Le fiabe dei padre ispirarono ie sue sfide postmoderne L...

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Le fiabe dei padre ispirarono ie sue sfide postmoderne L alla fine giunsero le storie di Paolo Di Stefano gni sera suo padre Giulio, ad Alessan- dria, gli raccontava la puntata di una storia senza fine, il cui protagonista era un fagiolino. E anche lui ai suoi figli, Stefano e Carlotta, raccontava una storia senza fi- ne con tre orsi che giravano il mondo in pallone. Se gli si chiedeva da dove veniva in lui il desiderio di scrivere romanzi, Umberto Eco rispondeva che siccome i suoi figli sono diven- tati grandi, non avrebbe potu- to fare altro che scrivere ro- manzi per esercitare la funzio- ne fabulatrice che lo aveva ac- compagnato per tutta la vita. Se invece gli si chiedeva il per- ché della sua produzione scientifica, rispondeva che la scrittura è la prova del fuoco del pensiero e che finché un'idea che hai in testa non viene messa sulla pagina non puoi capire se ha un filo logico. Eccoli lì i due Umberti Echi, vette convenire : «Anch' io - di- ceva Eco - non faccio che rin- correre da una vita , ossessiva- mente, una stessa idea centrale , salvo che non so dire quale sia». Sosteneva che il carattere scettico e disincantato della sua città , Alessandria, avesse inciso in modo determinante nel suo modo di scrivere e di pensare. C'era anche un senso del dovere che, come si capisce leggendo il suo romanzo più autobiografico (Il pendolo di Foucault ), alimentò il suo im- pegno precoce nell'Azione cat- tolica, condotto (e sofferto) fi- no alle porte dell'età adulta. Precoce, in realtà, Eco lo fu an- che nella scrittura creativa (tut- t'altro che vocazione tardiva, come molti gli rimproverava- no): infatti ricordava che, bravo in italiano e pessimo in mate- matica, sin dai io anni aveva co- minciato a scrivere romanzi d'avventura, o meglio, i primi capitoli, illustrazioni compre- se. Ma poi smetteva. La laurea, con una tesi a Tori- no sull 'estetica di san Tomma- so d'Aquino, la consegue a 22 Debiti Per lui il carattere scettico di Alessandria aveva influito sul suo modo di scrivere spiegati in modo apparente- mente inequivocabile. Ma le cose sono più complesse, in- tanto perché gli Umberti Echi sono più di due. Poi per capire le ragioni che lo hanno spinto, nel 1978, verso i romanzi avreb- be dovuto chiedere allo psica- nalista che non aveva mai avu- to. Il filo rosso delle sue varie attività va rintracciato in una frase del suo maestro, il filoso- fo Luigi Pareyson: ciascuno di noi nasce con un'idea in testa e per tutta la vita non fa che gi- rarvi intorno. Gli sembrò, sulle prime, un principio reaziona- rio, poi però, in età matura, do- anni, da vero secchione. Disse ironicamente che fu Tommaso a compiere il miracolo di gua- rirlo dalla fede. In Rai a Milano, dal 1954 al 1958 con Gianni Vat- timo e Furio Colombo, disse di non aver fatto nulla di vera- mente interessante: in realtà fu l'occasione per avvicinarsi ai meccanismi televisivi e alla co- municazione di massa, che sa- ranno tra i suoi cavalli di batta- glia semiologica. t questo il passaggio che farà la differenza tra Eco e i suoi quasi coetanei accademici: l'avere conosciuto la tv dall'interno avrebbe poi contribuito alla nascita di saggi memorabili per intelligenza in- ventiva. Nel 1964 mandò Apo- calittici e integrati a Montale con un auspicio: «Spero che La irriterà». La passione per Su- perman e per i Peanuts, la let- tura infantile di Salgari si me- scolavano con l'interpretazione di Manzoni, Joyce, Hemin- gway. E in corso Sempione che Eco incontra i compositori Bruno Maderna e Luciano Berlo: at- traverso la musica d'avanguar- dia si avvicina alla fonologia, alla linguistica, allo strutturali- smo nascente (l'Opera aperta è del 1962). E sempre lì che cono- sce anche la Milano della criti- ca e della poesia: Luciano Erba, Bartolo Cattafi, Glauco Cani- bon, Luciano Anceschi, con il quale partecipa alla fondazione della rivista «Il Verri», primo nucleo del Gruppo 63. Alla Rai incrocia per la prima volta An- gelo Guglielmi, che sarà uno dei teorici della neoavanguar- dia. Intanto, Eco non molla gli studi scientifici. D'altra parte, nel solco delle mitologie di Ro- land Barthes, non ha mai ab- bandonato gli strumenti d'in- dagine più acuminati anche nell'affrontare i fumetti, la can- zone o la narrativa di consumo. Era un obiettivo per così dire politico: «decostruire» la co- municazione di massa signifi- cava fare controinformazione (ironica) all'invadenza dei per- suasori occulti. Durante il servizio militare impugna il fucile una sola vol- ta, per provare la mira, e dopo 18 mesi, nel 1959, è già alla Bompiani, dove sarà editor fino al 1975, in pratica imitando l'esperienza di tanti grandi in- tellettuali e scrittori da Pavese a Calvino a Sereni e altri. Allo zio Val, ovvero a Valentino Bompia- ni, Eco rimarrà fedelissimo co- me autore e come dirigente:

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Page 1: Le fiabe dei padre ispirarono ie sue sfide postmoderne L ...rassegna.be.unipi.it/20160222/SIQ1013.pdfceva Eco - non faccio che rin-correre da una vita, ossessiva-mente, una stessa

Le fiabe dei padre ispiraronoie sue sfide postmoderneL alla fine giunsero le storie

di Paolo Di Stefano

gni sera suo padreGiulio, ad Alessan-dria, gli raccontava lapuntata di una storia

senza fine, il cui protagonistaera un fagiolino. E anche lui aisuoi figli, Stefano e Carlotta,raccontava una storia senza fi-ne con tre orsi che giravano ilmondo in pallone. Se gli sichiedeva da dove veniva in lui ildesiderio di scrivere romanzi,Umberto Eco rispondeva chesiccome i suoi figli sono diven-tati grandi, non avrebbe potu-to fare altro che scrivere ro-manzi per esercitare la funzio-ne fabulatrice che lo aveva ac-compagnato per tutta la vita.Se invece gli si chiedeva il per-ché della sua produzionescientifica, rispondeva che lascrittura è la prova del fuocodel pensiero e che finchéun'idea che hai in testa nonviene messa sulla pagina nonpuoi capire se ha un filo logico.

Eccoli lì i due Umberti Echi,

vette convenire : «Anch'io - di-ceva Eco - non faccio che rin-correre da una vita , ossessiva-mente, una stessa ideacentrale , salvo che non so direquale sia».

Sosteneva che il caratterescettico e disincantato dellasua città , Alessandria, avesseinciso in modo determinantenel suo modo di scrivere e dipensare. C'era anche un sensodel dovere che, come si capisceleggendo il suo romanzo piùautobiografico (Il pendolo diFoucault), alimentò il suo im-pegno precoce nell'Azione cat-tolica, condotto (e sofferto) fi-no alle porte dell'età adulta.Precoce, in realtà, Eco lo fu an-che nella scrittura creativa (tut-t'altro che vocazione tardiva,come molti gli rimproverava-no): infatti ricordava che, bravoin italiano e pessimo in mate-matica, sin dai io anni aveva co-minciato a scrivere romanzid'avventura, o meglio, i primicapitoli, illustrazioni compre-se. Ma poi smetteva.

La laurea, con una tesi a Tori-no sull 'estetica di san Tomma-so d'Aquino, la consegue a 22

DebitiPer lui il caratterescettico di Alessandriaaveva influito sul suomodo di scrivere

spiegati in modo apparente-mente inequivocabile. Ma lecose sono più complesse, in-tanto perché gli Umberti Echisono più di due. Poi per capirele ragioni che lo hanno spinto,nel 1978, verso i romanzi avreb-be dovuto chiedere allo psica-nalista che non aveva mai avu-to. Il filo rosso delle sue varieattività va rintracciato in unafrase del suo maestro, il filoso-fo Luigi Pareyson: ciascuno dinoi nasce con un'idea in testa eper tutta la vita non fa che gi-rarvi intorno. Gli sembrò, sulleprime, un principio reaziona-rio, poi però, in età matura, do-

anni, da vero secchione. Disseironicamente che fu Tommasoa compiere il miracolo di gua-rirlo dalla fede. In Rai a Milano,dal 1954 al 1958 con Gianni Vat-timo e Furio Colombo, disse dinon aver fatto nulla di vera-mente interessante: in realtà ful'occasione per avvicinarsi aimeccanismi televisivi e alla co-municazione di massa, che sa-ranno tra i suoi cavalli di batta-glia semiologica. t questo ilpassaggio che farà la differenzatra Eco e i suoi quasi coetaneiaccademici: l'avere conosciutola tv dall'interno avrebbe poicontribuito alla nascita di saggimemorabili per intelligenza in-ventiva. Nel 1964 mandò Apo-calittici e integrati a Montalecon un auspicio: «Spero che Lairriterà». La passione per Su-perman e per i Peanuts, la let-tura infantile di Salgari si me-

scolavano con l'interpretazionedi Manzoni, Joyce, Hemin-gway.

E in corso Sempione che Ecoincontra i compositori BrunoMaderna e Luciano Berlo: at-traverso la musica d'avanguar-dia si avvicina alla fonologia,alla linguistica, allo strutturali-smo nascente (l'Opera aperta èdel 1962). E sempre lì che cono-sce anche la Milano della criti-ca e della poesia: Luciano Erba,Bartolo Cattafi, Glauco Cani-bon, Luciano Anceschi, con ilquale partecipa alla fondazionedella rivista «Il Verri», primonucleo del Gruppo 63. Alla Raiincrocia per la prima volta An-gelo Guglielmi, che sarà unodei teorici della neoavanguar-dia. Intanto, Eco non molla glistudi scientifici. D'altra parte,nel solco delle mitologie di Ro-land Barthes, non ha mai ab-

bandonato gli strumenti d'in-dagine più acuminati anchenell'affrontare i fumetti, la can-zone o la narrativa di consumo.Era un obiettivo per così direpolitico: «decostruire» la co-municazione di massa signifi-cava fare controinformazione(ironica) all'invadenza dei per-suasori occulti.

Durante il servizio militareimpugna il fucile una sola vol-ta, per provare la mira, e dopo18 mesi, nel 1959, è già allaBompiani, dove sarà editor finoal 1975, in pratica imitandol'esperienza di tanti grandi in-tellettuali e scrittori da Pavese aCalvino a Sereni e altri. Allo zioVal, ovvero a Valentino Bompia-ni, Eco rimarrà fedelissimo co-me autore e come dirigente:

Page 2: Le fiabe dei padre ispirarono ie sue sfide postmoderne L ...rassegna.be.unipi.it/20160222/SIQ1013.pdfceva Eco - non faccio che rin-correre da una vita, ossessiva-mente, una stessa

con un gruppo formidabili dieditor, da Nanni Filippini a Pa-olo De Benedetti, a Leo Paolaz-zi in arte Antonio Porta. «Espe-rienza decisiva e indimentica-bile». Le lettere con l'editoremeriterebbero un volume: l'ab-bandono della Bompiani, conla minacciata nascita della co-siddetta Mondazzoli, sarà cer-tamente stata dolorosa, ma ilvaro della Nave di Teseo ha ap-pagato il suo spirito pionieri-stico.

L'incontro con la semioticaletteraria, con lo strutturali-smo francese, con il magisterodi Roman Jakobson, la coinci-denza di interessi che nasce inItalia attorno alla scuola di Tar-tu, la divaricazione rispetto al-la «semiotica filologica» di Se-gre e Corti (non era amatissi-mo dai filologi): tutto ciò men-tre Eco si avvicina allosperimentalismo di Sanguine-ti, di Manganelli e di Balestri-ni, contribuisce agli incontridel Gruppo 63 e soprattuttocon i suoi saggi viene semprepiù tradotto all'estero. Senzamai abbandonare la voglia diintervenire nei giornali sul«costume di casa» (la sua col-laborazione al «Corriere» co-mincia con l'inserto letterariodi Emanuelli nel '63, poi Ecoprosegue con la «Repubblica»e con l'«Espresso»). Nel '75 ètitolare di Semiotica generaleall'Università di Bologna, da lìpassa come ospite in vari ate-nei stranieri, francesi, ameri-cani, tedeschi. Tra i suoi meriti(alcuni dicono: tra i suoi de-

meriti) c'è la nascita del Dams.Tra i suoi meriti meno conte-stati c'è anche la fondazionedel mensile «Alfabeta», chemette insieme, dal 1979 al1988, generazioni diverse dicritici, militanti della sinistraestrema e del Pci, poeti, filoso-fi, filologi, scrittori e critici di-versi, da Porta a Volponi, daMaria Corti a Cases, da Leonet-ti a Rovatti a Calabrese. Sono isuoi amici.

E in questa temperie che Ecomatura il bestseller. Pare cheuna sera, finita una riunione di«Alfabeta», abbia confessato aPaolo Volponi di avere appenaconcluso un romanzo. Titolo:Delitti all'abbazia. L'amico glifece cambiare idea: meglio Ilnome della rosa. Eco, che in unprimo momento avrebbe volu-to farne un'edizione limitataper gli amici, si augurava chenon si trasformasse ne Il nome

della resa. Fu un successo pla-netario. L'astro di Moravia, inBompiani, era in calo, ed Econe raccolse il testimone. InFrancia, l'editore dei suoi sag-gi, François Wahl di Seuil, glidisse: «No, Umbertò, sbagli», erespinse il romanzo, facendola fortuna di Grasset. Una«zuppa medievale», la definìPiergiorgio Bellocchio. Ecoaveva anche i suoi avversari ir-riducibili. Era un postmoder-no che amava divertirsi con lacitazione e la narrazione meta-narrativa. Era all'avanguardiaanche tecnologicamente: fuuno dei primi a capire la rivo-luzione digitale (e uno dei pri-mi scrittori italiani a usare ilcomputer), ma non amava in-ternet. Tanto meno i social:«Danno la parola a milioni diimbecilli. E la socievolezza èun'altra cosa».

Finchéun'ideache hai intesta nonviene messasulla paginanon puoicapiresehaunfilologico

Non facciocherincorrereda una vitauna stessaideacentrale,salvo chenon so direquale sia.

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Mattarella: «Era uomo libero»L'omaggio degli Istituti di cultura

Dall`alto: il presi-dente Mattarellae il premier Renzi

ordoglio da tutte le istituzioni per la morte diUmberto Eco. A cominciare dal presidente Sergio

Mattarella che si è detto «particolarmente addolorato.Era un uomo libero, dotato di un profondo spiritocritico e di grande passione civile». Matteo Renzi hadefinito la scomparsa «una perdita enorme per lacultura, cui mancheranno la sua scrittura e voce, ilsuo pensiero acuto e vivo, la sua umanità», mentre ilministro per i Beni culturali Dario Franceschini haparlato di Eco come di «un gigante, un autenticointellettuale a tutto campo». La Farnesina haannunciato che gli 8o Istituti di Cultura italiani nelmondo adotteranno «per tutto il 2016 iniziative percelebrarlo coinvolgendo le personalità del mondoculturale locale che lo hanno conosciuto edapprezzato». I112 maggio il Salone del libro di Torinoonaggerà così Umberto Eco che al Lingotto era atteso.

Umberto Ecoin un'immaginescattata

durante il

Festival dellaComunicazione

a Camogli(Genova), nelsettembre dei2015

(LeonardoCendamoLUZ). Nellapagina asinistra, inbasso: rosedavanti allacasa milanesedi Eco(Newpress)