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ECONOMIA E SICUREZZA 161 EC 04 E Originale: inglese Assemblea parlamentare NATO LE PROBLEMATICHE DELLA RICOSTRUZIONE E DELLO SVILUPPO ALL’INDOMANI DELLA FINE DI UN CONFLITTO: LE SFIDE IN IRAQ E AFGHANISTAN BOZZA DI RELAZIONE GENERALE JOS VAN GENNIP (PAESI BASSI) RELATORE GENERALE* Segretariato Internazionale 29 settembre 2004 * Fino all’approvazione della Commissione Economia e Sicurezza, questo documento esprime unicamente le opinioni del relatore. I documenti dell’Assemblea sono disponibili all’indirizzo http://www.nato- pa.intwww.nato-pa.int

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ECONOMIA E SICUREZZA

161 EC 04 E Originale: inglese

Assemblea parlamentare NATO

LE PROBLEMATICHE DELLA RICOSTRUZIONE

E DELLO SVILUPPO ALL’INDOMANI DELLA FINE DI UN CONFLITTO: LE SFIDE IN IRAQ E

AFGHANISTAN

BOZZA DI RELAZIONE GENERALE

JOS VAN GENNIP (PAESI BASSI) RELATORE GENERALE*

Segretariato Internazionale 29 settembre 2004

* Fino all’approvazione della Commissione Economia e Sicurezza, questo documento esprime unicamente le opinioni del relatore.

I documenti dell’Assemblea sono disponibili all’indirizzo http://www.nato-

pa.intwww.nato-pa.int

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INDICE

Pag.

I. LA TEORIA DELLO SVILUPPO E I CONFLITTI: UN PARADIGMA IN

EVOLUZIONE...........................................................................................................1 II. L’IRAQ E L’AFGHANISTAN .....................................................................................5 A. L’Iraq ....................................................................................................................................... 5 B. L'assistenza all'Iraq.................................................................................................................. 8 C. L'assistenza delle Nazioni Unite all'Iraq................................................................................. 10 D. L'assistenza della UE all'Iraq ................................................................................................. 12 E. L’Afghanistan......................................................................................................................... 13 III. CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI................................................................18

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I. LA TEORIA DELLO SVILUPPO E I CONFLITTI: UN PARADIGMA IN EVOLUZIONE

1. La teoria dello sviluppo economico ha subito una considerevole evoluzione negli ultimi cinquant’anni. Nell’immediato dopoguerra, lo sviluppo era considerato un fenomeno fortemente meccanicistico in cui lo Stato svolgeva un ruolo centrale di “catalizzatore” nel promuovere la crescita economica e lo sviluppo sociale ed istituzionale. Tale concezione ha subito una prima evoluzione negli anni ’80, quando il liberismo -- negando la specificità dei paesi in via di sviluppo -- ha posto i mercati, piuttosto che l’istituzione statale, al centro del processo di sviluppo. Durante l’ultimo decennio, infine, la crisi economica che ha colpito gran parte del mondo in via di sviluppo ha fatto sorgere alcuni dubbi su tale modello liberista imponendo una rivalutazione del ruolo non solo dello Stato, ma anche della società civile, della cultura, delle donne, al fianco dei mercati e della politica macroeconomica. 2. La comunità internazionale che si occupa di sviluppo è oggi confrontata a un’altra serie di dilemmi politici e concettuali nelle società dilaniate dai conflitti. Dalla fine della guerra fredda, i governi occidentali, le istituzioni internazionali di credito e di sviluppo, le Nazioni Unite e le ONG si trovano sempre più spesso nella situazione di dover aiutare paesi dilaniati dalla guerra a passare da una fase di dipendenza dagli aiuti umanitari a una di ricostruzione e, in ultima analisi, di sviluppo. Promuovere lo sviluppo sostenibile di un paese che emerge da un conflitto pone ovviamente una serie di temibili sfide concettuali, politiche, economiche e socioculturali. La violenza bellica infligge alla società in via di sviluppo terribili danni visibili e invisibili: distrugge indispensabili infrastrutture economiche, provoca il crollo delle istituzioni statali, aumenta la sfiducia nei confronti delle istituzioni, impedisce il regolare funzionamento delle scuole, riempie le città di sfollati, sostituisce paura alla fiducia, provoca la fuga dei lavoratori più qualificati, favorendo l’emergenza di un’intera classe di individui che, avendo basato la propria fortuna economica e politica sulla guerra, hanno ogni interesse a fomentare le tensioni interne a spese della società nel suo insieme. Secondo la Banca mondiale, le società postbelliche soffrono spesso per la limitatezza e prepotenza della classe dirigente, la fragilità della pace, la mancanza di fiducia fra agenti politici ed economici e la debolezza delle istituzioni giudiziarie, finanziarie, fiscali, amministrative e normative (Barnet, Eggleston, Webber). Il danno inflitto dalla guerra può ammontare all’equivalente di diversi anni di PIL in tempo di pace. L'attività economica normale risulta gravemente ostacolata dal calo della capacità di produzione, dalla distruzione delle infrastrutture, dall’assenza di investimenti e dalla frammentazione del mercato interno. Inoltre, la guerra risolve raramente i conflitti che la avevano causata. Per delle società che già vivono in condizioni di precarietà, la violenza si traduce inevitabilmente in una catastrofe, le cui conseguenze distruttive sono direttamente proporzionali alla durata del conflitto. 3. Inoltre, molti dei conflitti in corso non rientrano nella definizione classica di guerra convenzionale fra Stati, ma sono piuttosto battaglie fra gruppi armati spesso motivati dal desiderio di appropriarsi delle risorse e di altre ricchezze economiche e che non esitano a colpire obiettivi civili. Tali guerre possono letteralmente distruggere l’economia convenzionale, creando problemi unici per quanti devono assicurare la ricostruzione e lo sviluppo (Bojicic-Dzelilovic). Non è una coincidenza che quindici dei 20 paesi più poveri al mondo abbiano sperimentato conflitti negli ultimi quindici anni. 4. Il fatto che gli enormi costi dei conflitti non inducano la comunità internazionale a investire maggiormente in iniziative di prevenzione (comunque molto meno costose di quelle che dovranno essere assunte a conclusione del conflitto) rappresenta indubbiamente uno dei paradossi delle relazioni internazionali. In un mondo che pure riconosce le aspirazioni alla sovranità, tale analisi costi-benefici non sembra sufficiente a ispirare un approccio proattivo alla guerra (Schnabel).. Ciò detto, negli anni recenti le forze occidentali sono intervenute per interrompere i conflitti in Kossovo, hanno dispiegato forze nel conflitto afghano e condotto una guerra in Iraq, dove i conflitti interni sono stati a lungo repressi, e si stanno ora risvegliando (Chesterman).

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5. Inoltre, secondo alcuni analisti, gli attentati dell’11 settembre dimostrano come il disimpegno rispetto alle problematiche dello sviluppo sia molto più pericoloso e, in ultima analisi costoso, dell’impegno. L’Afghanistan, un ex-stato estremamente povero e distrutto dall’invasione sovietica e dalla guerra civile, ha ospitato centri di addestramento in cui migliaia di fondamentalisti islamici hanno ricevuto istruzioni dettagliate su come usare la violenza terroristica per conseguire i propri obiettivi millenaristici. Il collegamento tra sicurezza e sviluppo appare ancora più evidente se si considera la natura internazionale delle altre sfide collegate allo sviluppo, ovvero, per esempio, i movimenti dei rifugiati, le epidemie e i disastri ambientali. 6. Gli attentati di New York e Washington hanno indotto un ripensamento fondamentale dell’approccio occidentale alle problematiche dello sviluppo, portando gli americani a riconoscere come le situazioni postbelliche rappresentino gravi sfide alla sicurezza. Tale cambiamento di approccio appare abbastanza impressionante, se si riflette sul fatto che Bush aveva fondato la propria campagna elettorale del 2000 sulla promessa di non lasciare più che gli Stati Uniti venissero coinvolti in progetti poco chiari di costruzione nazionale (“nation building”). Anche se l’espressione “nation building” viene ora attentamente evitata, la realtà è che gli Stati Uniti sono diventati attivi fautori di tale processo di costruzione nazionale, soprattutto (ma non solo) in Afghanistan e in Iraq. La rinnovata comprensione dei rischi che il fallimento degli Stati comporta per la stabilità internazionale ha reso tale cambiamento di approccio inevitabile (Carothers), come dimostra l'affermazione, contenuta nella successiva Strategia di sicurezza nazionale, secondo cui “la minaccia per l'America proviene ora più dagli stati in fallimento che da quelli assetati di conquiste” (Hamre). 7. Sono forse gli effetti “invisibili” di un conflitto a fare la specificità delle sfide di sviluppo cui è confrontata una società che oltre ad essere povera è anche stata teatro di un conflitto. Fra questi figurano: il crollo delle istituzioni, la scarsa o assente legittimità del governo, l’esistenza di vuoti di potere, una diffusa mancanza di fiducia nel futuro e negli altri, il timore di una ripresa dei conflitti e la presenza di forze armate irregolari in aree urbane e rurali, che rafforzano tali timori e sono pronte a usare le armi per saccheggi e ricatti politici. Fin tanto che tali forze non vengono disarmate, il rischio di una ripresa dei combattimenti è reale e avrà un impatto diretto sulla popolazione e la comunità finanziaria internazionale. 8. Gli americani non sono gli unici ad aver capito l’importanza della gestione dello sviluppo in situazioni postbelliche. I paesi OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la Banca mondiale, le Nazioni Unite e un ampio numero di ONG hanno avviato un processo di riflessione sulle sfide poste dallo sviluppo e dalla ricostruzione in un contesto postbellico (Bojicic-Djeliovic). Purtroppo però i paesi occidentali non sono ancora organizzati in modo da poter condurre politiche postbelliche coerenti – cosa particolarmente ironica se si considera la quantità di situazioni postbelliche in cui sono state coinvolte le truppe americane e alleate nell'ultimo decennio. Ancora più preoccupante è il fatto che tendenzialmente il coinvolgimento occidentale si sia spostato dai piccoli paesi con problemi relativamente gestibili a quelli più grandi con gravi difficoltà (Relazione segretariato, 145 EC 04 E) I governi sono stati molto lenti ad assimilare gli insegnamenti del decennio scorso. In molti paesi occidentali, si rileva una significativa esigenza di aumentare la cooperazione fra agenzie, la dispiegabilità dei mezzi e i finanziamenti. È inoltre necessario migliorare significativamente il coordinamento multinazionale. 9. Oggi esiste un intero corpo di letteratura accademica sul tema, che analizza l’importanza dell'impresa e le difficili sfide concettuali e politiche che essa pone (Duffield). Tale letteratura sta facendo emergere in modo molto più chiaro quelli che uno studio definisce i quattro pilastri della ricostruzione postbellica, ovvero: la sicurezza (o la creazione di un ambiente sicuro mediante istituzioni legittime e stabili); la giustizia e la riconciliazione (che richiedono l’esistenza di un sistema giuridico imparziale e democraticamente responsabile, di strumenti per punire i crimini passati e presenti e di un sistema penitenziario che rispetti la dignità umana); il benessere sociale

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ed economico, (per cui è necessario garantire aiuti di emergenza, ripiristinare i servizi di base e gettare le fondamenta per un'economia e uno sviluppo sostenibili); e infine governance e partecipazione, (per cui è necessario costruire strutture costituzionali sostenibili, accrescere la capacità istituzionale e amministrativa e promuovere lo sviluppo di una società civile capace di partecipare al governo e di sollevare lo stato di parte dei suoi innumerevoli oneri (Association of U.S. Army e CSIS) 10. L’avvio di un processo di ricostruzione culturale, economica e politica richiede, quale condizione sine qua non, il raggiungimento di un ragionevole grado di pace e sicurezza . Senza di questa, pochi agenti economici saranno disponibili ad assumere i rischi associati a investimenti di medio-lungo termine. Sempre più spesso, le forze internazionali di mantenimento della pace sono chiamate ad assicurare tale grado di sicurezza. Di recente, la NATO stessa ha dispiegato le proprie forze in Bosnia, Kossovo, nella ex Repubblica jugoslava di Macedonia * e in Afghanistan, e alcuni stati membri dell’Alleanza hanno inviato i propri uomini in Iraq con il sostegno della NATO. Presto, la NATO inizierà anche a contribuire all'addestramento delle forze di sicurezza irachene. Gli eserciti occidentali sono inoltre chiamati a svolgere compiti fondamentali nel campo dello sviluppo. Le forze statunitensi in Iraq non sono state dispiegate unicamente per contrastare i ribelli, ma anche per ricostruire le infrastrutture, a dimostrazione dei crescenti collegamenti fra sicurezza e sviluppo. In Afghanistan, gli stati aderenti alla NATO hanno dispiegato squadre di ricostruzione (Provincial Reconstruction Teams, PRT), su cui ricadono responsabilità diverse, dalla riparazione dei ponti al sostegno politico. Tali forze sono chiamate ad assicurare la possibilità di fornire una pronta risposta ai bisogni umanitari fondamentali e spesso, in mancanza di altri operatori, a gestire le operazioni di soccorso. Lo svolgimento di compiti semplici quali rivestire, dare alloggio e nutrire la popolazione traumatizzata pone difficoltà enormi, soprattutto quando manca l'addestramento a compiere tali operazioni. In alcuni casi il problema è aggravato dal massiccio rientro di rifugiati e di sfollati. 11. Spesso la comunità internazionale manca sia della conoscenza locale sia delle risorse necessarie a difendere l’ordine pubblico, assicurare i servizi di pubblica amministrazione, offrire servizi sociali e umanitari, avviare un processo di sviluppo economico a lungo termine e impegnarsi per la costruzione di una capacità di autogoverno duratura (Schnabel). Il reperimento delle risorse per la ricostruzione postbellica rappresenta chiaramente una sfida cruciale. D’altro canto appare chiaro come il livello degli aiuti sia in ultima analisi determinato dagli interessi strategici dei grandi donatori occidentali. Ciò è confermato dal fatto che il livello delle forze e delle risorse occidentali inviate in Africa è molto inferiore, per esempio, a quello inviato nei Balcani. 12. Per assicurare la sicurezza è inoltre necessario disarmare le forze in campo e compiere i primi passi verso un certo grado di riconciliazione nazionale e ciò è particolarmente difficile all’indomani di una grave guerra civile. Come dimostra la situazione in Iraq, la riconciliazione interna pone difficili sfide. Se poi l'occupazione risveglia inavvertitamente conflitti a lungo repressi, il compito delle sviluppo diventa ancora più oneroso. In tali casi, le forze occupanti rischiano di diventare il capro espiatorio cui attribuire la responsabilità delle difficili condizioni di sicurezza ed economiche. È pertanto fondamentale attuare un'attenta pianificazione prima del dispiegamento, in stretta collaborazione con gli esperti regionali. 13. Solo dopo la fine delle attività ostili sarà possibile spostare l'attenzione dalle attività di assistenza umanitaria agli sforzi di ricostruzione più a lungo termine e al ripristino dei servizi amministrativi di base, una fase in cui le istituzioni locali potranno svolgere un ruolo maggiore, a condizione di essere state adeguatamente ricostituite. Una volta che l’apparato statale è ragionevolmente operativo e il paese appare stabilizzato, il governo e la comunità internazionale potranno passare all’implementazione di strategie di sviluppo di più lungo termine.

* La Turchia riconosce la Repubblica di Macedonia con il suo nome costituzionale.

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14. Una differenza molto importante fra le situazioni di sviluppo normali e quelle in un contesto postbellico risiede nella maggiore autorità che verrà probabilmente assunta dalla comunità internazionale all'indomani dell'intervento delle forze internazionali. Ciò comporta dei vantaggi potenziali ma anche un'infinità di svantaggi. La situazione conferisce infatti ai rappresentanti della comunità internazionale maggiori poteri nell'attuazione delle strategie di ricostruzione e sviluppo iniziale. Secondo alcuni tale situazione offre inoltre un'opportunità di applicare le migliori pratiche fin dall'inizio. Tuttavia diversi fattori potranno influire sull’efficacia dell’intervento: la capacità della comunità internazionale di accettare tale onere, il fatto che la popolazione locale ne riconosca la legittimità e venga regolarmente consultata, e il fatto che la comunità internazionale capisca effettivamente quali migliori pratiche adottare, stanti le condizioni locali. In ogni caso, perché questo accada è necessario che la popolazione venga coinvolta nel processo decisionale in modo sistematico. Chiunque controlli i cordoni della borsa dell'assistenza allo sviluppo dovrà perseguire una politica di ampie consultazioni con il paese beneficiario. Gli sforzi iniziali dell'autorità occupante statunitense di imporre una rivoluzione liberista nella situazione di anarchia prevalente in Iraq sono un esempio di cosa non va fatto (Rapporto ICG). Il problema poggia su un paradosso, dato che la presenza di una benevola autocrazia estera contrasta forse in modo irrisolvibile con l’obiettivo di creare le condizioni per l’emergenza di un governo legittimo e sostenibile (Urqhart). 15. La teoria dello sviluppo si concentra in misura crescente sulla necessità di elaborare strategie di sviluppo orientate alla comunità locale, e tale esigenza appare ancora più forte nelle situazioni postbelliche. Un approccio che ha avuto applicazioni positive si basa sulla creazione di consigli di rappresentanza locali, ampiamente rappresentativi, cui demandare la decisione su come spendere i fondi per lo sviluppo. Se attuate correttamente, tali strategie per lo sviluppo delle comunità locali (Community Development Strategies o CDR) possono contribuire a trasferire il potere alle comunità locali, costruendo un dialogo sano fra il centro e la periferia. Possono inoltre assicurare che i fondi vengano spesi nei progetti più necessari per le comunità locali, conferendo loro un potere reale. Le CDR accrescono inoltre la trasparenza e riducono la corruzione, eliminando molti degli intermediari che guadagnano sugli aiuti (Cliffe, Guggenheim, Koster). 16. Un’altra serie di problemi deriva dalla difficoltà a calibrare adeguatamente i livelli di aiuto nel tempo. Paul Collier e Anke Hoeffler della Banca mondiale hanno scoperto che la capacità di assorbimento degli aiuti nelle società che emergono da conflitti è per lo più la stessa che negli altri paesi in via di sviluppo nei primi tre anni dopo il conflitto, ma diventa pari al doppio nel resto del decennio. La capacità di assorbimento è una misura degli incrementi di aiuto necessari a promuovere attività economicamente produttive e indica il punto in cui ad un aumento degli aiuti non corrisponde un aumento delle attività produttive. 17. Generalmente nelle società postbelliche si verifica una breve fase di crescita molto rapida collegata all'improvviso afflusso di fondi e al ripristino delle infrastrutture; ciò rende gli aiuti insolitamente produttivi, anche se tale produttività può essere in parte annullata dagli alti livelli di corruzione, dalla violenza e dalla cattiva amministrazione.. I paesi studiati da Paul Collier hanno registrato una crescita media iniziale dell’1,13% più rapida di quella di altri paesi in via di sviluppo. Negli studi, la crescita tende a raggiungere un massimo tra il 4° e il 7° anno successivi al conflitto, ma può essere anche del 2% superiore alla normale crescita a lungo termine già nel periodo immediatamente posteriore alla fine del conflitto. 18. La necessità di aiuti esteri e la capacità del paese beneficiario di utilizzare tali aiuti aumenta quindi significativamente a tre anni dalla fine del conflitto. Sarebbe pertanto utile che gli aiuti esteri allo sviluppo aumentassero significativamente in tale fase. Nella pratica, tuttavia, le cose non vanno quasi mai in questo modo e gli afflussi più ingenti si verificano subito dopo il conflitto e tendono a diminuire da quel momento in poi (Collier and Hoeffler). Una volta che le telecamere sono partite, diventa molto difficile mantenere un elevato livello di interesse politico nei paesi donatori.

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19. In passato c'è stata la tendenza ad invitare i paesi che emergono da un conflitto ad adottare politiche che, pur essendo efficaci in condizioni normali, non lo sono in un contesto postbellico. Ciò è accaduto nei primi mesi dell'occupazione irachena quando alcuni funzionari dell'Autorità provvisoria della Coalizione hanno provato a trasformare il paese in un laboratorio per l’applicazione delle teorie neoliberiste a un contesto postbellico. Ci sono certamente molti casi in cui è corretto consigliare a un paese in via di sviluppo di privilegiare l'adozione di riforme macro e microeconomiche, soprattutto se le istituzioni di tale società appaiono in grado di sostenere l'impatto di un aggiustamento fiscale, monetario o comunque strutturale, oltre che di riforme microeconomiche come la privatizzazione. Raramente, tuttavia, le società che emergono dai conflitti sono in grado di sostenere tali aggiustamenti, almeno nel breve termine. Per questa ragione, Collier giunge alla conclusione provvisoria che tali società dovrebbero dare la priorità alle politiche sociali, per occuparsi in un secondo momento delle politiche settoriali e solo alla fine di misure macroeconomiche (Collier e Hoeffler). Mentre una riforma monetaria potrà chiaramente dare un contributo positivo nel periodo iniziale, non si può certamente dire lo stesso della privatizzazione del patrimonio pubblico.

II. L’IRAQ E L’AFGHANISTAN 20. I paesi occidentali siano impegnati in diversi progetti di ricostruzione, ma l’Iraq e l’Afghanistan sono attualmente quelli più analizzati: l’Occidente è infatti direttamente coinvolto in entrambi i conflitti e riconosce come la ricostruzione e lo sviluppo di questi paesi rispondano a suoi interessi vitali e strategici. Le due situazioni, tuttavia, differiscono in modo considerevole. In primo luogo, l’intervento americano in Afghanistan ha ricevuto l’approvazione della comunità internazionale, quale legittimo atto di autodifesa, cosa che non è successa con la campagna irachena (anche se il trasferimento della sovranità ha in parte modificato la situazione). Secondo, l’Iraq possiede enormi riserve petrolifere che, se sfruttate, contribuirebbero in misura significativa all'offerta globale di petrolio, e che potrebbero offrire le fondamenta al suo sviluppo economico futuro. Le ricchezze naturali dell'Afghanistan sono invece molto più limitate. Tuttavia il timore che il paese possa tornare ad essere un porto sicuro per i terroristi fa sì che la ricostruzione del paese resti una priorità per la comunità internazionale. Ciò detto, sotto molti aspetti i progressi compiuti in Afghanistan sono molto superiori a quelli fatti in Iraq e ciò appare in gran parte riconducibile ai diversi approcci e ruoli assunti dalla comunità internazionale, oltre che al diverso livello di resistenza alle forze occidentali. A. L’IRAQ 21. La gestione della situazione postbellica in Iraq si è rivelata molto più difficile di quanto i leader americani non avessero inizialmente previsto. Le truppe della Coalizione sono entrate in un paese la cui economia era già a pezzi. Secondo stime del Fondo monetario internazionale, l’economia irachena si è ridotta di quasi due terzi dal 1991 e il danno prodotto dalla guerra recente e dai saccheggi che le forze della Coalizione non sono riuscite a impedire spiegano solo in parte questa situazione. Le gravi condizioni in cui versa l’economia irachena sono il risultato di decenni di grave malgestione, delle difficili guerre contro l’Iran, il Kuwait e l’Occidente, della repressione interna e del malgoverno del regime di Saddam Hussein. Il regime internazionale delle sanzioni ha privato il paese di investimenti e divise estere per anni, promuovendo il mercato nero e gettando le basi per una diffusa cultura dell’illegalità e corruzione. Le guerre hanno fatto emergere quelli che alcuni hanno chiamato "imprenditori della violenza" o gruppi di imprenditori che hanno prosperato nel contesto generale della violenza. Secondo le stime, il 60% della popolazione vive grazie al programma “Oil for food” delle Nazioni Unite, un quarto dei bambini è malnutrito, almeno metà delle forze di lavoro sono disoccupate e il 50% della popolazione adulta è analfabeta. 22. Nei mesi recenti il paese ha conosciuto una sorta di boom dei consumi, innescato dall'afflusso degli aiuti e dalla decisione dell'Autorità provvisoria di aumentare i salari del settore

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pubblico. Anche l'inflazione sembra sotto controllo. Al momento tuttavia gran parte delle notizie non sono positive. L’Iraq dovrà in ultima analisi compiere tre transizioni simultanee: da economia di guerra a postbellica; da economia pianificata a economia di mercato e da economia di rendita basata sul petrolio a economia basata sulla diversificazione, la produzione e la produttività (OCSE, luglio 2003). A tutti gli effetti, i progressi sono stati pressoché inesistenti in tutte e tre le aree. 23. A prescindere da una valutazione sulle forze presenti in Iraq, e sulla loro adeguatezza ai fini di impedire che il paese sprofondasse nell'anarchia dopo la caduta di Saddam Hussein, è chiaro che nei mesi immediatamente successivi all’occupazione sono stati compiuti diversi errori: le autorità occupanti sono arrivate senza un piano realistico per la ricostruzione del paese. Il Dipartimento di Stato aveva preparato un piano completo che analizzava le prospettive irachene, indicava le misure da assumere e prevedeva molti dei problemi che sarebbero emersi, ma l'amministrazione responsabile sul campo, il Dipartimento della Difesa, ha deciso di non tenere conto né dello studio né dell’opinione di quanti lo avevano preparato. Il piano attuato inizialmente è stato sviluppato da persone con scarsa conoscenza dell'Iraq, e dava la sensazione di essere "una lista di cose rotte da aggiustare" (ICG); era inoltre basato su un'ideologia liberista che si è rivelata del tutto inadeguata alle circostanze. Inoltre, il livello di consultazione con il popolo iracheno è stato limitato, anche perché la situazione di sicurezza ha addirittura impedito al personale dell'Autorità di uscire dalla zona verde. L'Autorità stessa è stata bloccata da lotte burocratiche intestine e dalla presenza di personale con scarsissime esperienza in problematiche di sviluppo e conoscenza locale, che spesso ha abbandonato l’Iraq poco dopo il suo arrivo (Cha). I contatti con la popolazione irachena sono stati, al meglio, intermittenti, e ciò ha, a sua volta alimentato la frustrazione e, forse, il ciclo di violenze, esponendo le forze della Coalizione a gravi rischi. Infine, la decisione del novembre 2003 di accelerare il trasferimento di sovranità ha provocato un brusco cambiamento nella politica dell'Autorità provvisoria, spingendola a completare alcuni progetti senza tenere conto della loro utilità ai fini dello sviluppo generale del paese. Secondo alcuni rapporti, tale accelerazione ha aumentato le possibilità di corruzione (Rapporto ICG). La tempistica degli interventi di sviluppo è stata quindi dettata dalla politica piuttosto che da esigenze oggettive. 24. Come suggerito sopra, il piano di ricostruzione dell'Iraq (ammesso che ce ne esistesse uno) si basava su una rapida transizione al libero mercato mediante privatizzazioni, liberalizzazione degli scambi e apertura agli investimenti. L'obiettivo, di fatto, era di fare dell'Iraq un modello di ricchezza liberista all’interno di una regione fortemente statalista, corrotta e impoverita. L’approccio era animato dalle migliori intenzioni, ma è stato sviluppato senza alcuna consultazione reale con i più eminenti economisti iracheni e con la popolazione. Tralasciava inoltre di riconoscere come l'esistenza di un libero mercato poggi in primo luogo su istituzioni statali funzionanti e che l'Iraq aveva problemi molto gravi, che la semplice transizione all'economia di mercato non solo non avrebbe risolto, ma rischiava addirittura di aggravare. La strategia si è rivelata impraticabile, dato il caos e la violenza che hanno seguito il conflitto, la mancanza di uno stato legittimo, il degrado delle infrastrutture irachene e il diffuso, anche se ingiusto, sospetto che gli stranieri mirassero a impadronirsi delle risorse petrolifere dell’Iraq. Secondo diversi studi recenti, ciò ha eroso la fiducia dell'opinione pubblica mettendo l'Autorità provvisoria nell'impossibilità di assicurare un'applicazione reale del proprio piano. L’approccio iniziale è morto prima di trovare applicazione ed è stato sostituito da una sorta di "politica ad hoc" ancora caratterizzata da scarsa consultazione reale. 25. Tali errori hanno molte implicazioni in termini di sicurezza e i progressi nel campo dello sviluppo sono stati, ad oggi, molto limitati. Progetti di lavori pubblici, quali la semplice raccolta di rifiuti, sono stati totalmente inadeguati, le fabbriche restano abbandonate e spogliate delle attrezzature industriali, i servizi pubblici sono scarsi e gran parte delle infrastrutture danneggiate non è stata riparata. La disoccupazione è straordinariamente elevata, situazione pericolosamente aggravata dallo smantellamento dell’esercito nel maggio 2003 nonché dall'espulsione dall'amministrazione di 30.000 funzionari iracheni, perché membri del partito Baath. Tali decisioni hanno messo sulla strada migliaia di uomini armati complicando la ricostruzione dell'apparato

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statale. La maggioranza degli iracheni intervistati nel maggio 2004 dalla Oxford International ritiene che la ricostruzione debba ancora iniziare (Rapporto ICG). Sarebbe ingenuo rifiutare le implicazioni di sicurezza di questi problemi. Le masse di persone frustrate, prive di riferimenti e disoccupate hanno ampliato le fila dei miliziani che combattono le forze della Coalizione, rendendo più difficile il loro compito e aggravando il rischio di una possibile disgregazione dell'Iraq (Galbraith). 26. È difficile prevedere se le transizioni descritte sopra produrranno effettivamente i risultati sperati. Di fatto le forze della Coalizione continuano a subire attacchi da parte dei ribelli, di milizie religiose e tribali, elementi del vecchio regime e alcuni elementi esteri. Anche se le forze dei ribelli non sembrano in misura di assumere il controllo dello Stato, soprattutto fintanto che le forze militari americane restano preponderanti, esse hanno indubbiamente attestato un grave colpo al già debole sforzo di ricostruzione, accrescendo la sfiducia della popolazione irachena, attirando nuovi adepti o comunque accrescendone la propria popolarità. In agosto, in Iraq sono stati feriti 1.100 soldati americani, più che in qualsiasi altro mese dall'inizio della guerra. Alla fine dell'estate le unità americane erano impegnate in combattimenti nella città di Najaf, un sobborgo sciita di Baghdad, e nelle città sunnite di Fallujah, Ramadi e Samarra, tutte ampiamente sotto il controllo dei ribelli a due mesi dal passaggio del potere politico (Karl Vick, "US Troops see Highest Injury Toll Yet," Washington Post, 5 settembre 2004). Gli eventi di Najaf hanno indebolito l'autorità del governo transitorio di Iyad Allawi, già indebolito dalla riluttanza con cui i Kurdi accettano di sottoporsi alla sua autorità. 27. La criminalità comune e il terrorismo sono gravi ostacoli alla ricostruzione economica e politica, in quanto impediscono il libero spostamento di beni e persone, accrescono i costi di produzione e scoraggiano gli investimenti. Una parte sostanziale delle spese delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti va in misure di sicurezza e premi assicurativi (vicini al 30% del costo del personale) Due guardie di sicurezza per la protezione di dirigenti esteri possono costare 5.000 dollari al giorno e decine di dipendenti sono stati uccisi — cosa che sta provocando la fuga dei lavoratori, per non parlare dei potenziali investitori (Rapporto ICG). I funzionari della cooperazione e delle ONG sono praticamente nell’impossibilità di compiere il loro lavoro. 28. L’aumento della produzione di petrolio ha rappresentato una chiara priorità per quanti sono impegnati nello sforzo di ricostruzione, nella previsione che i proventi petroliferi potessero rappresentare un'importante fonte di finanziamento. I proventi petroliferi iracheni nel 2003 sono stati pari a circa 9,6 miliardi di dollari, nonostante l'assenza di entrate in aprile e maggio. Nel 2004, si prevede che raggiungano 17,7 miliardi, un incremento dell'85% rispetto all'anno precedente. Tali previsioni, tuttavia, risentono dell'elevato livello di incertezza che circonda le esportazioni petrolifere irachene future, oltre che dei continui attentati alle infrastrutture produttive (come i recenti attentati agli oleodotti nell'Iraq meridionale e settentrionale). Nel giugno 2004, la produzione di greggio irachena era pari a 1.703.000 barili al giorno. La media nella prima metà del 2004 è stata di 2.037.000 barili al giorno (Dipartimento dell'Energia americano). L’afflusso totale di fondi dall'avvio del fondo petrolifero per l'Iraq è stato pari a 20,2 miliardi di dollari (di cui 8,1 rappresentati dal programma "Oil for food" e 10,8 dai proventi delle esportazioni), contro un esborso di 11,3 miliardi di dollari, e 4,6 miliardi di impegni contrattuali in essere (Thomas Gareth Smyth). La società di revisione KPMG che lavora per le Nazioni Unite ha peraltro rilevato che i fondi derivati da tali guadagni non sono stati spesi in modo trasparente (“US is criticized over spending of Iraq oil revenues,” Financial Times, 22 giugno 2004). Il Fondo di sviluppo per l'Iraq ha raccolto proventi dell'esportazione del petrolio iracheno per 11,1 miliardi di dollari, oltre la metà dei 20,6 miliardi di entrate totali del fondo. Quasi la metà di questi 20 miliardi è stata spesa o stanziata entro il 28 giugno - mentre solo il 2% dei 18,4 miliardi promessi dagli Stati Uniti per la ricostruzione sono stati spesi. 29. Anche le imprese private occidentali svolgono un ruolo di primo piano nello sforzo di ricostruzione, anche se i risultati di tale coinvolgimento sono stati valutati in modo discorde. Trenta

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grandi imprese si sono aggiudicate contratti per la gestione di una serie di importanti progetti infrastrutturali. Tali contratti, del valore totale di 18,6 miliardi, sono stati oggetto di ampie critiche. Anche se le imprese avrebbero dovuto subappaltarli a imprese irachene, di fatto solo una minima parte dei lavori di ricostruzione sono stati assegnati ad iracheni. Inoltre, molte imprese occidentali hanno importato lavoratori dall'estero, anziché assumere in loco, suscitando il profondo risentimento della popolazione. Altri critici ritengono che i contratti siano solo un'ulteriore opportunità per regalare profitti alle imprese. Come si chiede Ed Kubba, della Camera di Commercio irachena-americana: "Se un’impresa si aggiudica un lavoro da 10 milioni dal governo americano e lo subappalta a 250.000 dollari a un'impresa irachena, siamo di fronte a un modo corretto di condurre gli affari o a corruzione?" (Rapporto ICG). 30. Fin dall'inizio, l'Amministrazione americana ha deciso di escludere dalle gare di appalto le società provenienti dai paesi che si sono opposti alla guerra Ciò era giustificato da ragioni di sicurezza, anche se la decisione di aggiudicare i contratti a imprese (come Haliburton) mediante licitazione privata ha suscitato molte critiche nel mondo politico americano. Gli esperti in problematiche di sviluppo ritengono che il prezzo di tali esclusioni ricadrà sull’Iraq, e che tutto questo rappresenti un’altra forma di “aiuto condizionato”. Nancy Birdsall e Todd Moss, del Center for Global Development di Washington, ritengono che limitando in questo modo l’acceso alle gare di appalto, gli Stati Uniti abbiano ridotto il valore degli aiuti del 15-30%, in quanto ciò impedisce ai paesi poveri di selezionare i produttori più efficienti. Secondo tali autori, dalle gare irachene sono state escluse alcune delle più esperte e competenti società internazionali, mentre il diffuso ricorso alla licitazione privata ha introdotto diverse pratiche subottimali, quali il “gold-plating” (o sovrafatturazione), su cui il governo USA ha ora aperto indagini formali. Ancora più preoccupante, tuttavia, è stata la riluttanza ad impiegare imprese e lavoratori iracheni nelle attività di ricostruzione. Il risultato in termini di sviluppo per dollaro speso non è stato dei più eclatanti (Birdsall and Moss). Considerato l'ampio numero di indagini cui sono sottoposti tali contratti, sembrerebbe che l'approccio prescelto non sia stato dei più efficaci. 31. A titolo di esempio dei problemi che possono emergere durante gli appalti in situazione postbellica, il corpo del genio militare statunitense aveva suggerito di far ricostruire a imprese private il cementificio iracheno di Sinjar, per 23 milioni di dollari. Fortunatamente per i contribuenti americani, ciò è stato giudicato troppo costoso e la fabbrica è stata rimessa nelle condizioni di funzionare grazie a un contributo di 10.000 dollari, prelevati dai fondi della 101° divisione aviotrasportata, e di 240.000 dollari reperiti nei conti bancari della stessa fabbrica. Tale soluzione estemporanea ha favorito una rapida ripresa delle attività (anche se la produzione resta ancora a metà della capacità originale), restituendo immediatamente posti di lavoro agli iracheni e accrescendo l’offerta di cemento (di cui si avverte necessità assoluta), senza sottrarre fondi alle già scarse risorse a favore dello sviluppo (Hamre). Episodi come questo confermano l'opinione di alcuni esperti di sviluppo, secondo cui l'esercito statunitense ha gestito meglio dell'Autorità provvisoria le attività pratiche necessarie a rimettere in piedi il paese e a sfruttare al meglio gli aiuti. 32. Nel maggio 2004 il numero di progetti di costruzione avviati dall'Ufficio iracheno per i progetti e gli appalti (Iraq Project and Contracting Office, PCO) era di solo 164 contro il 2.390 previsti fino al 2008. L'importo totale speso su questi e altri sforzi minori è di gran lunga inferiore alla stima di Banca mondiale/ONU sui “bisogni immediati di 17,5 miliardi di dollari per riportare l'infrastruttura e i servizi di pubblica utilità ai livelli del marzo 2003.” (World Bank Note, 14 gennaio 2004). Un'opportunità di creare occupazione e promuovere la creazione di capacità con la ricostruzione sembra essere andata perduta, così come l'opportunità di impiegare mano d'opera locale meno costosa per compire gran parte del lavoro. I funzionari del Dipartimento di Stato che hanno parlato con la Commissione quest'estate hanno chiaramente riconosciuto la necessità di nuovi approcci. B. L'ASSISTENZA ALL'IRAQ

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33. La ricostruzione dell'Iraq è attualmente finanziata da tre fonti principali: il Fondo di sviluppo per l'Iraq, risultato della Risoluzione ONU n. 1483; i saldi del programma Oil for food dell'ONU; e fondi iracheni precedentemente congelati. Nel giugno 2004 i fondi così disponibili erano pari a 23,4 miliardi di dollari (Cordesman). Il governo statunitense ha reso disponibili circa 21,0 miliardi negli esercizi 2003 e 2004, con gli Emergency Wartime Supplemental Appropriation Acts for Iraq reconstruction (rapporto GAO). I contributi internazionali, coordinati per la prima volta nell'ottobre 2003 alla Conferenza dei donatori di Madrid comprendono 13,6 miliardi in doni e prestiti impegnati per il 2004-2007 (esclusi gli Stati Uniti) (OMB report, Appendice II). In dicembre, inoltre, diversi Stati hanno accettato in linea di principio la richiesta di Washington di cancellare parte del debito iracheno, che ammonta alla cifra enorme di 120 miliardi di dollari a fronte di un PIL di solo 20 miliardi (Rapporto ICG). Per il momento, il rimborso del debito è stato rimandato al 2008, anche se i diciannove membri del Club di Parigi hanno di recente compiuto progressi su un accordo per una cancellazione parziale del debito sovrano e interessi del paese. Gli Stati Uniti, il cui credito ammonta a solo 2,19 miliardi, desiderano che almeno il 90% del debito venga cancellato, mentre altri paesi, fra cui Russia e Francia, considerano tale offerta eccessiva. I negoziatori americani sperano di convincere i paesi contrari con la promessa di accordare analoghi alleggerimenti del debito ad altri paesi poveri d'Africa, Asia e America latina. Se non vengono risolti questi problemi sarà impossibile aumentare la fiducia fra i potenziali nuovi investitori. L'obiettivo è di riuscirci entro la fine dell'anno (Schroeder). 34. Anche il governo americano contribuisce agli sforzi di assistenza internazionali, anche se dà chiaramente priorità agli aiuti bilaterali. Su 21 miliardi stanziati dal Congresso, gli Stati Uniti hanno offerto solo 10 milioni alla International fund facility durante l'ultima conferenza dei donatori a Doha nel maggio 2004 (OMB report, Appendice II). 35. L'uso dei fondi bilaterali è tuttavia più difficile a controllare. Prima dello scioglimento dell'Autorità provvisoria, circa 11,3 miliardi di dollari dei 20,2 impegnati per il Fondo di sviluppo erano stati spesi, e altri 4,6 miliardi sono stati impegnati prima del passaggio di consegne (Rapporto GAO, p. 2; Economist, 24 marzo 2004). Per contro, dei fondi stanziati dagli Stati Uniti finora sono stati spesi solo 6-800 milioni (Simpson, Chicago Tribune, 18 agosto 2004). Alcuni accusano l'Autorità di avere una struttura talmente burocratica da complicare in modo straordinario l'esborso di fondi. Nondimeno, il governo americano afferma che sono attualmente in corso ben 2.300 progetti americani prezzo 100 cantieri con l'impiego di circa 80.000 iracheni. 36. Prima che la sovranità venisse trasferita al nuovo governo transitorio il 28 giugno 2004, l'Autorità provvisoria della Coalizione gestiva il Fondo di sviluppo in consultazione con l'amministrazione provvisoria irachena, mentre la Commissione internazionale di consulenza e monitoraggio (International Advisory and Monitoring Board, IAMB) aveva responsabilità di verifica. L’Ufficio iracheno per i progetti e gli appalti (PCO), sottoposto all'Autorità provvisoria/al Dipartimento della Difesa, gestiva i fondi dell’International Reconstruction Fund Facility per l'Iraq (IRRFI). Le agenzie incaricate dell'attuazione del programma erano diverse:il Dipartimento della Difesa, USAID, il Dipartimento di Stato, del Tesoro e l'Istituto per la Pace americano (OMB). Il 28 giugno 2004, il nuovo governo transitorio iracheno ha assunto la responsabilità del Fondo di sviluppo per l'Iraq. Inoltre, una direttiva presidenziale dell'11 maggio ha trasferito la responsabilità del coordinamento degli aiuti statunitensi dal Dipartimento della Difesa a quello di Stato. Attualmente , quindi, l'assistenza americana è gestita dall'Ambasciata americana a Baghdad, sotto la direzione generale e supervisione del Segretario di Stato Colin Powell e dell'Ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq John Negroponte. Tale cambiamento è stato un sollievo per molti esperti di sviluppo. Molti infatti accusano il Dipartimento della Difesa di avere guidato lo sforzo di ricostruzione senza una pianificazione efficace e affidandosi a un numero sorprendente di persone molto inesperte (in molti casi, l'incarico di gestire ingenti fondi è stato assegnato a neolaureati senza alcuna esperienza professionale o formazione nello sviluppo) (Cha), oltre che rifiutando qualsiasi consultazione regolare con le agenzie più esperte in questo settore.

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37. Sotto l'Autorità provvisoria, gli sforzi di ricostruzione si sono concentrati essenzialmente su importanti lavori di costruzione e riparazione delle infrastrutture, con particolare attenzione al petrolio, l'acqua e l'elettricità. Ci sono stati tuttavia gravi problemi. L'esborso di fondi non è stato abbastanza tempestivo mentre il clima di insicurezza ha ampiamente ostacolato lo svolgimento dei lavori. Il ripristino dell'energia e di altri servizi non ha rispettato i tempi previsti mentre l'economia produttiva reale non ha ancora iniziato a funzionare normalmente (Croker). 38 Come suggerito sopra, un'eccezione alla valutazione generalmente negativa dello sforzo di ricostruzione è rappresentata dai progetti, relativamente piccoli, gestiti da alti ufficiali americani attraverso il Commander’s Emergency Response Program; secondo la stima di esperti, tale programma ha conseguito risultati migliori dei progetti, ambiziosi ma irrealistici, dell'Autorità provvisoria (Cordesman). Di fatto le forze militari americane hanno partecipato a diversi aspetti della ricostruzione; attraverso il Commander’s Emergency Response Program, diversi alti ufficiali americani hanno potuto disporre di ingenti fondi discrezionali utilizzati per un’ampia gamma di interventi, dalla riparazione delle fognature all’assunzione di guardie per la protezione delle infrastrutture essenziali (Pollack). Secondo uno studio, alcuni comandanti hanno speso fino a 6 milioni di dollari a settimana per questi sforzi, e gran parte di tale spesa sembra essere stata efficace, soprattutto dopo che i militari hanno fatto tesoro degli insegnamenti tratti dalla loro esperienza. 39. Le autorità americane hanno diviso il PCO, responsabile della gestione dell'IRRFI, in due entità. Un'organizzazione temporanea, l'Ufficio internazionale per la gestione della ricostruzione (International Reconstruction Management Office, IRMO), gestito dall'Ambasciata americana, ha il potere di sorvegliare lo sforzo di ricostruzione e coordinare le altre attività di assistenza americane in Iraq. L’Ufficio delinea l'approccio strategico degli aiuti americani e offre supporto consultivo ai ministri iracheni. A partire da settembre, sarà guidato dall'ambasciatore William Taylor (incontrato a Washington dai membri della Commissione). Le diffuse critiche alla gestione dell'Autorità provvisoria sia del Fondo di sviluppo che dell'IRRFI (verifica contabile di KPMG) hanno indotto il Dipartimento di Stato ad avviare una profonda revisione della propria politica di assistenza all'Iraq, i cui risultati erano attesi per il luglio 2004 (ma non ancora conclusa al momento in cui viene scritta questa relazione). 40. Il Segretario di Stato Colin Powell ha cercato di chiarire le nuove priorità: accelerare il processo di impegno dei fondi dell'IRRF; riorientare i fondi verso progetti più piccoli con un impatto più tempestivo e diretto sulla società irachena; coinvolgere gli iracheni più direttamente nella pianificazione e l’attuazione di progetti di ricostruzione a finanziamento americano creando nuovi posti di lavoro; offrire assistenza all'organizzazione delle elezioni del gennaio 2005; migliorare il coordinamento con i partner della Coalizione e gli organismi internazionali (Eckholm). Ciò richiederà la riallocazione di alcuni fondi stanziati per i contratti in corso e il ritiro di alcune restrizioni poste dal Congresso. Il programma del Dipartimento di Stato riflette in modo molto più fedele l’opinione di consenso fra gli esperti di sviluppo sulle iniziative da assumere. L'Amministrazione ha avuto il buon senso di apportare una correzione di rotta a un processo che si stava dirigendo a tutta velocità verso il fallimento. Il problema centrale è ora di capire se la difficile situazione attuale renderà possibile l’attuazione delle misure correttive. C. L'ASSISTENZA DELLE NAZIONI UNITE ALL'IRAQ 41. Dato che il Consiglio di Sicurezza non ha mai approvato l’intervento*, le Nazioni Unite sono state estremamente prudenti nelle loro attività nella regione. Il loro dilemma è stato grave: mantenendo una posizione defilata, infatti, avrebbero rischiato di aggravare ulteriormente la già grave situazione umanitaria. Per questo, le Nazioni Unite hanno deciso di proseguire con la fornitura di alcuni servizi fondamentali all’Iraq pur chiedendo alle proprie agenzie di “mantenere il * Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno opinioni diverse al riguardo.

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pieno controllo” delle proprie attività e di evitare attentamente qualsiasi indicazione di sostegno politico (Durch). Ciò le ha portate a non potere operare al di fuori di immobili controllati dalla Coalizione. 42. La situazione giuridica internazionale è evoluta considerevolmente dall'inizio del conflitto. Dopo un ampio ed spesso aspro dibattito, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la Risoluzione 1483 che (1) ha levato le sanzioni economiche preesistenti sull’Iraq, (2) ha riconosciuto, senza autorizzarla, la posizione degli Stati Uniti e del Regno Unito quali potenze occupanti ai sensi della Convenzione di Ginevra, (3) ha invitato le altro potenze in Iraq a collaborare con l’Autorità provvisoria della Coalizione. Tale risoluzione ha inoltre creato un Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite con il mandato di collaborare con tale autorità, con il popolo iracheno e altri alla creazione di un governo rappresentativo nel nuovo Iraq. Tale incarico era stato affidato a Sergio Vierra de Mello, ma questi è stato successivamente ucciso, insieme ad altri colleghi, in un attentato al Quartier generale delle Nazioni Unite nell’agosto 2003. In seguito a tale incidente, il Segretario generale ha ritirato la maggior parte del personale delle Nazioni Unite dal paese, così come l'FMI e la Banca mondiale. Il personale ONU è stato successivamente stanziato a Cipro, in Giordania e Kuwait. 43. Nell’ottobre 2003, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la Risoluzione 1511, riconoscendo infine il ruolo degli Stati Uniti e del Regno Unito nell’occupazione dell’Iraq. Nel gennaio di quest’anno, Kofi Annan ha proposto di rimandare in Iraq una missione delle Nazioni Unite, a condizione che ne venga assicurata l’autonomia. Tale missione, guidata da Lakhdar Brahimi, ha aiutato a selezionare un consiglio di governo più rappresentativo, che ha rilevato la sovranità dalla Coalizione guidata dagli Stati Uniti a giugno e governerà l'Iraq fino a quando non sarà possibile svolgere elezioni dirette (Wright, 2 marzo 2004). Un passo importante è stato compiuto in marzo quando il Consiglio di governo ha firmato una costituzione provvisoria, superando le obiezioni iniziali del leader sciita, l’ayatollah al Sistani. Tale costituzione provvisoria resterà in vigore fintanto che un’assemblea elettiva non avrà predisposto una carta definitiva, da sottoporre a referendum nazionale (Chandrasekaran). Le Nazioni Unite hanno assistito, ma non sponsorizzato, la preparazione e l'organizzazione della conferenza nazionale che ha scelto l'assemblea nazionale provvisoria con potere di veto su qualsiasi decisione del governo transitorio. Il problema è che molti dei gruppi dissenzienti in Iraq restano al di fuori di tale consesso, sia per scelta che per esclusione, e quindi non cercheranno di contribuire al suo successo (Drummond). Le Nazioni Unite stanno anche aiutando la preparazione delle elezioni nazionali da organizzare entro il gennaio 2005. Una missione ONU guidata da Carina Perelli si è di recente recata in Iraq per dare la propria assistenza nella nomina di una Commissione elettorale indipendente che controlli il regolare svolgimento delle elezioni. 44. Il 13 luglio 2004 il diplomatico pakistano Ashraf Jehangir Qazi è stato nominato in sostituzione di Sergio Vieiro de Mello quale nuovo rappresentante speciale permanente del Segretario generale, con funzioni anche di capo della Missione ONU di assistenza per l'Iraq (UNAMI). Il rientro dell'UNAMI in Iraq, tuttavia, dipende dalle condizioni di sicurezza. Il Segretario generale colloca attualmente il livello di rischio fra elevato e critico e quindi non ha consentito il pieno dispiego del personale ONU nel paese (Annan Report). La Risoluzione 1546 affronta la questione relativa alla creazione di una forza multinazionale concepita specificatamente per garantire la sicurezza del personale ONU. Tuttavia la comunità internazionale non ha ancora offerto forze sufficienti per svolgere tale missione. 45. Le attività delle Nazioni Unite in Iraq riguardano tre macrosettori: il coordinamento e l'attuazione di progetti per la ricostruzione economica e sociale del paese; la gestione e il controllo dei fondi offerti per la ricostruzione; l'offerta di sostegno al processo politico e costituzionale. La creazione di una capacità di autogoverno, la ricostruzione, lo sviluppo e l'assistenza umanitaria sono priorità massime. Un Team paese delle Nazioni Unite (UNCT) riunisce tutte le 20 agenzie

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ONU e i programmi che hanno attività in Iraq1. Il lavoro dell'UNCT è diviso in undici settori2 impostati su cinque temi collegati: sicurezza, diritti umani, parità dei sessi, ambiente e creazione di occupazione (NY Times 20 luglio 2004, 6 agosto 2004). 46. Le Nazioni Unite custodiscono i fondi che la comunità internazionale ha stanziato alla conferenza di Madrid dell'ottobre 2003. Il Trust Fund delle Nazioni Unite, insieme a quello della Banca mondiale, compone l’International Reconstruction Fund Facility per l'Iraq (IRFFI) e ha ricevuto impegni per 600 milioni di dollari. Nei primi sei mesi del 2004, sono stati attuati progetti per un valore di 100milioni (Annan Report). L'ultima riunione del Comitato dei donatori a Doha ha definito le seguenti priorità per l'uso dei fondi IRFFI: ripristino dei servizi esenziali con enfasi su salute e istruzione, ripristino delle infrastrutture, creazione di occupazione, buon governo e costruzione di capacità politiche. Le Nazioni Unite sono anche interessate a misure che possano promuovere la creazione di occupazione (Ross Mountain). D. L'ASSISTENZA DELLA UE ALL'IRAQ 47. Il 9 giugno 2004 la Commissione europea ha proposto un nuovo quadro di riferimento per i rapporti fra l'Unione europea e un Iraq sovrano. La nomina di un nuovo governo transitorio iracheno, il pieno trasferimento della sovranità e del potere il 30 giugno 2004 e il rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite hanno aperto la strada a un coinvolgimento della UE nello sforzo di ricostruzione, cosa che era politicamente impossibile prima del trasferimento della sovranità. La Commissione spera di contribuire allo sviluppo di un Iraq stabile e democratico e alla creazione di un'economia di mercato aperta, stabile sostenibile e diversificata. Pertanto, darà sostegno alle elezioni e contribuirà allo sviluppo della società civile, dello stato di diritto e dell'educazione elettorale; avvierà inoltre un dialogo politico informale UE/Iraq incoraggiando nel contempo il coinvolgimento positivo dei paesi vicini. La UE prevede anche di estendere le preferenze commerciali nel quadro del GPS (sistema generale delle preferenze) e di offrire sostegno alla ristrutturazione/cancellazione del debito. Ha inoltre riunito un pacchetto di aiuti umanitari e di ricostruzione di 305 milioni di euro. 48. In ultima analisi la Commissione spera anche di lanciare un dialogo politico formale con il governo, creare gruppi di lavoro in settori di reciproco interesse, sostenere il dialogo regionale e le misure di creazione della fiducia, promuovere la democratizzazione e i diritti umani, ampliare l'assistenza tecnica bilaterale e i programmi di capacity building. Dopo che il popolo iracheno avrà adottato una costituzione ed eletto un governo, l'UE prevede di adottare misure di medio termine fra cui: l'apertura di negoziati per instaurare relazioni contrattuali UE/Iraq; assistenza alla diversificazione economica e riduzione della povertà; ulteriori aiuti per la democratizzazione, la 1 Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l'Asia occidentale (ESCWA);

l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO); l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO); l'Organizzazione internazionale sulle migrazioni (IOM); l'Unione internazionale per le telecomunicazioni (ITU); l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR); il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP); il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP); l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO); il Fondo delle Nazioni Unite per le attività demografiche (UNFPA); il Centro per gli insediamenti umani delle Nazioni Unite (UN-HABITAT); l'Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR); Il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF); l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO); il Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per le donne (UNIFEM); il Programma antimine delle Nazioni Unite (UNMAS); l'Ufficio delle Nazioni Unite sulle droghe e la criminalità (UNODC); l'Ufficio delle Nazioni Unite per i servizi e i progetti (UNOPS); il Programma mondiale per l'alimentazione (WFP); l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

2 1. istruzione e cultura; 2. sanità; 3. acqua e infrastrutture sanitarie; 4. infrastrutture e abitazioni; 5.

agricoltura, risorse idriche e ambiente; 6. sicurezza alimentare; 7. azione anti-mine; 8. sfollati e rifugiati; 9. governance e società civile; 10. riduzione della povertà e sviluppo umano; 11. sostegno al processo elettorale.

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tutela dei diritti umani, lo stato di diritto; crediti della Banca europea per gli investimenti. (www.europa.eu.int - 16 giugno 2004; sito della DG RELEX). 49. Sul fronte della sicurezza, anche se diversi paesi europei stanno collaborando alla Coalizione guidata dagli americani, Francia, Germania e altri governi membri della UE non sono pronti a dispiegare truppe in un paese dilaniato dalla guerra, e di recente la Spagna si è ritirata dalla Coalizione. Gli europei sono restii a farsi coinvolgere in una missione di crescente complessità e sempre più impopolare nei loro paesi. Il Presidente francese Chirac ha dichiarato che sosterrà il dispiegamento di forze NATO solo “se il governo sovrano dell'Iraq esprimerà chiaramente il desiderio che ciò accada”. Al vertice di Instanbul, i membri della NATO hanno convenuto di offrire addestramento alle forze di sicurezza irachene e di inviare 300 soldati nel paese. Nei prossimi mesi, la NATO discuterà se assumere un ruolo maggiore nell'addestramento anche se attualmente non c'è un consenso sulla direzione da prendere (Dombey). 50. Come suggeriscono i recenti eventi di Najaf, la situazione in Iraq resta molto fluida. Il paese è ancora molto instabile e le tensioni religiose aumentano. La sfida immediata, di fatto, riguarda il ripristino di un minimo di sicurezza nel paese, un obiettivo che a oggi appare difficile da conseguire e che sta complicando seriamente il compito degli operatori dello sviluppo. Resta da vedere se gli ufficiali della coalizione e l’emergente gruppo dirigente iracheno riusciranno a invertire la situazione o, almeno, a tenere insieme il paese. Sarà quindi cruciale che la comunità internazionale assuma un ruolo maggiore, facilitata dal trasferimento della sovranità a un'autorità irachena. E. L’AFGHANISTAN 51. Venti anni di guerra, siccità e di cattivo governo hanno trasformato l’Afghanistan in uno dei paesi più poveri del mondo. Il reddito pro capite è stimato a 300 dollari, e le infrastrutture continuano a versare in uno stato terribile, quando non mancano del tutto. Il sistema viario è fortemente trascurato, le interruzioni nella fornitura di elettricità sono comuni, l’acqua potabile è scarsa, e signori della guerra, ribelli e burocrazia statale contribuiscono a scoraggiare l'attività commerciale ed economica. Eppure l'economia ha compiuto qualche progresso negli ultimi due anni e ci sono segnali di attività economica nelle aree in cui esiste un ragionevole grado di sicurezza. La riforma valutaria del 2002 ha dato stabilità alla moneta nazionale e sta gettando le basi per le transazioni economiche. Come in Iraq, tuttavia, le condizioni precarie di sicurezza ostacolano gravemente la ripresa dell’attività. Secondo un recente studio fondato sull’analisi di Collier-Hoeffler sui fattori che determinano la crescita in contesti postbellici, nei primi mesi del 2004 l’Afghanistan ha sperimentato un’accelerazione della crescita in quelle città caratterizzate da un ragionevole grado di sicurezza. Con l'aiuto internazionale, l’agricoltura ha cominciato a riprendersi dopo anni di siccità e disattenzione. 52. L’agricoltura è un altro settore all’origine di preoccupazioni. Gran parte dell’infrastruttura agricola è stata distrutta nei due decenni di guerra, lo stato di salute del bestiame è precario, e circa il 40% dei bovini e ovini soffrono di afta epizootica, che i veterinari americani stanno contribuendo a combattere. La guerra civile ha praticamente distrutto la rete di irrigazione costruita dai Sovietici. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione della criminalità, la coltivazione del papavero è diffusa in 28 delle 32 province afghane, contro 14 nel 2001, e ha fruttato agli agricoltori circa 1 miliardo nel 2003. Tali fondi hanno un impatto distorsivo sull’economia nazionale, in quanto finanziano signori della guerra e terroristi, e contribuiscono al clima di illegalità generale che regna in gran parte delle campagne. Stanno inoltre provocando tensioni con gli altri paesi dell'Asia centrale, la Russia e la comunità internazionale in senso lato. La FAO ha di recente stimato a 25,5 miliardi di dollari i fondi necessari a finanziare colture alternative in un paese che dipende in misura crescente dall’oppio per la creazione di ricchezza nelle campagne. Se il problema non è affrontato, il paese rischia di diventare presto un narco-stato ingovernabile – aperto alla penetrazione della criminalità e dei gruppi della Jihad islamica che

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prosperano nell’illegalità. Per quest’anno, l’Afghanistan prevede una raccolta di oppio abbondante, che rifornirà il 90% dell’eroina europea generando circa un terzo del PIL del paese (Champion, Burnett). 53. In diversi rispetti, la situazione afghana presenta alcune somiglianze superficiali con quella irachena, ma in realtà le differenze sono importanti. In primo luogo, il fatto che l'ONU avesse legittimato l'intervento iniziale in Afghanistan ha consentito alla comunità internazionale di gestire le operazioni con più facilità. Con la risoluzione 1368, il Consiglio di Sicurezza chiede che i responsabili, mandanti ed esecutori degli attentati dell’11 settembre vengano consegnati alla giustizia; con la risoluzione 1378, esprime il proprio sostegno agli sforzi del popolo afghano per sostituire il regime talebano; con la risoluzione 1386, emessa il 20 dicembre 2001, autorizza la creazione della International Security Assistance Force (ISAF) per aiutare a difendere la sicurezza a Kabul e nelle aree circostanti (tale forza è stata poi rilevata nell’agosto 2003 dalla NATO ed è attualmente sotto comando francese); con la risoluzione 1401 del 28 marzo 2002 crea una missione ONU di assistenza all’Afghanistan (UNAMA). Tramite queste decisioni, la comunità internazionale ha, da un lato, autorizzato gli sforzi a guida americana tesi a rovesciare il regime talebano, dall’altra ha legittimato la piena partecipazione della comunità internazionale alla ricostruzione dell’Afghanistan. A differenza dell’Iraq, quindi, la comunità internazionale ha accettato le proprie responsabilità nella riabilitazione del paese; l’impegno delle Nazioni Unite e di molti paesi membri in Afghanistan è pertanto totale, risultato più difficile da conseguire in Iraq. 54. Le Nazioni Unite hanno infatti esitato ad assumere un ruolo maggiore in Iraq, mentre sono state di enorme aiuto in Afghanistan, dove hanno offerto un quadro di riferimento per la ricostituzione di un governo centrale e fornito assistenza alla popolazione. Nel dicembre 2001, i funzionari ONU e altri rappresentanti della comunità internazionale hanno contribuito a promuovere l’accordo di Bonn, che ha definito la strada per la ricostruzione del paese dal punto di vista politico ed economico. Il 22 dicembre 2001 è stato creato un governo provvisorio guidato da Hamid Karzai. Successivamente, nella primavera del 2002, l’ONU ha contribuito in modo fondamentale a organizzare una prima Loya Jirga, che ha riunito 1500 delegazioni da 400 distretti afghani per definire una mappa del futuro politico del paese; una seconda Loya Jirga nel gennaio 2004 ha definito una nuova costituzione per la creazione di una repubblica islamica (Ghani). Nella primavera scorsa, Berlino ha ospitato un’altra conferenza dei donatori che ha raccolto altri 4,4 miliardi per la ricostruzione dell’Afghanistan e in ottobre gli afghani sceglieranno un nuovo presidente nel corso di elezioni che stanno ricevendo molto sostegno da parte della comunità internazionale. A oggi nove milioni di afghani si sono registrati per partecipare al voto. Un alto funzionario del Dipartimento di Stato ha dichiarato ai membri di questa Commissione nel giugno 2004 che l'impegno attivo delle Nazioni Unite in ogni aspetto della ricostruzione afghana e l'appoggio della comunità internazionale rappresentano un’importante differenza rispetto alla situazione in Iraq (Relazione del segretariato, 145 EC 04 E). Anche se ostacolato da gravi problemi il governo è riuscito a conquistare un sorprendente sostegno dell'opinione pubblica (il 68-73% della popolazione, secondo sondaggi recenti). Ma il sostegno al governo non proviene solo dall'Afghanistan. L'Organizzazione delle conferenze islamiche lo ha accolto con favore, così come diversi altri governi della regione. Anche il Consiglio di Sicurezza ha aggiunto la propria autorizzazione, rafforzata ai vertici di Sea Island, Dublino e NATO. La legittimità di questo nuovo Stato offre, a sua volta, un punto di riferimento importante alla comunità dello sviluppo. 55. Ciò detto, ricostituire un governo centrale sovrano, legittimo, efficace e che goda di ampio riconoscimento è stato molto difficile. Le difficoltà sono principalmente riconducibili alle difficili condizioni di sicurezza, che, come in Iraq, restano la principale barriera all’attuazione di strategie per la fornitura di aiuti umanitari, la ricostruzione e lo sviluppo. I talebani danno segnali di recrudescenza, e i signori della guerra -- molti dei quali godrebbero di posizioni privilegiate all’interno del governo centrale (Rashid) –sono una presenza radicata nel paese e oppongono seri ostacoli all’istituzione di un’autorità di governo centrale con presenza nazionale, alla tutela dei diritti umani e alla creazione di un mercato nazionale integrato. Le forze di questi signori della

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guerra, stimate intorno ai 100.000 uomini (Rashid), sono implicate in ogni tipo di attività criminale, compreso il commercio di oppio (molto redditizio), e le attività di estorsione, furto e omicidio. Il rinascente gruppo dei talebani ha preso di mira gli operatori internazionali, le ONG e gli uffici ONU. Nel novembre 2003, l’UNHCR ha temporaneamente ritirato il personale internazionale dalle regioni meridionali e orientali del paese dopo l’uccisione di una dipendente francese (Burnett) e Médecins sans Frontières ha lasciato il paese dopo che diversi suoi operatori sono stati uccisi dai ribelli. I crimini di alcuni di questi capi locali sono particolarmente raccapriccianti e indicano un grave disprezzo dei diritti umani (Heffernan, Leaning). Ciò ha indotto alcuni a chiedere che i donatori occidentali veicolino il massimo degli aiuti possibili attraverso il governo centrale in modo da rafforzare la sua autorità sull’intero paese. 56. Il problema è aggravato dal limitato numero di forze occidentali nel paese. L’ISAF è confinata a Kabul mentre le forze USA, impegnate nell’operazione Enduring Freedom, combattono i talebani e cercano al-Qaeda soprattutto nelle province meridionali ed orientali. Un certo numero di paesi NATO sostengono le unità di ricostruzione provinciale (Provincial Reconstruction Teams, PRT) ciascuna composta da 200-300 persone e impegnate in tutto il paese a sostegno della ricostruzione. Ma alcuni ritengono che tali unità non abbiano le forze sufficienti per garantire la sicurezza della popolazione e non siano in grado di contribuire alla soluzione dei conflitti locali o impedire il traffico di oppio (Rashid). In settembre i governi dei paesi NATO hanno convenuto di aumentare il numero di soldati a 10.000 al fine di contribuire in misura più efficace all'ampliamento dell’autorità del governo centrale. Le forze stanno uscendo dalla enclave di Kabul verso le aree di Faryab, Badakhshan e Baghlan, e Konduz (Burnett 14 luglio 2004). Sembra quindi che i governi dei paesi NATO abbiano infine inteso il messaggio dell'ex Segretario generale Lord Robertson, secondo cui in Afghanistan è in gioco la credibilità stessa della NATO quale alleanza capace di gestire operazione al di fuori dell'Europa. La NATO accrescerà le unità di ricostruzione provinciale PRT dispiegando una forza di reazione rapida a Mazar i Sharif. Tali iniziative contribuiranno ad aumentare la sicurezza ma non garantiranno la soluzione di tutti i problemi, soprattutto se le forze occidentali non estendono il loro mandato a una gestione più decisa del problema dell'oppio. Le regioni a sud del Pakistan sono fuori controllo e le violente azioni degli estremisti islamici hanno paralizzato gli sforzi di ricostruzione. Oltre trenta operatori sono stati uccisi da gennaio e i documenti delle nazioni Unite indicano che un terzo del paese e controllato da pericolosi oppositori del governo (Burnett, 19 agosto 2004). 57. In realtà, se il numero di soldati occidentali in Iraq appare limitato rispetto ai bisogni del paese, tale disparità è ancora più impressionante in Afghanistan. La situazione si è ulteriormente aggravata con l’inizio della guerra in Iraq, e ciò ha indotto gli occidentali a perseguire una strategia di collaborazione con i signori della guerra locali, contro i talebani e al-Qaeda e per il ripristino dell’autorità centrale. Purtroppo, tuttavia, i signori della guerra pongono essi stessi una grave minaccia alla stabilità e unità del paese e impediscono gli sforzi di integrazione e riforma. Tuttavia il governo sta facendo progressi anche questo settore. Anche se l'esercito nazionale afghano è ancora meno organizzato degli eserciti privati del paese, esso sta aumentando di dimensioni e forza e ha il vantaggio potenziale di essere etnicamente diversificato e, quindi, realmente nazionale. Le forze nazionali di polizia si compongono ora di circa 23.000 unità e sono addestrate da personale statunitense e tedesco (Burnett, 19 agosto 2004). 58. Reperire fondi sufficienti a finanziare gli aiuti umanitari, la ricostruzione e progetti di sviluppo più a lungo termine è stato molto difficile. L’Afghanistan ha bisogno contemporaneamente tanto di aiuti umanitari, per la ricostruzione e lo sviluppo, che di un significativo sostegno politico e alla sicurezza. Secondo molti esperti, il livello di sostegno su tutti questi fronti non è stato sufficiente neanche a soddisfare le esigenze minime del paese. D'altra parte, la presenza nel paese di così tante agenzie di aiuti, funzionari per stranieri e ONG ha, paradossalmente, messo a dura prova le capacità organizzative del governo e reso ancora più difficile il conseguimento di una qualche coerenza politica. Secondo alcuni, per esempio, le ONG spesso non si consultano con i ministri competenti, mentre il governo tende a sottovalutare il ruolo potenziale di tali organizzazioni

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nell’assistenza agli elementi più vulnerabili della popolazione. È necessario che fra donatori e governo si instauri un maggiore livello di comunicazione, anche se ciò è difficile quando il governo stesso è sotto una tale pressione. 59. Il governo ha definito una linea politica di sviluppo per molti versi efficace, in cui accorda maggior importanza alle politiche sociali, proprio come raccomandato dall'analisi di Collier. I programmi di ritorno a scuola, le politiche contro la discriminazione sessuale e sulle iniziative di investimento orientate alla comunità locale, oltre che i progetti di lavori pubblici a uso intensivo di manodopera (che hanno creato 2 milioni di giornate lavorative nell’inverno scorso) hanno migliorato la vita di molti afghani e conquistato sostegno al governo. Il Programma di solidarietà nazionale ha aiutato le comunità a definire le proprie priorità e finanziato i progetti necessari a conseguirle. Tuttavia, tali sforzi si scontrano con una resistenza evidente. In gran parte del paese è impossibile introdurre qualsiasi tipo di programma di sviluppo a causa dell’instabilità locale, dell'azione dei ribelli e della mancanza di cooperazione da parte dei leader locali, interessati solo a mantenere i propri privilegi. 60. Il governo di Karzai ha anche cercato di stimolare l’attività nel settore privato, in particolare nell’agricoltura, e spera di rivitalizzare l’esportazione di prodotti tradizionali quali noci, frutta secca e tappeti, oltre alle riesportazioni; più a lungo termine, l’obiettivo è anche di sfruttare il potenziale turistico. Sempre sul lungo termine, si spera anche di costruire una rete di trasmissione dell’energia che colleghi la regione caspica con i dinamici mercati di India e Pakistan. Ma fintanto che il paese non si stabilizzerà, tali progetti sono probabilmente destinati a restare sulla carta. Il costo del capitale resta molto elevato in Afghanistan anche se il governo sta facendo alcuni prestiti agevolati per stimolare il settore commerciale. 61. La comunità internazionale ha contribuito in modo fondamentale alla ricostruzione e al consolidamento dell'autorità del governo centrale. I partecipanti alla Conferenza di Tokyo nel gennaio 2002 hanno esaminato la bozza di programma di ricostruzione predisposta dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), dalla Banca mondiale e dalla Banca asiatica per lo sviluppo e si sono impegnati a finanziarlo. Tuttavia, come in Iraq, monitorare il rispetto di tali impegni rappresenta una sfida, dato il grado variabile di trasparenza che contraddistingue i programmi dei donatori, i conflitti fra cicli di bilancio e cicli di pagamento, e la mancanza di chiarezza nella distinzione fra doni e prestiti o nella destinazione dei fondi (per es. ad aiuti umanitari o assistenza alla ricostruzione). La maggior parte dei fondi sono stati erogati direttamente all’ONU, a istituzioni di credito internazionali, al Comitato internazionale della Croce Rossa e a ONG, lasciando inizialmente solo un piccolo fondo per le attività del governo provvisorio. 62. Il governo afghano ha avuto difficoltà a gestire i diversi, e spesso contrastanti, interessi politici dei donatori. Il compito di orientare lo sforzo di ricostruzione è stato affidato al comitato per la ricostruzione afghana (Afghan Reconstruction Steering Group, ARSG), presieduto da Stati Uniti, UE, Giappone e Arabia saudita, anche se alcuni osservatori temevano inizialmente che gli interessi del governo afghano venissero ignorati. Successivamente, il governo provvisorio e l'ARSG hanno creato un gruppo consultivo presieduto dal governo, con il compito di promuovere sistematicamente l'inclusione del punto di vista afghano nel processo decisionale, mentre il Fondo per la ricostruzione dell’Afghanistan (Afghanistan Reconstruction Trust Fund) contribuisce a finanziare il bilancio nazionale in modo da ampliare l’autonomia finanziaria del governo. Ciò rappresenta un progresso critico in quanto la definizione delle priorità di bilancio resta uno dei passi più importanti nel processo di ricostruzione postbellica ed è fondamentale che i paesi donatori lascino che i leader nazionali vi svolgano un ruolo di preminenza. Il Fondo per la ricostruzione dell'Afghanistan consente agli afghani di definire le proprie priorità, anche se i donatori possono chiedere conto di come i soldi sono stati spesi e l’uso dei fondi è soggetto alla sorveglianza generale della Banca mondiale. Tale approccio assicura che i progetti di sviluppo siano definiti in modo adeguato e a livello locale e produce effetti di capacity building riconoscendo

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responsabilità critiche agli attori locali (Relazione del segretariato 145 EC E). Di recente il governo ha cominciato a imporre delle tasse, anche se la base imponibile del paese è molto limitata. Le entrate totali del governo copriranno solo la metà dei 609 milioni di dollari del bilancio operativo, ma l'obiettivo è di assicurarsi che le tasse in Afghanistan vengano raccolte dallo stato centrale e non dai signori della guerra (Burnet 19 agosto 2004). 63. Assumendo un controllo crescente sul processo di sviluppo, lo stato acquisisce una maggiore legittimità agli occhi dei propri cittadini. La Banca mondiale promuove l'idea che il bilancio pubblico del paese debba diventare il principale strumento per la veicolazione e il coordinamento degli aiuti. Secondo la Commissione europea, "Il bilancio di gestione (recurrent budget) è uno strumento fondamentale per conferire all’ATA (Afghanistan Transitional Authority) l’autorità di un organismo governativo nazionale. Tale bilancio sostiene i costi correnti operativi ed è la fonte di tutti gli stipendi dell’amministrazione pubblica. Il suo finanziamento assicura la remunerazione di insegnanti, poliziotti e altri funzionari dell’amministrazione pubblica ed è quindi fondamentale per finanziare servizi essenziali. Senza una copertura completa del bilancio, l’ATA avrà difficoltà a soddisfare le condizioni indicate dalla comunità internazionale alla conferenza di Bonn nel dicembre 2001. 64. La comunicazione fra paesi donatori e autorità provvisorie dell’Afghanistan è stata lungi dall’essere perfetta. Il governo di Karzai ha giudicato insufficienti gli importi indicati nelle valutazioni preliminari, soprattutto se paragonati alle valutazioni fatte per la Bosnia, Timor est e il Kossovo. Nel 2002-2003 i fondi impegnati per gli aiuti erano vicini al 25% del PIL, ma quelli erogati sono stati di fatto inferiori. La maggior parte dei fondi impegnati a Tokyo (4,5 miliardi di dollari) erano destinati a coprire gli aiuti umanitari essenziali e gli sforzi di ricostruzione su cinque anni. Da allora, il totale è salito a 5,2 miliardi, cui si aggiungono i 4,4 miliardi per l’esercizio 2004-2005 recentemente impegnati a Berlino (Blenkinsop). I piani di investimento presentati dal governo alla Conferenza di Berlino richiedevano invece 28,5 miliardi su sette anni, una cifra che molti considerano irrealistica, dati i contributi attuali dei donatori (Champion). Il governo ritiene anche che una parte troppo grande dei fondi che affluiscono nel paese sia concentrata sugli aiuti umanitari, mentre il paese ha bisogno di investimenti reali, dato che questi producono un effetto moltiplicatore più elevato nel lungo termine. Inoltre gli aiuti umanitari sono spesso offerti in natura (per esempio, derrate alimentari) piuttosto che in denaro e ciò ha inizialmente ostacolato l'emergenza di un'economia monetaria, riducendo la flessibilità decisionale del governo e distorcendo i mercati alimentare locali. 65. Le Nazioni Unite hanno cercato di aiutare le autorità a costruire una propria capacità amministrativa, ma ci sono tensioni anche in questo campo, poiché il governo ritiene che l’unico modo per raggiungere tale obiettivo sia quello di avere una maggiore voce in capitolo nell’erogazione e nell’amministrazione dei fondi. Karzai ha pubblicamente espresso il timore che la comunità internazionale stia in realtà creando delle strutture statali parallele, che sottraggono autorità al governo e gli impediscono di dotarsi di una propria autorità e di affrancarsi dalla dipendenza dal sostegno internazionale. Questo è anche l’obiettivo esplicito di Ashraf Ghani Ahmadzai, un ex dipendente della Banca mondiale che ora dirige l’ente afghano per il coordinamento degli aiuti (Afghan Assistance Coordination Authority, AACA) ed ha chiesto ai donatori di sostenere il programma di governo facendo proprie le sue priorità, piuttosto che le proprie. Il problema è che alcuni dei maggiori donatori hanno rifiutato di far confluire il proprio denaro in un fondo unico per l’Afghanistan. I paesi donatori continuano a voler esercitare un forte controllo su progetti particolari e a voler assumere il credito politico per la loro realizzazione ma ciò porta a quello che Karzai ha definito un eccessivo burocratismo. 66. Nel novembre 2003, il Congresso statunitense ha approvato un pacchetto di 87,5 miliardi di dollari per finanziare le operazioni militari e di aiuto in Iraq e Afghanistan. La maggior parte dei finanziamenti è di fatto andata alle operazioni militari, soprattutto in Iraq. Eppure gli Stati Uniti hanno comunque assunto impegni sostanziali a favore dell’Afghanistan Alla conferenza di Berlino

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i paesi donatori hanno promesso 8,2 miliardi di dollari, in aggiunta ai 5,2 offerti a Tokyo. La promessa di 1,7 miliardi fatta dal governo statunitense a Berlino è di gran lunga la più grande fatta da qualsiasi altro donatore. Quest'anno USAID spenderà 1,2 miliardi in strade, scuole, la formazione di insegnanti e consulenze finanziarie (Burnett 19/08/04). Gli Stati Uniti figurano, per esempio, tra i principali finanziatori di un grande progetto infrastrutturale, la KaKabul-Heart Road, che darà un grosso impulso alla vita commerciale del paese e creerà opportunità per gli scambi internazionali. III. CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI 67. Considerati i costi della guerra, il suo impatto deleterio sui paesi in via di sviluppo e il fatto che i costi sopportati dalla comunità internazionale per riparare i danni di una guerra o di un conflitto interno sono nettamente superiori a quelli di eventuali misure preventive per impedire il conflitto stesso, è necessario che gli Stato pongano sempre la prevenzione dei conflitti fra i loro obiettivi prioritari. Ciò è chiaramente più facile a dirsi che a farsi ed esistono diversi fattori politici, diplomatici e giuridici che ostacolano il ricorso alla prevenzione a favore di altre risposte possibili. Fin tanto che esistono gravi ostacoli all’assunzione di misure preventive (comprese le “azioni preventive”che costituiscono nondimeno esse stesse dei conflitti), la comunità internazionale continuerà probabilmente a dover far fronte ai gravi problemi associati all’assistenza nelle società postbelliche. Un esperto di sviluppo ha di recente definito gli interventi occidentali come ispirati alla logica secondo cui "è sempre possibile reinventare la ruota". Ciò è inaccettabile e i responsabili politici devono applicare gli insegnamenti appresi dal passato alle nuove situazioni. 68. I principi fondamentali che devono informare le politiche di ricostruzione in condizioni postbelliche sono diversi: la sicurezza è una condizione sine qua non per l'avvio del processo di ricostruzione; è essenziale coltivare un senso di proprietà locale (“ownership”) del processo e un grado di decentramento nel processo decisionale e nell'allocazione delle risorse; le forze di intervento, i rispettivi governi e i leader locali e nazionali del paese in crisi dovranno raggiungere un accordo di massima sui piani di ricostruzione; altri attori, quali gli organismi di credito internazionali e le ONG, dovranno essere coinvolti nel processo; è necessario prevedere i mezzi per assicurare che gli aiuti giungano a destinazione con tempestività, che la consegna avvenga in modo responsabile e trasparente, che i paesi donatori limitino al massimo le pratiche di condizionamento degli aiuti; la rapida creazione di posti di lavoro e il ripristino di servizi di base sociali, sanitari e di pubblica utilità accrescerà il coinvolgimento della società nel processo di ricostruzione; infine la tempistica del processo deve essere definita in funzione delle condizioni locali e non stabilita in modo artificiale secondo scadenze dettate dai calendari politici occidentali. 69. Teoricamente, le operazioni internazionali per la pace dovrebbero iniziare con una piattaforma politica per la pace, seguita da un mandato per una missione ONU e quindi dall’allocazione di risorse per il finanziamento di tale missione. Troppo spesso, tuttavia, i mandati sono strutturati in base alla disponibilità di risorse; ma questo non basta. 70. L’analisi economica indica come la finestra di opportunità per rimettere un paese sulla strada dello sviluppo dopo un conflitto è limitata. I governi occidentali e le organizzazioni internazionali dovranno quindi migliorare la propria capacità di avviare il processo offrendo un'assistenza umanitaria tempestiva e ripristinando i servizi fondamentali. I governi devono anche migliorare la propria capacità di galvanizzare le fasi di ricostruzione e sviluppo. I governi occidentali non hanno un’esperienza molto luminosa in questo settore, e la situazione si aggrava ulteriormente quando le Nazioni Unite, che hanno molta esperienza nello sviluppo dei paesi che emergono da conflitti, vengono artatamente emarginate. È necessario creare delle strutture permanenti per gli interventi di emergenza post-conflitto e, in molti casi, un più alto livello di coordinamento interministeriale e intergovernativo. (Orr). Sono inoltre necessari sforzi per assicurare che la distribuzione di aiuti rafforzi, piuttosto che indebolire, le autorità di governo centrali. Nel contempo, tuttavia, un senso

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“ownership” locale del processo di ricostruzione e sviluppo, coltivato tramite la stretta consultazione e la condivisione del processo decisionale, è un prerequisito essenziale per il suo successo. 71. È necessario compiere degli sforzi per eliminare gli “aiuti condizionati” alle società che emergono da un conflitto. Tale pratica potrà avere effetti positivi per le imprese dei paesi sviluppati, ma impone enormi oneri nascosti ai paesi beneficiari, spreca risorse preziose e rappresenta un cattivo affare per contribuenti occidentali, cui si chiede di finanziare programmi di sviluppo e non il benessere delle imprese private. Gli aiuti internazionali non possono certo essere finalizzati all’arricchimento delle imprese occidentali e tale pratica mette in realtà a rischio gli interessi di sicurezza e umanitari occidentali. Nella misura del possibile, è importante privilegiare l'utilizzo di imprese e lavoratori locali, soprattutto perché ciò può ridurre la disoccupazione e aumentare le capacità locali. 72. È inoltre importante che la comunità dei donatori si muova in modo più “leggero”. Troppo spesso, all’indomani di un conflitto, persone molto qualificate -- fra cui giudici, insegnanti e funzionari pubblici -- abbandonano i loro posti di lavoro per lavorare come autisti al servizio di importanti funzionari internazionali, attratti dagli elevati stipendi offerti. La presenza internazionale nelle regioni che emergono da conflitti può quindi avere un impatto molto distorsivo che complica il processo di ricostruzione. Al riguardo sarà utile trasferire i poteri alle comunità locali e alle autorità centrali perché assumano la guida del processo di sviluppo, riducendo la presenza di funzionari occidentali superpagati. I tempi della ricostruzione devono essere dettati dalle condizioni locali e non dalle strategie politiche o internazionali delle grandi potenze. La fretta di concludere progetti non essenziali in Iraq prima della fine del mandato dell'Autorità provvisoria è un esempio al riguardo. 73. Il processo di ricostruzione deve fare affidamento, nella misura del possibile, sulle imprese locali, e non trasformare tali paesi in opportunità di guadagno per società occidentali. Questo per ragioni diverse, ma soprattutto perché così facendo si impegnano la popolazione e le società locali nella ricostruzione nazionale, si impedisce l’afflusso di occidentali superpagati, la cui presenza può distorcere la vita economica nazionale, e si gettano le fondamenta per lo sviluppo del commercio locale. Ovviamente, anche le società occidentali hanno un ruolo da svolgere, soprattutto quando non esistono alternative locali. Ma è necessario dare priorità ai produttori locali. La creazione di posti di lavoro dopo un conflitto neutralizza il rischio di creare "ribelli". La mobilitazione della spesso importante diaspora del paese può dare impulso alla ricostruzione. 74. Nel definire le strategie di sviluppo delle regioni che emergono da un conflitto, è inizialmente necessario accordare maggior peso al conseguimento della stabilità sociale piuttosto che a piani di liberalizzazione radicale, anche se la creazione di mercati sostenibili sarà fondamentale per lo sviluppo nel medio-lungo termine. È improbabile, per esempio, che un programma radicale di privatizzazioni venga concluso con successo in un paese che emerge da un conflitto, dato che né le istituzioni che dovrebbero gestire tale programma, né i meccanismi necessari a creare il consenso sull’operazione, saranno abbastanza affidabili e robusti. L’esperienza dimostra che le privatizzazioni imposte senza un assetto istituzionale affidabile possono avere effetti economici, politici e sociali molto negativi.; inoltre in assenza di un governo sovrano, l'autorità occupante semplicemente non può vendere il patrimonio pubblico, a meno di contravvenire al diritto internazionale. Per questo, è molto preferibile concentrarsi in primo luogo sulla costruzione di tale assetto e accettare le inefficienze del settore pubblico quale costo a breve termine del processo di ricostruzione (Mahdi) (Stiglitz). D’altra parte, è necessario incoraggiare le imprese private a competere con il settore pubblico il prima possibile, in quanto ciò favorirà il rafforzamento del mercato e creerà concorrenza. 75. I conflitti hanno spesso un effetto dirompente sulle società civili e il processo di ricostruzione deve quindi restituire la fiducia e incoraggiare la nascita di una società civile vitale.. Allo stesso

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modo, sarà controproducente bandire i sindacati anche quando le economie operano in situazioni molto precarie. I sindacati sono istituzioni civili fondamentali, che promuovono l’abitudine al dialogo e la pratica del pluralismo Analogamente, promuovere dei media liberi e indipendenti nelle società postbelliche non promuove unicamente lo sviluppo politico del paese, ma anche una maggiore trasparenza nell'uso dei fondi per lo sviluppo e nell'organizzazione degli sforzi di ricostruzione. 76. Anche se la partecipazione locale all’amministrazione dei programmi è essenziale allo sviluppo di lungo termine, gli aiuti esteri dovranno comunque contribuire a rafforzare i poteri dei governi centrali. I progetti nazionali devono essere definiti con il contributo del governo centrale ed è necessario organizzare il sostegno finanziario pubblico tramite un unico piano finanziario. Tale pratica dovrebbe accrescere la trasparenza dei finanziamenti dei donatori, che dovranno essere incanalati in strutture finanziarie congiunte quali trust fund finanziati da più donatori. Gli aiuti strettamente bilaterali conducono troppo spesso a ridondanze che possono essere molto onerose per i paesi beneficiari. 77. I paesi donatori devono assicurare che le proprie strutture, spesso concepite all'epoca della guerra fredda, siano coerenti con gli obiettivi di sviluppo postbellico. Tale obiettivo di coerenza potrà in primo luogo essere perseguito creando unità interministeriali permanenti per la gestione delle crisi, che dovrebbero inoltre stringere legami con unità simili dei paesi alleati e delle organizzazioni internazionali in loco, per far fronte insieme a situazioni di particolare difficoltà. Il processo dovrebbe prevedere anche l’addestramento e lo sviluppo di procedure operative standard basate sulle lezioni apprese nelle situazioni precedenti. Perché, infatti, reinventare la ruota? Esiste infatti un corpo di lezioni considerevole che è necessario studiare sistematicamente. Se ciò non avviene, la risposta internazionale alle situazioni postbelliche diventerà sempre più caotica. I paesi dovranno valutare l'eventualità di nominare un responsabile all'interno del governo nazionale per le questioni di ricostruzione postbellica. 78. Anche se l’Afghanistan e l’Iraq appaiono come priorità fondamentali per molti paesi membri della NATO, la comunità internazionale deve impedire che questi due paesi assorbano tutte le risorse disponibili, escludendo dagli aiuti gli altri paesi in via di sviluppo. È necessario costruire una nuova “coalizione per la ricostruzione”, molto più ampia di quella dei combattenti, e ciò richiederà molta flessibilità da parte di tutte le parti in causa. Si dovranno inoltre compiere sforzi per facilitare la presenza dell'ONU in Iraq al fine di garantire una maggiore legittimità alla presenza della comunità internazionale e incoraggiare i paesi riluttanti ad impegnare risorse e personale. Tale presenza realmente internazionale risulterà probabilmente più accettabile agli iracheni e solleverà le forze e risorse statunitensi di un onere che appare sempre meno sostenibile. 79. La comunità internazionale e i paesi aderenti alla NATO hanno tutto l’interesse a “vincere” la pace in Afghanistan ed Iraq. Ma le possibilità di pace e stabilità (oltre che di sviluppo) dipendono fortemente dal conseguimento di un certo grado di sicurezza in entrambi i paesi. Si tratta di una situazione senza uscita che potrà essere risolta solo vincendo le sfide sul fronte politico, economico e di sicurezza. Ciò implica che l’Occidente dovrà mantenere il proprio impegno in questi due paesi per ancora del tempo. L'impegno è una scelta indubbiamente costosa, ma un fallimento lo sarebbe ancora di più. La condivisione di tale obiettivo dovrebbe contribuire a ricostruire e rinsaldare l’Alleanza, indubbiamente indebolita dal dibattito che ha preceduto l’intervento in Iraq. 80. Il petrolio rappresenta una ricchezza importante per l'Iraq, che deve essere utilizzato al meglio. In troppi paesi produttori, il petrolio genera ricchezza solo per le élite, senza produrre benefici per la società in senso lato. Tale ricchezza rischia inoltre di innescare in Iraq una lotta per il controllo delle risorse che, per molti versi, è forse già iniziata. Le autorità in Iraq devono assicurare che i contratti per la vendita del petrolio siano amministrati in modo trasparente e che i ricavi contribuiscano al finanziamento di esigenze di base come una rete di sicurezza sociale e la diversificazione economica.

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81. È necessario rivedere le politiche occidentali, che hanno conferito poteri ai signori della guerra afghani a spese dell’autorità centrale. Gli eserciti privati di tali comandanti potrebbero distruggere questo paese fragile e molti stanno già infliggendo gravi danni, con l’imposizione di tributi illegali, il commercio della droga e il disprezzo per i diritti umani fondamentali (Rashid). In pratica, è necessario adoperarsi affinché il governo centrale riesca ad affermare la propria autorità in tutto il paese e il sistema feudale esistente sia eliminato per il bene e la stabilità del paese nel lungo termine. Un fallimento in questo campo porterebbe al ritorno di uno status quo ante terribile e pericoloso, la cui eliminazione era stata il primo motivo dell’intervento internazionale. È quindi necessario che la comunità internazionale aumenti la presenza delle proprie forze di sicurezza nelle province onde evitare un‘inesorabile regressione alle condizioni nefaste di fallimento delle istituzioni. Gli sforzi della NATO per aiutare l'Afghanistan a creare un esercito unito e sostenibile dovrebbero rivelarsi utili al riguardo. 82. La comunità internazionale e il governo afghano devono trovare strategie innovative per ridurre la produzione di papavero in Afghanistan. Ciò significa aumentare gli sforzi di controllo impegnando gli altri paesi della regione in un approccio comune, oltre che trovare colture alternative per gli agricoltori afghani e favorire l’accesso ai mercati occidentali per la loro vendita.. 83. Sia in Iraq che in Afghanistan, è necessario continuare gli sforzi per la tutela dei diritti umani fondamentali, senza di cui lo sviluppo non è possibile. Un’attenzione particolare dovrà essere riconosciuta ai diritti delle donne, che, soprattutto in Afghanistan, restano inesistenti, principalmente paese a causa dell’atteggiamento medievale di diversi signori della guerra locali. 84. I membri del Club di Parigi devono intensificare gli sforzi per ridurre l'enorme debito iracheno. E se questo comporta la cancellazione del debito anche di altri paesi poveri, tanto meglio.

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