale di politica regionale si colloca certamente al di fuori dell’ambito di competenza dell’ente, non ha nulla a che fare con l’assistenza scolastica ad essa demandata dalla Costituzione del 1948 e nemmeno con il diritto allo studio, inteso come diritto degli alunni a godere dei medesimi benefici per accedere al servizio scolastico, ma risponde piuttosto a criteri di opportunità politica e di potenziamento della rete di scuole private a gestione religiosa o scuole di tendenza presenti nella Regione, creando le condizioni per un possibile finanziamento di chi, anche in futuro, volesse intraprendere un’attività in tale settore. Siamo di fronte ad uno di quei casi nei quali la legislazione regionale prefigura e anticipa quanto previsto dalla modifica del Capo V della Costituzione la’ dove si prevede l’utilizzazione del principio di sussidiarietà nella erogazione del servizio pubblico, che solo potrebbe conferire alle disposizioni citate una sia pur flebile

sensi dell’art.138 del D. lgs. 112/98.27 All’art.122 Funzioni dei Comuni il provvedimento conferma il trasferimento a tali enti delle funzioni relative al diritto allo studio, di cui agli art.42 e 45 del decreto Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, nonché quelle relative all’edilizia scolastica riguardanti le scuola materne, elementari e medie inferiori, aventi interesse locale. Tali competenze risultano accresciute dei compiti e delle funzioni riguardanti l’istruzione fino alla secondaria inferiore, indicati nell’art. 139 del d. lgs. 112/98.

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copertura costituzionale. Insomma la norma costituzionale novellata renderebbe legittima a posteriori una norma chiaramente illegittima, in un gioco delle parti tra legislatore regionale e nazionale testimonianza dell’utilizzo di tecniche legislative tendenti al mutamento forzoso del quadro normativo e costituzionale, nell’ambito di un progetto di fatto eversivo delle istituzioni28.

I finanziamenti alle scuole materne private in Piemonte sono stati recentemente confermati dal Piano annuale della Regione per contributi ai Comuni per le scuole materne non statali. Questo Piano è diretto a concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome non statali e non dipendenti da enti locali territoriali, senza scopo di lucro, operanti nella Regione, aperte alla generalità dei cittadini e convenzionate con l’ente stesso29; a tale scopo la Regione Piemonte mette a disposizione fondi propri per la realizzazione del sistema convenzionale con le scuole private.

Va detto inoltre che dai benefici della legge 61/96, che fa riferimento alle “…scuole materne non statali e non dipendenti da Enti locali territoriali, istituite e gestite nell’ambito della normativa vigente” (ovvero alle scuole legalmente riconosciute, parificate e pareggiate), andrebbero quanto meno escluse quelle che hanno ottenuto la parità ai sensi della legge statale 10/03/2000, n.62, categoria inesistente all’epoca dell’approvazione del provvedimento. Così operando la Regione Piemonte ha separato il finanziamento alle scuole da quello delle borse di studio, assumendo tra i propri compiti quello di attuare la differenziazione dell’offerta formativa mediante finanziamenti ai gestori privati di scuole. Un tale modo di operare non può che trovare fondamento in una scelta dirigistica della Regione che mira ad un assetto uniforme del servizio scolastico nel territorio, attraverso il ricorso ad un centralismo regionale che si sostituisce al tanto criticato centralismo statale. Non sono le “forze di mercato” o i potenziali fruitori del servizio a chiedere finanziamenti per la scuola privata, ma è la Regione a creare occasioni di investimento nel settore, a fine di stimolare una offerta

28 Questa tendenza era già stata individuata nelle sue linee generali. Cfr.: G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico…cit., 164-168.29 Il Piano annuale della Regione per contributi ai Comuni per le scuole materne non statali, è allegato alla Bilancio. Cfr.: L. R. Piemonte, 18 del 23 giugno 1998 “Bilancio di previsione 1998 e pluriennale 1998-2000”, riconfermato nelle successive leggi L. R. Piemonte n. 6, 21 aprile 1999; L. R. Piemonte, n. 45, 25 luglio 2000.

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di scuole private carente o di vincere le resistenze delle comunità locali a differenziare ideologicamente il sistema scolastico, attraverso la creazione di istituti scolastici “particolari”.

A questo sistema di sovvenzione alle scuole vanno ad aggiungersi stanziamenti della Regione Piemonte per borse di studio. Considerato che la legge statale 10/03/2000, n.62 – art.1, comma 9, al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione agli alunni delle scuole statali e paritarie nell’adempimento dell’obbligo scolastico e nella frequenza della scuola secondaria, prevede l’assegnazione di borse di studio a sostegno della spesa delle famiglie per l’istruzione, a seguito della pubblicazione del D.P.C.M. 14/02/2001, n.10630, la Regione Piemonte, nel rispetto dei principi dettati dalla L. 62/2000, ha deciso di dare attuazione, attraverso i Comuni, a interventi per l’assegnazione di borse di studio, nel rispetto della normativa regionale vigente in materia di diritto allo studio.31 Il provvedimento regionale ribadisce che la Borsa di studio non è un rimborso spese, bensì un sostegno alla spesa sostenuta dalla famiglia per l’istruzione.32 Per quanto riguarda l’entità delle borse di studio la Regione determina l’importo massimo delle borse di studio erogabili dai Comuni nell’ambito dei compiti sanciti dall’autonomia scolastica, sulla base delle comunicazioni pervenute nei termini prefissati. I Comuni stessi dispongono l’assegnazione delle borse di studio di pari importo, eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione, con destinazione prioritaria alle famiglie in

30 D.P.C.M.14/02/2001, n.106, Borse di studio a sostegno delle spese delle famiglie per l’istruzione, G.U. n.84 del 10 aprile 2001.31 L’esigenza di un intervento tempestivo è dettata dal fatto le borse sono riferite ad un anno scolastico concluso e che avrebbero dovuto essere attivate le stesse procedure per l’anno scolastico 2001/2002.32 Gli aventi diritto alle borse di studio nella Regione Piemonte sono gli alunni delle scuole statali e paritarie che: hanno frequentato nell’anno scolastico 2000-2001 le scuole elementari, medie inferiori e superiori; appartengono a famiglie con situazione economica non superiore a L. 30 milioni netti annui; hanno effettivamente sostenuto, nell’anno scolastico 2000-2001 una spesa di almeno L.100.000 (tetto minimo previsto dal D.P.C.M. 106/2001), in relazione a frequenza, trasporti, mense scolastiche e sussidi scolastici, esclusi i libri di testo, già finanziati con altri provvedimenti. Vedi: Regolamento PROT. N. UFF. V/2019 del 16 luglio 2001.

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condizione di maggiore svantaggio economico33. I Comuni possono integrare l’importo assegnato con fondi propri o con i contributi annualmente erogati con il piano regionale per il diritto allo studio. I Comuni in applicazione dell’autonomia scolastica, nello spirito del regolamento citato (art.5, comma 5), possono avvalersi della collaborazione delle scuole, oltre che per la raccolta, anche per l’erogazione delle borse di studio; in alternativa i Comuni erogano le borse di studio direttamente ai beneficiari34.

Attualmente l’ampliamento delle competenze regionali attuato dal D. lgs. 112/98 e la modifica costituzionale del capo V parte seconda, hanno spinto i sostenitori del finanziamento alla scuola privata a proporre l’estensione dei benefici attualmente previsti per le suole materne private anche alle scuole private di altri gradi di scuola. L’intervento legislativo proposto dovrebbe avere “… un duplice beneficiario: da un lato, le famiglie degli allievi di scuole statali e non statali e, dall’altro, le istituzioni scolastiche statali e non statali”35. Lo strumento scelto è quello del buono scuola alle famiglie finalizzato alla copertura totale o parziale dei costi di iscrizione e frequenza e del finanziamento alle scuole per mense trasporto, e miglioramento dell’offerta formativa. La proposta presentava non poche incongruenze tanto da richiedere a cura degli estensori del progetto una riformulazione attualmente in discussione36 alla quale si contrappone una proposta tendente a dare una attuazione misurata della L. 62/200037, che individuando come esclusivi destinatari dei

33 Vedi art.5, comma 1, lettera c, e art.1, comma 3, del Regolamento del 16 Luglio 2001... cit.34 La regione attiva le azioni necessarie per il monitoraggio e il controllo sulla finalizzazione delle risorse destinate alle borse di studio, ai sensi del regolamento citato (art.5, c. 6); sarà cura dei Comuni provvedere ai controlli previsti dal D. lgs. 109/1998, secondo le prassi amministrative in atto nei Comuni stessi.35 Regione Piemonte. Relazione introduttiva alla Proposta di legge n. 252, “Interventi per garantire il diritto allo studio, la parità scolastica e la qualificazione del sistema formativo integrato”, presentata il 14 giugno 2000 dai consiglieri Sergio Deorsala e Rosa Anna Costa.36 Cfr. Regione Piemonte. La Proposta di legge 252 (nuova stesura). Interventi volti a favorire l’esercizio del diritto all’istruzione e alla libera scelta educativa.37 Proposta di legge “Misure urgenti volte a favorire il diritto allo studio nell’anno scolastico 2001/2002”, 21 settembre 2001, presentata dai consiglieri M. Contu, P. Chiezzi, R. Papandrea, G. Caracciolo, G. Tapparo,

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finanziamenti gli studenti e le famiglie frequentanti la scuola dell’obbligo, tende a circoscrivere l’intervento regionale in materia di parità scolastica, ribadendo “…L’opportunità di sottrarre alla contesa locale la controversa questione della parità scolastica, rimettendo tale questione alle competenze statali in materia di istruzione”38. La forte opposizione della minoranza nel Consiglio Regionale ha ad oggi impedito la ripresa della discussione sulle proposte di legge presentate.

3. Compiti differenziati tra Regione e Enti locali per i buoni scuola e finanziamento delle scuole private: la legislazione della Regione Veneto.

L’approvazione del D. lgs. 112/98 ha condizionato l’apertura del dibattito per la modifica della legislazione veneta sul diritto allo studio che si caratterizzava per l’esistenza di una legge regionale, la n.° 31 del 2 aprile 1985, che ad una prima lettura sembrava limitare il sostegno finanziario ai servizi per gli alunni e le famiglie, mentre da tempo finanziamenti venivano erogati direttamente alle scuole da numerosi Comuni - come quello di Verona – che sulla base di convenzioni non solo con scuole materne, ma anche elementari, medie e medie superiori 39. Questa attività dei Comuni, spesso sconosciuta al di fuori dell’ambito cittadino, si è sviluppata a fronte di una opposizione delle componenti laiche della società veneta che, prive di una efficace rappresentanza delle loro istanze a livello politico, hanno cercato di contrastare con poca fortuna, attraverso ricorsi amministrativi, uno straripamento di competenze da parte degli Enti locali, che hanno operato per molti anni senza il bisogno, come è avvenuto in altre Regioni, di una legge regionale che consentisse esplicitamente l’erogazione di finanziamenti40. D’altra parte la natura amministrativa del provvedimento convenzionale con il quale venivano erogati i finanziamenti ha aumentato le difficoltà di

M. Suino, E. Moriconi.38 Introduzione a Proposta di legge “Misure urgenti…cit.39 G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., 180-187; sito: FEIR.giuri.unibo.it, voce convenzioni.40 La L. R. Veneto, n.° 31 del 2 aprile 1985 non prevede – anche se non li esclude – finanziamenti alle scuole private,

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impugnazione in sede giurisdizionale di tali provvedimenti, dando luogo al rigetto, da parte del TAR Veneto, dell’azione proposta da partiti e associazioni per carenza di interesse ad agire41.

Il protrarsi nel tempo del finanziamento, gli sviluppi della legislazione regionale e nazionale in materia hanno spinto anche il Consiglio regionale del Veneto a formalizzare in una norma legislativa la concessione di finanziamenti regionali agli alunni e alle scuole private. L’ultima fase del dibattito ha avuto inizio nel 1999 con la presentazione di un progetto di legge contenente norme relative al finanziamento della scuola non statale, gestita sia da enti pubblici che dai privati42. Nella relazione che precede il progetto i proponenti si cimentano – utilizzando un italiano incerto - in una originale lettura del dettato costituzionale, sostenendo che con "Equipollenza di trattamento scolastico si intende su tutti gli aspetti della vita scolastica, compresi quelli economici, proprio perché la Costituzione non ne esclude nessuno".[…] "Onere significa che nessuno può obbligare lo Stato a erigere scuole non statali; nel contempo Stato e Regioni, possono decidere di sostenere le scuole esistenti, o agevolare i genitori nel compito costituzionale e civile di educare i propri figli". Da tale lettura della norma costituzionale si

41 Si cita, ad esempio, la delibera del Comune di Padova del 21 luglio 1997 n. 136, relativa al Programma di interventi in attuazione della normativa regionale in materia di diritto allo studio per l’anno scolastico 1997/98 con la quale si destinavano risorse alle scuole private, affidando l’individuazione dei criteri di suddivisione degli stanziamenti ad una commissione “composta dal Dirigente e da un funzionario responsabile pedagogico del Settore Servizi Scolastici, da un rappresentante dell’Agesc e da uno della Fidae”. Tale ricorso è stato giudicato inammissibile dal TAR Veneto per difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti, il Comitato scuola e Costituzione, il Coordinamento Genitori Democratici, il Sindacato Scuola CGIL di Padova e alcuni genitori di alunni delle scuole pubbliche e private di Padova, queste ultime non ammesse ai finanziamenti, perché scuole private non aderenti alle associazioni Agesc e Fidae. Cfr.: TAR Veneto, Sez. II, Sentenza n. 2479, 20 dic. 1999 42 M. Rossi, U. Bergamo, N. Qualarsa, L. Pasqualetto, V. Mazzon, R. Casarin, R. Marangon, C. Costanzio, O. De Boni, Interventi per la scuola non statale (Comunale, legalmente riconosciuta, parificata, autorizzata) avente sede e attività nella Regione Veneto, Proposta di legge, 9 gennaio 1999, Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto. Sul punto: G. Cimbalo, Ora anche il Veneto vuol farsi la sua legge, “Il Manifesto”, 2 febb. 1999.

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fa discendere il diritto al finanziamento pubblico per la scuola privata. Inoltre per i proponenti del disegno di legge "Entrando in Europa è venuta ulteriormente a maturarsi non solo l'esigenza di riformare lo Stato, ma anche di rivedere alcune impostazioni e concezioni che mirano a limitare la libertà di educazione". La proposta di legge non prende a pretesto nemmeno la creazione di un sistema integrato pubblico-privato e si limita a enumerare i capitoli di spesa della legge Finanziaria che, accantonano risorse per la scuola privata, prospettando i criteri per distribuire a quelle private, operanti nella Regione, la quota parte di tali risorse che lo Stato dovrà destinare al Veneto. "La Regione Veneto ha quindi il compito di recepire ulteriormente quanto normato dallo Stato…". Questa scelta, secondo i proponenti, è resa necessaria dall'alto numero dei bambini e dei giovani che frequentano le scuole private nella Regione, tutte gestite da istituti associati alla FISM e alla FIDAEM, ossia ad associazioni cattoliche. Oggi queste scuole versano in una “grave situazione economica”. Non finanziarle sarebbe “insano” perché lo Stato dovrebbe intervenire con scuole proprie e una maggiore spesa. La proposta di legge prevede una spesa su fondi della Regione Veneto di 5 miliardi. Tale somma, apparentemente modesta, andrebbe però ad aggiungersi a quelle già previste sotto varie voci per la scuola materna e gli asili nido, il cui importo è stato nel 1998 di 125 miliardi.

La settima legislatura regionale si apre con un progetto che intende porre sullo stesso piano scuola pubblica e scuola privata, considerando il diritto allo studio come attuazione del diritto di scelta di quale scuola frequentare: “pubblica o privata, confessionale o pluralista libera”43. Gli interventi riguardano le famiglie e gli alunni ai quali è destinato il buono scuola e le scuole private, purché senza fini di lucro. La proposta si caratterizza per la valorizzazione del rapporto con le famiglie e con le associazioni di rappresentanza delle scuole private; per il resto ricalca lo standard ormai previsto da tutte le proposte in materia e cerca di anticipare la proposta della Giunta44,

43 Brachetto, Piccolo, Qualarsa, Tesserin, Interventi per garantire il diritto allo studio, la parità scolastica e la qualificazione del sistema formativo integrato. Proposta di legge, n° 18, 7 giugno 2000, Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto.44 Interventi per garantire il diritto allo studio, la parità scolastica e la qualificazione del sistema scolastico e formativo. Disegno di legge n. 26, 10 luglio 2000, Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto.

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la quale si presenta come più organica e finalizzata a recuperare l'elaborazione del Consiglio regionale nella precedente legislatura45. Sono previsti i buoni scuola destinati alle famiglie, oltre che i finanziamenti diretti alle scuole senza fini di lucro. Il rapporto con famiglie e associazioni viene reso stabile e continuativo mediante l'istituzione di una apposita Commissione per il Diritto allo studio, all'interno della quale sono rappresentati soggetti pubblici e privati; non viene recuperata la proposta di estensione dei prestiti d'onore agli alunni delle scuole materne e dell'obbligo, contenuta in un disegno di legge presentato ad apertura della legislatura46.

Di grande interesse appare un disegno di legge elaborato nell'ambito del centro sinistra che testimonia del grande sovvertimento di valori in atto in questa area politica. Il provvedimento proposto ha come fine la valorizzazione della scuola cattolica, il riconoscimento del ruolo culturale del cristianesimo in rapporto all'identità veneta47. Da ciò consegue, per i proponenti, che bisogna operare per arricchire l'offerta formativa, favorendo lo sviluppo della scuola particolare, soprattutto cattolica, per far si che "Ogni istituto, grazie anche all'apporto delle famiglie, potrebbe diventare così, una comunità capace di mediare tra l'individuo e lo Stato, nella logica della sussidiarietà"48. La proposta di legge sostiene, inoltre, la completa apertura al mercato in un’ottica che, volendo essere neoliberista, in effetti è assistenzialista, prova ne sia che il finanziamento viene consentito anche verso le scuole che hanno fini di lucro, inserendo elementi di turbativa del mercato dell’offerta scolastica. Una così grande “apertura” verso la scuola privata non può che culminare nel far propria la proposta di erogazione del buono scuola.

45 Si vedano Progetti di legge n. 518, n. 240, n. 489, n. 538, presentati nel corso della VI legislatura., Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto. 46 Consigliere Galante, Prestiti d'onore per studenti non universitari, istituzione del fondo di dotazione. Proposta n. 6 del 29 maggio 2000, Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto.47 Campagner, Adami, Cacciari, Franchetto, Frigo, Mainardi, Micheletto, Miotto, Trento e Variati, Interventi per garantire il diritto allo studio, la parità scolastica, la qualificazione del sistema scolastico e formativo integrato, l'istituzione del buono scuola e del "prestito d'onore" e per la lotta alla dispersione scolastica. Progetto di legge n. 54, 19 sett. 2000. Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto.48 Ibidem

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Si attesta invece su una sobria applicazione della legge nazionale di parità un disegno di legge49 che vorrebbe rappresentare il punto di vista laico nella soluzione del problema e che finisce per scegliere un coinvolgimento di basso profilo delle scuole private e puntare allo sviluppo della rete scolastica e dell'offerta scolastica complessiva e alla sua qualificazione.

Questo confronto di posizioni sfocia nell’approvazione di una legge di appena 6 articoli, sul modello di quella varata dalla Lombardia50. Gli interventi sono a favore delle famiglie degli alunni del sistema scolastico d'istruzione; per garantire "il diritto all'accesso ed alla frequenza, la parità nell'accesso e nella frequenza e per promuovere il successo formativo" (art. 2), la Regione interviene mediante buoni scuola destinati agli alunni e alle loro famiglie. I buoni scuola sono destinati a totale o parziale copertura delle spese effettivamente sostenute, a partire da quelle d'iscrizione, di acquisto di testi e sussidi scolastici, di frequenza e di sostegno dei disabili. La legge, individua i destinatari, fissa norme transitorie per la sua applicazione51. Fatto riferimento alle norme statali per calcolare il reddito degli aventi diritto52 viene fissato – mediante un successivo regolamento - in più di trecento mila delle vecchie lire le spese

49 Costantini, Zanonato, Campion, Gallo, Marchese, Rizzato, Tiozzo e Welponer, Norme per il diritto all'istruzione e la qualificazione del sistema scolastico e formativo. Progetto di legge n. 60, 4 ottobre 2000, Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto.50Legge Regionale 19 gennaio 2001, n. 1, Interventi a favore delle famiglie degli alunni delle scuole statali e paritarie. B.U.R. 8/2001. 51 Art. 3 – Destinatari. 1. Sono destinatari degli interventi previsti dalla presente legge le famiglie degli studenti residenti nel territorio regionale frequentanti le scuole statali e paritarie private e degli enti locali, nell'adempimento dell'obbligo scolastico e nella successiva frequenza alla scuola secondaria. 2. Fino alla definizione del percorso triennale per la parificazione delle scuole di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, sono destinatari degli interventi previsti dalla presente legge le famiglie degli alunni residenti nel territorio regionale, frequentanti le scuole statali e non statali che siano legalmente riconosciute, paritarie, parificate, autorizzate, atte a garantire l'adempimento dell'obbligo scolastico e la successiva frequenza della scuola secondaria superiore. L. R. 19 gennaio 2001, n. 1.52 Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 "Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449".

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scolastiche complessive che bisogna aver sostenuto per accedere ai benefici della legge. Si stabilisce infine che "Gli interventi di cui alla presente legge sono integrativi e complementari a quelli previsti in materia dalla vigente normativa statale e regionale"53.

Con questo provvedimento assume vigore la linea di politica legislativa tendente ad integrare con fondi regionali propri quelli messi a disposizione dalla legge nazionale sulla parità, rivendicando la collocazione della materia nell’ambito della legislazione concorrente, affermando ancora una volta il ruolo propulsivo delle Regioni in questo delicato settore. L’espansione della rete di scuole private continua ad essere assicurata dal ricorso al sistema convenzionale ad opera dei Comuni, sistema che sfugge alla programmazione regionale e appare perciò meno vulnerabile. La tutela giurisdizionale, in questo caso, non può che esercitarsi attraverso l’impugnazione dell’atto amministrativo adottato dal singolo Comune, sempre a condizione che il giudice adito riconosca l’esistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti.

Benché le scelte dell’esecutivo regionale vengano oggi confermate e rafforzate dalla modifica del Capo V della Costituzione, del quale la legislazione regionale citata risulta anticipatrice nel ricorso alla sussidiarietà orizzontale, in palese violazione con l’art. 33, II, III e IV comma della Costituzione54, i sostenitori della laicità della scuola sono riusciti a raccogliere più

53 La norma finale indica la copertura finanziaria della legge. L'art. 6 L. R. 19 gennaio 2001, n. 1 stabilisce tra l'altro che "2. Contestualmente nello stato di previsione della spesa per l'esercizio 2001 del bilancio pluriennale 2000-2002 viene istituito il capitolo n. 61516, denominato "Interventi per garantire la parità scolastica a favore delle famiglie degli alunni frequentanti il sistema scolastico di istruzione".54 Gli articoli 116, 117 e 118 del testo rinnovellato vanno comunque letti nel combinato disposto con l’art. 33 della Costituzione. Pertanto riesce difficile sostenere la legittimità di sistemi integrati pubblico-privato per ciò che attiene il servizio scolastico, settore per il quale la Repubblica si è riservata una propria esclusiva competenza che sola può garantire ai pubblici poteri la possibilità di utilizzare il sistema scolastico per l’attuazione dell’art. 3 della Costituzione, promovendo uguaglianza, libertà, pluralismo, tolleranza e laicità.

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delle 30.000 firme necessarie a sottoporre la legge al vaglio di referendum popolare abrogativo55.

Di particolare interesse le procedure per giungere a questo risultato: la richiesta di referendum abrogativo dell’intera legge è stata presa in esame in data 11 aprile 200256 della Commissione regionale per il referendum che ha riconosciuto – a differenza di quanto avvenuto in Emilia-Romagna - la ritualità della proposta, prendendo atto della positiva conclusione dei lavori di una Commissione nominata dalla Corte d’Appello che aveva verificato la validità delle firme raccolte. Successivamente, con deliberazione n. 27 del 13 giugno 200257 è stata dichiarata l’ammissibilità del referendum abrogativo della L. R. 19 genn 2001, n. 1, indetto per il 6 ottobre, con Decreto del Presidente della Giunta regionale58, non senza critiche e polemiche espresse dalla maggioranza del Consiglio regionale nel dibattito in aula.

Nel contempo il TAR Veneto ha rigettato una richiesta di sospensione dell’esecuzione della decisione della Commissione regionale per il referendum, della deliberazione n. 27/2002 del Consiglio regionale veneto, e del Decreto della Giunta regionale che indice il referendum.59 La richiesta, presentata da alcuni genitori di alunni di scuole paritarie, è stata giudicata inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione, perché “… non può essere riconosciuta consistenza né di diritto soggettivo né di interesse legittimo, come tali tutelabili in sede giurisdizionale, alla posizione di soggetti i quali

55 Il Comitato promotore del referendum è stato costituito dal Comitato Scuola e Costituzione, dal Comitato per la Scuola della Repubblica, dal Coordinamento Genitori Democratici, dal Prc, dai Ds, dai Verdi, dal Pdci, dai Cobas, dai Cub, dalle Rdb, da Lavoro Società Cambiare Rotta area programmatica Cgil e da altri soggetti sociali.56 La commissione era stata nominata con DPGR n. 143, 4 marzo 2002.57 Cfr. B.U.R. Veneto, 2 luglio 2002, n. 65.58 Decreto n. 776, 16 luglio 2002 “Indizione del referendum regionale per l’abrogazione della legge regionale 19 gennaio 2001, n. 1, concernente “Interventi a favore delle famiglie degli alunni delle scuole statali e paritarie”.59 Vedi: TA R Veneto, Ordinanza n. 200200631 del 5 sett. 2002

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eventualmente pretendano di avere un interesse contrario all’abrogazione della legge regionale, …”60.

Le popolazioni del Veneto non sono state così private del diritto di far sentire la loro voce attraverso gli strumenti della democrazia diretta61 e va dato atto alla maggioranza del Consiglio regionale del Veneto di non aver varato nuove leggi al fine di far decadere – come in Emilia Romagna – la richiesta referendaria.

4. L’effetto di risonanza di norme autoriprodotte come strumento di condizionamento del legislatore nazionale: La legislazione della Regione Emilia-Romagna.

Come è noto la prima Regione a rivendicare legislativamente competenze concorrenti in materia di parità scolastica è stata l’Emilia

60 Ribadito che tutti gli atti del procedimento relativo al referendum abrogativo della legge regionale costituiscono espressione della funzione legislativa propria del procedimento medesimo”, i giudici hanno concluso che “… nell’esercizio del potere legislativo nella forma del referendum abrogativo assumono rilevanza, e quindi possibilità di tutela giurisdizionale, soltanto le posizioni di soggetti ai quali la disciplina legislativa in materia di referendum attribuisce specifiche funzioni…” TAR Veneto, Ordinanza n. 200200631…cit. Non trovano invece alcuna tutela soggetti estranei al procedimento referendario. In tal senso Cass., Sezioni Unite, 16 dic. 1987, n. 9306, 19 febb. 1983, n. 1292 e 6 giugno 1994, n. 5490.61 L’indizione del referendum ha fatto chiarezza all’interno degli schieramenti politici. Mentre comitati per la laicità della scuola e partiti della sinistra si sono dimostrati concordi nel promuovere la consultazione referendaria, la lista “insieme per il Veneto – la Margherita” si è schierata a sostegno della legge. Da segnalare che il confronto referendario ha visto scendere per la prima volta ufficialmente in campo l’Opus Dei, mentre i radicali si sono schierati a favore della scuola confessionale.Il confronto referendario ha potuto aver luogo poiché la legge regionale veneta in materia di referendum fissa la data di svolgimento del referendum nel mese di ottobre dell’anno nel quale la richiesta viene formulata e non sono possibili – come in Emilia Romagna - continui spostamenti di data. Inoltre la Commissione per il referendum – a differenza di quanto avviene in Emilia Romagna - non è di natura “domestica”.

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Romagna62, varando la L. R. 52/9563 con la quale si dava vita ad un sistema scolastico integrato pubblico-privato delle scuole dell’infanzia. Questo “sistema” veniva finanziato dalla Regione attraverso rapporti con gli operatori privati del settore, regolati sulla base di convenzioni riconducibili ad un modello-tipo, elaborato in ambito regionale sulla base di un protocollo di intesa siglato con la FISM64. Così facendo si operava una palese violazione del dettato costituzionale, travalicando le competenze regionali, violando il divieto di finanziamento della scuola privata sancito dall’art. 33 della Costituzione. Il provvedimento – approvato a larga maggioranza dal Consiglio Regionale - sollevava notevoli resistenze nella società civile, tanto che la legge veniva impugnata davanti alla Corte Costituzionale65 e venivano raccolte e depositate 60 mila firme di

62 G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., 69 ss.; R. Botta, Il finanziamento "pubblico" della scuola privata …cit., 545 ss.63 L.R. 24 aprile 1995, n.52, Diritto allo studio e qualificazione del sistema integrato pubblico- privato delle scuole dell’infanzia. Integrazioni alla L.R. 25 gennaio 1983, n. 6, Diritto allo studio. La legge creava un sistema integrato di scuole dell’infanzia che tendeva a un progressivo coordinamento delle scuole sia pubbliche che private (art.2) e disponeva il sostegno finanziario ai Comuni che avessero attivato “convenzioni finalizzate alla qualificazione e al sostegno delle scuole dell’infanzia gestite da enti, associazioni fondazioni, cooperative, senza fine di lucro”(art.3). Tali somme venivano ripartite tra i Comuni che avevano stipulato convenzioni che prevedevano sia oneri relativi alle spese correnti delle scuole convenzionate che a quelle di investimento.64 G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., 81-100. ID., La questione della parità scolastica nell’analisi dottrinaria del 1999. Brevi note critiche, “QDPE”, 2000/2, 415-428; F. Botti., Sulla natura giuridica dei protocolli di intesa. Per la stipula di convenzioni tra Enti pubblici e privati gestori di scuole religiosamente caratterizzate, in Europa delle regioni e confessioni religiose. Leggi e provvedimenti regionali di interesse ecclesiastico in Italia e Spagna, a cura di G. Cimbalo, Torino 2001, 193-224.65 Ad impugnare la legge davanti al TAR dell’Emilia Romagna provvedevano il Comitato bolognese “Scuola e Costituzione”, la Chiesa Evangelica Metodista di Bologna, la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno di Bologna, la Comunità Ebraica di Bologna. Il TAR dell’Emilia Romagna sollevava questione di legittimità costituzionale e la Consulta si pronunciava una prima volta con sentenza n.67/98. Sul punto: La scuola tra servizio pubblico ….cit., 69 ss.; P. Caretti, Brevi osservazioni su una “mancata” sentenza della Corte in materia di rapporti tra pubblico

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cittadini che chiedevano di sottoporre la legge a referendum abrogativo66. Con sentenza n. 67/98 la Corte Costituzionale dichiarava inammissibile per difetto di rilevanza la questione di costituzionalità, ma il TAR dell’Emilia Romagna, approfondendo le motivazioni della sua precedente ordinanza, rinviava ancora una volta la questione all’esame della Corte67.

Intanto, nella speranza di attenuare le proteste popolari e di arginare l’azione referendaria, la Regione varava la L. R. n.10 del 25 maggio 1999, che manteneva tuttavia l’impianto della legge

e privato nel settore della scuola, in Le Regioni, 1998, 1354-1356; F. Rimoli, Scuole private e pubblici finanziamenti: la Corte prende tempo, in Giur. Cost., 1998, 705-706; F. Donati, Pubblico e privato nel sistema di istruzione scolastica, in Le Regioni, 1999, 552-553. M. C., Folliero, Finanziamenti alla scuola privata: la scorciatoia delle regioni e la via maestra (?) del Parlamento. La Corte dice ni all'esperimento della regione Emilia-Romagna, "Dir. Eccl." 1998, II, 492-507; P. Cavana, Contributi alle scuole non statali e nuovi poteri delle regioni (D. lgs. n. 112/1998) "Dir. fam. e delle per.", 1998 1333 e ss.66 A richiedere il referendum abrogativo erano, oltre ai Comitati e alle confessioni che avevano impugnato la legge davanti al TAR Emilia-Romagna, la Uil scuola. Il Consiglio regionale procrastinava tuttavia la consultazione referendaria con vari pretesti fino all’autunno 2001. Nel primo anno di applicazione sono stati erogati contributi a 6772 studenti, per un totale di 3.6 miliardi; nel secondo anno 11274 assegni di studio a ragazzi che frequentano le scuole superiori pubbliche e private dell’Emilia Romagna, per un importo complessivo di oltre 16 miliardi. Anche l’importo medio dell’assegno, diverso da provincia a provincia, è cresciuto di circa il 50%, raggiungendo le 1.300.000 lire nelle scuole pubbliche (l’anno precedente era stato di 865.000lire), le 1.900.000 lire in quelle private. I beneficiari dell’assegno sono iscritti per il 95% alla scuola pubblica e per il rimanente 5% alla scuola privata: una percentuale che rispecchia il numero di iscrizioni a questi due tipi di scuola. Nell’anno 2000 (secondo anno di applicazione della legge) a seguito di un finanziamento straordinario nazionale previsto dalla legge 62/2000, sono state assegnate delle Borse di studio anche agli studenti che frequentano la scuola dell’obbligo (fino a 250.000 lire alle elementari, fino a 500.000 lire alle medie). Oltre ai 19 miliardi di assegni e borse di studio, la Regione ha erogato nel 2000 17,5 miliardi per servizi (mensa, trasporti) e progetti di qualificazione.67 F. Botti, Commento alla sentenza 24 aprile 2000 del TAR Emilia Romagna, “Il Diritto Ecclesiastico”, IV, 2000, 409-415.

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precedente68. La presenza della richiesta referendaria, della quale peraltro si dilazionavano artatamente i tempi di svolgimento69 e l’ulteriore esame richiesto alla Corte Costituzionale dal TAR Emilia-Romagna70, spingevano la Regione ad un ulteriore intervento legislativo71.

La nuova legge – nelle intenzioni della Giunta - mirava a disinnescare il referendum abrogativo richiesto da 60 mila firme72, indurre la Corte Costituzionale a non pronunciarsi nel merito delle questioni di costituzionalità poste dal TAR Emilia-Romagna a

68 Cfr.: G. Cimbalo, Un pesante silenzio del governo, “Il Manifesto”, 17 genn. 1999. Intanto il Commissario del Governo dell’Emilia-Romagna, con nota 74/4.1.10.C.G. del 20 genn. 1999, sollevava rilievi sulla legge regionale accolti dal Consiglio dei Ministri. In particolare il governo affermava che la Regione poteva intervenire in materia “…solo nei limiti delle specifiche deleghe loro [alle Regioni] attribuite del D. lgs. 112/98, dopo l’approvazione del relativo regolamento” in quanto “In particolare, la materia della parità scolastica, che attiene agli ordinamenti dell’istruzione, è riservata alla competenza normativa statale”. Vedi: Nota, Presidenza Consiglio dei Ministri, Dipartimento Affari Regionali, Rif. 200/1277/ER 80/01.8 del 12 febb. 1999.69 La Regione non solo provvedeva ad una modifica della legge regionale sul referendum, mentre era in corso la raccolta di firme ma dilazionava i tempi di indizione del referendum. Per sostenere la propria posizione richiedeva l’11 luglio 2000 il parere del Consiglio di Stato. Cfr.: Richiesta di parere in ordine all’indizione del referendum abrogativo della legge regionale 25.5.1999, n. 10. Regione Emilia Romagna, Presidenza Giunta, Prot. 13175, 11 luglio 2000. Il Consiglio di Stato accoglieva le tesi della Giunta regionale. Cfr.: Consiglio di Stato, sez. I, 10 luglio 2000, Parere 742/20070 TAR Emilia-Romagna, Sez. II, Ordinanza 20 dicembre 1999 - 21 aprile 2000, n. 1/2000. Sulla questione la Corte Costituzionale si è pronunciata in data 6 novembre 2001 con Ordinanza n. 346 ribadendo i contenuti della sua precedente pronuncia e considerando “…esaurito il correlativo potere decisorio del giudice [del TAR Emilia-Romagna], con la conseguenza - ora come allora - della manifesta inammissibilità, per irrilevanza, della questione di costituzionalità”. In tal modo, ancora una volta le Corte si è sottratta alla richiesta di pronunciarsi nel merito della questione posta e ha liquidato i dubbi di legittimità sollevati dal TAR Emilia-Romagna come “meri rilievi critici” alla sua precedente ordinanza.71 L. R. Emilia Romagna n. 26/2001, “Diritto allo studio ed all’apprendimento per tutta la vita. Abrogazione della L. R. 25 maggio 1999, n. 10”.

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seguito dell’abrogazione della legge sottoposta all’esame della Consulta, semplificare la gestione dei rimborsi (21 mila assegni)73.

Ad avviso del legislatore regionale, dichiarando abrogata già nel titolo della nuova legge quella precedente, sarebbe venuta meno la richiesta referendaria. Tuttavia, una volta che il quesito referendario è stato formulato e giudicato ammissibile, occorre che le nuove norme non contengano sotto altra forma quelle precedenti, altrimenti risulterebbe vanificato nei fatti il quesito referendario. Ciò è quanto avviene invece con la nuova legge regionale che all’art. 1, facendo riferimento alla legge nazionale 62/2000, ripropone sotto altra forma l’integrazione tra scuola pubblica e scuola privata, con riferimento al sistema scolastico nazionale, che per come viene inteso dalla legge regionale risulta essere equivalente al sistema integrato previsto nella precedente normativa regionale74. Si impedisce così agli elettori di pronunciarsi su una questione che era chiaramente posta nella sintesi del quesito referendario75.

Inoltre nelle previsioni della nuova legge fa parte del sistema scolastico la scuola per l’infanzia, mentre proprio la Regione Emilia-

72 Cfr.: L. R. Emilia-Romagna, 22 novembre 1999, n. 34, artt. 24 e 25 in particolare.73 La precedente normativa rimborsava alle famiglie più disagiate alcune spese scolastiche suddivise per capitoli. La retta e l’iscrizione erano uno di questi, insieme ai libri, ai sussidi didattici, ai computer, alle gite di studio e ai corsi di sostegno. Questo meccanismo faceva si che fosse molto più facile per i frequentatori delle scuole private accedere ai rimborsi perché bastava presentare il conto delle rette per anno scolastico. In effetti le famiglie con figli nelle scuole private hanno goduto di un assegno medio di 1.9 milioni (massimo previsto 2), mentre, a parità di reddito, le famiglie con i figli nelle scuole pubbliche hanno percepito un assegno medio di 1,3 milioni. L. R. Emilia-Romagna, 25 maggio 1999, n. 1074 Secondo l’art. 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, infatti, “il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”.75 La sintesi del quesito referendario che è stata ritenuta esaustiva, chiara e coerente dalla Commissione per i procedimenti referendari in sede di verifica di ammissibilità, ai sensi dell’art. 15, comma 1 (spec. lett. d), della L. R. Emilia-Romagna n. 34 del 1999, è la seguente: Volete voi abrogare le parti della legge che introducono sia il coordinamento e l’integrazione fra le offerte educative statali e non statali, sia il finanziamento delle scuole non statali in modo diretto e indiretto?”.

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Romagna, in difesa dei suoi provvedimenti legislativi - sia davanti al TAR Emilia Romagna che davanti alla Consulta - ha sempre sostenuto pervicacemente, per legittimare il suo diritto a legiferare, che quella per l’infanzia non è scuola, bensì un servizio sociale76! Nella legge attualmente vigente invece il finanziamento indiretto delle scuole private per l’infanzia è previsto e si realizza delegando le competenze per tali scuole a Province e Comuni, che dovranno attribuire le risorse che gestiscono sulla base di progetti di qualificazione presentati dalle scuole private e per l’acquisto di attrezzature77. La legge detta poi le norme relative alla concessione di

76 Le tesi sviluppate dalla Regione esclusivamente davanti ai giudici amministrativi e costituzionali non trovano riscontro nel dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge. Cfr.: G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., 100-107. Esse poggiano sull’assunto che è scuola solo quella che è obbligatoria. E’ del tutto evidente che se tale assunto fosse vero non sarebbe scuola nemmeno quella successiva all’espletamento dell’obbligo scolastico. Si sostiene inoltre che non vi sarebbe stata scuola pubblica per l’infanzia prima della L. 444/1968, mentre è noto a tutti che l’intervento statale in questo settore inizia con la creazione dell’ESMaS mediante la L. 901/1942. Cfr.: G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit. 137-141. Vale poi la pena segnalare che l’art. 9 dell’accordo di Villa Madama prevede l’insegnamento della religione cattolica in tutte le scuole a partire da quella materna e che tale posizione è confermata dall’art. 5 del protocollo addizionale. Da queste sintetiche osservazioni emerge con chiarezza l’infondatezza di tale tesi.77 L’art. 1.4 riconferma l’art. 1.2.a della legge n. 10 dell’Emilia-Romagna, prevedendo la partecipazione paritaria delle scuole private alla programmazione degli interventi e l’ambizione regionale di istituire il coordinamento fra le Istituzioni scolastiche statali e le scuole private. L’art. 3. 4. a) della L. 26, che fa riferimento ai progetti di cui all’art. 3. 1. b), riconferma l’impostazione dell’art. 2.2.a della L. 10, del quale si vuole sottoporre ad abrogazione la fornitura di attrezzature e strumenti didattici, finalizzati alla qualificazione delle scuole non statali. La nuova legge conferma la messa a disposizione di materiale didattico, computer e altro, per sostenere progetti di sperimentazione in ambito didattico delle scuole private. E’ da rilevare la riconfermata ambizione di intervenire sull’autonomia didattica degli istituti, che vedranno i loro progetti di sperimentazione didattica valutati da funzionari provinciali e non statali. L’art. 3. 4. c) è quello più esplicito nel confermare i finanziamenti diretti alle scuole. Esso deve essere raffrontato non tanto con l’art. 2.2.d della L.10, ma con l’art. 10. 4 commi d), e), soggetti ad abrogazione, dove si esplicitano i finanziamenti a favore delle materne private. La nuova

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borse di studio di pari importo ad alunni delle scuole sia pubbliche che private ed elimina, per i percettori di redditi inferiori a 30 milioni, l’obbligo di documentare le spese sostenute, a vantaggio degli studenti che potranno ricevere i contributi già all’inizio dell’anno scolastico78. Questa semplificazione delle procedure gestionali e amministrative è uno dei criteri di fondo che attraversa l’intero progetto di legge, alleggerendo anche i lavori di Comuni e Province delegati a gestire e a erogare materialmente i contributi79. La legge regionale non interviene sulla possibilità per i Comuni di stipulare convenzioni con le scuole private, lasciando apparentemente questo campo non disciplinato da specifiche norme.

Per quanto la L. R. Emilia-Romagna n. 26/2001, del 25 luglio 2001 non soddisfi i quesiti referendari, tuttavia essa sembrerebbe rappresentare, almeno formalmente, una sconfessione della politica legislativa precedentemente seguita dalla Giunta regionale, soprattutto la’ dove non fa riferimento esplicito al sistema integrato pubblico-privato e dove non prevede alcunché relativamente alle convenzioni dei comuni con i privati concernenti le scuole per l’infanzia.

Invece l’attuale legge può permettersi queste omissioni poiché gli stessi obiettivi che si proponeva la legislazione abrogata oggi

formulazione conferma i finanziamenti per la qualificazione delle scuole e per la formazione e aggiornamento del personale. L’art. 4 risponde pienamente al quesito nel comma 2, mentre nel comma 3 si ripropone il riferimento alle spese per l’istruzione di cui all’art. 12, comma 5, introducendo in più una distinzione nelle modalità erogative delle borse a seconda del reddito, che non compariva precedentemente. Cfr.: L. R. Emilia-Romagna n. 26/2001, del 25 luglio 2001.78 La nuova legge prevede che venga erogata una borsa di studio, al posto degli assegni di studio, alle famiglie divise in due scaglioni: chi percepisce un reddito famigliare fino a 30 milioni (assegno del massimo importo) e chi ne percepisce uno fino a 60 milioni. Un altro parametro è costituito dal grado di scuola (elementare, media o superiore). Si calcola che le somme corrisposte saranno nell’ordine di 250.000 lire per le scuole elementari, 500.000 lire per le medie e 2.000.000 per le superiori. Cfr.: L. R. Emilia-Romagna n. 26/2001, del 25 luglio 2001.79 Per le dichiarazioni rese all’indomani dell’approvazione della legge, vedi: V. Varesi, “Sono superate le discriminanti tra pubblico e privato” la Regione ha riscritto la legge Rivola con correzioni sostanziali che disinnescano il referendum abrogativo. Diritto allo studio rivoluzionato, in www.regione.emilia-romagna.it/.

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vengono conseguiti attraverso differenti strumenti legislativi e amministrativi, che sono in essere anche grazie alla precedente politica legislativa della Regione Emilia-Romagna. E’ infatti oggi in vigore una legge nazionale sulla parità che copre normativamente, sia l’inserimento delle scuole private nell’ambito del sistema nazionale di istruzione che, se non è nel nome un sistema integrato di istruzione pubblico-privato, tale è nei fatti, sia il ricorso al sistema delle convenzioni, i cui contenuti sono dettati dalla legge nazionale sulla parità che ne elenca le clausole possibili.

Suona pertanto oggi profetica quella dichiarazione del Presidente pro-tempore della Regione Emilia Romagna che all’indomani dell’approvazione della legge Regionale 52/95 ebbe a dire che la Regione avrebbe fatto da “pesce-pilota” per l’emanazione di una legge nazionale sulla parità80. Certo si è trattato di una “operazione politica” che ha utilizzato una tecnica legislativa ed amministrativa discutibile sotto il profilo del rispetto della legalità e della legittimità costituzionale e che fa capire quanto flebili possano essere il rispetto della legalità e le garanzie costituzionali in una fase politica nella quale il potere dell’esecutivo attenua, fino ad annullarlo, sia quello parlamentare che quello costituzionale.

Un’attenta valutazione della tecnica legislativa utilizzata in questa vicenda e il rispetto della democrazia sostanziale avrebbero forse dovuto consigliare la Commissione per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare regionale chiamata a valutare se la nuova legge dell’Emilia-Romagna rende superato il quesito del referendum regionale, a giudicare non soddisfatti i quesiti referendari, permettendo finalmente agli elettori di esprimersi81. Ma tale sensibilità non ha contraddistinto l’operato della maggioranza

80 G. Cimbalo, Emilia-Romagna, il pesce pilota, “Il Manifesto”, 10 genn. 1999, 14.81 Ai sensi art. 25, c. 3 della L. R. Emilia-Romagna 34/99 la Commissione per i procedimenti referendari avrebbe dovuto compiere una duplice valutazione: giudicare, in primo luogo, se la nuova normativa abbia modificato “i princìpi ispiratori della complessiva disciplina preesistente”; stabilire, in secondo luogo, se risultino modificati “i contenuti essenziali dei singoli precetti”. Così non è avvenuto cfr.: Commissione per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare, Parere per i procedimenti referendari e d’iniziativa popolare, in ordine allo svolgimento del referendum per l’abrogazione parziale della l. r. n. 10 1999 – Applicazione c. 3, art, 25, l.r. n. 34/1999. Deliberazione n. 1 /01, 10 sett. 2001.

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della Commissione82 che si è dimostrata incapace di una lettura d’insieme dell’evoluzione del quadro legislativo e di una interpretazione penetrante dell’attuale testo della legge regionale che avrebbe dovuto essere letto integrandolo con la legislazione che esso richiama – la legge nazionale 62/2000, per valutare la sussistenza della validità dei quesiti referendari. Ma la Commissione non è riuscita, come dimostra l’estrema inconsistenza giuridica delle ragioni addotte a motivazione delle sue decisioni, a distaccarsi dal mandato politico che discende dai criteri adottati per la sua costituzione.

L’esperienza dell’Emilia Romagna dimostra che il succedersi nel tempo di provvedimenti di dubbia legittimità finisce per produrre un “effetto di risonanza” capace di creare norme autoriproducenti, che sopravvivono ad ogni verifica e controllo. Tali effetti possono spingersi fino al punto da far ritenere ineluttabile una riforma costituzionale - come è avvenuto la riforma del Capo V della Costituzione - per non lasciare privi di copertura costituzionale le tante norme dell’ordinamento nate in una fase di riforma istituzionale a “Costituzione invariata”. Certo l’ordinamento giuridico è un corpo vivo, che si evolve e si trasforma, segnando ogni volta il punto di equilibrio raggiunto tra i diversi portatori di interessi che agiscono nella società, ma occorre un rispetto delle regole comuni per impedire che interessi contingenti ed elettorali possano stravolgere le stesse norme costituzionali.con danni incalcolabili.

La strategia “anticipatrice” della regione appare confermata da quanto emerge dai lavori per la stesura del nuovo Statuto regionale. Sembra di capire che la maggioranza del Consiglio regionale intenderebbe muoversi nella direzione di varare un proprio sistema scolastico regionale83, differenziandosi dalle poco gradite riforme di un Ministro della Istruzione il cui operato è fortemente criticato e criticabile. Tuttavia, così operando, il Consiglio regionale

82 I princìpi ispiratori della L. R. Emilia-Romagna n. 10 del 1999 che la richiesta referendaria mirava ad abrogare erano due: a) quello del coordinamento e dell’integrazione tra offerte formative statali e non statali; b) quello del finanziamento - diretto o indiretto - delle scuole non statali. Si tratta, pertanto, di stabilire se la legge di cui in epigrafe abbia o meno inciso su detti princìpi ispiratori. Nel complesso, si può sin d’ora affermare che la nuova disciplina non ha affatto abbandonato l’impostazione generale dei princìpi ispiratori della L. R. Emilia Romagna n. 10 del 1999, ora sintetizzati.

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dell’Emilia-Romagna confermerebbe il modus operandi che lo ha caratterizzato, ma aprirebbe ulteriormente la strada al varo di sistemi scolastici regionali differenziati, rafforzando il processo di balcanizzazione del sistema scolastico e la dissoluzione, con l’unità del paese, di uno degli strumenti più efficaci per garantire in questa società il pluralismo, la laicità e la tendenziale rimozione di quegli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini: un sistema di istruzione valido per tutti.

5. La strada dello scontro frontale per l’introduzione della “parità”: la legislazione della Regione Lombardia:

La legge della Regione Lombardia sul "Riordino del sistema delle Autonomie Locali", approvata con D.G.R. n. 37511 del 24 luglio 1998, recependo prontamente quanto disposto dal D. Lgs. 112/98, prevede nel capo VI, dedicato a "istruzione scolastica e formazione professionale", che la Regione intervenga secondo i principi di responsabilità, sussidiarietà, semplificazione e delegificazione amministrativa (art. 120. 3.) disponendo l'esercizio delle funzioni amministrative relativamente "alla erogazione dei contributi alle scuole non statali" (84). E' prevista la competenza

83 Al momento è stato possibile prendere visione di alcuni documenti di lavoro come quello del 18 aprile 2002 significativamente intitolato “Norme per il sistema regionale integrato dell’istruzione, formazione, orientamento, transizione al lavoro e per la tutela e la sicurezza del lavoro” e più recentemente “Il diritto all’istruzione per tutti è diritto a un futuro migliore. Idee guida per una legge regionale che difende la scuola che c’è e la sostiene per crescere ancora.84 L'art. 122, lettera b) elenca le competenze della Regione: "quanto all'istruzione scolastica: 1) alla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; 2) alla definizione degli indirizzi per la programmazione della rete scolastica e delle relative infrastrutture; 3) alla suddivisione del territorio regionale, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa; 4) alla determinazione del calendario scolastico; 5) alla erogazione dei contributi alle scuole non statali; 6) alle iniziative e alle attività di promozione relative alle funzioni di cui ai numeri precedenti." D.G.R. n. 37511, 24 luglio 1998, Riordino del sistema delle Autonomie Locali

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generale della Regione per ciò che concerne gli altri gradi dell'istruzione, mentre si trasferiscono alle Province quelle in materia di formazione professionale e di istruzione secondaria superiore, si assegnano ai Comuni quelle in materia di scuola media, elementare e materna. Compiti e funzioni vengono trasferiti tenendo conto dei poteri rafforzati che la Regione ritiene di possedere in virtù del maggior decentramento attuato dal D. Lgs. 112/98 (85).

Per perseguire i propri obiettivi "la Regione favorisce l'apporto di organismi pubblici e privati che, indipendentemente dalla loro natura giuridica, abbiano capacità, competenze e risorse che li pongano in grado di svolgere attività di formazione” (86). Gli interventi descritti non concernono il diritto allo studio del quale si occupa il successivo art. 124, stabilendo in premessa che:

"1. I servizi previsti per l'attuazione del diritto allo studio di cui al presente articolo sono erogati, su di un piano di parità con le strutture scolastiche e formative pubbliche, anche alle strutture scolastiche e formative private". Comunque: "3. Per gli allievi che frequentano scuole private, legalmente riconosciute e parificate, italiane e straniere, la Regione, nei limiti delle risorse disponibili, eroga direttamente alle famiglie, tramite i comuni, un contributo sotto forma di buono scuola a copertura totale o parziale degli oneri a diretto loro carico per il pagamento dei costi dell'istruzione” (87).

85 I poteri della Regione concernono infatti ai sensi 122, 2.b.: "b) quanto all'istruzione scolastica: l'istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di scuole ed altre strutture di offerta formativa in attuazione degli strumenti di programmazione; la redazione dei piani locali di organizzazione della rete scolastica e delle altre attività formative, nonché del piano di utilizzazione degli edifici e delle attrezzature, d'intesa con le istituzioni scolastiche per quanto di competenza di queste; i servizi di supporto per gli alunni portatori di handicap o in situazione di svantaggio; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; la costituzione, i controlli e la vigilanza, ivi compreso lo scioglimento, degli organi collegiali scolastici a livello territoriali". D.G.R. n. 37511, 24 luglio 1998, Riordino del sistema delle Autonomie Locali… cit.86 Cfr.: Art. 123 del D.G.R. Regione Lombardia, n. 37511 del 24 luglio 1998, relativo a "Strutture di erogazione dell'offerta formativa".87 Fino ad allora la materia era ancora regolata dalla L. R. Lombardia, 20 marzo 1980, n. 32, "Diritto allo studio, norme di attuazione", B. U., 21 marzo 1980, n. 2, suppl. ord. e prevedeva interventi per generalizzare e incentivare la frequenza alle scuole materne statali e non statali, senza alcuna discriminazione, purché rispondenti alle reali esigenze locali ed alla

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Il provvedimento viene sottoposto una prima volta all'attenzione del Consiglio dei Ministri del 29 gennaio ’99 che, sia pure dopo una animata discussione, ritiene di non ravvisare nella norma che finanzia le scuole materne private con sede in Lombardia vizi di incostituzionalità. In particolare il Governo è dell’opinione che gli interventi predisposti dalla Regione rientrano nelle competenze ad essa delegate dal combinato disposto del DPR 616/77 e del D. Lgs. 112/98 e perciò si limita a sollevare osservazioni marginali, accolte dalla Regione, che non inficiano la struttura del provvedimento88.

libera scelta educativa. Gli interventi potevano essere diretti agli alunni o consistere in sovvenzioni per la gestione agli enti che forniscono i servizi necessari. Per garantire nelle scuole materne autonome l'attuazione dei servizi previsti dalla legge, venivano stipulate con gli enti gestori "convenzioni che prevedono il riferimento agli orientamenti educativi di cui al D. P. R. 647/1969 e la costruzione di organi collegiali in analogia a quelli previsti dal D. P. R. 416/1974 per assicurare una gestione partecipata" (art.5). G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., 168-172.88 Sfuma così la possibilità di un rinvio della legge all'esame del Consiglio Regionale della Lombardia e risultano clamorosamente smentite le posizioni di quei Consiglieri Regionali dei D. S. che avevano ritenuto illegittimo il provvedimento e invocato l'intervento del Governo. Per pervenire a questa decisione la maggioranza del Consiglio dei Ministri sembra aver sposato la tesi che la scuola materna non è scuola, ma un servizio sociale rivolto all'infanzia e quindi, come tale, non subisce le limitazioni relative al finanziamento previste dall'art. 33, terzo comma della Costituzione. La scuola materna sarebbe piuttosto assimilabile agli asili nido, ovvero a quelle strutture di assistenza che ospitano i bambini fino a 3 anni, per aiutare le famiglie a svolgere la loro azione educativa.La soluzione - significativamente coincidente con le tesi sostenute dalla Regione Emilia-Romagna davanti alla Corte Costituzionale per affermare la legittimità della propria legge di finanziamento alle materne - è la sola che può consentire, nel quadro costituzionale precedente alla riforma del Capo V della Costituzione, di considerare legittimo il finanziamento predisposto dal legislatore regionale della Lombardia, ma pone forse più problemi di quanti ne risolve. Infatti: 1) la scuola materna regredisce verso uno stato di "non scuola". 2) Risulta di fatto modificato il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione (d. lgs 249 del 16 aprile 1994) e in particolare il titolo I capo I e il Titolo VIII capo I che rispettivamente definivano scuola quella attività svolta dalla Repubblica o da privati di "…

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Successivamente la Regione Lombardia ritiene di dover intervenire più in profondità sull'argomento con la Legge regionale n. 168 del 28.9.199989, rivendicando il diritto della Regione di erogare su fondi propri il buono scuola agli studenti, secondo le modalità stabilite dalla legge regionale. Questa volta il Commissario di Governo invia all'esame del Consiglio dei Ministri la Legge regionale, rilevando vizzi di incostituzionalità e chiedendo il riesame del Consiglio regionale. Il Consiglio dei Ministri sembra accogliere i rilievi, affermando che "…esulano dalle competenze regionali le

educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia" rivolta ai bambini da 3 a 6 anni. Sarebbe stato logico aspettarsi, quanto meno per coerenza e rispetto del ruolo Parlamento, la presentazione di un Disegno di legge di iniziativa governativa che traducesse in legge un tale orientamento, ratificando l'operato del Governo. 3) La "scuola materna" - sia pubblica che privata - non è scuola, ma attività di assistenza. Essa dunque non rientra nel diritto allo studio, ma bensì nel settore dei servizi sociali. Ne consegue logicamente che essa non può attingere agli stanziamenti statali previsti per la Pubblica Istruzione nella Legge Finanziaria e non ricade sotto la responsabilità e la competenza del Ministero della Pubblica Istruzione. Le Regioni possono certo legiferare in questa materia, ma non con riferimento a stanziamenti di bilancio previsti per il settore del Diritto allo Studio. Molte sono dunque le norme di legge sbagliate, ivi compresa quella della Regione Lombardia, almeno per quanto attiene le modalità di copertura finanziaria e i riferimenti alle poste di bilancio. 4) Se la "scuola materna" non è scuola va modificato quanto prima il secondo comma del punto a) del n. 5 del Protocollo addizionale all'accordo di Villa Madama, sottoscritto il 18 febbraio 1984 e ratificato e reso esecutivo dalla Legge 25 marzo 1985 n. 121. Infatti, in relazione all'art. 9 del Concordato che prevede l'obbligo di assicurare a chi lo richiede l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, va specificato che, poiché la "scuola materna" non è scuola, lo Stato non è obbligato ad assicurare a chi la frequenta tale l'insegnamento. 5) Se la scuola materna non è scuola i finanziamenti previsti nella L. 62/2000 sulla parità scolastica quanto meno non possono gravare sul bilancio del Ministero della P. I. ma su quello relativo alle politiche sociali e assistenziali. 6) Ne consegue che è da rivedere la L. 62/2000, relativamente alla parte nella quale include le scuole per l’infanzia nel sistema scolastico nazionale.89 L. R. Lombardia, n. 168 del 28.9.1999. Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112. (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n.

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disposizioni di cui all'art. 4 comma 120 lettera e). nella parte in cui si stabiliscono "buoni scuola alle famiglie degli allievi che frequentano scuole private, legalmente riconosciute e parificate, a copertura totale o parziale degli oneri a loro diretto carico per il pagamento dei 'costi dell'istruzione"90. Tale funzione non risulta, infatti, trasferita alle Regioni dall'articolo 138 del d. lgs. n. 112/98, il quale si limitata alla lettera e) ad attribuire Regione la funzione meramente amministrativa di erogare alle scuole non statali i contributi prima erogati direttamente dalla Stato e non quella di disporre nuove sovvenzioni. Il potere d’istituire nuovi contributi per sostenere l'"istruzione" rimane nella competenza dello Stato, non rientrando questa facoltà tra le materie che l'art. 117 della Costituzione riserva alla potestà legislativa delle Regioni. Dette disposizioni, anche se intese come riferite all’attuazione dell'assistenza scolastica, violano il principio di uguaglianza. I previsti "buoni scuola", che mirano a coprire oneri diretti a carico degli alunni - e quindi non solamente le rette scolastiche, ove richieste - sono riservati di fatto alle famiglie degli allievi che frequentano scuole non statali, legalmente riconosciute e parificate. Si verifica in tal modo una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli alunni che frequentano le scuole statali, in violazione del principio di uguaglianza. “E' poi. anche da rilevare che non è dettato alcun principio relativamente ai criteri per erogare i buoni scuola in questione, laddove non può disconoscersi che al riguardo sussiste una riserva di legge sia pure relativa91."

La Giunta regionale lombarda accogliere le modifiche e la richiesta di chiarimenti del Governo relativa alle modalità di erogazione dei buoni scuola, per poi varare definitivamente la L. R. 5 gennaio 2000 - n. 192. Il conflitto sembra risolto. Se non che - come

59)90 Parere del Governo, Seduta del Consiglio dei Ministri, 12/11/199991 Ibidem.92 Vedi: L. R. Lombardia, 5 gennaio 2000 - n. 1. Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia, Attuazione del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) approvata dal Consiglio Regionale il 21.12.99 con l’astensione dei D.S., S.I. Verdi e il voto contrario di Rifondazione. A riguardo il Governo rileva che relativamente all'art. 4., punto 121: “Ai sensi dell’art. 138 del D. lgs 112/98 la Regione esercita le funzioni amministrative relative: […] e) all’erogazione dei contributi alle scuole non statali, nell’ambito della legislazione nazionale, nonché all’attribuzione, nei limiti delle risorse

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era prevedibile - il 27 luglio 2000 il Consiglio regionale della Lombardia assume una deliberazione recante "Indirizzi e criteri per la erogazione del buono scuola di cui alla L. R. 5 gennaio 2000, n. 1” nella quale si fissano i criteri per l'erogazione del buono scuola, riproponendo in sede regolamentare ciò che era stato espunto dalla L R. n. 168 del 28.9.1999 . Il provvedimento riguarda il sostegno alle famiglie degli allievi delle scuole di ogni ordine e grado, statali e non statali, e dispone l'erogazione del buono scuola, per una spesa regionale quantificata dalla Regione Lombardia, per l'anno 2000/2001, "in 80/90 miliardi". Possono accedere ai benefici della legge gli allievi delle scuole elementari, medie, superiori, statali e non statali, legalmente riconosciute e parificate, aperte alla generalità dei cittadini che organizzano corsi ordinari. Il Buono è destinato a coprire le "spese effettivamente sostenute dalle famiglie relativamente a tasse, rette e contributi d’iscrizione e di funzionamento della scuola". Il tasso di copertura è relativo al 25 % dell'entità delle spese effettivamente sostenute; l'importo minimo del contributo erogabile è fissato in una somma non inferiore a L. 100.000, calcolate in base al tasso di copertura. Il tetto massimo del contributo è fissato in 2 milioni (3 per le famiglie con figli portatori di handicap) e il tetto di reddito individuale lordo per accedere ai benefici in 60.000.000, ricondotto a ciascun componente del nucleo familiare. Tuttavia l'erogazione del contributo avviene quando la spesa minima sostenuta superi le 400.000 lire per figlio, cifra che gli alunni delle scuole pubbliche, relativamente alle voci di spesa ammesse in detrazione, non possono spendere. Questa disposizione regolamentare fa sorgere un contrasto con la stessa L. R. n.1/2000, poiché il combinato disposto tra "tasso di copertura" e "importo minimo del buono scuola erogabile" è nettamente inferiore alla spesa regionali disponibili, di buoni scuola alle famiglie degli allievi frequentanti le scuole statali e non statali, legalmente riconosciute e parificate, al fine di coprire, in tutto o in parte, le spese effettivamente sostenute. I buoni scuola dovranno essere rapportati al reddito, alle disagiate condizioni economiche, al numero dei componenti del nucleo famigliare e all’entità delle spese scolastiche gravanti complessivamente sul nucleo medesimo. Le modalità per l’attuazione degli interventi sono definite dalla Giunta regionale sulla base degli indirizzi del Consiglio regionale. Nell’ambito della programmazione dell’offerta formativa di cui ai commi da 105 a 112 operano organismi pubblici e privati che, indipendentemente dalla loro natura giuridica, hanno capacità, competenze e risorse che li pongano in grado di svolgere attività di formazione professionale."

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minima prefissata dalla legge per poter accedere ai benefici del provvedimento.

Va ricordato che le scuole elementari e medie pubbliche sono pressoché gratuite e quindi non necessitano di significativi contributi a carico degli alunni. Infatti, le spese sostenute dalle famiglie degli allievi frequentanti le scuole pubbliche sono di gran lunga inferiori rispetto alla soglia minima fissata per accedere al buono scuola, col risultato che le famiglie che inviano i figli alla scuola pubblica non possono usufruire di tale sostegno.

Le deliberazioni93 e il decreto94 della Giunta devolvono dunque lo stanziamento accantonato a favore esclusivo delle famiglie degli allievi frequentanti le scuole e gli istituti privati che sono, per volontaria scelta dei rispettivi nuclei familiari, onerose, e quindi tali da poter superare la soglia regionale e da poter beneficiare dei contributi. Tale effetto devolutivo è palesemente illegittimo, avendo la Regione deliberato contributi "alle famiglie degli allievi delle scuole statali e non statali" e non alle sole famiglie degli allievi delle scuole private. Le disposizioni richiamate contrastano con il D. P. R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 42 e ss., nonché con gli stessi artt. 118 e 117 della Costituzione95, poiché l'unico sostegno consentito – costituzionalmente legittimo - è quello, previsto e promosso

93 Deliberazione Consiglio Regionale 27 luglio 2000, n. VII/18, recante Indirizzi e criteri per l’erogazione del buono scuola di cui alla L. R. Lombardia, 5 gennaio 2000 - n. 1. Riordino del sistema...cit.; Deliberazione Giunta regionale n. 7 del 30 giugno 2000, recante proposta di deliberazione consiliare concernete Approvazione degli indirizzi e dei criteri per l’erogazione del buono scuola.94 Regione Lombardia, Decreto 3 agosto 2000, n. 19449, della Direzione Generale Formazione Istruzione e Lavoro, recante Modalità operative di applicazione del buono scuola L. R.. 5 genn. 2000, n. 1.95 Gli articoli 117 e 118 della Costituzione determinano le competenze e circoscrivono l'ambito del potere conferito dall'ordinamento all'ente regionale. Il potere conferito dall'ordinamento all'ente regionale ex artt. 118 e 119 della Costituzione del 1948 concerne, infatti, funzioni amministrative finalizzate, tra l'altro, all'assistenza scolastica. In tale nozione sono comprese tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali e collettivi gli alunni delle istituzioni pubbliche e private, anche se adulti, per l'assolvimento dell'obbligo scolastico nonché per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, la prosecuzione degli studi, ex D.P.R. 616/77 su richiamato.

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dall'ordinamento, che autorizza la Regione a stanziare ed erogare denaro pubblico per rimuovere le disuguaglianze sociali ed economiche. Aiuti, sovvenzioni o contributi agli allievi o alle rispettive famiglie devono essere finalizzati a ridurre le situazioni di svantaggio economico e non a promuoverle. I buoni scuola devono essere rapportati alle disagiate condizioni economiche, così come previsto dalla L.R. 1/2000 e non destinati a finanziare nuclei familiari percettori di un alto reddito.

Ciò, ancora, in attuazione ed in conformità con quanto previsto dai precetti costituzionali contenuti agli artt. 33 e 34, 3°c., che sottolineano l'assenza di oneri per lo Stato circa l'istituzione di scuole e istituti privati. Le risorse pubbliche dovrebbero essere impiegate per attuare una effettiva realizzazione del principio di eguaglianza, finalizzato a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana".

La deliberazione della Regione Lombardia trasforma invece il diritto allo studio in una sorta di diritto di scelta tra istruzione pubblica e privata96. Non siamo più di fronte al sostegno allo studio, ma al diritto di scelta tra una scuola pluralista (quella pubblica, per sua natura aperta a tutti) e una di tendenza. La legge regionale sembra ritenere che per l'esercizio di tale diritto i relativi costi debbano essere a carico della collettività97.

Ma la regione Lombardia non si ferma qui, poiché impugna davanti alla Corte Costituzionale98 la L. 62/2000, lamentando una lesione dell'autonomia regionale, che sarebbe stata attuata attraverso i 96 Contro tale ipotesi si è pronunciata la Corte Costituzionale con Sentenza 16 febb. 1982, n. 36, “Giur. Cost.”, 1982, I, 291 affermando “La libertà di scelta del tipo di scuola preferito non comporta l’onere di assumere i mezzi eventualmente necessari per esercitarla”. Nella stessa direzione Corte Costituzionale Sentenza 8 giugno 1987, n. 215, “Foro It.”, 1987, I, col. 2935; sentenza 27 aprile 1988, n. 478 “Giur. Cost”, 1988,I, 2165.97 C. Mauceri, Il Buono scuola di Formigoni e le incoerenze della sinistra di governo, "École", n. 1, 2001, 7. La Regione non resta sola nel mettere a disposizione buoni scuola. Sul punto interviene anche l'Amministrazione provinciale di Milano con appositi bandi di concorso a scadenza 30 giugno 2000 e 10 luglio 2000, mettendo a disposizione risorse da destinare tra l'altro ai figli dei propri dipendenti. E' un proliferare di interventi ai diversi livelli istituzionali, di ampiezza e caratteri tali che è impossibile averne l'esatta dimensione anche ai semplici fini della quantificazione della spesa.

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c. 9, 10 e 4 del provvedimento che violerebbero gli art. 117 e 118 della Costituzione e, in particolare, il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, nonché l'art. 119 della Costituzione, per contrasto con i commi 1, 9 e 10 della legge. Lo Stato avrebbe avocato a sé il potere di decidere sui criteri di allocazione delle risorse in un settore, quello dell'assistenza scolastica, nel quale è competente la Regione, nonché nell'individuazione dei criteri per identificare i destinatari del provvedimento, per le modalità di fruizione e utilizzazione dei benefici. Della questione - ad avviso della regione Lombardia - avrebbe dovuto essere investita quanto meno la Conferenza Stato-Regioni, anche relativamente ai criteri di ripartizione delle risorse tra le Regioni. Infine la Regione Lombardia, significativamente lamenta la violazione degli art. 3, 97, 117, 118 della Costituzione, anche in relazione al D. lgs. 112/1998 (art. 138) e il D. lgs. 281/97 (art. 2), per contrasto con l'art. 1 comma 4 del provvedimento. Ciò che la Regione mette in discussione è che sia la legge nazionale ha fissare i requisiti delle scuole che possono ricevere il finanziamento e rientrare nel sistema scolastico nazionale, giudicando troppo onerose, contraddittorie e lesive della libertà delle scuole private i criteri fissati dalla legge99.

La questione, sia pure da un particolare angolo visuale appare ben posta e sarebbe opportuno che la Corte Costituzionale non sfuggisse alla necessità di rispondere una volta per tutte al quesito se le scuole private possono far parte di un sistema misto di istruzione, a quali condizioni e se ciò è compatibile con la Costituzione.

Mentre la polemica tra Regione e Stato si sviluppa la Regione Lombardia conferma i suoi obiettivi con l’emanazione della L. R. n°.

98 Ricorso per questione di legittimità costituzionale della Regione Lombardia, depositato il 28 apr. 2000, G.U. 2.8.2000, n. 32, serie speciale, 232-238. 99 Rileva la Regione nella sua memoria che le condizioni poste inibiscono la sua capacità programmatoria dell'offerta formativa sul territorio in quanto ad esempio, prevedendo quale requisito per il riconoscimento "…un piano dell'offerta formativa conforme ad ordinamenti e alle disposizioni vigenti costringe le scuole non statali a ripetere pedissequamente la struttura delle scuole pubbliche". Altri rilievi vengono formulati relativamente all'obbligo di istituire organi collegiali e al rispetto del CCNL per gli insegnati. Ricorso per questione di legittimità costituzionale della Regione Lombardia… cit. 237.

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1 del 2000100 che porta a “pieno regime“ il sistema dei “buoni scuola”. Il comma 121 dell’art. 4 della legge sopra citata, nel suo punto e) dice che: “Ai sensi dell’art.138 del d. lgs. 112/98 la Regione esercita le funzioni legislative relative all’erogazione dei contributi alle scuole non statali, nell’ambito della legislazione nazionale, nonché all’attribuzione, nei limiti delle risorse regionali disponibili, di buoni scuola alle famiglie degli allievi frequentanti le scuole statali e non statali, legalmente riconosciute e parificate, al fine di comprimere, in tutto o in parte, le spese effettivamente sostenute. I buoni scuola dovranno essere rapportati al reddito, alle disagiate condizioni economiche, al nucleo dei componenti del nucleo famigliare e all’entità delle spese scolastiche gravanti complessivamente sul nucleo medesimo. Le modalità per le attuazioni degli interventi sono definite dalla Giunta regionale sulla base degli indirizzi del Consiglio regionale”101. Nell’art.123 della stessa legge troviamo che: “Ai sensi dell’art. 139, comma 2, del d. lgs. 112/1998, i Comuni, anche in collaborazione con le comunità montane e le province, ciascuno in relazione ai gradi di istruzione di propria competenza, esercitano, anche d’intesa con le istituzioni scolastiche, iniziative relative agli interventi perequativi, ivi compreso l’erogazione dei buoni scuola”102.

Il 23 novembre del 2000 l’esecutivo, presieduto da Amato, si rivolge alla Consulta impugnando il regolamento della Giunta della Regione Lombardia che detta le norme per assegnare il “Buono scuola” in applicazione della L.R. 1/2000, cercando di dimostrare

100 L.R. Lombardia n.1 del 5/01/2000, “Riordino del sistema della autonomie in Lombardia. Attuazione del D. lgs. 31 marzo 1998, n.112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali, in attuazione del CAPO I della L: 15 marzo 1997, n.59), B.U.R.L., n.2 del 10 gennaio 2000 supplemento ordinario n.1.101 L’art. 121 afferma che la Regione esercita le funzioni amministrative relative :a) alla programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale; b) alla definizione degli indirizzi e dei criteri generali di programmazione della rete scolastica in relazione al coordinamento regionale dei piani provinciali; c) alla suddivisione del territorio regionale, sulla base delle proposte degli Enti locali interessati, in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; d) alla determinazione del calendario scolastico. D.G.R. n. 37511, 24 luglio 1998, Riordino del sistema delle Autonomie Locali… cit.102 Cfr.: Art. 121, lettera e) D.G.R. n. 37511, 24 luglio 1998, Riordino del sistema delle Autonomie Locali… cit.

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come questa applicazione della legge favorisca le scuole private e discrimini quelle pubbliche; ma il Consiglio dei Ministri del nuovo Governo l’11 luglio 2001 decide di ritirare il ricorso, ritenendo che si ravvisano “profili di dubbia ammissibilità”103: plaude all’iniziativa il Presidente della Regione Lombardia104.

La strategia della maggioranza che attualmente governa la regione Lombardia - tendente a far crescere la presenza della scuola privata in ambito regionale - non utilizza a questo fine solo l’accorta distribuzione del buono scuola, prevalentemente destinato alle famiglie che scelgono la scuola privata105, ma mira a creare una rete

103 “E’ sorprendente che accampando una presunta inammissibilità, il Consiglio dei ministri rinunci al ricorso. Sarebbe stato molto utile che la Corte si pronunciasse. Evidentemente sull’indiscriminato finanziamento alle scuole non statali il Governo intende aggirare i problemi di costituzionalità”.– ha commento l’ex Ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer, mutando opinione rispetto a quando era titolare del dicastero. Anche la CGIL, possibilista verso il precedente Governo, ha dichiarato per bocca del Segretario Cofferati: “Il Governo ha il chiaro intendimento di avvantaggiare la scuola privata e frenare l’efficienza della pubblica” e ancora “E’ una decisione grave che apre la strada alla deregolamentazione dell’intera materia del diritto allo studio sul territorio nazionale perché consente ad ogni Regione di considerare la normativa nazionale come inesistente”. M.L.N. D’Amico, Buono scuola stop al ricorso, in Il sole 24 ore, 12/07/2001, 19.In vista del Congresso DS e una volta fuori dal Governo Fassino può dichiarare: “L’Ulivo ha sempre detto in materia di scuola che deve essere garantita l’uguaglianza delle prestazioni e dei diritti a tutti i cittadini. Il coinvolgimento di istituzioni private è utile, ma non deve rappresentare una riduzione della funzione dei servizi pubblici”. L. Bellaspiga, Via libera ai buoni scuola lombardi, in Avvenire, 12/07/2001, 11.104 Per Formigoni “La Lombardia ha definitivamente vinto una straordinaria battaglia di libertà. Il ritiro del ricorso non rappresenta alcuna volontà di sottrarsi al giudizio della Corte, perché tanto avremmo vinto, ma serve a guadagnare tempo: così entro il 31 luglio erogheremo i buoni scuola”. Per Pedrizzi, responsabile per le politiche della famiglia di Alleanza Nazionale “Rapportare i buoni scuola all’entità delle spese scolastiche che gravano sulla famiglia, dando di più a chi spende per mandare i figli nella scuola che più corrisponde ai propri ideali, è un principio di civiltà”. L. Bellaspiga, Via libera…cit., 11105 V.: DCR , 25 luglio 2001, - VII/284. Piano annuale per il diritto allo studio relativo all’anno finanziario 2001 – indirizzi per l’attuazione degli interventi regionali – BUR Lombardia n. 35 Se. O. p. 2973. Inoltre con

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di istituti privati consentendo, ai sensi delle L. R. 21 e 22 del 1990, la depubblicizzazione - con conseguente riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato - di IPAB che gestiscono scuole materne o asili nido. Cresce così l’offerta formativa privata utilizzando il facile accesso ai finanziamenti pubblici per creare un’alternativa alle scuole gestite dallo Stato e dagli enti locali106.

Si realizza così il progetto di valorizzazione della scuola particolare che dovrebbe arginare la perdita dei valori “tradizionali”, sostituendo alla scuola pubblica, depotenziata dall’adozione del pluralismo, della tolleranza, della multiculturalità, una scuola che valorizza e accentua le differenze, che coltiva i valori delle diverse componenti della società mantenendole ben distinte, facendo argine al dilagare di una cultura dell’accoglienza e del confronto che mina alla base l’identità, che alimenta una visione multiculturale di approccio ai valori verso un inedito pluralismo etico.

Il sistema scolastico realizzato dalla Lombardia rappresenta l’esempio più maturo di una scuola chiusa al confronto nella scuola, una scuola intesa come luogo di trasmissione di esperienze che vengono da culture diverse, come ambito di libertà, come strumento per rimuovere le disuguaglianze e organizzare la convivenza. Il modello lombardo è invece quello del confronto e della competizione tra le scuole, della concorrenza tra le culture, della differenza di formazione degli alunni come carattere distintivo dell’essere cittadini della Lombardia.

Si tratta di un modello culturale che cerca le ragioni della diversità, che vuole ancorare i cittadini al territorio nella strenua difesa di valori religiosi, di tradizioni, di un patrimonio linguistico che faccia da supporto ad una identità interclassista capace di dar vita ad una nuova alleanza, a un nuovo blocco sociale in grado di gestire in modo egemone il processo di formazione di una identità regionale che oggi ha contorni sfumati e vive con drammaticità e fastidio il confronto con la ricchezza che viene dal pluralismo, dalla convivenza nella diversità, dalla tolleranza, dalla laicità presente nella scuola pubblica. Un progetto di balcanizzazione del territorio che trova

Decreti dei Direttori Generali sono stati approvati gli elenchi dei destinatari dei buoni scuola. Per l’elenco di tali provvedimenti vedi BUR Lombardia , indice dell’annata 2001, pp. 138-139106 Si vedano gli elenchi di tali provvedimenti disposti con Decreti dei Direttori Generali e pubblicati sul BUR Lombardia, Indice dell’annata 2001, pp. 18; 21; 125-127.

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valido supporto nelle modifiche apportate recentemente al Capo V della seconda parte della Costituzione.

6. Il sistema scolastico come servizio universale gestito dalle Regioni in regime di sussidiarietà orizzontale

Come emerge dalla legislazione presa in esame l’obiettivo di una riforma della scuola per creare un sistema scolastico integrato pubbblico-privato, è stato perseguito con una strategia legislativa differenziata, ma convergente, che ha consentito di trasformare un servizio pubblico in servizio universale107, abbandonando la gestione in regime di monopolio amministrativo alla quale si sostituisce gradualmente quella resa possibile dal ricorso alla sussidiarietà orizzontale. Il grimaldello utilizzato per realizzare questo disegno è stata l’esaltazione del ruolo della famiglia nell’educazione dei minori. E’ stata portata alle estreme conseguenze la necessità di evitare ogni interferenza con il diritto-dovere che i genitori hanno di educare i figli. Si è fatto leva sulla “fame” di risorse delle scuole confessionali, schiacciate da una crisi economica e di identità senza precedenti, impoverite dal venir meno del lavoro gratuito di ecclesiastici e religiosi, incapaci di reggere il confronto con il mutare della società, con la sua trasformazione in società multireligiosa. Il risultato è certamente regressivo e minaccia alla base la convivenza civile e i valori fondanti della società affermatesi in occidente negli ultimi due secoli di storia108.

Pur nel massimo rispetto della libertà di educazione della famiglia, della libertà di propaganda e proselitismo delle confessioni religiose e della stessa libertà di impresa nel campo scolastico, non è pensabile che la collettività possa rinunciare alla tutela di valori quali laicità, tolleranza, pluralismo, rispetto della libera formazione del minore ed esercizio dei corrispondenti diritti assicurati dal combinato disposto delle norme costituzionali più volte richiamate. Il diritto

107 Il servizio universale consiste in un servizio minimo, di qualità definita, a un prezzo accessibile per tutti fornito dai pubblici poteri anche mediante il ricorso a privati gestori del servizio. Sul punto: G. Napolitano, Il servizio universale e il diritto dei cittadini utenti, “Mercato concorrenza regole”, a.II, n.2, ag. 2000 ; M. Clarch, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, "Dir. Pubbl"., 1998, 187 ss108 G. Cimbalo, La scuola tra servizio pubblico ….cit., passim.

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all’istruzione non può e non deve essere utilizzato per sostenere solo particolari posizioni ideologiche, religiose o imprenditoriali, poiché porterebbe alla conseguenza di introdurre nel mercato pesanti condizionamenti alla libertà di impresa, oltre che favorire alcune confessioni religiose a scapito di altre, introdurre un nuovo terreno di discriminazioni e disuguaglianze. L’istituzione di un sistema integrato pubblico-privato non solo snaturerebbe la scuola pubblica, ma segnerebbe la fine della libertà della scuola privata, per come è attualmente garantita dalla Costituzione.

Il passaggio dalla libertà nella scuola al pluralismo delle scuole ostacolerà fortemente l’integrazione delle minoranze, soprattutto se provenienti da aree culturali molto lontane dalla nostra. Esse saranno indotte a coltivare e preservare i loro caratteri distintivi in un contesto di separazione degli alunni in scuole particolari costituite su base etnica e religiosa. Verrà meno la funzione culturalmente unificante della scuola pubblica che, proprio perché neutrale e pluralista può efficacemente indurre al reciproco rispetto delle diverse appartenenze, in un contesto di positivo confronto culturale che è tanto più libero in quanto non avviene in ambiti orientati dalle scelte dell’ente gestore della scuola.

Di fronte al pericolo di frammentazione sociale occorre confermare il ruolo centrale della scuola a gestione pubblica, attribuendo al contempo maggiori garanzie alla libertà di insegnamento, come antidoto alla tentazione di uniformare ai desideri dell’ente o degli enti finanziatori il piano culturale della scuola. Occorre rafforzare i programmi, i contenuti dell’insegnamento, lasciando però la massima libertà in ambito didattico alla scuola, assicurando sempre e comunque agli insegnanti la libertà di insegnamento. Non solo la famiglia, ma anche associazioni culturali portatrici di interessi sociali devono essere presenti nella gestione della scuola pubblica: solo così si può rafforzare la dialettica e il pluralismo dell’insegnamento. La scuola pubblica collabora in modo determinante alla crescita autonoma degli alunni, ne aiuta l’emancipazione dalla tutela dei genitori, ne fa dei soggetti autonomi e “diversi “ capaci di provvedere alla costruzione della propria autonoma personalità. Contribuisce a realizzare quanto previsto dall'art. 3 della nostra Costituzione ed è il principale strumento per la realizzazione del principio di uguaglianza, senza il quale non vi è libertà. Per questi motivi ha diritto di ricevere ogni risorsa proveniente dalla fiscalità generale.

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La riforma in senso federalista dello Stato è ormai avvenuta, essendo stata modificata la seconda parte della nostra Carta Costituzionale. Ciò pone problemi di coordinamento con la prima parte della Costituzione che è rimasta immutata. Non possono essere ignorati i principi in essa contenuti e, in particolare non può essere trascurato il disposto dall’articolo 33 della Costituzione, come strumento di attuazione dei principi supremi - primi tra tutti quello di uguaglianza e quello di laicità - elaborati nelle sentenze della Corte Costituzionale, dei quali l’interprete deve comunque tenere conto. Se si tiene conto di tali principi il testo vigente della Costituzione esclude finanziamenti pubblici alla scuola privata.

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