Lakersland Magazine Numero 3

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LAKERSLAND magazine QUANDO MVP HA 4 LETTERE KOBE BRYANT ELGIN BAYLOR THE SPURS OFFENSE DALLAS MAVERICKS SPECIALE ALL STAR GAME Kobe Bryant raggiunge Bob Petit a quota 4 MVP dell’ASG, in una settimana che lo vede protagonista di una partita delle stelle dal sapore Hollywoodiano, ben più del famoso cortometraggio della Nike, lanciato negli ultimi giorni.

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Il primo magazine online dedicato ai Los Angeles Lakers. Questo mese si occupa di Kobe Bryant, dell'All Star Game, dei due match contro gli eterni rivali di Boston, il destino dei Mavs e l'attacco degli Spurs.

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LAKERSLANDmagazine

Quando MVP ha 4 lettere

KoBe BrYant

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Kobe Bryant raggiunge Bob Petit a quota 4 MVP dell’ASG, in una settimana che lo vede protagonista di una partitadelle stelle dal sapore Hollywoodiano, ben più del famosocortometraggio della Nike, lanciato negli ultimi giorni.

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lo StaPleS È troPPo lontano? SEGUI www.lakersland.it PER RESPIRA-RE ARIA DI LOS ANGELES E DI LAKERS.

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Soltanto poche righe e finalmente potrete iniziare a sfogliare il terzo appuntamento con La-kersLand Magazine. Gli impegni, universitari, lavorativi e chi più ne ha più ne metta hanno rallentato il nostro lavoro, ma non hanno avuto la meglio. Nonostante un’attesa più lunga del solito ci siamo ancora.

E’ doveroso, in ogni caso, partire da un accenno al momento gialloviola, prima dello sprint di fine regular season. La trasferta ad est dal sapore agrodolce, con i successi di New

York e soprattutto Boston, ma anche la debacle di Cleveland e l’All Star Game targa-to ovest sono gli ultimi episodi di un percorso giunto, per fortuna, ai suoi tre quar-

ti, un lento avvicinamento alla primavera, quando tutti aspettiamo di ritrovare i veri Lakers.

Ci aspetta un calendario complicato, fondamentale affrontarlo con la concen-trazione giusta per recuperare terreno importante. In una settimana, terribile, voleremo prima a San Antonio, poi a Miami ed infine Dallas: tre sfide da vin-cere assolutamente per recuperare posizioni determinanti in vista dei playoffs.

Infine una panoramica sull’All Star Weekend con un focus particolare sulla ma-gica nottata firmata da Kobe e dalla West Coast: lo Staples Center e Los Ange-

les sono stati ancora una volta degno teatro per la partita delle Stelle.

Insomma non resta che ringraziare tutti per i numerosi complimenti ed assicurare il massimo impegno per questo progetto che speriamo,

possa crescere ancora a livello di contenuti e partecipazione. Sperando che non ci sarà in futuro tutta questa attesa per il prossimo numero, non resta che augurare davvero una

Buona lettura a tutti,

Federico Rainaldi

edItorIale

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lIFe IS a rollerCoaSterdI FederICo raInaldI

What’S GoIn on MaMBa?dI daVIde MaMoMe

GaMeS oF the MonthdI daVIde MaMone

SOMMARIO

Numero 3 - Gennaio - Febbraio 2010

SITO INTERNET

www.lakersland-magazine.comwww.lakersland.it

MAGAZINE TEAM PER IL NUMERO 2Alan di Forte - Capo redattore Federico Rainaldi Davide Mamone - Roberto Viarengo Giuseppe Magnifico

Lavoro grafico a cura di Marco Weps Pasqualotto

19 Il deStIno deI MaVSdI GIuSePPe MaGnIFICo

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28toP oF...dI roBerto VIarenGo e GIuSePPe MaGnIFICo

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all Star GaMe reCaPdI roBerto VIarenGo

elGIn BaYlordI alan dI Forte

SPurS oFFenSedI GIuSePPe MaGnIFICo

Lakersland Magazine è un iniziativa del sito Internet http://www.lakersland.it con lo scopo di divulgare e raccogliere tutto il materiale in esso contenuto. Pertanto ai sensi della legge 62/2001 non può essere considerato un prodotto edi-toriale.

Lakersland è un magazine dedicato agli appassionati di ba-sket NBA, soprattutto per tifosi e simpatizzanti della famosa squadra losangelena. Contiene resoconti, diari mensili e det-

tagli tecnici per permettere anche all’utente meno inserito nelle logiche della pallacanestro di sentirsi partecipe.

Gli articoli e la grafica sono il frutto di notti insonni e di un lavoro meticoloso da parte di tutto il team di lavoro, senza scopo di lucro o retribuzione alcuna, per piacere non rubate. Tutte le immagini e le dichiarazioni appartengono ai rispetti-vi autori, no copyright infringement intended.

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lIFe IS a rollerCoaSter...di FederICo raInaldI

i cugini di quarto grado dei campioni del mondo. Una squadra svogliata, lenta e di-sunita che ha toccato il fondo nella notte di Cleveland. Nella città orfana di LBJ i gialloviola sono riusciti a trasformare, per una notte, in eroi gli sgangherati uomini di Byron Scott regalando loro una storia da raccontare ai nipotini. E così nella Los Angeles teatro dell’All Star Game, tra il lusso delle feste dei giocatori e le trat-tative che hanno visto protagonisti tutti i general manager della Lega, si è parlato ed anche molto della crisi di Gasol e com-pagni, improvvisamente diventati vecchi ed inadeguati per molti alla difesa del Larry O’Brien Trophy.

Sull’onda della critica è finito persino Kobe Bryant, nonostante una prestazione da MVP, il quarto in carriera nella notte delle stelle che non è bastata per far parlare nuova-mente qualche suo storico detrattore arri-vato a definire “canto del cigno” l’ennesi-ma serata da incorniciare di una magnifica carriera. Il Black Mamba, nel frattempo protagonista anche fuori dal campo con un geniale film sponsorizzato Nike, non ha mancato di mandare i soliti messaggi bel-licosi al resto delle star NBA: lui è ancora il migliore e quando conterà per davvero chi vorrà trionfare dovrà comunque passare da Figueroa Street per provare l’assalto al titolo.

Sicuramente tra i più negativi della prima metà della regular season ci sono due dei protagonisti degli scorsi playoffs: da una parte il capitano e leader in pectore della squadra Derek Fisher e dell’altra, l’eroe di gara 7, Ron Artest. Il Pesce a trentasei anni suonati sta vivendo la solita stagione

“Life is a roller coaster” è il titolo più indicato per indicare i primi due terzi di stagione regolare dei Lakers. I gialloviola, infatti, come al solito stanno vivendo il solito percorso fatto di parecchi dubbi e poche certezze che caratterizza la regular season sulle sponde del Pacifico.A cavallo tra gennaio e febbraio i campioni del mondo si sono approcciati al classico tour dei Grammy’s, dopo le brutte sconfitte casalinghe contro Boston e San Antonio, con una classifica preoccupante che, per la prima volta nell’era Gasol, mai aveva visto Kobe Bryant e compagni così lontani dalla vetta dell’ovest. Praticamente sempre dietro da metà novembre ai sorprendenti Spurs, i Lakers hanno dovuto affrontare le classiche polemiche interne e soprattutto le prime serie voci di trade che vedevano Bynum ed Artest sempre più lontani dalla California. Eppure, almeno in un primo momento, i ru-mors si sono rivelati uno stimolo in più: al Boston Garden, in pieno tormentone Carmelo Anthony, con i Lakers, per alcuni, mira-colosamente iscritti alla caccia al talento ex Syracuse , i Campioni del Mondo per la prima volta si sono dimostrati in grado di centrare una vittoria convincente contro un avversario di peso, anzi contro l’Avversario, grazie soprattutto alle prestazioni convin-centi dei più discussi Ron Ron e Andrew.La notte seguente presentava il back to back impegnativo all’ombra dell’Empire State Building, ma guidati dal solito Kobe devastante al cospetto di Spike Lee, i La-kers sono usciti indenni anche dalla trappo-la chiamata Madison Square Garden.

Sprazzi importanti dei veri Lakers; vero, ma per pochissimo. Le altre tre partite del tour, infatti, hanno visto di nuovo in campo

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con il freno a mano tirato: si conferma l’anello debole in difesa di una squadra che comunque deve ancora salire di livello an-che in questo aspetto, ma anche in attacco “Da Fish” è al di sotto dei suoi standard. Preoccupa ancor di più la questione Ar-test che, come al solito nella sua carrie-ra, si conferma negativissimo al secondo anno nella stessa squadra. Ron, dal canto suo, tra un tweet ed un altro, continua a non dirsi preoccupato e ad affermare che, quando conterà, sarà prontissimo a fare la differenza. Visto il credito accumulato nella storica gara 7 contro Boston, c’è da dargli fiducia, nonostante al momento la sua testa sia presa più dalla carriera musicale che dalla vita in campo.

Terzo problema è anche il rendimento del-la panchina. Sebbene il recupero di Bynum abbia permesso al miglior Odom della sto-ria di riprendere il ruolo di sesto uomo rivitalizzando con continuità il contributo della second unit, una delle cause delle ultime difficoltà è il calo di rendimento di Shannon Brown e Steve Blake, spenti come il resto dei compagni da gennaio in poi. Sempre più sporadici infatti sono diventati i cambi di ritmo apportati dallo Spiritato, basse le percentuali al tiro dell’ex Ma-ryland, nonostante una comprensione della triangolo sorprendente per uno appena ar-rivato alla corte del meraviglioso sistema di Tex Winter. Inoltre a peggiorare la si-tauzione è arrivata anche la notizia che Theo Ratliff sarà fuori per infortunio fino a fine stagione per un problema al ginocchio che, probabilmente, ne ha compromesso de-finitivamente la carriera. Per completare il discorso sulle riserve, pare finalmente prontissimo al rientro Matt Barnes, l’ex Bruin operato un mese e mezzo fa, ha bru-ciato le tappe del rientro e può dimostrarsi una pedina fondamentale dalla panchina, un lusso in grado di fornire minuti importanti di riposo ad Artest, sperando che sia anche uno stimolo in più per Ron Ron.

Passata la sbornia per l’All Star Weekend

Kobe e Phil Jackson hanno fissato l’obiet-tivo per concludere nel migliore dei modi le ultime 25 gare prima dei playoffs. I Lakers al momento occupano il terzo posto ad ovest, con il sesto record complessivo della Lega. Viste le recenti trade e calen-dario alla mano, i gialloviola devono neces-sariamente recuperare la seconda posizione nella Western Conference, attualmente nelle mani dei Mavs, sperando che la lotta ad Est continui ad essere serrata con Boston, Miami e Chicago che concretamente po-trebbero rallentare ed avere a fine anno un record peggiore di L.A., improbabile, ma non impossibile. Gli Spurs sono troppo lontani, bravi loro ad aver affrontato la migliore stagione regolare della loro storia, mai infatti nell’era Popovich-Duncan i nero argento erano andati così bene; ai playoffs sicuramente la musica potrebbe cambiare, anche se al momento qualsiasi discorso su di loro è prematuro.

Cambiare marcia dunque per affrontare al meglio il tour impegnativo di inizio marzo, prima di una serie di partite favorevoli casalinghe che potranno rivelarsi fonda-mentali per trovare il ritmo giusto e gli automatismi migliori sulla strada per il th-ree peat. I Lakers ci hanno abituato con le loro crisi di identità di metà stagione, Phil Jackson ride al solo pensiero di poter smentire nuovamente tutti dopo aver creato la situazione da punto di non ritorno che poi gli permetterà di spremere al massimo, ancora una volta, un gruppo che, a suo av-viso, sarà comunque pronto quando conterà per regalare nuove emozionanti battaglie di playoffs.

L’inverno è quasi alle spalle, tutti ci aspet-tiamo ancora una volta i veri Lakers in versione primavera.

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What’S GoIn’ onMaMBa?

di daVIde MaMone

Classe. Etica lavorativa. Atletismo. Sicurezza nei propri mezzi. Spasmo-dica voglia di vincere. Ma anche immancabile testardaggine. Arroganza. Egoismo.

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Riassumere Kobe Bryant, cinque anelli NBA, due MVP delle Finals, un MVP di Regular Se-ason, una medaglia Olimpica e molto altro con così pochi termini può sembrare ridut-tivo; specie se per ognuno di questi si voglia andare in profondità, si voglia scavare per capire meglio la personalità e il personaggio di quello che ad ora è il leader consacrato ed intoccabile dei Los Angeles Lakers. Effettiva-mente, però, in questi otto termini si può già capire abbastanza di uno dei giocatori più di-scussi e discutibili dell’intero panorama ce-stistico americano.

una VIta ad l.a.Ha sbagliato tanto, nella sua carriera, Kobe Bryant; si vedano le sciagurate estati del 2004 e del 2007, terribili cestisticamente parlando per il mondo Lakers, per fare due esempi.  Ma ha anche imparato tutto, nei Los Ange-les Lakers, durante questi lunghi quattordi-ci anni e mezzo di carriera con quella che più volte ha definito la sua “corazza d’oro”, la maglia gialloviola. Una vita nella gloriosa franchigia Losangelina; un passato che si è evoluto in presente. Panchinaro acerbo e ta-lentuoso prima, titolare inamovibile poi, nei Lakers di Del Harris; secondo violino, con li-cenze da leader, nei primi Lakers di Shaq e Jackson, quelli che qualche soddisfazione, ad occhio e croce, dovrebbero avergliela data; primo violino, indiscusso e inamovibile, negli ultimi Lakers, quelli che stiamo vivendo con passione e che abbiamo visto cogliere il Re-peat. Per diventare leader, ha dovuto passa-re più e più ostacoli. Una metamorfosi, la più complessa della sua carriera, che l’ha porta-to ad essere un giocatore maturo, una vera e propria guida cestistica per i compagni; un arco di tempo che l’ha fatto diventare una persona diversa insomma, un giocatore di-verso. Certamente non più quel Kobe Bryant che troppo spesso era stato arrogante, vizia-to e sicuramente testardo.Oggi, sono i Lakers di Kobe Bryant e Phil Jackson e sono dei Lakers vincenti. Per arri-vare ad esserlo, lo stesso Kobe ha dovuto ca-pire che da soli non sivince, che puoi avere tutto il talento di que-

sto mondo, ma senza l’aiuto, il supporto e la fiducia in-condizionata ai compagni e dei compagni (quando li haavuti, sia chiaro), non si raggiungono i VERI tra-guardi che ogni giocatore NBA sogna di poter rag-giungere.Ed ora..con due Nba Fi-nals portate a casa, il 24 gialloviola è alla ricerca del Three-Peat, di un sogno che può   nuovamente divenire realtà; questa stagione, com-plessa per vari motivi finora, può essere l’ultima di spicco per un po’ di tempo, visto e considerato che Jackson, dopo quest’anno potrebbe ritirar-si. Come andrà, nessuno può dirlo; la concorrenza è ag-guerritissima, le difficoltà ci sono e la sensazione è che i Lakers 2011 deb-bano ancora trovare la quadratura del pro-prio cerchio. Una cer-tezza c’è, però: il lea-der di questo gruppo ha raggiunto la pro-pria consapevolezza e sa che ha dei veri compagni al proprio fianco; quei compa-gni che l’hanno sal-vato nella sciagu-rata gara7 contro i Celtics, quei com-pagni che spes-sissimo sono stati trascina-ti da lui. Basta come punto di partenza?

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I ParaGonI Con MJ: ValIdI o no?Nell’estate di quindici anni fa, un Kobe Bryant 18enne, con l’atletismo da nero americano e i fondamentali da bianco europeo si affacciava al mondo dellaNBA, sospinto dai titoloni sui giornali, so-spinto da quella volontà collettiva del mon-do cestistico americano, di trovare un erede a Michael Jordan. Come potete capire, il peso mediatico su questo giovanotto era abba-stanza forte, forse un po’ troppo. Tutt’oggi Kobe è un po’ oscurato da questo paragone, da questa enorme ombra che pesa sulla sua carriera e su ciò che ha fatto, in carriera.   Di-ciamoci la verità; si tratta di un paragone as-surdo, troppo grande per tutti, figlio di Jelly Bean compreso. Per quanto il 24 si avvicini ed eguagli, per alcuni aspetti, Michael Jordan (parliamo dell’etica lavorativa, della tecnica individuale, delle movenze e del repertorio offensivo), le carriere tra i due sono state di-verse, sin da subito. Proprio perché si trat-ta di due giocatori assolutamente differenti, nelle loro similitudini. Beh certo, qualcuno si chiederà: ma lui cos’ha fatto per dimostrar-ci che di questo paragone non gli importava nulla? Domanda assolutamente lecita. Che la sua volontà sia quella di volerlo emulare e che abbia basato ore del suo lavoro pren-dendo spunto dal giocatore e dall’uomo MJ tutti si sono accorti che sia palese. Ma da qui a dire che l’ha raggiunto, quel giocatorino là,

beh, ce ne passa.Preferiamo evitare di postare i numeri per fare un confronto; come spesso accade, le cifre sono fuorvianti e non permettono una chiara e lucida analisi dei fatti. Non servono quelli, per capire che ad ogni modo Jordan sia stato superiore a Kobe, così come a tutto il resto dei giocatori che hanno calcato il par-quet NBA dopo il suo avvento. Basti vedere i fatti, la cattiveria cestistica e la maggiore freddezza che Jordan ha mostrato durante tutte le Finals che ha disputato da leader. Ci sarebbe anche dell’altro, ma ci fermiamo qui e lo facciamo con un monito: godiamoci que-sto alieno della pallacanestro, non in quanto nuovo Michael Jeffrey Jordan, ma in quanto unico Kobe Bean Bryant.

l’InFInIta rIValIta’ Con ShaQ“I got one more than Shaq” con queste parole, Kobe il 18 giugno rispondeva ad una doman-da durante la conferenza stampa post gara7 contro i Celtics. In quelle sei parole, dette con ironia per carità, c’è molto di questa rivalità che è e sempre sarà presente nella NBA. Sì, perché la loro fraterna amicizia è sostan-zialmente durata soltanto il primo anno di Jackson e il loro rapporto è proseguito con enormi alti&bassi, durante il resto del Th-ree-Peat e oltre. Indubbio che Bryant sia sta-to nell’ombra di Shaq durante la sua prima parte della sua carriera; indubbio che Kobe sia stato molto più di un semplice secondo violino, durante i primi 5 anni di Jackson ai Lakers, quando il leader era Shaq; altrettanto indubbio, il fatto che Bryant, senza l’ex n°34 non avrebbe vinto nulla nella prima parte della sua carriera, così come quel devastante pivot, senza un giocatore come Kobe, al suo fianco. Parlare della rivalità con Shaq non è per nulla anacronistico; l’oramai pivot con la valigia in mano è ora il centro titolare dei Boston Celtics. La squadra del Massachus-sets, la rivale di sempre dei gialloviola, anche quest’anno se la giocherà ad alti livelli nella Eastern Conference ed è una possibile an-tagonista nelle Finals, qualora i Lakers non dovessero fallire nel proprio cammino ad

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Ovest. Corsi e ricorsi storici in vista?

Il PreSente ed Il FuturoCome abbiamo accennato prima, la stagio-ne 2010/11 di Kobe Bryant e compagni sta procedendo con problematiche, difficoltà e sconfitte impreviste. Se siamo sicuri di un futuro innalzamento del livello di gioco, da parte del 24 gialloviola, al momento non ci si può dire certo pienamente soddisfatti dellaRegular Season del 2 volte MVP delle Fi-nals. Dopo l’ultima pessima esperienza dello scorso anno, quando Bryant ha seriamente rischiato di disputare i Playoffs in condi-zioni fisiche impresentabili perché spremu-to troppo tra ottobre e febbraio, il coaching staff dei Campioni NBA ha deciso di diminu-ire drasticamente il minutaggio del Capitano dei Lakers. Dopo oltre metà stagione, non ha sostanzialmente mai scollinato oltre i 40’ (se non in un paio d’occasioni) di gioco, né è stato utilizzato troppo in situazioni di back2back. I 33 minuti di media rappresentano l’impiego più basso dalla stagione 97/98 (26 minuti, in quella da Sophomore), ma nonostante ciò Kobe ha spesso giocato male, impreciso dal campo e ancora più passivo del solito ren-dimento di Regular Season, in difesa. Certo, alcune perle le ha regalate anche quest’anno e in alcuni situazioni è stato lui a trascinare la squadra nei momenti di difficoltà (come nel match contro i Celtics, al Garden, dove è stato assolutamente decisivo nel finale); ma non è, evidentemente, il <i>classic Bryant</i> a cui lo Staples Center e l’intera NBA sono stati sempre abituati.Anche in questa stagione, però, non è manca-to nello scrivere una nuova pagina della sto-ria. La notte tra il 3 e il 4 gennaio, in un match contro Detroit vinto 108-83, Kobe Bryant è entrato ufficialmente nella Top Ten della storia della NBA per punti segnati in carriera (superando Dominque Wilkins che era deci-mo con 26.670 punti), per poi tre giorni dopo circa sorpassare Oscar Robertson al nono posto.Ma come abbiamo detto durante tutto que-

sto speciale, non sono stati solo i numeri personali, le cifre, i premi singoli e i punti segnati a rendere grande Kobe Bryant; sono stati i titoli, il suo percorso, la sua crescita e le sue giocate in momenti importanti e non a renderlo ciò che è ora. Un Leader vero, che compie errori ma che è capace di capir-li e migliorare sempre di più, grazie a tutti quei pregi che abbiamo elencato sin dall’ini-zio di questo articolo (assieme ai difetti, che sono evidenti e che rimarranno nel suo es-sere Kobe Bryant). Come detto in preceden-za, il Capitano gialloviola ha di fronte quello che forse sarà l’ultimo ballo con coach Phil Jackson, colui che tante volte l’ha “bastonato” ma che alla fine l’ha aiutato in quel processo di maturazione, fondamentale per farlo di-ventare il giocatore che è ora.  Come andrà a finire, lo sapremo solo da aprile in poi. Quel che è certo è che Kobe Bryant ha già scrit-to una grossa fetta di storia NBA e di questo, haters a parte, se ne possono rendere conto tutti.

CIFre attualI:

25.1 PPG.460 FG%.315 3p%.826 Ft%5.4 rPG4.8 aPG1.2 SPG33.9 MPG

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Torna l’appuntamento con il nostro GOTM e torna cambiando viso. Non ci concentreremo più sulla preview di uno dei match più impor-tanti del mese, bensì proveremo ad analizza-re due partite già giocate, due incontri che hanno dato segnali importanti, all’interno di un contesto di un certo peso.In questo numero, parleremo dei due Re-match delle Finals 2010: Lakers-Celtics, ver-sione Staples Center e versione Td BankNorth Garden.

30/11/2011, Staples Center, Los Angeles.Un insieme di individualità contro una squa-dra rodata, quadrata, pragmatica e atletica-mente superiore.Il matinèè giocato tra le mura amiche dei nostri gialloviola non ha certo regalato bel-le sensazioni ai sostenitori di Los Angeles. I Lakers si sono affidati quasi esclusivamente a Kobe Bryant, nel primo tempo, facendosi trascinare dalle sue giocate e dalla sua lea-dership; il 24, come spesso è accaduto nelle ultime stagioni, ha risposto presente, domi-nando avversari e sistemi difensivi e portan-do i padroni di casa in vantaggio dopo un inizio difficile (all’intervallo, 54-50 L.A.).Nel secondo tempo, però, la solidità dei gial-loviola si è frantumata in men che non si dica;

Kobe ha iniziato a perdere lucidità e con lui anche gli altri, sostanzialmente mai in ritmo, hanno perso quel minimo di attività mostrata durante i primi 24’. I Celtics hanno reagito da grandissima squadra e dopo l’intervallo lungo hanno giocato un basket essenziale, corale, cinico; grande intensità in difesa, grande or-dine in attacco. Al fianco di un Paul Pierce sostanzialmente perfetto, nell’ultimo periodo sono saliti in cattedra sia Garnett (che ha do-minato in lungo e in largo Gasol, 18+13 e ap-pena 3 errori al tiro), sia Ray Allen (21 punti, con 3 triple e 8-12 dal campo). Il risultato finale, numericamente parlando, ha punito eccessivamente L.A., che però ha nettamente meritato la sconfitta. Come vuole la tradizione per la maggior parte dei casi, il primo Rematch delle Finals, va alla squadra che le ha perse.

le teMatIChe tattICheUn Jackson piuttosto scialbo ha assistito al match, come spesso avviene in Regular Sea-son, più in qualità di spettatore non pagante (o pagato, fate voi), che in qualità di coach.L’inizio della partita ha visto riproporre con insistenza, per i Lakers, il pick&roll in tran-sizione secondaria, con coinvolgimento del secondo lungo. Soluzione, questa, che tanto aveva fatto male ai Celtics nelle scorse Finals;soluzione che, però, si è persa con il passare

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dei minuti, anche a causa di una situazione d’emergenza, in termini di punteggio, che si era già presentata sin dal primo quarto. So-liti errori per la sua squadra: insufficiente il coinvolgimento dei lunghi, con i quali i Lakers avrebbero dovuto avere un vantaggio sulla carta; poco il coinvolgimento emotivo di Ron Artest, difensivamente passivo e in generale dannoso; quasi nulla la prestazione della se-cond unit, con il solo e solito Lamar Odom a dare un minimo di sostegno dalla panchina. Dall’altra parte, Rivers, dopo aver rischiato il colpo grosso in gara7 lo scorso giugno, ave-va ancora un paio di sassolini nella scarpa e se li è tolti preparando la partita in maniera sostanzialmente perfetta. L’assenza di Thibo-deau come assistant-coach non ha comun-que tolto la possibilità ai suoi di difendere bene, con voglia ed intensità e con la solita grande pulizia tattica.Quando poi le soluzioni offensive hanno effi-cacia con grande continuità, com’è avvenuto allo Staples Center, Boston diventa sostan-zialmente infermabile. Rondo è stato, anche in questo caso, il motore dell’attacco dei Cel-tics e i suoi 16 assists finali (di cui 15 nel se-condo tempo) sono sintomo di come molto, nell’economia della squadra, dipenda dalle sue prestazioni. Come detto, oltre ad un perfetto Pierce, le usci-te dai blocchi di Allen e un Garnett in versione Playoffs, hanno fatto il resto; il 60% dal campo comples-sivo, è il modo migliore per attestare l’ottima verve offensiva della squadra del Massachussets.

le dIChIarazIonI PoSt-PartItaUn Jackson tra il serio e il faceto, come al solito, si è presentato nel post-partita ai gior-nalisti, calmo e sereno, come se avesse ap-pena trascorso 20 giorni nel Montana; alle domande relative alle difficoltà incontrate dai suoi giocatori in questa stagione, lo Zen ha risposto con un eloquente: “Ma sono già i Playoffs questi?No, non sono ancora arrivati i Playoffs, mi pare. Sono solo partite di Regular Season, quando sarà il momento ci saremo.”Dall’altra parte, Paul Pierce, che dopo gara2 delle scorse Finals si era fatto scappare un “We ain’t coming back to L.A.”, al termi-ne del match ha detto: “E’certamente tutta un’altra partita rispetto ai Playoffs, ma da quella sconfitta in gara7 questo sarà sem-pre un match particolarmente emotivo, per noi.” Doc Rivers, vero vincitore strategico di questo incontro ha invece svelato il trucco del trionfo dei suoi Celtics: “Ho detto a Ra-jon (Rondo, ndr) che è una delle partite più importanti dell’anno, questa; lui ha risposto come volevo rispondesse. Abbiamo discusso di ogni particolare durante ogni time-out ed è sempre stato presente con la testa. Lui è il nostro “pitcher”; ha capito che doveva gui-darci e nel secondo tempo l’ha fatto.”

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10/02/11, Td BankNorth Garden, Boston.A meno di 15 giorni di distanza, il calendario mette di nuovo faccia a faccia le due prota-goniste delle ultime tre stagioni NBA.

Il match si può sostanzialmente dividere in due grandi tronconi. Nel primo tempo, lo scontro tra queste due squadre ha seguito la falsariga tracciata negli ultimi 24’ della partita giocata allo Staples Center; i Celtics, folgorati dal re-cord di Ray Allen (che ha supe-rato, con due piazzati nel primo quarto, Reggie Miller per triple segnate in carriera, salendo in prima posizione di questa spe-ciale classifica) e guidati da un Rondo assolutamente in pal-la, hanno dominato sotto ogni punto di vista gli uomini di Phil Jackson: intensità, grinta, pulizia e atle-tismo i quattro punti che hanno sancito l’evidente superiorità dei padroni di casa nei primi 2 periodi.Il secondo tempo, però, ci ha

mostrato una partita totalmen-te differente. Kobe Bryant, silente sino

all’intervallo, si è svegliato, giocando due quarti di incredibile onnipotenza cestistica (chiuderà con 23 punti e 9-17 dal campo); questo, ovviamente, ha portato anche gli altri gialloviola ad entrare in ritmo: Pau Gasol, al contrario del match dello Staples Center, ha dominato su Garnett mentre Bynum, Odom e Shannon Brown hanno saputo coadiuvare in maniera perfetta i due leader dei campio-ni NBA in carica. Il risultato è quello di un finale punto a punto, nel quale a prendere il proscenio è stato il solito Bryant: nella serata che doveva essere di Allen, il 24 gialloviola ha messo a segno 8 punti pesantissimi negli ultimi 5 minuti, compreso il jumper che ha chiuso la partita e portato i suoi alla vittoria.

le teMatIChe tattIChe

Il game-plan attuato da Jackson è stato totalmente diverso in questo match, rispetto a quello proposto una decina di gior-ni prima allo Staples Center; poca transizione, molti attacchi a metà campo statici ed esecu-

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zione purissima dell’attacco a Trian-golo. Il risultato è stato quello di

un Kobe ecumenico, di un Ga-sol spento e di una panchina francamente imbarazzante.

Nel secondo tempo, pur restando all’interno del sistema più spesso che

in altre occasioni, Kobe ha preso in mano la squadra giocando in maniera totale e domi-nando la scena. Con un Bryant così, il sup-porting cast è riuscito a sfruttare al meglio la Triple Post Offense e a ritagliarsi un ruolo importante nel contesto offensivo.Ma la partita ha preso una svolta, grazie so-prattutto all’approccio diverso con cui i La-kers si sono presentati in campo; i gialloviola hanno mostrato una diversa intensità e i ri-sultati si sono visti sul campo per gli ultimi due periodi. Altre facce, altro body language, ben altre sequenze difensive, con un Artest finalmente protagonista.I Celtics, al contrario, dopo un primo tem-po sostanzialmente perfetto e inattaccabile, hanno avuto la grande colpa di non saper reagire al parziale degli ospiti ad inizio terzo quarto; con il passare dei minuti, Pierce e compagni hanno dato la sensazione di ave-re idee sempre più confuse e sempre meno concrete. Doc Rivers ha provato a cambiare rotazione, a variare più volte il quintetto, ma non è servito a nulla; Rondo è uscito men-talmente dal parquet, dopo un ottimo primo tempo, mentre Ray Allen, nonostante un maggior numero di schemi chiamati per lui non ha inciso. Il n°20 dei Celtics, dopo un ini-zio straordinario si è spento via via e il match è sfuggito dalle mani dei padroni di casa, senza quasi che essi se ne fossero accorti.

le dIChIarazIonI PoSt-PartIta“Spero saremo sempre così motivati; era-vamo 1-6 di record, contro le grandi squa-dre, prima di questo match e questa vittoria è davvero importante. Siamo competitivi e stiamo ritrovando noi stessi, la nostra iden-

tità.” Il solito filosofico Phil Jackson si è pre-sentato in sala-stampa nel post-partita. Più concreto Kobe Bryant che ha visto concede-re “troppe facili opportunità agli avversari e troppi tiri wide-open”, mentre “nel secondo tempo siamo stati capaci di difendere meglio e di togliere ritmo al loro attacco”. Dall’altra parte, uno sconsolato Ray Allen si è visto ro-vinare la festa per il suo record e ha descritto così il tiro con cui ha raggiunto Reggie Miller per triple segnate in carriera: “Mi è sembrato andasse tutto al rallentatore. Quando ho pre-so la palla e ho tirato ho subito provato una buona sensazione, quella che provi quando sai che quella palla andrà a canestro: è stato un momento magico.”

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Ri-scatto o

Ci sono tanti eventi che pos-sono cambia-re radicalmente il destino di una franchigia. Una scelta al draft, una trade, una partita. Sono eventi che tra-sformano una squadra da vincente a perdente, da trionfatrice a umiliata e viceversa, e non è possibile prevede-re quali saranno gli effetti di quell’evento dopo anni. Nel caso dei Dallas Mavericks quel momento è probabilmente retrodatabile al 13 giugno 2006. Devin Harris batte Gary Payton dal palleggio e manda a bersaglio il canestro dell’83-71 per i suoi a 8:33 dalla fine della partita. La partita è gara3 delle Finali tra Dallas e Miami, i texani sono in van-taggio già per due partite a zero. Tutti vedono il 3-0 in arrivo, la chiusura della serie e la consacra-zione di Nowitzki come MVP. Quella notte però il destino della franchigia svolta inaspettatamente: gli Heat battono i Mavs e da lì non si voltano più indietro: si laureeranno campioni NBA con Wade

di GIUSEP-

MVP a furor di popolo.

Dopo una scon-fitta così pesan-

te da digerire, la squadra giocò la

stagione successi-va con una cattiveria

inaudita, inanellò una serie da 17 W e due se-

rie da 12, presentandosi ai playoff come la contender nume-

ro uno al titolo. Gli spettri di Miami sembravano essere lontani, il clima era

quello giusto, l’aspettativa era quella della caval-cata annunciata. E invece, in quella serie di pri-mo turno contro i Warriors che passerà alla storia, Dallas perse la serie e la faccia contro una delle squadre più elettrizzanti di sempre, la Golden Sta-te di Baron Davis e Stephen Jackson.Da allora, di anno in anno la banda di Mark Cu-ban si presenta in regular season con la voglia di riscattarsi, un roster di primo livello e la speranza di riprendersi quello che Wade scippò loro in quel Giugno di quasi 5 anni fa. Quest’anno certo non fa eccezione. Alla partenza la squadra è sana, l’uni-

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co infortunato di lunga data è Roddy B, al secolo Rodrigue Beaubois, fuori per un infortunio al pie-de (lo terrà fuori fino a febbraio-marzo). Il ritorno di Tyson Chandler in estate in cambio di Dampier sembra donare nuova vita alla squadra sopratutto da un punto di vista difensivo. Se l’anno scorso le penetrazioni avversarie fruttavano canestri facili (basti pensare al massacro di layup subiti contro Parker, Hill e Ginobili al primo turno di playoff perso contro San Antonio), quest’anno il pittura-to è cessato di essere terreno di conquista avver-sario e la difesa è improvvisamente diventata tra le migliori della lega per punti e percentuale dal campo concessi. Il risultato è che dopo due mesi abbondanti di RS Dallas ha un record di 24-5, se-condo solo a quello degli Spurs, e una prospettiva che torna ad essere rosea dopo anni di sconfitte ai playoff.. Il destino di una franchigia però cambia in una notte.

Proprio la sera della W numero 24, Nowitzki cade male sul ginocchio destro ed esce dal campo. I me-dici diagnosticano una distorsione al ginocchio: per rientrare occorrerà quasi un mese. Ma quel-lo che sembrava essere solo un colpo di sfortuna isolato, si dimostra essere solo la prima macchina-zione del beffardo destino che si abbatte come un macigno sulla squadre texana solo tre giorni dopo. La sera dell’1 Gennaio si gioca in Wisconsin sul campo di Milwaukee. A metà del primo quar-to, Caron Butler salta a rimbalzo, ma qualcosa va storto; Butler urla di dolore, resta a terra qualche minuto, poi riesce a rialzarsi e a guadagnare la via degli spogliatoi sulle proprie gambe. I tifosi che guardandolo camminare con una lieve zoppìa

tirano un sospiro di sollievo sono presto smentiti dall’amara verità: rottura del tendine rotuleo, ripa-razione chirurgica necessaria e stagione finita.La notizia è di quelle destabilizzanti per davve-ro. L’ambiente è scosso da questo autentico ter-remoto, tanto che Eddie Sefko, cronista dell’area texana particolarmente “dentro” lo spogliatoio dei Mavs, in un intervento seguente l’infortunio dichiara:”L’unico raggio di sole che può arrivare in questo momento è il potenziale che Nowitzki e Be-aubois porteranno al loro ritorno”.Phil Jackson e Gregg Popovich non hanno esitato a dichiarare che con questa assenza Dallas, che pri-ma aveva legittime speranze di puntare almeno alla finale di Conference, non possa più essere in corsa e vada depennata dalla lista delle contender. Ma quali sono in questo momento le prospettive per una squadra che deve rinunciare a uno dei suoi punti di riferimento principali?

Rick Carlisle parla chiaro:”La stagione è molto lunga e capita di entrare in serie negative quando si è in difficoltà, e si gioca contro buone squadre, ma noi dobbiamo restare concentrati sulla partita. Dobbia-mo vincere le partite con chi abbiamo a disposizio-ne.” Il GM Donn Nelson non ha perso tempo nel fornire al suo head coach il materiale per provare a restare competitivi. La firma del 10 Gennaio dell’ex Cleveland e Minnesota Sasha Pavlovic sembra ini-zialmente una mossa più dettata dalla disperazio-ne del momento che dal raziocinio, non fosse altro perchè il serbo appariva ormai un progetto fallito in ottica NBA. E invece Pavlovic è riuscito a dare il suo contributo in circa 16 minuti di media di im-

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piego come ala piccola titolare, con il picco del-la prestazione contro i Lakers da 11 punti, prima di essere tagliato in favore di Peja Stojakovic in scambio con il centro Alexis Ajinca, poco utilizza-to da Carlisle; anche lui è approdato in Texas con scarse prospettive dopo una serie di problemi fisi-ci e tecnici che ne hanno minato la competitività. Ha trascorso un paio di settimane a recuperare la condizione, poi ha iniziato a vedere il campo all’i-nizio del mese di Febbraio, fino all’esplosione del 12 Febbraio: 22 punti con 4/6 da 3 contro Houston. Fuoco di paglia, o giocatore ritrovato? “E’ facile giocare con loro – dichiara Peja parlando dei suoi compagni – Riesco ad avere così tanti buoni tiri perchè attirano molta attenzione su di sè”.

Carlisle, nel post-partita di una pesante sconfitta contro Orlan-do, indica la via per ritornare ad essere competitivi:”Deve cominciare tutto dalla difesa e

dai rimbalzi, Non abbiamo scu-se.”. Queste dichiarazioni ci dico-

no che la tensione nello spogliatoio resta alta, nonostante una serie di

dodici sconfitte in quindici gare, e che la chiave per tornare in alto in questa stagione è la stessa che li ha portati ai vertici della Western Conference: la difesa. Da questo punto di vista

è fondamentale la reazione di Shawn Marion, discreto rimbalzista e difenso-

re molto atletico, eccellente stoppatore, muove discretamente i piedi in difesa. Il

problema semmai sta nella sua applica-zione mentale che lo rende a volte troppo

fiducioso dei suoi mezzi fisici e inficiano la bontà e l’efficacia della sua marcatura.

Inoltre l’assenza di un punto di riferimento come Butler può indurre altri giocatori ad aumentare il proprio livello di gioco: è il caso di Deshawn Ste-

venson, specialista difensivo che dal 2 Gennaio ha messo a segno sei partite consecutive in doppia ci-fra con una media di 17 punti a sera, o dello stesso Marion, salito in tutte le voci statistiche da quan-do Carlisle lo ha promosso titolare.

Il vero problema che l’ex coach di Indiana deve risolvere è so-stituire Butler offensivamente. Ciò che perde è la sua capacità di

penetrare nel pitturato e di attaccare il canestro quando viene ribaltato il lato della palla. Di fatto senza di lui l’unico penetratore vero rimasto nel-la squadra è J.J. Barea. Il play/guardia portoricano sa essere a tratti inarrestabile in penetrazione, so-pratutto in situazioni di transizione in cui la difesa non è ancora perfettamente schierata. Tuttavia parliamo di un giocatore che per caratteristiche fisiche non può rappresentare una risorsa offen-siva a lungo termine. Carlisle per altro non ha mai nascosto il suo amore per lo small ball, e la struttu-razione con Barea, Jason Kidd e Beaubois contem-poraneamente in campo può fornirgli quella peri-colosità in penetrazione attualmente persa. Resta ovvio però che questo quintetto, per quanto sia interessante e possa mettere a segno dei parziali importanti, non può essere la soluzione offensiva all’assenza di Butler.La soluzione potrebbe chiamarsi Jason Terry. Non si può dire infatti che il Jet non sia un penetra-tore efficace o non sappia essere un punto di ri-ferimento in attacco. Curiosamente però sembra esserlo solo nel quarto quarto. Se si prendono i dati relativi agli ultimi dodici minuti infatti, Ter-ry è nella top10 della lega davanti a grandi nomi quali LeBron o Derrick Rose. Se però si guarda ai restanti tre quarti si osserva un altro giocatore, che prende gli stessi tiri ma li sbaglia, che prova le stesse penetrazioni ma non segna. E’ ovvio che la motivazione di tale trasformazione non possa essere tecnica, ma mentale: se Terry riuscisse ad essere efficace per tutta la partita come lo è nel quarto quarto, i Mavericks potrebbero soffrire di meno e restare ad alti livelli nonostante tutto. La domanda è: ci riusciranno? Tutto lascerebbe pensare che questa stagione ri-calcherà le orme di quelle passate: una stagione da 50-55 W, fattore campo guadagnato al primo turno e possibilità di passarlo se accoppiati a una squadra di medio livello. Ma per passare il secondo turno si dovrebbero sconfiggere squadre come La-kers o Spurs, e al momento sono gli stessi Jackson a Popovich a non credere che questo possa succe-dere. Ma Carlisle, Nowitzki e tutto l’ambiente non ci stanno. Loro vogliono vincere, vogliono allon-tanare gli spettri del 2006, tornare a lottare per dell’argenteria di lusso, ma in loro in questo mo-mento non crede nessuno. Riusciranno a cambiare il destino della propria franchigia?

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ALL STAR GAME 2011 - RECAPdi ROBERTO VIARENGO

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ALL STAR GAME 2011 - RECAP

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rookie vs Sophomore 148-140Il primo appuntamento degno di nota per ciò che riguarda l’All Star Weekend, è senza dub-bio la sfida tra Rookie e Sophomore, un match che quest’anno, il secondo consecutivo, ha visto padroneggiare le matricole della lega, guidate da due astri nascenti, Wall e Cou-sins, con Griffin a tenersi caldo per il gior-no successivo, pur regalando al pubblico los angeleno qualche perla delle sue. Termina il match con il punteggio di 148 a 140 in favo-re delle “new entries” Nba. Wall, incoronato giustamente Mvp della serata, ha stabilito il nuovo record di assist in questa competizio-ne, mettendone a referto 22, la maggior parte proprio per il suo ex compagno di Kentucky, DeMarcus Cousins, il quale ha chiuso con 33 punti e 14 rimbalzi.

Kobe sulla Walk of FameIl sabato nell’ASG di L.A. inizia col botto, o me-glio, con Kobe ad entrare nella storia per l’enne-sima volta, diventando cioè il primo sportivo a lasciare le sue impron-te nel cemento davanti il Chinese Theatre nel-la famosissima Walk Of Fame di Hollywood. “Sono cresciuto insieme a questa città, abbiamo avuto un po’ di alti e bas-si, ma ora eccoci qui, con 5 anelli al dito ed altri an-

cora da conquistare. Sono onorato di tutto questo; le impronte delle mani nel cemento e tutto il resto sono cose che si vedono nei film e non l’avevo immaginato neanche nei miei sogni più strani. Le mie impronte vici-

no quelle di Robert Downey Jr. e altri attori di quel calibro, è straordinario. Amo Los An-geles, amo i Lakers, altri anelli arriveranno presto, vedrete, grazie a tutti”.

all Star SaturdayLe quattro competizioni che riguardano l’All Star Saturday sono iniziate poi, come di rito, con lo Shooting Stars, manifestazione che quest’anno ha visto prevalere la compagi-ne di Atlanta, formata da Steve Smith, Coco Miller e Al Horford. Con lo Skills Challenge poi, la sfida tra playmaker, si è iniziato de-finitivamente a fare sul serio. Chris Paul, Derrick Rose, John Wall, Stephen Curry e Russel Westbrook si sono sfidati nella sin-golare competizione che non è stata priva di qualche sorpresa, eliminando subito infatti

Cala il sipario sull’All Star Game 2011 in una Los Angeles che ha visto protagoniste le sue stelle per tutta la tre giorni. Bryant e Griffin hanno regalato ai loro tifosi grandissime emo-zioni, specie con la stella giallo-viola che ha ribadito, nel caso in cui ce ne fosse ancora bisogno, di avere ancora in mano le chiavi della citta’ e probabilmente anche della Lega.

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i favoritissimi di questa gara e vedendo una combattuta finale tra Curry e Westbrook, con il talento di Golden State ad aggiudicar-si il trofeo dopo una prova quasi perfetta. E’ la volta poi del 3-Point Contest, con Dorel Wright, Kevin Durant, Daniel Gibson, Paul Pierce, James Jones ed il campione in carica Ray Allen. Ad andare in finale sono proprio le due stelle di Boston che devono però in-chinarsi a Jones degli Heat, che con 20 pun-ti si aggiudica il titolo. La serata s’infiamma poi con la competizione finale dell’All Star Saturday, ovvero l’attesissimo Slam Dunk Contest, una sessione, questa del 2011, che non ha avuto nulla da invidiare a quelle del passato più recente per cosa ha messo in mostra. DeMar DeRozan, Serge Ibaka, JaVale McGee e Blake Griffin, partono decisamente carichi con gli ultimi due però che dimostra-no da subito di avere qualcosa in più, e con McGee addirittura, palesemente accreditato ad insidiare il trono al giocatore dei Clippers. I due duellano con grande determinazione, in un finale piuttosto hollywoodiano poi però, Griffin decide di saltare una macchina sulle note musicali di “I believe I can fly” intonate live da un coro gospel al centro del campo. Davanti ad uno spettacolo del genere, anche se in molti hanno notato una mancanza di originalità nelle schiacciate, seppur fantasti-che, di Griffin, non si è potuto non premiare il numero 32 dei Clippers, al quale è andato il premio dell’ultima competizione del sabato.

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Si è poi finalmente giunti alla partitissima della domenica sera, quella delle stelle e su tutte ce ne è stata una che per forza di cose ha iniziato a brillare già dalle presentazio-ni delle squadre, quella con il numero 24 sulle spalle che ha letteralmente infiam-mato tutto il suo stadio già soltanto con la sua presenza. Applauditissimo anche l’altro pupillo di L.A., Griffin, sonori invece i fischi per il quartetto di Boston formato da Rondo, Pierce, Allen e Garnett. Il match non ha regalato grandissima intensità per

la sua maggior parte, com’era prevedibile, of-frendo però uno spettacolo degno del weekend a livello di giocate individuali, e Kobe ne ha re-galate svariate. Nell’ultimo quarto però la musi-ca è cambiata, l’intensità è salita e tutti volevano riuscire a portare a casa il risultato. Vicine nel punteggio le due formazioni si sono contrastate fino nei minuti finali, con LeBron che ha tentato il tutto per tutto per riprendere in mano il match, ma la determinazione dell’Ovest è riuscita a con-quistare la vittoria con il punteggio di 148 a 143. Kobe eletto Mvp per la quarta volta, ha messo a

all Star Game Western Conference 148 - eastern Conference 143

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referto 37 punti e 14 rimbalzi. La stella dei Lakers ha pareggiato i conti con Bob Petit, al primo posto della classifica per maggior numero di Mvp vinti in All Star Game, 4 appunto, staccando Jordan, Shaq e Robertson fermi a 3. James, dal canto suo, è diventato il secondo giocatore, dopo Jordan, a mettere a segno una tripla dop-pia in un ASG, dovendosi però arrendere comunque al 24 che si è anche preoccupa-to di regalargli un poster di quelli da ap-pendere in camera.

all Star Game Western Conference 148 - eastern Conference 143

tItolarI MIn FGM-a 3% Ft ro rd reB aSt Stl BlK to PF PtS

amare Stoudemire 28 11-20 1-2 6-6 3 3 6 2 0 1 1 0 29

leBron James 32 10-18 0-3 9-10 2 10 12 10 0 0 4 3 29

dwight howard 21 2-4 0-2 1-2 2 5 7 1 1 0 2 4 5

dwayne Wade 20 6-9 0-1 2-2 1 3 4 2 1 0 4 2 14

derrick rose 30 5-13 0-1 1-2 1 2 3 5 1 0 1 0 11

PanChIna MIn FGM-a 3% Ft ro rd reB aSt Stl BlK to PF PtS

Kevin Garnett 8 2-3 0-0 0-0 0 5 5 2 0 1 0 0 4

ray allen 17 4-9 2-7 2-2 1 3 4 2 0 0 1 2 12

Joe Johnson 20 4-11 3-9 0-1 1 1 2 2 3 0 0 1 11

Chris Bosh 21 7-10 0-1 0-1 2 3 5 2 0 1 3 0 14

Paul Pierce 11 2-6 1-3 1-2 0 1 1 2 0 0 3 0 6

al horford 10 1-3 0-0 0-0 1 2 3 0 0 1 0 2 2

rajon rondo 21 3-5 0-0 0-0 2 0 2 8 0 0 2 0 6

totalI 57-111 7-29 22-28 16 38 54 38 6 4 21 14 143

tItolarI MIn FGM-a 3% Ft ro rd reB aSt Stl BlK to PF PtS

Carmelo anthony 23 4-10 0-1 0-0 3 4 7 2 1 1 2 3 8

Kevin durant 30 11-23 4-11 8-8 0 3 3 2 2 2 0 3 34

tim duncan 12 1-4 0-0 0-0 1 2 3 2 2 0 0 0 2

Kobe Bryant 29 14-26 2-7 7-8 10 4 14 3 3 0 4 2 37

Chris Paul 29 3-7 2-3 2-2 1 3 4 7 5 0 3 3 10

PanChIna MIn FGM-a 3% Ft ro rd reB aSt Stl BlK to PF PtS

Pau Gasol 24 8-13 0-1 1-2 6 1 7 2 0 2 1 3 17

deron Williams 18 2-7 1-3 0-0 0 1 1 7 1 1 2 0 5

Manu Ginobili 21 2-7 0-3 3-4 1 2 3 5 3 0 2 3 7

dirk nowitzki 14 3-8 0-1 0-0 0 5 5 1 1 1 0 0 6

russell Westbrook 14 6-12 0-1 0-2 3 2 5 2 0 0 0 1 12

Blake Griffin 15 4-6 0-0 0-0 2 3 5 5 0 0 0 0 8

Kevin love 12 1-3 0-0 0-0 0 4 4 1 0 0 1 0 2

totalI 59-126 9-31 21-26 27 34 61 39 18 7 15 18 148

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Continua a essere caldo lo spogliatoio dei Detroit Pistons. Il 12 Gennaio, senza che lo staff meico aves-se dato alcuna comunicazione, Rip Hamilton non mette quasi più piede in campo (comparsata contro Milwaukee); da allora Kuestler non gli farà giocare più un minuto, con Stuckey promosso guardia tito-lare e un sorprendente McGrady in posizione di play. “Non mi hanno detto niente, ero davvero sorpre-so” dichiara Rip, “Se penso che sia una mancanza di rispetto o di onestà? Beh, ditemelo voi”. Una trade sembra essere all’orizzonte: che sia la fine della carriera di Richard Hamilton ai Pistons?

Ad inizio stagione grande entusiasmo riempiva l’aria di Cleveland, le parole di Dan Gilbert in estate avevano infiammato gli animi, nelle prime partite i Cavs erano riusciti anche a mantenere un record positivo (4-3). Poi le cose sono cominciate ad andare storte, i punti più bassi sono stati un 112-57 contro i Lakers che Scott ha definito “imbarazzante” e il tragico record di 26 sconfitte consecutive, re-cord assoluto in NBA e a pari merito con i Tampa Bay Buccaneers dell’NFL. Quando si è interrotta la striscia grazie alla compiacenza dei Clippers, il pubblico di Cleveland è letteralmente esploso, scrol-landosi di dosso almeno per una sera l’umiliazione della sconfitta.

Dopo l’umiliazione dei Cavaliers contro i Lakers di Kobe, il loro ex-King, si è lasciato andare in com-menti su Twitter  in risposta principalmente a quello che il proprietario dei Cavs aveva augurato alla sua ex stella dopo l’addio alla franchigia dell’Ohio da parte del “prescelto”.  Il numero 6 di Miami ha così commentato la elle della sua ex squadra: “Pazzesco, il Karma è una p***. E non è bello augurare del male a qualcuno, perché Dio vede tutto...”. La singolarità del fatto però sta che dopo quest’uscita, LeBron si è infortunato alla caviglia sinistra durante il match con i Clippers ed i suoi Heat hanno rimediato una sconfitta dopo le 9 vittorie consecutive appena collezionate, e come se non bastasse, altre due sconfitte sono poi sopraggiunte per Miami contro Denver e Chicago, scaturendo ancora più ilarità tra i tifosi di Cleveland.

“Non so dove giocherò la prossima stagione ma una cosa è certo, voglio andare a New York!”, queste furono le parole di Melo tempo fa e alla fine si sono tramutate in realtà. Con un paio di giorni d’antici-po sulla chiusura del mercato, il talento di Syracuse ha infatti realizzato il suo sogno di giocare nella Grande Mela, vestendo la maglia dei Knicks. A detta di molti, la squadra di Dolan ha dato anche più del dovuto ai Nuggets per assicurarsi Anthony, ma così facendo è riuscita ad affiancare a Stoudemire la stella che cercava da tempo. Nell’affare, oltre a Melo, alla corte di D’Antoni sono arrivati Billups, Anthony Carter, Shelden Williams e Balkman, mentre a Denver sono stati spediti Felton, Chandler, Mozgov, Gallinari, e assegnate inoltre la prima scelta del 2014, la seconda scelta del 2012 e 2013 ed un compenso di 3 milioni di dollari. Arriva a NY (da Minnesota) anche Corey Brewer in cambio di Anthony Randolph e del contratto di Eddy Curry.

di roBerto VIarenGo e GIuSePPe MaGnIFICotoP oF the eaSt

CaVS In Caduta lIBera

leBron tWItta Contro I CaVS, PoI S’InFortuna e MIaMI ne Perde tre

Il deStIno dI Melo anthonY

Secondo Stephen Smith, Rasheed Wallace starebbe pensando ad un clamoroso ritorno in campo dopo il ritiro, questa è la voce circolata a metà gennaio che ha fatto abbastanza notizia, ma che nello stesso tempo è stata anche subito smentita dall’agente del giocatore, Bill Strickland. “Non credo proprio. Al momento non mi ha dato alcuna indicazione che ha voglia di calcare di nuovo i campo. Per ora sta bene come sta”, ha dichiarato Strickland a FanHouse. Quello di Wallace di ritorno farebbe sicuramente rumore e sembra anche che Boston stia spingendo per questo, anche per contrastare ulteriormente la fisicità dell’armata di Miami. Al momento però il tutto sembra davvero impossibile, confermando per Sheed la volontà di chiudere una carriera che in tantissime sfaccettature l’ha visto protagonista.

Sheed PenSa ad un rItorno? Il Suo aGente neGa

haMIlton-KueStler: e’ rottura

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toP oF the WeSt

La stagione di Brandon Roy si complica ulteriormente. Dopo essersi sottoposto a diver-se risonanze magnetiche e accertato l’assenza di cartilagine in entrambe le ginocchia, il suo staff medico ha optato per l’operazione in artroscopia allo scopo di ridurre il dolore: la ri-costruzione del menisco è stata scartata. I tempi di recupero per questo tipo di interven-to oscillano dalle 4 alle 8 settimane, ma visto il passato complicato del giocatore è facile pre-vedere un rientro posticipato. Del resto il Gm dei Blazers, Richard Cho, dichiara:”Questo è un rimedio solo temporaneo, nulla è permanente”. Nel frattempo, i nostri migliori auguri al giocatore.

Dopo poco più di un anno dall’infortunio nella partita contro i Lakers, Michael Redd è finalmente tornato ad allenarsi con i Bucks. La guardia di Milwaukee aveva riportato una rottura del legamento crociato e collaterale del ginocchio sinistro, e a seguito dell’operazione aveva ottenuto dalla società l’autorizzazione per dedicarsi completamente alla riabilitazione nella sua dimora in Ohio. Il giocatore, tornato ad allenarsi in gruppo soltanto il 21 febbraio, avrà bisogno di circa due/tre settimane prima che possa scendere in campo, già poter riassaporare determinate sensazioni è stato davvero molto im-portante per il cestista statunitense: “Sto bene e questo è uno dei momenti più belli della mia carriera. Tornare sul parquet è stata una sensazione fantastica. Sono nuovo in questa squadra e sono tranquil-lo, ora è solo questione di migliorare la forma e tornare a giocare. Qualunque cosa dovrò fare, la farò”.

Davvero molte sono state le trade che hanno preso vita nel finale di questo mercato Nba. Dopo quella di Melo, a far clamore è stata sicuramente quella che ha portato Deron Williams ai Nets, consegnan-do di fatto ai Jazz Favors, Harris e due prime scelte future. Sempre i Nets inoltre hanno mandato ai Warriors Murphy in cambio di Gadzuric. Baron Davis e la prima scelta dei Clippers al prossimo draft (una tra le prime 10) finiscono a Cleveland in cambio di Mo Williams e Jamario Moon. Hinrich ed Armstrong approdano ad Atlanta, con Bibby, Jordan Crawford, Evans e una prima scelta al draft 2011 che finiscono ai Wizards. Scambio corposo anche tra Celtics e Thunder che vede Perkins e Robinson finire ad Oklahoma City e Krstic e Jeff Green a Boston. Scambio anche tra Kings e Hornets con New Orleans che acquista Landry in cambio di Thornton e circa 3 milioni di dollari. I Rockets mandano Battier a Memphis in cambio di Thabeet. Geralde Wallace approda ai Blazers e Aaron Brooks ai Suns.

Jarret Jack, play di riserva di New Orleans, è stato arrestato domenica 20 febbraio sulle strade di Atlanta dove, fermato dagli agenti di polizia del posto, ha dovuto rispondere di guida in stato di ebbrezza. Il giocatore degli Hornets, sorpreso ad ondeggiare pericolosamente in strada con la sua autovettura, è stato fermato e portato al comando di zona. Dopo aver dimostrato agli agenti di non riuscire neanche a camminare in linea retta, Jack, tramite il test del palloncino, ha di conseguenza confermato il forte abuso di bevande alcooliche. Rilasciato poi in serata è potuto uscire senza però ri-lasciare dichiarazioni immediate in merito alla giornata trascorsa in maniera piuttosto “particolare”.

Lo spettro di un possibile lockout per la prossima stagione Nba è sempre più nell’aria ed è un qual-cosa che terrorizza non solo i tifosi ma anche tutti gli addetti ai lavori. Pochi giorni fa è tornato sull’argomento il deputy commissioner della NBA, Adam Silver, il quale ha però dichiarato che quella del lock-out non è affatto un’ipotesi inevitabile. Secondo Silver, ci sono buoni margini per risolvere questa situazione e soprattutto c’è tempo, fino appunto al 30 di giugno per far si che le due parti s’incontrino e lavorino insieme per arrivare ad una decisione: “Non vi sono altri appunta-menti fissati tra le due parti al momento, ma continueremo a lavorare, non ha senso arrivare a tale decisione visto la situazione economica del paese il quale non può privarsi di questo spettacolo”.

roY Sotto I FerrI (ChIrurGICI)

Il rItorno dI MIChael redd

ruMorS SParSI dall’nBa

arreStato JaCK deGlI hornetS

Il loCKout non e’ IneVItaBIle

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elGIn

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BaYlordi alan dI Forte

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Chissà cosa avrà pensato mentre per l’ultima volta si toglieva le scarpe da basket, mentre si toglieva per sempre quella divi-sa che lo aveva accompagnato per quattordici anni. Probabil-mente non avrà pensato a nulla in quei momenti, avrà fatto tutto in modo naturale, per poi tornare a riflettere con più calma in un secondo momento su cosa significassero quegli istanti per lui.Magari Elgin Baylor ci ha riflettuto solo al primo vero momen-to di pensione da ex giocatore, magari durante le prime fe-ste natalizie passate in famiglia, e non con i suoi compagni di sempre, che quel 31 ottobre 1971 era l’ultima volta che aveva indossato la sua 22 gialloviola, l’ultima volta negli spogliatoi, l’ultima partita giocata, gli ultimi canestri segnati…Molte per-sone non sono dotate di talento, faticano ogni giorno per vive-re e farlo in pace con se stessi; altri invece sono dotati di talen-to ma lo sprecano perché non hanno la testa, sono sfortunati, avrebbero bisogno di una guida e non riescono a trovarla o ad ascoltarla; pochi eletti sono dotati di talento, di testa, mezzi ed etica lavorativa. Ma non sono baciati dal destino o, caso più sfortunato, arrivano in leggero ritardo all’appuntamento con esso. È questo il caso, e la storia, di Elgin Baylor, uno dei più grandi giocatori che il basket abbia mai vissuto: completo, forte, rivoluzionario nel suo giocare, quasi fosse stato manda-to dal futuro, così avanti per i suoi tempi che forse per questo non è mai riuscito ad essere puntuale in quel già citato incon-tro col destino.Negli ultimi anni abbiamo sentito il nome di Elgin Baylor, ala classe ’34 da Washington, moltissime volte: ogni volta che noi tifosi dei Lakers assistevamo a qualche impresa di Kobe Bryant, a qualche record battuto, infatti, l’uomo ad essere superato, ad aver fatto tutto già 50 anni fa, era Elgin Baylor, un giocato-re al quale, forse in molti non lo sanno, dobbiamo l’esistenza dei Los Angeles Lakers.Prima scelta assoluta del draft del 1958 dei Minneapolis Lakers

“ OGNI VOLTA CHE COMPETI, PROVA PIù FORTE E MIGLIORARE LA TUAULTIMA PERFORMANCE. NON DARE MAI MENO DEL TUO MEGLIO” - EB

“ SENTO SPESSO LA GENTE PAR-LARE DELLE GRANDI ALI OGGI, MA

NON NE HO VISTE MOLTE CHE POTESSERO ESSERE PARAGONATE AD ELGIN BAyLOR”

– JERRy WEST.

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(dopo quattro anni a Seattle University) reduci da una stagione da 19 vittorie e sull’orlo della banca-rotta, Baylor con le sue prestazioni ha permesso ai Lakers di sopravvivere riportando gente ai botte-ghini, permettendo così alla franchigia di ottenere i permessi per trasferirsi a Los Angeles due stagio-ni dopo ed iniziare una storia che oggi conosciamo tutti. Elgin Baylor era un’ala, come detto in prece-denza, con caratteristiche assolutamente da precur-sore sia fisiche che tecniche: potente, atletico, ar-monioso ed elegante, il tutto unito ad un bagaglio tecnico ai limiti della perfezione, faceva di lui un realizzatore straordinario, tra i più grandi della sto-ria del gioco, e un giocatore sul quale costruire una franchigia per 15 anni, proprio come fecero i Lakers affiancandogli poi dal 1960 anche Jerry West. Per gli almanacchi: record per punti in singola partita di Finale, 61, contro i Celtics nel ’62; 71 punti in una gara, massimo per i Lakers prima degli 81 di Kobe; media in carriera di 27.4, quarta ogni tempo e una stagione a 38.3 punti a partita, la più alta di sempre per un giocatore che non si chiamasse Chamberlain. Purtroppo il destino era in agguato per togliergli soddisfazioni anche dal punto di vista statistico: tut-ti questi exploit non solo non gli sono mai valsi un titolo di Mvp, ma neanche un titolo di capocanno-niere; fosse nato 15 anni dopo Baylor ne avrebbe fatto incetta, ma Elgin ebbe la colpa di vivere nella stessa epoca di Wilt Chamberlain, fagocitatore di ogni tipo di record individuale.I forti Lakers di West e Baylor arrivano in finale set-te volte tra il ’59 e il ’69, ma anche qui il destino fece sì che davanti a loro ci fosse la più grande di-nastia della storia del basket: i Boston Celtics di Red

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Auerbach e Bill Russell. I La-kers riescono a perdere tutte e sette le volte in ogni modo: da favoriti, da sfavoriti, in set-te gare, in quattro, meritando e non meritando di vincere. A nulla serve neanche l’acquisto di Wilt Chamberlain, proprio lui, nel 1968. Il peso degli anni e qualche infortunio iniziò a farsi sentire, nulla però per quei Lakers pesò più della frustrazione causata da tutte quelle finali perse, ma i giallo-viola ebbero un’altra occasio-ne nel 1970, questa volta da-vanti non ci sono più i Celtics, oramai nel dopo Russell, ma i New York Knicks: per Los An-geles è l’ennesima delusione finale, ancora in sette partite, contro dei Knicks menomati nel loro leader Willis Reed. La stagione seguente, 70-’71, El-gin scende in campo solo per due gare, a causa di un infor-tunio al ginocchio che mette virtualmente fine alla sua car-riera, ma che gli dà comun-

que la voglia di riprovarci la stagione successiva, probabil-mente l’ultima occasione per lui e West di vincere il Titolo.I Lakers si sono ringiovaniti, oltre ai soliti vecchi campio-ni possono contare su Gail Goodrich, fresca guardia da 26 punti a partita quell’anno (primo tra i gialloviola) e sul-la scalpitante ala Jim McMil-lan (che chiuderà a 18.8 ppg). La squadra di coach Sharman zoppica leggermente all’i-nizio, dopo nove gare ha un record di 6-3, così il coach decide di dare maggior fre-schezza al quintetto e va a parlare col trentasettenne Baylor, vedendolo in difficol-tà tra età, condizione e postu-mi dell’infortunio: “McMillan è una potenza in crescita, ha bisogno di minuti, partirà lui in quintetto al tuo posto”, la sintesi del discorso dopo la sconfitta con i Warriors del 31 ottobre 1971. Baylor lo com-prende ed accetta, ma capisce

che è arrivato il momento di farsi da parte: la sua carrie-ra non merita una stagione da panchinaro, o magari un anello elemosinato solo per farne sfoggio, come succes-so a molti campioni sul viale del tramonto, visti anche da queste parti. No, Baylor de-cide di farsi da parte, lo an-nuncia sul pullman ai compa-gni e poi scende, per sempre. Il pullman dei Lakers invece imbocca la strada principale verso il destino, ancora lui, su-bito dopo l’ultima fermata di Elgin: la sua prima partita da ex, una vittoria contro i Bul-lets, è la prima di una striscia di 33 successi consecutivi, an-cora oggi record imbattuto ad ogni livello sportivo profes-sionistico americano. I giallo-viola chiuderanno la stagione a 69 vittorie, record battuto solo dai Bulls del ’96, e vince-ranno il loro tanto agognato titolo battendo 4-1 in finale i Knicks. Baylor sarà lì, con i

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compagni, negli spogliatoi durante i festeggiamenti, a complimentarsi e a festeggia-re con loro il raggiungimen-to di quel traguardo che con lui era stato solo sfiorato; il proprietario dei Lakers, Jack Kent Cooke, gli darà anche una parte del premio in soldi dei giocatori, ritenendo che quel titolo avrebbero dovuto assaporarlo tutti quelli che lo avevano meritato. E Baylor in quei quattordici anni lo ave-va meritato più di chiunque altro, ma era arrivato tardi col destino o, come nella sua ultima stagione, era sceso un attimo prima di incontrarlo.Il fato ebbe per lui, però, in serbo un ultimo scherzo, fa-

cendogli fare il Gm nel-la sua amata Los Angeles ma sulla sponda sbagliata, quella dei Clippers, pro-prio mentre il suo amico e compagno Jerry occupava la stessa carica nei loro La-kers, vincendo titoli su ti-toli, con Baylor a guardar-lo proprio come lo vedeva festeggiare quell’anello di giocatore che a lui è man-cato. Una piccola rivincita, ad ogni modo, Baylor se l’è presa nel 2006 vincendo il premio di miglior Gm del-la lega alla guida dei Clip-pers, un premio che West a Los Angeles non è mai riu-scito a vincere, vedendose-lo assegnare nel 2004 per il

suo lavoro a Memphis.Questa è la storia di Elgin Baylor, uno dei più grandi ad aver mai calcato un parquet con un pallone da basket in mano, al quale la storia non ha mai riconosciuto il giusto tributo, probabilmente il più grande a non aver mai vinto un titolo. Per quelli come lui il mondo cinico e frenetico di oggi, affamato di etichette e classificazioni, userebbe un solo attributo: perdente, pro-babilmente il più grande tra i perdenti. Nulla di più sbaglia-to: Baylor ha semplicemente sbagliato i tempi, colpa del Destino.

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visto West e Baylor giocare, chi invece ha passato le prime not-

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Name: Elgin Gay Baylor Position: Small ForwardNumber: 22Height: 6-5Weight: 225 lbs.Nickname: Big E, The man with a thousand movesAll-Star: 11 times - 1959, 1960, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, 1967, 1968, 1969, 1970Born: September 16, 1934 in Washington, District of ColumbiaHigh-School: Springarn in Washington, District of ColumbiaCollege: Seattle UniversityDrafted: by the Minneapolis Lakers, with the 1st pick in the 1st round of the 1958 NBA draft.NBA Teams: Minneapolis Lakers - Los Angeles Lakers

- Inducted into Hall of Fame as Player in 1977- 1959 NBA Rookie of the Year- 1959 NBA All-Star Game MVP- NBA 35th Anniversary Team- NBA’s 50th Anniversary All-Time Team- All-NBA First Team 10 times (1959-65, 67-69)- Holds NBA Finals single-game record for most points with 61 on April 24, 1962 against the Boston Celtics- Scored 71 points (8th highest in history) against the New York Knicks on Nov. 15, 1960- Retired as NBA’s third all-time leading scorer- Ranked sixth in NBA Finals all-time scoring (26.4 in 44 games)- Ranked seventh in NBA playoffs all-time scoring (27.0 in 134 games)- NBA Executive of the Year (2006) with Los Angeles Clippers.- Scored 40 or more points 87 times in the regular season (4th All-time behind Wilt Chamberlain, Mi-chael Jordan, and Kobe Bryant)

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IL PLAYBOOK OFFENSIVO DEI SAN ANTONIO SPURSPer annI Sono StatI teMutI PrInCIPalMente Per la loro eFFICIentISSIMa e SoFFoCante dIFeSa. analIz-zIaMo Però, CoMe anChe nella FaSe oFFenSIVa GlI “SPeronI” SIano terrIBIlMente eFFICaCI.

di GIuSePPe MaGnIFICo

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L’approfondimento tattico di questo mese si concentra sulla squadra che un po’ a sorpresa si trova con il miglior record della lega: i San Antonio Spurs di coach Gregg Popovich.Il gruppo è lo stesso degli ultimi anni, l’impianto di gioco resta simile ma Popovich non è un allenatore che ami adagiarsi sugli allori, al contrario, è in grado di adattare il proprio si-stema offensivo in base alle contingenze della partita, alle situazioni di falli degli avversari e alle difficoltà tattiche che questi possono mostrare. Questo spiega come mai di partita in partita la percentuale di possessi riservata ad un determinato schema cambi in maniera dinamica.Analizzando i principali movimenti dell’attacco, prima parleremo di pick and roll, poi di Motion Offense, quindi vedremo dei giochi specifici per i singoli attaccanti.

PICK AND ROLLGli Spurs possono vantare di avere due dei penetratori più micidiali dell’intera lega, Parker e Ginobili, e uno dei bloccatori tecni-camente migliori, Tim Duncan. Ecco perchè il numero di pick and roll giocati a partita è superiore rispetto alla media delle altre squadre. Ma passiamo ad esaminare nel det-

taglio quest’opzione.Nella prima azione, Ginobili sfrutta il blocco di McDyess. Una delle caratteristiche dell’esecuzione di questo movimento da parte degli Spurs sta nel fatto che i lunghi, dopo aver porta-to il blocco, restano alti ad una distanza di

5-6 metri dal canestro. Questo, unito al fatto che sul perimetro ci siano tre uomini perico-losi (Hill, Neal e Bonner sono tre eccellenti tiratori da 3 con il 37, 39 e 50%) crea mol-to spazio per la penetrazione al centro. La penetrazione è tanto più probabile quanto più distante è il lungo che marca McDyess (Gooden) che si stacca lasciando lo spazio a Ginobili per prendere velocità. La difesa a questo punto deve scegliere cosa concede-re: se non si chiude al centro, tutto lo spazio

creato dall’attacco permetterà una comoda penetrazione; se si chiude al centro, lascerà spazio ai tiratori e verrà punita. Nell’occasio-ne presentata, Ginobili penetra e scarica per Bonner in guardia, il pallone viene ruotato in angolo per Neal che infila la tripla.Se, viceversa, la difesa decide di non conce-dere spazio al palleggiatore, ecco quali sono le conseguenze. Nella seconda immagine Brandan Haywood, il marcatore di colui che porta il blocco (Blair) esce nel cosiddetto

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movimento di show per impedire a Parker di avere una linea di penetrazione chiara. Guardiamo con attenzione gli altri tre Spurs, cioè Neal, Hill e Bonner, La loro presenza sul perimetro è ancora una volta molto impor-tante perchè impedisce alla difesa lontano dalla palla di staccarsi troppo dal proprio uomo. Questo comporta che il movimento di

“roll” di Blair non può essere coperto con ef-ficacia senza creare buchi. La coperta è cor-ta: in quest’azione Parker riuscirà a servire Blair, sul quale piomberà l’aiuto di Cardinal dall’angolo; questo lascerà solo Bonner che, ricevendo il pronto scarico di Blair, punirà con la tripla.

Abbiamo analizzato solo due delle tante possibilità che questa giocata apre per l’attacco di San Antonio. I momenti della partita in cui è più utilizzata sono gli ultimi minuti e questo ci dice come Popovich faccia affidamento su di essa, considerandola certamente il mezzo più importante attraverso il quale far canestro. Ma gli Spurs giocano pick and roll spesso e volentieri in transizione (per i motivi che vedremo in seguito), oppure quando si voglia coinvolgere lunghi che si vuol tenere lontani dal canestro (es. Howard,Chandler, Bogut ecc..)

MOTION OFFENSELa motion offense è un attacco semplice e complesso allo stesso tempo. Impararlo è semplice, eseguirlo con grande efficacia è complesso, perchè un po’ come nella Triple Post Offense, ai giocatori è richiesta una cer-ta capacità di improvvisazione in base alle posizioni in campo. Da questo deriva che le possibilità di gioco derivanti da questo schieramento sono numerose, e se in questa sede ne vengono presentate solo due è per

la volontà di trattare le opzioni più sfruttate dall’attacco degli Spurs. Tenendo bene a mente i concetti chiave di questo attacco (vd. Riquadro alla pagina suc-cessiva), esaminiamo qual è lo schieramento tipico. Il pallone viene condotto oltre la metà cam-po sulla linea laterale, non al centro. Al cen-tro infatti deve esserci il miglior bloccatore della squadra, cioè un lungo. Nella terza im-

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magine vediamo Duncan al centro che riceve da George Hill e ribalta per Parker. Questi due passaggi sono pressochè obbligatori. A questo punto, la giocata base del playbook prevede che Gary Neal porti un blocco a Bonner. Questo blocco in passato era ampiamente sfruttato

per far tagliare Tim Duncan verso la palla: vedremo poi in seguito perchè questa opzio-ne non viene sfruttata più. Tornando a Neal, il blocco che porta serve più a distrarre il suo difensore che a liberare Bonner. Dopo il blocco, ne riceve uno da Duncan all’al-tezza della lunetta. L’uscita da questo blocco gli apre tre possibili opzioni: il tiro da fuori; il taglio a ricciolo ver-so il canestro; il pick and roll con colui che gli ha portato il blocco. Tre soluzioni ugual-

mente pericolose. Gli Spurs utilizzano questo movimen-to per mettere in ritmo Neal, Jefferson, Hill, e ovviamente Ginobili.

PER GINOBILIManu Ginobili resta proba-bilmente il punto di riferi-mento principale per l’attac-co di Popovich. Come detto, spesso viene coinvolto tra-mite quel primo movimento “base” di Motion Offense, ol-

tre che con il pick and roll. Ci sono però una serie di giochi disegnati e giocati apposta per lui e che vengono gioca-ti anche dieci volte a partita se l’argentino è in serata o se è accoppiato a scarsi difen-

sori (o con problemi di falli). Il principale di questi è mo-strato nella quarta imma-gine. L’azione è cominciata come da motion offense: la palla, condotta lateralmente da Hill, è passata al centro a

reGole Per la MotIon oFFenSe

SPAZIATURE: tre o quatto metri di distanza tra ciascun giocatore

PAZIENZA: non palleggiare se non neces-sario, aspettare i movimenti e servirli

MOVIMENTO: tutti i giocatori devono compie-re un movimento, sia vicino sia lontano dalla palla

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Blair e da questi sul lato op-posto a Neal. Blair e Hill por-tano due blocchi cosiddetti “stagger”, staccati di un paio di metri uno dall’altro ma posti nella stessa direzione; Ginobili sfrutta i due blocchi ed esce a ricevere. Da questa posizione Ginobili ha ancora una volta tre opzioni: tirare da fuori; penetrare; aspetta-

re e giocare pick and roll con Blair che si gira e porta un secondo blocco, mentre Hill si allarga nell’angolo per cre-are spazio.

PER PARKEROltre al pick and roll e alla possibilità di uscire dai bloc-chi nella motion offense, c’è uno schema che gli Spurs utilizzano quasi solo per Tony Parker (talvolta anche per George Hill). Parker, così

come nella motion offen-se, conduce il pallone oltre la metà campo in posizio-ne laterale, dopodichè passa ad un compagno che sia un buon passatore, in posizione centrale. Nell’immagine nu-

mero 5 vediamo come Tony Parker sia pronto a sfruttare tre blocchi: il primo di Dun-can, gli altri due da parte di Bonner e Hill sul lato debo-le. Questa opzione (piuttosto diffusa nell’NBA, viene sfrut-

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tata per liberare giocatori come Hamilton o Roy) permette al francese di sfruttare la sua estrema rapidità per seminare l’avversario: nel momento in cui uscirà dal doppio blocco il suo avversario sarà dietro di lui e questo gli consentirà di: prendere l’arresto e tiro; penetra-re verso il canestro.

PER DUNCANAbbiamo accennato in pre-cedenza uno dei movimenti con cui Duncan veniva coin-volto in passato. Ce n’erano tanti altri ovviamente, il cui scopo era quello di mettere in ritmo un attaccante da 20 punti abbondanti di media. Oggi di quegli schemi non c’è più traccia; Duncan oggi viene coinvolto attraverso

due modi principali: il primo è il pick and roll, il secondo è l’isolamento. Questo ri-entra nel concetto di voler preservare il più possibile il giocatore da un punto di vi-sta fisico e tenerlo riposato per l’azione difensiva; non a caso il caraibico ha il minimo di punti in carriera, ma un rapporto stoppate/minuto

che è il più alto dal 2005. Non va comunque trascurata la pericolosità di un isolamen-to per Duncan, sia per le sue capacità realizzative, sia per la sua visione di gioco che gli consente di seguire i tagli di tutti i compagni e smarcare con l’assist tiratori sul peri-metro.

TRANSIZIONEE’ doveroso richiamare in conclusione uno dei concetti che ha trasformato gli Spurs 2010/2011 da una squadra che ne mette 97 a una che ne mette 105 a sera: l’attac-co in transizione. La transi-zione è diventata ormai un elemento fondamentale di

quest’attacco al punto che uno degli indici utilizzati per determinare il ritmo di gio-co impresso da una squadra alla partita, cioè la media del numero dei possessi a par-tita, vede gli Spurs primi tra le squadre di vertice (a pari merito con i Lakers, anche se

per motivi diversi). Cruciale in questa trasformazione è l’inserimento di George Hill, giocatore di velocità e atle-tismo non comuni. Vediamo nell’ultima immagine perchè gli Spurs si affidino spesso e volentieri all’attacco in tran-sizione, sopratutto quando il

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loro attacco a metà campo è in difficoltà.In questo caso è Tony Parker in palleggio, ma può benissi-mo trattarsi di Hill o Gino-bili. Il vantaggio che ricava San Antonio da questa solu-zione sta nella difficoltà del-la difesa di chiudere la linea di penetrazione mentre sta ancora rientrando nella sua

metà campo. Posto che dal palleggio Parker è in grado di battere agevolmente il suo uomo (Kidd), l’aiuto del cen-tro (Chandler) non può arri-vare e dunque quest’azione genera un comodo layup e due punti per l’attacco.

CONCLUSIONILa scelta di quali strade percorrere tra quelle descritte rientra nel gameplan relativo alla singola partita: certi schemi verranno ignorati per una partita intera, per poi essere sfrut-tati dieci volte la partita successiva; in certe partite si giocheranno 80 pick and roll, in altre 100; contro avversari lenti si giocheranno 100 possessi, contro squadre carenti nella difesa a metà campo si rallenta il ritmo e se ne giocano 80. Tutto a discrezione di Popovich e del suo staff.

LE CIFRE DELL’ATACCO SPURSPtS dIFF FG% 3P% Ft% aPG

103.6 +7.12 47.2 40.1 77.1 23

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