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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINO Sped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 1 - 2° semestre 2016 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/O CMP TOrINO-NOrD NELL’INTERNO: n TALMUD (RAV ARIEL DI PORTO) 3 n STORIE DI EBREI TORINESI (PAO- LA DE BENEDETTI A 70 ANNI DAL SUO RITOR- NO IN ITALIA) 4-5 n LET- TERE (STEFANO LEVI DELLA TORRE, GIULIA- NO DELLA PERGOLA) 6 n SHABBATON (RENA- NA BIRNBAUM, PAOLA DE BENEDETTI, DAVÌ) 7 n DIALOGO (RANIERO FONTANA) 8-9 n ISRAE- LE (REUVEN RAVENNA, ALESSANDRO TREVES, GIORGIO GOMEL, GIU- SEPPE GIGLIOTTI) 10-13 n MEMORIA - POLO- NIA (DAVID TERRACINI, ALDA GUASTALLA) 14 n STORIA (BEPPE SE- GRE, TULLIO LEVI) 15-16 n LIBRI (MARIA LUDO- VICA CHIAMBRETTO, ISRAEL DE BENEDETTI, ANNA SEGRE, GIULIANO DELLA PERGOLA, EMA- NUELE AZZITÀ) 17-20 n RI CORDI: UGO SA CER- DOTE, ELIE WIESEL 20 n www.hakeillah. com [email protected] LUGLIO 2016 ANNO XLI -204 TAMUZ 5776 Elezioni e altro Mentre preparavamo questo numero di Ha Keillah si sono svolte le elezioni amministrati- ve in molte città (tra cui la nostra) e, nello stes- so giorno dei ballottaggi, anche le elezioni (o designazioni) per il rinnovo del Consiglio del- l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Chiudiamo il numero ad elezioni appena con- cluse, ancora troppo presto per trarre un bilan- cio, in un momento che consente solo qualche riflessione frammentaria. A Torino – dato che non siamo di quelli che sperano che le cose va- dano male per il gusto di poter dire “io l’avevo previsto!” – non possiamo che augurare buon lavoro alla nuova sindaca Chiara Appendino, e sperare che la nostra Comunità potrà costruire anche con lei i legami di amicizia e collabora- zione che ha sempre avuto con le amministra- zioni precedenti. Inutile comunque nascon- derci qualche motivo di preoccupazione (per esempio per le posizioni pregiudizialmente ostili a Israele che talvolta emergono da esponenti del Movimento Cinque Stelle); e resta l’amaro in bocca per una sinistra lace- rata e litigiosa e per un sindaco eletto con i voti determinanti della destra. Se usciamo da Torino e osserviamo il quadro nazionale i motivi di preoccupazione sono ancora più evidenti: da una parte una sinistra più divisa che mai, e largamente percepita come espressione delle élite al potere e re- sponsabile della difficile condizione econo- mica in cui versa l’Italia. Che questa situa- zione sia in gran parte dovuta a vent’anni di berlusconismo sembrano averlo dimenticato non solo gli esponenti della destra (a cui ov- Complessità, scienza e democrazia Avanza l’integralismo islamico, crescono i partiti della destra razzista ed i movimenti po- pulisti e qualunquisti. “Non ci sono più valori, i politici fanno solo i loro interessi, l’occiden- te è caduto in una decadenza inarrestabile pro- vocata da complotti segreti ”. Ovunque un mantra echeggia tra i media: “La democrazia è sull’orlo della fossa ossa ossa…”. Ma la democrazia è da difendere pregiudizial- mente come fosse una religione o amorevol- mente come fosse la mamma? O la sua difesa può avere motivazioni razionali più profonde? La democrazia è un regime complesso che ha in sé la capacità di rinnovarsi e di sostituire i gruppi al potere che sbagliano o che non piacciono più ai cittadini. In termini tecnici questa capacità di auto-correzione si chiama retroazione, o, come è di moda, feed-back. Questa capacità di auto-correzione è total- mente assente nei regimi autoritari. I disastri cruenti che questi hanno provocato e dai qua- li sono stati travolti dimostrano la loro inca- pacità di frenare la loro corsa, anche quando è evidente a tutti il loro esito suicida. Le teorie con cui la scienza spiega i com- plessi fenomeni del mondo non sono eterne. BREXIT: PAURA DELLO STRANIERO Anna Segre (segue a pag. 2) (segue a pag. 4) viamente non fa comodo ricordarlo) ma an- che quelli del Movimento Cinque Stelle, che in fondo non si sono mostrati troppo scanda- lizzati di fronte all’alleanza di fatto con le destre che si è determinata in molte città. Al- leanza che con molta probabilità si ripro- durrà in ottobre in occasione del referendum costituzionale, con conseguenze politiche imprevedibili ma comunque inquietanti. La sinistra esce perdente da queste elezioni amministrative, ma chi sono i vincitori? Il Movimento Cinque Stelle ha ottenuto risulta- ti clamorosi, ma solo dove ha saputo trovare (più o meno casualmente, dati i loro metodi per la scelta dei candidati) personalità credi- bili da proporre agli elettori. Dunque, un mo- vimento strutturalmente contrario ai persona- lismi si dimostra vincente solo quando si affi- da a personalità spiccate (e anche antropolo- gicamente lontanissime dai due fondatori). Vince, quindi, al prezzo di diventare una cosa diversa da ciò che era in origine. Quali con- seguenze produrrebbe questo paradosso di fronte ad eventuali elezioni politiche? La destra continua a non risolvere il nodo del- la propria identità: dividersi definitivamente tra un’anima moderata e liberale e una estre- mista e populista, come avviene nel resto del- l’Europa, oppure cercare di tenere tutti insie- me a costo di solleticare le peggiori pulsioni razziste, xenofobe e magari pure antisemite? Purtroppo in molti casi questa seconda opzio- ne sembra prevalere. Perché, per esempio, un quotidiano come Il Giornale ha scelto di re- galare ai lettori il Mein Kampf proprio una settimana prima dei ballottaggi? E anche i Tutti sanno che la base della Brexit è la pau- ra dello straniero. Eppure l’Inghilterra è da secoli una società molto aperta, multiculturale. Anche gli ebrei sono presenti da secoli. La mia famiglia ma- terna, per esempio, viene dalla Lituania: i miei trisnonni intorno al 1890 si sono inse- diati nella parte est di Londra; curiosamente, è la stessa zona in cui oggi, cento anni dopo, vivono i miei figli Enrico e Sara (a cento me- tri da un cimitero ebraico e mezzo chilome- tro da un cimitero sefardita del ’600). Poi so- no subentrate altre etnie. Londra è una città multiculturale – appena due mesi fa è stato eletto un sindaco musulmano – e gli abitanti di Londra hanno votato in maggioranza per rimanere all’interno dell’Unione Europea: ri- conoscono il valore dell’internazionalizza- zione. Hanno votato contro l’Europa gli an- ziani, gli abitanti delle zone rurali, le persone meno istruite, in realtà tutti forse quelli che nella vita quotidiana non hanno davvero con- tatti con gli stranieri; non i diretti interessati David Terracini (segue a pag. 6) al fenomeno dell’immigrazione ma coloro che ne parlano per sentito dire. È il non plus ultra del populismo: scaricare la colpa di tut- ti i problemi sullo straniero, chiunque sia. In realtà l’economia inglese stava andando be- ne. Si gioca sull’emotività delle persone. Il protagonista di tutto questo è stato il nuo- vo partito nazionalista, UK Independence Party, in origine di estrema destra, ma poi, come Marine Le Pen (e secondo me anche i Grillini), mostra un volto più moderato: sono molto bravi a nascondere che in realtà molti di loro sono veri fascisti. I partiti tradiziona- li, sia la destra che la sinistra, sono stati pre- si alla sprovvista; non erano preparati: ave- vano preso sottogamba questo sentimento nazionalista. Credo che sia importante far notare una cosa: gli anziani hanno votato per uscire dall’UE, mentre i giovani hanno votato per rimanere ed è chiaro che anche i giovani che oggi non Legatura di Isacco, disegno di Stefano Levi Della Torre Daniel Fantoni, ingegnere ed informatico che si occupa di progetti gestionali internazionali, inglese (con padre italiano), torinese da più di trent’anni, dall’anno scorso è Consigliere e membro della Giunta della Comunità Ebraica di Torino. Lo abbiamo incontrato pochi giorni dopo l’inaspettato esito del referendum.

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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINOSped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 1 - 2° semestre 2016 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/O CMP TOrINO-NOrD

NELL’INTERNO:

n TALMUD (RAV ARIELDI PORTO) 3 n STORIEDI EBREI TORINESI (PAO-LA DE BENEDETTI A 70ANNI DAL SUO RITOR-NO IN ITALIA) 4-5n LET-TERE (STEFANO LEVIDELLA TORRE, GIULIA-NO DELLA PERGOLA) 6n SHABBATON (RENA-NA BIRNBAUM, PAOLADE BENEDETTI, DAVÌ) 7n DIALOGO (RANIEROFONTANA) 8-9n ISRAE-LE (REUVEN RAVENNA,ALESSANDRO TREVES,GIORGIO GOMEL, GIU-SEPPE GIGLIOTTI) 10-13n MEMORIA - POLO-NIA (DAVID TERRACINI,ALDA GUASTALLA) 14n STORIA (BEPPE SE-GRE, TULLIO LEVI) 15-16n LIBRI (MARIA LUDO-VICA CHIAMBRETTO,ISRAEL DE BENEDETTI,ANNA SEGRE, GIULIANODELLA PERGOLA, EMA-NUELE AZZITÀ) 17-20 nRI CORDI: UGO SA CER -DOTE, ELIE WIESEL 20n

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LUGLIO 2016 ANNO XLI -204 TAMUZ 5776

Elezioni e altroMentre preparavamo questo numero di HaKeillah si sono svolte le elezioni amministrati-ve in molte città (tra cui la nostra) e, nello stes-so giorno dei ballottaggi, anche le elezioni (odesignazioni) per il rinnovo del Consiglio del-l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.Chiudiamo il numero ad elezioni appena con-cluse, ancora troppo presto per trarre un bilan-cio, in un momento che consente solo qualcheriflessione frammentaria. A Torino – dato chenon siamo di quelli che sperano che le cose va-dano male per il gusto di poter dire “io l’avevoprevisto!” – non possiamo che augurare buonlavoro alla nuova sindaca Chiara Appendino, esperare che la nostra Comunità potrà costruireanche con lei i legami di amicizia e collabora-zione che ha sempre avuto con le amministra-zioni precedenti. Inutile comunque nascon-derci qualche motivo di preoccupazione (peresempio per le posizioni pregiudizialmenteostili a Israele che talvolta emergono daesponenti del Movimento Cinque Stelle); eresta l’amaro in bocca per una sinistra lace-rata e litigiosa e per un sindaco eletto con ivoti determinanti della destra.Se usciamo da Torino e osserviamo il quadronazionale i motivi di preoccupazione sonoancora più evidenti: da una parte una sinistrapiù divisa che mai, e largamente percepitacome espressione delle élite al potere e re-sponsabile della difficile condizione econo-mica in cui versa l’Italia. Che questa situa-zione sia in gran parte dovuta a vent’anni diberlusconismo sembrano averlo dimenticatonon solo gli esponenti della destra (a cui ov-

Complessità,scienzae democraziaAvanza l’integralismo islamico, crescono ipartiti della destra razzista ed i movimenti po-pulisti e qualunquisti. “Non ci sono più valori,i politici fanno solo i loro interessi, l’occiden-te è caduto in una decadenza inarrestabile pro-vocata da complotti segreti ”. Ovunque unmantra echeggia tra i media: “La democrazia èsull’orlo della fossa ossa ossa…”.Ma la democrazia è da difendere pregiudizial-mente come fosse una religione o amorevol-mente come fosse la mamma? O la sua difesapuò avere motivazioni razionali più profonde?La democrazia è un regime complesso che hain sé la capacità di rinnovarsi e di sostituire igruppi al potere che sbagliano o che nonpiacciono più ai cittadini. In termini tecniciquesta capacità di auto-correzione si chiamaretroazione, o, come è di moda, feed-back.Questa capacità di auto-correzione è total-mente assente nei regimi autoritari. I disastricruenti che questi hanno provocato e dai qua-li sono stati travolti dimostrano la loro inca-pacità di frenare la loro corsa, anche quandoè evidente a tutti il loro esito suicida.Le teorie con cui la scienza spiega i com-plessi fenomeni del mondo non sono eterne.

BREXIT:PAURA DELLO STRANIERO

Anna Segre (segue a pag. 2)

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viamente non fa comodo ricordarlo) ma an-che quelli del Movimento Cinque Stelle, chein fondo non si sono mostrati troppo scanda-lizzati di fronte all’alleanza di fatto con ledestre che si è determinata in molte città. Al-leanza che con molta probabilità si ripro-durrà in ottobre in occasione del referendumcostituzionale, con conseguenze politicheimprevedibili ma comunque inquietanti.La sinistra esce perdente da queste elezioniamministrative, ma chi sono i vincitori? IlMovimento Cinque Stelle ha ottenuto risulta-ti clamorosi, ma solo dove ha saputo trovare(più o meno casualmente, dati i loro metodiper la scelta dei candidati) personalità credi-bili da proporre agli elettori. Dunque, un mo-vimento strutturalmente contrario ai persona-lismi si dimostra vincente solo quando si affi-da a personalità spiccate (e anche antropolo-gicamente lontanissime dai due fondatori).Vince, quindi, al prezzo di diventare una cosadiversa da ciò che era in origine. Quali con-seguenze produrrebbe questo paradosso difronte ad eventuali elezioni politiche?La destra continua a non risolvere il nodo del-la propria identità: dividersi definitivamentetra un’anima moderata e liberale e una estre-mista e populista, come avviene nel resto del-l’Europa, oppure cercare di tenere tutti insie-me a costo di solleticare le peggiori pulsionirazziste, xenofobe e magari pure antisemite?Purtroppo in molti casi questa seconda opzio-ne sembra prevalere. Perché, per esempio, unquotidiano come Il Giornale ha scelto di re-galare ai lettori il Mein Kampf proprio unasettimana prima dei ballottaggi? E anche i

Tutti sanno che la base della Brexit è la pau-ra dello straniero.Eppure l’Inghilterra è da secoli una societàmolto aperta, multiculturale. Anche gli ebreisono presenti da secoli. La mia famiglia ma-terna, per esempio, viene dalla Lituania: imiei trisnonni intorno al 1890 si sono inse-diati nella parte est di Londra; curiosamente,è la stessa zona in cui oggi, cento anni dopo,vivono i miei figli Enrico e Sara (a cento me-tri da un cimitero ebraico e mezzo chilome-tro da un cimitero sefardita del ’600). Poi so-no subentrate altre etnie. Londra è una cittàmulticulturale – appena due mesi fa è statoeletto un sindaco musulmano – e gli abitantidi Londra hanno votato in maggioranza perrimanere all’interno dell’Unione Europea: ri-conoscono il valore dell’internazionalizza-zione. Hanno votato contro l’Europa gli an-ziani, gli abitanti delle zone rurali, le personemeno istruite, in realtà tutti forse quelli chenella vita quotidiana non hanno davvero con-tatti con gli stranieri; non i diretti interessatiDavid Terracini (segue a pag. 6)

al fenomeno dell’immigrazione ma coloroche ne parlano per sentito dire. È il non plusultra del populismo: scaricare la colpa di tut-ti i problemi sullo straniero, chiunque sia. Inrealtà l’economia inglese stava andando be-ne. Si gioca sull’emotività delle persone.Il protagonista di tutto questo è stato il nuo-vo partito nazionalista, UK IndependenceParty, in origine di estrema destra, ma poi,come Marine Le Pen (e secondo me anche iGrillini), mostra un volto più moderato: sonomolto bravi a nascondere che in realtà moltidi loro sono veri fascisti. I partiti tradiziona-li, sia la destra che la sinistra, sono stati pre-si alla sprovvista; non erano preparati: ave-vano preso sottogamba questo sentimentonazionalista.Credo che sia importante far notare una cosa:gli anziani hanno votato per uscire dall’UE,mentre i giovani hanno votato per rimanereed è chiaro che anche i giovani che oggi non

Legatura di Isacco,disegno di StefanoLevi Della Torre

Daniel Fantoni, ingegnere ed informatico che si occupa di progetti gestionali internazionali,inglese (con padre italiano), torinese da più di trent’anni, dall’anno scorso è Consigliere emembro della Giunta della Comunità Ebraica di Torino. Lo abbiamo incontrato pochi giornidopo l’inaspettato esito del referendum.

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2molti ebrei che si sono affrettati a salutarequella parte politica come grande amica diIsraele dovrebbero porsi qualche domandasulla scarsa sensibilità (per non dire di peg-gio) dei presunti amici; anche la promessa diGiorgia Meloni, nel caso fosse stata eletta, didedicare una via di roma ad Almirante nonera propriamente tranquillizzante.Peraltro, la riforma costituzionale in sé susci-ta molte perplessità. Su questo tema, ancheall’interno della stessa redazione, ci sonoopinioni variegate, ma abbiamo scelto di nonparlarne in questo numero perché non abbia-mo individuato nel nostro dibattito elementispecifici che Ha Keillah potrebbe offrire inquanto giornale ebraico.Se poi usciamo fuori dall’Italia i motivi di in-quietudine aumentano ulteriormente: Israeleche continua a subire un insopportabile stillici-dio di attentati (di cui i media italiani paionoaccorgersi poco o nulla) e in cui il governo didestra, con la nomina di Lieberman a ministrodella difesa, è riuscito a virare ancora più a de-stra; in Europa per chi si domanda in qualePaese la situazione sia più preoccupante c’èsolo l’imbarazzo della scelta. Per non parlaredegli Stati Uniti e del rischio concreto cheTrump possa arrivare alla presidenza. Eppureproprio dagli USA arriva una novità interes-sante: una persona come Bernie Sanders, cheper età, esperienze giovanili (kibbutz dell’Ha-shomer Hatzair) e idee politiche potrebbe ve-nir fuori dal Gruppo di Studi Ebraici, è arriva-to a vincere le elezioni primarie in molti statidimostrandosi l’unico avversario temibile diHillary Clinton per la nomination democratica.C’è stata, dunque, la possibilità non troppo re-mota che una di quelle persone che nell’Italiadi oggi (ebraica e non) sono costantemente ac-cusate di essere superate, non al passo con itempi, incapaci di capire il presente, potesseconquistare la carica politica più importantedel mondo. Peraltro, anche la prospettiva chequesta carica, per la prima volta nella storia,sia occupata da una donna ha un valore simbo-lico tutt’altro che trascurabile. Infatti nonescluderei che questo elemento simbolico (ladonna che rappresenta la novità e può presen-tarsi più credibilmente come portavoce di chifinora era escluso e discriminato) possa averavuto un certo peso nelle elezioni comunali ro-mane e torinesi.

Anche l’ebraismo italiano torna, per la primavolta dopo Tullia Zevi, a una guida femminile:il 3 luglio è stata infatti eletta Presidente del-l’Ucei Noemi Di Segni, romana, assessore albilancio nella giunta precedente. A una primaimpressione sembra dunque che la grande vo-glia di discontinuità emersa nei mesi scorsi (dicui davo conto nel mio articolo Danzando sulTitanic?) non abbia prevalso, o, per lo meno,non in modo netto e clamoroso. È anche inte-ressante rilevare che l’elezione è avvenuta, aquanto pare, grazie al voto determinante dellepiccole e medie Comunità. Noemi Di Segniappartiene al gruppo Binah, realtà che HK ave-va seguito con grande interesse fin dal suoesordio quattro anni fa: l’idea di una lista tuttaal femminile ci era parsa infatti necessaria inun momento in cui la presenza di donne nelleistituzioni ebraiche appariva scarsa in modo

anomalo persino per l’Italia. Oggi la situazio-ne è decisamente migliorata e Binah ha potutotrasformarsi in “Benè Binah” e includere an-che alcune candidature maschili. “Con la listaBinah si può sperare di avere un giorno di nuo-vo una Presidente donna?” si chiedeva alloraun’altra ex assessore al bilancio Ucei. Il 3 lu-glio questa domanda ha avuto la sua rispostapositiva.Al di là del dato sulla Presidente, è comunquedifficile formulare un giudizio netto sull’esitodi queste elezioni perché al momento in cuiandiamo in stampa non è stata ancora votata lagiunta. Il semplice elenco dei consiglieri elet-ti o nominati nelle varie città ci dice poco (perchi non lo sapesse: la Comunità di Torino haconfermato Giulio Disegni, vicepresidenteUcei uscente). Solo a Milano e a roma esiste-vano le liste, ma guai a parlare di destra e si-nistra, perché tutti rivendicano orgogliosa-mente la propria trasversalità. A roma, dovecorrevano quattro liste, si è parlato di sostan-ziale pareggio, data la somiglianza tra i pro-grammi delle liste Per Israele e Israele siamonoi da una parte (che hanno ottenuto rispetti-vamente 8 e 2 consiglieri) e Menorah e Binahdall’altra (cinque consiglieri ciascuna). E allo-ra perché Menorah e Binah non si sono messeinsieme, creando una lista unica che, con die-ci consiglieri, sarebbe risultata la vincitrice?Sono misteri che dal nostro punto di vista pro-vinciale e isolato appaiono incomprensibili. Siriteneva (per ragioni che a noi sono del tuttooscure ma che probabilmente sono chiare airomani) che una lista unica avrebbe raccoltomeno consensi? Oppure le due liste separatesono l’esito della consueta litigiosità delle si-nistre (ma non chiamiamole così, se no si of-fendono), di cui anche la nostra Comunità inanni recentissimi ha dato prove mirabili?È anche difficile, sulla carta, prevedere ilcomportamento dei singoli Consiglieri sullabase della lista a cui appartengono. Basti ri-cordare che renzo Gattegna, quando dieci an-ni fa era stato eletto Presiedente dell’Ucei,proveniva dalle liste Per Israele, cioè da quel-la che noi chiamavamo la destra, lo schiera-mento con cui eravamo in competizione (inquegli anni c’era una sorta di bipartitismo, PerIsraele contro Keillah). Oggi non possiamofare a meno di riconoscere che è stato davve-ro un ottimo presidente, sobrio ed equilibratonelle dichiarazioni pubbliche, attento alla di-fesa di Israele ma al contempo inflessibile sualcuni principi fondamentali relativi alla poli-tica italiana (antifascismo, lotta al razzismo,laicità dello stato). Senza contare l’eccellentesistema informativo messo in piedi durante lasua presidenza (il mensile Pagine ebraiche, ilportale Moked, il notiziario quotidiano on linePagine ebraiche 24), che consente a tutti gliebrei italiani di conoscersi e confrontarsi traloro indipendentemente dalle loro opinioni edalla Comunità a cui appartengono; e senzacontare le innumerevoli iniziative culturalimesse in piedi in questi anni, spesso con lacollaborazione e il patrocinio dell’Ucei. Dal-l’altra parte vediamo persone che abbiamosempre considerato “dei nostri” prendere po-sizioni che forse non ci saremmo aspettati,presumibilmente nella speranza di attirare sudi sé un maggior numero di voti. Per esempioVictor Magiar che, criticando un articolo ap-parso su Pagine ebraiche 24 del nostro colla-

boratore Alessandro Treves, giungeva a biasi-mare il direttore Guido Vitale per non averesercitato una sufficiente censura. Dunque, èdavvero difficile fare previsioni su cosa acca-drà all’Ucei nei prossimi anni.Vale comunque la pena di dire qualcosa sullacampagna elettorale, caratterizzata spesso (co-me dimostra l’esempio appena citato) da toniassai pesanti, a volte accompagnati da minac-ce di epurazione. Fin qui nulla di strano, e an-che nulla di troppo diverso dalle contempora-nee elezioni comunali, in cui la critica alle am-ministrazioni uscenti è spesso stata condottacon toni molto aspri, in un generalizzato ap-pello alla novità e al rinnovamento. Quello cheinvece è parso insolito, e a nostro parere piut-tosto discutibile, è stato il ruolo dei rabbini.Prima di quest’anno, infatti, non era mai acca-duto che l’Assemblea dei rabbini d’Italia o ilsuo Consiglio prendessero ufficialmente posi-zione in favore o contro l’uno o l’altro candi-dato, l’una o l’altra lista. Invece questa volta èsuccesso proprio questo: rav Giuseppe Momi-gliano, Presidente dell’Asssemblea rabbinicaItaliana a nome del Consiglio dell’ArI pochigiorni prima delle elezioni ha reso pubblicauna nota molto dura e critica nei confronti delpresidente uscente Gattegna auspicando espli-citamente un cambio di rotta1. A detta dei rab-bini l’apertura, il dialogo con il mondo esterno,le iniziative volte a far conoscere gli ebrei el’ebraismo, hanno richiesto troppi fondi cheinvece avrebbero dovuto essere utilizzati versol’interno. Ho già discusso sul numero scorsoquesta impostazione, che non tiene conto delfatto che la maggior parte dei fondi che ci arri-vano per la nostra sopravvivenza come Comu-nità dipende dall’8 per mille, cioè proprio dalmondo esterno. Ma, soprattutto, non si riesce acapire quale possa essere il valore politico diuna tale scelta di campo, volta a screditare unpresidente che comunque non si ripresentava,manifestamente ostile a una parte del futuroConsiglio e quindi tesa a mettere i bastoni trale ruote a chiunque d’ora in poi tenterà di in-staurare un clima di dialogo e collaborazione.Per di più, il coinvolgimento diretto dell’As-semblea rabbinica nella campagna elettoralecrea un precedente molto pericoloso, e minal’autorevolezza dei nostri Maestri. E dico tuttoquesto con grandissimo dispiacere, perché hosempre avuto grande stima di rav Momiglia-no, che è stato tra l’altro mio insegnante allascuola ebraica, e che in questi anni di presi-denza dell’ArI si è sempre distinto per le sueposizioni equilibrate e attente all’attualità.Viceversa, da parte dei rabbini non si è leva-ta una parola di biasimo per gli attacchi per-sonali violenti, per la maldicenza e il velenosparsi a fiumi sui social network, per chi hainvocato censure e ha negato l’utilità del libe-ro confronto tra ebrei con diverse opinioni. E,se l’intento dei nostri rabbini fosse davveroquello di spingere l’ebraismo italiano a dedi-carsi maggiormente alla cultura e allo studiodella tradizione ebraica e ad evitare l’eccessi-va esposizione mediatica, sarebbe stato inevi-tabile spendere qualche parola anche controcerte difese di Israele sguaiate, poco docu-mentate, controproducenti, e soprattutto con-tro chi bolla come nemico di Israele chiunquesi permetta di avere opinioni diverse dalle sue(compreso il Presidente della repubblicaisraeliano). Oppure sarebbe stato opportunoinvitare a una maggiore cautela di fronte acerte candidature nelle elezioni comunali e acerti personaggi (era necessaria la proposta diintitolare una via ad Almirante per capire chiè Giorgia Meloni e chi sono i Fratelli d’Italia?Era necessario che regalassero il Mein Kampfper capire cos’è il Giornale?)Siamo comunque ancora agli inizi: abbiamonuovi sindaci, abbiamo un nuovo Consigliodell’Unione e soprattutto abbiamo una nuovaPresidente: auguri di buon lavoro.

Anna Segre

1 La potete leggere sul nostro sito.

italia

Noemi Di Segni

Vignetta di Davì

(segue da pag. 1) Elezioni e altro

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TUTTI PAZZI PER IL TALMUDLa notizia dell’intesa, alcuni anni fa, ha pro-vocato una serie di reazioni, anche nel mondoebraico, che andavano dal disfattista, ritenen-do che non fosse possibile tradurre il Talmudadeguatamente, all’entusiastico, oltre a varieperplessità, ma una cosa va detta, e sono cer-to di non poter essere smentito: questo pro-getto, indipendentemente dalla sua riuscita evalidità, ha dato un impulso agli studi talmu-dici in Italia senza precedenti, almeno negliultimi decenni. Basterebbe segnalare il nume-ro di corsi di Talmud che sono stati avviati invarie comunità, fra cui Torino, in seguito allapubblicazione del primo volume dell’opera, eil numero di presenze, notevole rispetto allanorma, che li ha accompagnati.

TRADucoLo Stato italiano ha contribuito in modo de-terminante alla realizzazione del progetto,tramite il sostegno economico fornito e met-tendo a disposizione competenze di primissi-mo livello. Nello sviluppo del progetto è as-solutamente fondamentale l’apporto delCNr. L’istituto di linguistica computaziona-le del CNr di Pisa ha infatti sviluppato lapiattaforma che ha reso possibile il lavoro, ilsistema TrADUCO, giunto alla versionegamma, ed oramai in grado di impaginare, ri-cercare, suggerire traduzioni. Questo siste-ma, una vera eccellenza nel campo, fruttodella ricerca nostrana, ha permesso di affron-tare la principale difficoltà che un’equipe ditraduttori incontra, ovvero quella di unifor-mare i testi prodotti da diverse persone, spes-so portate a rendere differentemente una me-desima espressione. Il testo del Talmud, se-zionato in numerosissime piccole stringhe,derivanti dal testo punteggiato, acquisito dal-l’edizione Steinsaltz, è stato caricato nel si-stema. Quando il traduttore esamina una cer-ta stringa, il sistema propone una serie distringhe, più o meno simili a quella origina-ria, valutandone il grado di consonanza e vi-sualizzandolo tramite un numero di stelle,variabile da uno a cinque, fornendo al con-tempo la traduzione che è stata effettuata daaltri, che hanno tradotto in precedenza altribrani, già caricati nel sistema. In tal modo iltraduttore è consapevole delle scelte operatedagli altri affrontando un testo paragonabile.Ovviamente con il tempo, e aumentando ilmateriale inserito, i suggerimenti forniti dalsistema divengono sempre più precisi e pre-ziosi. Il sistema presenta vari vantaggi, pri-mo fra tutti quello di essere accessibile tra-mite un browser ed un accesso ad internet.Questo software, che viene usato per la pri-ma volta nel progetto Talmud, sta mostrandoprogressivamente le sue potenzialità, e certa-mente potrà essere utilizzato in futuro, conminimi adattamenti, per altri testi della tradi-zione ebraica, e per opere in altre lingue.

Il primo volumeIl primo volume dell’opera, il trattato roshha-shanà, edito dalla Giuntina, è stato pre-

sentato all’Accademia dei Lincei e conse-gnato al Presidente della repubblica il 5aprile, ed è giunto già alla sua terza ristampa,segno di un interesse veemente, e forse ina-spettato. Il volume è stato presentato al Salo-ne del Libro di Torino e il 9 giugno in Co-munità, con la partecipazione di Sandro Ser-vi, redattore capo del progetto, rav AlbertoMoshè Somekh, direttore della scuola Mar-gulies-Disegni, che ha pronunciato un devarTorà sullo sforzo legato allo studio dellaTorà, che può rivoluzionare il senso di un’e-sistenza, volgendola totalmente all’insegna-mento, e rav Jacov Di Segni, fra i traduttoridel volume. Dopo i saluti del presidente Da-rio Disegni, nel corso della presentazione,caratterizzata da una buona partecipazione dipubblico, segnale del grande interesse perl’argomento, sono stati illustrati aspetti gene-rali, ricostruendo la storia del Talmud, indi-cando le caratteristiche principali delle edi-zioni a stampa che hanno avuto maggiorefortuna, e descrivendo la considerazione dicui il Talmud godeva in ambito ebraico enon. rav Jacov Di Segni nel suo interventoha ricostruito la storia e indicato la natura deiprincipali commenti del Talmud, sottolinean-do la gloriosità della tradizione italiana, cheha dato vita a varie opere fondamentali, anco-ra oggi studiate nelle yeshivot. Ampio spazioè stato dedicato all’illustrazione del funziona-mento del software di traduzione, e alla pre-sentazione dell’impostazione dell’o pera, cor-redata da un esteso apparato di note, glossarie approfondimenti sui maestri del Talmud,sulla linguistica e il mondo della natura.

Prospettive futureLa pubblicazione del primo volume del Tal-mud ha richiesto alcuni anni, ma contempo-raneamente si è lavorato a vari altri trattati, ele uscite si susseguiranno pertanto con un rit-mo decisamente più serrato. Questo progettoimpegnerà numerosi studiosi di lingua italia-na, sparsi per il mondo, ancora per vari anni.È difficile prevedere se anche l’uscita deglialtri volumi sarà accompagnata dallo stessoentusiasmo del primo, ma di certo per l’e-braismo italiano ogni uscita – e questo è al dilà di qualsiasi altra considerazione l’aspettoprincipale di questa impresa – fornirà un’oc-casione di studio e di riappropriazione delleproprie radici profonde.

Rav Ariel Di Porto

Negli ultimi anni gli strumenti, in modo par-ticolare informatici, per affrontare gli studiebraici tradizionali si sono moltiplicati, inne-scando fenomeni molto interessanti, che han-no indubbiamente accresciuto l’interesse ge-nerale attorno alla cultura ebraica. reperire itesti tradizionali non costituisce ormai datempo una difficoltà, per chi abbia un minimodi dimestichezza con il web. Tantissimi siti edapplicazioni forniscono materiale di assolutaqualità, in forma assolutamente gratuita. Unsemplice smartphone, tramite alcune applica-zioni, consente di addentrarsi nei testi dellatradizione ebraica in qualsiasi momento,ovunque ci si trovi. Una vera manna dal cieloper chi vuole studiare. Anche l’Italia, a modosuo, non è rimasta immune da questa rinasci-ta. Gli studi ebraici in Italia, almeno quelli ri-volti al grande pubblico, avevano come am-bito principale quello storico, in particolarmodo sul periodo della Shoà. L’interesse mo-strato nei confronti della cultura ebraica tra-dizionale era molto inferiore e lasciato, tran-ne rare eccezioni, all’iniziativa personale de-gli studiosi. Il precedente più significativo diun’operazione collettiva, in ambiente stretta-mente ebraico, è la traduzione del Tanakh adopera dell’Assemblea dei rabbini di Italia,coordinati da rav Dario Disegni, che risaleormai a cinquant’anni fa. Nel frattempo all’e -stero, in modo particolare in America edIsraele, venivano pubblicate opere di ampiorespiro, come il commento di Kehati alla Mi-shnà e le edizioni Steinsaltz e Schottensteindel Talmud, che rendevano accessibili per laprima volta i principali testi della tradizionerabbinica anche a coloro che non avevanouna formazione tale da comprenderli a pieno,dando una forte spinta agli studi ebraici, an-che in ambito accademico. Oggi il ProgettoTalmud segna una svolta significativa per glistudiosi di lingua italiana. Certamente si trat-ta di un proposito molto ambizioso, nel qualein passato si erano cimentate comunità piùforti e numerose di quella italiana, prime fratutte quella israeliana e americana.

Il progetto TalmudL’idea di avventurarsi in questa impresa risa-le al 2010, quando la professoressa Clelia Pi-perno, dell’università di Teramo, la proposead Antonio Agostini, allora direttore generaleper la ricerca del Ministro dell’IstruzioneUniversità e ricerca, e a rav riccardo Di Se-gni, rabbino Capo di roma e direttore delCollegio rabbinico Italiano. Cinque anni fa,nel gennaio 2011, è stato firmato il protocol-lo d’intesa fra Consiglio dei Ministri, MIUr,CNr e UCEI sul progetto, che è stato avvia-to, con l’inizio della traduzione, nell’ottobredel l’anno successivo. Al progetto lavora unteam molto nutrito, imposto anche dalla natu-ra monumentale dell’opera, che alla fine con-terà non meno di 25 volumi, composto da 55tra traduttori e revisori, 15 redattori, 7 infor-matici, 4 scientifici, coordinati da rav ric-cardo Di Segni e rav Gianfranco Di Segni.

… Ma è anche il momento, per tutti gliebrei d’Europa, di riprendere in manoquei valori che sono i nostri e che abbia-mo da sempre il compito di attualizzare edisseminare nei luoghi dove viviamo: de-mocrazia, tolleranza, rispetto per le diver-se opinioni e per le altrui scelte di vita,amore per la cultura e per la ricerca, stre-nua difesa della libertà d’espressione edella giustizia sociale, modestia, traspa-renza, onestà. Senza questi valori nonsarà solo una singola realtà del Vecchiocontinente, ma l’Europa intera ad essereminacciata e ogni realtà che si affaccia sul

Mediterraneo, a cominciare da Israele, ilsolo, prezioso, insostituibile modello didemocrazia del Medio Oriente, corre il ri-schio di restare più sola.…Gli inquietanti segnali registrati in questigiorni servono anche a ricordarci che pergli ebrei non esiste pericolo peggiore del-la chiusura in se stessi, dell’astrazione dalcontesto sociale nel quale vivono e nelquale hanno il diritto e il dovere di agire.Siamo una piccola minoranza, in Italia, inEuropa e nel mondo, ma abbiamo il do-vere di fare fino in fondo la nostra parte.

Tutti insieme, mettendo da un canto lepaure, i particolarismi e le gelosie, pos-siamo garantire alle generazioni che ver-ranno un futuro degno delle speranze edegli ideali che il popolo ebraico si tra-manda di generazione in generazione.

Dalla dichiarazione del Presidentedell'Unione delle Comunità Ebraiche

Italiane renzo Gattegna,in seguito all'esito del referendum

che ha sancito l’uscita del regno Unitodall’Unione Europea

(da Pagine ebraiche 24 del 24 giugno)

Talmud in italiano

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siarrivati negli anni recenti a ondate e vivonoper lo più isolati dal resto della popolazio-ne, parlano male l’inglese, mentre invecegli italiani, i francesi e gli ebrei tendono amescolarsi di più (l’ebraismo considera undovere partecipare alla vita della nazione).Gli europei dell’Est sono entrati in settori diattività come l’edilizia (dove prima lavora-vano gli italiani), accettano salari più bassie questo causa malumori (il solito discorso:“ci rubano il lavoro”). Nessuno dice cose si-mili sugli ebrei; casomai dicono: “ci rubanoi soldi”.Il punto è: se gli ebrei emigreranno dove an-dranno? La Francia ha già i suoi problemi egli ebrei stanno scappando anche da lì. Po-trebbe forse aumentare l’emigrazione versoIsraele. Se uno ha già un atteggiamento sio-nista, un evento come questo aiuta a fare lamossa.Chissà poi se è vero che gli ebrei emigre-ranno più di prima? Chissà se questa po-trebbe essere un’opportunità per Torino?Noi possiamo offrire una comunità ebraicain Europa. Stavo per dire: un’opportunitàper fermare l’emorragia dei giovani ebreitorinesi, ma in realtà non si può neanche piùparlare di emorragia perché non c’è più san-gue.Secondo te gli ebrei hanno votato per laBrexit nelle stesse proporzioni degli altri?Non saprei dirlo. Suppongo di no perché me-diamente sono più istruiti (ma non come To-rino: Torino ha un livello di eccezione, è fuo-ri norma, ma questo è negativo perché siamouna comunità di cervelli in fuga).comunque a tuo parere ci sono ancheebrei che hanno votato per l’uscita?Non lo escludo: gli ebrei sono un po’ strani.E poi quando sono immerse in una società lepersone tendono a ragionare come gli altri.Parliamo un po’ di te: come e quando seivenuto a vivere a Torino?Ero venuto una prima volta nel 1982 perun’esperienza di lavoro, poi nel 1985 mi so-no sposato con una torinese e mi sono trasfe-rito qui. Ho avuto la stessa esperienza di miopadre. Lui da Venezia (famiglia di originespagnola/portoghese) era andato a Londraper un periodo di lavoro di due o tre mesi,poi ha conosciuto mia madre e il periodo èdiventato tutta la vita. Siamo una famigliamobile, irrequieta (e questo è tipicamenteebraico).Quali impressioni hai avuto inizialmentedella comunità di Torino?Noi ebrei siamo bravi ad esaltare le divisio-ni: la gente evidenzia differenze che poi nonci sono. Io provenivo dal mondo progressive(per scelta dei miei genitori), e non ho nota-to differenze sostanziali. Torino mi è sem-brata una comunità riformata (o, meglio, pro-gressive), con rabbini ortodossi. (Erano gli

hanno potuto votare, nella fascia d’età tra i16 e i 18 anni, avrebbero votato nello stessomodo; quindi se il referendum si fosse svol-to tra dieci anni il risultato sarebbe stato ca-povolto. Ed è quello che, probabilmente,succederà: tra qualche anno ci sarà un nuovoreferendum; ma allora la Gran Bretagna do-vrà rifare da capo tutta la trafila per chiederedi aderire all’Unione Europea. Già ora si par-la di ripetere il referendum, sperando che va-da a votare chi questa volta non ha votato esperando che questa volta la gente capiscache non è un gioco, non è come mettere unafaccina ‘mi piace’ in internet.Un altro paradosso è che gli espatriati (co-me me) non hanno potuto votare. A pensar-ci bene è davvero una stranezza in un con-testo di Europa unita: proprio noi, il nonplus ultra degli europeisti, non abbiamo po-tuto votare.Non è previsto, come accade per gli italia-ni, il voto degli inglesi all’estero?È previsto solo per un periodo limitato di 15anni dopo l’espatrio a chi lo chiede.Ritieni che la Brexit potrebbe avere conse-guenze negative per gli ebrei?Gli ebrei non soffriranno in primis, perchémediamente sono più istruiti (non tutti, natu-ralmente, ma la maggiore importanza attri-buita all’istruzione è sempre stata una carat-teristica tipica della cultura ebraica): non sof-friranno quanto quelli che hanno votato peruscire…Dunque secondo te hanno votato per l’u-scita proprio quelli che ne ricaveranno piùdanni?Certamente: i meno istruiti, con mestieri me-no qualificati, sono quelli che soffriranno dipiù. Londra non avrà problemi. In qualchemodo rimarrà sempre una città aperta, inter-nazionale.Quali sono state le reazioni dei tuoi parenti?I miei figli sono sconvolti, come tutti i loroamici. Per loro è un momento terribile, per-ché si trovano entrambi in una fase della lorovita in cui devono compiere scelte importantiper il loro futuro (Enrico ha appena comple-tato un PhD, Sara ha appena preso l’abilita-zione da avvocato); Sara era scappata moltianni fa dall’Italia a causa di Berlusconi eadesso capita questo! Mio padre, ex italiano(non ha più la cittadinanza: è veneziano, manon italiano) è rimasto molto male.come prevedi che reagiranno gli ebrei?Visto che gli ebrei sono un popolo mobile,se la Brexit porterà a una recessione chi èmeglio piazzato per cercare alternative?Non dico che ci sarà un esodo di massa, mase l’atteggiamento xenofobo è sdoganatoprima o poi questi partiti si riveleranno perquello che sono veramente. Quando la xe-nofobia inizia prima o poi gli ebrei ci vannodi mezzo.Per il momento quelli che temono la xe-nofobia non sono tanto gli ebrei quanto co-loro che provengono dall’Europa dell’Est(polacchi, rumeni, ucraini, baltici) che sono

ultimi anni del rabbinato di rav Sierra; ci hasposati lui; poco dopo è arrivato rav Artom).Circa una decina di anni fa ho partecipato aqualche attività dei progressive a Torino, mai numeri erano davvero troppo piccoli, e poinon vedevo il senso di evidenziare spaccatu-re quando la comunità ospita comunque alsuo interno tutte le sfumature.Nella mia famiglia c’è una tradizione di im-pegno comunitario. Mio padre è stato a lun-go presidente della sua sinagoga (adesso èpresidente onorario), e ha fatto anche partedel Board of Deputies, che sarebbe un po’come la nostra Ucei, ma non comprende so-lo gli ortodossi (vale la pena chiarire una co-sa: il rabbino Capo del Commonwealth cheviene citato spesso in realtà è solo il capodella United Synagogue, che è un’organizza-zione che riunisce le comunità ortodosse manon i charedim e i Lubavitch, che hanno or-ganizzazioni a sé).Per curiosità: quanti iscritti ha la sinago-ga di tuo padre? È più grande o più picco-la della nostra comunità?Sulla carta è più piccola (400-500 persone),ma in realtà le funzioni sono molto più par-tecipate. C’è più apertura. Si includono an-che le famiglie miste, purché ci sia una vitaebraica. Il matrimonio misto non è necessa-riamente assimilazione: è un’opportunità:non viene incoraggiato ma è una cosa chesuccede. Anche a Torino sarebbe meglio in-cludere che escludere.come è nato il tuo impegno comunitariotorinese?Quando ero studente a Cambridge (allora –parlo degli anni dl 1978 al 1982 – gli ebreierano molti, circa il 10% della popolazioneuniversitaria); c’erano studenti ortodossi enon ortodossi; io gestivo il gruppo progressi-ve. Dopo che sono venuto a Torino per moltianni il lavoro e la famiglia assorbivano tuttoil mio tempo, ma avevo sempre pensato chein futuro mi sarei impegnato; quindi quandome lo hanno chiesto ho accettato con piaceredi candidarmi nella lista Beiachad. Il compi-to di un consigliere è prima di tutto di rim-boccarsi le maniche e lavorare, ed è difficilequando si ha già un altro lavoro.Per me la cosa più importante dell’ebraismoè la comunità con i suoi valori (aiutare i gio-vani, assistere gli anziani e i bisognosi, ecc.)La vita religiosa non è fondamentale per tut-te le persone per tutto il tempo della loro vi-ta; riconosco comunque che è necessaria pertenere viva una comunità, così come è im-portante avere scuole e poter impartire uninsegnamento religioso ai figli: è importanteche i figli si sentano parte di una comunità,e credo che questo siamo riusciti a trasmet-terglielo.

Intervista di Anna Segre

(segue da pag. 1) Brexit: paura...

Daniel Fantoni

Vignetta di Davì

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Pacifico è continuata finoalla resa del Giapponenell’agosto 1945: solo al-lora gli inglesi hanno ria-perto al traffico il Canaledi Suez, ma i primi con-vogli italiani sono statidestinati al rimpatrio deiprigionieri di guerra dal -l’India e dal Kenya. Miopadre era rientrato adAsmara nell’estate del ’45con un pretesto (da AddisAbeba gli avrebbero fattodifficoltà ad abbandonareil suo posto); era statoriammesso in carriera conl’anzianità maturata nelfebbraio 1939 e attendevadi riprendere in Italia ilsuo lavoro, questa volta diricostruzione, come in ef-fetti è poi avvenuto. Pertutto l’anno scolastico1945/46 siamo rimasti insospeso e, attendendo lachiamata per l’imbarco da un momento al-l’altro, abbiamo completato Carla la terza eio la seconda ginnasio (così si chiamavano lemedie inferiori), Alda la terza elementare;Piero sarebbe entrato in prima elementarel’anno successivo alla Scuola Ebraica di To-rino. In quell’anno ad Asmara mio padre hatrovato un lavoro precario come esperto con-tabile presso una ditta americana.Il 26 giugno 1946 ci siamo imbarcati a Mas-saua su una nave adibita a trasporto truppe;uscendo dal Canale di Suez le lance di salva-taggio del piroscafo sono state approntate fuo-ri bordo, in quanto il Mediterraneo era ancorainfestato dalle mine poste da tutti i belligeran-ti durante il conflitto. Siamo approdati a Napo-li il 10 luglio, esattamente settant’anni fa.come è stato il rientro in Italia?Lo aspettavamo con ansia, ma è stato anchesconvolgente: a Napoli abbiamo scoperto unmondo alla rove-scia, in cui gliscaricatori eranoitaliani, e il traffi-co era diretto damilitari america-ni di colore; Pie-ro e Alda hannoscoperto le suore,le pesche, la ra-dio, i cugini. Lungo tutto iltragitto da Napo-li a Torino nonabbiamo visto che macerie, case distrutte, fileininterrotte di convogli ferroviari con vagonirovesciati; a Torino si camminava ancora fra lemacerie, e la frase ricorrente di papà e mammaera “qui c’era…”. Le belle strade, i giardini, lelinde case di Asmara, e anche il suo piacevoleclima – i 2.400 metri di altitudine compensanola latitudine – ci parevano un sogno (per diver-si anni, almeno noi figli, intirizziti dagli inver-ni torinesi e milanesi, confinati in alloggi con-dominiali, abbiamo sofferto il “mal d’Africa”).C’è stata però anche la gioia di riscoprire la no-stra grande famiglia, nonni, zii, cugini, parentivicini e lontani che ci riempivano di attenzioni(forse anche perché noi, gli africani, li riempi-vamo di curiosità).Nostro padre ha immediatamente ripreso ilservizio, ed è stato destinato come direttoredei lavori del Genio a Milano; qui, in una ca-serma semidistrutta in via Mario Pagano, haricavato un alloggio, dove lo abbiamo rag-giunto dopo aver trascorso a Torino il primoanno ospiti dei nonni materni. Successiva-mente ha avuto per un anno il comando di unreggimento di Artieri del Genio a Civitavec-chia, e poi il Comando territoriale dell’Armadel Genio a Bolzano. Qui è morto il 15 giugno1951. Noi siamo rientrati a Torino, e ciascunodi noi ha seguito la sua strada.

So che hai trascorso gli anni della guerra edella persecuzione in Africa. Perché erilaggiù? E dove?Mio padre era ufficiale del Genio, laureato iningegneria al Politecnico di Torino; nel feb-braio 1935 è stato inviato in Eritrea, alloraAfrica Orientale Italiana, come direttore deilavori del Genio Militare per progettare e di-rigere la costruzione di strade, caserme eospedali (ho realizzato molti decenni dopo,quando mio padre non c’era più – è morto asoli 54 anni – e non potevo più parlargliene,che Mussolini già nel 1935 stava preparandoil terreno per la conquista dell’Etiopia).La politica razziale del regime fascista è inizia-ta nei confronti dei popoli delle colonie: la “pu-rezza della razza” italiana era addirittura tutela-ta da un nuovo reato, il “madamato”, di cui simacchiava l’italiano che aveva rapporti con unapersona di colore. Per questa ragione le famiglierimaste in Italia sono state invitate (o obbligate)a ricongiungersi con chi si trovava in colonia;così nel dicembre 1936 siamo sbarcate a Mas-saua e salite ad Asmara mia madre, mia sorellaCarla di quasi quattro anni, e io, di due anni. AdAsmara sono poi nati Alda e Piero.Quale impatto hanno avuto sulla vostrafamiglia le leggi razziali del 1938?Mio padre è stato posto in congedo assolutoquale ebreo nel febbraio 1939. Ha trovato pre-sto un lavoro, quale ingegnere, presso una so-cietà che stava costruendo (forse solo proget-tando) una diga per l’elettrificazione del -l’A.O.I.; progetto che non ha potuto realizzar-si a seguito dell’entrata in guerra dell’Italia.Qui devo introdurre una brevissima parentesistorica: l’effimero Impero Italiano è finito nelgennaio del 1941, con la sconfitta italiana adopera degli in inglesi; in Etiopia è ritornato ilNegus Ailè Sellasiè, in Eritrea è stata istituital’Amministrazione Militare Britannica. Miopadre per non collaborare con gli inglesi è an-dato ad Addis Abeba, assunto al Ministero deiLavori Pubblici dell’Etiopia per la manuten-zione delle opere che aveva costruito (strade eponti in particolare). Non ha voluto che lo rag-giungessimo ad Addis Abeba perché a suo pa-rere le scuole italiane non erano all’altezza, ela città era meno accogliente di Asmara (que-sto ho potuto verificarlo anch’io in un recenteviaggio in Etiopia). Durante tre anni abbiamopotuto vederlo ad Asmara molto raramente: sipoteva attraversare il confine tra Etiopia edEritrea soltanto in un convoglio scortato, per lapresenza dei ribelli delle tribù dei Galla e Si-dama (nei miei ricordi di infanzia i bau-bauerano i Galla-Sidama e i Kikuyu, gli indipen-dentisti keniani che terrorizzavano gli inglesi).Questo per quanto riguarda tuo padre. Eper voi figli?Mio padre, avendo ricevuto nella guerra1915/18 una medaglia d’argento al V.M., ave-va chiesto la discriminazione soltanto per po-ter mandare Carla e me a scuola, richiesta cheè stata respinta. Così mia sorella ha fatto laprima elementare con una maestra che venivaa casa; io – privata della mia compagna di gio-chi (e di litigate) – origliavo dietro la porta e,uscita la maestra, “giocavo ai compiti” conCarla, con la conseguenza che, grazie alle leg-gi razziali, a cinque anni sapevo leggere escrivere. L’anno scolastico successivo, il1939/40, è stata creata una pluriclasse perebrei (tutti insieme dalla prima alla quinta) do-ve io ho fatto quella che oggi si chiama la“primina”. L’anno successivo Carla e io ab-

biamo studiato privatamente presso una mae-stra che ricordo ancora con simpatia: mio pa-dre aveva preferito così dopo un sopralluogoal rifugio antiaereo allestito a scuola (l’avevadefinito “una trappola per topi”). Alda e Pieroerano ancora piccoli e stavano a casa.Con l’insediamento dell’AmministrazioneMi litare Britannica nel 1941 sono state revo-cate le leggi razziali, e abbiamo potuto fre-quentare le ottime scuole pubbliche fino a tut-to l’anno scolastico 1945/46.Avevate notizie dall’Italia? Sapevate checosa stava accadendo in Europa?Devo premettere che i nostri genitori hannofatto il possibile perché noi, allora infanti eadolescenti, vivessimo serenamente la nostraquotidianità e ci parlavano pochissimo diquanto avveniva in Italia. C’era uno scambiointercontinentale di notizie che rimbalzavanoda parenti che vivevano in America Latina enella Palestina Mandataria; dopo l’8 settem-bre i messaggi da e per Torino – venticinqueparole al massimo – trasmessi attraverso laCroce rossa e il Vaticano arrivavano con ilcognome della donna di servizio dei nonnimaterni, ma non credo che i nostri genitoriimmaginassero a quale punto era giunta lapersecuzione antiebraica. Tra un messaggio ela risposta trascorrevano diversi mesi.Il primo dispaccio, firmato da uno zio con ilsuo nome, con la notizia che nonni, zii e cu-gini si erano tutti salvati è partito da Torino il25 aprile 1945.Ascoltando, dopo il ritorno in Italia, dai pa-renti e dagli amici ebrei il racconto della lo-ro vita fatta di privazioni, di clandestinità, dirischio della vita, di fughe alla ricerca di na-scondigli ci siamo resi conto di quanto era-vamo stati fortunati a vivere gli anni di guer-ra nel nostro “esilio” africano.Ad Asmara avevate rapporti con altriebrei? Frequentavate la sinagoga?Vi erano alcune famiglie di ebrei italiani; oltrea Bianca Levi, maestra torinese che ha inse-gnato per qualche tempo nella “pluriclasse”,grande amica di nostra madre, ricordo soltantotre nuclei, i Castelfranchi, i Finzi e i Camerini,che però non frequentavamo. Il grosso dellacomunità ebraica era formata da yemeniti, cheda Aden erano emigrati a Massaua quando vierano arrivati gli italiani, per sfuggire alle re-strizioni che soffrivano in patria; si erano poitrasferiti ad Asmara, dove per lo più svolgeva-no attività commerciali. Avevano la cittadinan-za inglese, i figli frequentavano le scuole ita-liane. Nel 1905 era stata costruita ad Asmara laSinagoga, che era frequentata prevalentementeda loro. ricordo pochissime occasioni in cui,con nostro padre, abbiamo presenziato a ceri-monie per le feste ebraiche, celebrate secondole tradizioni degli yemeniti (minhag sefarditama con pronuncia inglese); le matzot eranoconfezionate come la “ngera” eritrea, di pastamolle, abbastanza cattive al gusto. La nostrascarsissima istruzione ebraica l’abbiamo avutada nostro padre, che ci aveva insegnato a reci-tare lo Shemà, aveva dato – almeno a noi duemaggiori – qualche rudimento sulle festività,aveva raccontato i maggiori avvenimenti dellaBibbia (libro che peraltro lui – a quanto ricor-do – portava con sé insieme alla Divina Com-media nelle sue trasferte di lavoro).Quindi, tornando ad una risposta precedente,siete rientrati in Italia soltanto nel ’46, cioè unanno dopo la fine della guerra. Perché?In Europa la guerra è finita a maggio, ma nel

RITORNO IN ITALIA

Asmara, 1940.Dall’alto, in sensoorario: Carla,

papà Aldo, Paola, Piero e Alda

Sinagoga di Asmara

Paola De Benedetti ha 81 anni; dopo le esperienze giovanili negli Zofim e poi nella FGEI –che ricorda come grande scuola di democrazia - ha fatto parte dei consigli delle Opere PieIsraelitiche (prima dell’abolizione delle IPAB), della Comunità di Torino, dell’UCEI (alloraancora UCII) e del CDEC. Fino a otto anni fa ha esercitato a Torino la professione di avvo-cato. Da quando è in pensione – dice – ha scoperto che la pigrizia non è un vizio ma, se benusata, una virtù; però ha sempre qualcosa da fare (per esempio la segretaria di redazione diHK, o recensire qualche libro per il nostro periodico), il che non le impedisce di trovare il tem-po per rispondere a qualche domanda. Il 10 luglio festeggia – o commemora – i settant’annidal ritorno in Italia, e di qui lo spunto per un’intervista.

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lette

reè accaduto quando gli scienziati sono rimastiinchiodati a testi filosofici o religiosi ritenutisacri, anche quando le teorie sostenute dai testierano contraddette dalle prove sperimentali.Analoga mancanza di feed-back dimostrano iregimi che si ispirano a testi sacri di filosofiapolitica le cui teorie semplificative vanno incontrasto con fatti socio-economici comples-si, una volta che tali teorie siano sperimenta-te sul campo. È propria caratteristica dei re-gimi autoritari l’ostinazione a costringerecrudelmente la società dentro modelli sem-plici, precostituiti ed immutabili.La prassi dell’ebraismo rabbinico di sotto-porre a discussione e commento anche i testipiù sacri ha consentito a rabbini del passatodi coltivare le scienze sperimentali, senza

che le due attività fossero ritenute contrad-dittorie. I nostri maestri hanno seguito nelleloro discussioni principi rispettosi del pareredella minoranza, principi analoghi a quelli abase della democrazia. Questa prassi intellet-tuale spiega, forse, la tendenza ebraica a ri-fiutare in passato i regimi politici autoritari, espiega viceversa la propensione di questi ul-timi a diventare antisemiti.Ma non è tutto rose e fiori: anche tra noi og-gi c’è la tendenza a dimenticare, insieme alvalore etico delle mitzvot, l’importanza dellademocrazia come strumento che consente lacorrezione delle rotte sbagliate intrapresedalle nostre società complesse.

David Terracini

La scienza è basata su un principio: una teo-ria va bene fin quando non si dimostra che èsuperata. Il cambio di teoria è deciso sullabase degli esiti dell’esperienza sperimentale.Dunque anche la scienza è dotata di feed-back, come la democrazia.Ma il parto del principio scientifico-sperimen-tale è stato lento e doloroso: per secoli gli al-chimisti medioevali hanno rifiutato di far teso-ro degli insuccessi nella ricerca della pietra fi-losofale e nei tentativi di trasformare i metalliin oro. Lo stesso dicasi degli astronomi rimastifedeli, dopo Copernico, al sistema solare tole-maico, o dei naturalisti creazionisti, che ancoraoggi rifiutano la teoria evolutiva di Darwin. Ciò

(segue da pag. 1) Complessità, ...

Cara Anna,nel tuo allarmato e allarmante articolo “Dan-zando sul Titanic” (Ha Kehillah di maggio),riporti in corsivo un testo uscito il 1° aprilesu Kolot.it, dove tra altre cose si dice connonchalance: “Tra gli altri provvedimenti:abolizione della ‘Giornata della memoria’che sarà sostituita dalla ‘Giornata della con-tinuità ebraica’...”. Si potrebbe pensare a unoscherzo, consuetudine del 1° di aprile, ma tugiustamente mi scrivi: “che gli estensori deltesto invece le considerino [quelle contenutenel testo] proposte pienamente valide mi pa-

Le disperate immagini dei profughi dallaSiria che sfiniti approdano in qualche cen-tro d’accoglienza del Mediterraneo ci ac-compagnano da mesi. Non c’è telegiornaleche ogni sera non dedichi a questi sfortuna-ti, tragici attori della storia più recente, unservizio documentario. Di loro mi colpisce

la differenza tra quelli che hanno perduto ladignità: disperati, muti uomini, e poi stan-che donne coi loro bambini incollati addos-so, che paiono essere diventati oggetti, equelli che invece, malgrado tutto, hannoconservato una loro identità, una parvenzadi umana personalità: sanno parlare, diconodi sé e degli altri, aiutano i loro compagnidi viaggio, condividono le poche cose cheposseggono… I derelitti senza più speranzae quelli che conservano la loro umanità.La nostra impotenza ad aiutarli è pari soloalla loro sofferenza. Le società civili deipaesi più fortunati, sommersi da questequotidiane tragedie che si ripetono e anco-ra si ripetono, ogni sera, ogni mattino, ognigiorno, capiscono bene che non è l’offerta,magari generosa di danaro, a poter aiutarequesti disperati che hanno perduto ogni co-sa e fuggono da una spietata guerra civile,dalla tortura e dalla sopraffazione. Acco-glierli? D’accordo, ma cosa può voler direaccoglierli?Distribuirli? Nessuno sa se distribuiti sta-ranno meglio. Qual è il mistero della loroidentità collettiva, nascosta in una linguache per lo più ci è ignota? Chi potrà resti-tuire loro quella dignità umana che chiun-que di noi avrebbe perduto, come persa l’haciascuno di quei disgraziati che approdanointirizziti su qualche isola greca, italiana, inMacedonia, o in Turchia, o a Cipro e Mal-ta?Di cosa si alimenta la dignità di un uomo?Come si fa a ricostituire l’identità profondadi un essere umano che è passato attraversouna guerra civile, un viaggio avventurosoche lo ha spogliato di ogni altro residuoavere, viaggio spesso connesso con la mor-te recente di qualche famigliare? Chi è que-sta nuova figura di derelitto sociale che nonha lavoro, che approda in terra straniera,che non ha vestiti, che vive in un campoprofughi? Che non immagina per sé alcunfuturo, che vede la sopravvivenza comel’unico suo orizzonte umano. Che ha subito

violazioni, se non torture. Violenze corpo-rali, se non stupri e soprusi sessuali. Mi-nacce e privazioni. Arroganza e trattamentiautoritari. Interrogatori e mortificazioni.Umiliazione e spogliazione.Come noi tutti, nemmeno io so rispondere aqueste domande.Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepidecase, noi che rientrando a casa troviamo ci-bo caldo e l’accoglienza allegra di chi civuol bene, consideriamo se questi che ap-prodano sfiniti su gommoni macilenti, sonouomini: donne smagrite e piene di un terro-re che non conosciamo, senza più il figlioche portavano con sé; uomini soli, con ad-dosso un paio di blue-jeans e una magliet-ta, reduci di guerra, distrutti dal dolore, chehanno perduto tutto nella vita, compreso illoro villaggio bombardato…Meditiamo che questi uomini eravamo noistessi sui treni blindati nazisti che ci porta-vano in massa verso i forni; eravamo noistessi, intirizziti dal freddo e salvati all’ul-timo da un esercito che ci liberava dai la-ger; noi stessi eravamo giunti a pesare tren-tacinque chili, prima che un soldato stra-niero, russo o americano, ci desse la suaporzione di pane. Non dimentichiamocene:perdere questa memoria è smarrire qualco-sa che non è più ricostruibile. Scolpiamo-celo nei nostri cuori, ripetiamocelo cori-candoci, insegnamolo ai nostri figli… Così(forse) Primo Levi avrebbe scritto…Noi che ogni sera vediamo alla televisione,atto dopo atto, il procedere di questa trage-dia apocalittica, noi che assistiamo all’ine-dito avvenimento di un enorme continentepovero riversarsi in un altro più piccolo epiù ricco, noi che vediamo l’Africa che vie-ne in Europa a chiedere aiuto, ci chiediamoinermi, impotenti, come potremo restituireall’uomo quella sua dignità, quella suaidentità senza le quali è l’umanità stessache viene a mancare.Questa domanda viene prima, molto prima,di tutte le altre domande, quelle legate alledifferenze religiose, culturali, genealogichee linguistiche.

Giuliano Della Pergola

re dimostrato chiaramente dalla frase finale(Seguiranno nei prossimi giorni tutti i detta-gli… se solo lo vorremo) e questo a mio pa-rere autorizza una risposta seria”. Si trattadunque di un programma politico in vistadelle elezioni all’UCEI.A parte il fatto che la ‘Giornata della memo-ria’ è legge dello Stato, e l’abolirla da partedell’UCEI può solo voler dire che gli ebreidovrebbero astenersi dal parteciparvi, mi do-mando che cosa ciò significhi. Non sono af-fatto contrario a una “Giornata della conti-nuità”, anzi! Ma perché al posto, o contro,

quella della memoria? Forse nella deriva rea-zionaria che sta investendo il mondo, derivanella quale il mondo ebraico si mostra piut-tosto zelante, si teme ormai il carattere estro-verso e universalistico della ‘Giornata dellamemoria’ per cui la si vuol sostituire con l’i-dea introversa e autoreferenziale di una gior-nata esclusivamente ebraica? Forse l’idea di‘crimine contro l’umanità’ che connota laShoah e che di per sé si rivolge al mondo ealle coscienze vuol ora convertirsi in qualco-sa che riguarda gelosamente solo noi stessi?Poiché vanno di moda il nazionalismo popu-listico e lo spirito autoreferenziale, c’è tra dinoi qualcuno che freme per assimilarsi alpeggio?

Stefano Levi Della Torre

Siena, Purim al Vicolodel Luparello,disegno di

Marina Falco Foa

DI COSA SI ALIMENTALA DIGNITÀ DELL’UOMO?

LA GIORNATA DELLA MEMORIA È DI TUTTI

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7SHABBATON 5776il significato di ciascuna (poi naturalmente leabbiamo mangiate all’inizio della cena: pec-cato rovinare l’opera d’arte, ma erano anchebuone).L’argomento di quest’anno, L’ebraismo inuna società liquida, era interessante e resostimolante dagli interventi programmati eda quelli dei presenti: come l’ebraismo sipone di fronte a una società consumista,che vive “di corsa”, che ha annullato le di-stanze, che pretende risposte immediate,tanto da portarci a vivere e programmarci atempi brevissimi, a momenti che non pre-sumono necessariamente un passato e unfuturo; la società vista da Baumann, illu-strata da Elisabetta Di Porto sotto il profilofilosofico e Susanna Terracina sotto quellosociologico.Dotti gli interventi di rav Di Porto e di ravBirnbaum, il quale ci ha portato gli esempidi posizioni di rabbini diametralmente op-poste tra di loro: tra chi critica il possessodi uno smartphone o sancisce (con argo-menti che è gentile definire puerili), il di-vieto per le donne di guidare, e chi afferma,per esempio rav Sachs, che “ognuno al-l’interno della sua propria tradizione, reli-giosa o laica, debba ascoltare cosa ci sianelle altre tradizioni, e prepararsi allo stu-pore”.

renana Birnbaum ha raccontato con pas-sione la lotta e i piccoli – per ora – succes-si delle donne che vogliono partecipare at-tivamente alla Tefillah, Le insegnanti dellascuola ebraica Naamà Calderon, ruth Mus-si e Claudia reichenbach hanno illustrato ediscusso tra di loro e con il pubblico i con-tenuti dell’insegnamento nella nostra scuo-la.Tre ragazzi dell’Hashomer Hatzair hannoparlato della loro attività, e dei rapporti coni coetanei non ebrei.Molto valida la partecipazione dei ragazzidi tutte le età, con il coinvolgimento deipiù maturi come protagonisti nei dibattiti edei più piccoli nelle animazioni della arevàAurora Lattarulo. Divertente il gioco con-clusivo (stabilire le priorità tra i valori siaebraici sia laici), tanto da occupare – perchi vi ha partecipato – il tempo previstoper la “gita” collettiva al lago. Interessantela proiezione del film sul viaggio di ravBirnbaum in Etiopia, resa divertente daitentativi – finiti con due bagni nel lago Ta-na – del rav di imbarcarsi su una piroga dipapiro.Apprezzata quest’anno la presenza del Pre-sidente, che ha portato il saluto della Co-munità ebraica di Torino.In conclusione: un fine-settimana di discus-sione, di riflessione, ma anche di distensio-ne e allegria in un ambiente affiatato.

Paola De Benedetti

Arrivando venerdì pomeriggio nell’atrio del -l’Hotel Sirio tra saluti, abbracci, valigie spar-se, urla e corse di bambini pare di esserepiombati nel caos, ma nel giro di pochi mi-nuti tutto si appiana; le stanze sono già stateassegnate (sulle porte ci sono i nomi degliospiti, un centinaio di tutte le età, provenien-ti da Torino e da altre città, anche straniere,per potersi ritrovare), viene consegnato ilprogramma con gli orari (il difficile sarà far-li rispettare…), in camera c’è un “shabbatshalom” (con due caramelle): l’organizzazio-ne del quinto Shabbaton si rivela subito – e siconfermerà nel corso dell’evento – perfetta,grazie all’impegno e all’efficienza degli or-ganizzatori e dei collaboratori.All’apertura di benvenuto, prima delle pre-ghiere del venerdì sera, il canto in coro di“innè ma tov u ma naim” è diventato un ri-tuale, ma traduce davvero la sensazione diquanto è bello ritrovarsi con amici che ven-gono da lontano o con gli amici di sempre inun posto diverso dal solito. rituale anche ilregalo a ciascun partecipante da parte dei co-niugi Birnbaum; renana in più ha portato daIsraele molte (tante veramente, non le hocontate) hallot di forma diversa – una meno-rah, una chiave, un grappolo d’uva, due uc-celli su un ramo, due mani annodate, la clas-sica treccia – e ha illustrato la provenienza e

LA SOCIETÀ LIQUIDAapre il cuore e quindi porta alla riflessione.Tutti abbiamo bisogno, a volte, di fare un“restart” e di immaginare un nuovo percor-so.La Mishnà nei Pirkè Avot afferma: rabbiShimon insegna: “Colui che cammina perstrada e studia e si interrompe per dire: ‘co-me è bello questo albero, come è bello que-sto fiume’, la scrittura lo considera come semettesse in pericolo la sua vita”. La pausanon è tecnica, è una separazione tra duemondi: quello della Torà e quello della na-tura. Se invece un uomo medita sul legametra natura e Torà, lo sguardo su di un albe-ro è una continuazione dello studio e nonuna pausa.Il tema che è stato scelto per lo Shabbaton– quello del nostro rapporto con la societàliquida – rispecchia la volontà di pensare edi guardare ai percorsi seguiti dalla societàin cui viviamo, in relazione al contestoebraico, dove non deve esistere separazione

Ultimamente abbiamo organizzato per laquinta volta uno shabbat comunitario pres-so il lago Sirio: uno shabbat che è diventa-to ormai una tradizione. Vorrei condividerecon voi i miei pensieri con un sguardo ri-volto al passato ed uno al futuro.Il tema di questo appuntamento è stato unavera sfida: “una società liquida”. Solo unacomunità come quella di Torino, che pos-siede una capacità di riflessione davvero al-ta, una capacità di analisi profonda, puòscegliere un tema così impegnativo per unweekend.Io credo che questa stessa scelta di ritro-varsi in un fine settimana per studiare, persperimentare una ebraicità al di fuori dellacomunità e per pregare in un luogo immer-so nella natura, abbia qualcosa a che farecon il concetto di “società liquida”.Un pensiero non convenzionale, una com-prensione che si allontana dalla quotidia-nità, dal luogo solito e fisso, dalla casa,

Ghetto di Venezia,disegno di

Marina Falco Foa

MagariNoi, gagliardi rampolli della società liquida,che diciamo di avere perso il senso dello Stato,che con i nostri smart, i nostri app e i nostri twittercinguettiamo con l’intero mondo, nostro vicino di casa,Noi che non abbiamo un obiettivo ideale in comune con gli altrima cerchiamo ognuno con affanno una soddisfazione personale sempre nuova,Noi, velocissimi a cliccare sui nostri tasti virtuali immagini, sillogismi e maledizioni,Noi che gettiamo alle spalle i secoli, le storie e le faticose costruzioni dei nostri avi,Noi che possiamo ottenere tutto ciò che vogliamo comprandolo con un dito sul nostro desk,Noi, giovani e vecchi saccenti della società liquida.

Proviamo a dire ai russi, ai Cinesi, ai Turchi, agli Egizianiche loro non hanno uno Stato.Proviamo a dire ai disperati dei barconiche loro non hanno un ideale.Proviamo a dire ai fuggiaschi dai massacriche loro possono viaggiare velocissimi.Proviamo a dire ai barboni, agli schiavi dei campi, alle puttane stuprate delle periferieche loro, basta lo vogliano, possono vedere esaudito con un click ogni loro desiderio.

Proviamo solo un momento a dirlo a loro:ci risponderanno a milioni: “MAGARI!” e ci copriranno di liquidi sputi.

Davì

tra i due mondi.La volontà di analizzare la distanza tra latradizione ed il rinnovamento, e la propen-sione a far sì che vi sia coerenza tra il mon-do ebraico e la realtà intorno ad esso, erauna delle caratteristiche specifiche dell’e-braismo italiano. Un ebraismo che sapevagestire il dialogo con la società esterna at-traverso la preservazione della propria spe-cificità, con la certezza che un ebreo abbiagli strumenti per affrontare la realtà checambia, nonostante essa talvolta risulti dif-ficilmente decodificabile. Tali strumentisono forniti dall’halakhà e non esiste nes-suna contrapposizione tra tradizione e rin-novamento.Uno degli aspetti che sono stati messi inevidenza durante lo Shabbaton è che, nono-stante il fatto che ci si trovi ad operare inmondi diversi, il nostro retroterra è quellodella solidità, ed abbiamo un debito neiconfronti della nostra storia e della nostraidentità che può essere assolto solo attra-verso una profonda riflessione. Solo cosìpotremo esprimerci nei confronti deglieventi legati all’attualità.La Torà è Torà eter-na, data per l’esi-stenza dell’uomo;l’uomo cambia e perquesto continua acercare in essa “ge-nerazione dopo ge-nerazione”. La realtàche cambia imponecambiamenti nellavisione del mondo.La Torà è Torà solidaper tutte le genera-zioni, ma il suo stu-dio e la sua interpre-tazione devono tenerconto del mondo “li-quido” intorno a noi.Siamo stati felici dicondividere con voiquesto Shabbaton edi sentire l’intimitàfamiliare e l’amici-zia di tutti voi.Con gratitudine edamicizia

Renana Birnbaum

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dial

ogo

UNA PARTITA APERTA

zione della dichiarazione Nostra Aetate (4),per quanto non fosse certamente tale l’inten-zione degli autori: “Il problema dei rapportitra ebrei e cristiani riguarda la chiesa come ta-le, poiché è ‘scrutando il suo proprio mistero’che essa fronteggia il mistero di Israele. Que-sto problema conserva dunque tutta la sua im-portanza anche in quelle regioni dove nonesistono comunità ebraiche”. Ora non possoperò impedirmi di pensare a quelle regionidell’Europa dell’Est, e non solo, in cui la bar-barie nazista ha cancellato l’esistenza di inte-re comunità ebraiche; ma stando così le cose,questo non sarebbe un dato passibile di pre-giudicare lo sviluppo sul posto, in quel vuoto,di un’importante e doverosa riflessione teolo-gica sul mistero della Chiesa, in applicazionedelle direttive contenute nel documento. Ilfatto è che l’altro ci diventa davvero necessa-rio nella sua concreta esistenza soltanto nellamisura in cui si smetta di pensarlo esclusiva-mente in rapporto a (e a partire da) noi stessi.

Il cambiamentoA 50 anni dalla Nostra Aetate è stato pubbli-cato un nuovo documento, l’ultimo in ordinedi tempo, che riassume il lavoro da allorasvolto nell’ambito del rapporto cristiano-ebraico intitolato: Perché i doni e la chiama-ta di Dio sono irrevocabili (Rom 11,29). Ildocumento è onesto, poiché non nasconde le‘aporie’ in cui la teologia oggi si dibatte,mentre prospetta lo sforzo che attende coloroche sono impegnati a proseguire nel cammi-no aperto dalla Nostra Aetate. La strada bat-tuta dal dialogo è la strada ‘ma’, del ‘ma non’,la quale permette, per esempio, di presentarel’aporia maggiore che la Chiesa deve adessoaffrontare: “Il fatto che gli ebrei abbiano par-te alla salvezza di Dio è teologicamente fuoridiscussione, ma come questo sia possibilesenza una confessione esplicita di Cristo è erimane un mistero divino insondabile”. E an-cora, la Chiesa permane il nuovo popolo diDio, “ma non nel senso che Israele, il popolodi Dio, ha cessato di esistere”. Di fatto, l’im-pressione è che il cammino compiuto ci abbiariportati nuovamente al suo punto di parten-za. Già la dichiarazione Nostra Aetate ha pra-ticato la strada del ‘tuttavia’, la quale sostan-zialmente si propone di evitare le disastrosericadute che hanno avuto sugli ebrei le posi-zioni e le tesi teologiche tradizionali: così, segli ebrei hanno rigettato e combattuto il van-gelo, essi “tuttavia rimangono ancora carissi-mi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sonosenza pentimenti”; se le autorità ebraiche sisono adoperate per la morte di Cristo, “tutta-via quanto è stato commesso (…) non può es-sere imputato né indistintamente a tutti gliebrei di allora né agli ebrei del nostro tempo”;se la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, “gliebrei tuttavia non devono essere presentati né

come rigettati da Dio, né come maledetti”.Ovviamente, non è messa qui in discussionel’importanza di neutralizzare le gravi conse-guenze che l’esegesi, la dottrina e la predica-zione cristiana hanno avuto per gli ebrei nelcorso della storia. Io qui mi limito a sottoli-neare l’urgenza di dare a questa provviden-ziale volontà di riparazione e di cambiamen-to una garanzia solida e sicura. In ogni caso,detto en passant, non si può più contare trop-po sugli effetti prodotti dalla Shoah e dallanascita dello Stato di Israele per garantire ilcambiamento auspicato e intrapreso effettiva-mente dalla Chiesa. Il solo fatto che la me-moria della “grande tragedia della Shoah”, dicui i cristiani sono invitati a tenere conto pu-re nell’ultimo documento del 2015, sia sem-pre più imposta dall’esterno con nervoso emartellante accanimento già lascia trasparirela magnitudine del problema. La strada prati-cata dalla Nostra Aetate è diventata da allorala strada maestra della teologia in tale mate-ria. La logica vuole che il ‘tuttavia’, il ‘ma’, il‘ma non’, permettano di conservare le tesiteologiche, ecclesiologiche e soteriologichedi sempre, però con l’aggiunta seguente: “maquesto, tuttavia, non vuol dire che…”. Maperché per tanto tempo esse hanno detto esat-tamente quello che oggi non si vuole? Comeè stato possibile? E che fare? A mio avviso, lastrada battuta dal dialogo porta l’attenzioneteologica sugli effetti da evitare e non invecesulle loro stesse cause. Anche concedendoche tali effetti non debbano essere necessari einevitabili, nonostante la testimonianza con-traria della storia, l’ascolto di Israele esige as-sai di più dal cristiano e dalla Chiesa.

IILa parola che manca

richiamo a questo punto due eventi significa-tivi che hanno avuto per protagonista papaFrancesco, la visita a Yad VaShem, il Memo-riale dell’Olocausto di Gerusalemme, e allaSinagoga di roma. A Yad VaShem, luogo-simbolo della memoria ebraica, Francesco haposto in modo solenne la domanda sull’Uo-mo/Adam: dove sei, Uomo? Di fronte ai tantiorrori della guerra, allo sfascio di un’intera ci-viltà, l’Uomo (con la U maiuscola), do v’era?Egli richiamò con parole assai intense il sen-so dell’Umanità e della sua vocazione ultima,interpellando direttamente l’Uomo, la sua co-scienza morale e il senso della sua dignità. ri-portare il discorso alle responsabilità concretedi quanti sacrificarono innanzitutto l’umanitàpropria, per poi poter meglio profanare quellaaltrui, mi sembrò una correzione dovuta alladomanda su Dio – dove era Dio? – posta dapapa Benedetto XVI in occasione della sua vi-sita ad Auschwitz. Furono in molti a ritenerepoco consistente un tale appello di BenedettoXVI a Dio, anziché all’uomo, per motivi mol-to diversi, se non addirittura divergenti, legatia considerazioni tanto di natura geo-politicaquanto di natura propriamente teologica. Lamia personale impressione fu che una tale do-manda venisse posta dal papa fuori-tempo,un’impressione insomma di déjà vu, che miaveva lasciato come retro-gusto il saporesgradevole di un esercizio artificiale e retori-co; in breve, un esercizio di scuola da teologo(un po’) consumato. La rettifica di papa Fran-cesco, rimettendo l’uomo al centro della que-stione, era a questo punto dovuta. Tuttavia, sela sua meditazione intorno alla figura di Ada-mo, prototipo dell’Uomo universale, poté ri-sultare assai bella, intensa e ispirata, da unpunto di vista cristiano, non era certo così, edifficilmente poteva esserlo, da un punto divista ebraico. A Yad VaShem, infatti, France-sco parlò sentitamente dell’Uomo senza maipronunciare la parola Ebreo (mentre lo ascol-tavo parlare, dentro di me lo incitavo: … Edilla! … Ma dilla!). Eppure quel luogo è sor-to proprio per questo, per dare innanzitutto unnome e una posterità alle vittime della Shoahin seno al loro popolo, il popolo ebraico. C’è

ILa strada del dialogo

Parto da Nostra Aetate. Questa dichiarazione,di cui si sono appena celebrati i 50 anni, harappresentato per la Chiesa una svolta inne-gabile nel suo modo di affrontare e di consi-derare la questione ebraica. Documento sen-za dubbio ‘rivoluzionario’, per quanto resticomunque limitato: non vi compare la Shoahe neppure lo Stato di Israele; ma nemmeno vicompare la religione ebraica e il conseguentelegame del popolo ebraico con la terra diIsraele. Pure le ragioni indicate per spiegaretali omissioni sono altrettanto parziali e limi-tate: la Shoah stava rivelandosi per la Chiesaun tema sempre più sensibile sotto il fuocodelle accuse che le erano rivolte; lo Stato diIsraele rappresentava un ostacolo sul pianotanto teologico quanto politico; la religioneebraica non entrava in una considerazioneteologica di natura tutta interna alla Chiesa.Altri documenti seguiranno e cercheranno dicolmare tali omissioni almeno per quantoconcerne la religione ebraica e la Shoah: laprima sarà l’oggetto di un testo del 1985 inti-tolato: Ebrei ed ebraismo nella predicazionee nella catechesi della chiesa cattolica; la se-conda di un documento assai controverso del1998 intitolato: Noi ci ricordiamo. Una ri-flessione sulla Shoah. Sul legame del popoloebraico alla terra di Israele ci fu un tempora-neo avanzamento coraggioso da parte dei ve-scovi francesi in un documento del 1973 inti-tolato: L’attitude des chrétiens à l’égard dujudaïsme. Addurre il carattere religioso deldiscorso svolto dalla Chiesa per spiegare cer-te omissioni è un giochetto al quale anche pa-pa Francesco ha fatto ricorso per illustrare ilsuo ‘pellegrinaggio’ nel paese. Come se lascelta di omettere certe cose fosse politica-mente neutra rispetto alla scelta contraria. Maper tornare a Nostra Aetate, io credo che l’e-voluzione della Chiesa in materia sia stata inrealtà dettata dalle celebri prime righe con cuisi apre il documento. Esse presentano il vin-colo che la Chiesa intrattiene con la stirpe diAbramo come una realtà intrinseca al suostesso mistero. A mio avviso, in una tale im-postazione consiste il limite maggiore del do-cumento e non solo il suo incontestabile pre-gio. Il limite è quello dell’auto-referenzialità.Lo stesso che ha portato i cristiani a privile-giare da sempre l’interpretazione di Israele alsuo ascolto; a strumentalizzarlo, a fagocitar-lo. Una simile tendenza è fin troppo palesenel titolo di un acclamato documento del2001: Il popolo ebraico e le sue Sacre Scrit-ture nella Bibbia cristiana. Di certo, questatradizionale mancanza di considerazione perl’interlocutore reale trova la sua sinistraespressione, per così dire, nelle parole con-clusive di un documento del 1974 intitolato:Orientamenti e suggerimenti per l’applica-

Roberto Terracini,Padri conciliari,dettaglio,

vetroresina, 1966

La dichiarazione conciliare Nostra Aetate è stata celebrata a distanza di 50 anni dalla sua pro-mulgazione. L’apprezzamento del documento non può non essere unanime. Straordinaria è lasua importanza nel promuovere il riavvicinamento dei cristiani agli ebrei, all’ebraismo e aIsraele. Difficile è prevedere dove possa portare la riscoperta del patrimonio comune e delleradici ebraiche della fede cristiana. Le attese degli inizi erano grandi. Le attese di oggi sonole stesse di ieri?

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presenti; del resto, egli aggiunge, la stessa In-quisizione dovrebbe essere indagata nel con-testo storico di allora e non giudicata con ilsenno di poi. Per di più, sono critiche che ilpapa ha preso male, in quanto rivelatrici, asuo dire, del fatto che siano “tutti contro laChiesa, contro Pio XII”. La cordialità che tra-spare dall’intervista non sembra mai vacilla-re, e il credito di simpatia nei suoi confrontipermane inalterato fino all’ultima riga. Ma ècerto che il papa non ha gratificato il suo in-terlocutore e i lettori del popolare quotidianoisraeliano sui punti sensibili e più attesi. Nelclima della Pasqua ebraica appena trascorsa,chiudo questa parentesi nel modo seguente:se Francesco, con la sua visita in questo pae-se, avesse lasciato intendere che Israele rap-presentava per lui una priorità assoluta, oppu-re si fosse limitato a indicare la città di Geru-salemme come capitale attuale di questo Sta-to, ci sarebbe certamente bastato – dayyenu.

IIIGli obiettivi del dialogo

Seguo a modo mio il dialogo cristiano-ebrai-co da circa 40 anni. ricordo bene le aspetta-tive che accompagnavano un tale impegno.La riscoperta delle radici ebraiche dovevacomportare una revisione della vita dellaChiesa in tutti i suoi aspetti, dottrinali, sacra-mentali, ecclesiali. Doveva venirne un rinno-vamento religioso e spirituale di eccezionaleportata. La Chiesa si apriva a Israele nella mi-sura in cui si apriva al mondo e alla vita mo-derna. Una testimonianza a conforto della ve-racità delle parole seguenti di André Neher:“il coraggio di una fede è a misura dell’aper-tura degli spiriti” (Le puits de l’exil, Paris1966, p. 89). A quei tempi non sono mancatealcune voci rare, ma autorevoli, della gerar-chia ecclesiastica favorevoli al rinnovamentoche il contatto ritrovato con le radici ebraichedella fede cristiana avrebbe inevitabilmenteinnescato. Mi chiedo oggi cosa sia rimasto ditutto quello? E me lo chiedo perché nel frat-tempo tutto è cambiato, il mondo, Israele, laChiesa. Pure io non sono rimasto lo stesso. Èun fatto che il dialogo cristiano-ebraico di-penda molto da quanto succede al di là e al difuori di esso. Il che costringe a muoverci supiù registri contemporaneamente, su quelloculturale innanzitutto, e su quello della mo-dernità, per poterlo condurre in porto come sideve. In realtà, è proprio questo, oggi, a nonessermi più chiaro, e cioè che cosa ci si deb-ba ancora aspettare da esso. Dopotutto, sareb-be davvero ragionevole insistere tanto perchéuna religione debba cambiare? E poi, quale?L’ultimo documento del 2015, più volte ri-chiamato, assegna al dialogo gli obiettivi se-guenti: dopo un rapido richiamo al patrimo-nio comune e all’arricchimento reciproco cheprocura la sua conoscenza, in particolare

quella delle rispettive esegesi (in una prospet-tiva sempre del tutto strumentale), i punti pro-grammatici che seguono e che sono ampia-mente sviluppati sono quelli relativi all’impe-gno comune per la giustizia e per la pace, econtro la discriminazione razziale e l’antise-mitismo, come pure quelli relativi all’azionecaritativa, sociale e umanitaria. A mio avviso,questa è però una contraddizione interna deldocumento e una drastica riduzione della li-nea teologica prospettata dai suoi promotori.Di più. La Chiesa finisce in questo modo perappiattirsi sulle posizioni ebraiche tradiziona-li che autorizzano il dialogo per migliorare ilmondo (tiqqun olam), senza mai toccare peròl’ambito della religione e della fede, comevolle a suo tempo l’autorevolissimo rabbinoJoseph B. Soloveitchik. L’interesse ebraicoimmediato, assai comprensibile, è da semprela lotta contro l’antisemitismo e la creazionedi una società rispettosa dell’altro, in cui gliebrei possano vivere in pace. Dal punto di vi-sta ebraico, dunque, è a questo che il dialogodoveva servire. Il che frustrava profondamen-te e puntualmente l’interlocutore cristianoproiettato com’era sull’aspetto teologico del-la questione. Velleitaria che fosse, cosa a cuinon credo, una tale proiezione agiva comepotente motivazione a porre come dovere (re-ligioso) la ricerca di una verità da conosceree da scoprire. Velleitaria, in realtà, era solo lasupposizione che la verità fosse rimasta anco-ra una questione. Una questione che la Chie-sa avrebbe ora potuto e dovuto invece riapri-re stando in ascolto di Israele.

una partita apertaDa parte della Chiesa, l’affermazione a mioavviso più importante in rapporto a Israele,agli ebrei e all’ebraismo, è venuta non a casoda papa Giovanni Paolo II a proposito della ir-revocabilità dell’antica alleanza. Era il 1980.Non sono mancati teologi di spicco che hannoallora reagito, riferendo l’intenzione del papaall’alleanza con Abramo, poiché convinti che iconti con il Sinai fossero ormai stati chiusi unavolta per sempre. Ma l’alleanza irrevocabile diGiovanni Paolo II era l’alleanza sinaitica.Un’affermazione come quella avrebbe dovutoprovocare nella Chiesa un terremoto teologico.L’edificio ha invece tenuto. Ha assorbito il col-po. Al punto che, se una volta era scarsa l’at-tenzione al dialogo cristiano-ebraico da partedella gerarchia ecclesiastica e del clero, oggi èvero il contrario. Il dialogo è stato via via cen-tralizzato e gerarchizzato. Gli ebrei, che nonvogliono essere da meno, producono a lorovolta documenti su documenti firmati tanto darabbini e rabbini-capo quanto da esponenti piùo meno rappresentativi. Lo stesso mondoebraico ortodosso, costretto a prendere atto delcambiamento in corso, entra in dialogo con laChiesa e con il mondo cristiano. Una recentis-sima dichiarazione rabbinica ortodossa sul cri-stianesimo (dicembre 2015) ha attirato l’atten-zione della stampa di mezzo mondo. E un pa-ragone a suo proposito si impone, tutto a van-taggio di Nostra Aetate. La dichiarazione rab-binica ortodossa, nell’eccitazione del momen-to, lascia spesso a metà il messaggio delle fon-ti (Yehuda Halevi e Maimonide, per esempio)che riporta, manipolandole in accordo con lanuova agenda. Nostra Aetate, invece, ha avutose non altro il ritegno di non arruolare i padridella Chiesa in una missione impensabile, eper questo non li cita, per averli oggi trovati indifetto. La critica dei maestri, quando serve, èun indice sicuro dello stato di salute di una co-munità che li onora. La dimensione ermeneu-tica è propria di entrambe le tradizioni religio-se. È dunque sul terreno ermeneutico che sigioca ancora la partita? Se sì, credo comunqueche il coraggio critico che oggi serve ciascunolo debba innanzitutto esercitare sui propri pre-supposti. E questo per evitare che a cambiaresiano solo le cose da dire.

Raniero FontanaGerusalemme 2016

9stata un’altra parola che papa Francesco nonha pronunciato, e questo in occasione dellasua recente visita alla Sinagoga di roma, laparola Israele (e ancora una volta, mentre loascoltavo parlare, dentro di me lo incitavo: …E dilla! … Ma dilla!). Dunque, una parola an-ch’essa importante che di nuovo è mancata. Eche tanti anni di dialogo cristiano-ebraico, diincontri e di strette di mano, non hanno propi-ziato. È un fatto che l’impressione che ricevooggi non è paragonabile a quella che mi ha la-sciato papa Giovanni Paolo II. Quest’ultimoera capace di parole e di gesti sorprendenti,profetici, che andavano ben al di là delleaspettative di entrambe le parti. Papa France-sco, invece, sembra sempre al di qua. Da luinon è ancora venuta quella parola che moltiebrei attendono, ed io con loro.

DayyenuMi sia consentito di aprire una parentesi. Laprima lunga intervista a tutto tondo che papaFrancesco ha rilasciato a un quotidiano israe-liano è stata pubblicata nel supplemento delSabato di Yediot Aharonot (pp. 8-11) in data28 novembre 2014. Nel corso dell’intervistasono state affrontate tematiche che spazianodalla violenza religiosa alla città di Gerusa-lemme, dal ‘pellegrinaggio’ in Terra Santaagli amici che lo hanno accompagnato, da PioXII alla Shoah, dalla politica interna vaticanaalla politica globale, sociale e ambientale. Lerisposte del papa alle domande del giornalistasembrano sistematicamente disattendere leattese suscitate in Israele. Il papa spiega algiornalista che la sua visita, per quanto fossela prima da lui intrapresa in un paese stranie-ro, essendo stata quella in Brasile program-mata dal papa precedente, non fosse in realtàun’iniziativa sua, ma di Shimon Peres, presi-dente dello Stato di Israele a fine cadenza, eche Francesco volle proprio per questo moti-vo onorare: “La visita in Israele è nata nelgiugno dell’anno scorso su iniziativa dell’al-lora presidente Shimon Peres. Io non pensavoa questo viaggio”. Il papa spiega anche l’im-portanza religiosa di Gerusalemme, auspicala negoziazione politica tra le parti come pre-messa ineludibile per il raggiungimento dellapace agognata, oggetto della sua preghiera, eaggiunge: “Le parti possono convenire cheGerusalemme sia la capitale di questo Stato odi un altro Stato”. Per chi avesse eventual-mente voluto considerare l’amico rabbino co-me prova ultimativa della preferenza da luiaccordata al popolo che rappresenta, subito ilpapa ne ha tirato fuori un altro, un amico mu-sulmano, imam di mestiere, da lui voluto co-me secondo accompagnatore, per realizzare ilsogno di essere tutti e tre ai piedi del MuroOccidentale (Kotel). Infine, il papa non na-sconde l’amarezza per come il suo predeces-sore Pio XII sia stato criticato e accusato inmodo assai poco obiettivo, nelle condizioni

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isra

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Vignetta di Davì

al primo sionismo, filantropico o espressionedi una presa di coscienza identitaria e cultu-rale, alla totalità patriottica del primo conflit-to, e al ventennio totalitario, e poi dal traumadel ’38 e il biennio di sangue ’43-’45, fino al-la ripresa del dopoguerra, dalla ricostruzioneall’alià di molti e al presente su cui sovrastala centralità dello Stato di Israele. È giunto ilmomento che, in prospettiva, si ricostruiscal’iter del l’Italia ebraica, magari con diversiapporti, per le nuove generazioni. È un au-spicio che invio al nuovo direttore del Centrodi Documentazione che ha così bene messo afuoco, in passato, la specificità e la proble-matica della nostra Diaspora.

929 - ogni giorno,capitolo per capitoloSeguo in internet il testo biblico, da Bereshit,per cinque capitoli settimanali, da conclude-re, a D-o piacendo, nel settantesimo anniver-sario dello Stato di Israele. 929 capitoli, delTanakh, commentati da vari punti di vista,anche “laici”, sotto la direzione del rav Dott.Benyamin Lau, ben conosciuto nel milieu in-tellettuale non solo gerosolimitano. L’ap-proccio alla Bibbia è stato caratterizzato invario modo, dai tempi dell’Yishuv. Da unaconnotazione nazionale sionista, alla BenGurion, al fondamentalismo messianico dei“ragazzi delle colline” in Cisgiordania. 929 èun’apertura verso il pubblico dei socialnetwork, per neutralizzare, per quanto possi-bile, i dissidi e le intolleranze volgari dei di-battiti, riscoprendo il Testo fondamentaledella nostra individualità.

FluiditàNon possiamo negare che chi segue le newsal quotidiano si è assuefatto a “sorprese”continue. Fino a qualche settimana fa,Yvet(Avigdor) Lieberman sparava a zerocontro l’“eterno” Premier, da ultra destra, ri-tenendolo troppo “molle”, in vena, mai sia,di aperture alla “sinistra” (leggi Herzog e C.)in una scorribanda di tentativi andati a vuotodi allargamento della stretta coalizione, datal’opposizione (fino a quando?) del maggiorpartito del centro-sinistra. Avendo mandato acasa Ya’alon, troppo liberal, Bibi ha “perdo-nato” al duro vecchio partner di cordata, af-fidandogli il prestigioso Portafoglio della Di-fesa. La reazione di molti, al primo momen-to, è stata di choc, ricordando le focose di-chiarazioni del Nostro, altri hanno sottoli-neato l’“elasticità” del neo-Ministro. Mentrescrivo, Lieberman si è incontrato con i diri-genti militari e politici statunitensi, in vistadi un ampio accordo di collaborazione mili-tare. È un mondo effervescente, a 360 gradi.E non mi riferisco solamente alla scena me-diorientale.

Reuven Ravenna

23 giugno

SubcoscienzaMettiamo le carte in tavola. La maggior par-te degli israeliani convive con lo status quoda anni o meglio dal ritiro dalla striscia diGaza di ottomila residenti ebrei e la conse-guente distruzione dei loro villaggi. Contem-poraneamente Bibi sta sorpassando, per du-rata come premier, il record del Grande Vec-chio, “Padre della Patria” [Ben Gurion, ndr].Netanyahu è l’espressione di questo stato dicose. Più di una volta ha espresso l’aspira-zione al raggiungimento di una soluzione delconflitto basata su “due stati per i due popo-li”, da discutere SOLAMENTE in una tratta-tiva diretta tra i contendenti “senza condizio-ni preliminari”. Non occorre essere analistidi lunga data per rivelare le condizioni israe-liane o meglio della maggioranza al potere:Gerusa -lemme indivisa capitale di Israele, il ricono-scimento dello Stato Ebraico e di vaste zonedella Cisgiordania in cui sono collocati gliinsediamenti ebraici, con una popolazionearrivata a quasi mezzo milione di anime. AbuMazen ha puntualizzato le condizioni pale-stinesi: ritiro di Israele alla linea verde degliaccordi d’armistizio del ’49, GerusalemmeEst capitale della Palestina araba, la Cisgior-dania senza presenze ebraiche. E sulla scenainternazionale si succedono piani, convegnie proposte di soluzioni che a tutt’oggi nonhanno sbloccato l’impasse.E nel frattempo la nostra vita continua. Usoun brutto termine, “escapism”. Al quotidianonoi israeliani, più o meno, accettiamo de fac-to o de iure la cristallizzazione del “Mazav”(situazione), sempre con il timore di rinnova-ti conflitti o di attentati “minori” da un cantoe gli stupefacenti progressi della tecnica, go-dendo di una intensa e vivace vita culturale,pur lamentando le disparità sociali, le preoc-cupanti tendenze antidemocratiche per gliuni e le frustazioni delle elites del mondo diieri, che non si rassegnano alla volontà dellamaggioranza (che per vari motivi, contingen-ti, ideologici o “religiosi” appoggia il KingBibi da due decenni, soddisfatta per il suomodus operandi consistente nel guadagnaretempo al l’interno e, soprattutto, approfittaredelle tempeste che ci circondano nel mondo),per gli altri.

SognoNei dibattiti in corso sul futuro dell’Italiaebraica, noto un pessimismo per il trend de-mografico e una divergenza di vedute sullaopportunità delle aperture verso l’esterno ol’arroccarsi nel piccolo mondo comunitario,corroso da una crescente assimilazione. Perun inveterato approccio storico rivado indie-tro agli inizi del secolo scorso, rivivendo, perquanto possibile, le tappe percorse dalle ge-nerazioni che ci hanno preceduti. rivivo l’I -sraelitismo postemancipatorio del primo No-vecento degli “Italiani di religione mosaica”fedeli per lo più, da sudditi, di Casa Savoia,

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esterno o direttamente (ad esempio, una piz-za alla marinara) o indirettamente (il profu-mo di origano che l’annuncia dal forno a le-gna). In un sistema nervoso complesso e ar-ticolato come il nostro, la predizione può es-sere più indiretta e più a lungo termine, adesempio la chiamata persa di un amico, cheper solito preannuncia una serata in pizzeria.Tutti i passaggi logici, le condizioni al con-torno, i dettagli spazio-temporali, le possibi-li alternative, sono lasciati all’analisi di altrecomponenti, più moderne, del cervello. Ladopamina è solo una spruzzata di felicità pri-mordiale, presente o futura, che serve a tuttele altre componenti del sistema come datoper impostare i loro calcoli complessi.La cosa sorprendente è che lo stesso neuro-trasmettitore è coinvolto nella segnalazione opredizione delle punizioni, o in generale ditutte le contingenze che hanno o possonoavere un effetto positivo o negativo sulla so-pravvivenza dell’organismo: l’evoluzione,nel suo percorso di centinaia di milioni di an-ni, ha enormemente sviluppato, almeno in al-cune specie fra cui la nostra, i sistemi per l’a-nalisi raffinata di queste contingenze, ma nonè riuscita a inventarsi un altro neurotrasmet-titore per segnalarci il bene o il male in arri-vo. C’è sempre e solo la dopamina. Precisa-zione: ci sono altri neurotrasmettitori, pochie antichi anche loro, che lavorano insieme al-la dopamina, ma per renderci ad esempio piùo meno reattivi, più o meno capaci di ap-prendere dal l’esperienza, non direttamentelatori del bene e del male.Si capisce allora come mai, se quella che vie-ne spruzzata è una sostanza sola, diventi es-senziale il sistema di ripulitura dopo lospruzzo. Se si sparge del riso all’uscita deglisposi dalla chiesa, è importante che venga ri-mosso per non ingenerare malintesi in chi sitrovi a passare davanti alla chiesa in un mo-mento successivo, quando capita che si deb-ba officiare un funerale. Per la dopamina i si-stemi di ripulitura della dopamina sono altremolecole che la portano via (trasportatori)oppure la trasformano (enzimi), seguendoprocedure anch’esse evolutivamente moltoantiche. Le molecole trasportatrici e gli enzi-mi però sono naturalmente presenti, nella po-polazione, con una loro piccola variabilitànaturale, determinata geneticamente. Comese tutti noi fossimo dotati di un aspirapolve-re portatile per rimuovere il riso davanti allachiesa, ma alcuni di un Phillips MiniVac edaltri di un Black&Decker Dustbuster; o addi-rittura due modelli leggermente diversi dellastessa marca. Nel cervello sono l’allele-9r el’allele-10r del trasportatore, oppure la va-riante Met e quella Val dell’enzima.

Accade così che in un campione ampio di in-dividui normali si possano riscontrare diffe-renze, deboli ma significative, nella capacitàdi cogliere correttamente i segnali trasmessida una spruzzata di dopamina, a seconda diquale allele o quale variante abbiano ricevu-to in sorte dai loro genitori. Con test di labo-ratorio (si presentano loro immagini neutre,di cui devono imparare la valenza positiva onegativa) si possono osservare queste minutedifferenze nel loro comportamento medio, ele si possono correlare con il loro codice ge-netico, analizzato da un semplice prelievo.Le correlazioni ci sono, e sono riproducibilicon un modello matematico, che trascrivequesti fenomeni della biologia in un sistemadi equazioni simulabili al calcolatore.Perché racconto tutto questo, che c’entra conle madri palestinesi che si sono suicidate aiposti di blocco? C’entra in maniera indiretta.Quello che ho raccontato per sommi capi è ilcontenuto della tesi di laurea di Ashar Nat-sheh, una studentessa nonché giovane madrepalestinese, che non si è suicidata ad un po-sto di blocco. Si è invece laureata a pieni vo-ti presso il dipartimento di informatica del-l’università politecnica palestinese di He-bron, il 5 giugno scorso. Ho avuto il privile-gio di partecipare alla sua commissione d’e-same, via skype. La sua tesi di laurea è statala prima, a Hebron e in tutta la Palestina, adaffrontare tematiche così interdisciplinari al-la confluenza tra neurobiologia, cibernetica escienze cognitive. Se il mio cervello è statoinondato da un fiotto di dopamina non è sta-to solo per il piacere immediato di vedere, at-traverso la precaria connessione dalla bandainsufficiente, Ashar avvolta nel suo hijab cheesponeva l’originale lavoro di tesi, ma ancheper la speranza più a lunga scadenza, che an-che ad altre e ad altri giovani palestinesi siaprano prospettive concrete di contribuirecon la ricerca scientifica alla costruzione delloro paese.

Alessandro Treves

In un articolo che mette profonda tristezza,su Haaretz di domenica 12 giugno, AmiraHass racconta nel suo stile scevro di aggetti-vi del fenomeno delle giovani donne palesti-nesi che si fanno uccidere presentandosi da-vanti ai soldati israeliani con un coltello inmano. Descrive in particolare il caso recentedi Ansar Hirsha, 25 anni, madre di due figli,di 4 e 2 anni, uccisa al checkpoint di Einav,dopo che in tre avevano cercato di dissuader-la dall’avvicinarsi, e di convincerla a tornareindietro. È un fenomeno che si è fatto faticaad identificare come distinto, nell’ampiospettro di casi fra coloro che hanno effettiva-mente cercato o sono addirittura riuscite auccidere o a ferire israeliani, e coloro che in-vece sono state uccise per errore, come Sa-mah Abdallah che era in macchina con suopadre. Inoltre, fino al l’uccisione di Hadeelal-Hashlamoun, lo scorso settembre, si pen-sava che una donna che si presenta avvoltanella sua veste nera agitando un pugnale, ma-gari ad un posto di blocco dove i soldati so-no ben accorti e la ‘speranza’ di ferirne qual-cuno è minima, lo faccia per farsi arrestare.Forse perché vuole fuggire da problemi in fa-miglia, oppure per qualche altro motivo pre-ferisce la prigione alla vita che sta facendo.Da settembre tutti dovrebbero aver capito, acominciare dalle giovani donne stesse, che laconclusione più probabile è la loro uccisione,che viene quindi a configurarsi come unaforma di suicidio.Quante donne si sono suicidate così? Unaparte delle 16 che sono state uccise da set-tembre, oltre a 155 uomini, stando ai conteg-gi di B’Tselem. Troppe poche per chi speras-se che il problema palestinese si risolva dasolo con un’ondata di suicidi di massa segui-ta da un’e migrazione massiccia. Ma troppeper non interrogarsi su cosa possa spingereuna giovane donna, in diversi casi una ma-dre, ad un gesto così estremo. Un gesto chela quasi totalità di noi vede come la scelta delMale, anche se poi alcuni ignobilmente negioiscono per il male che potenzialmenteavrebbe potuto portare al nemico, ed altri al-trettanto ignobilmente per il male che concertezza ha portato a se stessa e ai suoi cari.Ma cosa può portare alcuni, o alcune, a scel-te che altri non farebbero mai?Una prospettiva che esula dal conflitto israe-lo-palestinese la propone la neurobiologiadella dopamina. La dopamina è un neurotra-smettitore con un ruolo importante e anti-chissimo nel nostro cervello, che risale a cen-tinaia di milioni di anni fa, ben prima dell’e -mergere dei mammiferi. Spruzzato a pioggiasu vaste zone del sistema nervoso, segnalaun premio che ci sta arrivando dal mondo

AL DI QUA DEL BENE E DEL MALE

In basso a sinistra, Ghetto di Roma.

Qui sotto,Sarmede (TV), Aron,oggi al Museo

del tempio italianodi Gerusalemme,

disegni diMarina Falco Foa

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DUE POPOLI, UNA PACEla la loro esistenza quotidiana. Ma ritenereche il conflitto fra Israele e Palestina sia og-gi un qualcosa di meno rilevante e che lo sta-tus quo possa essere sostenuto indefinita-mente è un errore. La convinzione così pre-valente in Israele che il conflitto possa esse-re “gestito” in forme a ” bassa intensità” sen-za essere risolto è illusoria così come l’ideache nel disordine regionale convenga a Israe-le non assumere un’iniziativa di pace e atten-dere gli eventi. I costi umani e materiali del-la “non pace” sono infatti enormi, come atte-stano gli orrori della guerra di Gaza del 2014o le aggressioni a colpi di coltello che insan-guinano da mesi le strade di Israele e dellaWest Bank e la minaccia crescente di un de-grado della democrazia e della stessa convi-venza fra arabi ed ebrei in Israele.Oltre allo stallo politico e al perdurare delconflitto, vi è una profonda separazione fra ledue società, quella ebraico-israeliana e quel-la arabo-palestinese. Nella psicologia dei pa-lestinesi Israele è l’occupante, l’aggressore;per gli israeliani i palestinesi sono il nemicoomicida, ingrato e irriducibile che non meri-ta fiducia né diritti di popolo e stato. Un re-gresso profondo dalla filosofia degli accordidi Oslo del 1993 il cui presupposto era il ri-conoscimento reciproco di diritti: quello diIsraele a un futuro di pace e sicurezza, quel-lo dei palestinesi ad uno stato indipendente edegno di questo nome.Nella sua relazione Stefano Levi della Torre,saggista e scrittore, ha discusso il quadroconvulso del Medio Oriente, a un secoloesatto dagli accordi Sykes-Picot in cui In-ghilterra e Francia, le potenze europee alloraegemoni, stabilirono i confini interstatualidella regione. Oggi quegli stati sono in fasedi disfacimento ed è in atto una guerra civile“intraislamica”. Anche per Israele e Palesti-na, la soluzione dello stato-nazione, volutastoricamente dai due movimenti nazionali –quello ebraico con l’affermarsi dell’idea sio-nista e quello palestinese con il formarsi diun’identità nazionale nell’incontro-scontrocon il sionismo, la nascita di Israele e soprat-tutto la conquista dei territori nel 1967 – saràuna fase transitoria, ma è l’unica possibilità,difficile, ma necessaria. Altre soluzioni, uno

stato unico o forme confederali, appartengo-no a un futuro incerto e lontano. È possibileoggi un’alleanza, o almeno una confluenzadi interessi fra Israele e i palestinesi chemaggioritariamente ricercano una maggiorelibertà e democrazia e si oppongono alla ma-rea montante del radicalismo islamista.Il primo relatore israeliano è stato GidonBromberg, codirettore di Ecopeace MiddleEast – una ONG tripartita israelo-giordano-palestinese che si occupa di ambiente ed ac-qua, un unicum del genere nel vasto univer-so di tante ONG, in cui israeliani e palestine-si cooperano, pur con grandi difficoltà, persuperare quella separazione “disumanizzan-te”, nonché le barriere della paura, dell’odio,del rifiuto di riconoscere l’altro. Opera detta“people to people” spesso percepita comequalcosa di bello, ma inutile, ininfluente sulcorso degli eventi. Anzi osteggiata in campopalestinese dal movimento di “antinormaliz-zazione”, che si oppone, in alcuni casi anchecon minacce fisiche rivolte agli attivisti, adogni forma di cooperazione con Israele, finoa quando perdura l’occupazione e il negozia-to di pace è bloccato, e in Israele dall’atteg-giamento dell’attuale governo, tradottosi indisegni di legge all’attenzione della Knesset,che discrimina le ONG israeliane attive nelcampo dei diritti umani e della pace. Brom-berg ha mostrato come la questione dell’ac-qua sia essenziale nella regione, come Israe-le, che dispone ormai in virtù della tecnolo-gia avanzata in materia di trattamento delleacque di scarico e di impianti di desalinizza-zione, abbia un surplus di produzione rispet-to al consumo corrente e come potrebbe ri-solvere il dramma della scarsità di acqua po-tabile che grava invece sulla Cisgiordania esoprattutto sulla striscia di Gaza, dove la si-tuazione sanitaria è a forte rischio di epide-mie. La questione dell’acqua che dagli ac-cordi di Oslo è uno dei cinque oggetti del ne-goziato, insieme ai confini, gli insediamenti,i rifugiati, lo status di Gerusalemme, potreb-be essere risolta in modo equo, efficace e be-nefico per le parti in causa e offrire anche unesempio per la soluzione delle altre questio-ni contese.È poi intervenuto Koby Huberman, cofonda-tore con Yuval rabin – figlio dell’ex primoMinistro Yitzhak assassinato vent’anni or so-no – della Israeli Peace Initiative, un’asso-ciazione costituitasi nel 2011 con esponentidel l’accademia, imprenditoria, esercito, in-telligence per sollecitare quella parte dell’opi-nione pubblica di centro e pragmatica, mascettica o rassegnata all’idea di un conflitto ir-risolvibile, a mobilitarsi ed agire per giunge-re a una soluzione pacifica. Una soluzioneche può scaturire soltanto se al negoziato frale due parti si affianca un accordo regionaleche lo sostenga sia sul piano economico, perla riabilitazione dei rifugiati palestinesi, daintegrarsi in parte in un futuro stato di Pale-stina e in parte nei paesi arabi, sia su quellostrategico per fornire a Israele le necessariegaranzie di sicurezza in una regione ora scos-sa da acuti sconvolgimenti. A questo fineIsraele dovrebbe accettare l’offerta di pace edi normali rapporti avanzata dalla Lega ara-ba nel 2002 e riaffermata in anni recenti, rea-gire alla paralisi e al crescente isolamento di-plomatico, e cogliere le opportunità offerteda un oggettivo convergere di interessi conl’Autorità palestinese e gli stati arabi, soprat-tutto Arabia Saudita, Giordania, Egitto, edemirati del Golfo, per opporsi all’estremismoislamista da un lato e alla minaccia iranianadall’altro. Insomma, urge un’iniziativa di pa-ce da Gerusalemme.

Giorgio Gomel

(*) I lavori del Seminario, registrati nella lo-ro interezza da radio radicale, si possono se-guire sul linkhttp://www.radioradicale.it/scheda/475387/due-popoli-una-pace

Questo il titolo, sintetico, di un seminario distudio e riflessione organizzato da Jcall Ita-lia, in collaborazione con le riviste Il Ponte(che ha dedicato alla “questione israeliana”un suo recente numero monografico) e Mon-doperaio, svoltosi il 16 maggio presso l’Au-la dei gruppi parlamentari (*).Jcall (www.jcall.eu) è un movimento di ebreieuropei solidali con Israele, difensori del suodiritto a esistere in pace e sicurezza e preoc-cupati per il suo futuro di stato ebraico e de-mocratico. Jcall, fondato nel 2010 sulla basedi un “Appello alla ragione” sottoscritto daoltre 9000 persone, ritiene esiziale per Israe-le la continua espansione degli insediamentie la mancanza di una strategia volta a porrefine ad un’occupazione che dura da quasi 50anni e a giungere a un accordo di pace checonsenta ai palestinesi di dare vita a uno sta-to sovrano, piccolo, ma territorialmente con-tiguo, e a Israele di esistere in pace come sta-to democratico degli ebrei. Se non si giungea un accordo sui confini, gli insediamenti, lostatus di Gerusalemme, la stessa nozione di“due stati per due popoli” rischia di evapora-re nel mondo onirico del mito. La ragioneche ci ha spinto ad affrontare il tema in que-sti giorni è da un lato la percezione che nelfrangente attuale il conflitto israelo-palesti-nese è quasi “relegato” in secondo ordinedalla disgregazione del Medio Oriente, il ter-rorismo islamista, il cataclisma politico eumanitario che investe la regione e dall’altrol’esigenza di decifrare quanto accade inIsraele, fra le forze politiche e nell’opinionepubblica. Quanto accade in Israele, data l’a-simmetria di potere effettivo sul campo ri-spetto al mondo palestinese, è difatti deter-minante per il corso degli eventi. I palestine-si hanno compiuto errori immani, dal terrori-smo suicida contro i civili israeliani all’inuti-le guerra di guerriglia mossa dalla striscia diGaza, ma sono oggi divisi fra West Bank eGaza, Autorità nazionale palestinese e Ha-mas, osteggiati dal mondo arabo, largamenteimpotenti. Essi non sono cittadini dello statoin cui vivono, sia esso la West Bank o la stri-scia di Gaza, dove non esercitano il diritto divoto da dieci anni, né votano per le istituzio-ni dello stato – Israele – che di fatto control-

Ulivo Israele-Palestina

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ta. Lo Stato ebraico fu colpito da una disastro-sa recessione, mentre l’ambigua politica di Yas-ser Arafat comportò un netto taglio nei genero-si aiuti finanziari sino a quel momento conces-si dai Paesi Arabi al movimento palestinese.Nessun dubbio che ambedue le parti in causafurono indotte alla storica firma anche da altreragioni; ma è al contempo innegabile che la ne-cessità di garantirsi aiuti economici avesse gio-cato un ruolo primario in tale contesto. Sen-nonché, in assenza di un formale accordo di pa-ce, il fiume di denaro sborsato dai Paesi occi-dentali a partire dal 1991 ha finito per produrrel’effetto opposto a quello inteso: lungi dal ren-dere lo status quo inostenibile, ha semmai per-messo ad ambedue le parti d’arroccarsi sulleproprie posizioni. E l’utilizzo del termine am-bedue non è casuale. Sebbene in Israele e nellacomunità filo israeliana sia onnipresente l’ideache il denaro occidentale abbia contribuito aminare la sicurezza dello Stato ebraico, raffor-zando le posizioni assolutiste dei palestinesi, larealtà è ben diversa. In una prospettiva com-plessiva, è infatti difficile negare che Israele ab-bia beneficiato, in misura forse maggiore deisuoi nemici, dalle ambiguità del processo di pa-ce. Ciò sotto diversi profili: ancorché corrotta esostanzialmente ostile alla presenza di un foco-lare ebraico in Israele-Palestina, l’Autorità Pa-lestinese ha però consentito ad Israele di libe-rarsi del fardello più pesante creatosi a seguitodel suo ingresso in Cisgiordania nel 1967. Sinoal 1993, l’intera popolazione palestinese erasottoposta alla diretta amministrazione militareisraeliana, il che implicava oneri economicisempre più gravosi, tenuto conto dell’esplosio-ne demografica conosciuta dalla comunità ara-ba a partire dagli anni Settanta (complice l’in-dubbio miglioramento delle condizioni econo-miche e socio-sanitarie garantite dallo Statoebraico). Il sistema introdotto da Oslo com-portò una soluzione di lunga durata a questo di-lemma, senza sacrificare in alcun modo le aspi-razioni israeliane sulla West Bank. La creazio-ne delle aree A e B comportò il trasferimentodella quasi totalità della popolazione civile pa-lestinese sotto l’egida di un’entità autonoma(l’Autorità Palestinese appunto), la cui viabilitàeconomica fu da Israele scaricata sulle spalledei paesi occidentali, mentre l’area C (com-prendente le porzioni economicamente più si-gnificative della West Bank) continua ad esse-re sotto l’e sclusivo controllo israeliano. Lesomme di denaro pubblico così liberate, uniteal prestito americano concesso nel 1991 qualecondizione per la partecipazione israeliana allaConferenza di Madrid, poterono essere utlizza-te per finanziare l’alià degli ingegneri e dei ma-tematici sovietici, il cui apporto è stato decisi-vo nel trasformare Israele nell’odierna econo-mia ad alto impatto tecnologico. Le successivemisure israeliane hanno contribuito al perfezio-namento di tale sistema. La Barriera di Separa-zione e la Legge sull’Ingresso e la Cittadinan-za, seppur presentate con l’intento di bloccarel’infiltrazione di terroristi, hanno però anchepermesso ad Israele di regolamentare a sua di-screzione i flussi d’ingresso della manodoperapalestinese nel proprio mercato, rimasti senzacontrollo dal 1967 in poi. Ciò ha determinato lostrangolamento dell’economia rivale (già mi-nata dalla corrotta leadership di Arafat), ed ac-cresciuto in tal modo la pressione economicasui donatori, senza comportare costi effettiviper lo Stato ebraico, la cui economia ha al con-trario conosciuto una straordinaria crescita ne-gli anni successivi. Nè la promessa di un innal-zamento dei legami economici con l’Occidentelegato ad un futuro accordo di pace può allostato attuale sortire il benché minimo effetto suIsraele, essendo i contro infinitamente superio-ri ai pro. L’acquisizione di uno status di partnersemiufficiale dell’UE, e l’istituzione di un regi-me di free visas con gli States od il Canada im-porrebbe difatti a Gerusalemme una revisione

del proprio sistema di conces-sione dei visti lavorativi, che al-lo stato odierno rende forte-mente difficoltoso lavorare inIsraele per un non ebreo chenon sia cittadino. Ma ciò an-drebbe contro il principio cardi-ne secondo il quale l’economiaisraeliana deve servire ad attrar-re esclusivamente ebrei. E poi-ché, a seguito delle recentiriforme legislative compiute inSpagna e Portogallo, la quota dipotenziali detentori di doppipassaporti è aumentata tra lapopolazione ebraica, è evidenteche allo stato odierno gli incen-tivi ad un mutamento in talesenso hanno subito un’ulterioreriduzione. In definitiva, l’ideache ipotetiche concessioni eco-nomiche possano indurre Israe-le a siglare un accordo di pace sono destinate adun completo fallimento, per il semplice motivoche lo Stato ebraico ha oggi tutto da perdere enulla da guadagnare da un mutamento dellostatus quo. Questo non implica però un esone-ro dei Palestinesi dalle proprie responsabilità.Come attestato da un recente sondaggio com-piuto dall’Università Al Najah di Nablus, il73,7 per cento dei Palestinesi della West Banksarebbero contrari persino ad uno stato binazio-nale per arabi ed ebrei.(https://www.najah.edu/en/community/community-news/2016/05/11/results-of-palestinian-public-opinion-poll-no-52/Ma, se la ragion d’essere d’Israele sta nel suoessere la casa nazionale del popolo ebraico, èallora evidente che la situazione venutasi acreare negli ultimi due decenni rappresenta unacatastrofe soprattutto per il progetto sionista.Questo perché, a dispetto delle continue buoneintenzioni manifestate dall’Occidente, è benchiaro che nessun governo israeliano avrà maiil coraggio di abbandonare quel che viene rite-nuto da un numero crescente di israeliani epi-centro del patrimonio storico e religioso del po-polo ebraico. In definitiva, uno Stato con po-tenziale maggioranza arabo-palestinese, incubodella dirigenza sionista sin dai primi giorni del-lo Yishuv, è di già una realtà consolidata. Ed iprogetti della destra israeliana, quali il PianoBennett di annettere l’intera area C, segregan-do i Palestinesi in cantoni autonomi, esprimonosolo la folle convinzione, sempre più diffusanel pubblico israeliano, che il problema palesti-nese possa essere scaricato per sempre sullespalle dei contribuenti occidentali.Dinanzi a questo stato di cose è allora necessa-rio per i paesi occidentali assumere un nuovoruolo, nè attivo o passivo, ma semplicementeneutrale. Perseguire una politica di non inge-renza diplomatica nel conflitto tra i due popolidovrebbe divenire il nuovo approccio alla que-stione. E in questo contesto, l’immediata so-spensione di ogni aiuto economico alle aree pa-lestinesi dovrebbe costituire la prima mossa.Israele è ormai economicamente in grado di so-stenere i costi della sua permanenza nella WestBank, mentre gli attuali livelli di donazione nonsembrano sostenibili nel medio-lungo termine,alla luce della recessione economica in corsonel mondo occidentale. In definitiva, salvarechi non desidera essere salvato non è atteggia-mento saggio, nè tanto meno realistico. Ed ègiusto da parte dell’Occidente lasciare cheisraeliani e palestinesi diano libero corso alleproprie scelte, fossero anche destinate a con-durre a spaventose catastrofi.

Giuseppe Gigliotti

La pubblicazione di un articolo di un colla-boratore non significa necessariamente checondividiamo ogni sua considerazione; in par-ticolare, come ebrei, naturalmente non possia-mo condividere l’invito ad abbandonare Israe-le e Palestina a spaventose catastrofi.

HK

Come da consolidata tradizione nel conflittoarabo-israeliano, l’ennesima conferenza dipace sembra ormai profilarsi all’orizzonte. Evi sono pochi dubbi che, come quelle chel’hanno preceduta, anche tale iniziativa si ri-solverà in un nulla di fatto. Ma, a dispettodelle interpretazioni fortemente emotive datea questa vicenda, che in non poca misurahanno contribuito a costruirne il mito d’irre-solvibilità, è mia ferma opinione che il con-flitto si sia di fatto già risolto, ancorché nelmodo peggiore per lo Stato ebraico. Essendola questione enorme per un singolo articolo,mi concentrerò su un punto spesso trascuratonelle analisi italiane, ma che può da solospiegare il disastro in corso in Israele-Pale-stina: il ruolo giocato dagli Accordi di Oslonell’esonerare Israele dai costi economicidella sua presenza nella West Bank.http://www.thecommentator.com/article/675/austerity_for_europe_increased_eu_aid_for_the_palestiniansUno dei principali argomenti della vecchiaguardia pacifista è stato quello di ribadire ilmantra degli enormi dividendi in termini eco-nomici, conseguenti alla cessazione del conflit-to. Secondo questa linea di pensiero, Israele po-trebbe garantirsi livelli di crescita eccezionalidalla normalizzazione con il mondo arabo emusulmano, mentre la creazione di un proprioStato sovrano consentirebbe di porre terminealla strutturale condizione d’inferiorità econo-mica in cui i Palestinesi stagnano dal 1948. Suquesta linea di pensiero, l’Unione Europea si èspinta a garantire alle due parti uno status pri-vilegiato in termini di accesso al mercato co-mune qualora un accordo fosse siglato. Il pro-blema di questa visione sta nella sua incapacitàdi prendere atto degli effetti negativi prodottidagli accordi di Oslo nell’ultimo ventennio.Lungi dal favorire una maggiore propensioneall’accomodamento, la struttura messa in piedia partire dagli anni Novanta ha semmai contri-buito a rendere le parti in causa ancor meno ac-comodanti di quanto potessero essere in prece-denza. Infatti, come le teorie economiche inse-gnano, tra due parti in conflitto la volontà diperseguire la pace è inversamente proporziona-le al livello di soddisfacimento dei bisogni es-senziali. Maggiore è il secondo, minore è la pri-ma. Tale equazione ha avuto un peso centrale,nel l’indurre israeliani e palestinesi a tentare unaccordo: ancorché oggi dimenticato, uno deifattori che agevolarono l’avvio degli accordi diOslo fu non a caso il disastroso andamento eco-nomico d’Israele e dell’OLP negli anni Ottan-

GLI INCENTIVI DISINCENTIVANO

Le comari del Ghetto di Venezia,

disegno diMarina Falco Foa

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mem

oria

Polonia reticenteAppena tornato, gli amici mi chiedono: – Allora? Le tue impressioni?– Ottimo giro – rispondo – bene organizzato,luoghi, temi e tempi azzeccatissimi. Guidepreparate, disponibili, attente ad ogni esigen-za: competenze e passioni complementari.– Sì, ma la Polonia?– Sembra tutto finto.– Come sarebbe finto? La Polonia vera nonesiste?– È la Polonia ebraica che non esiste: ti mo-strano una sinagoga, ma non è quella vera,quella vera è stata bruciata con dentro gliebrei. Naturalmente sono stati i tedeschi, noni polacchi. Qui c’era un cimitero, ma le lapi-di sono state usate per lastricare le strade, eora c’è un prato. Spiacente. La piazza di unoShtetl-Cinecittà in costruzione, di fragrantelegno appena preziosamente intagliato, dà aituristi la lieta impressione di vivere nel riccovillaggio ebraico della Polonia Felix, quandoebrei e polacchi vivevano in armonia. Gliebrei polacchi non si vedono: ci sono quelliamericani che tentano un’improbabile rina-scita delle comunità estinte, quelli israelianiin visita turistica, alla disperata ricerca di ci-meli dei racconti dei nonni sopravvissuti.Tante guide turistiche dei ghetti e dei musei-lager molto preparate (hanno superato esamidi ammissione rigorosi), che non sanno secol nuovo governo xenofobo manterranno ilposto. L’unico pezzetto autentico del Murodel Ghetto di Varsavia è nascosto, occultato,introvabile, incastonato in un quartiere diedilizia popolare sovietico, ove il verde deigiardini deve obbligatoriamente far dimenti-care la rivolta degli appestati, affamati epuzzolenti, votati ad una gloriosa morte cer-ta in combattimento per sfuggire al disonoredei campi di sterminio. Un centro storico fin-to, ricostruito dov’era e com’era dopo il verobombardamento a tappeto della Luftwaffe. La storia della Polonia è molto complessa, co-me bene ci spiegano le nostre guide: è un ter-ritorio che è stato spartito, occupato a più ri-prese, vittima di orrendi massacri. Al museoPolin si cerca di dare un’idea di quella che èstata nei secoli la convivenza tra “polacchi” ed“ebrei” (ma gli ebrei non erano polacchi?).Sicuramente ci sono stati periodi storici incui la convivenza, grazie a principi illumina-ti, ha funzionato, altrimenti non si spieghe-rebbero le percentuali veramente impressio-nanti della presenza ebraica in Polonia primadella seconda guerra mondiale. Ma una do-manda rimane senza risposta: a distanza disettanta anni perché la presenza ebraica inPolonia è ancora così esigua?

David Terracini

Un’altra PoloniaLo spunto a scrivere questa breve nota sulviaggio “vita ebraica in Polonia” è natodalla lettura del pezzo di David Terracinipubblicato qui a fianco.Se infatti una parte delle sue considerazio-ni è totalmente condivisibile, altre mi paio-no eccessivamente drastiche.Non sono una storica e non intendo quindiaffrontare in modo approfondito il temadell’antisemitismo in Polonia; la mia im-pressione è comunque che l’Italia non siapoi messa tanto meglio.Certo è che la narrazione della vita degliebrei in Polonia nei secoli passati fornitacida una storica e dal percorso del museo Po-lin, allestito da team di storici indipenden-ti, non legati all’establishment polacco (isoli fondi per la costruzione dell’edificiosono stati di origine governativa) parla di

una Polonia sostanzialmente tollerante, siapur con alcuni episodi localizzati di terri-bile violenza.Non mi sentirei quindi di definire reti-cente un museo che ho trovato veramen-te straordinario sia dal punto di vista ar-chitettonico che dell’allestimento, allacui realizzazione hanno lavorato per nu-merosi anni istituti di ricerca storica

Varsavia,Museo Polin,

Sinagoga ligneadi Gwozdziecricostruita

estremamente qualificati, Yad Vashem inprimis.Nemmeno così negativo mi pare il tentati-vo di organizzazioni quali Shavei Israel difar riemergere dall’oblio più totale le origi-ni ebraiche di giovani che le vanno ora ri-scoprendo e che, a Cracovia ad esempio, inquello che fu il quartiere ebraico, hanno ri-creato una Comunità.I numeri sono certo per ora modesti manon si può dimenticare che l’opera iniziatadai nazisti, certamente non troppo ostaco-lati dalla popolazione polacca, è stata com-pletata dal regime stalinista che ha deter-minato la fuga praticamente totale di quel10% di ebrei polacchi sopravvissuti allaShoah.D’altra parte questa situazione non mi pa-re si discosti molto da quella del nostrosud Italia dove si sta cercando di far rina-scere le Comunità ebraiche totalmenteestinte. Non sarei neanche così critica sul-

la ricostruzione fedele del centro storicodi Varsavia, raso totalmente al suolo daitedeschi, partendo dai quadri di Bellotto:perché negare a una popolazione, che nonha certo avuto una storia “facile” di riap-propriarsi di un pezzettino del suo passa-to?

Alda Guastalla

Ghetto di Varsavia, settembre 1941… Tutte le mattine si spazzano dei morti,vittime della promiscuità, della fame edelle malattie …

Dal N° 4 di settembre 1941 del periodicoclandestino Dror (Libertà) della gioventùsionista socialista:“In questi giorni difficili, in cui gli ebreisono confinati entro le mura del ghetto, lagioventù pioniera ha indetto una collettadestinata al Keren Kayemeth, il giorno diTu-Bishvath. Il legame tra la nazione e laterra d’Israele non sarà spezzato. Il terrorenon ci abbatterà e non distruggerà i nostrisentimenti né la nostra fede. Questo pro-getto è una prova della nostra determina-zione incrollabile. Esso porta il saluto del-la comunità ebraica reclusa nel ghetto allalibera comunità in terra d’Israele”.

Da Miriam Novich,La Revolte du Ghetto de Varsovie,

Presse du Temps present, 1968

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sulla chirurgia di guerra che in seguito raccol-se in due volumi.Per la partecipazione alle guerre d’indipenden-za e per l’attività scientifica e didattica fu insi-gnito di numerose medaglie.Mandava le sue pubblicazioni in omaggio allepiù alte autorità dello Stato.Nella biblioteca di Garibaldi a Caprera è con-servato il libretto Conferenze di igiene militarelette agli uffiziali del presidio di Macerata.Sulla copertina dell’esemplare – intonso, a di-re la verità – spicca la dedica: “All’onorevoleGenerale Garibaldi Giuseppe per l’autograforicevuto, questo pegno di riconoscenza e digratitudine offre l’autore”.Al re Umberto fece dono di un esemplare del-l’opera Sui Microbi e sulle malattie da essiprodotte e il reggente del Ministro della realCasa lo ringraziò in nome del sovrano: “L’au-gusto sovrano ricevette una nuova pubblica-zione di V. S. con quello stesso interesse e fa-vore con cui accoglieva quella offerta nel 1890ed ha degnamente apprezzato l’amore con cuiElla continua i suoi studi scientifici nell’inte-resse dell’umanità…”.Costretto a lasciare il servizio militare in se-guito ad una grave malattia, riprese la residen-za a Saluzzo, e qui si impegnò come Presiden-te della locale Università Israelitica, come am-ministratore del Monte di Pietà e dell’Ospeda-le Civico, e come vicepresidente del sottoco-mitato della Croce rossa.Le sue numerosissime opere rivestono interes-se oggi per la storia della medicina, ma le suepubblicazioni rivelano anche sentimenti digrande umanità, innanzitutto verso i suoi sol-dati, con le raccomandazioni, come potrebbefare un padre severo e affettuoso, ad astenersidalla piaga dell’alcolismo. Nello studio sulloscorbuto l’attenzione va, pur “senza sentimen-talismo per la canaglia”, anche per i prigio-nieri nelle carceri, cui devono essere garantitecondizioni di vita più umane, in modo che i de-tenuti non abbiano a subire per la malattia, acausa del vitto povero e scarso, nonché del-l’insalubrità dei locali in cui sono rinchiusi, unaggravio di pena aggiuntivo rispetto a quantostabilito dalla legge.Di grande interesse, da un punto di vista ebrai-co, appare l’ultima sua opera L’igiene dellaBibbia e nei libri rabbinici, ripubblicata, dopol’edizione originale del 1897, dall’Editrice Ca-rucci nel 1980.Il medico ricorda le mitzvot della kasherut,della circoncisione, del riposo dello Shabbat,dell’igiene del corpo, nonché il divieto dellaprostituzione e dell’ubriachezza, precetti cheesamina sia dal punto di vista etico e religioso,

sia dal punto di vista igienico e medico.Ma, alla conclusione della sua carriera, riflettesui grandi temi della vita e della storia. Nel -l’ultima sezione del libro, denominata sempli-cemente “Considerazioni”, si interroga sullastoria del popolo ebraico, e riflette sulle moti-vazioni per cui l’ebraismo, trionfo dello spiri-to sulla forza, è riuscito a sopravvivere nel cor-so dei secoli al cieco fanatismo e alla bieca in-tolleranza di tante nazioni potenti.Passa in rassegna, dunque, i grandi principidell’ebraismo: l’amore e la solidarietà versogli altri uomini, il senso del dovere e l’impe-gno nei confronti dello stato in cui si vive; ri-porta a questo proposito una citazione del pro-feta Geremia (XXIX, 7): “Ed abbiate cura del-la felicità della città, dove vi feci emigrare, epregate il Signore in suo favore; in modo chela sua felicità produrrà la vostra”.L’ufficiale del regio Esercito Italiano, orgo-glioso di servire l’Italia, italiano tra italiani,scrive che la Bibbia insegna ad amare la Patria,e che il dovere di amare e difendere la Patria èun dovere religioso.Il divieto severissimo di cibarsi di sangue ri-chiama per contrasto le assurde e odiose accu-se di servirsi del sangue umano per qualche ce-rimonia religiosa, che nella storia avevano pro-vocato migliaia di morti, e che ancora nel 1891venivano rivolte contro gli Ebrei in Austria e inrussia, ma, nonostante le notizie di pogromche provenivano dall’Europa orientale, il vec-chio ufficiale spera in un futuro di pace e ra-gionevolezza: “È però a sperare per l’onoredell’umanità che questo fatto non abbia a ri-petersi. Ci induce a concepire una sì conforte-vole speranza il sapere che il tempo cambia econ esso si muove pure la civiltà, che raddol-cisce i costumi, ravvicina gli uomini ed abbat-te i pregiudizi”.E conclude infine la sua opera con una rifles-sione sul futuro e sul rinascente antisemitismo,questa macchia di sangue che – scrive – hamosso i primi passi dalla Germania e poi si èdiffusa ed è dilagata nei territori dell’ImperoAustro-Ungarico e della russia. Si dichiaraconvinto che l’antisemitismo sarà sconfitto dalprogresso e dalla ragione, confidando nella na-turale evoluzione della civiltà e nell’a more trai popoli come già aveva teorizzato GiuseppeMazzini, e così conclude:“No, questa mostruosa manifestazione retro-grada, l’antisemitismo, ho la ferma persuasio-ne abbia a perire. E ciò affermo con pienaconvinzione, perché vivo è in me il pensieroche una legge evolutiva governi il mondo, percui, se nel suo meccanismo sociale può talorasubire perturbazioni come le subisce nel suomeccanismo fisico, esse non possono essereche transitorie, non tardando la civiltà a ri-prendere il suo impero ed a diradare le fittenebbie che oscurano il suo orizzonte, verifi-candosi pure in questo caso quanto ha senten-ziato un grande statista, che la civiltà cammi-na per una spirale e non retrocede che nelleapparenze”.Morì nel 1898, a Saluzzo: ai funerali, parteci-parono il Sindaco, tre rabbini, autorità locali euna grande folla. L’elogio funebre fu pronun-ciato dal deputato saluzzese, onorevole Piva-no, che – scrisse la Gazzetta di Saluzzo – “inuna felice e patriottica improvvisazione lodòlo Statuto del 1848 che, facendo cessare le se-colari ingiustizie contro gli Israeliti, li ha uni-ti nella grande famiglia italiana”.Alla vigilia del nuovo secolo, il colonnello me-dico Isacco Segre era orgoglioso di aver com-battuto e operato per il regno d’Italia; nellasua vita aveva ottenuto l’apprezzamento delre d’Italia “per i suoi studi scientifici nel -l’interesse dell’umanità”, e si dichiarava sicu-ro del progresso della civiltà, confidando in unmondo che avrebbe naturalmente debellatol’antisemitismo “per l’onore dell’umanità”.Quarantacinque anni dopo, l’adorata figliaEm ma sarebbe stata trascinata ad Auschwitz eassassinata perché ebrea.

Beppe Segre

Se riflettiamo sulle condizioni di vita nel re-gno di Sardegna nella metà del 1800, subito al-l’indomani della concessione dello Statuto Al-bertino, risulta impressionante la rapidità concui gli ebrei, dopo secoli di emarginazione eumiliazioni, riuscirono ad integrarsi nella so-cietà, godere dei diritti costituzionali, e parte-cipare alla vita sociale in modo pieno, comple-to e senza discriminazioni.Mi chiedo quali saranno stati i pensieri e i sen-timenti di quanti, nati verso il 1830-1840, vis-sero i loro primi anni nel ghetto, ma ebbero poila straordinaria, insperata opportunità di fre-quentare per primi l’Università statale e diconseguire importanti incarichi nell’ammini-strazione civile e militare dello stato.Con riferimento in particolare alla piccola Uni-versità Israelitica di Saluzzo, si trovarono inquesta situazione Giacomo Segre, nato nel1839, che come capitano di artiglieria co-mandò la batteria impegnata nell’apertura del-la breccia di Porta Pia, svolgendo, lui ebreo, unruolo fondamentale nella guerra contro lo Sta-to Pontificio, David Segre, classe 1840, che in-traprese la carriera diplomatica, svolgendo lafunzione di console in Perù e in altre sedi, eIsacco Segre, che divenne medico e ufficiale,mio bisnonno, cui in particolare è dedicatoquesto articolo.Isacco Segre, nato nel 1834 da una famiglia dimodeste condizioni, dopo la brillante laurea inMedicina e Chirurgia entrò nell’Esercito e nelluglio 1859 fu nominato sottotenente mediconell’Ospedale Divisionale di Torino, diressepoi gli ospedali militari di Cagliari e di Livor-no, e percorse la carriera militare, passando dauna sede all’altra della penisola, fino a rag-giungere il grado di colonnello.Nel 1860-1861 prese parte alle campagne nel-l’Italia meridionale e nel 1866 alla terza guer-ra d’indipendenza.Nel 1867, durante l’epidemia colerica che in-fierì a Messina, rimasto unico medico a curare isoldati di quel presidio, tra le fatiche di un’esta-te torrida, raccolse casi e risultati, che gli servi-rono per scrivere una relazione pregevole: Re-lazione sull’epidemia cholerica che ha domina-to sul 10° reggimento fanteria di presidio inMessina nei mesi di agosto e settembre 1868.Pubblicò opere sulla conservazione della car-ne, sullo scorbuto, sul colera, sui microbi, sul-le malattie da essi prodotte e sulla relativa pro-filassi, sul reumatismo articolare acuto, sullavaccinazione e rivaccinazione obbligatoria,sull’igiene nelle caserme, e altre ancora. Nel1880 gli fu affidato dal Ministero un insegna-mento nell’Istituto Militare Superiore di Medi-cina, a Firenze, dove tenne una serie di lezioni

Strumentichirurgici del sec. XIX

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ISACCO SEGREUFFICIALE MEDICOLa civiltà cammina per una spirale e non retrocede che nelle apparenze

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16 tuito dalla supposta contraddizione tra i mol-teplici annunci della venuta del messia conte-nuti nel Vecchio Testamento e la non accetta-zione di Gesù in quanto tale; secondo Luterodelle due l’una: o le profezie bibliche non sisono avverate o gli ebrei non le hanno rico-nosciute; la prima ipotesi è una bestemmiainaccettabile e quindi resta valida la seconda.Ed ancora, Lutero ritiene che l’interpretazionedella Bibbia specifica della tradizione rabbini-ca sia da condannare senza appello perchél’ortoprassi (il retto agire invece del retto cre-dere) che la caratterizza è totalmente super-flua e deviante in quanto in evidente contrastocon la sua ermeneutica ed in particolare con lateologia della grazia (la benevolenza manife-stata da Dio verso l’essere umano non perchétenuto a farlo ma perché liberamente vuole esceglie di farlo) da lui propugnata.Negli ultimi anni della sua vita, profondamen-te deluso dalla mancata conversione degliebrei e dal loro perseverare nell’errore, un Lu-tero malato e forse anche in preda alle sue os-sessioni, dà sfogo a tutta l’animosità e all’ir-ruenza del suo carattere, di cui la violenta in-vettiva sopra riportata è testimonianza.Come ha riconosciuto, con grande onestà in-tellettuale, Heiner Bludau, decano della Chie-sa evangelica luterana in Italia, in un articolopubblicato nello speciale inserto del settimana-le “riforma” del 3 Giugno scorso, dedicato aquesto tema: “...a questo punto è chiarissimoche Lutero, per noi, va compreso solo nel con-testo del suo tempo. Anche nella Chiesa lute-rana non può esserci un riferimento a Luteroche sia immediato, transtorico. Resta una fi-gura che ha dato l’impronta, impulsi impor-tanti, ma tali impulsi possono essere fruttuosi,per noi oggi, solo se li consideriamo in modocritico, prima di tradurli nel nostro presente”.In un breve intervento effettuato dal sotto-scritto al termine del vivace dibattito seguitoalla conferenza svolta dal Pastore ribet hovoluto dare atto della correttezza di una im-postazione dottrinaria che ha saputo, ormaida molti decenni, fare i conti con le posizioniinaccettabili assunte dal capostipite della ri -forma. Posizioni che evidenziano chiaramen-te e tragicamente come gli ebrei e l’ebraismodi cui egli parla fossero un topos: ebrei edebraismo immaginari frutto degli stereotipiantigiudaici all’epoca circolanti in tutta Euro-pa. Ebrei ed ebraismo di cui Lutero, per suastessa ammissione, non aveva conoscenza di-retta; un’ignoranza a cui si aggiungeva il ri-fiuto ad accettare che essi avessero il diritto dileggere la Bibbia con i propri “occhiali”, ri-gettando quindi in toto quella tradizione rab-binica che, come dice la stessa parola alakhàche significa cammino, affonda le proprie ra-dici nel periodo biblico, per proseguire fino aisuoi giorni e continuare ininterrottamente fi-no ai nostri. Lutero era uomo del suo tempo,ma la tendenza a voler imporre che gli ebreileggessero la bibbia con gli “occhiali” altrui èproseguita, in particolare da parte della Chie-sa Cattolica, fino a tempi molto recenti.

Tullio Levi

menzogne, maledizioni e bestemmie... ...Seperò i signori non vogliono costringerli e nonvogliono porre rimedio a questa loro diaboli-ca ribellione, allora vengano espulsi dal Pae-se, come si è detto, e si dica loro di tornarealla loro terra e ai loro beni, a Gerusalemme,dove possono mentire, maledire, bestemmia-re, deridere, uccidere, rubare, rapinare, pra-ticare l’usura, dileggiare e compiere tuttiquesti empi abominî come fanno qui danoi….A chi ora voglia ospitare, nutrire, ono-rare queste serpi velenose e piccoli demoni,ossia i peggiori nemici di Cristo Signore no-stro e di tutti noi, e desideri farsi scorticare,derubare, saccheggiare, oltraggiare, deride-re, maledire e desideri patire ogni male, rac-comando sinceramente questi ebrei. E se nonè abbastanza se la faccia anche fare in boc-ca, o gli strisci nel culo e adori questo luogosanto, poi si vanti di essere stato misericor-dioso, di avere rafforzato il diavolo e i suoicuccioli, perché possano bestemmiare il no-stro amato Signore e il Suo prezioso sangue,per mezzo del quale noi cristiani siamo statiredenti. Così egli sarà dunque un cristianoperfetto, pieno di opere di misericordia, perle quali Cristo lo premierà nel giorno del giu-dizio – assieme agli ebrei – nell’eterno fuocodell’inferno!”.Molto onestamente il Pastore ribet ha esordi-to affermando:“Io credo che non sia compitonostro “giustificare” ciò che non è giustifica-bile, credo però che sia importante situare ilriformatore di Wittenberg nel quadro storicoche gli è proprio”. Un quadro storico che sicolloca a cavallo tra la fine del medioevo e l’i-nizio dell’età moderna e di cui Lutero costitui-sce una sorta di spartiacque, con pulsioni cheaffondano le proprie radici nell’epoca che stavolgendo al termine (vedi ad esempio il pre-giudizio nei confronti di ebrei e contadini) macon lo sguardo già proiettato verso i tempinuovi, di cui indubbiamente è uno degli artefi-ci (vedi ad esempio la sua traduzione dellaBibbia nella lingua parlata, rifacendosi ai testiebraici originali e non alla vulgata in latino).Ciò che emerge dal pensiero di Lutero sugliebrei e su cui l’oratore si è a lungo sofferma-to, è che egli ritiene che l’unica lettura con-sentita dell’Antico Testamento sia quella inchiave cristologica.La convinzione che tale sua opinione fosse as-solutamente inconfutabile, lo porta, nei primianni della sua predicazione, a ritenere che benpresto gli ebrei si sarebbero accorti di esseresempre stati in errore, avrebbero accolto le suetesi e si sarebbero convertiti in massa a quelcristianesimo che lui andava propugnando. Uncristianesimo ovviamente diverso da quellopraticato dalla Chiesa di roma che, riportandoin primo piano l’ebraicità di Gesù e cessandodi discriminare gli ebrei, li avrebbe finalmenteconvinti della validità del proprio messaggio.Un ulteriore elemento fondamentale dellateologia luterana in tema di ebraismo è costi-

Lo spunto per queste riflessioni mi è stato of-ferto dalla conferenza che Paolo ribet, Pasto-re della Chiesa Valdese di Torino, ha tenuto il23 Maggio scorso. L’iniziativa, promossa dal-l’Amicizia ebraico-cristiana, dal G.S.E. e dalCentro culturale Pascal, si è svolta in una saladella Casa Valdese gremita di pubblico e rien-tra nel vasto programma di eventi che le diver-se chiese protestanti stanno organizzando invista del cinquecentenario della riforma che ri-correrà nel 2017. Il 31 ottobre di quel l’anno in-fatti Lutero affisse alla porta della chiesa delcastello di Wittenberg (Schloßkirche) le famo-

se 95 tesi sulla penitenza che includevanoun’aspra critica all’uso della vendita delle in-dulgenze: com’è noto tale data è considerataappunto l’avvio della riforma.L’oratore ha esordito riconoscendo che l’ar-gomento è assai scottante perché, mentre Lu-tero nei primi anni del suo percorso di rifor-ma assunse un atteggiamento relativamentebenevolo nei confronti degli ebrei, negli ulti-mi anni della sua vita mutò radicalmente diprospettiva, raggiungendo vertici di inusitataviolenza e veemenza, lasciandosi andare an-che al turpiloquio.Per maggior chiarezza riporto alcuni passaggitratti da “Degli Ebrei e delle loro menzogne”,da lui pubblicato nel 1543 (tre anni prima del-la sua morte). Un testo che secoli dopo saràusato da Hitler per avvalorare e diffondere l’o-dio verso gli Ebrei, tanto è vero che nel perio-do nazista quel libro fu ripetutamente dato allestampe. Come ha ricordato l’oratore, JuliusStreicher (il direttore della rivista Der Stur-mer), al processo di Norimberga si difese di-cendo che non lui, ma Lutero stesso avrebbedovuto sedere sui banchi degli accusati:“In primo luogo bisogna dare fuoco alle lorosinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bru-ciare deve essere ricoperto di terra e sepolto,in modo che nessuno possa mai più vederneun sasso o un resto. E questo lo si deve farein onore di nostro Signore e della Cristianità,in modo che Dio veda che noi siamo cristianie che non abbiamo tollerato né permesso –consapevolmente – queste palesi menzogne,maledizioni e ingiurie verso Suo figlio e iSuoi cristiani... ...Ora, la dottrina degli ebreinon è altro che glosse di rabbini e idolatriadella disobbedienza, cosicché Mosè è diven-tato del tutto sconosciuto presso di loro (co-me si è detto), proprio come per noi sotto ilpapato la Bibbia è diventata sconosciuta......Bisogna allo stesso modo distruggere esmantellare anche le loro case, perché essi vipraticano le stesse cose che fanno nelle lorosinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoiao una stalla, come gli zingari, perché sappia-no che non sono signori nel nostro Paese, co-me invece si vantano di essere, ma sono inesilio e prigionieri, come essi dicono inces-santemente davanti a Dio strillando e lamen-tandosi di noi... ...Bisogna portare via a lorotutti i libri di preghiere e i testi talmudici, neiquali vengono insegnate siffatte idolatrie,

LUTERO E GLI EBREI

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17I miracoli di InternetUna ventina di anni fa ho compilato il mioalbero di famiglia su un programma avutodal Museo della Diaspora di Tel Aviv. Unpaio di anni fa, un mio nipote, esperto dicomputer, ha riportato il tutto in un pro-gramma molto più moderno, accessibile atutti su Internet. Qualche mese dopo ricevouna e mail dagli USA da un certo John Gui-do Tedeschi che si fa riconoscere, a ragio-ne, come mio cugino di secondo grado. Suononno Guido era fratello di mia nonna eabitava a Ferrara non lontano dalla nostracasa.Il figlio di Guido, Cesarino e la moglie Pie-ra Forti erano riusciti ad imbarcarsi per gliStati Uniti nel 1939 assieme ai due loro fi-gli Luca e Guido. Da allora i contatti tra ledue famiglie si sono interrotti: noi sapeva-mo vagamente della loro emigrazione manon avevamo alcun dato per cercarli. Al-trettanto da parte loro. Nel frattempo i ge-nitori di John sono morti e lui è ora un pro-fessore universitario in pensione nello statodel Wisconsin.Tutta questa premessa come prologo percosa molto più interessante. Guido Tede-schi mi ha fatto avere un suo libro pubbli-cato ultimamente dalla Parallel Press Uni-versity of Wisconsin Italian Jews under fa-scism – 1938-1945. Il libro naturalmente èstato scritto in inglese, ma ritengo sia digrande importanza, come contributo allastoria delle persecuzioni in Italia. Nelle sue400 pagine vi è una ampissima bibliografiache cita una infinità di libri e articoli digiornale, dall’inizio degli articoli contro gliebrei di Interlandi, alle varie leggi fasciste,alle citazioni dei libri di Giorgio Bassani,Primo Levi e tanti altri. Vi sono riportateanche le storie particolari di varie famiglieebree italiane.Il libro comprende 17 capitoli:Inizio delle persecuzioni – il progresso gra-duale della agenda antisemita del fasci-smo – il fascismo antisemita – i decreti sul-la difesa della razza – tardive risposte degliebrei contro le leggi razziali – le disposi-zioni contro la partecipazione degli ebreinelle scuole e contro l’editoria – l’impattodelle leggi sulla vita professionale – le pos-sibilità di emigrare – la vita quotidiana do-po l’applicazione delle leggi razziali – lescuole ebraiche – come fronteggiare i di-vieti – conseguenze economiche – la fami-glia – 1943 l’occupazione nazista e la re-pubblica sociale – l’intensificarsi delle per-secuzioni, la via della Svizzera – salvarsinascondendosi – epilogo.Come si può intendere, sono 400 pagine distoria basata su diversi punti di vista e cor-redata da citazioni precise tratte da un’am-pia bibliografia.A mio parere questo libro dovrebbe essereacquistato dal CDEC, che viene citato in-numerevoli volte, e sono certo che varie fa-miglie di ebrei italiani vi troveranno cenniprecisi sui loro famigliari.Ovviamente il libro è scritto in inglese ecredo che molto difficilmente sarà tradottoin italiano.Gli interessati possono rivolgersi diretta-mente all’editore oppure trovare il titolo suAmazon in Internet.

Israel De Benedetti

Giallo torineseUna Torino cupa, crudele, in cui il fascismoe l’antisemitismo non sono una patina for-male e opportunista ma appaiono profonda-mente radicati nella mentalità comune. Unprotagonista ebreo errante, un profugo senzaradici, diverso dai consueti personaggi ebreipiemontesi in stile Argon radicati da secolinella nostra regione. E così, pur nella preci-sione di luoghi, date ed eventi della storiamondiale e di quella torinese (come il bom-bardamento della nostra sinagoga), e persinopersonaggi (abbiamo una fugace apparizio-ne di Isacco Levi), si prova talvolta una sen-sazione di spae samento. Probabilmente,però, quella realtà esisteva eccome, e lospaesamento deriva dal fatto che la nostrapercezione di quel periodo è in gran partecostruita su memorialistica e testi letterari diebrei provenienti da altre zone di Torino(Crocetta, San Salvario), e appartenenti a undiverso contesto sociale (alta borghesia, pro-fessioni) Qui invece ci troviamo nel l’anticocentro, tra via Conte Verde e via Milano, inmezzo a una piccola borghesia spesso grettae meschina.Un fatto di cronaca nella Torino del 1942, lamorte, forse omicidio, di una sarta, diventalo spunto per un giallo ben costruito, di quel-li che svelano le cose poco a poco, seminan-do qua e là qualche indizio, ma serbando perle ultime pagine una serie di colpi di scena.Di quelli in cui sembra fin troppo facile di-stinguere i buoni dai cattivi, ma non si puòneppure dare per scontato che i personaggiantipatici siano tutti innocenti, anche perchéè difficile essere innocenti in quel mondo do-minato da fascismo, leggi razziali, antisemi-tismo, e qualcosa di ancora più inquietanteche si profila all’orizzonte. Ecco dunque cheil vicino di casa ebreo si ritrova inevitabil-mente nel ruolo del capro espiatorio. Ma co-sa è successo veramente? Lo scopriremodavvero o il giallo è un semplice pretesto permettere in scena la Torino di quegli anni? Eperché alla vicenda principale si alterna ilracconto in prima persona di un ragazzinoche non ha nulla a che fare con la storia del-l’omicidio salvo transitare negli stessi luoghipiù o meno nello stesso periodo? Sono tuttedomande a cui, naturalmente, non rispondoper non rovinare la lettura.roberto Gandus (nel 2013 aveva pubblicatoL’ultima esecuzione, sempre con lo stessoeditore), personaggio poliedrico, architetto,pittore, autore di testi televisivi e sceneggia-tore cinematografico, era stato intervistato daElisa Cavaglion (Ha Keillah del luglio 2010)nel l’ambito della nostra rubrica Storie diebrei torinesi. rispondendo alla domandasulla sua identità ebraica, accennava, tra l’al-tro, ad una storia che sembra anticipare pro-prio questo libro. E, curiosamente, Gandusaveva concluso l’intervista con la stessa cita-zione di Hillel che ha posto all’inizio dellaSarta: “Se non sono io per me, chi è per me?E se io sono solo per me stesso, cosa sono?E se non ora quando?”.

Anna Segre

Gli ebrei di Lutero“… Il compito della ricostruzione storica èrendere comprensibile Lutero quale perso-naggio del XVI secolo, attraverso la storiadella sua recezione mediante una contestua-lizzazione coerente. Storicizzarlo non signifi-ca affatto giustificarlo o renderlo irrilevanteo sminuirlo”.., così Thomas Kaufmann, nelsuo libro “Gli ebrei di Lutero”, recentemen-te uscito, in versione italiana a cura dell’edi-trice Claudiana. Kaufmann è professore diStoria della Chiesa alla Facoltà teologica del-l’Università di Gottingen.Si tratta di un testo basilare per analizzare la con-troversa questione dell’antisemitismo, essenzial-mente di matrice teologica, di Lutero, che neglianni andò via, via radicalizzandosi, fino alle ca-lunnie e provocazioni contenute nel libro Degliebrei e delle loro menzogne, opera divenuta inepoche successive tragicamente più famosa perl’eco e l’utilizzo che se ne fece, soprattutto daparte del nazionalsocialismo tedesco.Nel volume, impostato su solide basi stori-che e privo di qualsiasi intento giustificato-rio, Kaufmann fornisce gli strumenti utili perla comprensione delle posizioni del riforma-tore e ne inquadra il pensiero nell’ambientestorico proprio, quando l’antigiudaismo con-trassegnava tutto il mondo cristiano in unaradicata tradizione di utilizzo dei testi bibliciunicamente in funzione cristologica e mar -catamente antigiudaica.Molto importante è, poi, il capitolo 6, “Ef-fetti contrastanti: la storia della recezionedell’atteggiamento di Lutero verso gli ebrei,dal XVI al XX secolo”, dove l’autore si spin-ge fino ai giorni nostri, considerando anche ilprocesso di revisione, iniziato dopo il 1945,da parte delle Chiese evangeliche, con nume-rosi pronunciamenti e dichiarazioni sinodali.La scelta editoriale della Claudiana è di gran-de interesse e attualità in previsione del cin-que centenario della riforma, che si cele-brerà nel 2017.Su quest’argomento, si veda anche l’insertoal numero 22, del 3 giugno 2016, del setti-manale riforma, contenente scritti, testi edocumenti, tra cui un ampio intervento delrabbino Giuseppe Momigliano.Terminiamo con le parole del Prof. Daniele Gar-rone, nel suo articolo pubblicato nell’inserto “Ilcinquecentenario della Riforma del 1517 saràper molti aspetti assai diverso dagli anniversariche lo hanno preceduto… come mai prima, ilproblema dell’atteggiamento protestante neiconfronti degli ebrei sarà un tema centrale”.

Maria Ludovica Chiambretto

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libri

scutere della questione centrale che li avevaportati a radersi la barba e smettere di porta-re il lungo caffetano nero: rividero critica-mente l’ebraismo tradizionale dal quale pro-venivano e per anni discussero del rapportotra modernità e ebraismo. Dobbiamo a lorouna lezione profonda e umana circa quel cheaccade alle religioni quando la modernità letrafigge. Non si nascosero le lusinghe concui il moderno si presentava e neppure can-cellarono con un tratto di penna tutto il beneracchiuso in quell’umanità religiosa e umile,intrinsecamente buona seppure così chiusa,che avevano conosciuto nella loro infanzia egiovinezza e di cui la loro famiglia era partea tutti gli effetti. Ma in loro stava maturandouna coscienza storica fondata su uno jato, suuna discontinuità tra l’ortoprassi ebraicachassidica e la libertà individuale laica espregiudicata che li attraeva come un model-lo sociale struggente e drammatico.A lungo il loro pensiero pieno di nostalgia sisoffermò di nuovo su quei tipi umani che solonella provincia di Lodz potevano allignare e iritratti che ne emergono sono sempre qualifi-cati da una grande compassione e ammirazio-ne, da una pena senza fine, ma anche da ungiudizio inesorabile sulle limitazioni intrinse-che che lo stheth inevitabilmente poneva.E intanto a New York la loro vita metropoli-tana procedeva, ogni giorno piena di sorpre-se. Un confronto continuo con l’esperienzacomunitaria del povero paesino ebraico doveil loro padre faceva il rabbino, e dov’eranocresciuti, era inevitabile e anche fonte perun’i spirazione narrativa ulteriore (non piùscritta in yiddish, bensì in inglese). Una scrit-tura pencolante tra la nostalgia per un passa-to definitivamente abbandonato e un presen-te incerto, plurimo ricco di attrazioni ma an-che di situazioni del tutto inedite.Scritto negli anni Sessanta, Ombre sull’Hud-son rappresenta nella parabola letteraria diIsaac B. un punto di riferimento essenziale.Cosa sono le nere ombre che coprono il fiu-me di Manhattan? Non sono quelle della se-ra incipiente: le ombre sono quelle del nazi-smo che giungono in America con tutta la lo-ro greve eredità storica. Di questo e solo diquesto parlavano gli ebrei dell’est che si era-no salvati perché fuggiti in tempo. Un libromaestoso e commovente, imparentato inqualche modo interno e misterioso con la let-teratura di Philips roth.Halakah e haskalah si confrontano da vicino:chi rinuncia alle radici non può scrivere inmodo originale, chi rifiuta la modernità si ti-ra fuori dalla storia che non può essere solocircoscritta alla sola memoria. I due fratelliSinger vivono appieno il dilemma e lo tra-sformano in un’incessante fonte di invenzio-ni.Pareva che questi due fratelli avessero giàriempito del tutto la scena (con Isaac B. finoad arrivare al premio Nobel per la letteraturanel 1978) quando la meno conosciuta sorellaEsther (1891-1954), fin lì quasi dimenticata,forse poco amata, di certo non tenuta nelladovuta considerazione, cominciò a essere

meglio apprezzata. Anche Esther era unascrittrice, e che scrittrice! In nulla meno do-tata dei suoi due fratelli minori. Come i piùnoti fratelli arroventata sulle questioni che ri-guardano la relazione tra ebraismo e moder-nità, sonda con una scrittura diretta e lineare,semplice e molto efficace l’infinita varietà disoluzioni relative a questa questione. Sposa-ta mediante un matrimonio combinato conKreitman, un uomo di Anversa, come i fra-telli lascia sì la misera provincia di Lodz, maper trasferirsi in Belgio con suo marito.Nel 1944 pubblica L’uomo che vendeva dia-manti (Bollati Boringhieri 2016), libro pienodi complicate vicende relative a Berman, unebreo che dà lavoro ai chassidim per la lavo-razione dei diamantiNon possiamo certo dire che la sorella abbiaseguito sentieri così lontani da quelli speri-mentati dai due più noti fratelli. Al contrario,tra loro tre troviamo una commistione dipreoccupazioni morali del tutto coerente: lacomplessa tematica che vogliono sviscerareli conduce a intraprendere strade molto indi-vidualizzate, seppure non reciprocamente al-ternative. Ciascuno con un timbro letterariopersonalissimo e originale, ha vagato nelmoderno alla ricerca di un bandolo della ma-tassa, inaugurando così, in uno sforzo chenon possiamo credere solo circoscritto allasola letteratura, un nuovo ebraismo itineran-te tra le ideologie del secolo ventesimo, qua-si che quel tempo fosse come un territorio daattraversare per una attualizzazione dellacondizione ebraica.Esther, con un sentimento più freddo, con-trolla la propria scrittura rendendola menoveemente di quella di Israel, ma è semprepronta all’analisi minuta, al calligrafismopsicologico, al dettaglio interiore. Dei duefratelli Isaac B. è quello a lei più prossimo,ma forse è bene guardare oltre le somiglian-ze: esplorare le diversità reciproche per inda-gare quanto di drammatico e di inusuale vivain queste pagine piene di fede nell’uomo è unbuon criterio critico.

Giuliano Della Pergola

Appassionatamente per molti anni ho letto iromanzi e i racconti di Isaac B. Singer (1902-1991). Così a lungo e così continuativamenteli ho letti che ora nella mia testa è un turbinodi personaggi e di situazioni che si confondo-no tra di loro. In che libro sta quel certo epi-sodio?, mi chiedo, ne La famiglia Moskat o neLa fortezza? E non so rispondere più. Certo,meglio sarebbe che io mi ricordassi a puntinoogni cosa, ma non ci riesco. Mi chiedo tutta-via se per caso non sia proprio questo il risul-tato che Isaac B. Singer voleva ottenere: quel-lo dunque di continuare a vivere nella memo-ria dei suoi lettori come un’immagine genera-le, come una memoria viva di un mondoscomparso a causa della brutalità nazista. Michiedo se egli non volesse esattamente chenon il volto di un personaggio ma i volti (pa-nim) del popolo dei chassidim continuassero ariempire la nostra fantasia di lettori, succeda-nea nuova patria che prende il posto di quellaPolonia ebraica drammaticamente assassinata.Non ci paiono forse tutti eguali quei volti deichassidim nella loro tenuta nera, con le lorobarbe bibliche, con quel loro fervoroso ince-dere quasi fossero sempre in ritardo? Mi chie-do se questa confusione che cede il posto allafantasia fosse proprio quanto Singer speravadi ottenere con la sua opera vibrante e pura,così singolare, così remota da ogni altro mo-dello narrativo.Un critico letterario non potrebbe permetter-si di trastullarsi in confusioni interpretative ecercando di coprire tale confusione conun’interpretazione più o meno accettabile,ma io non desidero passare per critico lette-rario: sono solo per un appassionato lettore eso bene quanto quei modelli culturali dei pic-coli paesi a maggioranza ebraica della Polo-nia sud-orientale narrati da Singer mi abbia-no toccato, fino a convincermi a studiare piùseriamente origini e sviluppi del movimentochassid.Isaac B. Singer aveva un fratello maggiore,Israel J. (1893-1944) più anziano di lui di no-ve anni e che rappresentava il suo modelloumano di riferimento.Accadde che un giorno Israel J. andasse dasuo padre, un rabbino che confidava solo nel-la bontà del Creatore e che interpretava tuttoquel che gli accadeva come una volontà im-perscrutabile dei cieli, e gli comunicasse inmodo netto e definitivo di non essere più uncredente, di stare vivendo senza preghierecome gli atei moderni, di non sopportare piùla vita in famiglia, di volersi tagliare la barbae di non sentirsi più parte del movimento deichassidim, di avere deciso di lasciare la Po-lonia, questa terra povera e derelitta per defi-nitivamente andare a vivere a New York.Una bomba! Il povero rabbino non avrebbepotuto ascoltare in così breve tempo una piùtotale disfatta dei suoi insegnamenti. L’interafamiglia avrebbe conosciuto da quel giorno“un prima e un poi”. La modernità irrompe-va drammaticamente nella vita rituale e tra-dizionale della famiglia Singer: il confrontotra haskalah e halakah non poteva risultarepiù netto!Israel dunque lascia la famiglia, si taglia labarba e va a vivere a New York dove diven-ta un giornalista della radio che in lingua yid-dish si rivolge a quegli ebrei di New Yorkche avevano riparato là prima che si scate-nasse la furia nazista.Ateo, agnostico, de-ritualizzato, laico, noncerca in America la terra promessa ma soloun luogo dove poter vivere modernamente,professionalmente, senza controlli religiosisul proprio comportamento privato, senzapiù adoperare la lingua yiddish, usando quo-tidianamente solo l’inglese. Abbandono defi-nitivo? Dissoluzione delle regole di purità?O solo una tappa intermedia di un tragitto piùlungo, in cui il confronto col Moderno sem-bra momentaneamente sconfiggere ogni rela-zione con religioso tradizionale?Solo dopo la morte del padre, Isaac B. avreb-be raggiunto il fratello in America. I due con-tinuarono a frequentarsi assiduamente e a di-

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In viaggiocon lacucina ebraicaTra le varie cose che ci hanno insegnato leimprese spaziali, c’è quella per cui l’uma-nità, in qualsiasi condizioni si trovi, ha bi-sogno del solito cibo. Sessant’anni fa si ipo-tizzava che i futuri intrepidi astronautiavrebbero banchettato con un cocktail dipillole. Le missioni successive hanno com-pletamente smantellato quelle illusioni: og-gi sappiamo che per vivere nello spazio gliuomini dovranno allestire degli orti e degliallevamenti per potersi cibare di quegli stes-si prodotti che hanno accompagnato l’evo-luzione umana.Sovviene l’episodio di Esaù che rinunciò al-la primogenitura per un piatto di lenticchie:certo che aveva molta fame, ma quel piattodoveva essere proprio buono! Nel suo Inviaggio con la cucina ebraica – alla ricercadel cibo perduto Carla reschia recupera l’av-vincente legame tra i due elementi fonda-mentali della storia umana: il viaggio e il ci-bo. Lo scenario è quello dei quattro punticardinali e il protagonista è il viaggiatoreebreo con i suoi piatti dagli ingredienti estre-mamente semplici ma che modificano il lorosapore a seconda del contesto geografico.Così il cibo accompagna le ricorrenze reli-giose per interpretare e ricordare episodi sa-lienti della storia del popolo ebraico richie-dendo anche una precisa ritualità secondo re-gole che attraversano la storia. Un’operazio-ne riuscita benissimo all’alessandrina, gior-nalista de La Stampa, instancabile viaggiatri-ce, con nonna figlia del Ghetto di Venezia.La figura medioevale dell’Ebreo errante è illuogo comune di un popolo sparso ai quattroangoli della Terra con “un’attitudine natura-le al commercio e ai viaggi”. Forse non sitratta di un luogo comune bensì di un desti-no. Il nome del primo uomo, Adam, cela unindizio. Significa terra, com’è noto. Ma qua-le terra? Secondo un midrash, uno di queiracconti fatti di domande senza risposta, opiuttosto con mille possibili risposte, cari al-la tradizione rabbinica, è quella dei quattropunti cardinali. Quale poteva essere la spe-ranza quotidiana di un viaggiatore ebreo chesi muoveva da una comunità all’altra, perquanto sperduta e lontana fosse? Quale pote-va essere quell’a spirazione giornaliera delmercante medioevale con i suoi preziosi na-scosti tra gli stracci per sfuggire ai banditi eai malfattori d’ogni genere? Forse era pro-prio un piatto caldo, un brodo, dei fichi sec-chi, un pesce arrosto....

Emanuele Azzità

Rassegna

Shifra Horn – Scorpion dance – Ed. Fa-zi – 2016 (pp. 225 – € 18,50) romanzo ric-co di molteplici segreti e storie di individuivariamente presenti nella società israeliana:composita, sfaccettata e talvolta sfuggente aprecise identificazioni. Il giovane protago-nista si narra in prima persona e, passo do-po passo, ci porta a conoscere verità a luistesso ignote: verremo così a comprendereche vera protagonista è la Shoah che noncongeda, non affranca le sue vittime, di ge-nerazione in generazione, nemmeno forsecon la morte. (s)Anna Momigliano – Israele e gli altri. Undissidio irrisolto – Ed. La Zisa – 2015 (pp.79 – € 12) Oggi è più che mai essenzialeimpegnarsi per una corretta conoscenza del-la storia, in un presente dove dilagano pre-giudizi e informazioni faziose. A propositogiunge questo efficace saggio (corredato daschede biografiche delle figure chiave delSionismo storico) e arricchito dalla illumi-nante prefazione di Tobia Zevi, quando do-cumenta la contiguità territoriale con Gaza,i cui missili diretti a Israele impiegano esat-tamente 15 secondi a colpire il bersaglio!Analisi delle varie identità di Israele e dellapeculiarità del Sionismo in grado, a suotempo, di integrare; oggi, a seguito delleviolenze perpetrate da alcuni ebrei estremi-sti a danno di arabi, secondo il Presidenterivlin, “qualcosa si è rotto”. (s)Donatella calabi – Venezia e il Ghetto.Cinquecento anni del «recinto degli ebrei»– Ed. Bollati Boringhieri – 2016 (pp.187 – € 15) L’anniversario dell’istituzionedel Ghetto offre l’occasione per ripercorrer-ne cronologicamente le vicende in un sag-gio ampio e approfondito: dall’aspetto urba-nistico e architettonico alla vita materiale,culturale e religiosa svoltasi al suo interno.Si esamina la singolarità delle numerose“schole”, invisibili dall’esterno, adibite alculto di gruppi di persone provenienti daaree europee distanti. L’avvento dell’era na-poleonica con l’abbattimento delle barrieree l’apertura dichiarata verso il contesto cit-tadino evolve verso l’attuale realtà della Co-munità veneziana e del ghetto stesso, metapreziosissima per il turismo della Serenissi-ma. (s)Ariel Shimona Edith Besozzi – Sono Sioni-sta – Ed. Salomone Belforte – 2016 (pp.189 – € 19) Con la presentazione di UgoVolli e quella di Deborah Fait, sull’ondaemotiva dei sanguinosi fatti avvenuti inIsraele nel l’estate del 2014, l’autrice analizzail proprio rapporto con Israele, con il popoloebraico e con tutto l’Occidente. Di stringenteattualità (quasi un instant book), il lavoro vaoltre la contingenza e spinge ciascuno alla ri-flessione sugli aspetti storici e culturali delSionismo, sull’atteggiamento della sinistraitaliana e della Chiesa cattolica. (s)Sacha Batthyany – Le bestie di Rechnitz –Ed. Rizzoli – 2016 (pp. 285 – € 18) NelBurgenland, al confine con l’Austria,viene

commesso uno degli innumerevoli, ferocimassacri di ebrei, di cui già il Nobel ElfriedeJelinek aveva trattato nel suo “L’angelo ster-minatore”: non era bastato per smuovere lacoscienza dei “complici comprimari”. Tuttisapevano, nessuno aveva parlato! L’autore,definendosi ”nipote di guerra”sente l’urgenzadi ricostruire quella storia dalla parte dei car-nefici suoi parenti, facendone una ricerca per-sonale per chiarire la propria identità qualemembro di quella famiglia. Il ricorso ad unopsicoterapeuta si rende necessario al fine discoprire “quali avvenimenti del passato ci ren-dono ciò che siamo” e per l’accettazione dellaverità. (s)Esther Kreitman Singer – L’uomo che ven-deva diamanti – Ed. Bollati Boringhieri –2016 (pp. 327 – € 17,50) Caso letterario egrande successo dell’editore italiano che, av-valendosi dell’esperta traduzione di MarinaMorpurgo, offre ai lettori un romanzo dallemolteplici valenze. L’autrice, sorella mag-giore dei due noti Singer, bistrattata, boicot-tata e contrastata in famiglia per le velleitàletterarie, si rivela competitrice agguerritadei suoi fratelli maschi, sia per padronanzadella scrittura che per la sottile analisi psico-logica dei personaggi. Il protagonista, mer-cante arricchito dagli affari ma fallito negliaffetti, non può non venir accostato al “DavidGolder” di Irène Némirowsky, uscito a Pari-gi sette anni prima. (s)Jan Tomas Gross – Un raccolto d’oro. Ilsaccheggio dei beni ebraici – Ed. Einaudi –2016 (pp.126 – € 20) La spoliazione e il sac-cheggio dei beni ebraici in tutta Europa du-rante e anche dopo la Shoah in questi ultimianni è oggetto di approfondimenti che con-fermano come il fenomeno non sia da attri-buirsi solo al regime nazista ma anche alle at-tivissime popolazioni locali. Per la Poloniaabbiamo l’esito degli studi dello storico po-lacco di origine e, quasi contemporaneamen-te, per la Francia possiamo segnalare l’analo-go lavoro da parte del giovane e valente stu-dioso, Tal Bruttman, che si è occupato dellaVal d’Isère. La campagna di reificazione de-gli ebrei ebbe come conseguenza immediatail massacro e l’appropriazione dei beni ancheda parte degli zelanti vicini, e va inoltre ri-cordato che uno degli obiettivi dello stermi-nio era infatti la redditività dell’impresa peril reich. (s)Vittorio orsenigo – A Enea Finzi non spa-rano in fronte – Ed. Imprimatur – 2015(pp. 158 – € 14) Originale e sorprendentecreazione letteraria il cui stile accumulativoapparenta l’autore al concittadino Carlo Gad-da e il cui contenuto, sembrando voler aggi-rare la difficoltà della materia, vi penetra afondo con esperienza e sensibilità. Copertina(lugubre) e sottotitolo (Treblinka) non richie-dono altre indicazioni. (s)Mariastella Eisenberg – Il tempo fa il suomestiere – Ed. Spartaco – 2016 (pp. 287 –

La redazionedi Ha Keillahringrazia

calorosamentei lettori checi hannosostenutocon le lorogeneroseofferte

Grazie!

Venezia,Scola italiana,disegno di

Marina Falco Foa

carla Reschia, In viaggio con la cucinaebraica. Alla ricerca del cibo perduto,Algra Editore, 2016, € 15.00

(segue a pag. 20)

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€ 12) La propensione e il gusto ad attar-darsi sui particolari e a romanzare fatti rea-li finisce quasi per sminuire il valore dellaricostruzione di una vicenda familiare al-quanto singolare, in un contesto storico or-mai accertato. Una famiglia ebraica dallaromania della guerra al sole di Napoli eanche a Gerusalemme, attraversando e va-riamente superando gli sconvolgimenti delXX secolo. (s)Tina Aventaggiato – L’occhio guarda a Sion.Dal Salento dei campi profughi per gli ebreinel 1946 – Ed. Salomone Belforte & c. –2016 (pp. 187 – € 14) La storia, romanzata,di una vicenda poco conosciuta, la vita neicentri profughi costituiti in Salento dopol’arrivo degli eserciti alleati e l’armistizio del1943, in cui arrivarono ebrei, soprattutto sla-vi, scampati allo sterminio e desiderosi ditrasferirsi in Israele. Essi ricostituirono, tra il1945 e il 1947 nuove comunità ebraiche chetrovarono in Puglia accoglienza e solidarietàal di là di qualche episodio di incomprensio-ne e di denuncia. (e)Giovanna Rosadini – Il numero completodei giorni – Ed. Nino Aragno – 2014 (pp.158 – € 12) Il libro segue il flusso delle Pa-rashot, le suddivisioni settimanali della To-rah. Poesie di squisita fattura, degne di unapiacevole lettura per invogliare alla quale unsolo, breve, esempio:“Ora è il tuo giorno, e ancora non lo saimentre io sfioro muri dove prima si aprivanoporte,e filtro ogni rumore notturno trasformandoloin un tuo sogno”. (e)Alberto Perani – L’arte eccellente. Saggiosu Enrico Fubini e la musica ebraica – Ed.Salomone Belforte& c. – 2015 (pp. 76 – €12) Una serie di brevi saggi sulla concezionedella musica elaborata dal musicologo Enri-co Fubini nel suo volume “La musica nellatradizione ebraica”. Concezione che – se-condo l’autore – vede il suono dell’Ebraismoinscindibile dalla parola ebraica consideratacreatrice ed eterna in quanto emessa dallavoce di Dio come cantando, paragonabile al-la mistica rabbinica dell’alfabeto ebraico. È

“una mistica della musica ebraica” in quanto,nell’E braismo, la musica non ricerca una suaautonomia estetica ed espressiva (come av-viene nella tradizione cristiana-occidentale)ma rimane strutturalmente legata al testo inuna interpretazione quasi filosofica–misticalegata, per alcuni sensi, alla concezione chas-sidica del niggun cioè alla melodia e al purocanto non accompagnato dalla parola. Unamelodia senza regole e che, paradossalmen-te, può identificarsi col silenzio. Particolar-mente interessante, a questo proposito, la de-finizione del significato del folklore ebraicoche fonde sacro e profano (qui esemplificataefficacemente nell’analisi del canto Hagga-dià). (e)Marella Giovannelli – Vita politica degliebrei in Russia. Dalla fine del 1800 al 1930– Ed. Salomone Belforte & c. – 2016 (pp.157 – € 20) Uno studio sulla partecipazionedegli ebrei russi alla politica negli anni cru-ciali della rivoluzione; dapprima, soprattutto,nel movimento populista Narodnya Volya(Libertà del popolo) e poi, dopo la repressio-ne e i pogrom seguiti all’assassinio dello czarAlessandro II, nel ravvicinamento al proleta-riato ebraico con la fondazione del “Movi-mento socialista ebraico” (Bund, unione) mi-rato all’emancipazione nazionale ebraica;per sfociare, infine, nel sionismo quando inrussia venne rafforzata la politica centralistadi integrazione (1930) e a seguito dell’anti-semitismo rafforzatosi grandemente dal 1920in avanti dopo l’allontanamento di Trotzski.La sintesi e la proprietà con cui sono trattatigli argomenti storici invitano a una attentalettura del libro, arricchito da fotografie e do-cumenti d’epoca. (e)Gershom Scholem – Giona e la giustizia ealtri scritti giovanili – Ed. Morcelliana –2016 (pp. 87 – € 10) Il libretto contiene cin-que piccoli saggi giovanili in cui l’autore, inun’intervista, disse che “cercò di chiarire a sestesso che cosa fosse l’ebraismo” e che rap-presentano la base della successiva sua am-pia ricerca sulla Qabbalà. Il primo di tali te-

sti consiste in un’interpretazione del libro diGiona, incentrato sulla differenza tra diritto egiustizia, tema che riecheggia nel secondo incui espone dodici tesi sull’ordine della giu-stizia; gli altri s’intitolano, rispettivamente:Sul lamento e sulla lamentazione in cui op-pone il linguaggio del mito a quello della ri-velazione; La verità, sul sionismo e i suoi er-rori; l’ultimo, Novantacinque tesi sull’ebrai-smo e sul sionismo da libri in parte antichi inparte non scritti estratte e redatte da Ger-shom Scholem, completano il tentativo del-l’autore di fissare punti fermi sull’ebraismo esul sionismo. Testi brevi ma connessi l’unoall’altro, assai pregnanti e, peraltro, di nonfacile comprensione per i lettori comuni. (e)Dorit Rabinyan – Borderlife – Ed. Longa-nesi & c. – 2016 (pp. 373 – € 16,90) La sto-ria di un amore impossibile, tra un palestine-se e una donna israeliana, che evoca margi-nalmente ma chiaramente, i problemi chetuttora sussistono tra i due popoli tanto che èstato bandito dalle letture liceali dello Statod’I sraele ed ha avuto, tuttavia, un grandesuccesso internazionale. (e)Primo Levi – Io che vi parlo. Conversazio-ne con Giovanni Tesio – Ed. Einaudi –2016 (pp. 122 – € 12) Un’intervista che di-venta un’autobiografia purtroppo interrottadalla morte dello scrittore. Un’autobiografiamolto più diretta e spontanea di quelle che unautore decide di scrivere e che, per di più ri-vela particolari della vita e dei pensieri diPrimo Levi poco o per nulla conosciuti chelo pongono in una luce nuova e diversa an-che per chi abbia letto tutti i suoi libri. Unabreve lettura da non perdere. (e)

A cura diEnrico Bosco (e)

e Silvana Momigliano Mustari (s)

20 (segue da pag. 19)

PrOPrIETÀ:Gruppo di StudiEbraici, associazione - pressoil Centro Sociale della Co-munità Ebraica di Torino,Piazzetta Primo Levi, 12 -10125 Torino

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rEGISTrAZIONE: Tribunale diTorino 16-9-1975 n. 2518

Ghetto di Sermoneta, disegno di Marina Falco Foa

Ugo SacerdoteIl 1° luglio è morto a To-rino Ugo Sacerdote.Con lui, e con le sue me-morie di partigiano (inquel momento era anche responsabile delCoordinamento Associazioni resistenza delPiemonte), raccolte da Simone Disegni, ave-vamo inaugurato nel numero di aprile 2009la rubrica storie di ebrei torinesi (rubrica chedura da sette anni, e che vede proprio in que-sto numero l’intervista al genero, DanielFantoni, Consigliere della Comunità).Ugo Sacerdote aveva rievocato per HK ilsuo 25 aprile, la sua vicenda di partigiano:studente in ingegneria era salito in Val diLanzo; dopo un rastrellamento nel gennaiodel ’44 era passato in Val Luserna, doveaveva incontrato Emanuele Artom, che l’a-veva inviato come commissario politicopresso un distaccamento (l’episodio è ricor-dato da Artom nel suo Diario Partigiano);era poi passato con il suo distaccamento in

Val Germanasca e in Val Angrogna. Neimesi di aprile e maggio fece parte di unamissione del Servizio Informazioni Militariche aveva lo scopo di organizzare lanci diarmi, munizioni, viveri e medicinali alleformazioni partigiane. Nell’agosto ’44, ri-masto isolato durante un rastrellamento, siunì alla formazione autonoma della ValChisone; si ricongiunse poi con le forma-zioni di Giustizia e Libertà con cui com-batté nelle valli del Cuneese.Con la pace completò gli studi laureandosi iningegneria e intraprese una brillante carrierache lo ha portato all’incarico di Direttore diAeritalia.Noi ebrei torinesi eravamo abituati a sentirela sua voce non solo come testimone attivo elucidissimo della resistenza (ancora il 25aprile 2014, a conclusione della tradizionalefiaccolata, aveva tenuto un appassionato di-scorso in Piazza Castello) ma anche comecohen che ci impartiva la benedizione. Erastato anche, dal 1993 al 1997, Consiglieredella Comunità Ebraica di Torino.riteniamo di poter esprimere alla famiglia lanostra sentita partecipazione anche a nome ditutto il Gruppo di Studi Ebraici.

Minima moraliaE cosa facciamo noi scrittori, noi testimoni, noi ebrei? Da più di tremila anni ripetiamo lastessa storia, la storia di un profeta solitario che avrebbe dato tutto, compresa la vita, perpoter raccontare una storia diversa, una storia piena di gioia e di fervore piuttosto che didolore e di angoscia.Ma trasmise solo ciò che ricevette, e così facciamo noi. E se Dio era adirato con lui per-ché non piangeva, noi non lo siamo: noi siamo orgogliosi di lui. Il mondo non era degnodelle sue lacrime. Né delle nostre.

Elie Wiesel, Cinque figure bibliche (conclusione di Geremia),traduzione di Daniel Voglemann, Giuntina, 1988

Su richiesta di Emanuel Segre Amar siprecisa che l’impresa edile ha conse-gnato i locali del IV e ultimo piano del-la casa di Riposo il 7 luglio 2015.