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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINO Sped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 2 - 1° semestre 2016 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/O CMP TORINO-NORD NELL’INTERNO: n UCEI (ANNA SEGRE) 3 n ITALIA (SERAFINO MARCO FIAMMELLI IN- TERVISTATO DA GIOR- GIO BERRUTO, BARUCH L’OCCHIALAIO) 4-5 n EUROPA (BELGIO, FRAN- CIA) 6-7 n ISRAELE (REUVEN RAVENNA, ALESSANDRO TREVES, RAV HAIM FABRIZIO CI- PRIANI, GIUSEPPE GI- GLIOTTI) 8-10 n STORIE DI EBREI TORINESI: (AL- BERTO SADUN INTERVI- STATO DA DAVID TER- RACINI, AYELET LAGO - RIO INTERVISTATA DA ALBERTO SADUN) 12-13 n MEMORIA (SHERIF EL SEBAIE, ALDO PEROSI- NO) 14-15 n LIBRI (EMANUELE AZZITÀ, PAOLA DE BENEDETTI, EMANUELE LEVI) 16-18 n LETTERE 19-20 n RI- CORDI 20 n www.hakeillah. com [email protected] MAGGIO 2016 ANNO XLI-203 NISSAN-IYAR 5776 Moshe Wilhelm Shapira: falsario o incompreso? Nella seconda metà dell’Ottocento, Gerusa- lemme diventa la meta di un grande numero di turisti occidentali, dalla Gran Bretagna, Europa e America. A favorire il flusso furono la nuova strada per carrozze da Giaffa a Ge- rusalemme, il miglioramento delle comuni- cazioni navali e l’inserimento della Terra Santa nel programma turistico della celebre compagnia di viaggi Thomas Cook. Le mag- giori possibilità economiche dei turisti occi- dentali, rispetto a quelle dei tradizionali pel- legrini, e il sempre più crescente interesse per le antichità archeologiche bibliche, co- minciarono a favorire il commercio di mone- te, vasellame e statuine antiche. Alcuni nego- zi nel quartiere cristiano della città vecchia, nei pressi dell’e norme Cisterna di Ezechia, iniziarono a specializzarsi in antichità, ven- dute assieme alle fotografie dei luoghi santi e a pregiati oggetti fatti di legno di olivo. Stan- do alla prima edizione della prestigiosa gui- da Baedeker, pubblicata nel 1876, il miglior negozio era quello di Moses Wilhelm Shapi- ra. Partito ebreo dalla nativa Kiev, era arriva- to a Gerusalemme, all’età di 26 anni, conver- tito alla Chiesa Anglicana. Grazie ad una re- te di “fornitori” locali, per lo più beduini e contadini arabi che gli vendevano a poco prezzo gli oggetti che trovavano, Shapira of- friva ai propri clienti un grande assortimento di oggetti antichi. Nel 1873, Selim Al-Gari, un beduino che lo riforniva di tanto in tanto, entrò nel negozio di Shapira con alcuni re- BUENOS AIRES, IL MONDO EBRAICO A CONGRESSO Giorgio Berruto (segue a pag. 8) Giulio Disegni (segue a pag. 2) scanso di equivoci: “Sono ottimista: il bene e l’amore trionferanno”. Nati Rom non è il solo fanatico tra gli ebrei che risiedono nella West Bank, e a quanto pa- re neanche il peggiore. Come ha scritto con grande chiarezza Sergio Della Pergola su Pa- gine ebraiche e su Moked alcuni mesi fa, il fa- natismo dei “ragazzi delle colline” coinvolge oggi decine di migliaia di individui e procede per cerchi concentrici. Non tutti sono terroristi capaci di uccidere i non ebrei o gli ebrei giu- dicati traditori – neanche Nati Rom, d’altron- de, rientra in questa categoria. Intorno ai cri- minali, però, si estendono aree via via più va- ste, occupate progressivamente da chi non uc- cide ma approva, non approva ma tollera, non tollera ma capisce, non capisce ma non critica, critica ma non fa nulla per evitare. “Così si ar- riva al crimine”, conclude Della Pergola. Non voglio dilungarmi in una discussione del problema politico del fanatismo e del terrori- smo ebraico, anche se si tratta di una realtà so- “Siamo noi, oggi, i veri pionieri”. Parla a gran voce e ride Nati Rom, fondatore di Lev Hao- lam e di cinque villaggi ebraici in Samaria, tutti illegali ma di fatto tollerati nel contesto di un processo da decenni sfuggito al con- trollo delle autorità israeliane. Di recente, a Gerusalemme, ho avuto occasione di ascol- tarlo. Perciò ho imparato che, oltre all’edifi- cazione di insediamenti illegali in territori che non fanno parte dello Stato di Israele, Na- ti Rom ha un’altra passione: salire sul monte del Tempio dove da tredici secoli si ergono le moschee della Roccia e di al Aqsa e cercare, attraverso la provocazione, di suscitare la reazione violenta di gruppi di arabi – che ap- profittano quasi sempre volentieri del prete- sto fornito loro. Nel suo programma, infine, figura l’edificazione del terzo Tempio, si pre- sume in seguito alla distruzione delle mo- schee, e il rovesciamento dello Stato di Israe- le, da sostituire con una monarchia messiani- ca. “La politica non mi interessa e non aderi- sco a partito alcuno”, chiosa Rom, “prendo ordini soltanto dal Messia”. E conclude, a Una grande vetrina dell’ebraismo mondiale può esser definita a pieno titolo l’Assemblea plenaria del World Jewish Congress, che si è svolta nel marzo scorso a Buenos Aires, ed a cui ho partecipato come delegato dall’Italia, unitamente a Victor Magiar, in rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Che sia una grande vetrina ci si accorge ap- pena si entra nell’Hotel dove ha sede il Con- gresso e ci si avvicina al tavolo della regi- strazione: da tutte le parti si è circondati da persone che parlano una quantità di lingue diverse e, più ancora, quando prendiamo po- sto al tavolo a noi destinato, tra i tanti ove siedono le delegazioni, esattamente come av- veniva, in piccolo, ai Congressi dell’Ucei, con la sola differenza che a fianco non si ha il delegato di Vercelli o quello di Modena, ma a destra il delegato della Jamaica, dietro quello del Nicaragua e due file avanti anche il delegato della piccolissima Comunità del- la Birmania, tanto per nominare alcune delle tantissime delegazioni presenti. Ed in effetti, più di 400 rappresentanti delle comunità ebraiche di tutto il mondo (delega- zioni più grosse quella statunitense e quella israeliana) si sono riuniti, come ogni qua- driennio, per dibattere i grandi temi che coin- volgono l’ebraismo mondiale. Ma che cosa è realmente oggi il World Jewi- sh Congress? Si può sicuramente affermare che, nato 80 anni fa, è l’organizzazione in- ternazionale più importante del mondo ebrai- co, che rappresenta le comunità e le organiz- zazioni ebraiche in 100 paesi del mondo. Per rimarcare la sua importanza, basti pensa- Davide Silvera (segue a pag. 11) re che a Buenos Aires, ben due Presidenti di nazioni si sono affacciati sulla scena del Congresso: il presidente argentino Mauricio Macri ha pronunciato un discorso alla mani- festazione di apertura, e al presidente del Pa- raguay Horacio Cartes è stato assegnato il Premio Shalom per il suo sostegno a Israele. Ma non è che un esempio: il Presidente del WJC è sovente ascoltato da Capi di Stato e viene continuamente consultato in Israele sui temi che riguardano l’ebraismo e i rapporti della diaspora con lo Stato di Israele. Fin dalla sua fondazione nel 1936, a Ginevra, il WJC è stato in prima linea nella lotta per i diritti degli ebrei e delle comunità ebraiche di tutto il mondo; è stato attivo in innumere- voli campagne, sostenendo battaglie per le vittime dell’Olocausto e i loro eredi, tra cui il pagamento dei risarcimenti per danni subiti sotto il nazismo, ottenendo la restituzione di proprietà ebraiche rubate, negoziando accor- di con le banche svizzere per le attività dete- nute in conti cosiddetti “dormienti”. E anco- ra ha condotto campagne per il diritto degli ebrei sovietici ad emigrare in Israele e per contrastare l’antisemitismo e la delegittima- zione di Israele. Per decenni, il WJC ha inoltre mantenuto rapporti privilegiati con la Santa Sede per lo sviluppo del dialogo con la Chiesa cattolica ed è impegnato nella promozione delle rela- zioni interreligiose con le altre chiese cristia- ne, i rappresentanti delle comunità islamiche e di altre fedi. I RAGAZZI DELLE COLLINE E IL MESSIANISMO FONDAMENTALISTA Sansone squarcia il leone, Giudici 14, 5-6 Disegno di Stefano Levi Della Torre

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HA KEILLAH (LA COMUNITÀ) - BIMESTRALE - ORGANO DEL GRUPPO DI STUDI EBRAICI DI TORINOSped. in A.p: 70% - filiale di Torino - n. 2 - 1° semestre 2016 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare i diritti dovuti - C/O CMP TORINO-NORD

NELL’INTERNO:

n UCEI (ANNA SEGRE)3 n ITALIA (SERAFINOMARCO FIAMMELLI IN-TERVISTATO DA GIOR-GIO BERRUTO, BARUCHL’OCCHIALAIO) 4-5 nEUROPA (BELGIO, FRAN-CIA) 6-7 n ISRAELE(REUVEN RAVENNA,ALESSANDRO TREVES,RAV HAIM FABRIZIO CI-PRIANI, GIUSEPPE GI-GLIOTTI) 8-10 n STORIEDI EBREI TORINESI: (AL-BERTO SADUN INTERVI-STATO DA DAVID TER-RACINI, AYELET LAGO -RIO INTERVISTATA DAALBERTO SADUN) 12-13nMEMORIA (SHERIF ELSEBAIE, ALDO PEROSI-NO) 14-15 n LIBRI(EMANUELE AZZITÀ,PAOLA DE BENEDETTI,EMANUELE LEVI) 16-18n LETTERE 19-20 n RI-CORDI 20n

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MAGGIO 2016 ANNO XLI -203 NISSAN-IYAR 5776

Moshe Wilhelm Shapira: falsario o incompreso?

Nella seconda metà dell’Ottocento, Gerusa-lemme diventa la meta di un grande numerodi turisti occidentali, dalla Gran Bretagna,Europa e America. A favorire il flusso furonola nuova strada per carrozze da Giaffa a Ge-rusalemme, il miglioramento delle comuni-cazioni navali e l’inserimento della TerraSanta nel programma turistico della celebrecompagnia di viaggi Thomas Cook. Le mag-giori possibilità economiche dei turisti occi-dentali, rispetto a quelle dei tradizionali pel-legrini, e il sempre più crescente interesseper le antichità archeologiche bibliche, co-minciarono a favorire il commercio di mone-te, vasellame e statuine antiche. Alcuni nego-zi nel quartiere cristiano della città vecchia,nei pressi dell’e norme Cisterna di Ezechia,iniziarono a specializzarsi in antichità, ven-dute assieme alle fotografie dei luoghi santi ea pregiati oggetti fatti di legno di olivo. Stan-do alla prima edizione della prestigiosa gui-da Baedeker, pubblicata nel 1876, il migliornegozio era quello di Moses Wilhelm Shapi-ra. Partito ebreo dalla nativa Kiev, era arriva-to a Gerusalemme, all’età di 26 anni, conver-tito alla Chiesa Anglicana. Grazie ad una re-te di “fornitori” locali, per lo più beduini econtadini arabi che gli vendevano a pocoprezzo gli oggetti che trovavano, Shapira of-friva ai propri clienti un grande assortimentodi oggetti antichi. Nel 1873, Selim Al-Gari,un beduino che lo riforniva di tanto in tanto,entrò nel negozio di Shapira con alcuni re-

BUENOS AIRES, IL MONDOEBRAICO A CONGRESSO

Giorgio Berruto (segue a pag. 8)

Giulio Disegni (segue a pag. 2)

scanso di equivoci: “Sono ottimista: il bene el’amore trionferanno”.Nati Rom non è il solo fanatico tra gli ebreiche risiedono nella West Bank, e a quanto pa-re neanche il peggiore. Come ha scritto congrande chiarezza Sergio Della Pergola su Pa-gine ebraiche e su Moked alcuni mesi fa, il fa-natismo dei “ragazzi delle colline” coinvolgeoggi decine di migliaia di individui e procedeper cerchi concentrici. Non tutti sono terroristicapaci di uccidere i non ebrei o gli ebrei giu-dicati traditori – neanche Nati Rom, d’altron-de, rientra in questa categoria. Intorno ai cri-minali, però, si estendono aree via via più va-ste, occupate progressivamente da chi non uc-cide ma approva, non approva ma tollera, nontollera ma capisce, non capisce ma non critica,critica ma non fa nulla per evitare. “Così si ar-riva al crimine”, conclude Della Pergola.Non voglio dilungarmi in una discussione delproblema politico del fanatismo e del terrori-smo ebraico, anche se si tratta di una realtà so-

“Siamo noi, oggi, i veri pionieri”. Parla a granvoce e ride Nati Rom, fondatore di Lev Hao-lam e di cinque villaggi ebraici in Samaria,tutti illegali ma di fatto tollerati nel contestodi un processo da decenni sfuggito al con-trollo delle autorità israeliane. Di recente, aGerusalemme, ho avuto occasione di ascol-tarlo. Perciò ho imparato che, oltre all’edifi-cazione di insediamenti illegali in territoriche non fanno parte dello Stato di Israele, Na-ti Rom ha un’al tra passione: salire sul montedel Tempio dove da tredici secoli si ergono lemoschee della Roccia e di al Aqsa e cercare,attraverso la provocazione, di suscitare lareazione violenta di gruppi di arabi – che ap-profittano quasi sempre volentieri del prete-sto fornito loro. Nel suo programma, infine,figura l’edificazione del terzo Tempio, si pre-sume in seguito alla distruzione delle mo-schee, e il rovesciamento dello Stato di Israe-le, da sostituire con una monarchia messiani-ca. “La politica non mi interessa e non aderi-sco a partito alcuno”, chiosa Rom, “prendoordini soltanto dal Messia”. E conclude, a

Una grande vetrina dell’ebraismo mondialepuò esser definita a pieno titolo l’Assembleaplenaria del World Jewish Congress, che si èsvolta nel marzo scorso a Buenos Aires, ed acui ho partecipato come delegato dall’Italia,unitamente a Victor Magiar, in rappresentanzadell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Che sia una grande vetrina ci si accorge ap-pena si entra nell’Hotel dove ha sede il Con-gresso e ci si avvicina al tavolo della regi-strazione: da tutte le parti si è circondati dapersone che parlano una quantità di linguediverse e, più ancora, quando prendiamo po-sto al tavolo a noi destinato, tra i tanti ovesiedono le delegazioni, esattamente come av-veniva, in piccolo, ai Congressi dell’Ucei,con la sola differenza che a fianco non si hail delegato di Vercelli o quello di Modena,ma a destra il delegato della Jamaica, dietroquello del Nicaragua e due file avanti ancheil delegato della piccolissima Comunità del-la Birmania, tanto per nominare alcune delletantissime delegazioni presenti. Ed in effetti, più di 400 rappresentanti dellecomunità ebraiche di tutto il mondo (delega-zioni più grosse quella statunitense e quellaisraeliana) si sono riuniti, come ogni qua-driennio, per dibattere i grandi temi che coin-volgono l’ebraismo mondiale. Ma che cosa è realmente oggi il World Jewi-sh Congress? Si può sicuramente affermareche, nato 80 anni fa, è l’organizzazione in-ternazionale più importante del mondo ebrai-co, che rappresenta le comunità e le organiz-zazioni ebraiche in 100 paesi del mondo. Per rimarcare la sua importanza, basti pensa-Davide Silvera (segue a pag. 11)

re che a Buenos Aires, ben due Presidenti dinazioni si sono affacciati sulla scena delCongresso: il presidente argentino MauricioMacri ha pronunciato un discorso alla mani-festazione di apertura, e al presidente del Pa-raguay Horacio Cartes è stato assegnato ilPremio Shalom per il suo sostegno a Israele.Ma non è che un esempio: il Presidente delWJC è sovente ascoltato da Capi di Stato eviene continuamente consultato in Israele suitemi che riguardano l’ebraismo e i rapportidella diaspora con lo Stato di Israele. Fin dalla sua fondazione nel 1936, a Ginevra,il WJC è stato in prima linea nella lotta per idiritti degli ebrei e delle comunità ebraichedi tutto il mondo; è stato attivo in innumere-voli campagne, sostenendo battaglie per levittime dell’Olocausto e i loro eredi, tra cui ilpagamento dei risarcimenti per danni subitisotto il nazismo, ottenendo la restituzione diproprietà ebraiche rubate, negoziando accor-di con le banche svizzere per le attività dete-nute in conti cosiddetti “dormienti”. E anco-ra ha condotto campagne per il diritto degliebrei sovietici ad emigrare in Israele e percontrastare l’antisemitismo e la delegittima-zione di Israele.Per decenni, il WJC ha inoltre mantenutorapporti privilegiati con la Santa Sede per losviluppo del dialogo con la Chiesa cattolicaed è impegnato nella promozione delle rela-zioni interreligiose con le altre chiese cristia-ne, i rappresentanti delle comunità islamichee di altre fedi.

I RAGAZZI DELLE COLLINEE IL MESSIANISMO FONDAMENTALISTA

Sansone squarcia il leone, Giudici 14, 5-6 Disegno di Stefano Levi Della Torre

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wjc

Vignetta di Davì

La mission del World Jewish Congress è, indefinitiva, e lo si è visto con chiarezza a Bue-nos Aires, quella di promuovere l’unità e rap-presentare gli interessi del popolo ebraico,oltre che garantire la continuità e lo sviluppodel suo patrimonio religioso, culturale e so-ciale, riconoscendo la centralità dello Statodi Israele per l’identità ebraica contempora-nea, per rafforzare i legami delle comunitàebraiche e degli ebrei della diaspora conIsraele, tutelando i diritti, lo stato e gli inte-ressi di ebrei e di comunità ebraiche per di-fenderli ovunque essi sono negati, violati ominacciati.Ma suo compito è anche quello di incorag-giare e sostenere lo sviluppo creativo dellavita sociale, religiosa e culturale ebraica intutto il mondo, sostenere l’istruzione ebraicae lo sviluppo dei valori ebraici, e garantire lacontinuità ebraica e la trasmissione dell’ere-dità ebraica; nondimeno, assistere le comu-nità ebraiche nel rafforzare la loro identitàebraica e nell’affrontare i problemi nelle sfe-re politiche, giuridiche, sociali, religiose,culturali o economiche.Quali i temi maggiormente dibattuti a Bue-nos Aires?: si potrebbe dire i “soliti” temiche coinvolgono da sempre il vivere ebraico,ma con un occhio particolare soprattutto allasicurezza e ad una ferma condanna di ogniforma di violenza e terrore. Una risoluzionein particolare ha richiesto che i leader deisingoli Paesi, politici e religiosi e le organiz-zazioni internazionali individuino strategieeffettive per sradicare la campagna di incita-mento a razzismo e antisemitismo messa inatto da estremisti sui social media. Molto si è discusso anche del movimento diboicottaggio contro Israele ed è stata votatauna sua ferma condanna come “manifesta-zione di antisemitismo”, specie nel discrimi-nare e delegittimare lo Stato di Israele neicampus universitari (per tutti il boicottaggiodi studiosi e accademici israeliani) e nell’evi-tare la coo perazione economica, accademicae culturale, con il risultato di ostacolare op-

la cui esperienza è stata messa a confrontocon parenti di vittime di altri attentati recen-ti ad obiettivi ebraici.E il Presidente argentino Macri, nel suo di-scorso, ha dichiarato che il suo governo è“pienamente impegnato a contribuire in ognimodo possibile per fare progressi con questaindagine”.Si sono poi naturalmente affrontati i temidella vita ebraica e della difficoltà di avvici-nare i lontani, comuni un po’ a tutte le realtàdel mondo. Nessuna “ricetta” precostituita èstata proposta, ma sicuramente il segnale cheproviene dalle Comunità è quello di rafforza-re la coscienza e l’identità ebraica delle per-sone per poter mantenere vivo l’ebraismo.Da ultimo, il ruolo delle Comunità, interes-sante e diversificato, ma che non poteva es-ser illustrato per tutte le realtà presenti alCongresso, essendovi solo uno spazio per al-cuni interventi tra le delegazioni presenti: in-sieme alle delegazioni ucraina e portoghese,anche l’Italia ha chiesto di intervenire. In un intervento in Assemblea plenaria hocosì potuto fare un breve excursus dell’ebrai-smo italiano, della realtà composita delle sueventuno Comunità, dei progetti che coltival’Unione delle Comunità, ma anche di unapanoramica sull’antisemitismo e sui recentiprovvedimenti sul negazionismo, per soffer-marmi sulla ricchezza del nostro patrimonioculturale, costituito da sinagoghe, quartieri,musei e da iniziative di rilievo, quali quelleche si svilupperanno nel 2016 a Venezia, peri 500 anni dall’istituzione del Ghetto, il re-cente restauro del Sefer Torà di Biella, databi-le 1250, forse il più antico al mondo tra quel-li in uso, la traduzione in italiano del Talmud. Iniziative che hanno destato molto interessetra il pubblico e questo interesse si spera abbiaanche un “ritorno” e si traduca, ad esempio,nel l’organizzazione di visite di ebrei, e nonsolo, da tutto il mondo per conoscere il nostroricco e affascinante patrimonio ebraico italia-no, oltre che in scambi e incontri assoluta-mente preziosi per il nostro piccolo nucleo.

Giulio Disegni

portunità economiche globali e israeliane epalestinesi. Il World Jewish Congress ha chiesto inoltrealla comunità internazionale, in particolareagli Stati del Golfo, “di intercedere con laleadership religiosa, per garantire che lemoschee, e altre istituzioni culturali o reli-giose che finanziano, non promuovano pre-dicazioni radicali o estremiste, o di recluta-mento, né concedano le loro strutture da uti-lizzare per tali scopi”.L’assemblea ha inoltre evidenziato la neces-sità di “riconoscere i parallelismi e collega-menti tra i recenti attacchi terroristici in tut-to il mondo e il terrorismo cui gli israelianisono stati sottoposti per anni da parte di Ha-mas, Hezbollah, Boko Haram, e loro prede-cessori e alleati”.L’assemblea ha votato anche una risoluzioneche invita i leader mondiali, politici e reli-giosi e le organizzazioni internazionali, a“formulare congiuntamente una strategia ef-ficace per sradicare la campagna di incita-mento e di reclutamento da parte di estremi-sti, anche attraverso le moschee e i socialmedia”.Buenos Aires non poteva non essere al cen-tro del ricordo sui terribili attentati che colpi-rono la comunità ebraica argentina e la rap-presentanza diplomatica israeliana negli anni’90, e di cui anche durante i lavori del WJCè stata invocata la verità e la giustizia controcolpevoli e mandanti. Il Congresso, al termi-ne dei lavori, si è spostato sul luogo degli at-tentati terroristici avvenuti nel 1992, control’ambasciata israeliana di Buenos Aires, enel 1994, contro l’Amia, il principale centroebraico della città. Il presidente del World Jewish Congress Ro-nald S. Lauder ha dichiarato durante la mani-festazione tenutasi in ricordo degli attentati:“Questi non erano solo attacchi contro ebrei,ma attacchi contro l’Argentina. L’uccisionedi Alberto Nisman non era solo un attaccocontro un avvocato ebreo, è stato un attaccoa tutto il sistema argentino. della giustizia”.Di notevole interesse un incontro con alcunisopravvissuti agli attentati di Buenos Aires,

(segue da pag. 1) BUENOS AIRES, IL MONDO...

Giulio Disegni al Congresso Mondiale Ebraico In ricordo dell’attentato di Buenos Aires del 1992

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3DANZANDO SUL TITANIC?Questo è in realtà il nocciolo della questione:il 19 giugno gli ebrei romani e milanesi si re-cheranno alle urne per decidere il futuro del-l’ebraismo italiano mentre tutti noi delle altreComunità staremo alla finestra e sceglieremo(chi con voto diretto, chi, come noi, per mez-zo dei Consigli) un nostro rappresentantesingolo. È triste dover constatare una volta dipiù quanto sia diminuito il nostro ruolo nel-l’ebraismo italiano, se ricordiamo i tempi incui tre torinesi sedevano in un Consiglio di18 persone (mentre oggi abbiamo un Consi-gliere su 52), o se ricordiamo il ruolo di as-soluto rilievo assunto da torinesi (primo tratutti Guido Fubini) nel lungo dibattito sulleIntese e sullo Statuto. E credo sia inutile do-ver ricordare come questo sia avvenuto: nel2010 al momento dell’approvazione del nuo-vo Statuto il lungo confronto tra grandi e pic-cole Comunità ha trovato una mediazione aspese delle Comunità medie (in particolareTorino e Firenze, che sono gravemente sotto-rappresentate): oggi le cose stanno così, enon paiono profilarsi all’orizzonte spiragli dimiglioramento.Da altri punti di vista l’UCEI ci appare in-dubbiamente molto più vicina oggi di quantolo fosse venti o trent’anni fa: siamo al corren-te delle iniziative e delle attività di tutte leComunità, dei convegni, delle novità, di mo-stre e musei, delle presentazioni di libri, delSud Italia, degli italiani in Israele, ecc. Ci so-no incontri più frequenti, mezzi di comunica-zione più rapidi e facili da utilizzare, e so-prattutto l’Unione ha un proprio sistemainformativo (forse la novità degli ultimi anniche più ha influito sulla vita dell’ebraismoitaliano).Dunque in apparenza non abbiamo nulla dicui preoccuparci: l’UCEI è molto più presen-te oggi nelle nostre vite di quanto lo fosse untempo; per di più va anche detto che il nostroConsigliere è anche uno dei due vicepresi-denti dell’Unione. Il problema è cosa ci riserva il futuro. Tradue mesi ci saranno le elezioni e tutto quel-lo che abbiamo – e che forse tendiamo a da-re per scontato – potrebbe essere rimesso indiscussione. Di tanto in tanto, infatti, si leg-gono interventi fortemente critici nei con-fronti di ogni centesimo che viene speso infavore delle piccole Comunità, oppure per lamemoria, per la conservazione dei beni cul-turali ebraici, per iniziative rivolte verso l’e-sterno, ecc.Forse vale la pena leggere, a titolo di esem-pio, una notizia uscita il primo aprile sul sitokolot.it dal titolo Gli ebrei italiani svoltanopagina. La rivoluzione Ucei:Le storiche decisioni del Consiglio Ucei riu-nito ieri sera in assemblea straordinaria:vendita di parte del patrimonio immobiliareUcei (Cimiteri storici, Sinagoghe vuote e Mu-sei) al Ministero Istruzione, Università e Ri-cerca. In cambio: scuoleebraiche gratuite, raddop-pio degli stipendi agli inse-gnanti e pubblicazione dinuovi libri di testo,  trasfe-rimento in Israele per re-stauro e nuovo utilizzo del-le centinaia di rotoli dellaTorà giacenti nei depositi.Tra gli altri provvedimenti:abolizione della “Giornatadella Memoria” che saràsostituita dalla “Giornatadella Continuità Ebrai ca”con istituzione del Premioannuale per il miglior pro-getto educativo del perio-do. Bonus matrimonio ebonus per i primi 3 figli per5 anni. Triplicato il budgetper le attività del Diparti-

mento Educazione e Cultura: assunzioni pergiovani educatori in tutta Italia.Seguiranno nei prossimi giorni tutti i detta-gli… se solo lo vorremo.L’ultima frase sottolinea, se ce ne fosse biso-gno, come questo “pesce d’aprile” non debbaessere letto come un semplice scherzo goliar-dico, ma come una sorta di manifesto eletto-rale; del resto, come si è detto, ripete una se-rie di affermazioni che si leggono frequente-mente. Al di là delle considerazioni che po-tremmo fare su temi specifici, colpiscono inparticolare due cose: prima di tutto il disinte-resse – quasi una sorta di disprezzo – per lastoria dell’ebraismo italiano, vista come uninsieme di vecchi ricordi e musei ammuffitiche meritano di essere tralasciati e dimentica-ti in nome del presente e del futuro. È un’esi-genza che a prima vista può anche apparirelegittima, ma che in pratica cela il desideriodi dirottare fondi e risorse dalle piccole e me-die Comunità verso le grandi. Ancora di più colpisce il rifiuto di tutto ciòche rappresenta una forma di apertura del -l’ebraismo italiano verso l’esterno, vista co-me una pericolosa deviazione da valori au-tenticamente ebraici. Anche questa potrebbesembrare a prima vista un’esigenza legittima(per quanto non necessariamente condivisibi-le), ma pare non tener conto di un fatto deter-minante: da dove arrivano i soldi che l’ebrai-smo italiano usa per la propria sopravviven-za? In gran parte dall’8 per mille, cioè dalmondo esterno. Chi garantisce che un’even-tuale chiusura dell’ebraismo italiano in sestesso non provocherebbe una diminuzionesignificativa del numero degli italiani che fir-mano in favore dell’UCEI? Nessuno, anzi,questa riduzione sarebbe a mio parere più cheprobabile. Quindi un’ipotetica scelta di tra-scurare qualunque contatto con il mondoesterno per concentrarsi esclusivamente sullescuole ebraiche potrebbe portare paradossal-mente nel giro di pochi anni alla chiusura del-le stesse scuole ebraiche.Insomma, talvolta ho la sensazione di trovar-mi a bordo del Titanic: sembra che tutto pro-ceda per il meglio ma forse c’è un iceberg checi attende a poca distanza. Altre volte mi dicoche sto dando troppo peso a opinioni minori-tarie o forse sto prendendo troppo sul serioquelle che in realtà sono semplici provoca-zioni.Forse anche io, come i promotori della sera-ta sui rabbini, mi sto preoccupando perqualcosa che non esiste. Forse (anzi, quasisicuramente) i veri temi di cui preoccuparsinon sono né i rabbini né l’ostilità verso lemedie e piccole Comunità né la chiusuraverso l’esterno ma altre cose ancora che daTorino non siamo neppure in grado di intui-re. Non possiamo fare altro che confidarenel buon senso degli ebrei italiani, e in par-ticolare di quelli romani e milanesi dato cheil nostro destino è in gran parte nelle loromani.

Anna Segre

Lo scorso 3 aprile il gruppo Anavim ha orga-nizzato un interessante dibattito su “Rabbinie Comunità”, per discutere delle proposte dimodifica dello Statuto dell’Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane preparate dallacommissione istituita allo scopo. Da quantoè emerso, noi ebrei torinesi sappiamo poco onulla di quanto bolle in pentola, e neppuresiamo in grado di capire esattamente qualisiano i temi del dibattito. Lo stesso modera-tore della serata, Paolo Fubini (che infatti halamentato pubblicamente questa mancanzadi informazioni), e uno dei relatori, GiulioTedeschi, hanno proposto considerazioni eriflessioni fondate su versioni non aggiorna-te della bozza di proposta di modifiche statu-tarie. Infatti mi pare che la relazione di RavGianfranco Di Segni, che aveva potuto pren-dere visione di una versione più recente del-la bozza (seppure anche questa non definiti-va), abbia ridimensionato molte delle preoc-cupazioni che erano emerse dai due interven-ti che l’avevano preceduta: a quanto parenelle proposte di modifica non si parla più dirabbini a tempo determinato o di rabbini as-sunti dall’Unione anziché dalle singole Co-munità, e mi è parso fortemente ridimensio-nato anche il timore di un controllo eccessi-vo esercitato dai Consigli comunitari sull’o-perato del Rabbino Capo. Insomma, se l’in-tento della serata era quello di mettere inguardia gli ebrei torinesi contro il rischio diuno stravolgimento della tradizionale funzio-ne del Rabbino fatto passare a forza e di na-scosto sopra le nostre teste, direi che siamousciti tutti più tranquilli, compresi (suppon-go) gli stessi organizzatori. Ma se l’intentodella serata era invece quello di far notarequanto la nostra Comunità sia isolata e scol-legata da quanto avviene nell’ebraismo ita-liano, direi che lo scopo è stato pienamenteraggiunto, e che la serata ha dimostrato chenoi ebrei torinesi sappiamo così poco diquello che si dibatte fuori Torino che non sia-mo nemmeno in grado di capire di cosa esat-tamente dobbiamo preoccuparci.Sia chiaro: la mia non intende essere una cri-tica al gruppo Anavim, che ha avuto il meritodi far suonare un campanello d’allarme su unproblema che a molti (compresi noi del Grup-po di Studi Ebraici e della redazione di HaKeillah) stava sfuggendo del tutto. Dove staandando l’UCEI? Quali sono i temi caldi nel-l’ebraismo italiano di oggi? Intorno a qualiproblemi verterà il dibattito nelle imminentielezioni per il rinnnovo del Consiglio?

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Vignetta di Davì

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italia

EBREO E OMOSESSUALESerafino Marco Fiammmelli, fondatore del primo gruppo ebraico Lgbt in Italia

persone tra Facebook, Twitter e Instagram, ainostri eventi abbiamo sempre grande parteci-pazione di amici, simpatizzanti e curiosi, e ifeedback che riceviamo sono sempre moltopositivi. Poi abbiamo contatti con Firenze eMilano e contiamo di organizzare presto unacooperazione con realtà in queste città. Ebraismo e omosessualità: è possibile tene-re insieme queste due dimensioni? Questa è la ragione della nostra esistenza.Molti fino ad ora hanno scelto di vivere pub-blicamente la propria identità ebraica e priva-tamente, o addirittura clandestinamente, ipropri rapporti affettivi. Considero questa so-luzione mortificante. L’ebraismo è una cultu-ra religiosa e un patrimonio normativo in cuila famiglia è centrale, e a buon diritto. Non sipuò vivere una piena vita ebraica mettendo lapropria famiglia fra parentesi. Né si dovrebbeessere costretti a cercare un partner al di fuo-ri della propria comunità. Vivere come ebrei omosessuali significa an-che appartenere a una doppia minoranza.Immagino che i problemi non manchino.Io dico sempre che si può essere discriminatiperché ebrei, perché omosessuali, ma si può es-sere anche discriminati dagli ebrei in quantoomosessuali e dagli omosessuali perché ebrei,in questo secondo caso spesso per ragioni poli-tiche legate a Israele. Anche di questo abbiamodiscusso a Washington: uno dei fenomeni re-centi è il manifestarsi di forme di antisemitismoall’interno dei movimenti Lgbt in varie parti delmondo. In Italia per fortuna le cose sono moltodiverse, ma bisogna vigilare costantemente.A lungo alcuni hanno ritenuto che mali del-la società come l’omofobia sfiorassero appe-na o addirittura non toccassero le comunitàebraiche. Oggi sappiamo che non è così. In Italia non abbiamo assistito e speriamo dinon assistere mai a fatti gravi come quelli ac-caduti a Gerusalemme lo scorso luglio, quan-do una ragazza ebrea, Shira Banki zl, è stataaccoltellata a morte nel nome del Dio degliebrei. Qualche anno fa un’aggressione arma-ta aveva colpito un’associazione gay di TelAviv. Sono pochi episodi isolati, per nulla pa-ragonabili all’epidemia di intolleranza omici-da che affligge altre comunità in molte partidel mondo, nei paesi islamici ma non solo.Però sono un campanello d’allarme. Di chi sono le responsabilità? Che cosacredi si possa fare per combattere questofenomeno? L’omofobia e l’antisemitismo si manifestanoquasi sempre in coppia, specie in tempi di cri-si sociale come quelli che viviamo. Abbiamo

visto quello che ha scatenato in Italia il ddlCirinnà, una legge molto moderata che peròha dato la stura a fiumi di odio, paranoie e de-liri in cui non di rado faceva capolino il fan-tasma del complotto mondiale, di burattinailontani intenti a distruggere la “sana” societàfondata sui valori cristiani, a volte riuniti sot-to l’etichetta di “Internazionale sionista” o si-mili sciocchezze. Alcuni intellettuali, da ulti-ma Ida Magli, erano già giunti a identificareil nemico nell’ebraismo internazionale. Inquest’epoca in cui ciascuno può confezionareun’informazione fai-da-te, chi ricopre ruolipubblici deve essere doppiamente attento aquello che dice e condannare nettamente e inogni occasione le strumentalizzazioni, anchea costo di semplificare discorsi complessi.Che cosa significa, invece, dichiararsi ebreinegli ambienti omosessuali?Bisogna sempre essere accorti e capire benecon chi si parla. Nello specifico dobbiamo di-re che nel movimento Lgbt italiano riscuotia-mo sempre molta simpatia e soprattutto inte-resse sociale, culturale e religioso, riceviamomoltissime proposte di collaborazione con or-ganizzazioni Lgbt di Roma e tutte seguonocon passione le nostre attività.Ha Kehillah ha pubblicato alcuni mesi fauna lunga e discussa intervista a rav HaimFabrizio Cipriani. L’hai letta? Che cosa nepensi? Hai letto anche la risposta di ravRiccardo Di Segni?Non ho i titoli per entrare in discussioni ha-lakhiche o inter-denominazionali. Né mi com-pete: MDKI non prende partito. Noi esortiamotutti i rabbini a fare il massimo nei limiti dellerispettive appartenenze. Constato però che siarav Cipriani, a cui sono personalmente ricono-scente, sia rav Di Segni, per il quale ho il mas-simo rispetto, individuano un problema socia-le serio e urgente. Un problema sociale primache religioso, le cui radici sono da ricercare inuna cultura bigotta e sessuofobica trasversaledi matrice non ebraica. Posso testimoniare per-sonalmente che quanto descritto da rav Cipria-ni nel suo articolo accade anche in Italia: del-l’ambizione a farsi posto in società, nel segnodi una malintesa rispettabilità, fanno le spesein primo luogo gli omosessuali. Vorrei poi ca-pire perché tutto il discorso riguardi sempre gliuomini. Per le donne lesbiche i problemi ha-lakhici sono di gran lunga più modesti. Perchénon cominciamo a parlare delle loro famiglie?Concludiamo con una domanda sul ddl Ci-rinnà: come avete vissuto le settimane di di-scussione parlamentare? Siete delusi o sod-disfatti dell’esito fin qui raggiunto?Siamo stati in prima linea con le altre organiz-zazione Lgbt e abbiamo partecipato ai sit-in ealle varie manifestazioni che si sono succedu-te durate il dibattimento della legge al Senato.L’esito è ancora incerto: la legge ora è alla Ca-mera e quello che può succedere nessuno lo sa.Quello che possiamo dire è che se riusciremoa fare un passo avanti, sarà avvenuto calpe-stando la dignità di milioni di italiani vilipesi eumiliati quotidianamente sui media. Penso inprimo luogo ai miei amici Gianfranco Gorettie Tommaso Giartosio, dipinti come criminali,schiavisti, ladri di bambini. Ci sono stati gior-ni in cui ho temuto per la loro incolumità.

Intervista di Giorgio Berruto

Magen David Keshet è il primo gruppoLgbt ebraico in Italia. Quali sono gli obiet-tivi dell’associazione? Che cosa avete pen-sato quando avete deciso di fondarlo?Magen David Keshet Italia (MDKI) è la primaorganizzazione indipendente ebraica Lgbt ita-liana, affiliata al World Congress of Lgbt Jews(Keshet Ga’avah), il network mondiale checollega le più importanti realtà Lgbt ebraicheattive in Nord e Sud America, Europa e Israe-le. Ci proponiamo di promuovere all’internodelle comunità ebraiche, e non solo, la pienauguaglianza delle persone Lgbt. Da oltre 40 an-ni ormai in Europa, in Nord e Sud America e inIsraele gruppi di omosessuali ebrei si organiz-zano in associazioni. In Italia questo fino a po-co tempo fa non avveniva. Vogliamo recupera-re in fretta il ritardo soprattutto aiutando i gio-vani nel processo di emancipazione personale. Quali sono le attività con cui cercate di de-clinare il vostro programma? Le finalità di MDKI sono di tipo sociale, e sirealizzano innanzitutto all’interno del calen-dario ebraico. Le feste, comunque si intenda-no vivere, da osservanti rigorosi o meno, sonoi momenti in cui il popolo di Israele si riuni-sce, perpetuando e rinnovando la propriaidentità collettiva. Noi ci siamo, facciamo par-te di questa identità. E poi svolgiamo attivitàculturali. Il convegno sulle persecuzioni nazi-fasciste “Il triangolo rosa”, tenuto al Senatodella Repubblica e replicato a Roma al Piti-gliani e per le scuole alla Casa della Memoria,replicherà presto a Milano. Partecipiamo alcoordinamento delle associazioni Lgbt italia-ne. E molto altro ancora è in cantiere.Avete delle associazioni partner a livellonazionale e internazionale?Come organizzazione ebraica Lgbt siamo laprima e al momento l’unica in Italia. Sono ap-pena tornato da Washington DC, dove ho par-tecipato all’assemblea annuale di Keshet Ga’a-vah, il Congresso mondiale degli ebrei Lgbt.Abbiamo discusso del programma delle attivitàdel 2016, approvato il bilancio e modificato al-cuni articoli dello statuto. In questa circostanzasono stato nominato coordinatore responsabiledelle associazioni Lgbt europee e israeliane emembro del Consiglio direttivo del Congresso.Questo è un grande onere per noi ma anche ungrandissimo onore e riconoscimento del lavoroche MDKI ha fatto in così poco tempo. Siete però ancora poco conosciuti neglistessi ambienti ebraici italiani…Io non direi perché siamo conosciutissimi aRoma, molti sanno chi siamo e cosa facciamo,le nostre attività sono seguite da oltre mille

Serafino Marco Fiammelli, luogotenente dell’Esercito italiano, è tra i fondatori di Magen David Ke-shet Italia (MDKI), il primo gruppo di ebrei Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) nel nostroPaese. MDKI (Keshet = arcobaleno) è nato ufficialmente il primo luglio scorso a Roma, e riuniscea oggi una quarantina di persone, per lo più iscritti alla Comunità ebraica di Roma, ma anche adaltre comunità italiane e alla comunità riformata Beth Hillel, di cui lo stesso Marco è cofondatore.Per essere aggiornati sulle attività del gruppo, è possibile consultare la pagina Facebook MagenDavid Keshet Italia – Lgbt Jews Group, oppure scrivere a [email protected].

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Non ci vuole tanta erudizione per ricor-dare che la via dell’Halakha è quella diHillel, notoriamente facilitatore, piutto-sto che quella del rigorista Shammai.Perché, in Italia, ci si trovi in un perio-do storico dove gli Shammai abbonda-no e perché oggi qui gli Hillel, che han-no sempre accompagnato la storia delnostro popolo, siano ormai una specieestinta è tristemente incomprensibile eforse immeritato. Perché tocchi a noipopolo bue la scarsa comprensione diShammai e perché ci si debba piegarealla gara di chi è più rigido e impossi-bilista è nei piani imperscrutabili delSB. Il percorso evolutivo dell’ebraismopare ora più che mai una chimera per-duta all’involuzione del fondamentali-smo e al rifiuto, giorno dopo giorno, diqualunque strumento interpretativo fa-cilitante. È possibile che sia il contrap-passo di questi tempi di assimilazione osemplicemente la versione ebraica del-la rinata popolarità di orientamenti et-nico/religiosi forti, tanto apprezzati daivicini di Israele. Certo l’intervento diRav Disegni sullo scorso numero e lasua implicita sollecitazione a fare “co-ming out” della nostra non-ortodossia,denunciando la redazione del nostrogiornale e un bel numero di nostri letto-ri come dei novelli Spinoza da espelle-re dall’ortodossia, è un chiaro segnoche il motore dell’Halakhah si è fuso edil meccanico l’ha dichiarato irreparabil-

mente bloccato. Il fatto che ci vengaspiegato che il Cipriani (e non il “Rav”Cipriani) è sostanzialmente un incom-petente e che solo qualcun altro ha inmano le chiavi dell’ebraismo ci devefare riflettere profondamente. L’ebrai-smo significa accettare una norma divita in piena libertà di coscienza e atutt’oggi non è chiaro se l’omosessua-lità sia una scelta o una necessità inna-ta. La presunzione che questo dubbionon sia ammissibile ribadisce ancorauna volta la volontà di negare che l’e-braismo ortodosso abbia sempre trova-to compromessi accettabili con la Sto-ria e con lo svilupparsi della conoscen-za scientifica. Un’operazione lenta e fa-ticosa, ma incessante, caratterizzata dadibattiti accesi, ma corali, polifonici espesso accomodanti la volontà popola-re. Che qualcuno pontifichi di essere ilsolo rappresentante del “verum israel”va preso con l’ironia del caso, ma è ve-rosimilmente ora che si cominci a valu-tare con la giusta distanza una leader-ship che, in nome di un rigore cheneanche lei stessa riesce a raggiungere,ci ripropone un “Dio è con noi”, a cuimalgrado il nostro passato non siamoancora vaccinati. Forse per questo an-ch’essa è fuori dall’ortodossia e, a que-sto punto, una volta che ci ritroveremotutti insieme espulsi dalle mura, chissàse non salterà fuori una bella squadra dimeccanici in grado di trovare l’ispira-

IL MOTORE SI È ROTTO

Minima moraliaÈ secondo il diritto, quindi, che cia-scuno rinunci ad agire per propriavolontà, ma non è secondo il dirittoche egli rinunci a pensare e giudica-re a proprio talento.

Baruch Spinoza

Trattato teoelogico-politicodall’antologia a cura

di Emanuela Scribano, La Nuova Italia, 1993

Moïse KislingI dipinti di questo numero sono di Moïse Kisling, pittore ebreo polacco nato nel 1891 e morto in Francia nel 1953. Do-po gli studi alla Scuola di Belle Arti di Cracovia, emigrò nel 1910 all’età di 19 anni a Parigi, dove, abitando prima aMontmartre e poi a Montparnasse, frequentò Jules Pascin e Amedeo Modigliani, del quale divenne amico fraterno.Assunse la cittadinanza francese cinque anni dopo, essendo stato ferito nella I Guerra Mondiale come volontario del-la Legione Straniera. Di nuovo volontario nella II Guerra Mondiale, dopo l’occupazione tedesca della Francia fu co-stretto alla fuga negli Stati Uniti a causa delle persecuzioni naziste, e lì rimase fino al 1946. La sua fama è dovuta in mo-do particolare ai suoi ritratti femminili imbambolati e ai suoi nudi surreali.

Moïse Kisling, Autoritratto Moïse Kisling, Nudo

Baruch Spinoza

La redazione di Ha Keillahringrazia

calorosamentei lettori che ci hanno sostenutocon le loro generose offerte

Grazie!

zione giusta per tornare a far girare ilmotore.

Baruch l’occhialaio

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NOTIZIE DAL BELGIO

ed è pagato dallo stato. Ci sono numerosesinagoghe di vari orientamenti, da quellepiù ortodosse a quelle riformate. Poi ci so-no comunità molto piccole a Liegi e aCharleroi. In Belgio c’è di tutto, dai chare-dim ai riformati, passando per tutte le gra-dazioni. È un ebraismo variegato. C’è unaradio ebraica, Radio Judaica, che trasmettetutto il giorno. I giornali ebraici hanno unpeso minore rispetto alla radio. So che c’èuna rivista mensile chiamata “Regards”.Quasi tutte le diverse sinagoghe aderisconoal Consistoire perché questo permette lorodi essere riconosciute come tali e di avereaccesso, credo, anche a dei finanziamentiper i rabbini e i chazanim. Quali scuole frequentano i ragazzi ebrei?D: I bambini ebrei, anche se non osservan-ti, frequentano poco le scuole pubbliche,probabilmente per paura dell’antisemiti-smo, in particolare islamico (anche se vadetto che in generale in Belgio la scuolaprivata gode di maggior popolarità rispettoall’Italia: c’è anche una rete molto forte discuole religiose cattoliche). Alcuni fre-quentano la scuola europea o la scuola in-ternazionale che è molto cara (ci vanno i fi-gli dei diplomatici israeliani per esempio).In Belgio c’è molto antisemitismo?D: A Bruxelles non si va in giro con lakippà in testa perché potrebbe essere peri-coloso: è un concetto che i miei nipotinihanno ben chiaro, anche il più piccolo cheha cinque anni: hanno interiorizzato che es-sere ebrei è pericoloso. Le aggressioni adebrei sono frequenti, anche se quasi non sene parla se non sui media ebraici. Alcunianni fa Rav Guigui era stato aggredito acalci e pugni nel quartiere di Anderlecht.L’aggressore era arabo e Rav Guigui, che èdi origini marocchine, gli ha parlato in ara-bo, ma inutilmente.Ricordiamo che nel 2014 c’era stato l’at-tentato al Museo Ebraico, che è gestito dalComune e perciò non aveva protezione co-me i luoghi ebraici.S: Io non sono in prima linea quindi è dif-ficile da dire. So che ci sono stati episodi diaggressioni o intimidazioni in strada, adopera di arabi, due settimane fa hanno pre-so a sassate il figlio e il genero di Rav La-sker (sassi piccoli fortunatamente) al parcDuden, a Forest. Non ho sentito nulla di ne-gozi imbrattati o simile. Penso ci sia un’or-ganizzazione che raccoglie informazioni suquesti episodi perche la polizia scoraggia ladenuncia, visto che non si può far nientecomunque.Perché ad Anversa gli ebrei possono an-

dare in giro in maniera riconoscibile e aBruxelles no? S: Ci sono da tanto tempo, hanno un ruoloriconosciuto nel business dei diamanti e so-no tollerati per questo. Anche se ultima-mente il business dei diamanti passa sem-pre più sotto il controllo degli indiani esfugge dalle mani degli ebrei. Anversa èuna città con tanti stranieri ma è una cittàpiù provinciale e tranquilla della capitale.Comunque Anversa è governata dall’estre-ma destra (Bart De Wever) quindi menotollerante su criminalità e simili. E poi èsempre la stessa storia: quando gli ebrei livedi, stanno tutti insieme nello stesso quar-tiere e si fanno la loro vita, paradossalmen-te sono visti come parte del folklore locale.Come reagiscono le autorità agli episodidi antisemitismo?D: L’antisemitismo è sottovalutato dalleautorità belghe: è un Paese lento a muover-si, schiacciato dalle burocrazie (infatti sonostati per oltre un anno senza un governo).Non prendono decisioni.Come viene vissuta la Giornata dellaMemoria?D: Ha meno rilevanza che da noi: è più bu-rocratica, meno sentita.Dopo gli attentati ci sono state prese diposizione ufficiali da parte di autoritàislamiche?D: Come anche nel resto d’Europa non c’èun’autorità centrale che rappresenti tutti imusulmani. Comunque non mi risulta checi siano stati gesti simbolici clamorosi.Dopo gli attentati ci sono state manife-stazioni islamofobe?D: Direi di no, o almeno non significative.Non ci sono partiti xenofobi?D: Le tensioni sono più legate al contrastotra fiamminghi e valloni, che non è ancorasopito. Ci sono addirittura due sistemi sco-lastici separati. Se ad Anversa si parla loroin francese i fiamminghi si voltano dall’al-tra parte. Questo, però, non riguarda gliebrei, che spesso in casa parlano più lingue,e spesso usano l’ebraico.Anche i charedim?Sì: nei ristoranti o negozi ebraici di Anver-sa è normale parlare ebraico.L’alià è un fenomeno rilevante?D: Sì: sempre secondo i dati forniti da TheTimes of Israel, nel 2015 sono emigrate inIsraele dal Belgio 285 persone. Dal 2010 al2014 sono emigrate in media 234 personeall’anno.Un clima davvero pesante, dunque.D: Sì, per tutti. Gli abitanti di Bruxelles, enon solo gli ebrei, manifestano una ten-denza ad andarsene dalla città. Molti fan-no i pendolari. Per esempio Silvia (che la-vora in una società finanziaria) è rimastal’unica tra i colleghi del suo ufficio ad abi-tare ancora a Bruxelles. Nella capitale vi-ve un gran numero di stranieri (ce ne sonomolti che lavorano per le istituzioni euro-pee) e tantissimi musulmani, che sono inaumento e stanno diventando sempre piùreligiosi: si vedono sempre più ragazzevelate. Ci sono quartieri dove non si puòmettere piede: non ci va neanche la poli-zia! La gente è preoccupata, non solo gliebrei. La metropolitana non funziona dopole 18,30 e due linee sono ancora imprati-cabili.M: È anche vero che molti vanno via per-ché preferiscono vivere in campagna, operché Bruxelles è troppo cara. Comunquela mia sensazione personale è che dal 1998,da quando ho iniziato a recarmi a Bruxellesregolarmente, la città è diventata più caoti-ca (è anche aumentato il traffico perché cisono molte auto aziendali), e mi dà l’im-pressione di non avere un’identità culturaleben definita. Secondo me nel 1998 Bruxelles era unacittà più piacevole di quanto lo sia adesso.

Intervista di Anna Segre

D: Siamo arrivati a Bruxelles il giorno do-po gli attentati. L’aeroporto di Bruxelles-National era completamente chiuso, ma noisiamo arrivati a quello di Charleroi, dovec’era meno confusione di quanto pensassi-mo perché molti voli erano stati invece di-rottati su Liegi.La prima cosa che si avvertiva per le stradedi Bruxelles erano le sirene: sirene dapper-tutto.Era la vigilia di Purim. Era stato dichiaratoil lutto nazionale, quindi la scuola ebraicadove studiano i miei nipoti aveva annullatotutte le recite e i festeggiamenti. Solo ilgiorno dopo c’è stato un Mishtè (banchet-to) in un centro Chabad-Lubavitch. La salaera illuminata, ma dall’esterno dell’edificiosi vedeva il buio, forse per partecipare allutto comune ma probabilmente soprattuttoper ragioni di sicurezza. La scuola ebraica “Ganenu” dove vanno imiei nipoti, era presidiatissima (la prote-zione c’è sempre stata ma è ulteriormenteaumentata).Nei giorni seguenti c’erano continui bloc-chi stradali; non si sapeva cosa stesse suc-cedendo: chiudevano a sorpresa le strade eper molti era impossibile andare al lavoro.Quando siamo ripartiti l’aeroporto interna-zionale era di nuovo aperto, anche se conun traffico ridotto, ma al posto della saladei check-in ci sono tendoni.Un collega di Silvia che si trovava alla sta-zione della metropolitana di Maalbek è di-sperso: di lui non hanno trovato niente.Quanti sono gli ebrei in Belgio e in qualicittà vivono prevalentemente?D: Difficile dirlo, perché ci sono molte si-nagoghe distinte. Secondo un articolo re-centemente pubblicato sul Times of Israelsono circa quarantamila. I due nuclei prin-cipali sono Bruxelles (ventimila) e Anversa(dodicimila). Quello di Anversa è antico disecoli, e risale alla tradizione del commer-cio dei diamanti. Oggi è la più grande co-munità charedì (ultaortodossa) d’Europa,con un quartiere ebraico, 22 sinagoghe e 98centri ebraici (tra cui molte scuole). L’insediamento ebraico a Bruxelles è piùrecente. In generale gli ebrei di Bruxellessono molto meno religiosi di quelli di An-versa, e anche le due scuole ebraiche sonopiù laiche (i bambini con la kippà in testasono una minoranza), e molto orientate ver-so Israele. A Bruxelles la sinagoga più importante è laSinagoga Europea, grande, ottocentescacome la nostra. Il suo rabbino (attualmenteRav Guigui), è il Gran Rabbino del Belgio

Quale atmosfera si respira a Bruxelles in particolare dopo gli attentati? Per avere qualcheinformazione, e anche per sapere qualcosa di più sugli ebrei in Belgio, abbiamo incontrato Da-niela Bachi Piperno Beer (D). Alla nostra conversazione si sono aggiunte alcune battute di suomarito Maurizio Piperno Beer (M) e uno scambio di mail con la figlia Silvia Piperno Beer (S)che da molti anni vive e lavora in Belgio (è sposata e ha tre figli).

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DE BELLO GALLICOSicurezza, halakhà e il quotidiano tragicomico degli ebrei transalpini

chiesta veniva dal fatto che, essendo osser-vante, egli considerava (correttamente) proi-bito il trasportare oggetti durante lo Shabbat,e a maggior ragione oggetti il cui uso (far fuo-co) è in linea di massima proibito, il che lirende impropri ad essere anche solo maneg-giati (muktseh). Di conseguenza egli volevacapire se vi fosse una base halachica correttaper autorizzare tale trasgressione, specie con-siderando che esisteva un’alternativa reale,ossia quella di lasciare un’arma sul posto,protetta e chiusa in luogo sicuro, il che avreb-be evitato il trasporto a Shabbat. Il pensiero diavere una persona armata presente mi parevarassicurante, per me come per gli altri, aspet-to di cui ho avuto conferma discutendone conpochi intimi. Invece il pensiero di un’armasempre presente sul posto, messa sì in sicu-rezza, ma teoricamente accessibile, mi sem-brava allarmante. Mi parve che questo creas-se un pericolo latente, e che il principio di“Non metterai un ostacolo davanti a un cie-co” [Lev. 19:14] fosse operante in questo ca-so. Il fatto che la persona invece portasse l’ar-ma con sé, mi pareva preferibile, perché visono basi normative per permetterlo in consi-derazione delle vite che potrebbe salvare, an-che solo se usato come deterrente, di conse-guenza mi pronunciai a favore di questo atto.Più tardi però, quando questa scelta, dappri-ma tenuta riservata, fu conosciuta, avvenneun fatto che mi fece riflettere. Un sabato mat-tina vidi arrivare al tempio un signore anzia-no, e un po’ malfermo sulle gambe. Dopoaver preso posto, estrasse dallo zainetto ungrosso coltello, che posò tranquillamente sul-la sedia accanto alla sua. Interrogato, risposeche era il suo unico mezzo di difesa possibilein caso di aggressioni, aggiungendo che ave-va sentito parlare del permesso che era statodato all’altra persona di portare un’arma dafuoco in sinagoga, e che la cosa lo aveva ispi-rato. Presi un po’ di tempo per riflettere, epensai quanto fosse semplice per un malin-tenzionato disarmare quel signore e magariusare contro di lui la sua arma. A quel punto

realizzai che, dal momentoin cui le autorità competen-ti non possono, non riesco-no o non vogliono fare ade-guatamente il loro lavoro, èimproprio che altri pensinodi farlo, perché questo ge-nera distorsioni di vario ti-po. Chiesi quindi con vigo-re che nessun altro episodiodi questo genere si verifi-casse più, e chiarii che piùnessuno avrebbe portato ar-mi di nessun genere. L’an-ziano signore disse che nonsarebbe più venuto, e d’al-tronde non è stato più vistoda allora. Ma nessuno oggi,a mia conoscenza, porta ar-mi di nessun tipo. Dal pun-to di vista psicologico, pre-ferisco optare per la sere-nità derivante dall’accetta-zione sincera di una fragi-lità che non può essere mo-dificata, e che mi pare fon-damentalmente più adattaallo spirito dello Shabbat.D’altronde la legge dellaMishnah specifica cheun’arma non è da conside-rare come un ornamento(che sarebbe permissibileportare), è anzi qualcosa dispiacevole, che è quindiproibito portare su di sé a

Shabbat [Shabbat 6:10; Shulchan Aruch O.H.301:7]. Eppure, come si diceva, esistono di-verse basi per permetterlo a dispetto di que-sto, cosa che diversi decisori hanno fatto intempi più recenti [SH. Goren, Meshiv Mil-chamah 2, p.54; Shemirat Shabbat Ke-Hilkhatah 20:28 et alia].In questo quotidiano surreale in cui a volte, uf-ficiando, durante le benedizioni dello Shemàvedo un’ombra avvicinarsi e penso “ecco il de-cimo di Minian … oppure quello che ci faràsaltare tutti in aria”, mi è parso interessantenarrare questo aneddoto per riflettere al fattoche la Halakhà non è solo una disciplina teori-ca o speculativa, ma è anche, e soprattutto, unarisposta al vissuto concreto di esseri umani checercano il loro cammino. E, come tutte le ri-sposte, cambia necessariamente secondo la si-tuazione e la psicologia degli individui che nesono protagonisti. In alcuni casi, uno stret-ching mentale si rende necessario per accetta-re il paradosso in cui l’applicazione pratica dideterminate regole porti a scelte diverse daquelle che la normativa teorica avrebbe preco-nizzato. Tali paradossi sono propri alla condi-zione umana. In ogni caso, mi sembra impor-tante tenere presente, come Morenu RabbiLouis Jacobs zl ci ha insegnato, che la Halakhànon si sviluppa in una dimensione esclusiva-mente astratta, ma come mediazione all’inter-no di una continua e necessaria tensione fraprincipi ideali la cui mutabilità è lenta e quasiimpercettibile, e realtà quotidiane che invecehanno un altro tipo di urgenza. La ricerca di unequilibrio fra queste dimensioni è arte assai de-licata, messa talvolta a dura prova da situazio-ni estreme. “IHVH dà audacia al suo popolo, IHVH benedice il suo popolo con lo Shalom” [Sal. 29:11]

Rabbino Haim F. Cipriani

La vignetta era intitolata «il timore dei militaridi sorveglianza ai luoghi ebraici». Raffiguravauna coppia di ebrei osservanti che, sorridenti,porgevano un vassoio a due soldati dicendo lo-ro: “Prendete un po’ di torta, fra poco vi ripor-tiamo delle polpette”. E uno dei due militariche sussurra all’altro: “Speriamo che non duri,ho preso otto chili in una settimana”.Infatti nei mesi immediatamente successiviagli attentati di gennaio 2015, i luoghi ebraicifrancesi erano stati protetti in modo esemplare.Ma, come sperava il soldato della vignetta,non è durata, senza dubbio a causa del graveerrore della comunità ebraica: troppo cibo pe-sante offerto ai militari per ringraziarli del lorooperato. Mais ça, c’était avant … Si sa com’è,l’estate è stagione d’oblio, “agosto, ebreo mionon ti conosco”, e durante la bella stagione imilitari sono scomparsi dalla maggioranza deiluoghi ebraici, salvo alcuni (circa un quarto,pare), scelti secondo criteri non esattamentetrasparenti. I responsabili comunitari hannotentato di rassicurarci spiegando che secondole informazioni in possesso del governo fran-cese, i terroristi avevano fatto sapere di averealtre priorità rispetto ai luoghi ebraici. Diffici-le immaginare da dove venissero realmente ta-li informazioni, speriamo non direttamente daiterroristi stessi, la cui affidabilità appare comeminimo discutibile.Il senso di isolamento durante l’autunno se-guente è stato forte, specie dopo aver consta-to che molte sinagoghe non erano state pro-tette neppure il giorno di Yom Kippur. A quelpunto tanti ebrei si sono interrogati, con rea-zioni diverse. Alcuni hanno ridotto di moltole loro frequentazioni comunitarie, altri han-no smesso di portare con loro bambini. Inquesto clima di grande inquietudine, un gior-no un membro della comunità mi chiese se amio avviso fosse stato permissibile portare,durante lo Shabbat, un’arma da fuoco di cuiera legalmente in possesso (e di cui fa usoprofessionalmente), da tenere con sé durantele ufficiature sinagogali per poter eventual-mente reagire in caso di bisogno. La sua ri-

Moïse Kisling,Nudo sul divano nero

Moïse Kisling, Ritratto col colletto Moïse Kisling, Kiki di Montparnasse

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isra

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il possesso della terra l’obiettivo, giustificatoin base a letture spesso idiosincratiche di te-sti ebraici e alla predicazione di folli invasa-ti o di loschi faccendieri che antepongono albene collettivo il perseguimento di carrierepersonali. Dimenticano forse le parole concui il Signore si rivolge al popolo ebraico inun celebre passo della Torah: “Mia è la terra,perché voi siete forestieri e residenti provvi-sori presso di Me” (Levitico, 25,23).A mio modo di vedere in entrambe le espe-rienze lo sforzo ideale messianico tipicamenteebraico ha un ruolo decisivo: nel caso dei kib-butzim, però, è stato declinato politicamente,mentre il messianismo dei “ragazzi delle colli-ne” è apolitico, o meglio anti-politico, perchécontiene in sé il radicale rifiuto della politicastessa, intesa come serie di regole date dagliuomini a se stessi per organizzare la reciprocaconvivenza. “Non sostengo nessun partito”,dice Nati Rom, “sopra di me riconosco solo ilMessia”.Utilizzando liberamente due categorie della ri-flessione di Emmanuel Levinas, si può affer-mare che dove i kibbutzim e i fondatori delloStato di Israele aspiravano al santo, i “ragazzidelle colline” cercano il sacro. Da una parte ilrimando sempre presente a un Altro e a un Ol-tre, una relazione di apertura che scaturisceproprio dal vivere sulla terra, e non una regio-ne qualsiasi: la Terra di Israele. Dall’altra latrasformazione della terra in qualcosa di stati-co: monumento, idolo da adorare e verso cuiprostrarsi. E quando la terra da luogo su cui vi-vere diviene fine a cui tendere, da spazio diconvivenza e residenza transitoria diviene pro-prietà; allora la Terra di Israele perde la propriaspecificità ebraica e si trasforma in una distesadi zolle immobili, oggetti inerti, idoli: non piùTerra, ma terra. Non rete di relazioni e di ri-mandi, ma vitello d’oro di fronte a cui ci si puòsoltanto prostrare. Questo non significa espun-gere dall’ebraismo la dimensione dello spazio,

lida e in costante ascesa ancora gravemente ecolpevolmente sottovalutata sia in Israele – so-prattutto da parte dei partiti di destra, non di ra-do disposti a chiudere un occhio per discutibi-li motivi di consenso – sia da parte di quegliebrei europei e anche italiani che forse riten-gono di fare un buon servizio a Israele esaltan-do gli indubbi successi del Paese ma sottacen-do i suoi problemi, che pure non mancano. So-no convinto che gli israeliani che non condivi-dono le posizioni di Rom e dei suoi camerati –e sono senza dubbio la maggioranza – dovreb-bero domandare con forza crescente al proprioPaese di reagire contro questi personaggi, nonsolo perché sarebbe giusto farlo, ma anche per-ché sono deleteri per Israele come e persinopiù di coloro che, con gli occhi fissi a una mi-nuscola porzione del vasto quadro, appoggia-no il boicottaggio di Israele nel consesso dellenazioni e nelle arene dell’economia e della cul-tura “per il suo stesso bene”.Cercherò, invece, di riflettere sull’afferma-zione di Nati Rom con cui ho esordito e diconcludere con due brevi spunti teorici alladiscussione. Rom, come tanti altri fanaticiebrei che risiedono oltre la linea verde, si ri-tiene un pioniere e un vero sionista, eredeideale di coloro che cento anni fa diedero vi-ta all’esperienza del kibbutz. Siamo davverosicuri che le cose stiano in questo modo? Iocredo che il ritorno alla terra dei kibbutz-nikim rimandasse al principio ebraico ditikkun haolam, riparazione e miglioramentodel mondo, e che il ritorno a una terra benprecisa e insostituibile, la Terra di Israele,volesse tradursi nel punto di partenza pertentare di mettere in pratica un rinnovatoumanesimo globale e proporre un modello diabitare e coabitare inedito. Niente di tuttoquesto sopravvive nel messianismo teocrati-co di Rom e di tanti come lui: per costoro è

(segue da pag. 1) I RAGAZZI DELLE COLLINE...

l’ebraismo attuale, in Eretz Israel e nel mondo,potrà sintetizzare, grosso modo, i trend ideolo-gici in due tendenze: l’aspirazione all’Universa-le e l’arroccamento sul “particulare”, sulla pe-culiarità etnica-religiosa-culturale. Beninteso,queste tendenze le troviamo lungo tutta la no-stra millenaria vicenda, ma, come sempre, vi-vendole al presente siamo particolarmente sen-sibili ad esse. E penso ad una certa dissonanzatra l’attualità della mia condizione di israelianocoinvolto nella conflittualità acuta e irrisolta sipuò dire sotto casa, e le sfide a cui sono sotto-posti gli ebrei nel mondo: “Ci sono tutti contro”,“Antisionismo = antisemitismo”, BDS, ecc. e lacostante apertura verso l’“Altro” in tutti campie a tutti livelli, dell’Italia ebraica. Una costru-zione di ponti coraggiosa, e nel medesimo tem-po consapevole della nostra individualità.

CentenariCinquecento Anni del “primo” ghetto a Vene-zia e il centenario della nascita di Giorgio Bas-

sani. Due eventi particolarmente vicini alla miasensibilità. Seguo con profonda partecipazionele manifestazioni, auspicando una prossima di-retta presenza in loco in Italia. Con una certacommozione, rileggendo, a fondo il “Romanzodi Ferrara”, ho sottolineato, si può dire, un con-tatto tra i due centenari. In una pagina del“Giardino”, Il Padre di Micol, Prof. ErmannoFinzi-Contini, ricorda il proprio interesse per ilpassato della Venezia ebraica, del suo Ghetto,nell’epoca d’oro di Leon Modena e di Sara Co-pio Sullam. Per testimonianza della figlia delloScrittore, vedo confermata la mia congettura diun progetto narrativo non realizzato, in anni diforte interesse per la città lagunare, anche per lebattaglie di “Italia Nostra”. E così fantastico di passeggiare per Via Vigna-tagliata o nella Magna Domus con l’Io Narran-te e Micol nella mia Ferrara e in Campo diGhetto Nuovo per poi approdare nel salottodella poetessa ebrea del Seicento in un unicomosaico di nostalgica, commossa Memoria.

Reuven RavennaNissan 5776

EticaIn concomitanza con una apparente pausa de-gli atti terroristici, fragile, che può infrangersiin ogni istante, soprattutto nel periodo di Pesa-ch e dei successivi eventi civili, il dibattito si èincentrato su due temi che hanno appassionatol’opinione pubblica. A Hevron, nel corso diuno scontro con palestinesi, un soldato ha fred-dato un terrorista, già giacente ferito a terra.L’ha fatto – ha sostenuto a propria difesa comegiustificazione dell’atto – temendo che la vitti-ma indossasse una cintura esplosiva. Da unaparte la palese solidarietà di altri commilitoni edi noti attivisti di estrema destra, dall’altra lacondanna da parte del Ministro della Difesache ha energicamente ribadito l’etica che deveessere osservata anche nella complessa, nonsemplice, concreta realtà del confronto quoti-diano con il terrorismo palestinese.Un deputato del partito “Ha-Bait Ha-Yehudì”(“La Casa Ebraica”), ha dichiarato che sua mo-glie non intendeva dividere la camera con puer-pere arabe, pensando che i loro neonati potesse-ro da adulti diventare terroristi dei nostri figli. Idibattiti sui media e i social network, pro e con-tro, sono stati accesi. Siamo spesso portati alpessimismo, soprattutto analizzando un sondag-gio sulle tendenze delle nuove generazioni al ri-guardo dei rapporti con gli arabi, di cittadinan-za israeliana o no. Una massiccia virata a destra,che esige una limitazione dei diritti delle mino-ranze, l’esaltazione dell’impegno patriottico,ecc. Ben lontani dal liberalismo sionista e na-zionale di Jabotinsky e di Begin. D’altro canto,il dibattito su dilemmi morali che si affrontanoogni giorno è segno di una sensibilità vigile emilitante che è essenziale per una democraziaconcreta e non solo di facciata.

Universalismo e ParticolarismoLo storico futuro, studiando le correnti del -

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ma sottolineare, con la migliore tradizione no-vecentesca che da Heschel conduce fino al re-centissimo Con lo sguardo alla luna di rav Ro-berto della Rocca, che la vita ebraica è una vi-ta nel tempo: ovvero che lo stesso vivere in unluogo significa vivere in un luogo che a pro-pria volta è già da sempre inserito nel tempo.Un’ultima riflessione. I fondamentalisti ebreicome Nati Rom rifiutano la politica e anchenel dominio della convivenza con gli altri sifanno sostenitori di un modello di agire fon-dato esclusivamente sulla relazione direttacon i dettami divini – nella forma spesso pre-testuosa in cui declinano questi ultimi. Ab-bracciano, quindi, un modello etico che fa le-va su principi nudi senza sfumature, e nonsulla mutevolezza continua e colorata dei fat-ti nel mondo. Su valori proclamati assoluti,non sulla responsabilità. È un paradigma chevorrebbe scardinare l’idea stessa di politica,intesa come necessità di porre regole umaneal convivere umano. Per farlo, ci sono perso-ne disposte a tutto, anche a distruggere loStato di Israele. E si tratta di ebrei.

Giorgio Berruto

Nati Rom

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Uniti. Ci eravamo abituati all’idea di unebraismo americano rappresentato politica-mente da lobbies spesso in lite fra loro matutte più o meno al servizio del governo Ne-tanyahu ed ecco che, mentre i partecipanti al-la conferenza dell’AIPAC si rendono ridicoliapplaudendo estasiati Donald Trump, si leva-no voci di speranza fra le nuove generazioni.Simone Zimmermann si era fatta conoscereai tempi dell’ultima guerra con Gaza, quandoaveva manifestato con altri giovani ebrei da-vanti agli uffici della Conferenza dei Presi-denti delle Maggiori Organizzazioni Ebrai-che Americane (denominazione assai sugge-stiva) leggendo i nomi degli israeliani e deipalestinesi morti nel conflitto. Opponendosiall’occupazione (come, piuttosto natural-mente per una pronipote di sopravvissuti allaShoah, all’antisemitismo), ha chiesto cheHillel, l’organizzazione ebraica nei campusamericani, accetti la partecipazione dei grup-pi pro-BDS, pur dicendosi lei stessa contra-ria al BDS. “Seguiamo con attenzione quelloche sta accadendo in Israele”, aveva scritto infebbraio riferendosi ai suoi coetanei venten-ni, “con attenzione e con rabbia”. Il 13 Apri-le, Bernie Sanders l’ha nominata coordinatri-ce delle attività in ambito ebraico della pro-pria campagna elettorale.Il giorno dopo un altro rappresentante dellastessa generazione (un po’ più maturo, trenta-cinquenne) ha spiegato perché fra loro l’ap-poggio per Sanders è schiacciante, al contra-rio di quello che i sondaggi dicono degli ebreiamericani più anziani, che se votano demo-cratico appoggiano prevalentemente HillaryClinton. “Sanders”, scrive Jacob Bacharach,“viene visto come rappresentante di un’ideaetica del fare politica, che si appella al benecomune. Evoca un’era passata di valori ebrai-ci, di prima che gli ebrei si integrassero fra gliamericani bianchi ricchi, e prima che la cosapiù importante per loro diventasse l’appoggioad un altro stato a migliaia di chilometri di di-stanza”; “se ne accorgeranno i nostri genito-ri? Sono preparati ad una nuova generazioneche vede il centro dell’ebraismo nella diaspo-ra, e gli imperativi etici dell’ebraismo ameri-cano potenzialmente contrapposti allo statoebraico?”.Piccolo ulteriore risveglio il 15 aprile: San-ders ha sospeso Simone dall’incarico cui l’a -veva appena chiamata, dopo essersi accortodelle parolacce che lei aveva rivolto, su Fa-cebook, all’indirizzo del primo ministro Ne-tanyahu.

Alessandro Treves

Un grande Partito Democratico Israeliano.Dai confini ampi ma chiari ovvero, come pro-clama speranzoso, “da Moshe Ya’alon aZehava Galon; da Shaul Mofaz a ZouheirBahloul; da Dan Meridor a Ayman Odeh”,cioè dai più moderati fra i membri del Likudfino a chi guida la Lista Araba Unita. Dopoun’accorata disamina di quella che lui chiamala “guerra civile fredda”, che vede lo statod’Israele cedere allo stato di Giudea, vale adire ai coloni, Uri Misgav, giovane giornali-sta solitamente pragmatico e incisivo, si la-scia andare trasognato alla fantasia di un nuo-vo grande movimento politico, che metta in-sieme tutti coloro che alla Knesset siedono asinistra dell’estrema destra. Confini effettiva-mente piuttosto ampi. Con candidato primoministro Benny Gantz (l’atletico ex capo distato maggiore) o addirittura Reuven Rivlin,l’attuale presidente, di cui sembra auspicarele dimissioni ed il ritorno nell’agone politico. Uscita prima in ebraico, la proposta di Mi-sgav appare in inglese, su Ha’aretz online, il13 aprile. Il giorno prima, dopo un’altrettan-to accorata disamina della stessa situazione,da una prospettiva molto simile, un suo col-lega di pari talento aveva rilanciato un’ideadel tutto diversa. Bradley Burston, scrivendoanch’egli su Ha’aretz, aveva implorato: sidia il voto ai palestinesi. Si offra la cittadi-nanza israeliana con tutti i diritti ai palestine-si della Riva Occidentale. L’hanno già pro-posto in tanti, fa notare, anche politici di de-stra, anche l’attuale presidente Reuven Riv-lin. Se il nuovo partito di Misgav può sem-brare un sogno, c’è forse un sogno più gran-de di una democrazia in cui il diritto al votoviene esteso a tutti i suoi abitanti? Inclusoperfino chi è autoctono, e non un immigratodagli Stati Uniti come lo stesso Burston? Dinuovo la bonaria figura di Rivlin appare nelsogno ad incarnare il leader che non c’è. Il risveglio da entrambi i sogni è nei dati delsondaggio di cui riferisce, lo stesso 13 aprile,Dov Lieber su Times of Israel. Il 48% dei li-ceali israeliani (ebrei) vorrebbe togliere il di-ritto di essere rappresentati alla Knesset agliarabi israeliani, figuriamoci se concederlo aipalestinesi dei Territori Occupati. Il sondag-gio, commissionato dal giornale di destraIsrael HaYom, stima che fra i giovani degliultimi due anni della scuola superiore, futurielettori, il 59% si autodefiniscano di destra, il23% di centro ed il 13% di sinistra. Se i datisono corretti, il grande Partito Democraticovagheggiato da Misgav, quandanche riuscissemiracolosamente ad aggregarsi, sarebbe con-dannato all’opposizione. Appare evidente co-me né Misgavné Burston, chein fondo sonopersone di mez-za età, possanorappresentare,con le loro usci-te alla disperata,l’immaginariodella maggio-ranza dei giova-ni ebrei israelia-ni. Immaginarioche forse è sopi-to. Forse è ungrande buco ne-ro in fondo altram. Se cerchiamogiovani ebrei chesognano, sembraparadossalmentepiù facile trovar-ne ora negli Stati

The WallCome molti ebrei progressisti ho accolto congioia la notizia della vittoria legale che daràla possibilità di installare al Kotel uno spaziosupplementare per le donne che desideranopregare indossando indumenti rituali comeTallet e Tefillin. Un’ulteriore divisione saràriservata ai gruppi misti, che desiderano pre-gare con uomini e donne insieme.Poi però mi sono reso conto che il dover ri-correre a celle separate per poter esprimere lapropria spiritualità è un po’ triste. Mi vengo-no in mente i film americani con le celle infila e il guardiano che passeggia nel corri-doio con un mazzo di chiavi in mano. Do-versi ghettizzare per recitare, ogni gruppo daparte sua, le stesse preghiere in cui si espri-me, fra l’altro, la speranza dell’unità del po-polo, mi pare caricaturale. Vero è che l’oggetto delle preghiere è spessoqualcosa che si sa di non poter avere facil-mente. Vero è anche che generalmente si pre-ga per poter ottenere aiuto per cose che l’uo-mo non riesce a realizzare coi propri mezzi.Ma quando poi l’uomo mette in gioco i pro-pri mezzi in modo tale da ostacolare ciò percui prega, la cosa diventa alquanto proble-matica. E tutto questo avviene perché si vuo-le pregare a tutti i costi in quel luogo. Senzacontare che, a questo punto, come si dice,

, non c’è fine alla cosa. Ci vor-rà un’altra sezione per i mancini (alcuni po-trebbero considerare antiestetico chi porta itefillin sul braccio destro), una per chi desi-dera portare il proprio cagnolino, ecc. … Enon c’è spazio per tutti… Nella nostra tradizione, gli oggetti suscettibi-li di portare a derive idolatre erano distrutti.Mosè per questa ragione distrugge le Tavoledella Legge [Es. 32:19], e così fece il re Eze-chia con il mitico serpente di bronzo di Mo-sè [II Re 18:4]. E se da un lato il luogo di cuisi parla merita grande rispetto, e così anchel’anelito di alcuni a potervi esprimere la lorospiritualità in modo appropriato, è importan-te ricordare che un luogo, come un oggetto,ha solo un ruolo di mediatore. Quando il mediatore si sostituisce al messag-gio, e un mezzo si trasforma in un fine, que-sto dovrebbe mettere in allarme. In ebraicoclassico questo fenomeno è chiamato AvodahZarah, “lavoro disperso”, perché esprime laperdita della nozione di priorità e di centrodelle cose. Molti commentatori sottolineano che quandoMosè distrusse le Tavole, questo fu conside-rato un grande merito [cf. Rashi su Deut.34:12]. Certamente non è rompendo il ter-mometro che si cura la febbre, ma in assenzadi rimedi più radicali questa può essere unaterapia possibile...

Rabbino Haim F. Cipriani

9RISVEGLI DI UNA MATTINADI PRIMAVERA

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la maggioranza ebraica, su cui poggia la ra-gion d’essere dello Stato ebraico. Il proble-ma è che nel lungo periodo gli effetti di si-mili scelte rischiano di arrecare danni digran lunga superiori ai benefici. La primavittima di questa politica è la stessa legitti-mità della Legge del Ritorno. I principaliargomenti utilizzati dagli ebrei israelianiper convincere i loro fratelli in Diaspora(specie quelli americani) a supportare unalegislazione sempre più spesso demonizza-ta, tanto in ambienti di estrema destra chedi estrema sinistra, sono sostanzialmentedue: che essa supporta coloro che possanoprovare una sicura ascendenza ebraica, eche il suo automatismo sia necessitato dalsalvare ebrei in pericolo. Ciò non sembraperò esservi nei casi in questione. Tanto iFalashmura, quanto i Bnei Menashe e gliAnusim non provengono certamente dapaesi a rischio di genocidio ebraico. Anzi,India ed Etiopia sono considerate tra i mi-gliori alleati israeliani. Nè il loro legameebraico può considerarsi così stretto dasoddisfare gli stringenti requisiti richiestidalla Legge del Ritorno. Non a caso, la pos-sibilità di usufruire della stessa è stata intutti i casi vincolata ad una previa conver-sione all’ebraismo. Cosa induce allora queste persone a compie-re un simile passo? La risposta è ovvia: intutti i casi, la prospettiva di poter abbando-nare aree in drammatica recessione econo-nomica o povertà, motivi ben estranei allenobili radici che avevano originato, nel1950, l’emanazione della Legge del Ritorno. Ancora più gravi dei riflessi morali sonoperò le conseguenze di ordine demograficoe politico-ideologico. Il presunto diploma-tico etiope non si era certamente lasciatoandare a puro sarcasmo: è difatti evidenteche, una volta fatta eccezione per una cate-goria, questo tipo d’immigrazione non po-trà più essere arrestata nel lungo periodo.Ciò comporterebbe per Israele il rischio diessere inondata da milioni d’individui prividi reale ascendenza ebraica (non potendodifatti nel lungo periodo il requisito dellaconversione ortodossa essere richiesto alcrescente numero di ebrei identificantesisolo su base etnica), una prospettiva da in-cubo per qualsiasi sionista. Ma anche sequesta possibilità venise evitata, è quantomai dubbio che la legittimazione moraled’Israele potrebbe permanere intatta, siaagli occhi dei propri cittadini non ebrei chea quelli del l’opinione pubblica mondiale.Al riguardo, fiumi di parole sono stati spe-si sulla necessità di legare allo Stato ebrai-co gli arabi israeliani, inducendoli ad ab-bandonare il sostegno alla loro leadershipestremista. Sennonché continuare ad inve-

stire milioni di shekel a favore di straniericon tenui legami ebraici, rischia semmai diconfermare tra i cittadini arabi un senti-mento d’inferiorità, distruttivo per le pro-spettive di coesistenza. E poiché ciò che èmale per Israele costituisce una manna peri suoi nemici, simili scelte rischiano d’in-grossare le fila del BDS. Quest’ultimo èstato sinora bloccato da una robusta seried’iniziative legislative, sulla base cheIsraele non agisse in maniera differente dalresto della famiglia occidentale. Ma la vi-cenda dei Falashmura descrive un raccontodiverso. Se Israele volesse assorbire indivi-dui in stato di necessità non dovrebbe im-pegnarsi ad aereotrasportarne migliaia daangoli remoti del globo. Basterebbe assorbire quelli affollanti ilcentro di raccolta di Holon od impegnati inlavori umili nei quartieri meridionali di TelAviv. Che lo stato ebraico si stia ciò nono-stante attivamente impegnando a liberarse-ne, investendo nel contempo denaro edenergie per agevolare l’immigrazione d’in-dividui non in stato di pericolo mina i prin-cipi cardinali della famiglia occidentale, dicui lo Stato ebraico dichiara di volere esse-re parte. Ed un’entità politica che tradiscavalori morali considerati “sacri” può dive-nire legittimo bersaglio di una campagnad’isolamento completo. Ovviamente, si potrà obiettare che Israele èuno Stato sovrano. Ma quel che è certo èche molti non ebrei rischiano di ricevere dasimili episodi la medesima, rovinosa im-pressione espressa da Raviv Ducker suHaaretz: “tutto ciò che [noi israeliani] do-vremmo fare è dare ai migranti per ragionieconomiche/rifugiati che sono già qui dirit-to di cittadinanza, invece di dar loro la cac-cia nelle strade ed espellerli brutalmente.Ah, mi spiace, dimenticavo. Quei neri sonoun ‘cancro’, mentre quegli altri sonoebrei”.

[http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.711234]

Giuseppe Gigliotti

Ancora una volta, il cerchio sembra essersiconcluso. Messo sotto ricatto da membridella sua instabile coalizione, BenjaminNetanyahu ha infine concesso l’autorizza-zione a finanziare l’aliyah degli ultimi9000 Falashmura (etiopi presumibilmentediscendenti da Beth Israel costretti nei se-coli precedenti alla conversione al cristia-nesimo) nell’arco di cinque anni. O questoè per lo meno quanto si possa dire al mo-mento. Perché quella che potrebbe apparireuna semplice procedura d’ordinaria ammi-nistrazione nello Stato ebraico fornisce in-vece un’importante lezione di cui tenereconto. Circola al riguardo una battuta che sarebbestata fatta da un diplomatico etiope al -l’allora Ministro per l’Assorbimento YuliEdelstein, una volta approvata la prima de-cisione di trasferire in Israele i Falashmura:“Invitatemi alla cerimonia per il milionesi-mo immigrato”. Che sia vera o no, questastoria coglie il succo di un dilemma con cuiIsraele sta iniziando a confrontarsi: comenegare il diritto di aliyah ad un numeropressoché illimitato d’immigrati, pronti adutilizzare la Legge del Ritorno per soddi-sfare ragioni ben lontane da quelle dell’i-deale sionista? Per chiunque non fosseesperto nella questione, bisogna ricordareche la stessa vicenda del l’aliyah etiope,lungi dall’essersi esaurita agli inizi deglianni Novanta, sembra costituire un pozzosenza fondo. Non appena concluso il ciclodi assorbimento dell’ultimo gruppo, im-mancabili sbucano nuove migliaia di perso-ne, legate da vincoli familiari con i novellicittadini israeliani. E, posti di fronte alle accuse di razzismo(“se si fosse trattato di russi con gli occhiazzurri ed i capelli biondi, non li avreste la-sciati marcire lì”, è un motivo più volte uti-lizzato dalla comunità etiope in Israele), igoverni israeliani finiscono ogni volta percapitolare, spalancando i cancelli ad unnuovo “finale” gruppo di olim. Senonché ipotenziali candidati di dubbia ascendenzaebraica non hanno mai fine. Ed infatti, i si-pari sulla precedente “aliyah finale etiope”si erano appena spenti, che già NGOs atti-ve nel recupero di “ebrei perduti” comin-ciavano a discutere sulla necessità di “ri-portare a casa” i Bnei Menashe (una popo-lazione vivente nel l’India nordorientale) ed’incrementare gli sforzi per ricondurre al-l’ovile gli anusim di ascendenza sefardita osud-italiana. Le radici alla base di tale ra-gionamento sono ben note a chiunque siaaddentrato nell’ideologia dominante inIsraele. Indurre alla risalita gli ebrei perdu-ti costituisce una delle massime aspirazionidel sionismo, e garantisce il permanere del-

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asfalto. Quello che era chiaro era che le let-tere assomigliavano moltissimo a quelle del-la Stele di Moab. Shapira, che non era unostudioso di lingua ebraica, riuscì a fatica a ri-copiare i testi e comparandoli con diversi te-sti biblici arrivò alla conclusione di essere inpossesso di un’antica copia del libro delDeuteronomio. Il testo differiva leggermenteda quello conosciuto, con però una differen-za sostanziale: ai Dieci Comandamenti c’eral’ag giunta di un undicesimo: “Non odieraituo fratello in cuor tuo, io sono Dio, il tuoDio”. Shapira non credeva ai suoi occhi. Lepergamene erano databili al 9 sec. a.C., quin-di a circa 1700 anni prima del più antico ma-noscritto biblico conosciuto fino ad allora.Dopo lunghe trattative con istituzioni e Uni-versità tedesche, che non portarono a nulla,Shapira decide di mostrare i rotoli al Palesti-ne Exploration Fund a Londra. Assieme adesperti del British Museum, i rotoli vengonoesaminati attentamente dagli studiosi inglesinegli uffici della P.E.F., mentre Shapira at-tende, trepidante, in una stanza vicina. Glistudiosi, emozionati, convocano Shapira egli annunciano che si deve procedere il piùpresto possibile all’acquisto dei rotoli perconto del British Museum, e con il suo per-messo, alla loro esposizione in pubblico.Shapira chiede, in cambio del suo tesoro, unmilione di sterline che, stando alle cronachedel tempo, vengono garantite dalla stessa Re-gina Vittoria. A Londra, Shapira è sulla boc-ca di tutti, mentre a Gerusalemme, dove eraarrivata la notizia della clamorosa vendita,sua moglie si dà alla pazza gioia e alla bellavita. Ma anche questa volta Shapira non ave-va fatto i conti con Clermont-Ganneau. Lostudioso francese arrivò a Londra nel mezzodell’euforia per l’imminente acquisto dei ro-toli da parte del British Museum, e fu accol-to freddamente da Shapira e dal curatore delmuseo David Ginsburg. Dopo avere permes-so allo studioso di esaminare brevemente lepergamene, gli dissero che sarebbe dovuto ri-tornare dopo due giorni. Ma, ritornato al Mu-seo come d’accordo, gli fu detto che nonavrebbe potuto riesaminarli di nuovo. Lo stu-dioso dovette sgomitare tra la folla di visita-tori che erano venuti nel week-end a vedere irotoli esposti in una speciale bacheca e perdue giorni li osservò attentamente, prenden-do note sul suo taccuino. In una lettera invia-ta il sabato stesso al Times, Clermont-Gan-neau scrisse che “I frammenti erano opera diun falsario moderno”. Secondo lui le striscedi pergamene erano state tagliate da Shapirada rotoli della Torah vecchi di alcune centi-naia di anni, e a riprova di ciò Clermont-Ganneau descrive le righe verticali incise ailati di ogni colonna del testo. Queste lineeguida erano normali in rotoli della Torah, ma

il compilatore del Deuteronomio Moabita leaveva ignorate, debordando con il testo inentrambi i lati. Un’altra prova della frode erail parere di diversi studiosi che non era pos-sibile che la pergamena fosse sopravissutaoltre duemila anni. Il colpo di grazia fu datodallo stesso Ginsburg, che in un annuncio uf-ficiale sul Times, si rimangiò quello che ave-va detto precedentemente e affermò che “Imanoscritti del Deuteronomio che Mr. Shapi-ra ha sottoposto al nostro esame sono deifalsi”. L’esposizione dei Rotoli viene inter-rotta, la reputazione di Shapira definitiva-mente annientata, e la sua famiglia a Gerusa-lemme sommersa di debiti. Dopo vani tenta-tivi di vendere i manoscritti ad un prezzo de-cente, pochi mesi dopo Shapira si tolse la vi-ta in un hotel decrepito di Rotterdam. Nel1885 i rotoli di pergamena furono venduti inun’asta a Londra per dieci sterline. Due annidopo furono esposti come “curiosità” in unamostra al Royal Albert Hall. Nel 1889 furo-no probabilmente distrutti da un incendioscoppiato nella casa del loro ultimo proprie-tario, certo Sir Charles Nicholson. Nel 1947il ritrovamento dei Rotoli del Mar Morto, inuna località che era dirimpetto, al di là delMar Morto, a quella del presunto ritrova-mento del Deuteronomio di Shapira, riaprì ildibattito sull’autenticità di quest’ultimo.Molti elementi sembrano accomunare i Ro-toli di Qumran con quelli di Shapira. Innan-zitutto I Rotoli di Qumran sono sopravvissu-ti con certezza, contrariamente a quello cheritenevano gli studiosi che si opposero a Sha-pira, per duemila anni. I testi biblici di Qum-ran sono leggermente differenti da quelli co-nosciuti sino alla loro scoperta. Alcuni deirotoli di Qumran usano l’antico alfabetoebraico (usato fino all’esilio di Babilonia) afianco di quello usato successivamente. Infi-ne anche alcuni dei rotoli di Qumran presen-tano le linee verticali lungo i bordi. Quindiognuna delle prove della presunta falsità deirotoli di Shapira è applicabile, almeno in teo-ria, a quelli del Mar Morto.Forse Shapira ci aveva visto giusto, e nes-suno gli aveva creduto… La domanda, pro-babilmente è destinata a rimanere senza ri-sposta.

Davide [email protected]

Ps: Per vedere alcune delle false ceramicheMoabite di Shapira, lo si può fare recandosia Gerusalemme all’Hotel American Colony.Lungo la terrazza, al piano sopra il patio, cisono alcune bacheche, a mo’ di piccolo mu-seo, in una delle quali sono esposte alcunedelle famose statuine.

perti di gran lunga più “importanti” di quelliche il mercante aveva visto fino a quel mo-mento. Si trattava di alcune dozzine di piattiin ceramica, figurine di animali e busti inpietra. Ma a differenza dei reperti che Shapi-ra di solito trattava, molti di questi riportava-no iscrizioni con un alfabeto antico, molto si-mile a quello che figurava sulla famosa Steledi Moab, ritrovata alcuni anni prima nella bi-blica Dibon, attualmente in Giordania. L’i-scrizione in lingua moabita sulla stele, oggiconservata al Louvre, è la più lunga mai tro-vata dell’epoca biblica. Al-Gari racconta aShapira che è possibile ottenere dalla stessafonte, nella zona del Moab, molti altri reper-ti simili, e questo convince il mercante a ri-volgersi al Console Tedesco a Gerusalemmecon l’idea di vendere il tutto al Museo Impe-riale di Berlino. Il Console si entusiasma al-la proposta e nel giro di poco tempo cassedopo casse di reperti vengono spedite a Ber-lino dove studiosi tedeschi cominciarono astudiare le iscrizioni e a pubblicare decine diarticoli. Le ceramiche “moabite” suscitanoscalpore tra tutti gli studiosi e arricchisconoda un giorno all’altro Shapira. Gli archeologiinglesi della P.E.F. (Palestine ExplorationFund), tra i primi a condurre scavi archeolo-gici seri in Palestina, sono divisi circa l’au-tenticità dei reperti. A uno di loro, Tyrwhitt-Drake, arrivano voci di un presunto falsoscavo nella regione del Moab, da dove pro-verebbero i reperti di Shapira. Quest’ultimo,per smentire le accuse rivoltegli, decise dicondurre di persona nella zona dello scavo,oramai finanziato da lui stesso, il ConsoleTedesco e il Pastore della Missione Luteranaa Gerusalemme. I due, dopo essere stati te-stimoni dello scavo di ulteriori reperti, con-fermarono la loro fiducia nella genuinità del-le ceramiche moabite, che continuavano adarrivare a frotte nel negozio di Shapira. NelDicembre del 1873 arrivò a Gerusalemmel’archeologo francese Charles ClermontGanneau, autore della prima pubblicazioneaccademica sulla Stele di Moab, che era allo-ra considerato il massimo esperto di iscrizio-ni moabite. Riuscito ad ottenere, grazie al-l’intercessione di Tyrwhitt-Drake, il permes-so di esaminare le ceramiche, lo fece sotto glisguardi sospettosi di Shapira e dei tedeschi.Clermont Ganneau confermò la sua convin-zione iniziale, secondo la quale le ceramicheerano false, e dedicò le settimane seguenti atrovare le prove. Infine un apprendista cera-mista di Gerusalemme confessò di avere pre-so parte alla fabbricazione dei reperti, avve-nuta in città sotto l’attenta supervisione dellostesso Selim al-Gari. Le accuse di Clermont-Ganneau furono uno shock per il Console Te-desco. Furono ordinate perquisizioni in casadi al-Gari, ma non fu trovata alcuna traccia diceramiche. L’apprendista ceramista ritrattò lasua confessione, sostenendo che gli era stataestorta a forza. Konstantine Schlottman, unrinomato studioso biblico tedesco, continuòa difendere Shapira, che riaffermava l’anti-chità delle ceramiche. La questione rimaseirrisolta, ma era chiaro che il cielo sopra leceramiche “moabite” si era decisamente an-nuvolato. Shapira stesso non fu implicatonelle accuse di frode, ma uscì molto umiliatoda tutta la faccenda. Nell’estate del 1878 gli si presentò un’ottimaopportunità di rifarsi. Un misterioso Beduinodella regione di Moab gli vendette quindicistrisce di pergamene con sopra delle iscrizio-ni difficilmente decifrabili, essendo coperteda uno spesso strato nero che odorava di

Rotolodel Mar Morto

(segue da pag. 1) MOSHE WILHELM...

Vignetta di Davì

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si l’acqua minerale… Da ragaz-zo sono stato attivo nel CGEdi Firenze, quindi nella FGEI,con Filippo e Marta Levi, che è stataanche segretaria generale. Per tre annisono stato tesoriere, col duro compito ditrovare i finanziamenti per Ha-Tikwà, ilnostro periodico, allora diretto da ClaudiaAbbina e prima di lei da Lia Tagliacozzo.Quella FGEI gloriosa e bellissima, di cui so-no ancora innamorato, per me è stata una pa-lestra dove si imparava a discutere, a ragio-nare, a confrontare le idee e dove ho strettoamicizie che si sono conservate tuttora.Quella FGEI che, in seguito a movimentitellurici (anche naturali, perché no?) si ètrasformata nell’attuale UGEI. Arrivato nella Comunità di Torino, dovegià conoscevo qualcuno, sono stato ac-colto molto calorosamente, invitato,coccolato… Dottore commercialista, sonoentrato nella ditta di Tullio e Riccardo Levi,che produce macchine per il “floccaggio”(per vellutare qualsiasi supporto): avendo ilpallino della meccanica, oltre a vendere lemacchine, ne ho studiato anche lo sviluppo. Alberto narra del suo ingresso nel Gruppo diStudi Ebraici appena arrivato, della suauscita due o tre anni dopo, dell’esperienza inComunità Attiva, che secondo lui ha dato al-la Comunità consiglieri validi, dinamici e re-lativamente giovani. In Comunità Attiva sisvolgevano discussioni interessanti: si ana-lizzavano i problemi della scuola, della casadi riposo, del rabbinato… Essendo un rag-gruppamento politicamente trasversale, di-ce, si è trovato però ad essere un po’ privo dicontenuti ed a perdere di vivacità, forse an-che a causa dell’atmosfera ostile che in Co-munità si andava creando: per il dissidio sul-le questioni rabbiniche l’aria era diventatairrespirabile, la Comunità spaccata, conamici che non si salutavano più e le manife-stazioni promosse da un gruppo erano diser-tate dall’altro gruppo. L’arrivo di rav Birnbaum, dice Alberto, hafatto rivivere la Comunità, con interessanticonversazioni partecipate dopo il Kiddush diShabbat, che rendevano l’atmosfera menoarcigna e rigorista... In seguito al cambiodella guardia nel direttivo della Comunità edal mancato rinnovo dell’incarico a rav Birn-baum, Alberto rientra nel Gruppo di StudiEbraici, dove, dice, ritrova i temi di discus-sione e l’atmosfera che amava…Una delle bambine viene a chiamarlo pia-gnucolando: alla tv danno un film che le fapaura. Alberto si alza, prende la bimba inbraccio e va di là…Scusatemi, dicevo… prosegue Alberto dopoqualche minuto, io sono stato quasi miraco-lato perché ho sposato un’ebrea, che mi haconsentito di mantenere vive le tradizionimillenarie della mia e della sua famiglia. Mami rendo conto di far parte di un gruppo dipochi fortunati. Quelli che invece hanno fat-to un matrimonio misto (e sono molti) si so-no visti emarginati dalla comunità dal pro-gressivo irrigidirsi dei nostri rabbini. L’unicavia offerta loro di essere ri-accolti è la diffi-cilissima conversione del coniuge. Questiostacoli stanno svuotando le nostre comu-nità, travolte dal l’integralismo di chi ci chie-de solo di timbrare il cartellino al tempio. Èun fenomeno tutto italiano: in altri paesi (inGermania, per esempio) per accogliere gliimmigrati russi, addirittura i Chabad-Lubavi-ch sono più aperti dei nostri rigidi ortodossi.

A che serve fare domande? mi chiedo. Alber-to è come questa casa: una grande piazza ru-morosa, cucina-soggiorno-sala giochi per lesue bambine, dove lui al fornello butta i ta-gliolini. È Naamà, mia moglie, mi dice, cheha voluto la casa così. Lei chiede in ebraicoalle sue tre bambine di mettere un po’ d’or-dine prima di cena, insieme alle loro ami-chette invitate a dormire qui questa notte. Atavola,”In piedi”, ordina il papà. “Ora dicia-mo il Kiddush del venerdì sera”. Atalia (4anni) frigna, non vuole alzarsi. “Yom ha shi-shì…” inizia Alberto con il calice di vino inmano. È la consacrazione del Sabato. È quiche c’è il Tempio, penso. Non altrove. In que-sta casa pulita e complessa, piena di grida dibimbi, con le porte aperte sul giardino, doveio e mia moglie, quasi sconosciuti, siamostati accolti come i viandanti da Abramo. Naamà Calderon, israeliana dagli occhi ri-denti e indagatori, figlia di un sefardita e diuna Katchalsky, ashkenazita, è arrivata a To-rino per fare l’arevà anni fa. Alberto è statosuo allievo alle lezioni di ebraico. Finita lalezione, si sono sposati... Sono arrivato a Torino ventuno anni fa, midice Alberto col suo tipico accento toshano.Mio padre, fiorentino, era il secondo figlio disei fratelli, cinque maschi e una femmina. Lafamiglia, tramite dei prestanome, era riuscitaa mantenere in vita, durante la guerra, la dit-ta all’ingrosso di mercerie e abbigliamento.Nel dicembre del ’43 il famigerato fascistaMastelloni ha arrestato Gastone Diodato Sa-dun, fratello del nonno Angelo. Voleva pren-dere anche Sergio, fratello maggiore di Fran-co, mio padre, ma i dipendenti sono riuscitimiracolosamente a convincere il Mastellonia non prendere il ragazzo. Subito il nonnocon moglie e sei figli sono scappati coi baga-gli pronti da tempo e dopo varie peripezie so-no riusciti ad entrare in Svizzera, benché ab-bandonati dal contrabbandiere che avevanopagato. Passarono tempi difficilissimi, di cuii miei hanno parlato poco, perché hanno pre-ferito passarci i valori positivi, piuttosto chememorie atroci. Subito dopo la guerra miopadre ha partecipato ai primi campeggi dellaFGEI. “Chimico pentito” perché ha iniziato alavorare nella ditta commerciale paterna, ve-niva da una famiglia proveniente da Pitiglia-no, e prima dalla Tunisia e prima ancora dal-la Spagna.Mia mamma Carla Neppi è figlia di un ferra-rese e di una fiorentina. Durante la guerra lafamiglia (erano in cinque) si è rifugiata primanella casa di campagna del ferrarese, poi, do-po l’8 settembre del ’43, in giro per l’Italia,quindi si è nascosta a Capugnano, nell’ap-pennino tosco-emiliano, facendo i salti mor-tali per sopravvivere. Sia la famiglia di papàche quella della mamma hanno avuto parentideportati. Gino Neppi, zio di mia mamma,medico, aveva aperto un ambulatorio per cu-rare i profughi senza assistenza: è stato de-portato ad Auschwitz e di lui non si è saputopiù nulla. Mia mamma nel dopoguerra si èlaureata in chimica e poi ha scelto di fare l’in-segnante. È stata molto attiva nell’ADEI-WI-ZO ed in Comunità ebraica a Firenze, dove hacontribuito a riaprire il Talmud Torà è l’hacoordinato per diversi anni. Dotata di grandecomunicativa, è stata poi chiamata a raccon-tare nelle scuole e nei teatri la sua esperienzadi sopravvissuta alle persecuzioni.Io invece, nato nel ’66, sette anni dopo miofratello Davide, sono stato il primo neonatoebreo dopo l’alluvione di Firenze, lavato con

I nostri rabbini hanno chinato il capo davan-ti all’imperio dei rabbini israeliani (che pe-raltro sono tutt’altro che santi), che hanno re-spinto le conversioni “di tipo 2”, quelle in cuisi convertono i figli di madri non ebree cheperò non hanno fatto il ghiur. (Le conversio-ni “di tipo 1” sono invece quelle accettate,dove i figli vengono convertiti, ma previaconversione della madre). Della vita comunitaria mi interessa tutto,prosegue: il calore del dibattito, i diritti civi-li, il futuro degli ebrei qui da noi e in Israe-le… Io non ho potuto però far parte del Con-siglio della Comunità a causa dei miei impe-gni familiari, lavorativi e dei miei viaggi fre-quentissimi all’estero. Ma è giusto che le po-sizioni chiave in Consiglio vengano per lopiù coperte da pensionati? Occorre accoglie-re in Consiglio anche chi lavora e non puòdedicare alla Comunità le intere sue giorna-te. E come? Liberando i consiglieri dalle in-combenze spicciole ed esecutive, che debbo-no essere svolte da segretari-manager e dailoro dipendenti, lasciando al Consiglio le so-le mansioni strategiche di indirizzo. Finoral’Unione delle Comunità si è occupata, giu-stamente, dei rapporti coi rabbini e con lesingole Comunità, ma ha lasciato che il fun-zionamento di ciascuna rimanesse inchioda-to alle norme degli anni ’30…A questo punto una delle bambine di Albertolo interrompe chiamando mamma e papà peril “laila tov”…

Intervista di David Terracini

ALBERTO SADUN

BERTINOPaNIFICIO KaSHer

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Tel. 011/669.95.27

Via B. Galliari, 14 - TORINO

I due ebrei torinesi che abbiamo intervistato questa volta si sono trovati a recitare in costume davanti ad un pubblico assiepato ed entusiasta,anch’esso quasi tutto mascherato. Era la sera di Purim e i nostri personaggi, insieme ad altri sette “attori volonari” della Comunità, hanno in-scenato una buffa pantomima in otto dialetti ebraico-regionali diversi. Non accade tutti i giorni di vedere seri e compassati professionisti e ad-dirittura un Rabbino Capo misurarsi in baruffe e sketch a volte anche un po’ spinti. Forse è anche quello che ha divertito. Le prove erano sta-te comiche ma animatissime: un litigio continuo sulle dizioni, le mosse degli attori, i costumi. Eppure, al termine di otto repliche settimanali diprova, tra i personaggi si è instaurata un’amicizia solidale speciale…

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Dopo la scuola, ho cominciato a fare qualcheprovino e come tutti i giovani attori volevofare l’attrice drammatica mentre mi chiama-vano solo per ruoli caratteristici e brillanti.Per me lavorare era importante e ho accetta-to anche dei ruoli alla Rai per partecipare indiversi sceneggiati in tv. Ho iniziato la miacarriera di attrice. Parli tanti dialetti, come li hai appresi? Mio padre faceva il ristoratore e ha aperto lo-cali in tutto il Nord Italia e in Francia (da quila mia conoscenza del francese). A parte que-sto, i dialetti li studio e mi sono trovata in con-dizione di recitare in diversi dialetti: piemonte-se, veneto, romanesco lombardo e perfino Leallegre comari di Windsor in napoletano!Ci puoi parlare delle tue origini ebraiche? Mio papà non ero ebreo e mia mamma hascoperto di esserlo a quarant’anni quando èmorta sua madre. Come ha passato la tua famiglia maternail periodo della Shoah? Mia mamma e mia nonna sono sfollate nel’43 in campagna nella Val di Susa. I nazifa-scisti sono venuti a casa della mia famigliaper fare una retata. Mio nonno, che eraprofondamente antifascista, ebbe un guizzoteatrale e fece il saluto nazista davanti allapattuglia. Si mise ad urlare che lui era fasci-sta e che nessun ebreo né partigiano era pre-sente. Il capo nazista si convinse e se neandò. Mamma e Nonna sono tornate a Tori-no dopo la guerra e hanno continuato la lorovita senza avere nessun riferimento all’e-braismo. Quando hai saputo che hai origine ebrai-che? Mia mamma mi ha rivelato di essere ebreaquando avevo 26-27 anni; me lo disse du-rante un nostro litigio, in cui le contestavocomportamenti incongruenti. La rivelazionemi trovò disorientata: essere ebrei, o nel miocaso, diventarlo, non è per niente facile. Nonavevo però alcuna educazione cristiana: imiei erano laici, e questo ha reso le cose piùfacili.Come hai elaborato questa rivelazione? In modo sofferto e ambivalente. Nonostanteciò, sin dall’adolescenza, avevo maturato ungrande amore per la storia ed il destino delpopolo ebraico, come se mi appartenesseronel profondo. Il mio cammino è iniziato pri-ma con la filosofia, il Maimonide, Spinoza,Martin Buber e la Scuola di Francoforte, ed èdiventato via via più intimo e spirituale. Raccontaci come ti sei avvicinata alla co-munità ebraica. Ho conosciuto un rabbinodella comunità di Milanodurante uno Shabbat a casadi amiche ebree libichemolto religiose. Seguironoanni inerti esteriormente madi trasformazione interiore.Mi recai alla comunità LevChadash perché avevo lettoalcune derashot di Rav Ci-priani, che mi sembravanoprofonde e straordinarie. Lamia presenza fu discontinuaper il mio lavoro di attrice,ma la sensazione fu di gran-de calore e accoglienza.Con Rav Cipriani ho lenta-mente maturato la mia iden-tità ebraica, da qui è scaturi-ta la mia interiorità spiritua-le ebraica.

Ayelet, cosa fai a Torino?Invento e creo gioielli poi li vendo in varimercati, posseggo una licenza di venditriceambulante.Come hai iniziato a occuparti di gioielli?Stavo ancora a Milano quando la mia carrie-ra teatrale è terminata bruscamente a causa diuna malattia. Sono andata ad aiutare in negozio un orafoconosciuto a un mercato dell’antiquariato. Mi ero innamorata dei suoi gioielli che espo-neva e dopo un breve colloquio mi ha chiestose volevo andare ad aiutarlo in negozio. Miha dato la possibilità di lavorare come com-messa. Un giorno l’ho visto chiudere unbraccialetto con una cannottiglia e gli hochiesto di insegnarmi a farlo.Dal 2008 al 2009 abbiamo fatto delle fiereinsieme e ho via via imparato a distinguereun’acquamarina da un opale, un’avventurinada una giada verde, ho imparato ad interpre-tare la luce delle pietre. Il riflesso della lucedella perla contribuisce al suo valore; conquesta esperienza ho imparato anche l’artedel vendere. Dopo due anni ho scelto di iniziare un’atti-vità per conto mio; sono andata ad acquista-re della minuteria per orafi e ho iniziato acreare dei gioielli. Ho deciso che avrei intra-preso l’attività di commerciante, mi sonopresa una licenza e adesso è una realtà cheprocede. Il rapporto col mercato è teatrale:vendere è un’esibizione e la mia esperienzadi attrice vale. Il mercato non è soltantoun’attività che mi permette di vivere ma è unmezzo per creare una rete di rapporti umani.La capacità di ascolto conta più del prezzo acui si vende un oggetto. Ti abbiamo conosciuta come regista di unapièce teatrale. Ci racconti da dove è nata latua professionalità nel mondo del teatro?Ho iniziato teatro dopo aver fatto per moltianni la danzatrice. Da piccola ho studiatodanza classica. A 15 anni sono passata alladanza contemporanea perché non avevo il fi-sico adatto alla danza classica. Mi ero appenaiscritta all’università quando sono stata sele-zionata come danzatrice alla Compagnia diTeatro Danza diretta da Enrico Coffetti. Ab-biamo fatto un po’ di spettacoli a Milano e nel1980 cercavano danzatori alla Scala ed io conaltri cinque danzatori siamo stati ingaggiatiper rappresentare La Vera Storia di L. Beriocon regia di Scaparro e testi di Italo Calvino.In questo spettacolo ho fatto un pezzo da so-lista, un ruolo che aveva aspetti molto teatra-li; poco dopo l’Ufficio Regia della Scala miha contattata per un’altra opera The Flood diPeter Ustov, sempre come danzatrice. Nel frattempo ti sei anche laureata in filo-sofia…Insieme agli studi di recitazione sono riuscitaa portare avanti gli studi universitari e infinea laurearmi. Dopo gli anni della Scala inun’opera di Rossini, Viaggio a Reims, con laregia di Ronconi, il coreografo (Angelo Cor-ti) mi ha chiamato in palcoscenico per sosti-tuire un attore per una parte recitativa. Conuna voce tremebonda ho letto il testo del pro-vino di fronte a Luca Ronconi. Attendevo uncommento ma nessuno commentò la miaperformance. Dopo il debutto, Corti mi avvi-cinò e mi disse che avrei dovuto studiare re-citazione e mi propose la scuola del PiccoloTeatro. Per passare l’esame d’ammissione hostudiato recitazione privatamente con Renatode Carmine e poi con Gianni Mantesi (gran-de doppiatore), famoso formatore di attori.

AYELET LAGORIO

Torino, la pantomima di Purim(foto di Renzo Levi)

Ayelet è recentemente diventata un volto noto in comunità. È stata la regista e sceneggiatricedello spettacolo “Pantomima semiseria di Purim” rappresentato dalla compagnia “I Fini Di-citori”. I testi dello spettacolo sono stati ricercati ed elaborati dagli stessi attori, Ayelet ha con-tribuito ad incollare le varie parti e a farne uno spettacolo coerente. Gli attori (tra i quali chiscrive) ogni tanto sono stati redarguiti un po’ severamente ma questo fa parte del gioco del tea-tro. Alla fine spettatori e attori erano contenti del risultato e questo lo dobbiamo all’impegnodi Ayelet. L’intervista si svolge in un caffè a Torino.

ayelet Lagorio in veste di locandiera

E come ti sono sembrati gli ebrei milanesidi Lev Chadash? Mi hanno accolta bene. L’incontro con la fi-gura e gli scritti di Rav Cipriani ha risve-gliato la mia identità ebraica. Egli commen-ta la Torà come un libro contemporaneo, efonde la tradizione con la complessità del-l’oggi. Per me l’ebraismo è vita etica, è con-siderare gli altri individuicome tuoi pari è l’espres-sione della libertà indivi-duale che non deve esserein contrasto con la vita al-trui. Come sei stata accolta inComunità a Torino? Sono tornata a Torino conuna situazione molto diffi-cile sia dal punto di vistamateriale che dal punto divista affettivo; ho trovatoamici profondi, veri, misento a casa. Torniamo a Purim diquest’anno: raccontacila tua recente esperienzadi teatro. L’esperienza teatrale con“I Fini Dicitori” mi ha da-to l’opportunità di rimisu-rarmi con la drammaturgiae di creare una strutturaentro la quale persone nonprofessioniste potesseroagire in modo creativo, il tutto seguendo ba-silari principi di recitazione. È stato quindi difficile confrontarsi conpersone che non avevano esperienze pro-fessionali per mettere su un simile spetta-colo? Non è stato facile costruire uno spettacolosenza premesse drammaturgiche; erano testieterogenei, più adatti a una conferenza che auno spettacolo teatrale, ma il buon risultatoed il commovente apprezzamento della Co-munità torinese ha rappresentato per me unvero e proprio risveglio che mi permetterà dicreare di nuovo spettacoli anche in ambitonon ebraico. Cosa ti piace e cosa non ti piace della co-munità: Della comunità di Torino mi piace l’attacca-mento alle tradizioni, perché la tradizione èsempre fonte di rinnovamento interiore del-l’individuo. Qual è la festa ebraica che ti piace dipiù? Pesach, simbolo della liberazione, la promessadi libertà; vivo Pesach come un processo di li-berazione e rinnovamento spirituale. Ogni Pe-sach mi chiedo da quale Egitto sono fuggita.Ormai si è fatto quasi buio; è Pesach, inter-vistata e “giornalista” devono andare a casaa mangiare; l’intervista termina ma certa-mente Ayelet offrirà presto altri spunti per iredattori di Ha Keillah.

Intervista di Alberto Sadun

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Tra i 24.850 “Giusti tra le nazioni” (dati del2013) riconosciuti dallo Yad Vashem, il me-moriale della Shoah di Gerusalemme, figu-rano una settantina di musulmani. Il contin-gente più grande è quello rappresentato daimusulmani albanesi che hanno salvato nu-merosi ebrei, partendo dalla convinzioneche per un buon musulmano fosse un dove-re assistere e salvare coloro che avevanocercato rifugio nel loro Paese. Anche in Bo-snia ci furono musulmani che salvarono lavita di ebrei, come Zejneba Hardaga insiemeal marito, a Sarajevo, che abitando propriodi fronte al quartier generale della Gestapoavvisavano gli ebrei ogni volta che uscivanole camionette per una retata. Vi figura ancheun turco, Selahattin Ulkumen, Console aRodi, che nel 1944 grazie a uno stratagem-ma riuscì a salvare 42 famiglie ebree. Ma fi-guravano tra di loro anche degli arabi? Ladomanda se la pose Robert Satloff, Diretto-re del Washington Institute for Middle EastPolicy, autore del fortunato Tra i Giusti. Sto-rie perdute dell’Olocausto nei paesi arabi(Ed. Marsilio) e primo a proporre ufficial-mente allo Yad Vashem un arabo (il tunisinoKhaled Abdel Wahab) come candidato«Giusto tra le nazioni».Un capitolo importante dell’applicazionedelle norme vessatorie antiebraiche e dellaShoah si consumò infatti nell’Africa setten-trionale. Durante la seconda guerra mondia-le, tra il 1940 e il 1943, la campagna del Nor-dafrica – in cui si confrontarono italiani e te-deschi da una parte e gli Alleati dall'altra – fucombattuta in un’area situata tra Tunisia, Al-geria e Marocco, tutti territori sotto dominiofrancese. Man mano che i tedeschi avanzava-no venivano istituiti campi di concentramen-to e applicate le Leggi del Reich, anche inmateria razziale. Parecchie migliaia di perso-ne vennero recluse in oltre cento campi doveil lavoro forzato, la tortura, la deportazione ele esecuzioni erano all’ordine del giorno.D’altronde, il regime di Vichy non aveva at-teso gli ordini dei tedeschi per attuare le leg-gi razziali che avevano trovato infatti espres-sione nello Statuto per la popolazione ebrai-ca promulgato il 3 ottobre 1940. Benché pri-ve di potere, le autorità indigene si opposerostrenuamente alla loro piena implementazio-ne, come nel caso del Sultano Mohamed Vdel Marocco che mise in atto più di un gestosimbolico, dal dichiarare che nel suo paese“non esistevano sudditi ebrei, ma solo suddi-ti marocchini” al rispondere agli emissaridella Francia di Vichy che volevano imporrela stella gialla agli ebrei marocchini che “do-vevano ordinarne 10 in più, numero esattodei membri della famiglia reale”.Ma anche nella Francia occupata vi furonofigure che si sono distinte nel salvare viteebraiche in pericolo. È il caso di Si KaddurBen Ghabrit,  rettore della Grande Moscheadi Parigi, che salvò diversi ebrei fornendo lo-ro documenti falsi. Una circostanza che nonsuona affatto strana: già nel 1939 in Franciavivevano molti nordafricani, tra cui diversemigliaia di ebrei sefarditi e a Parigi eranoquasi tutti algerini della Cabilia. Questi ulti-mi parlavano la lingua araba e condivideva-no tradizioni e usi quotidiani dei corregiona-li musulmani. In  entrambe le comunità erapraticata la  circoncisione maschile e spessoanche i nomi erano molto simili. All’internodi una comunità del simile era normale chetra ebrei e musulmani immigrati dalla stessaregione i legami fossero molto stretti. La storia su cui si hanno più notizie è quelladel cantante algerino di origine ebraica Sa-lim Halali, considerato una vera e propriastar nel l’ambiente musicale franco-arabodella metà del secolo scorso. Arrivato a Pa-rigi nel 1937 dove si era fatto conoscere trai club di Flamenco parigini, un tour europeo

gli aveva  donato fama anche nella natiaAfrica del Nord, dove i suoi pezzi in linguaaraba sono diventati estremamente popolari.Solo in occasione della sua morte, avvenutanel 2005, è emerso che si sarebbe salvatodallo sterminio grazie a Si Kaddur il qualegli aveva fornito documenti falsi che potes-sero farlo sembrare musulmano. Ben Gha-brit si era addirittura personalmente assicu-rato che il nome del nonno del cantante fos-se inciso su una lapide del cimitero musul-mano di Bobigny, per nascondere le sue ra-dici ebraiche. Risulta difficile oggi stabilirequanti ebrei si salvarono grazie a Ben Gha-brit. Satloff spiega che nessuno degli scam-pati ha mai rilasciato una testimonianza inprima persona che attesti quanto accaduto.Non è detto però che non saltino fuori nuo-ve prove col tempo, come nel caso dell’I-mam Abdelkader Mesli (internato a Dachau)o di Mohamed Helmy, medico egiziano resi-dente a Berlino, quest’ultimo riconosciutoufficialmente come il primo arabo a far par-te dei Giusti nel 2013.Ma è stato Satloff stesso a fornire per primo ilriscontro più importante. Si tratta di una notadel ministero degli Esteri francese datata 24settembre 1940 in cui si legge: «Le autoritàd’occupazione sospettano che il personale

della moschea di Parigi fornisca in manierafraudolenta a individui di razza ebraica certi-ficati che attestano che le persone interessatesono di religione musulmana. All’imam è sta-to chiesto in maniera molto forte di porre finea pratiche di questo genere». Su questo testoè stato interpellato il ministero degli Esterifrancese che ne ha confermato l’autenticità.La vicenda è stata al centro di una mostra, cu-rata nel 2008 dal sottoscritto e presentata inanteprima al Politecnico di Torino e più re-centemente, nel 2011, al centro del film Leshommes libres presentato al Festival di Can-nes e diretto dal regista franco-marocchinoIsmael Ferroukhi e ambientato nella Parigidel 1942. Furono questi gli anni in cui predi-catori musulmani vietarono ai loro fedeli difungere da ricettatori di beni ebraici confisca-ti; nutrici arabe crebbero bambini ebrei; for-nai arabi sfornarono clandestinamente pa-gnotte per sfamare gli ebrei cui le razioni ali-mentari erano ridotte a niente; pastori arabiaccolsero e nutrirono ebrei nelle loro capanneisolate. La riscoperta di questa memoria sto-rica dimostra che tra ebrei e musulmani i rap-porti di fratellanza sono stati possibili e lopossono essere ancora oggi.

Sherif El Sebaie

I GIUSTI DELL’ISLAM Il Museo Luzzati e il Centro StudiEmanuele LuzzatiIl Museo Luzzati celebra i suoi 15 anni, dopoaver realizzato 27 mostre su diversi aspettidell’opera di Emanuele Luzzati in sede (daigrandi temi come la fiaba, il cinema d’anima-zione, la grafica, il design ad aspetti più spe-cifici come il fumetto, Pulcinella, le opere perCalvino, l’opera giovanile, Alice con opere diEmanuele Luzzati e Stefano Bessoni, etc…),32 mostre di Emanuele Luzzati in altre sedi inItalia e all’estero (tra cui Roma, Torino, Vi-cenza, Ferrara, Gerusalemme), 6 mostre col-lettive con importanti temi (Pinocchio, Geno-va, la rappresentazione degli animali) 19 mo-stre monografiche di altri artisti (tra cui Altan,Quentin Blake, Mordillo, Jutta Bauer, Nico-letta Costa, Andrea Pazienza, Silver, Gipi) ecurate 11 monografie scientifiche.Il Museo Luzzati è però un museo privato,questo vuol dire che vive al 90% con i ricavidelle sue attività: ingressi, laboratori, book-shop, vendita mostre, rari sponsor e gestionediritti di uso immagine e nome di Luzzati af-fidataci dagli eredi.Solo una minima percentuale delle attività èfinanziata da contributi pubblici.Ebbene tutto questo non basta.Riteniamo che l’attività del Museo si sia tra-sformata negli anni in una risorsa per Geno-va, accogliendo da 30.000 a 40.000 visitato-ri l’anno, divenendo sempre più riconosciutaa livello nazionale e internazionale; e che lastruttura, seppure “privata”, abbia reso allacomunità un forte contributo in termini diservizio e di immagine.Ci teniamo a sottolineare l’importante lavorosvolto in questi anni, un lavoro in cui il ca-rattere “culturale” prevale nettamente rispet-to al “commerciale”:le nostre mostre e cataloghi sono curati diret-tamente con gli artisti o selezionando le ope-re di Luzzati e sono supportati da un lavoroscientifico autonomo, una scelta complessa eculturalmente appagante che ci ha semprecaratterizzato;incontriamo annualmente oltre 14.000 bam-bini provenienti da scuole, famiglie e centridisabili nei laboratori dell’Officina Didatticache svolge le sue attività a Genova e su terri-torio nazionale. Il costo di partecipazione ètra i più bassi (€ 5), anche in confronto alleofferte di simili istituzioni pubbliche. Il lavo-ro didattico promuove inoltre l’educazionesociale attraverso convegni internazionali,presentazioni, incontri con esperti e addettiai lavori;portiamo avanti un attento lavoro di catalo-gazione dell’opera di E. Luzzati, continuia-mo a difendere e a diffondere l’immaginedell’artista di cui siamo unici referenti rico-nosciuti dalla famiglia;comunichiamo e promuoviamo a livello na-zionale con grandi risultati la nostra attività,la figura e l’opera di Emanuele Luzzati equindi anche Genova e il suo patrimonio ar-tistico, turistico e culturale.Siamo disponibili pertanto a lavorare su ini-ziative che possano coinvolgere aziende, so-cietà, enti mettendo a disposizione un patri-monio artistico unico e prezioso che consen-ta al Museo di poter continuare nella sua im-portante missione sociale e culturale.È possibile inoltre associarsi al Centro StudiEmanuele Luzzati per entrare a far parte delmondo di Emanuele Luzzati.Il Museo Luzzati ha bisogno di tanti amici,del loro sostegno, dei loro suggerimenti per:sostenere il lavoro di catalogazione dell’ope-ra del maestro continuare l’organizzazione dimostre sia nella sede di Porta Siberia che nelmondo promuovere l’arte di Luzzati e di al-

(segue a pag. 15)

Il sultano Mohammed V del Marocco

in un francobollo degli anni ’50

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seali– informazioni sulle iniziative del Museo

� BENEFATTORI La quota di iscrizione può essere versata incontanti, con assegno bancario non trasferi-bile o con bonifico sul conto corrente ban-cario:

CENTRO STUDI EMANUELE LUZZATIpresso sede CARIGEIBAN IT54 A061 7501 4000 0000 6695 780Se non viene consegnato personalmente, ilmodulo di iscrizione può essere inviato per posta con copia del bonifico bancario a:MUSEO LUZZATIPorta Siberia, Area Porto Antico 616128 Genova per email a [email protected] oppure a [email protected]

tri artisti a lui affini proseguire l’opera di di-dattica nelle scuole e per i giovani.

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Il Trust Biblioteca Valmadonna è una col-lezione, attualmente a Londra, di 13.000libri a stampa e manoscritti stampati inebraico o in scrittura ebraica, raccoltiprincipalmente da Jack V. Lunzer, un mer-cante di diamanti industriali, nato a An-versa nel 1924 e ora britannico. Prende ilnome da Valmadonna, una cittadina neipressi di Alessandria, nel nord-ovest Italiacollegata da lunga data con la famigliaLunzer. La collezione comprende opereprovenienti da tutto il mondo, riflette gliinteressi personali di Lunzer, in particola-re per l’Italia, “culla della stampa ebraica”e si estende per oltre un millennio; moltipezzi della collezione sono rari o unici, emolti risalgono ai primi anni della stampain ebraico. Arthur Kiron, curatore della Ju-daica raccolta presso l’Università dellaPennsylvania, afferma: “Io non conosconessun’altra collezione simile in mano aprivati e anche rivaleggia con le maggiorigrandi collezioni istituzionali a livellomondiale”.

Elementi notevoli della collezione sono iseguenti:• Un insieme ben conservato del Talmudbabilonese (1519-1523), progettato da ungruppo di studiosi, stampato a Venezia daDaniel Bomberg; Lunzer lo acquistò nel1980 dalla collezione di Westminster, incambio di una copia di 900 anni della Car-ta originale dell’Abazia, realizzando un so-gno di 25 anni. • Una Bibbia ebraica inglese (conosciutacome Codex Valmadonna I), scritta a manonel 1189 e saccheggiata l’anno dopo duran-te la distruzione della comunità ebraica diYork: è l’unico testo ebraico superstite da-tato anteriormente alla cacciata degli ebreinel 1290 da parte di Re Edoardo VIII, chesia noto.• Un Pentateuco franco-tedesco, scrittoprobabilmente nel 10 ° o 11° secolo.• Un rotolo del 12° secolo del PentateucoSamaritano, scritto in alfabeto samaritano.• Il primo mikraot gedolot• Il più antico libro illustrato della Hagga-dah di Pesach stampato a Praga nel 1526.• Un Pentateuco di Costantinopoli datato1547, contenente traduzioni scritte in carat-teri ebraici. • Uno dei primi libri ebraici illustrati: unaMishnà del 1492 con il commento di Mai-monide• Il primo libro stampato a Lisbona nel1489: un commento al Pentateuco del Nah-manide.• Una copia del 19° secolo delle Mille e unanotte di Calcutta, in lingua araba enunciatoin scrittura ebraica. • Una guida illustrata per la shechità del20° secolo in Pakistan, con ebraico e ma-rathi su pagine affiancate. • Una copia di ogni libro pubblicato inebraico a Cremona durante i dieci anni incui la stampa è stata permessa e che termi-na nel 1560. • Il primo libro stampato in Turchia: unacopia della Arba’ah Turim del 1493.

• Il primo lavoro scientifico stampato inPortogallo da Abraham Zacuto nel 1496. • Una copia del 1848 del Manifesto comu-nista in tedesco: una delle undici copie su-perstiti della prima edizione stampata aLondra. • Un libro dei Salmi, con commento del Ra-daq e censure ecclesiastiche.• Un giornale olandese del 1666 con un ti-tolo in prima pagina e un articolo riguar-danti Shabbatai Zevi.• Una decorazione che rappresenta unaSukkà di Venezia del 1783.

La collezione, il cui valore stimato superaUS $ 40 milioni, è stata messa in venditaall’inizio del 2009 da Sotheby’s, a condi-zione che venisse acquistata nel suo insie-me e non a lotti e che rimanesse accessibiliagli studiosi. Lunzer, che non sta benefi-ciando dei proventi della vendita, ha di-chiarato: “Vorrei che la nostra collezionefosse acquisita dalla Biblioteca del Con-gresso. Questa sarebbe la mia grandegioia”. Dopo aver visitato la mostra dellacollezione presso Sotheby, uno studiosodell’Istituto Drisha ha scritto: “La mattinadella nostra visita, avevo studiato il com-mento del rabbino David Kimhi, che è co-nosciuto come il Radak, sul conflitto diGiuseppe con i suoi fratelli. Onestamente,sembrava solo un altro dei tanti commentirabbinici.... Poi sono andato al Valmadon-na. Scrutando attentamente in uno dei piùantichi manoscritti, ho visto che si trattavadi un volume dei Salmi con il commentodel Radaq. In quell’istante, tempo e spaziosono crollati dinnanzi a me e mi sono tro-vato collegato a ogni altro ebreo che ha stu-diato l’opera di Kimhi da quando è statascritta nel tardo 12° secolo e all’inizio del13°. In quel momento è diventato per mechiaro che non sono semplicemente unebreo moderno che studia in una yeshivànei pressi del Lincoln Center. Sono legato aogni altro ebreo attraverso 800 anni di sto-ria. Mi immagino Kimhi chino sul suo la-voro e mi chiedo se la sua anima sa che an-cora noi stiamo imparando da lui, che lasua spiegazione rimane rilevante per lo stu-dio del testo biblico come lo era per i suoicontemporanei. I libri della Valmadonna – ilibri del nostro popolo – sono storia viva emantengono in vita le comunità che li han-no prodotti anche se da tempo sono ormaiestinte”.

Aldo Perosino

[in corsivo un’intervista di Alice Pedrazzi,La Stampa, 15 febbraio 2009]

Diamanti e libri antichi. Solo cose di estre-mo valore nella vita di Jack Lunzer, mer-cante londinese di pietre preziose nato adAnversa da famiglia ebrea nel 1924, che haraccolto in ogni parte d’Europa e del mon-do testi scritti o stampati in ebraico, colle-zionando circa tredicimila volumi, alcunirarissimi, se non addirittura unici: Bibbiescritte a mano, tomi introvabili, pagine chehanno attraversato secoli di storia e mi-gliaia di chilometri per giungere nelle suemani.La sua immensa e inestimabile collezioneJack Lunzer ha voluto chiamarla “Valma-donna Trust Library”. Valmadonna dunquein onore del “paese fra pianura e collina –come ricorda Lunzer – che si incontra la-sciando la città di Alessandria”.Una storia affascinante quella della suasconfinata collezione di libri. Una storia diamicizia e affari che passa e forse affondale radici anche in questo pezzo di Piemon-te. Soldi e sentimenti. Ricordi e qualcherimpianto.Negli anni dell’immediato dopoguerraLunzer frequentò molto Alessandria, ospitedi Peppino Vitale, avvocato e uomo d’affa-ri molto noto in città, titolare della Saves, ilgrande emporio di tessuti che si affacciavasu piazza della Libertà, punto di riferimen-to per tutta la Comunità ebraica locale.“Era un caro amico dei miei genitori, oltreche un grande businessman. Sono statospesso a trovare Peppino nella sua casa diAlessandria. Insieme abbiamo girato perquelle terre meravigliose e silenziose, dalpaesaggio tanto dolce che circondavano lacittà”.I due raggiungevano spesso Valmadonna(dove esiste ancora Villa Vitale) che attiròl’attenzione dei due amici al punto da trat-tare l’acquisto di un ampio latifondo. [diproprietà del barone Montel] “Valmadonnaera un posto splendido, me lo ricordo bene;con la chiesa, i negozietti, la stazioncina.Terra buonissima e a buon prezzo. Io ePeppino abbiamo provato ad acquistarla,avevamo anche firmato delle carte”.Le trattative dovevano essere ben avviate:per alcuni anni a Lunzer fu affibbiato ilsoprannome di “conte di Valmadonna”.“Anche se non concludemmo mai l’affare.Sa, in quegli anni la situazione politicaitaliana era molto instabile. Così, tra ca-villi legali e problemi legati ai trasferi-menti di proprietà non riuscimmo mai adiventare proprietari delle terre di Valma-donna”.È passato mezzo secolo, ma ancora si co-glie nella voce di Lunzer una vena di rim-pianto.“Qualche anno dopo, quando si è trattatodi scegliere il nome da dare alla mia fon-dazione, ho pensato subito a Valmadonna,in ricordo di quei luoghi e del mio grandeamico Peppino Vitale. Per non scordaremai quanto mi sarebbe piaciuto comprarequelle terre e, magari, viverci”.Così la più grande collezione privata delmondo di libri in ebraico ha preso il nomedel piccolo paese.

(segue da pag. 14)

DIAMANTI E LIBRI ANTICHI

Jack Lunzer

Torah yemenita, inizio XV sec., Jack Lunzer’s Valmadonna Collection

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libri

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cosa di meglio che avere oppiati i nostrisudditi? La parola, nel bene come nel male,è un po’ un surrogato dell’azione: e la pre-ghiera è parola, detta e pensata, una parolache è fine a sé, si chiude su di sé, perché èdiretta a chi non ha mai dato segno di ri-spondere; è la più innocente, innocua delleparole”.Complessivamente i racconti sono venti. Di-dimo li avrebbe scritti negli anni cinquanta.

Emanuele Azzità

comprendiamo. Era forse questo che l’ebreocuneese Didimo voleva sottolineare? “In cielo era stata proclamata la repubblica eio ne fui il presidente. Sedevo sul trono diDio, e a fianco mi stavano i ministri”. Cosìinizia un altro racconto. Il trono stava sullenuvole dalle quali salivano dei fiocchi di ne-ve che erano le preghiere degli uomini. Sem-bravano tutti uguali quei fiocchi, ma ciascu-no conteneva una richiesta diversa. Che faredi questi desideri? Dio interpellò il suo se-gretario. “Non si può dare risposta tutti: Sa-rebbe impossibile anche per un Dio” fu la re-plica. Alla fine il dio “golpista” del raccontoprese un ultimo fiocco: “Dio, io non credo inte, ma se ci sei dammi un segno”. Per quelpresuntuoso ci voleva una punizione! “Eglinon crede – è vero –, ma desidera credere”disse il segretario. “Gli comparirò in sogno”aggiunse Dio. Al risveglio, però, quel tiposarebbe corso dallo psicanalista. E se apren-do gli occhi al mattino quel tale si fosse tro-vato una bella ragazza che gli avesse dettoche era un dono del Padreterno per poi spari-re poco dopo? Il segretario ricordò che il fe-nomeno era conosciuto come “allucinazio-ne”. Il poveretto sarebbe finito in manico-mio. Quella grazia non si poteva fare e Diomanifesta il suo sconforto “Non posso nullae le preghiere continuano a nevicare all’insù.Un dio che non può niente non è un dio; è co-me se non ci fosse. Mi vien voglia di dimet-termi, di andarmene. Anzi, a pensarci bene,incomincio a dubitare io pure: esisto o nonesisto?”.In un altro racconto i fedeli cercano di man-tenere allegro un dio che quando si annoiasi diverte a mandare calamità sugli uomini.In un’i sola caraibica, invece, il generale Ni-ceto Azana decise di proibire la preghiera.“La religione, ha detto Marx, è l’oppio deipopoli”. Pronto replicò un suo ministro cheforse la sapeva un po’ di più del suo supe-riore: “...adesso che siamo al comando, che

I racconti di DidimoAlcuni anni fa, quando il digitale non c’eraancora, le fotografie avevano un negativo.Lo si guardava in controluce e ci voleva unacerta dimestichezza per riuscire a individua-re la foto da sviluppare che si cercava. Sitrattava in pratica di un’inversione cromati-ca dove i chiari sarebbero stati poi gli scuridella foto e viceversa. La foto è solo la di-stribuzione di colori della realtà, la sua sem-bianza cromatica come la vede l’obiettivo.Ci sono altre cose che a volte i colori la-sciano intuire e a volte no, perché la realtà èpermeata anche di valori e sentimenti. Aquesto punto l’immagine non basta più, civuole la scrittura, il libro. Se la storia del-l’uomo fosse riassumibile in un’immagine,allora Dio sarebbe il colore di fondo, una ra-diazione fossile che proviene dalle originidella storia dell’uomo per insinuarsi nel suointimo. Non è un problema di essere cre-denti o meno, di avere o non avere una fe-de. Rinaldo De Benedetti, che firmava isuoi articoli di divulgazione scientifica conDidimo, dedicò sempre molta attenzione alrapporto tra l’umano e il divino, anche se sidichiarava agnostico. Anticamente viveva nell’isola di Bali un po-polo che aveva un modo molto semplice edefficace di chiedere delle grazie al propriodio. Le richieste venivano scritte su tavolet-te di legno e bruciate durante l’equinozio diprimavera. Quando le tavolette non eranointeramente bruciate o, peggio, un tempora-le spegneva il fuoco, voleva dire che le gra-zie non sarebbero state esaurite. Se i legnet-ti veniva completamente inceneriti il dio nonavrebbe invece disatteso le speranze. Unavolta però quelle persone semplice fecerouna richiesta singolare: l’abolizione del do-lore. La tavoletta buttata tra le fiamme bru-ciò subito. Immediatamente si compì il mi-racolo. Passarono i mali alle giunture, gli an-ziani cominciarono a camminare ritti, nessu-no sentì più il peso della stanchezza ancheballando fino a notte fonda. Furono però an-che in molti a morire senza sofferenza per-ché comunque il loro fisico non aveva rettoallo sforzo! Andarono avanti un anno ri-schiando di ferirsi senza accorgersene o af-flitti da tante sciagure capitate ai bimbi chesenza l’avvertimento del dolore erano diven-tati totalmente imprudenti. Al successivoequinozio la richiesta al dio fu una sola “re-stituisci a noi il dolore”! È uno dei raccontidi Rinaldo De Benedetti tratto da Dove il be-ne è peccato. Un naufrago, l’Io narrante, ebbe salva lavita grazie agli abitanti di un’isola che losoccorsero. Gente strana! Facevano il benecon grande piacere, ma lo nascondevano.Non per modestia o particolare rettitudine,ma per paura del loro dio. Rimessosi in se-sto dalla brutta avventura e cominciandoad apprende la lingua dei suoi soccorritori,l’uomo cominciò a interrogarli. Perché maicompiere il bene dentro le capanne chiuseper nascondersi da un dio che, non essendodifferente da quello degli uomini bianchi,comanda di fare il bene per cui non c’eranessuna ragione di nascondersi? Un saggiogli spiegò con esempi quotidiani di comein realtà il male si compisse apertamentealla luce del sole. Un pesce appena pesca-to, un insetto catturato nella tela di un ra-gno o dalle foglie spinose di una piantacarnivora. Non sta forse scritto nel Pentateuco che al -l’inizio Dio diede un posto ad ogni cosa? Sesi toglie Dio resta la creazione. Che si siaconvinti che l’universo segua un ordine sco-nosciuto o che sia un ammasso caotico dimateria interagente, ogni grandezza fisicasembra esercitare un preciso ruolo da cui nonsfugge. Anche nella vita umana il bene e ilmale non sempre stanno di fronte all’altro,ma hanno un ruolo che generalmente non

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Ada Della Torre Ortona

Ada era nata nel 1914; nel 2014 Carla Orto-na, a cento anni dalla nascita di sua madre,ha voluto ricordarla – e farla conoscere a chinon l’aveva incontrata in vita – attraverso isuoi scritti, raccolti e curati da ValentinaSonzini e pubblicati dall’Istituto per la storiadella Resistenza e della società contempora-nea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesiacon il titolo La resistenza del quotidiano.“Ada era mia cugina e lavorava alle Edizio-ni Corbaccio: Silvio la chiamava bidottoreperché aveva due lauree, ed Euge la chiama-va cugimo che voleva dire cugina di Primo,del che Ada si risentiva un poco”; così lapresentava Primo Levi in “Oro” nel SistemaPeriodico, ricordando il gruppo di amici chevivevano a Milano nell’autunno del 1942; delgruppo faceva parte anche Silvio Ortona, cheAda avrebbe sposato nel 1946 e da cui avreb-be avuto tre figli, Sandro, Guido e Carla.Ada ha saputo raccogliere nella sua vita perso-nale, politica e professionale, le richieste chenascevano dai tempi eccezionali in cui ha vis-suto: staffetta partigiana durante la resistenza;poi insegnante poco conformista in una scuolache si stava trasformando; ha vissuto la profes-sione e la politica come impegno sociale; hacollaborato, scrivendo articoli sulla scuola su IlGiornale dei Genitori, con Ada Gobetti, di cuinel libro si legge l’accorato ricordo pubblicatonel 1968 con il titolo Un pellicciotto spelac-chiato; infine, come Giudice Onorario pressoil Tribunale per i Minorenni di Torino, ha af-frontato problemi del disadattamento giovani-le, come proseguimento in un diverso ambien-te del suo lavoro di pedagogista. Nel libro troviamo saggi sulla sua esperienzadi insegnante e di Giudice minorile, e trovia-mo anche racconti – diversi inediti – in cuiAda ricostruisce con la fantasia luoghi, perso-naggi, vicende che hanno segnato la sua vita,quella degli anni della resistenza e quella deldifficile dopoguerra; o divertenti racconti dipura fantasia, tra cui uno di fantascienzaesplicitamente ispirato da Primo Levi. Ada, come la ricordano gli amici, era anchedivertente e spiritosa, inventava giochi in cuisapeva coinvolgere sia gli adulti sia i bambi-ni, e alla fine tutti sapevano qualcosa di più:anche nel gioco non dimenticava di essereuna docente.Carla Ortona merita veramente un ringrazia-mento per la sua iniziativa, per averci restitui-to una persona per molti versi straordinaria.

Paola De Benedetti

Altrove, forse“Le sue belle mani corrono sul tessuto. Sot-to i nostri occhi si disegna una delicata im-magine. Tratteniamola nel cuore. Se le cosevolgeranno al bene, sarà segno che l’amoreè più forte dell’odio. Se andranno diversa-mente, potremo rievocare questa dolce im-magine e attingerne consolazione, un anti-doto al veleno”.Questa impressione è di Noga Harish mentrericama, in uno dei rari momenti di tranquil-lità del kibbutz di Mezudat Ram. La giovanedonna, figlia del poeta Ruben Harish, rappre-senta il collegamento fra la realtà precoce-mente invecchiata del sionismo socialista ela gioventù israeliana, in equilibrio tra la vio-lenza di nuove guerre e una pace sempre piùdifficile da raggiungere. Allora sorge il desi-derio della fuga, anche se breve, da unarealtà troppo complessa e sfaccettata.Altrove, forse è il primo libro pubblicato daAmos Oz, nel 1966. Scrittore che è statoconsiderato negli ultimi anni come uno deipiù probabili candidati al Nobel per la Lette-ratura, già vincitore del Premio Israele nel1988. Nato Amos Klausner a Gerusalemmenel 1939, figlio di immigrati sionisti del-l’Europa Orientale, cambiò il cognome in“Oz” ( in ebraico “forza”) in seguito alsuicidio della madre, mentre era dodicenne.Aderente al partito laburista, andò a viverenel kibbutz di Hulda a soli quindici anni.“Tel Aviv non era abbastanza radicale […]solo il kibbutz era abbastanza radicale”.La sua vita proseguì nel kibbutz fino al tra-sferimento ad Arad, nel 1986. Amos, come lagran parte degli israeliani, prestò servizionell’IDF e fu schierato durante la Guerra deiSei giorni e il conflitto di Kippur; terminatoil servizio militare si laureò in filosofia e let-teratura all’Università Ebraica di Gerusalem-me e le sue prime opere vennero pubblicateal l’età di ventidue anni, quando risiedeva an-cora a Hulda. Finora inedito in Italia, il suo romanzo d’e -sordio Altrove, forse è stato pubblicato dallacasa editrice Feltrinelli nel novembre 2015,con la traduzione di Elena Loewenthal. Le vicende del libro sono quelle di MezudatRam e la collettività è il soggetto del roman-zo. L’autore intervalla descrizioni geografi-che dense di analogie (come quella più volteriproposta delle montagne, ostili e simboli-

che della barriera fisica e cultura-le coi paesi arabi confinanti) conuna narrazione della quotidianitàvista attraverso le lenti, spessodeformanti, dei giovani e vecchiabitanti del kibbutz. Il flusso dicoscienza è ben regolato, defini-to: ha una geometria simile allestrade fiancheggiate da case bian-che e agli ordinati campi di Me-zudat Ram. Non sono rari gli in-terventi dell’autore che spesso sifonde coi personaggi, immedesi-mandosi in ciascuno e mostrandoal lettore ciò che a loro, individui,è oscuro. Il kibbutz del romanzo,però, non è soltanto l’incarnazio-ne di un’ideologia: è un paese vi-vo, tenuto assieme da pettegolez-zi e rituali, dove la tragedia dellaguerra è perennemente in agguatoe s’insinua nelle vite apparente-mente pacifiche dei suoi abitanti.La trama è densa di sviluppi, tra-dimenti e epifanie senza che nulla risalti sin-golarmente; ciò che affiora, invece, è la quie-ta sofferenza degli uomini, immigrati da Ger-mania, Russia e altri luoghi d’Europa, che sisforzano di vincere gli istinti e coltivare laterra. E mostrare al mondo il sogno del sio-nismo socialista a livello pratico, concreto.Sono presenti alcune figure principali chedettano la propria prospettiva (non sempreobiettiva): Ruben Hamish, il poeta di Mezu-dat Ram. I suoi versi saranno un fil rouge ca-pace di legare la trama ai capitoli. Ezra Ber-ger, camionista filosofo e Noga Harish, figliadel poeta e personaggio profondamente tra-gico. Poi Fruma, vedova con una predilezio-ne per i pettegolezzi che lo scrittore in perso-na valorizza come strumento capace di crea-re compattezza e controllo sociale sui mem-bri della comune. Solo grazie ad essi il lettore potrà accorgersidi come i singoli flussi di coscienza vadano aconfluire in un unico affresco umano, quellodel kibbutz. In tutto il suo eroismo e la suainadeguatezza.

Emanuele Levi

Amos Oz

Amos Oz Altrove, forse, Feltrinelli,2015, traduzione di Elena Loewenthal

Ada Della Torre Ortona, La resistenzadel quotidiano – scritti pedagogici e rac-conti, a cura di Valentina Sonzini, Isti-tuto per la storia della Resistenza e del-la società contemporanea nel Biellese,nel Vercellese e in Valsesia, 2015, pp.252, € 15 Moïse Kisling, Piccola Testa di Un Brune Moïse Kisling, Ritratto di Katznelson

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libri

deve la notorietà ai taccuini di storie e di vi-gnette, la cui grafica incisiva ha il dono del-l’espressività immediata. (s)

Gian Piero Bona – L’amico ebreo – Ed.Ponte alle Grazie – 2016 (pp. 204 – € 14)Quasi a colmare una lacuna del vissuto per-sonale e della Storia giunge questo romanzoautobiografico, in cui si racconta del feliceesito del salvataggio di un essere umano dal-la barbarie. Il rapporto tra i due adolescenti(l’autore e il giovane ebreo nascosto) spetta-tori delle vicende belliche e delle persecuzio-ni, si arricchisce di elementi narrativi e cul-turali che rivelano la nota vena letteraria epoetica del l’autore e ne impreziosiscono iltessuto. (s)

Marcella Scopelliti – L’attore di fuoco.Martin Buber e il teatro – Ed. AccademiaUniversity Press – 2015 (pp. 251 – € 19)In occasione del cinquantesimo anniversa-rio della morte di Buber (1878-1965) vi èstato tutto un fiorire di studi tra i quali se-gnaliamo il presente saggio sul pensiero esull’attività del grande intellettuale nelcampo delle arti visive e performanti. In-tendendo l’arte come “nazione” nell’operadi creazione dell’ebreo moderno, egli hacomposto saggi che vanno dallo spazio sce-nico alle forme teatrali, ha ammirato l’im-patto scenico di Eleonora Duse e le doti in-terpretative di Ermete Novelli per approda-re al Teatro Habima, cui affida il compito di“conquistare il mondo”. Il testo buberiano“Daniel” divenne quasi un breviario per gliintellettuali ebrei del primo Novecento allaricerca di un’esistenza autentica, individua-bile solamente nel teatro: “luogo in cuil’uomo può trasformarsi”. Di particolareinteresse il collegamento/evoluzione deldialogo teatrale verso la filosofia dialogica

del Io/Tu che connoterà il pensiero maturodi Buber. (s)

Oleg Mandic – L’ultimo bambino di Au-schwitz – (a cura di Roberto Covaz) – Ed.Biblioteca dell’immagine – 2016 (pp.137 – € 11) Con il triangolo rosso (politici)e il numero 189488 tatuato sull’avambrac-cio sinistro,il piccolo Oleg ha condiviso conmilioni di innocenti le sofferenze e gli orro-ri dei campi di sterminio. Scampato, si è fat-to carico del dovere di darne precisa e accu-rata testimonianza, nella indefettibile spe-ranza che il Male non si ripresenti. Di parti-colare interesse la storia della famigliaMandic e del padre, impegnato politicamen-te nel contesto intricato della Jugoslavia nelpassaggio dall’impero austro-ungarico al-l’occupazione italiana e al regime sovieticodi Tito. (s)

Giacomo Todeschini – La banca e il ghet-to. Una storia italiana – Ed. Laterza –2016 (pp. 240 – € 22) Storico dell’Econo-mia, Todeschini presenta una ricerca sul-l’interrelazione tra prestito ebraico e bancacristiana, banche pubbliche e Monti di Pietàe la restrizione degli ebrei nei ghetti. Esclu-si dall’attività del prestito che aveva mossoi grandi investimenti finanziari di stati e so-vrani, gli ebrei vennero separati anche fisi-camente dal contesto urbano e ridotti alcommercio degli stracci e al rammendo(specie nei domini pontifici). Tuttavia, pro-prio in quei ghetti, da una popolazione alfa-betizzata al 100% poterono nascere e svi-lupparsi attività culturali di alto livello e sidistinsero individui che diedero lustro aicorreligionari e arricchirono il mondo inogni campo del sapere. (s)

David Weiss Halivni – L’alleanza scossama non rimossa. Riflessioni sulla Shoah –(a cura di Dan Eliezer) – Ed. Effatà –2015 (pp. 128 – € 11) Curato e tradotto dastudiosi della levatura di Dan Eliezer e diRaniero Fontana, il saggio offre una sintesidelle riflessioni di Halivni e la sua persona-le esperienza nella Shoah. Sebbene univer-salmente noto per gli studi sul Talmud, eglisi era rifiutato di affrontare la questione fi-no al momento di redigere la propria auto-biografia. A confutazione delle tesi ultrare-ligiose che vorrebbero spiegare la Shoahcome espiazione di peccati commessi, Ha-livni porta ben quattro autorevoli fonti: To-rah, Profeti, Scritti e la Tradizione. Halivniammette tuttavia di non aver trovato rispo-sta e “tende a vedere nella Shoah un effettonegativo della libertà che Israele si è assun-to di fronte a Dio… impedendogli di inter-venire nella Storia”. (s)

Françoise Frenkel – Niente su cui posareil capo – Ed. Guanda – 2016 (pp. 298 – €18) Riscoperta di un libro pubblicato unasola volta, in Svizzera, nel 1945, in cuil’autrice – titolare di una libreria francesea Berlino – racconta, in maniera molto vi-vida, le peripezie, vissute con dolore “sen-za niente su cui posare il capo…”, dellasua fuga attraverso la Francia, ove si era ri-fugiata nel 1939, fino al raggiungimentodella salvezza in Svizzera. Da quel mo-mento in avanti, poche tracce, oltre a que-sto libro, rimangono della sua vita (raccol-te qui in alcuni documenti in appendice),ma – si chiede, nella prefazione, il premioNobel Patrick Modiano – “È davvero ne-cessario saperne di più? Non credo. A ren-dere speciale Niente su cui posare il capo èl’impossibilità di identificare la sua autricein modo preciso. Questa testimonianzadella vita di una donna braccata nel Suddella Francia e in Alta Savoia durante ilperiodo dell’occupazione è ancora più sor-prendente in quanto sembra la testimonian-

Rassegna

Francesca R. Recchia Luciani, ClaudioVercelli – Pop Shoah? Immaginari del geno-cidio ebraico – Ed. Il Melangolo – 2016 (pp.185 – € 16) “Se tutto può essere Auschwitz…il rischio è che Auschwitz si riduca a nulla”.L’uso collettivo della memoria dello stermi-nio, sia nel pubblico che nel privato, ha damolti anni assunto una valenza popolare(pop) grazie all’uso trasversale di qualsiasimezzo di comunicazione di massa. Il giudi-zio sulla validità di tale processo si pone pro-blematicamente agli autori che ne valutanopeculiarità, vantaggi e rischi. (s)

Ilse Weber – Quando finirà la sofferenza?– Ed. Lindau – 2013 (pp. 295 – € 24,50)Toccante incontro di un figlio ormai adultocon la madre persa a Terezin, attraverso lelettere e le poesie da lei composte in quel-l’abisso per alleviare le sofferenze propriee altrui, infondendo speranza. Vittima del-l’inesorabile persecuzione nazista in Ceco-slovacchia, Ilse Weber riemerge e riaffioradalla cavità sotterranea in cui il marito ave-va nascosto e fortunosamente ritrovato ipreziosi scritti: lettere, poesie e spartitifrutto di un’anima indomita e spenta persempre. (s)

Joann Sfar – Se Dio esiste. Quaderni pari-gini, gennaio-novembre 2015 – Ed. RizzoliLizard – 2016 (pp. 222 – € 18) Incalzante eserrata requisitoria sulla propria identità (eper ciascun lettore sulla propria) di uomo, in-tellettuale, ebreo, laico, parigino, occidenta-le, vignettista… di fronte agli sconvolgentiattentati del 2015. Il pluripremiato Sfar, lau-reato in filosofia e autore anche di romanzi,

Cerimonie di estremo saluto

PRIMO STABILIMENTO DI TORINOCASA FONDATA NEL 1848

ORGANIZZAZIONE FIDUCIARIA DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI TORINO

Via Barbaroux, 46 - 10122 TORINO - Tel. (011) 54.60.18 - 54.21.58

(segue a pag. 19)

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19za di un’anonima…”. Una lettura intensa,da non perdere. (e)

Nikolaus Wachsmann – KL Storia deicampi di concentramento nazisti – Ed.Mondadori – 2016 (pp. 882 – € 45) L’au-tore parte dalla constatazione che “a oltreottant’anni dalla fondazione di Dachau, nonesiste un’unica descrizione panottica deiKL” (Konzentrationslager) e, in questo cor-poso volume, intende compiere “un’indagi-ne che colga la complessità dei campi senzaframmentarla e li collochi nel più ampiocontesto politico e culturale senza diventareriduttiva”. Ciò, sotto la forma di storia inte-grata che, cioè “intende offrire una narra-zione in cui la politica nazista costituiscal’elemento centrale ma nella quale il mondocircostante e gli atteggiamenti, le reazioni eil destino delle vittime siano parte altrettan-to integrante di un quadro complessivo”esaminando quindi “chi era all’interno e lapiù ampia popolazione all’esterno” e illu-strando “la sincronicità degli eventi e lacomplessità del sistema delle SS”. Per farciò questo libro considera i campi di con-centramento da due prospettive principali:la prima si concentra sulla vita e la morte al-l’interno dei campi come è cambiata neltempo; la seconda approfondisce il corsodel Terzo Reich e il posto occupato dai cam-pi al suo interno. Ambizioso progetto chenon sembra essere stato compiuto poiché lanarrazione si frammenta in una miriade diracconti che stentano a trovare una sintesi;il che non vuol dire che la lettura non offramolteplici spunti di interesse e notizie im-portanti. (e)

La biblioteca di Qumran (Edizione bilin-gue dei manoscritti) 3a – Torah. Deutero-nomio e Pentateuco nel suo insieme – Ed.Dehoniane Bologna – 2016 (pp. 1017 – €98) Terzo volume, suddiviso in due libri, 3ae 3b, di cui questo è il primo che raccogliei frammenti del Deuteronomio che presen-tano varianti significative rispetto al testomasoretico e tutte le composizioni che han-no relazione con il Deuteronomio o con ilPentateuco nella sua totalità. Questa edi-zione si distingue dalle precedenti perchériporta il testo in tre lingue, ebraico, ara-maico e greco oltre alla traduzione in ita-liano; inoltre, integra i manoscritti bibliciche differiscono dal testo masoretico congli altri scritti non biblici. Edizione per stu-diosi. (e)

Martin Baumeister, Amedeo Osti Guer-razzi e Claudio Procaccia (a cura di) – Ladeportazione degli ebrei romani tra storiae memoria – Ed. Viella – 2016 (pp. 199 –€ 24) Il volume raccoglie i contributi di unconvegno organizzato dall’Istituto StoricoGermanico di Roma in collaborazione conla Comunità ebraica. Il convegno, e la rela-tiva mostra inaugurata il 16 ottobre 2013 alVittoriano, si inserisce nel contesto delle ce-lebrazioni commemorative in occasione delsettantesimo anniversario della razzia degliebrei romani. Due sono i fulcri tematici af-frontati nei saggi dei diversi studiosi: da unaparte ci si rivolge allo studio degli eventiche presentano ancora oggi lati oscuri, dal-l’altra si mettono in luce alcuni aspetti, fi-nora poco indagati, della commemorazionedella razzia all’interno della stessa Comu-nità ebraica e dell’atteggiamento del Vatica-no. Due appendici raccolgono fonti finorasconosciute sul tema. (e)

Franco Bontempi – Analisi del potere.Commento al libro di Daniele – Ed. So-cietà per lo studio della storia ebraica –2010 (pp. 720) Il libro di Daniele è uno de-gli ultimi testi redatti dagli scrittori biblici eaffronta, in linea generale, il problema della

gestione del potere nello scontro delle diffe-renti civiltà nella Giudea del secondo seco-lo. Il libro di Daniele si presenta al lettorecome una serie di apologhi e ciò rende an-cora più necessario, per intenderne il signi-ficato, un commento analitico come, appun-to, quello che l’autore presenta come risul-tato di trenta anni di studio. L’analisi del te-sto è minuta e penetrante, segue a ciascuncapitolo; perciò è lettura adatta soprattuttoper gli studiosi ma può essere interessanteper tutti la lettura del libro accompagnatadagli spunti più generali dei singoli com-menti. (e)

Giulio Levi – Una vita sospesa. 1938-1945– Ed. Castelvecchi – 2016 (pp. 97 – €17,50) “Il racconto dei sette anni di una vi-ta vissuta nella sospensione” – quella che ilpadre del l’autore e la sua famiglia dovetterotrascorrere dopo la fuga dalla persecuzionea seguito dell’emanazione delle leggi raz-ziali in varie località e finalmente in Svizze-ra – appartiene “a più generi letterari e que-sto, anche, costituisce il suo fascino: non èun diario, non è un romanzo, è, piuttosto, unracconto-testimonianza basato su una docu-mentazione ampia – da gruppi di lettere fa-miliari ai precisi documenti dell’ArchivioFederale Svizzero per il periodo marzo1944-luglio 1945”. I fatti sono ricostruiti eil libro è scritto, a 50 anni dalla morte delpadre Sergio, dal figlio, uno dei testimoniprincipali ma che, allora, era troppo piccoloper trovare un filo conduttore ai suoi perchédi bambino. Una narrazione che è cronaca estoria insieme e che si inserisce nel semprepiù ricco filone dei libri sulla memoria edella memoria”. (e)

Alessandro Musto – Via Artom – Ed. RAIEri – 2016 (pp. 317 – € 15) Prima prova diun giovane autore, intreccia la storia di gio-vani d’oggi con quella, lontana, di Emanue-le Artom, in modo, peraltro, abbastanza ar-tificiale. Romanzo sentimentale, pieno dibuone intenzioni, sfiora soltanto una storiapiù grande. (e)

Bogdan Wojdowski – Il sentiero – Ed. Fe-lici (pp. 180 – € 13,50) Una donna si pre-senta alla porta dell’autore ignorando chesia uno scrittore e gli racconta la propriastoria, una storia di fuga errabonda dal ghet-to di Varsavia e dalla guerra. L’autore ri-scontra in questo racconto buona parte dellasua storia personale e scrive questo roman-zo-testimonianza in cui, pur riferendo il per-corso biografico della donna, mescola ledue storie, la sua e quella di lei. È il primoromanzo tradotto in italiano dell’autore chenon ha avuto fortuna nemmeno in patria e siè ucciso nel 1994. Come afferma la tradut-trice, “Ancora oggi continua a essere un au-tore di fondamentale importanza per quantoriguarda la testimonianza della vita nelghetto di Varsavia ma che fa parte della bi-blioteca solo di una ristretta cerchia di spe-cialisti”. (e)

A cura di Enrico Bosco (e)

e Silvana Momigliano Mustari (s)

Mancato passaggio di consegneLeggo nell’intervista al Presidente della Co-munità Ebraica di Torino Dario Disegni pub-blicata nel numero datato marzo 2016: “L’at-tuale Consiglio ha ereditato dalle gestioniprecedenti parecchi problemi: di positivo c’èche il cantiere per la ristrutturazione dellaCasa di riposo è terminato”. Non metto in dubbio che i problemi che afflig-gono la nostra Comunità siano, oggi come ieri,numerosi e gravi. Senza voler entrare in pole-mica con gli attuali amministratori, dopo averapprezzato il fatto che il Presidente si riferiscealle gestioni precedenti parlando al plurale, de-sidero esprimere pubblicamente il mio stuporenell’aver constatato che nessuno degli attualiConsiglieri si è mai preoccupato di contattarmiper quel passaggio di consegne che è prassinormale per una buona amministrazione, no-nostante io fossi il titolare, nella passata ge-stione, di numerosi incarichi. Solamente, quin-di, Alessandra Coen Disegni, responsabile delpersonale, e Sandro Rimini, per quanto riguar-da gli aspetti amministrativi relativi alla ge-stione degli immobili, potevano conoscerequanto da me lasciato “in eredità”. I problemiereditati, di cui parla Dario Disegni, appariran-no quindi più gravi se non si conosce quantofatto in un recente passato per affrontarli, an-che se poi in parte sono rimasti da gestire, do-po aver dovuto dare la precedenza ad altri giu-dicati più gravi, anche perché spesso in contra-sto con precise norme di legge.D’altra parte l’aspetto “positivo” indicato dalPresidente Dario Disegni si è verificato esat-tamente come era stato da me previsto ed or-ganizzato: avevo programmato con la Dire-zione dei Lavori che il termine dei lavori del-la ristrutturazione del IV ed ultimo piano del-la Casa di Riposo avvenisse nel mese di giu-gno 2015, e così è avvenuto. Non esprimo in-vece commenti sui motivi che hanno poi ri-tardato l’apertura dello stesso IV piano, aper-tura verificatesi solo nel 2016, con i conse-guenti gravi costi per le finanze comunitarie.Un cordiale Shalom.

Emanuel Segre Amar

lette

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(segue da pag. 18)

Per una corretta informazione dei lettori pre-ciso che i lavori di ristrutturazione della Ca-sa di Riposo non sono terminati a giugno maa fine settembre e che il ritardo nell’aperturadel quarto piano, avvenuta ai primi di gen-naio 2016, è da imputare alle visite ispettivedel l’ASL che hanno rilevato come nel corsodei lavori non si fosse ottemperato a tuttoquanto richiesto dalla normativa vigente.

Alda Guastalla

Moïse Kisling,Ritratto di Madame Judis

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Israele insegna?Milano, 4 aprile 2016

Cara Direttrice,continuo a ricevere il suo interessante e sti-molante Ha Keillah, che leggo con assiduitàdalla prima parola all’ultima. Nella mia posi-zione di “gentile” avverto un leggero sensodi colpa leggendo il suo periodico, come semi lasciassi andare ad una forma di voyeuri-smo nell’inoltrarmi in un mondo che non è ilmio, in una cultura, una religione, conven-zioni che non mi appartengono.Una distanza che va però velocemente e pe-ricolosamente accorciandosi. La mia curio-sità è tanto più viva da quando sento chel’Europa si sta avvicinando ad una condizio-ne direi fisica, che assomiglia sempre di piùa quella di Israele. Mi riferisco naturalmentesoprattutto ai rapporti con l’Islam. Eravamoabituati a leggere di giovani kamikaze che sifacevano esplodere alle fermate degli auto-bus di Gerusalemme, come qualche cosa diesotico, totalmente estraneo a noi, da osser-vare attoniti e increduli. Da lontano.Improvvisamente non è più così. Le scrivo proprio per chiedere il vostro parere– o eventualmente anche quello dei vostri let-tori – su questa “rassomiglianza”. Cioè vichiedo come secondo voi l’esperienza diIsraele può essere utile all’Europa per gestirei rapporti con i cittadini di religione islamica. Una politica del bastone può essere pericolo-sa. Il fondo “Per Israele” nell’ultimo nume-ro – marzo 2016 – firmato HK appare moltopreoccupato e irritato per un’immagine nega-tiva – vi si usa spesso la parola “antisemiti-smo” – derivante ad Israele dalla sua presun-ta politica repressiva nei confronti dei Pale-stinesi. Si è arrivati anche a forme di boicot-taggio da parte di università europee.Critiche ad Israele che vengono riprese pe-raltro anche da alcuni interventi sullo stessonumero di HK. Come quello di Rimmon La-vi, “Di fronte all’insurrezione dei giovanipalestinesi”, o l’altro di Giuseppe Gigliotti,che nell’articolo “Gli arabi israeliani e ilproblema identitario” non esita ad attribuiread Israele, con argomentazioni e citazionimolto puntuali, numerose pratiche antidemo-cratiche messe in atto nei confronti degli

stessi concittadini palestinesi. La politica anti-immigrati che l’Europa hacominciato ad adottare sembra andare oranella stessa direzione e l’Europa non ha dia-spore o shoah dietro cui nascondersi. Moltieuropei cominciano a dichiarare apertamentedi vergognarsene.D’altra parte una politica della carota, del -l’amicizia e della generosità, è facile daenunciare, ma obiettivamente difficile damettere in atto, allorché le invasioni degliimmigrati assumono come stanno assumen-do dimensioni bibliche e mentre nello stessotempo i vecchi immigrati, che si credevanogià da tempo bene o male integrati, creanoproblemi gravissimi con attentati che sono inmodo evidente la manifestazione più estremadi un disagio assai profondo e diffuso, ormaifuori controllo.Secondo voi Israele, grazie alla sua difficileesperienza col mondo musulmano, vecchiaormai di settant’anni, ci può insegnare qual-che cosa? In particolare secondo l’ebraismopiù illuminato che abbiamo in Italia, e che èben rappresentato dalla sua testata, quale po-litica dovrebbe adottare l’Europa sul proble-ma degli immigrati e del terrorismo?Cordialità vivissime,

Luigi Bacchiani

I problemi che questa lettera ci pone sono in-teressanti ma non è facile dare una risposta. Èvero che l’Europa si trova oggi ad affrontareil terrorismo con cui Israele convive da de-cenni e ha di fronte la medesima sfida: cerca-re di far convivere le imprescindibili esigenzedi sicurezza con la possibilità per i cittadini divivere serenamente la propria quotidianitàaccettando l’eventualità di qualche controlloin più e di qualche coda un po’ più lunga delsolito. Con la consapevolezza che purtroppo èimpossibile (come è stato pubblicamente di-chiarato dai servizi di sicurezza sia israelianisia europei) prevenire ovunque e permanente-mente tutti i possibili atti terroristici. Ma an-che con la profonda convinzione che sia ne-cessario non lasciarsi vincere dalla pauraperché cambiare le proprie abitudini, rinun-ciare a un concerto o a una cena in un localepubblico, significherebbe cedere ai terroristi,offrire loro una vittoria immeritata. Da questopunto di vista Israele può forse davvero esse-re un modello per l’Europa.Da un altro punto di vista, però, tra l’Europae Israele ci sono differenze sostanziali: i citta-dini israeliani di religione islamica, e anche iPalestinesi che vivono nei Territori Occupati,non sono immigrati o appartenenti a famigliedi recente immigrazione come quelli europei,ma sono gli abitanti autoctoni della terra, cherisiedevano lì da molte generazioni. Più simi-le alla situazione europea è la condizione dialtri gruppi di immigrati, provenienti in Israe-le dall’estremo oriente asiatico (Filippine,Thailandia, Laos, India ecc.); condizione permolti versi problematica, ma che non riguar-da il tema del terrorismo islamico. C’è anche da considerare un altro elemento,a cui forse non sempre si presta la dovuta at-tenzione: Israele viene comunemente consi-derato un Paese occidentale e per moltiaspetti indubbiamente lo è, ma è anche veroche le famiglie di molti ebrei israeliani pro-vengono da Paesi islamici, in cui avevanovissuto per secoli, se non millenni. Per quan-to le persecuzioni subite nei propri Paesi diorigine abbiano spesso spinto questa partedella popolazione israeliana verso posizionie partiti di destra, è anche possibile ipotizza-re che il divario culturale tra loro e i musul-mani israeliani sia minore. Forse vale anchela pena rilevare che l’ebraismo e l’Islam, re-ligioni per certi versi simili tra loro dal pun-to di vista teologico, condividono anche al-cuni elementi che talvolta sono causa di pro-

blemi e polemiche in Europa: la circoncisio-ne, le restrizioni alimentari, la macellazionerituale, e anche (se guardiamo all’ebraismoortodosso) alcune regole e restrizioni circa ilvestiario femminile. In effetti in Israele nonrisultano particolari problemi incontrati daimusulmani nell’osservanza dei loro precetti(per esempio, alle ragazze che frequentanole scuole pubbliche non è proibito l’uso delvelo). Va anche detto, però, che la società israelia-na è molto frammentata: il Presidente dellaRepubblica Reuven Rivlin in un suo discorso(che abbiamo pubblicato sul numero di HaKeillah del luglio 2015) ha parlato infatti di“quattro tribù” separate – gli ebrei laici, gliebrei religiosi sionisti, gli ebrei ultraortodos-si e gli arabi – ciascuna con proprie zone diresidenza e un proprio sistema educativo,per cui le occasioni di incontro e conoscenzareciproca sono molto scarse. Un modellocerto tutt’altro che auspicabile per l’Europa.

HK

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Moïse Kisling, Ritratto

Giuliano Emprin, La sosta

Un ricordo di Lallo VitaleLallo Vitale è venuto a mancare quando loscorso numero di HK era in chiusura perciòabbiamo potuto soltanto esprimere alla fami-glia la nostra vicinanza e il nostro affetto.Vorrei ora ricordare, oltre alla grande bontà edisponibilità di Lallo (pochi sanno che di-scretamente e silenziosamente ha per un cer-to periodo svolto opera di volontariato, non sopiù se di assistenza a non vedenti o altro), an-che il legame che lo univa a Guido Fubini(mio marito), suo cugino primo. Mi è rimastaimpressa una serata in casa Vitale, mi pare cifossero anche i Contini. Ad un certo puntoLallo si è alzato ed è andato a prendere un fa-scio di lettere di cui ha cominciato a dare let-tura. Si trattava di lettere che Guido, proba-bilmente subito dopo la guerra, gli avevascritto a Boston dove Lallo studiava. Lallo leaveva tutte conservate! Guido ha raccontatoallora che nelle risposte che riceveva trovavanella busta una cicca di sigaretta, prezioso eaffettuoso contributo in tempi di austerità!

Anna Maria Fubini

Richiesta di informazioniDopo l’8 settembre ’43, una coppia diebrei torinesi fu fatta espatriare e accom-pagnata a Port Bou da un Ufficiale deiCarabinieri (Teresio Cellerino) che erastato addetto alla Commissione Italianad’Armistizio con la Francia. In segno diriconoscenza, dopo la guerra, la coppiagli regalò un quadro (“La sosta” di Giu-liano Emprin). A distanza di tanti anni, ilfiglio Giuseppe vorrebbe rintracciare i di-scendenti di quella coppia o qualcuno chesappia individuarli e conosca la vicenda.Se qualcuno fosse in grado di aiutarlo,può mettersi in contatto con: [email protected]