Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 3

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Balarm Magazine è un bimestrale di approfondimento culturale e di costume stampato in 12.000 copie e distribuito gratuitamente a Palermo, Mondello, Monreale, Bagheria

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balarm magazinebimestrale di cultura e societàanno I n°3 dicembre/gennaio 2007registrazione tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003

editorebalarm società cooperativa

direttore responsabilefabio ricotta

progetto graficosalvo leo

redazione via candelai 73 - 90134 palermotel/fax +39 091.7495020 [email protected]

comitato di redazionebarbara randazzo, letizia mirabile, maria teresa de sanctis, marina giordano, tonya e saverio puleo

hanno collaboratoandrea cottone, andrea ruggieri, claudia brunetto, daniele sabatucci, fabio manno,francesco mangiapane, francesco puma, giorgia lo piccolo, giorgio aquilino, laura mariasimeti, manuela pagano, marcello tortorici,rossella puccio, sonia papuzza, stefano cabibbo, tommaso gambino, veronica caggia

fotografiecentro per lo sviluppo creativo “danilo dolci”,claudio iannone, edoardo luciano, gero cordaro, giuseppe sinatra, katya bevilacqua,katia lo coco, mario d’angelo, nino annaloro

pubblicità tel. 091.7495020 / mob. [email protected]

stampa artigiana grafica

progetto webfabio pileri

tiratura e distribuzione numero chiuso in redazione il 30/11/2007,stampato in 12.000 copie e distribuito gratuitamente a palermo, mondello, monreale, bagheria e termini imerese incirca 170 punti tra librerie, wine bar, spaziespositivi, cinema, teatri, librerie, etc.. la lista completa è consultabile sul web all’indirizzo www.balarm.it/magazine e apagina 50 di questo numero

EDITORIALETutti insieme per la cultura_5

IN PRIMO PIANOMimmo Cuticchio, l’Opera dei pupi oggi_6

MUSICADon Settimo, anima folk_10

Domenico Sciajno, viaggio al centro del suono_12Ma’aria, la magia di un incontro_13

TEATROPippo Spicuzza, il ricordo di Biagio Scrimizzi_16

Tanto di cappello al teatro-circo_18Alessandra Luberti, dalla danza al teatro_20

ARTEGai Candido, l’artista sciamano_22

Marcello Buffa, identità possibili_24Andrea Di Marco, ironia e sapienza_26

LIBRI Duepunti, l’editoria condivisa_28

Noir tra le via di Borgo Vecchio_30Claudio Stassi, la mafia raccontata a fumetti_32

Bomba Sicilia, la scrittura è libera_33

CINEMAAgrodolce, la prima soap “made in Sicily”_34

I Vicerè di una Sicilia decadente_36“Chi sei”, la parola alle immagini_38

SOCIETA’Chiedi chi era Danilo Dolci_40

Libero Futuro, la nuova associazione antiracket_42Ciss, il Sud che abbraccia il Sud_43

COSTUME“Il discorso di marca”, viaggio nel mondo dei segni_44

Casa Minutella, la Sicilia che fa_46

CIBOLe tentazioni della gallina ripiena_48

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SOMMARIO

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www.balarm.it

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Ogni volta che un anno finisce viene quasi naturale tracciare una linea immaginaria e quantificare quello cheabbiamo fatto di buono o quello per cui non ci siamo particolarmente distinti. Analizzato ogni singolo aspetto edesplorato ogni particolare, ci promettiamo che l’anno che verrà sarà quello in cui daremo il meglio di noi stessi. Non che prima non l’avessimo fatto, ma nella vita di tutti i giorni intoppi e imprevisti non mancano mai, arrivanoquando meno ce lo aspettiamo. Il più delle volte, però, questi momenti rappresentano l’occasione per riflettere sulnostro operato, sul nostro presente e dunque sul nostro futuro. Recentemente si è fatto un gran parlare di cultu-ra, di organizzazione dal basso e di tanti buoni propositi da parte di artisti ed operatori culturali a Palermo.Soprattutto in ambito musicale, nei mesi scorsi si sono svolte riunioni ed incontri di vario genere che alla fine, comeera prevedibile, non hanno trasformato quelle poche proposte valide, che non sono venute fuori, in qualche tipodi azione. E’ emersa invece l’incapacità di dialogare e di analizzare le difficoltà, sicuramente dettata dalla differen-te visione e percezione delle problematiche da parte di artisti e operatori, che si è tradotta nell’incapacità di farfronte comune per divenire degni interlocutori degli amministratori locali. Il dato positivo, che non si registrava daquasi una decina di anni, è che in qualche modo si è manifestato il bisogno di incontrarsi e parlare. Non sono cer-tamente tra quelli che pensa che l’organizzazione dal basso sia inutile, anzi, la sostengo e credo fortemente in essa.Ma una volta organizzati, individuati i problemi e trovate le eventuali soluzioni, come è possibile agire se non cisono delle regole? E queste regole le vogliamo tutti, anche i politici? Evidentemente se ancora nessun assessore osindaco (di destra o sinistra) si è preso la responsabilità di portare a compimento quel regolamento sulla cultura chealcuni operatori, intellettuali e artisti avevano stilato, ai tempi di Orlando, insieme all’allora assessore alla CulturaFrancesco Giambrone, un motivo ci sarà. La cultura continua ad essere ostaggio e strumento della politica, non intermini di consenso (perché la cultura non porta voti), ma uno dei mezzi attraverso il quale, in assenza di regole, èpossibile elargire favori e distribuire danaro ad artisti ed operatori culturali improvvisati o stagionali. E adesso, ritor-nando ai buoni propositi, per il nuovo anno ce n’è uno che personalmente (e non solo a me) sta molto a cuore: chela politica abbia il coraggio, su input di operatori, intellettuali ed artisti, di stabilire una volta per tutte delle regolee sottoscrivere un regolamento e manifesto etico che spazzi via il “fine a se stesso” che sta in una cospicua fetta difinanziamenti e contributi concessi a sostegno della “cultura”. Ed infine un augurio vivo rivolto a tutti coloro chevogliono partecipare attivamente alla vita culturale di questa città e di questa terra, affinché si possa ritornare adialogare dal basso, tutti insieme, per un progetto comune. E adesso buona lettura e soprattutto tanti auguri.

di FABIO RICOTTATutti INSIEME PER la cultura

EDITORIALE

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Buona sera, sono Letizia Mirabile, sono venutaper l’intervista a Cuticchio. «Ma lei ha un appun-

tamento?» Perché si fanno interviste senza appunta-mento? Certo, ho telefonato stamattina e lo abbiamofissato per oggi pomeriggio. «Ah, aspetti un attimo».Ero vestita bella assistemata, quindi a trisollina. Dopocinque minuti, durante i quali anche i capelli mi ave-vano abbandonato per trovare un luogo più conforte-vole della strada, è spuntata una giovin fanciulla dagliocchi chiari e dalle movenze gentili, che mi ha fattoaccomodare in attesa che Cuticchio finisse di parlarecon delle persone. Nel frattempo ho approfittato perguardarmi intorno. Pupi appesi al muro e agli stand,un pianoforte a coda, altri, più piccoli, sul palcosceni-co, un tavolo sporco di colori e mattoni di tufo a vista.Un’atmosfera calda, ma l’umidità che mi trapanava leossa! Quando è venuto il momento la mia tensione eraalta. Spesso gli intervistati sono annoiati, vorrebberonon perdere tempo, in più considerano, per partitopreso, gli intervistatori degli inetti e reagiscono maledi fronte a quello che considerano idiozia o a qualchedomanda che non li convince. Mi avevano anche det-to che Cuticchio ha malo carattere e che non si è maicreato scrupoli a prendere a male parole chicchessia.Appuoisto semu! Dovevo far partire la discussionerompendo il ghiaccio, instaurando un rapporto difiducia e stima. Desideravo fare una chiacchierata suiproblemi reali dell’Opra. La storia, gli aneddoti si pos-sono leggere sui libri, nei siti, sugli opuscoli. Volevosapere cosa fosse cambiato dal riconoscimento deipupi come patrimonio Unesco, se le cose eranomigliorate, se avevano più séguito. Ho iniziato conuna domanda banale, ma necessaria per capire comelui si ponesse rispetto agli altri rappresentanti di que-sta forma teatrale. Quali sono le differenze fra i pupisiracusani, catanesi e palermitani? Mi hanno dettoche anche le storie sono diverse: a Palermo più lega-te alla classe borghese, a Catania più alla Chancon deRoland. Bedda Matri, avevo scatenato l’ira funesta delpelide Achille! «Io non capisco – dice Cuticchio - per-ché voi giornalisti non vi documentate sulle cose edite fissarie!» No, forse non ci “abbiamo” capito! Inprimis - gli ho detto - riportavo testualmente ciò chemi era stato detto; in secundis non si doveva permet-tere di fare simili affermazioni non conoscendo il miomodo di lavorare. Gli animi si sono subito sedati.Abbiamo capito che potevamo scannarci, questo èbastato. Diciamo che è stata una ciarata di mussi,dopo la quale la discussione è continuata amabilmen-te. Siamo entrati nel cuore del problema: l’Opera dei

pupi oggi. Finalmente quest’anno è stato approvatoun regolamento che inserisce i pupi all’interno dellacategoria teatro di figura, riconoscendoli come patri-monio dello Stato. Il problema è che in Italia, ancora,c’è una classificazione restrittiva della cultura. Cartonianimati, fantascienza, fumetti, commedia e tutto ciòche favorisce la peristalsi e la risata sono consideratidi serie B. Romanzi, racconti che ci accuttuliano sonoconsiderati degni di interessi intellettuali. Ad acuire lostatus quo, dal secondo dopoguerra i pupi sono staticonsiderati folklore e in seguito passatempo per ibambini. Ciò ha causato un progressivo allontana-mento, aggravato dalla mancanza di aiuti da partedella politica. Aiuti, sottolinea Cuticchio, non solo eco-nomici, ma soprattutto di servizi. In effetti uno va alteatro dell’opera all’urbigna. Sa che è in via Bara, vici-no il teatro Massimo e lo cerca. Ma non c’è né un’in-

segna, né una pubblicità, né un’indicazione.Sponsorizziamo i prodotti siciliani: vino, formaggio,olio - e ben venga -, ma perché, mi chiedo, dimentica-re un modo di comunicare così tipico? Sì, i pupi sonouno strumento di comunicazione e come tutte le for-me d’arte non è chiusa in se stessa. Si nutre dell’oggi,della contemporaneità, si arricchisce del nuovo. Perquesto i pupi non possono morire, per questo si rac-conteranno sempre nuove storie, per questo è giustotutelare un patrimonio riconosciuto in tutto il mondo.Basti pensare, a prova di tutto, che Cuticchio è statoinvitato in Vietnam a rappresentare l’Europa accantoal Teatro di Ombre Cinesi, al Teatro di Bali… Una bel-la vittoria, come il successo che miete durante le tour-née. Però non si può dimenticare la propria terra. Nonper essere campanilisti, ma perché non si può sradica-re un albero che ha radici centenarie in un luogo, tra-piantandolo in un altro. E poi diciamoci la verità: ladi LETIZIA MIRABILE

IN PRIMO PIANO

MIMMO CUTICCHIODa Parigi a Palermo per mantenere in vita le proprie originirinnovando il repertorio classico del padre, costruendo nuovi pupi, inventando nuove storie e adeguandosi ai cambiamenti

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Sicilia è una mamma che dà e toglie il latte, che crearapporti viscerali con i suoi figli, tanto da impedirne lostacco duraturo. Mimmo da Parigi, dove il padreGiacomo aveva aperto un teatro, è tornato a Palermo,credendo nella possibilità di mantenere in vita le pro-prie origini. Lo ha fatto rinnovando il repertorio clas-sico del padre, costruendo nuovi pupi, inventandonuove storie, adeguandosi ai cambiamenti. Perchésolo attraverso l’evoluzione il vecchio può sopravvive-re. Ed ecco nascere storie tratte da testi sacri, da ope-re teatrali o liriche, da favole, come “Aladino dai millecolori” spettacolo dedicato ai bambini di tutto il mon-do, presentato, e replicato per quattro giorni, in uncapannone della RAI. Una favola in cui si viaggia sul-l’immaginario del gioco, in cui non manca un messag-gio contro la guerra, che si può evitare attraverso ildialogo e la ricerca di un accordo. Cuticchio fa anchetanta sperimentazione, come ne “La riscoperta diTroia” spettacolo costruito su una doppia linea narra-tiva: il racconto della vita di Schliemann e i raccontidei poemi omerici. Un invito a lavorare sulla memoriae sulle macerie, per scoprire cose nuove, per ritrova-re l’identità perduta o dimenticata, per immaginareuna vita altra, diversa. Oggi a vivere con i pupi sonosette, con le rispettive famiglie: Mimmo, il figlioGiacomo, il fratello Nino - bravissimo costruttore dipupi - e sua figlia Tiziana, i nipoti Fulvio e Filippo, figlidi Piera, in più quattro o cinque persone chiamate acontratto. La situazione non è delle più rosee, standoa Palermo non si sbarca il lunario. Con uno spettacolosi incassano duecento euro e non bastano a garantirela sussistenza. Bisogna partire per guadagnare soldi evenire qui, a spenderli nella propria terra. Anche inquesto caso sembra ad hoc il detto nemo propheta inpatria. Ma io voglio chiudere con una speranza, chenon diventi né disperata, né disparata, anzi con unacertezza: sono sicura che qualcosa cambierà, come ègià evidente: i mafiosi si organizzano per ribellarsi allacosca, i politici sono molto attenti a promuovereeventi culturali (dall’inaugurazione di concessionarie elocali all’incentivazione del cinema, fiction in primis),cresce il fermento culturale che si oppone alla stagna-zione degenerativa. Tutto per una rivalutazione dellanostra terra. Mi auguro che si allarghino attenzione eaiuti ad ambiti finora poco considerati e tutelati,magari creando servizi, punti d’informazione che pos-sano favorire la conoscenza e la diffusione di un altromodo di fare cultura, non meno importante. La Siciliadiventerà il motore, se non d’Italia, almeno di se stes-sa. Si spera! In alternativa l’horror vacui.

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IN PRIMO PIANO

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E’ sempre in piena attività Sergio Serradifalco: traun disco con gli Akkura e una produzione con i compa-gni della Malintenti, una delle poche realtà discografi-che palermitane, il giovane musicista palermitano tro-va anche il tempo di piazzare sulla scena un altro pro-getto, i Donsettimo, con l’omonimo disco di debutto, alquale partecipano circa quindici persone e a lungogestito in fase di pre-produzione (curata daSerradifalco stesso con l’aiuto di Salvo Compagno).Non una novità in assoluto, Donsettimo: il gruppo, checomprende anche Riccardo Serradifalco, SalvoCompagno, Daniele Tesauro e Roberto Ferreri, oltre avarie collaborazioni e contributi di altri artisti locali, hagià fatto alcuni concerti un anno fa in tutta Italia, a cuiè seguita una lunga pausa di circa dodici mesi. Allarecente ripresa, nuove esibizioni dal vivo, compreso iltributo a Fabrizio De Andrè al Politeama di Palermo. Illavoro si avvale, in veste di produttore, di CesareBasile, figura di spicco della scena nazionale under-

ground, sia comecantautore – famosele sue collaborazionicon John Parish eHugo Race – che die-tro le quinte di altriartisti. «Il lavoro diBasile è stato fonda-mentale – raccontaSerradifalco – è statauna collaborazioneche non si è privataanche di litigi in stu-dio, io estremizzavocerte scelte da unaparte e lui dall’altra.Ma è stato anchequesto che alla fineha creato un soundmolto personale». Sepure il paragone

potrà sembrare azzardatoe forse anche irrispettoso,sul piano musicale il primonome che viene in menteascoltando certi brani di“Donsettimo” è Tom Waits,con uno strano miscugliotra atmosfere di frontieraamericana e mediterranee,ma gli scenari alla “RainDogs” si spostano daSingapore ai luoghi di casanostra. Un folk stralunato,che attinge alla musicapopolare e rimane ancora-to a un solido impiantomelodico, il punto di forzadi tutto l’album. «Il disco haun suono asciutto, trannein un paio di pezzi – spiegaancora il musicista – non èstato utilizzato un riverbero,sono tutti naturali, ripresi con microfoni ambientali. Èun suono che per la sua crudezza è anche molto evo-cativo: riesci a immaginare il musicista che lo sta suo-nando e che intensità lo attraversa in quel momento.Ed è un sound che abbiamo pure curato nelle appari-zioni dal vivo». “Donsettimo” rappresenta probabil-mente il lato più intimistico di Sergio, la volontà di con-frontarsi con una scrittura più matura che non rinun-cia a impegno, coscienza e ironia ma che filtra ancorapiù che altrove tutti gli stimoli esterni attraverso lapropria sensibilità. Lo stesso nome del gruppo, delresto, deriva dal primo nome del musicista (tant’è chetesti e musiche appaiono a firma Settimo Serradifalconel booklet del disco). È umano, per chiunque sentaparlare per la prima volta del progetto, accostarne ilnome a quello degli Akkura: è quella la voce, sonoquelli i nomi che gli gravitano attorno, ma – ed è lostesso cantante a rimarcare la differenza – la distanza

MUSICA

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si sente, trattandosi di un lavoro di stampo diverso eforse non è un caso che in un pezzo, “Il Diritto e ilRovescio” compaia il verso: “E quando a sera il coroverrà a giudicare / non importa che sia solo di cicale /ma rivolto verso il fiume e non il mare / dimenticandoper sempre l’uomo di sale”, che riprende idealmenteun personaggio che dava il titolo a un vecchio pezzodegli Akkura (“L’Uomo di sale”, appunto). I testi, talvol-ta criptici, evocano un immaginario vago, romantico,pieno di figure fiabesche (marchio di fabbrica anche dialtre produzioni Malintenti, vedi gli Om). Il booklet con-tiene inoltre le immagini di alcuni scenari miniaturizza-ti, ispirati alle canzoni, realizzati e fotografati dal corni-ciaio Leonardo Ermini. Presente anche la traccia videodi “Jah Mah Elfnaa”. Il disco si apre con “Tra guerra emorra”, ninna nanna cantata da un coro di bambini eaccompagnata da una delicata melodia acustica.“MangiaCristo” alza invece il ritmo, che si mantiene

oscillante per tutti i 35 minuti scarsi che compongonol’album, tra ballate e pezzi più veloci. “Acquari MariniCaraibici” è uno dei pezzi più belli degli undici presen-ti nel disco, in virtù di chitarre slide e una dolce lineamelodica in particolare evidenza. Bellissimi, in partico-lare, i versi “Moglie mia, pianto di una nuvola / fa’ unsorriso e prova ancora a riconoscermi / a te, mogliemia / incontrata tra le nuvole / mi dispiace prima sor-riderti e poi confonderti”. Il cantato nel ritornello, altri-menti troppo appiattito sui toni bassi, è ben sostenutodalla seconda voce. Il contributo di Rossella Cubetarende cristallina l’ariosa “Addio Cielo”, mentre la strug-gente coda strumentale di “Chiodi enn Clock”, chechiude il disco, suggella un talento cantautoriale giàsolido e avviato verso un percorso personale, eppurein continuo movimento. «Ho già una dozzina di pezzinuovi, ne scriverò altri per poi scegliere per il prossimodisco nel 2008», afferma Don Settimo.

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DON SETTIMO, anima folkSergio Serradifalco alla guida di un progettoprodotto dalla sua etichetta, la Malintenti. Un disco d’esordio prodotto da Cesare Basiledi DANIELE SABATUCCI

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MUSICA

Ha una risata contagiosa, Valeria Cimò, che spezza leparole e ti porta per mano in un mondo fatto di fiabe, sognie realtà talmente assurde da essere vere. E lei parla, raccon-ta, alterna italiano e dialetto, detti siculi e nomi impronun-ciabili di strumenti musicali. Nel suo studio si affollano i tan-ti frammenti di una vita che rincorre il sentimento: ci sonoquadri, astratti e figurativi, cornici di tammorre colorate,diversi strumenti a percussione, disegni reiki, vecchi mani-festi e una bici che penzola sopra la testa. Il mondo di Valeria(nella foto al centro) è da poco diventato un cd, il primo, cheha voluto e creato insieme a Matilde Politi e LajosZsivkov (nella foto), e che racconta la magia del loro incon-tro. Il progetto, nato nel 2004 e cullato finché non è statopronto davvero, si chiama infatti Ma’arìa, magia, e il titolodell’album è “Sugnari”. «Ma’arìa nasce in un periodo dellamia vita - racconta Valeria - in cui sembrava che tutto miaccadesse per caso. Ho incontrato le persone giuste almomento giusto, quando avevo in testa una grande confu-sione sulla direzione da dare alla mia vita». Una cosa è sicu-ra, il suo amore per la musica e quello per il dialetto sicilia-no. Comincia a comporre, suona la chitarra per strada, can-ta le sue storie a chi vuole ascoltarle. E’ così che incontraMatilde Politi, è così che nasce un’amicizia e una bella colla-borazione. «Ogni giorno andavo da Matilde - dice Valeria -con idee nuove, melodie e testi che scrivevo di getto, di con-

tinuo. A un certo punto mi ha bloccato, ci siamo concentra-te solo su alcune cose, ma nella mia testa ci sono altrettan-ti testi e musiche di quelli contenuti in “Sugnari”». Sono 14 ibrani del cd, tutti in dialetto meno Principessa. Nelle ninnenanne e nelle tarante, nelle serenate e nelle filastrocche, alleparole si accompagnano musiche scarne, asciutte, a voltedel tutto inesistenti, come nel dolcissimo Sigrita. Gli stru-menti sono quelli della tradizione, ma non solo: ci sono tam-burelli e tammorre, il marranzano, la fisarmonica e la chitar-ra, il darabouka, il dun-dun e il violino. E insieme, musica eparole, creano un’atmosfera onirica che si popola di fimmi-ne salvate dalla prigionia, di venditori spettatori di uno sca-tenato ballo al mercato, di uomini possessivi e principiazzurri. «Il sogno è sempre stato il motore della mia vita -continua la cantautrice - il poco che avevo io l’ho sempremoltiplicato con la fantasia. Penso che sia necessario recu-perare la dimensione del sogno e lasciare da parte i tantimaterialismi che ci stanno rovinando la vita». Tra le curiosi-tà ce n’è una degna di nota: una delle canzoni dell’album,‘Mparannu a vulari, è stata scelta per fare parte della com-pilation Musikelia, progetto nato per promuovere la musicapopolare siciliana al festival internazionale di world musicWomex di Siviglia. Ed è proprio con questo brano che ilgruppo coccola l’ascoltatore e lo strega: “E’ a prima vota canesciu a vulari. Veni cu mia un ti nni fazzu pentiri”.

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Ma'arìa, la MAGIA di un incontrodi SONIA PAPUZZA

Nel primo cd musicale del trio palermitano musica e parole creano un'atmosfera onirica

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L’ultimo cd di Domenico Sciajno e dell’australianoLawrence English, dal curioso titolo “Merola Shoulder”(PhonoStatique) sollecita una fermata obbligatoria sullarelease ed una riflessione sull’intensa opera del musici-sta palermitano. Nell'ottobre 2005 nel centro storico diPalermo, i due iniziano una seduta di registrazione checostituirà le fondamenta del cd. Il titolo fa riferimento alcantante italiano Mario Merola, icona della canzonenapoletana popolare che, proprio mentre i due eranoimpegnati nelle registrazioni, si esibiva dal vivo in un'affollatissima piazza alle spalle dello studio. Il cd non tra-duce quindi un omaggio a Merola come si potrebbe

erroneamente pensare, ma esprime un segno per ricor-dare questa esplosione di suoni e musiche diverse econtrastanti che inconsapevolmente si sfiorano. I duemusicisti miscelano le rispettive alchimie fatte di trameelettroniche e di ambienti sonori derivanti da field recor-dings e dal loro trattamento digitale ed entrambi sonoimmersi nel ricercare e cesellare paesaggi sonori fatti didense tessiture. Risultato: l'avvolgimento totale in unarealtà sonora fisica, all'interno della quale è difficiledisgiungere i suoni ed analizzarne l'origine. Uno stimo-lante ed inevitabile incontro tra i due raffinati musicistiche si aggiunge al già ricco elenco di importanti collabo-razioni di Sciajno che, sempre in movimento, percorreindomito il suo viaggio al centro del suono. Il musicistasceglie Palermo come fonte d’ispirazione sonora, assor-bendone i tratti più caratteristici e restituendoli, comesua abitudine, in forme artistiche cariche di sofisticato epotente lirismo. Sulla scena elettronica sperimentale daquindici anni Sciajno, anche all’estero,è uno dei maggio-ri rappresentanti italiani di una musica che non cerca ovuole dare facile conforto ma spinge le orecchie piùcuriose in ambiti inesplorati. Con un importante back-ground accademico alle spalle (diplomato in contrab-basso, composizione vocale strumentale e musica elet-tronica al Conservatorio Reale dell’Aja) ed un serio per-corso musicale, spinto da una natura volta a destruttu-rare, scomporre e pensare, si sposta sul campo dellasperimentazione e della ricerca più avanzata sfuggendovolontariamente agli ambiti commerciali ma muoven-dosi con pari disivoltura in ambienti accademici istitu-zionali ed in circuiti underground internazionali. Il suointeresse per l'improvvisazione e l'educazione accade-mica trovano un concreto campo di confronto nell’inte-razione tra strumenti acustici ed il loro live processingdigitale. Riduttivo parlare di lui semplicemente comemusicista: artista poliedrico, snoda la sua ricerca esteti-ca laddove il suono sinergicamente interagisce con lospazio e le immagini. Il suo lavoro ha origine dalle avan-guardie storiche e si attualizza nel panorama contempo-raneo con una forte tensione all’innovazione. La suaarte trova campo di applicazione in installazioni sonoreinterattive, performance dal vivo, composizioni e audio-visivi.In più Sciajno rimane profondamente dedicato allapromozione di un’arte che stimola il pensiero, e fa sulterritorio locale un importante lavoro di diffusione cul-turale promuovendo, con l’associazione Antitesi, rasse-gne tra le quali Xs [n.o.s.a.] e, finalmente nella sua città,il Live!iXem, contest e festival di musica e arti elettroni-che sperimentali ideato, diretto e curato dallo stessoSciajno.

DOMENICOSCIAJNOIl nuovo disco del musicista palermitano è un viaggio elettronico al centro del suono

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Sessantasei recite d’opera, undici concerti, venti sera-te di danza: ecco, in sintesi, la Stagione 2008 del TeatroMassimo che si inaugurerà il prossimo 23 gennaio conMefistofele di Arrigo Boito. Al Novecento storico è riser-vato il secondo appuntamento in cartellone, The Rake’sProgress di Igor Stravinskij (17-24 febbraio), per la primavolta a Palermo in lingua originale. Terzo titolo operisti-co Anna Bolena di Gaetano Donizetti (9-18 aprile) per laprima volta sulle scene del Teatro Massimo (si ricordasoltanto un’edizione al Politeama nel 1991). Nell’ambitodei festeggiamenti internazionali per il 150° anniversariodella nascita di Giacomo Puccini (1858-1924), il TeatroMassimo proporrà i tre atti unici che compongono il

cosiddetto Trittico, cioè Il tabarro, Suor Angelica e GianniSchicchi (17-25 maggio). L’omaggio a Puccini è comple-tato da Manon Lescaut (13-19 giugno). Ripresa autunna-le con I Puritani di Vincenzo Bellini (21-28 settembre),assente dai palcoscenici palermitani dal marzo del 1973.Seguirà, in prima assoluta per Palermo, Da una casa dimorti (16-22 ottobre) del compositore ceco Leós Janácek.Ultimo titolo lirico del 2008 sarà Aida (26 novembre – 7dicembre) di Giuseppe Verdi, per la regia di FrancoZeffirelli. La Stagione comprende anche tre spettacoli didanza: la prima assoluta di I Have a Dream (15-18 mar-zo) con la coreografia di Luciano Cannito, la regia diBeppe Menegati e la direzione di Marzio Conti, dedicataai più significativi “percorsi spirituali di uomini e donnedel nostro tempo”. Quindi ci sarà una ripresa di Carmen.Ballet soirée di Luciano Cannito (15-18 marzo) su musi-

che di Georges Bizet e Marco Schiavoni e, per finire, il piùtradizionale dei titoli classici, Il lago dei cigni (18-23dicembre) di Cajkovskij con la coreografia di VladimirDereviako che riprende la versione tradizionale Ivanov-Petipa. La Stagione dei concerti sarà inaugurata (11 feb-braio) da un’orchestra di fama internazionale, per la pri-ma volta a Palermo, la londinese Philharmonia Orchestradiretta da Esa Pekka Salonen. Il Coro del Teatro Massimo,diretto da Miguel Fabián Martínez sarà impegnato nellaPetite Messe Solennelle di Gioachino Rossini (1 giugno) epoi nella Missa Solemnis di Ludwig van Beethoven (29ottobre) quando affiancherà solisti e Orchestra diretti daGabriele Ferro e, infine, nella cantata Aleksander Nevsky

di Sergej Prokof’ev con DmitrijKitaenko e le immagini dell’omonimofilm di Sergej Ejzentstein (29 aprile). Eancora Will Humburg col violinista vir-tuoso Vadim Repin (1 marzo); l’oratorioprofano Desideri mortali (20 marzo)ideato dallo scrittore e regista RuggeroCappuccio come omaggio a GiuseppeTomasi di Lampedusa; l’EnsembleAntonio il Verso diretto dal violinistaEnrico Onofri e il basso Antonio Abete(7 aprile). L’ultimo appuntamento (8novembre) vedrà l’Orchestra delTeatro Massimo affidata a LotharKoenigs insieme al pianista sicilianoGiuseppe Andaloro. Completano il pro-gramma alcuni appuntamenti concelebrità del pop e della world music,

come Antonella Ruggiero (12 aprile) e Teresa Salgueiro (5maggio). In collaborazione con l’Associazione SicilianaAmici della Musica, il 31 marzo si terrà un recital fuoriabbonamento di un mito del pianismo contemporaneo,il polacco Krystian Zimerman. Un ruolo nodale per impe-gno produttivo e qualità delle manifestazione, sarà anco-ra una volta La scuola va al Massimo, progetto di forma-zione che nell’anno in corso ha coinvolto più di 140 isti-tuti scolastici di ogni ordine e grado. Concerti di musicastrumentale e vocale, appuntamenti con i piccolissimi e ilcoro di voci bianche del teatro e due spettacoli in omag-gio a Puccini: W Gianni Schicchi, in cui il pubblico deibambini canterà in sala grande, e Un italiano alla conqui-sta del mondo, per i più grandi, in ottobre. E ancoraAll’opera 2008: guide all’ascolto per gli istituti che siabboneranno al turno loro dedicato.

Teatro Massimo, la Stagione 2008

Amarilli Nizza

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In apertura della nuova stagione teatrale, il teatrodi via Don Orione, è stato ribattezzato “Teatro

Orione-Pippo Spicuzza”, in memoria del suo storicodirettore artistico scomparso prematuramente lo scorsoanno. Per l’occasione, l’amico e collega BiagioScrimizzi, con cui Spicuzza ha condiviso venti anni dilavoro, ricorda così l’attore e regista siciliano: «Un amicosincero e un compagno prezioso». È il 1970 quandoScrimizzi, già programmista-regista alla Rai, conosceSpicuzza al Ridotto di via Pasquale Calvi: «Ebbi subito lasensazione che si trattava di una persona a modo, bra-va nel suo mestiere – dice Scrimizzi – Lo reclutai prestoper le mie trasmissioni e da allora fummo una coppiainseparabile. Vivevamo in simbiosi. Spesso la gentescambiava i nostri cognomi. Durante uno dei nostriviaggi in giro per l’Italia, un accompagnatore provò asistemarmi in stanza insieme a un altro attore. Mi rifiu-tai, io e Spicuzza volevamo stare insieme». Un sodaliziocostellato da aneddoti, avventure e soprattut-to dalla passione per il teatro e per la radio.Scrimizzi è stato autore di programmi radiofo-nici e televisivi per cui ha avuto sempre il pia-cere di coinvolgere Spicuzza come uomo eartista capace di affrontare con dedizione ilprogetto comune: «Non alzava mai la voce,ma sapeva il fatto suo – continua Scrimizzi –Era molto attento e scrupoloso, ascoltava glialtri e ponderava le parole. Non fu mai dop-pio, era una persona quadrata. Lo stimavomolto anche come attore, valeva sia nei ruoli dramma-tici che in quelli comici. Una persona senza sbavature,non andava mai sopra le righe». Fra i ricordi, è indelebi-le quello dello spettacolo di varietà per gli immigrati ita-liani che andò in tournée in Germania. Spicuzza procuròa tutta la compagnia dei maglioni color rosso fuoco. Oancora la messinscena dello spettacolo “U ciclopi” alRidotto per il quale Spicuzza fece indossare agli attoripelli di pecora non conciate che come ricorda Scrimizzi«puzzavano da morire». E la trasmissione “La rai tribù”firmata da Scrimizzi-Spicuzza che diede il via a un nuo-vo modo di fare satira sui giornalisti Rai della Sicilia e checostò a Spicuzza il mancato saluto da parte di qualcunoper anni. Su tutti i programmi, “Oggi parliamo di…”, inonda ogni domenica per due ore. Fu la prova del novedel lavoro di una coppia vincente: «Improvvisavamo pertutto il tempo – racconta Scrimizzi – Non avevamo biso-gno del copione. E tutto andava a gonfie vele. È statauna trasmissione di successo». Fino ai radiodrammicome “L’acqua miracolosa” in dodici puntate ispirati allaleggendaria storia della vecchia dell’aceto. Ancora vivi i

ricordi legati alla sfera privata, al tempo trascorso insie-me come amici: «Era convinto di saper cucinare ilcapretto più buono del mondo – dice Scrimizzi – E insi-steva per invitarmi a pranzo per assaggiarlo. Quando midecisi ad andare, invece, gli riuscì malissimo e non sape-va come giustificarsi». Scrimizzi è stato anche “compared’anello” alle nozze di Spicuzza con Lucia Restivo: «Nonsmise mai di piovere quel giorno – dice Scrimizzi – Ma lesue continue battute rallegrarono la giornata». Nei primianni Novanta quando Biagio Scrimizzi lascia la Rai perandare in pensione, continua a seguire l’attività diSpicuzza che intanto aveva iniziato a lavorare come aiu-to regista al teatro Biondo: «Siamo stati vicini fino agliultimi giorni della sua vita – continua Scrimizzi – Miricordo che anche se già stava un po’ male, una sera mivenne a prendere in taxi per assistere a una sua regia alteatro Bellini. Era felice che vedessi il suo spettacolo per-ché teneva moltissimo al mio parere e io lo rassicurai

che mi era piaciuto molto il lavoro». Misurato, onesto,pudico e se deve enunciare qualche difetto, Scrimizzi,pensa alla sua eccessiva modestia: «Era consapevoledelle sue qualità – dice Scrimizzi – Ma era molto mode-sto. Poi esternava poco i suoi sentimenti. Soffriva insilenzio. Spesso gli dicevo di andare a Roma dove avreb-be trovato sicuramente riconoscimenti più ampi per ilsuo lavoro. Ma lui amava troppo Palermo ed è semprerimasto qui, formando molti e bravi attori. Lo amavanoe lo temevano perché sapeva dirigerli e tenerli a bada. Ilteatro siciliano senza di lui è orfano. Ha lasciato un gran-de vuoto». Anche quando Spicuzza era ricoverato inospedale, Scrimizzi andava a trovarlo a giorni alterni,portando un vassoio di pasticcini alla crema di ricotta:«Erano i suoi preferiti – dice Scrimizzi – Ne mangiavauno o due. L’ultimo ricordo che ho è quello della came-ra ardente al teatro Biondo. Era pienissima di gente.Oggi quando rivolgo il mio pensiero a lui, sento il valoredel tempo insieme. Venti anni in cui abbiamo lavoratofianco a fianco con serietà, puntando sempre sulla qua-lità del prodotto».

TEATRO

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PIPPO SPICUZZA

di CLAUDIA BRUNETTO

Biagio Scrimizzi, programmista-regista alla Rai Sicilia dal 1970 al 1990, ricorda l'amico attore e regista

scomparso prematuramente nell'agosto 2006

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TEATRO

Il filo di un gomitolo lanciato da un secondo piano dicorso Tukory a Palermo. Attaccate ci sono le chiavi dicasa. Afferro il filo, lo strappo e apro la porta. Tanto dicappello è una compagnia di teatro-circo fatta da seiragazzi. Un filo. Penso al primo funambolo visto in vitamia, a Catania, in via Etnea, in una festa per l’ultimo del-l’anno. Equilibrio, tensione muscolare, il coraggio didominare lo spazio e il gesto, un corpo poetico e discipli-nato. E dalla strada tutti col naso all’insù e col fiatosospeso, ad ammirare la sfida. Un’emozione indescrivi-bile. Calorosa accoglienza. Siamo in casa di NicolasAntony Schiavo (nella foto il terzo da sinistra), un france-se trapiantato da un po’di anni in Italia. Nicolas mette sulfuoco caffettiera, teiera e acqua per il mate. La stanza incui parliamo ha una parete piena di cappelli. Sarà uncaso? Biscotti al cioccolato e l’imbarazzo di raccontarsi sidissolve subito. Le voci di Nicolas, Virgilio Rattoballi (nel-la foto il primo da sinistra), Luigi Ciranni e Gaetano Basile(nella foto il primo da destra) si alternano. «Il nostro lavo-ro è un bel miscuglio di roba: teatro fisico, tecniche cir-censi, acrobatica, discipline aeree, nello specifico tessuti,giocoleria, contact, equilibrio… E poi la nostra clowneriatendente al trash… ». A parlare è Virgilio che ha frequen-tato la scuola di circo per due anni a Torino. Dal 2003 lacompagnia realizza diversi spettacoli dalla struttura piùo meno aperta. Allenamento quotidiano, suggestionifantastiche, giochi e figure sono gli ingredienti necessa-

ri a far nascere un canovaccio. L’improvvisazione poi el’immaginario del teatro fanno da collante. «È difficile farcapire cosa facciamo – precisa Virgilio - realizziamo spet-tacoli di arte di strada o da palcoscenico che non biso-gna confondere con l’animazione per bambini». La com-pagnia è per ora ospite all’Ask 191, il centro socialeoccupato in viale Strasburgo, dove Mariano Victorica,l’argentino del gruppo, (assente, come Andrea Saitta,all’incontro), tenta di issare trapezi e creare uno spazioche possa essere palestra o sala prove per qualsiasi arti-sta locale e non solo. Il progetto è ben più ambizioso: «Inquesto spazio vorremmo organizzare un festival di duegiorni in cui si possa assistere a spettacoli di varia natu-ra: danza, teatro, proiezioni ma anche esposizioni.Coinvolgendo gli artisti della città» dice Nicolas. È proprioall’Ask Virgilio conduce un corso di acrobatica per iragazzi del quartiere e per quelli dello Zen. «La giocole-ria, l’acrobatica sono molto vicine alla concezione di“fisicità” di questi ragazzini… loro passano il tempo ascappare, ad arrampicarsi e l’attività circense, sotto que-sti aspetti, è molto simile». Chiedo quanto sia difficile inSicilia riuscire a legittimare la professionalità di chi prati-ca l’arte di strada. Sorridono. Gaetano mi risponde: «E’dura, a me in strada hanno chiesto di tutto: “vieni a faretre palline o i palloncini?” no, io non faccio i palloncini…“no? i palloncini ppe picciriddi!” no signora! “e allura uzucchiru filatu u fa?”».

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Tanto di CAPPELLO al teatro-circodi VERONICA CAGGIA

Teatro fisico, tecniche circensi e acrobatica sono alcune delle discipline della compagnia palermitana

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Rossi i capelli, azzurri gli occhi, aperto il sorriso e tan-ta solarità da far invidia ad un meridionale doc! Se aquesto aggiungiamo talento, professionalità e un’inten-sa attività artistica (due produzioni in giro, “Angelo perCristiano” e “I racconti dell’angelo”, un progetto in cor-so con il regista teatrale Claudio Collovà, il “King Lear” edancora (sempre con Collovà) la conduzione del centro disperimentazione ”Officine Ouragan”, giusto per dareun’idea), ecco che decidere di trasferirsi a Palermo, “apasso di danza” (è proprio il caso di dirlo), pur rimanen-

do un’impresa ardua, non sembra poi impossibile.Alessandra Luberti, ballerina e coreografa di originilaziali (Latina la sua città natale) ma residente ormai nelcapoluogo siciliano da qualche anno (per impegni pro-fessionali prima e sentimentali poi, dal momento che ilregista col quale collabora ormai da tempo, il palermita-no Claudio Collovà, è anche suo compagno nella vita) loha fatto, riuscendo ad inserirsi nel mondo della danza edel teatro, due realtà per nulla facili che si vanno sem-pre più intrecciando nella carriera artistica della danza-trice. Infatti alla Luberti ballerina si aggiunge ora unaLuberti regista teatrale. La prima, di formazione sia clas-sica che contemporanea (ha studiato contact improvisa-tion, tecnica release e danza movimento terapia), vantacollaborazioni prestigiose con la compagnia AdrianaBorriello e la compagnia di Teatridithalia, dirige laCompagnia di danza Esse p. a. di Roma con la quale par-tecipa ad importanti festival e rassegne italiane, collabo-ra con Claudio Collovà (fra i tanti lavori ricordiamo“Donne in tempo di guerra” e “Woyzeck”) e con l’ultimadelle sue coreografie, “Angelo x Cristiano”, omaggio allagenialità della fotografa Francesca Woodman, mortasuicida a 23 anni, è reduce dal successo ottenuto alVascello di Roma nel settembre scorso. Infatti, dopo unpercorso formativo di tutto rispetto (primi studi a Roma,quindi negli Stati Uniti e poi workshop in Germania e inFrancia), Alessandra Luberti è da tanto che lavora daprofessionista nel mondo della danza, ma da qualcheanno è il teatro ad essere sempre più presente nelle suecreazioni. E infatti ora è lei stessa a dirigere uno spetta-colo di parola, “I racconti dell’angelo”, un lavoro dove alfascino degli antichi cunti, tratti dalla raccolta ottocente-sca del Pitrè, si uniscono le sonorità medievali e contem-poranee delle musiche dal vivo, con i due musicistiGiacco Pojero e Lino Vetri (anche autori delle musicheoriginali), e l’attrice e ballerina Simona Malato.Esperienza piacevole e di successo (a Erice, in provinciadi Trapani, e al “Teatro immediato” di Pescara lo scorsoottobre), come lei stessa ci racconta: «Posso ridere digusto senza il pensiero di dover essere in scena» eaggiunge «uno spettacolo che ha avuto fortuna, subito7 repliche dopo il debutto, cosa questa molto difficile daottenere per la danza». Teatro e danza quindi a Palermo,«una città piena di problemi, la città degli opposti» dicela Luberti «con un’atmosfera bella che mi ha sempreaffascinato, che però preferisco da turista e non perviverci, sperando d’altronde di potere un giorno trasfe-rirmi all’estero». Desiderio ben comprensibile, sapendopurtroppo come nel nostro paese arte e cultura (e chi nevorrebbe vivere) siano del tutto bistrattate.

Danza e teatro si intrecciano nella carriera artistica della danzatrice di origini laziali

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di MARIA TERESA DE SANCTIS

ALESSANDRALUBERTI

TEATRO

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lo più di origine africana, che Gai ha raccolto nel cor-so dei suoi viaggi in paesi lontani, soprattutto inAfrica e in Oriente, in una costante ricerca delle origi-ni, di un luogo altro, forse mai esistito se non neimeandri oscuri e inaccessibi-li della mente. Attraverso ilfiltro evocativo della sua fan-tasia, Gai rivive in immaginile vicende tribali di un mon-do primitivo, le gesta belli-che di civiltà ormai scompar-se, i rituali magico-totemicicome uno sciamano in tran-ce medianica che, ritornato dall’aldilà, si pone comeintermediario tra la comunità e una forza misterica esoprannaturale. In questa direzione si collocano itotem di legno, piume e cuoio, i suoi feticci “nuovidèi”, riconducibili ad un simbolismo alchemico, e learmi: oggetti ricavati con materiali di risulta come

chiodi, nastri, metalli di vario genere, o ancora panni,lembi di un tappeto antico, vecchie stoffe, cartapesta;tutti trovati per caso, ai bordi di una strada o nellapropria abitazione, assemblati poi dalla mano dell’ar-tista–artigiano. Si tratta di oggetti fantastici, familiarie al tempo stesso distanti, che vanno a comporre ununiverso sfaccettato, poliedrico dell’invenzione cheaffonda le radici nell’ancestrale sentimento del passa-to. Candido ci riporta indietro nel tempo, senza alcu-na precisa definizione spazio-temporale, come cata-pultati in una realtà “altra”, nella quale si battonoguerrieri che, ammantati di pelli, brandiscono le lameforgiate dall’artista: armi che potevano appartenereai greci come ai romani, ai normanni come ai longo-bardi. Si configura una ”archeologia reinventata” per-ché intesa come personale “antropologia immagina-ria”, come ha scritto Eva di Stefano in L’azzurro giocodegli dei (1985); uno scrigno di manufatti non conno-tati da alcuna implicazione né storica né antropologi-ca, dato il loro significato eminentemente simbolico,seppur con una presenza fisica quanto mai evidente.Lo sguardo di Gai si inscrive in un’etnologia non scien-tifica, che mira a recuperare un sedimento di cono-scenze profonde, archetipiche che albergano in quel-le oscure zone che Jung chiama ‘inconscio collettivo’.L’indagine dell’artista non muove da un’intenzioneclassificatoria, bensì nasce da un’appassionata identi-ficazione con “il fantasma degli antenati remoti”. Alladomanda sul motivo per cui il richiamo atavico delleorigini sia il principale vertice di osservazione, Gai mirisponde con fermezza che il presente, nelle sue con-traddittorie sfaccettature, talvolta incomprensibili, siconfigura ai suoi occhi nei termini di una dimensionedi provvisorietà, di incertezza e di frammentarietà.Prosegue, con un tono di voce che si abbassa lenta-mente, dicendo che quello che lo rattrista maggior-

mente è l’incomunicabilitàtra gli individui, travolti efagocitati dalla quotidianitàe dalle frustrazioni che essagenera. Con un mezzo sorri-so evidenziato da una buffasmorfia mi confida che nonè ancora riuscito a trovare illuogo della serenità e del-

l’equilibrio, che probabilmente non esiste se non neipropri sogni: in uno stato di eccitazione, colma dienergia entusiastica e vitale, mi dice che desiderereb-be coronare il suo sessantesimo compleanno nella suanuova casa in Brasile. Ancora un viaggio, ancora unanuova avventura, un mondo da esplorare.

ARTE

Visioni e fantasmi, spiriti, vita e morte, ironia edolore trovano la loro dimensione nel mondo di GaiCandido (Palermo, 1949), un mondo sempre proietta-to verso un “altrove”, geografico, fisico, mentale, oni-rico. Le sue opere, dalle pitture agli oggetti, sono con-trassegnate da magiche suggestioni, generate daun’immaginazione limpida e al tempo stesso com-plessa. L’incontro con Candido, a sua volta, rimanda avariegate contraddizioni già dal primo impatto con lasua figura: egli sorride con volto franco e occhi dabambino; la sua corporatura da gigante vichingo simuove tra le stanze della sua casa ove, con un sensodi horror vacui, ogni angolo è ‘invaso’ da statuette,idoli, maschere, armi antiche, arazzi, dipinti, in unostraniante melange di culture e linguaggi che ubriaca.Egli si adagia sul divano e dopo qualche istante di

silenzio, nel quale timidamente quasi stenta a proferirparola, provvidenzialmente un gatto, poi un altro e unaltro ancora appaiono sinuosi a cercare rifugio sullesue e sulle mie gambe. Traccia l’evoluzione del suopercorso: il Liceo Artistico, il corso di Pitturaall’Accademia di Belle Arti e poi la docenza pressol’Istituto d’Arte di Monreale e l’Artistico Catalano diPalermo. Inizialmente il suo linguaggio figurativo ècaratterizzato da un acceso espressionismo, che in unsecondo momento si rivolge verso l’astratto: paralle-lamente porta avanti uno studio accurato sulle edico-le votive, riconducibili all’immaginario popolare delmondo cattolico, ma reinterpretate all’interno di unadimensione sincretica dell’esistenza, in cui mitologia,magia bianca e nera convivono. Sulla parete alle miespalle si trova la splendida collezione di maschere, per

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Incontro con il pittore palermitano, alla ricerca di un “altrove” e di un ancestrale sentimento del passato

GAI CANDIDO, l’artista sciamanodi STEFANO CABIBBO

Gai rivive in immagini le vicende tribali di un mondo

primitivo, i rituali magico-totemici come uno

sciamano in trance medianica

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Ibridi foto-pittorici, sintesi tra conosciuto e ignoto,ritratti invero/simili di un’umanità che ormai ha persola certezza della propria identità. Le opere dell’artistaMarcello Buffa (Palermo, 1969) sembrano minuzioseoperazioni da “chirurgo genetico” che si diverte atagliare e ricomporre eliche di DNA. Gli ultimi lavoridell’artista, esposti recentemente alla Galleria Nuvoledi Palermo nella mostra “Anonimi e contrari” (visitabi-le ancora per alcuni giorni, fino al 15 dicembre, a cura

di Giusi Diana), propongono volti nati dall’ibridazionetra foto di amici, conoscenti, e immagini “trovate” cheBuffa prende a prestito dalla rete o dalle riviste. È lostesso Marcello a spiegarmi che nell’innestare, sovrap-porre occhi, nasi e bocche fa “più attenzione alle diffe-renze somatiche, alle incongruenze tra le due immagi-ni piuttosto che alle somiglianze”. Il lavoro che l’artistacompie parte da una minuziosa e attenta elaborazione,tramite la computer grafica, di sovrapposizione tra leimmagini prescelte, e quando la terza identità, quellainesistente per intenderci, prende forma, Buffa la tra-spone sulla tela. Elementi s’incontrano e scontrano invirtù delle loro opposte caratteristiche: la freddezzadel materiale dei media, la fotografia, con l'alta tempe-ratura delle materie tradizionali dell'arte e la fragranzadell'intervento diretto dell'artista, la rigorosa e quasifotografica costruzione del quadro con la studiatacomposizione mosaicata dei pigmenti. La sua attenzio-ne è tutta rivolta al volto, che compone con piccoli estudiati tasselli cromatici, creando una luce intensa,che scava quei visi e gli attribuisce un non so che direale, di pulsante, come se si potessero sentire le emo-zioni di quei volti inventati, ascoltare i motivi di quellasottile inquietudine che sembra attraversare gli sguar-di, cogliere il pensiero che gli percorre la mente.Marcello Buffa afferma che gli interessa più “la carneche la pelle”, quasi a rilevare un suo inconscio bisognodi rendere credibili, verosimili, questi individui impos-sibili. I volti “anonimi e contrari”, con quei titoli surrea-li ed enigmatici che ben riflettono la pittura dell’artista,sono stati realizzati in città diverse (Aosta, Monreale,Cefalù) e risentono di luci e sensazioni eterogenee:quelli di Aosta più spenti, come “Miele amaro”, in cuipercepisci la luce fioca di un sole ostacolata da prepo-tenti montagne; quelli realizzati a Monreale (Lo sguar-do del pellegrino), prepotenti e violenti, riflettono unacondizione del vivere quotidiano; quelli di Cefalù, checoniugano l’abbacinante lucore mediterraneo con untributo al maestro Antonello da Messina (Il sorriso del-l’ignobile marinaio). Da una pittura, quella di fine anniNovanta, più violenta e deformata (di baconianamemoria), di bocche e denti, incuriosito dal passaggiofra interno ed esterno Marcello è arrivato all’attualecreazione di questa nuova carne sintetica, che riflettela spasmodica ricerca contemporanea di una bellezzainarrivabile, finta, posticcia. Ma le opere di Buffa, gra-zie alla sua perizia tecnica e alla sua estrema sensibili-tà, riescono ad assumere caratteri più tangibili di tantivolti tumefatti dalla chirurgia estetica che la culturamassmediologica ci propone come reali.

I volti "anonimi e contrari”, talvolta surreali ed enigmatici, riflettono la pittura dell'artista

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di GIORGIA LO PICCOLO

Marcello BUFFAidentità possibili

ARTE

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ARTE

Giunto alla seconda edizione, il Premio Fabbri (mani-festazione biennale che invita l’arte a confrontarsi con lafilosofia e le icone dell’azienda dolciaria emiliana) è un’ul-teriore riprova di una moderna, possibile funzione delmecenatismo industriale e di una potente valenza comu-nicativa e pubblicitaria dell’arte contemporanea. LaFabbri coglie quest’opportunità affidando a diciotto gio-vani artisti italiani il compito di confrontarsi con il simbo-lo dei suoi prodotti: il vaso di amarene in ceramica condecori bianchi e blu, creato nei primi anni del secolo scor-so dall’artista faentino Gatti. Oltre a Michelangelo Gallianie Giuseppe Rado, è stato il pittore palermitano Andrea DiMarco ad aggiudicarsi l’edizione 2007 del Premio, con ilsuo dipinto Peso dolce, per “la qualità della sua pitturache con ironia e sapienza è riuscita a cogliere un’immagi-ne solare e luminosa che al meglio rappresenta l’italiani-tà dell’azienda”. Il dipinto, ritraendo il celebre barattoloFabbri sopra una catasta di cassette impilate su un’ApePiaggio, ripropone nella sua crudezza un brandello direaltà minima, uno scorcio di assoluta, densa normalità,in cui la presenza dell’uomo è ancora una volta evocatasenza essere descritta, mentre il suo lavoro e ingegnovengono rappresentati dalla meticolosa cura con cui lecassette sono accostate le une alle altre, in un equilibrioparossistico, ma per nulla precario. L’inusuale tecnica pit-

torica dell’artista palermitano, densa e materica, trasla inquesto dipinto, come in tutta la sua recente produzione,un soggetto banale, casuale, non ricercato per la suavalenza estetica, ingigantendolo agli occhi dello spettato-re, donandogli le attenzioni che la realtà gli nega. Comeun viaggiatore Di Marco rintraccia, con sguardo veristico,nelle pieghe più banali del nostro quotidiano “fette divita” comune, memorizzate e catalogate da un sempliceobiettivo fotografico, che Andrea porta con sé nelle suegiornate in Vespa. Con il preliminare utilizzo in studio del-la videoproiezione sulla tela, queste immagini dipinteesplodono ai nostri occhi con tutta la poesia del loro mini-malismo e con la sgradevolezza della propria funzionequotidiana. Ed ecco che una saracinesca o un elevatorecostringono lo sguardo ad indugiare sui propri particola-ri, sulla ruggine del tempo o l’usura del lavoro, rievocan-do il sostrato più operoso della società civile. Il viraggiodei colori, sempre realizzato con tecnologie rudimentali,conferisce inoltre al soggetto una distanza emotiva a cuila pittura dona una consistenza materica, quasi scultorea.Dagli esordi di via Gemmellaro, a metà anni Novanta, l’in-tero iter della ricerca di Andrea Di Marco testimonia dun-que un percorso ellittico che da una pittura deideologiz-zata e scanzonata, di aspirazione dadaista, approdaadesso ad una più sincera e profonda analisi della realtà.

Andrea Di Marco, ironia e sapienzadi ANDREA RUGGIERI

Il pittore palermitano vincitore della seconda edizione del Premio Fabbri per l'Arte

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nostri libri ma anche al nostro modo di costruire un“catalogo”. A Palermo valutiamo in tempi reali l’atten-zione dei lettori grazie a Modusvivendi, la nostra primalibreria fiduciaria che è anche una delle collaborazionipiù fruttuose sperimentate finora». Quattro novità editoriali fra febbraio e ottobre2007, fra le quali ripropone-te lo scrittore franco-cecoPatrik Ourednik, già edito davoi con “Europeana. Brevestoria del XX secolo” (2005).La nuova opera è “IstantePropizio 1855”, utopia di unnuovo mondo da colonizza-re. Cosa vi ha mossi a tornare sulle parole di que-sto autore?«Continuiamo a sentire il bisogno di raccontare “inmodi diversi” l’alienazione di questo primo scorcio dimillennio. La nostra storia intrisa di ideologie e orrori

che si sfalda in un carosello informe di proposte com-merciali, spesso dozzinali, resta il centro delle nostrericerche, della nostra curiosità delle nostre aspirazioni.Ourednik da questo punto di vista è esattamente lavoce che cercavamo, e che un po’ tutta l’Europa staimparando ad ascoltare, talvolta con irritazione piùspesso con sbigottimento».Nel gennaio 2006 comunicate, attraverso una notaeditoriale sul vostro sito, la volontà di “abbando-nare il Natale”, per sfuggire alle logiche di merca-to che vuole l’assalto ai libri confezione regalo inpieno stile renne e scocche. Ci sono stati deiriscontri positivi in termini di vendite?«La nostra non voleva essere una strategia di marke-ting, ma una precisa indicazione di estraneità a questocircolo vizioso. Noi ci tiriamo fuori da certe logiche e cirimettiamo al senso del nostro lavoro, che resta fonda-mentalmente quello di “fare libri”. Più che averci gua-dagnato non abbiamo dovuto subire un danno da par-te di un mercato malato, in cui la cecità della doman-da va a braccetto con quella dell’offerta. Alcuni dati cifanno ben sperare, abbiamo potuto percepire un cre-scente interesse nei nostri riguardi, e non solo per inostri libri ma anche per le nostre scelte».Sappiamo che sarete presenti alla Fiera di Romadella piccola editoria, quanto è importanteun’esperienza del genere per una casa editrice?«Si tratta di un’altra occasione per metterci alla prova,per vedere se siamo già pronti a ritagliarci un ruolo inquesta competizione (quella del mercato nazionale, unmercato senza appello, “senza rete di salvataggio”). Sitratterà di una vetrina importante ma non rinuncere-mo alle nostre abitudini e faremo in modo di traspor-tare anche un po’ della nostra tradizione dissacratoria.In risposta alla visione asfittico-commerciale degliorganizzatori abbiamo infatti deciso di presentare“Istante Propizio 1855”, con Ourednik, Paolo Nori,

Andrea Cortellessa e altri ospi-ti, fuori dalla fiera, in un con-testo a noi più consono». Avete in progetto la possi-bilità di pubblicare opere discrittori emergenti?«Non siamo disposti a improv-visare e non ci riconosciamo

nel tipo dell’editore sensazionalista che cavalca il“caso” effimero. Gli scrittori emergenti nel nostro cata-logo non mancano: alcuni potreste incontrarli per stra-da, altri emergono dai secoli perché hanno ancoraqualcosa da dire».

LIBRI

Dal 1995 presente in “carta e inchiostro”, accompa-gnata da un sito internet che per nulla rinnega il lorostile grafico, la casa editrice siciliana :duepunti è unarealtà editoriale che, col tempo, i lettori palermitani - enon solo - hanno iniziato a riconoscere. Ricercata e atratti elegante, viene raccontata dai i suoi stessi fonda-tori attraverso tante parole, fra le quali ne eleggiamouna augurandoci che possa esser sempre incipit dinuovi eventi: “condivisione”. Questo leggiamo nell’edi-toriale del sito: «La condivisione, più che la genericaapertura, è stata da sempre la cifra del gruppo».Abbiamo fatto due chiacchiere con Roberto Speziale,Andrea Carbone, Giuseppe Schifani (nella foto in ordi-ne da sinistra), per sapere qualcosa in più di questoprogetto/laboratorio immerso fra libri e pensieri instampa.Quali sono le aspettative di una realtà editorialeminore oggi, in un mercato spesso abbondante-mente invaso dai grandi editori?

«Cosa sono i Grandi Editori? Se parliamo di grandezzeeconomiche, di fatturati, di vendite… possiamo direchiaramente che non essendo nostri diretti concorren-ti non rientrano neanche nell’orizzonte delle nostreaspettative. Se ti riferisci ai “Grandi” per tradizione eper scelte, allora è diverso perché quel settore di mer-cato ci vede un po’ più agguerriti, decisi a lavorare perottenere anche noi una nostra riconoscibilità, unanostra collocazione. Una nostra “tradizione” la stiamogià costruendo, anche se abbiamo all’attivo pocomeno di venti titoli. Lo dicono gli altri, quelli che si sonoaccorti di noi attraverso i nostri libri».La vostra distribuzione è nazionale, c’è una regio-ne in cui siete più richiesti? Quanto vi leggono ipalermitani? «Per la nostra distribuzione in parte ci affidiamo adistributori tradizionali, che operano su territori regio-nali, e in parte ad una rete di librerie fiduciarie con lequali tentiamo di dare davvero visibilità non solo ai

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Un progetto-laboratorio tutto palermitano intriso di ideologie, orrori e spirito di condivisione

DUEPUNTI, l’editoria condivisa

di TONYA PULEO

«Sentiamo il bisogno di raccontare "in modi diversi" l'alienazione di questo primo

scorcio di millennio»

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L'avambraccio, con la mano che si muove ancora,è rimasto sul marciapiede, annegato nel rosso. Il cor-po ha un sussulto. Gira su se stesso. Il ronzio ricomin-cia a crescere. La morte ha la forma di un bastoncinoda gelato, si muove così rapido che non lo si vede gira-re. Affonda nel ventre, poi scappa alla presa, buca piùin alto. Capitolo settimo, pagina quarantacinque, pri-mo capoverso. Chi parla al lettore? Chi lo guarda negli

occhi?... Chi è l'assassino? L'assassino lo seguiamoconvinti di poterlo smascherare, ma giunti alle spalle ciaccorgiamo di aver sbagliato. Valentina Gebbia, eclet-tica scrittrice palermitana, torna a tratteggiare le sago-me ormai familiari degli strampalati fratelli: Fana eTerio Mangiaracina, tra le impalcature dell'ultimo delit-to affidato proprio all'omonima società investigativa.Nuove e più intense macchie di colore e voci tessonol'efferato omicidio ambientato nell'ombelico del cala-maio dell'autrice: il Borgo Vecchio. La scrittura di“Palermo, Borgo Vecchio” (Edizioni e\o – euro 16,50)non sbava sul foglio alcuna imperfezione. La storia calaperfettamente le sue gole nel noir, l'intreccio narrativodiviene quasi corale, più personaggi che si mantecanosenza contraddizioni con la loro diversità emotiva ecaratteriale, con le loro storie irrisolte, misteriose,“straniere”. Facce stesse di una Palermo barocca eridondante, con le sue infusioni e i suoi silenzi accidio-si. Come l'architettura di un parcheggio multipianoappare il libro: indagini ma anche pagine di cucina etradizione siciliana, sfumature antropologiche, foto-grafie e risate improvvise che colgono il lettore.L'ironia della scrittrice non tarda a manifestarsi tra lecornici del tragicomico capoluogo: signore dirimpetta-ie impiccione con bigodini malmessi e vestagliette,voci stridule che bisbigliano ma solo per finta, dediteallo sparrittìo greve che racconta di mariti cornuti, cur-tigghiàre e moventi. La storia vive e serpeggia tra gliangoli del quartiere, a volte appesa ad un tempo asin-crono fatto proprio dai registri sgrammaticati di chi loabita con i propri luoghi comuni e credenze, cenni,accenni e palòre smorzate. Scrittura appuntita e saga-ce come i denti della motosega elettrica che ha fiddù-liato maldestramente Mistral Siròco, u turcu, in veritàaitante ragazzo capoverdiano, fattorino in una bottegadel Borgo. Fana indaga col suo occhio fàvuso, incar-nando lo spirito divertito della scrittrice nel riproporreregole confuse e colorite, mentre Terio “navigato cul-tore del non dare sazio” è il pulpito che predica e rac-coglie silenziosamente indizi, li elabora, per poi tirarele fila dell'intreccio. Poi c'è la voce non più sottomessadella vedova Mangiaracina che, indossando gli esila-ranti abiti di investigatrice faidatè, ascolta i chiacchie-ricci del quartiere per aiutare i figli tra un mischìno eun rimprovero al malocarattere di Terio o all'ingordigiadi Fana, persa anche nelle sue proverbiali frasi: Che c'èdi meglio del panino con la salama? Tra un morso el'altro, direi anche una pagina di questo imperdibileromanzo, semifinalista al Premio Scerbanenco, il piùimportante riconoscimento italiano per i gialli.

NOIR tra le viedi Borgo Vecchio

di ROSSELLA PUCCIO

Ironia, mistero e tradizione si intrecciano nel nuovo giallo della scrittrice palermitana

LIBRI

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Come può un fumettista palermitano guadagnarsiun posto di riguardo nella scena nazionale? Per ilnostro concittadino Claudio Stassi la formula vincente èstata dedizione, studio e uno stile capace di variare dal-l'autoriale al classico con estrema facilità. Parliamo conClaudio della sua esperienza di fumettista in una realtàcome quella palermitana (ma più ampiamente italiana),dove affermarsi come professionisti si rivela spessoun’impresa immane. Ma come si trasforma una passio-ne, che spesso nasce in tenera età, in una professione?Nel suo caso la storia è semplice, il padre appassionatolettore di fumetti, riempe la casa di albi e giornali e lui

sin da piccolo si diverte a riprodurli fino a quando, piùin là, seguono gli studi prima al Liceo artistico e poiall’Accademia di Belle Arti. Le prime pubblicazioni sonodapprima strip sui quotidiani regionali, fanzine e web-zine, ma è nel duemila che Claudio fa il suo debuttonella scena nazionale, partecipando al concorso“Montalbano a fumetti” dove le case editrici Hazard eSellerio premiano la sua trasposizione di un romanzo diCamilleri, ”L’avvertimento”, pubblicandola in un alboche verrà presentato nelle più importanti manifestazio-ni fumettistiche. Questo riconoscimento dissuadeStassi dall’abbandonare la strada dei fumetti, che finoa quel momento gli era sembrata impercorribile viste ledifficoltà nel contattare gli editori. Da lì a poco incomin-ciano le collaborazioni con varie case editrici comel’Eura Editoriale, la Pavesio Productions e la Cronaca diTopolinia, e per quest’ultima lavora nelle due collaneAvatar e Avalonia con i concittadini Rossana Baldanza,Roberto Di Salvo e Sergio Algozzino. Ma un momentodecisivo nella sua carriera si ha quando viene contatta-to insieme allo sceneggiatore Giovanni Di Gregorio dal-la Becco Giallo, coraggiosa casa editrice specializzatanel fare cronaca usando i fumetti, proponendo loro disviluppare un racconto per la collana “Quartieri”,incentrata sulle realtà metropolitane difficili. I dueragionano a lungo sul tema da trattare, e alla fine èBrancaccio, il quartiere dove è cresciuto Claudio, adessere scelto come location del loro romanzo a fumet-ti. E’ quasi inevitabile non ruotare intorno alla figura didon Pino Puglisi, il parroco coraggioso ucciso dallamafia nel 1993, ma i due lo vogliono omaggiare inmaniera indiretta. «Don Pino - spiega Claudio - dicevaspesso che se vuoi cambiare determinati atteggiamen-ti nelle persone, devi partire dai piani bassi». Da quinasce l’esigenza di raccontare la mafia nelle sue decli-nazioni quotidiane, partendo da storie comuni che siintrecciano: due bambini che marinano la scuola, unpadre che cerca di sbarcare il lunario, storie di corru-zione e rasegnazione. “Brancaccio – Storie di mafiaquotidiana”, questo il nome della graphic novel, vienestampato a settembre del 2006, con la prefazione diRita Borsellino e la postfazione di Gregorio Porcaro,vice di Puglisi. Il romanzo viene premiato al NapoliComicon 2007 per la miglior sceneggiatura, da giuratid'eccezione come Go Nagai (il creatore di Mazinga),Moebius e Josè Munoz. Quali sono i suoi progetti per ilfuturo? Tanti dice, ma essendo superstizioso li tieneper se, diviso tra il tavolo da disegno e l'insegnamentoalla Scuola del Fumetto di Palermo, dove spera cresce-ranno tanti altri fumettisti come lui.

CLAUDIO STASSI

di MARCELLO TORTORICI

La mafia a fumetti raccontata dal disegnatore palermitano

LIBRI

Una sintesi per rendere esplicite le qualità proprie diun sentire nazionale è la tripartizione insita nella defini-zione di “Italiani popolo di santi, poeti e naviganti”.Rapidamente mutata con la rivoluzione informatica, taletriplicità s’azzoppa nella sua prima ed ultima componen-te. I naviganti, infatti, tradizionalmente dinamici, nel glo-bal village assumono assetto statico di intern@auta oblog-nauta e tra i santi, sociologicamente parlando, siregistra un netto assottigliamento delle aureole. Restacosì l’esercito dei poeti, creativi, animus scribi, post-moderni e letterati aspiranti, che in questo mondo in fer-mento vogliono comunicare, riflettere, scambiare, mapiù di tutto scrivere e farlo liberamente. Si cerca unapenna nel cassetto di una cattedra e si trova una poesiae fra un gruppo di amici del liceo “Massimo” di Romanasce «spontaneamente e per gioco» BombaCarta. Era il1998 e da un’idea, poi associazione, nel 2005 si deflagrain una Federazione di gruppi – BombaSicilia a Bagheria(Palermo), Ulisse a Uboldo (Varese), PietrediScarto aReggio Calabria, TrentoLegge a Trento, IlgattoCertosino aGenova, OfficineMeridiane a Taranto, Cavaspina aUrbino, LeMadie a Cutro (Crotone), BombaCarta Cosenza,Asterione (Roma) e, all’estero, B.C. Romania. Ma cos’èB.C. e qual è il suo metodo? Tonino Pintacuda – ideato-re e fondatore della costola palermitana – spiega:«BombaSicilia è un cantiere creativo in movimento, aper-to a narratori, lettori e macchiafogli che condividono il

manifesto di BombaCarta e hanno un legame, di sanguee affinità, col Sud. Si partecipa su invito, ma è previstoanche spazio per i contributi di altri parolai e ossigenoper nuovi talenti». BombaCarta, infatti, ha un modellopedagogico che spazia dal progetto Under 25 del defun-to scrittore Tondelli fino alla pratica pedagogica, delleprime scuole gesuitiche, trasfusa nella compilazione del-la Ratio studiorum. Parafrasando le “Parole private det-te in pubblico” dello scrittore Giulio Mozzi, il sapere anti-co non può non essere evocato nei metodi di scrittura,tanto è che i sostenitori di B.C. nelle parola chiave“discernimento”, cioè comprensione (“riflessione”) dellemozioni interiori, dopo sperimentazione (“esperienza”)circa la scelta da compiere (“azione”) in un contesto spi-ritualizzato, trova la base fondante l’intero manifesto cheli anima. Per tornare all’esperienza siciliana, Pintacudaaggiunge: «oltre ai progetti in cantiere, BombaSicilia siavvale di due canali: il tumblelog letterario (www.bom-basicilia.it) e, da questo anno, la rivista, che non costitui-sce però testata giornalistica e non ha carattere periodi-co, edita da Navarra di Marsala. I contenuti diBombaSicilia sono coperti da una Creative CommonsLicense». Com’è ovvio l’innovazione aiuta e la diffusionenazionale si amplia con le e-zine (una federaleBombaMag, l’altra nazionale Gas-O-Line). InfineBombaTV e BombaPod, per i contributi audio-video diriunioni, conferenze, lezioni, consigli e speech & lectures.

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Bomba SICILIA, la scrittura è liberadi TOMMASO GAMBINO

LIBRI

Un cantiere creativo in movimento, aperto a narratori, lettori, macchiafogli e parolai

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Non mentite per favore! Non dite di appartenere aquella classe di puristi o radical chic che non guar-

da mai la tv ne tanto meno le soap opera! Quanti di voinon drizzano le antenne quando al bar o in autobus ilvostro vicino di posto racconta fotogramma per foto-gramma – come un Cuticchio al digitale – la puntata di“Cento vetrine” che vi siete persi per colpa di quella tra-gicomica riunione di condominio? Fate outing per favo-re. Confessate e vi sentirete meglio: “Ehm…ho visto sol-tanto 1278 puntate…ma non riesco a smettere!”.Ebbene per voi che non riuscite ad andare avanti senzale soap è arrivata “Agrodolce”. Tutto comincia nel 2003.Metti una sera a cena un viceministro e un dirigente Raie il gioco è fatto. Due chiacchiere tra l’allora viceministrodell’economia con delega al CIPE (CentroInterministeriale Programmazione Economica)Gianfranco Miccichè e il direttore di Rai EducationalGianni Minoli danno vita ad un progetto televisivo nazio-nale che andrà in onda da febbraio ogni giorno dopo ilTg Rai delle 13.30 per allietare la digestione di milioni diitaliani. Minoli non è nuovo aqueste operazioni. È stato ilpatron di “Un posto al sole”,soap di successo che ha dato aNapoli un nuovo volto e ainapoletani tante occasioni dilavoro e di crescita. Miccichèevidenzia che “Agrodolce” saràil grimaldello capace di portarein Sicilia qualche grande major cinematografica d’oltreo-ceano. Infatti il progetto parte ambizioso. Sul modellodegli studios di Los Angeles si progetta la costruzione diuna Cinecittà palermitana sulla montagna di TerminiImerese. Vi ricordate le gigantesche lettere che già nel2001 scrivevano “Hollywood” sulla collina diBellolampo? A parte l’irriverente sarcasmo, MaurizioCattelan, l’artista che realizzò quell’opera ebbe senzadubbio una visione premonitrice. Ma alla vigilia dei lavo-ri, una perizia idrogeologica rivela che l’area designatanon va bene. Il terreno è a rischio crollo. Tutto da rico-minciare se non fosse per l’intervento del presidentedella Provincia di Palermo Francesco Musotto che offrela sede di una scuola in disuso “IstituzioneSocioscolastica Permanente” proprio sulle colline diTemini Imerese. A questo punto sulla bocca di tutti cisono due parole: “Med Studios” e “Agrodolce”. Il primoè il nome di questo primo nucleo di studi cinematografi-ci e televisivi dove in questi giorni si dà il ciak alle ripre-se d’interni della soap. “Agrodolce” è invece il nome diquesta soap opera che parlerà di noi siciliani. Un ossimo-

ro che ben racchiude l’indole e le contraddizioni tipichedella nostra terra. Ci saranno le famiglie nobili e gli immi-grati, pescatori e storie d’amore, criminali e poliziotti. Letrame si dipaneranno in un paese siciliano chiamato“Lumia”. Il mio consiglio è quello di non affrettarvi a cer-carlo sull’atlante perché rimarrete delusi. “Lumia” seb-bene una parola dall’inequivocabile sonorità siculo-ara-ba rimane un nome di fantasia proprio come quel“Vigàta” che Camilleri scelse come residenza per il com-missario Montalbano. Riuscire ad ottenere informazionisul cast è impossibile. La produzione non rilascia alcunadichiarazione, tuttavia qualche gola profonda sussurra ilnome di Maria Grazia Cucinotta come guest star. Perquanto riguarda le location trapelano Santa Flavia ePorticello che ospiteranno gli esterni relativi alle scenedei pescatori. Rispetto alle solite soap “Agrodolce” avràuna marcia in più. Molte scene saranno girate in esternonelle splendide cornici siciliane e non come succede perle altre soap tra le pareti cartonate di inverosimili centricommerciali. “Agrodolce”, che per parecchi anni sarà sui

nostri teleschermi, è una soap alunga serialità realizzata sulmodello industriale di tipo ameri-cano - vedi “Friends”. Budgetlimitato e altissima produttività.A pieno regime i Med Studiossaranno capaci di produrre cin-que puntate a settimana senzasosta per tutto l’anno. Diverse

unità di ripresa gireranno contemporaneamente gliesterni e gli interni, mentre al montaggio un’altra squa-dra si occuperà di montare gli episodi già filmati. Inoltreuna squadra di autori esperti scriverà la sceneggiatura incorso d’opera, attingendo a piene mani dalla cronaca emodificando i personaggi a seconda del gradimento delpubblico. Pertanto gli attori che avranno pochissimotempo per imparare la parte si avvarranno della figuradi un trainer che li aiuterà ad imparare la parte nel piùbreve tempo possibile. In definitiva “Agrodolce” è moltodi più di una soap. E’ un’occasione unica. Una possibilitàper i siciliani di togliersi definitivamente dalla testa quel-la coppola che per troppo tempo è rimasta in bella vistanelle pellicole di decine di registi - che la Sicilia l’hannosolo sfruttata. “Agrodolce” sarà fiction, è vero. Costruiràmodelli ed eroi che vivranno solo nell’etere. Ma in com-penso porterà occupazione stabile in Sicilia e mostrerà atutti le bellezze della nostra terra. Terra di contrasti. Dicittà e folklore. Di mare e sole, vulcani e neve. Di agrumie scirocco. Proprio come l’agrodolce che pizzica un po’ma piace a tutti.

CINEMA

AGRODOLCE

di FABIO MANNO

“Un posto al sole” c’è anche in Sicilia. La prima soap opera totalmente “made in Sicily” a febbraio sul piccolo schermo

«Un progetto che parteambizioso. Sul modello degli

studios di Los Angeles si progetta la costruzione di

una Cinecittà palermitana sullecolline di Termini Imerese»

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CINEMA

Chissà quanto davvero pesò, a suo tempo, il giudizionegativo espresso da Benedetto Croce nel 1939 sul capo-lavoro di De Roberto. Per contro Vitaliano Brancati ave-va scelto di laurearsi, dieci anni prima, con una tesi su DeRoberto incentrata proprio su “I Vicerè”, modello lettera-rio per diverse generazioni di scrittori, insieme a “IPromessi Sposi”. Manzoni, però, poté contare sul soste-gno della cultura cattolica, mentre per “I Vicerè” la stra-da fu tutta in salita, fin dalla sua uscita, nel 1894.Influenzato dal verismo di Verga, votato allo storicismo,De Roberto è stato uno scrittore camaleontico, il cui sti-le verteva ad indagare il lato più oscuro della psicologiadei suoi personaggi, con un respiro narrativo che le piùrecenti analisi accostano all’universo di Leopardi,Baudelaire e Flaubert. Non c’è nei “Vicerè” la spinta deca-dente che ha fatto grande e popolare “Il Gattopardo”,scritto da Tomasi di Lampedusa e tradotto in magnificofilm da Visconti. C’è invece, tagliente e lucidissima, l’ana-lisi critica della genesi dei poteri pubblici e privati, cheancora sorprende per la sua modernità. La vicenda diquesto romanzo corale si snoda in un arco di tempo cheva dal 1853, mentre la dominazione borbonica va in cri-si, fino al 1882, anno nel quale le elezioni politiche deter-minano la nascita del nuovo Stato in Italia. Oggi RobertoFaenza – insieme ai suoi sceneggiatori Bruni, Gentili ePorporati – si cimenta nella difficile trasposizione di unromanzo restio al grande schermo. Lo fa con timidezza e

restituendo solo in parte lo spirito dell’impresa di DeRoberto. Non si discute la lussuosa confezione che trovaforza nei costumi di Milena Canonero e nelle scenografiedi Francesco Frigeri. Ma quella di Faenza è una regia chetende all’estetismo marca fiction da prime time. Restal’orpello di questa saga familiare, incentrata sui nobiliUzeda discendenti dei Vicerè di Spagna, emblema del cli-ma politico che si respirava in quegli anni, un’epoca dilaceranti contraddizioni sociali, dove il privato si esibivain pubblico, il tutto immerso in un’atmosfera cupa emortuaria. La sceneggiatura ci consegna come centraleil personaggio di Consalvo (Alessandro Preziosi, nellafoto a sinistra), preda dell’odio tirannico del padreGiacomo (Lando Buzzanca, nella foto a destra) che lo farinchiudere in un convento dei Benedittini. Destino ana-logo tocca alla sorella del giovane, Teresa (CristianaCapotondi), alla quale s’impone un matrimonio di inte-resse con un repellente aristocratico. La fortuna del librofu inficiata anche dagli impliciti giudizi che contiene sul-l’influenza del potere ecclesiastico, sottolineati dalla ver-sione di Faenza. Se il film non decolla non è certo per col-pa dei comprimari, tra i quali i palermitani BenedettoRaneli e Mario Pupella: il regista ammicca a certo cappae spada anni ’50 e ad un’ipotesi di cinema popolare, chesconfina troppo nel televisivo, e per giunta lo fa senza lapassione necessaria. Per celebrare degnamente DeRoberto non ci resta che tornare alla sontuosa fonte.

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I VICERÈ di una Sicilia decadentedi FRANCESCO PUMA

Nel film di Roberto Faenza la saga familiare dei nobili Uzeda discendenti dei Vicerè di Spagna

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CINEMA

Come reagireste se un giorno trovaste una scono-sciuta che si aggira disinvolta in casa vostra e sembraconoscervi da sempre? Succede alla coppia protagonistadell'ultimo cortometraggio del regista palermitanoGiuseppe Gigliorosso (nella foto), intitolato, non a caso,“Chi sei”. Una domanda legittima, pronunciata quasicome una cantilena dal protagonista maschile (GiuseppeSantostefano) le cui giornate sono scandite dall’assun-zione regolare di pillole e poco entusiasmanti partite acarte con la moglie (Rosalba Bologna). Stranamente que-st’ultima non sembra essere turbata dalla misteriosapresenza, che ha il volto della giovane Chiara Muscato. Ilregista, diplomato all'Istituto per la Cinematografia e laTelevisione di Roma e dall’88 operatore Rai, è anche sce-neggiatore e produttore del cortometraggio che, a dettadi chi conosce bene la sua produzione, è l’opera dellamaturità, in cui l’uso marcato dei primi piani rivela unripiegamento su una dimensione più intima e drammati-ca. Per tutta la durata del film, venti minuti, a parlaresono le espressioni facciali e i gesti ancora più dei dialo-ghi. Le immagini non mostrano ma suggeriscono,lasciando l'immaginazione dello spettatore libera di viag-giare, in bilico tra straniamento e realtà, tra il presente eil passato i cui tasselli, come in un puzzle in continuodivenire, si compongono nella successione dei flashback.Scena dopo scena, la costruzione della storia - che ricor-da “Così è se vi pare” di Pirandello - suggerisce che nien-

te è come sembra, fino al momento dell'agnizione, in cuil'uomo, vittima di un inconscio processo di rimozione,accetta la verità e si confronta con la sconosciuta.L'ineccepibile regia mostra in ogni fotogramma un'at-tenzione particolare per la fotografia affidata a RosarioNeri: la scelta della luce e delle atmosfere dona venaturedi pathos e suspense alla storia che, in modo intenso mamai eccessivo, tocca i delicati temi della solitudine e del-la malattia. Sotto il profilo diegetico, i passaggi più signi-ficativi sono sottolineati dalle musiche dei palermitaniSun, nenie moderne, espressione di un mondo surreale,dominato da una sicilianitudine del terzo millennio. Nelmomento in cui tutto si compie, però, la ricostruzione delsenso che sembrava perduto è affidata al silenzio, a sug-gerire che le emozioni forti sono capaci di parlare da sé.Il cast, composto da attori molto preparati, e le locationsono rigorosamente siciliani, frutto di una scelta precisa,ovvero la volontà, come spiega il regista «di valorizzarele risorse locali partendo soprattutto dalle professionali-tà coinvolgendo in primo luogo i giovani che voglionovivere la magia del cinema». Dalle parole del regista, cheha alle spalle diversi cortometraggi, emerge il desideriodi fare finalmente il grande passo e cimentarsi in un lun-gometraggio. A giudicare dai numerosi riconoscimentiottenuti con i precedenti lavori, due fra tutti “Sé” e“Centoventi metri”, Gigliorosso e la sua troupe hannotutte le carte in regola per riuscirci.

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CHI SEI, la parola alle immaginidi MANUELA PAGANO

Viaggio tra passato e presente nel cortometraggiodel regista palermitano Giuseppe Gigliorosso

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Se chiedessimo a un trentenne palermitano dimedia o buona cultura chi era Danilo Dolci, è pro-

babile che, a dieci anni dalla sua morte, riceveremmo incambio una faccia un po’stranita, un po’ perplessa.Dolci era un poeta, un sociologo e un educatore che neiprimi anni Cinquanta scelse l’arretrata e disperata Siciliaper esercitare la sua innata vocazione al sociale. Nel ’52,l’intellettuale triestino, decise di trasferirsi nell’alloradepressa Partinico per organizzare braccianti e pescato-ri che vivevano in assoluta miseria, e sul modello dellelotte di Gandhi promosse numerose manifestazioni didisobbedienza civile. La sua era una battaglia per ilpane – a quel tempo, in quei luoghi, si moriva veramen-te per fame – per il lavoro e per un’istruzione destina-ta a tutti (l’analfabetismo dilagava). Ma quali furono lemotivazioni che gli fecero scegliere di operare nell’iso-la? Come dichiarò lo stesso Dolci: I giornali scrivevanoche erano tutti criminali. Lo stato invece di aiutare l’iso-la a crescere economicamente mandava l’esercito. Ioho scelto un altro approccio: mi sono messo a lavorarecon loro, a parlare, a faredomande per capire un mondoche nessuno si sforzava diascoltare. Celebre fu lo sciope-ro alla rovescia del ’56 fatto coni disoccupati, preceduto da undigiuno collettivo preparatorio:se per chi ha un lavoro, sciope-ro vuol dire astenersi, per chinon ce l’ha significa lavorare.Così Dolci e un centinaio di sen-za lavoro andarono a sistemare una trazzera dissestatanelle campagne di Partinico, ma durante la loro azionecivile furono fermati dalla polizia e arrestati. In seguitofu fatto un processo buffonata, che, nonostante il pare-re contrario dell’opinione pubblica e dei maggiori intel-lettuali italiani del tempo, condannò Dolci ad un paio dimesi di carcere. Oltre a sperimentare in Sicilia le tecni-che non violente e credere in una spinta sociale che par-tisse dal basso, “l’amico dei poveri”, fece delle denunceben precise che colpirono l’intreccio fra potere e mafiache ieri ancor più di oggi ingabbiava l’Isola. È grazie allasua azione che fu costruita la diga di Roccamena sulloJato, un simbolo della vittoria dei braccianti e dellasconfitta dei mafiosi che controllavano le sorgenti dellazona, ed è anche grazie alla sua “noiosa” insistenzaintellettuale che fu approvata la legge per l’inchiestaparlamentare sul fenomeno mafioso, dalla quale nac-que la Commissione parlamentare. Ma, come mai unuomo dello spessore di Dolci fu dimenticato già quando

era in vita? Come mai un intellettuale della sua levaturainternazionale - varie volte fu candidato al Nobel per lapace - è più noto nel nord Europa che qui da noi? DisseErich Fromm: «Se la maggioranza degli individui nelmondo occidentale non fosse così cieca davanti allavera grandezza, Dolci sarebbe anche più noto di quelloche è». La frase è triste e consolatoria, forse più rozza-mente possiamo affermare che come l’Italia bigotta dei’50 tutta scudo crociato e parrocchia non poteva amarequesto sovversivo gandhiano, allo stesso modol’Italietta odierna, per pigrizia intellettuale, non è riusci-ta a sdoganarne la figura. Danilo Dolci non si legò maiad una parte politica, e il nostro paese fatto da una clas-se dirigente becera, accompagnata da una chiesa catto-lica non forte come prima ma per questo tendenzial-mente più invasiva, non pare amare i suoi figli piùautentici, neanche da morti. A tal proposito come nonricordare le “sante” parole del cardinale Ernesto Ruffini,in un'omelia pasquale degli anni '60, che indicava lamafia, il romanzo “Il Gattopardo" e Danilo Dolci come le

cause che maggiormente hannocontribuito a disonorare laSicilia? Se dovessimo consigliaread un giovane siciliano un librodi Dolci, sceglieremmo il bellissi-mo “Banditi a Partinico” del1955. Corredato da una bellaprefazione di Norberto Bobbio illibro è un saggio compilativoche raccoglie numerose intervi-ste fatte alla misera gente di

Spine Sante, il quartiere più disgraziato di Partinico. Unposto dove l’uomo era bandito dalla società, ed eradestinato o a delinquere o a ripiegarsi su se stesso finoad impazzire. Un posto dove l’uomo, nella maggioranzadei casi, si faceva bandito per evitare che i figli vomitas-sero le budella per la fame. Non pensiamo che DaniloDolci fosse un santo laico – da diversi amici fu accusatodi eccessivi personalismi, mentre altri dicevano che erafin troppo vittima delle sue utopie – ma sicuramente erauna coscienza critica di cui si sente la mancanza, esoprattutto un leader che ha saputo abbinare pensieroed azione. Chiudiamo con la dichiarazione fatta da Dolciprima del digiuno collettivo e dello sciopero alla rove-scia del ‘56: Non per disperazione noi digiuniamo, manella speranza di contribuire perché l’Italia diventi unpaese civile, sappiamo che lavorando generosamentesiamo la vita. Chi ci impedisce è assassino: non paghia-mo le tasse perché il nostro paese, dal mare alla terra,sia una mala galera in mano ai prepotenti.

SOCIETA’

Chiedi chi era DANILO DOLCI

di SAVERIO PULEO

A dieci anni dalla morte il ricordo di un poeta, sociologo ed educatore nell’arretrata Sicilia dei primi anni Cinquanta

La sua era una battaglia per il pane - a quel tempo,

in quei luoghi, si moriva veramente per fame - per

il lavoro e per un’istruzionedestinata a tutti, visto chel’analfabetismo dilagava

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SOCIETA’

Se i Sud del mondo sono accomunati dai problemiperché non possono esserlo anche dalle soluzioni? E'questo il pensiero, semplice ed illuminante al tempostesso, che sta alla base dell'azione del CISS(Cooperazione Internazionale Sud Sud) palermitanaassociazione senza fini di lucro che promuove e realizzaprogetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo.Fondata a Palermo nel 1985, dal 1989 é riconosciutacome Organismo non governativo (ONG) dal Ministerodegli Affari Esteri. In quasi 28 anni di attività il Ciss ha giàrealizzato più di 50 progetti di durata pluriennale e oltre250 di più breve durata. Tanti i paesi coinvolti: Brasile,Guatemala, Marocco, Palestina, solo per citarne alcuni.Quello per cui il Ciss si batte è il diritto allo sviluppo cheogni territorio dovrebbe aver garantito e che passaattraverso l'uso responsabile delle risorse, la tutela deidiritti umani, la valorizzazione dei beni culturali eambientali, la lotta al lavoro minorile. Cooperazioneinternazionale, quindi, ma non soltanto. Molteplici sonole iniziative che il Ciss realizza in stretta connessione conil territorio locale, i cittadini e le istituzioni. Si tratta diprogetti di sviluppo a favore di settori emarginati dellanostra popolazione, ma soprattutto di attività di sensibi-lizzazione dell'opinione pubblica e di educazione deglistudenti. «L’obiettivo è quello di dare visibilità al lavorodel Ciss - spiega Lita Favetti, responsabile per l’educa-zione allo sviluppo - producendo un cambio di mentali-

tà nei nostri interlocutori, affinché diventino essi stessipromotori e moltiplicatori di un diverso modo di pensa-re». Il rapporto tra il Ciss e gli enti locali, soprattuttoquelli dediti alla formazione, come l’Università e le scuo-le, é florido. «Con il patrocinio dell’Università - continuaLita - abbiamo organizzato convegni e corsi di formazio-ne; nella sede dello Steri, lo scorso ottobre, abbiamoallestito la mostra fotografica “Futuro di sabbia” sultema della desertificazione; con diverse scuole palermi-tane, poi, abbiamo lavorato insieme nell’ambito di pro-getti PON e POR, mentre con il Comune abbiamo lavo-rato per l’attivazione del Centro di formazione intercul-turale all’interno del Piano di zona del distretto sociosanitario n. 42». Il racconto di Lita sulle attività svolte dalCiss é stato lungo e dettagliato e le parole che abbiamocitato ne sono una piccola parte. Lita dedica la sua vitaalla cooperazione da anni ormai, come cooperante inBrasile prima e come formatrice adesso. La sua passio-ne e la sua professionalità si uniscono a quella di tutti glialtri collaboratori del Ciss, come Barbara Amodeo,comunicatrice e fund-raiser, che ha deciso di porre lesue conoscenze di comunicazione e marketing a servi-zio di una causa più grande. Tantissimi poi, i giovani sta-gisti, tirocinanti e volontari che animano con i loro sor-risi le stanze della sede centrale di via Noto. Tanti i modiper unirsi a questo straordinario gruppo e per sostene-re le attività, tutti verificabili sul sito www.cissong.org.

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CISS, il Sud che abbraccia il Suddi LAURA MARIA SIMETI

Da ventotto anni l’associazione palermitana si batte per garantire il diritto allo sviluppo

«Mio padre paga il pizzo come tutti, lo considera uncosto fisso, ma è una persona onesta, cammina a testaalta, ha solo paura di rimanere solo. Urlate per me chequalcosa può cambiare». Questo il contenuto di unalettera lasciata da un’anonima ragazza in un teatro col-mo di gente, ragazzi, commercianti, pezzi di istituzio-ni. E’ il teatro Biondo di Palermo che, a differenza dialtri incontri sul tema, questa volta era pieno di genteper la presentazione di “Libero Futuro – associazioneantiracket Libero Grassi”. Il cerchio aperto nel 1991 dalsacrificio di Libero si è chiuso nell’immagine degliimprenditori a fare il segno di vittoria con le dita, esat-tamente come fece Davide Grassi portando in spalla il

feretro del padre. Una manifestazione da brividi, unvento che cambia e tanta aria nuova che entra.Dall’interno del teatro appare palese che qualcosa ègià cambiato. Libero Futuro nasce dopo tre anni di atti-vità del comitato Addiopizzo. Il percorso degli “attac-chini” (perché nati attaccando gli adesivi con scritto“un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senzadignità”) ha, infatti, incontrato sempre più spessoquello intrapreso da chi denuncia. Ma per la gestionedei casi serviva un’assistenza professionale e un’espe-rienza che un movimento, per sua natura, non potevaoffrire. Così - grazie alla collaborazione di Tano Grasso,il pioniere della ribellione alla tassa mafiosa (nel 1991fonda la prima associazione antiracket a CapoD’Orlando), all’esperienza acquisita sul campo da alcu-ni membri del comitato, dall’apporto dato dai com-mercianti palermitani - nasce una nuova realtà che nonpoteva giungere in un momento migliore: dai successiottenuti con la cattura dei Lo Piccolo, che per ottenereil pizzo hanno messo Palermo a ferro e fuoco la scorsaestate, ai segnali giunti dalla classe imprenditoriale.Confindustria Sicilia annuncia l’espulsione dalla suaassociazione di chi paga la tassa di Cosa nostra stravol-gendo tutta la sua ultima storia. La ditta della famigliaGuajana, nella lista di "Consumo critico" di Addiopizzo,riceve un’area industriale dove riprendere la sua attivi-tà dopo che il rogo appiccato il 31 luglio scorso l’hadistrutta completamente. Vincenzo Conticello, titolaredella “Antica Focacceria San Francesco”, riconosce inaula i suoi estorsori che si beccano condanne pesanti.Tutti fatti che piazzano l'associazione antiracket in unpunto di snodo. «Addiopizzo e Libero Futuro rappre-sentano l'assunzione di responsabilità di cittadini eimprenditori di fronte al fenomeno pizzo-racket-mafia- dice Enrico Colajanni (nella foto), "attacchino" dellaprim'ora e presidente dell’associazione antiracket, chenon le manda certo a dire - L'invito che da più partigiunge ai commercianti affinché denuncino è sacro-santo, ma lo stesso appello dovrebbe essere indirizza-to al mondo politico, alle migliaia di amministratorilocali, alla moltitudine di responsabili di enti pubblici eprivati che restano indifferenti al fenomeno». In defini-tiva «Libero Futuro lavorerà instancabilmente per tute-lare gli imprenditori che decideranno di ribellarsi e cer-cherà di limitare i rischi che inevitabilmente si corronoquando si denuncia l'organizzazione mafiosa. Ma èbene che si sappia – conclude Colajanni - che la consa-pevolezza di tali rischi non ci consentirà più di faresconti a nessuno. D'ora in poi la parola d'ordine deveessere: ognuno faccia la sua parte».

Nasce a Palermo, da unacostola di Addiopizzo, la nuovaassociazione antiracket

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di ANDREA COTTONE

LIBERO FUTURO

SOCIETA’

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“Palermo è una città che vive di segni”, questafrase fra i commenti di Rosalio.it mi ha molto col-

pito, mi è sembrata rivelatrice. È vero, Palermo ha sem-pre vissuto di segni che ne hanno costituito l’identità,l’hanno presentata al mondo. Il mio pensiero non puònon andare alla mafia, che per tanti anni di Palermo èstata il marchio, infame. Il sangue dell’ultimo cadavereammazzato per strada, così come il logo con il buratti-naio del “Padrino”, si sono trasformati in vessillo diun’identità, tanto ingiusta quanto necessaria, pronta avarcare i confini della città ed a diffondersi in lungo e inlargo. Allo stesso modo, Palermo è una città che vive disegni, nell’albero Falcone, nelle manifestazioni antima-fia partecipate, che hanno dato il senso del riscatto, chehanno dato la misura della voglia della città di liberarsidalla mafia. Ancora più radicalmente, Palermo è unacittà che vive di segni con la sua sfrontatezza semioti-ca, con la sua consapevolezza di quantoi segni siano manipolabili, ecco allorache negli anni ’90 si organizzano le sfi-late di moda con “la coppola” trasfor-mata da segno negativo in segno posi-tivo grazie ad un’astuta campagna dicomunicazione. Chiaramente Palermosa bene, come quel personaggio diVonnegut, che “noi siamo quel che fac-ciamo finta di essere” lo ha imparato asue spese, lo ha imparato da Sciascia ePirandello. Non è un caso che questacittà negli anni sia diventata una dellecapitali internazionali per lo studio dellasemiotica, la disciplina dei segni, ladisciplina dei simulacri, di “ciò che fac-ciamo finta di essere”. A Palermo, già dagli anni ‘60, sisono succeduti alcuni tra i più importanti studiosi dellinguaggio e della comunicazione, creando una consue-tudine di studio, una vera e propria scuola, ancora oggiviva e vegeta. Proprio dalla scuola di Palermo viene ilnuovo “Il discorso di marca”, appena uscito per i tipi diLaterza a firma di Gianfranco Marrone (nella foto), ordi-nario di semiotica all’Università di Palermo e presiden-te dell’associazione italiana di Studi semiotici. Il libro èimportante da diversi punti di vista. Prima di tutto per-ché rappresenta una punta di eccellenza della ricercaitaliana nel campo della marca, presentando un model-lo di analisi completo ed efficace per spiegarne il mec-canismo di funzionamento. Fosse solo questo, però, illibro potrebbe essere catalogato fra i libri specialistici,rivolti a chi si occupa di marketing o lavora nella pub-blicità. Ovviamente il libro, utile per pubblicitari e mar-

keter, è molto di più. Riflettere sul brand, secondo l’au-tore, significa ripensare un fenomeno semiotico poten-te e pervasivo, un “discorso” che, nel bene e nel male,unisce, mette in relazione: se è vero che “Palermo è unacittà che vive di segni”, come poco fa si diceva, è anchevero che ogni città, ognuno di noi, vive di segni, entrain relazione con l’altro attraverso i segni che nella babe-le quotidiana della comunicazione di massa costruisco-no il “senso comune”. Di questo senso comune, delmodo in cui esso può essere indagato, descritto, il librovuole occuparsi, scegliendo, magari anche provocato-riamente, il punto di vista trasversale dalle marca, cro-ce e delizia dei nostri anni, simbolo di successo e iconacui puntare il dito per indicare i mali della globalizzazio-ne. Ecco perché “Il discorso di marca” non ha nulla ache fare con i “miracoli spiccioli” promessi dalla lettera-tura di marketing sul tema, e nemmeno assume i toni

apocalittici di denuncia delle “malefatte”delle multinazionali globalizzate. Al con-trario, prova a costruire un modello dispiegazione del fenomeno del brand chetaglia trasversalmente ambiti di perti-nenza molto eterogenei accomunati tut-ti dall’essere nodi sensibili del nostrostrare al mondo: politica, comunicazionepubblica, ma anche mass-media, pubbli-cità e comunicazione visiva. Il discorso,in questo scenario, può essere pensatocome minimo comun denominatore diquesta eterogeneità: ci chiama, ci inclu-de nel circo della “grande conversazio-ne” sociale. Ancora dal lavoro dellascuola di Palermo, arriva il tentativo for-

te di superare il logoro meccanismo degli “stili di vita”.I consumatori (ma anche gli elettori) sono sempre menoincasellabili e catalogabili per profili i cui comportamen-ti di consumo siano facilmente prevedibili, tanto menosono disponibili a sposare in toto la proposta identitariadel brand. Il libro, a questo proposito, propone unadirezione, utile tanto al manager quanto al semplice cit-tadino, per navigare nella complessità dei nostri anni:riferirsi alle “forme di vita”, all’atto fondamentale di tra-dimento rispetto al sistema costruito dalla marca.Tradire la marca diventerebbe così un modo per affer-mare la propria identità, la cui logica di costruzione ènon tanto l’omologazione, come propagandato, quan-to il patchwork, il bricolage, il continuo aggiustamentonella vonneguttiana consapevolezza che “noi siamoquel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo sta-re molto attenti a quel che facciamo finta di essere”.

COSTUME

Il discorso di MARCA

di FRANCESCO MANGIAPANE

Nel nuovo libro di Gianfranco Marrone un "discorso sui segni" che nella babele quotidiana della comunicazione di massa ci uniscono e ci mettono in relazione

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Massimo Minutella (nella foto), l’eclettico entertainerpalermitano, ha messo su casa. E lo ha fatto negli studipalermitani di Telesud, dove, dal 9 ottobre scorso, hasede “Casa Minutella”, il talk show che “dà del tu” ai suoiospiti. Col tipico stile informale, lo spigliato padrone dicasa accoglie nel suo salotto televisivo politici, artisti eprofessionisti affermati del territorio. Una vetrina media-tica per i talenti e i saperi locali, in diretta, dal martedì alvenerdì alle 13.30 e in replica alle 21 su TVT. «La trasmis-sione rilancia un’immagine positiva della Sicilia, che inve-ce di lamentarsi, fa» evidenzia il suo ideatore. Nato nel2001 come programma d’intrattenimento su Radio Med,dopo 6 anni di onorata diffusione quotidiana, “CasaMinutella” riceve lo “sfratto”. Un benservito che lasciaamareggiato il noto speaker fino al “trasloco” sul piccoloschermo, reso possibile dall’intraprendenza di MicheleVallone (editore di Telesud), “Exodus Agency” e “MuseComunicazione”. Introdotto da un’accattivante siglaswing, il contenitore offre un’ora di attualità, informazio-ne sanitaria, iniziative culturali, amarcord della Palermoche fu. A dimostrazione che cu resta arriniesce. Tre gliinvitati per ogni puntata, numero perfetto anche per lachiacchera tv. Minutella si aggira sornione nella vivacescenografia di Rino Inzerillo, ritmando i toni con battutee impertinenza dialettale. Perché, se come sostieneOscar Wilde “l’unica vera ebbrezza è la conversazione”,solo i palermitani hanno assunto il curtigghiu a vera arte.

«Conduco con il linguaggio della gente comune, nelleinterviste amo svelare il privato dei personaggi» affermail nostro comunicatore. «Sin dalla prima puntata abbiamoricevuto grandi consensi dal pubblico, testimoniati per lopiù dai riscontri per strada». Come dire un auditel on theroad. I telespettatori possono segnalare le loro propostesu: www.myspace.com/minutellamax e, contattando lo091.512341, intervenire in studio o chiedere un “aiutino”per indovinare “Il personaggio misterioso”. In palio unbiglietto per spettacoli vari. «La mia Casa è aperta achiunque voglia esporre civilmente il suo credo; ad esclu-sione dei ciarlatani che si arricchiscono sui dolori altrui»puntualizza Massimo. E’ vivo anche il suo impegno socia-le, rivolto soprattutto alla prevenzione giovanile del-l’abuso di alcol. Puntuale ogni venerdì il suo monitoTorna sano a casa ca mamma ti vasa, slogan compostodagli amici Tinturia. Il paladino Minutella sostiene anche“le quote rosa” e ricerca una presenza femminile che loaffianchi. Niente veline silenti, ma giovani spigliate epensanti. Nell’attesa della new entry, è già in cantierel’edizione estiva del talk show, che proseguirà fino al 30giugno 2008, con una versione on-air su Radio Time, ilsabato dalle 17 alle 18. Nel fitto carnet d’impegni deldinamico 34enne, manca solo quello sentimentale.«Sono un “bamboccione forever”» rivela soddisfatto «conun sogno: trovare una persona a cui dire sì davanti a Dio.E magari comprare casa a Palermo…»

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Casa MINUTELLA, la Sicilia che fadi BARBARA RANDAZZO

Il salotto televisivo palermitano dallo stile informaleche accoglie e racconta i talenti e i saperi locali

COSTUME

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te e il carattere nella formazione di una persona? Nelfrattempo i giorni passano e si deve anche scegliere ilmenù. Un ottimo piatto tradizionale è la gallina ripiena. Ècamurrusa la preparazione, ma ne vale la pena. Per variaspetti. Comprate una bella ‘addina di 2 kg, meglio se giàspennata. Identificatela con qualcuno, diciamo, che vi stamolto a cuore e immaginate che quello sia il corpo del-l’eletto. Fate un bel sospiro profondo e iniziate il lavoro.Per prima cosa eviscerate la pollastra, tagliate zampe etesta e disossatela accuratamente. Lavatela e asciugate-la. L’effetto sarà terapeutico, catartico, una sorta di psi-codramma che libererà le vostrepulsioni e passioni più plutoniane.Ora tritate le interiora, aggiungen-do 150 gr di fegatini di pollo, 150 grdi tritato di manzo - anche se ioconsiglierei la pasta di salsiccia coni semi di finocchio -, un po’ di pepe,mezza cipolla, uno o due spicchi diaglio, prezzemolo e basilico. In un pentolino lessate aldente 200 gr di riso, scolatelo bene e mischiatelo con lafarcia, unite una bella manciata di caciocavallo o cane-strato piccante e due uova sbattute. Aggiustate di sale eamalgamate con un po’ di pangrattato. A questo puntocon molta cura riempite il ventre della gallina, con la stes-sa dedizione con cui Willy coyote, finalmente vittorioso,riempirebbe quello di Bebip. Cucite bene la pancia e roso-late la vostra cavia, da tutte le parti, in un tegame con un

bicchiere di olio d’oliva, a fiamma bassa. La vendetta vaassaporata lentamente. Appena la gallina sarà dorata,versate un bicchiere di vino rosso e fate evaporare, rigi-randola spesso. Aggiungete due bicchieri di brodo e ulti-mate la cottura a pentola chiusa. Azziccate di tanto intanto la forchetta se i reddi entrano con facilità, estraeteil corpo e deponetelo in un piatto, lasciandolo raffredda-re. Togliete i fili di sutura con molta attenzione. I gestivanno calibrati, compiuti con lentezza, assaporando ogniattimo. Tagliate a fette che sistemerete in un vassoiodecorato con ciuffetti di purè e foglie di spinaci scottati in

padella. Tirate un sospiro e godeteviuna tazza di tè verde, contiene pocateina e molti antiossidanti, immuno-stimolanti e diuretici. A questo pun-to l’ira dovrebbe essere sedata.Dovreste essere in grado di gestirele vostre reazioni ai parenti nocivi.Qualora non fosse abbastanza con-

siglio tre o quattro gocce di fiori di Bach, composto Holly,direttamente sotto la lingua ai primi sintomi di ira fune-sta. Fanno miracoli. Altrimenti optate per la fuga. Non èmai disdicevole se l’alternativa è l’esaurimento o l’ag-gressione a mano armata. P.S. è opportuno comunquetenere lontano dalla vostra portata coltelli, accette, bistu-ri da cucina e qualsiasi arma impropria possa essere incri-minata come quella del delitto. Gli astri consigliano:fatevi amico un buon avvocato.

L’ABBINAMENTO IL VINO

di GIORGIO AQUILINO

La varietà degli ingredienti utilizzati fa del nostro piatto una pie-tanza sicuramente strutturata e complessa. Usi e costumi nataliziimpongono d’altronde uno stile culinario che non sia quotidianoma eccezionale, e la gallina ripiena sembra poter rispecchiare le

vecchie consuetudini, sia per il tempo necessario alla sua preparazione che perl’enorme impatto visivo. La sua imperfetta rotondità paralizza, infatti, gli altrisensi e si frappone in modo rilevante al tentativo di sintetizzare gli elementiempirici entro una cornice oggettiva e di confronto. Ma “the show must go on”e, cominciando a degustare il nostro piatto, rileviamo fin da subito alcune notesensoriali. Il sapore delicato della duttile carne bianca che avvolge con misterole segreta dell’immenso ripieno: un mix in cui si ritrova la tipica tendenza dolcedel riso, la sapidità ed aromaticità del caciocavallo, ed elementi come l’aglio, ilbasilico ed il prezzemolo che amplificano alcune di queste sensazioni. Ciò con-duce a ritenere che il compagno ideale al nostro piatto sia un vino rosso nontroppo corposo, leggero e giovane. Tra le varie tipologie disponibili in commer-cio suggerisco un Merlot.

CIBO

È noto lo stress che avvinghia le persone durante lefeste natalizie, la frenesia dell’acquisto, l’angoscia per lapulizia della casa, l’ordine, la cera ai pavimenti, l’assaltoai supermercati. Un vero incubo, tale da preferire l’iber-nazione per quelle due fatidiche settimane. Senza conta-re che si inizia l’anno più stanchi di prima e con moltimeno soldi. Pensati con distacco e la dovuta distanzatemporale, quei giorni sembrano lieti, ricchi di buoni pro-positi. Quest’anno niente stricnina ai pargoli, né guttalaxagli anziani, eviterò le battute mordaci sull’ennesimasciarpa a quadri verdi, regalo riciclato da zia Assunta, nonfomenterò liti con revival sulle carognate ricevute, nonsottolineerò la falsità di certi atteggiamenti ipocriti, per-ché in fondo sono parenti che vengono una volta l’anno- per fortuna- e si può anche fare un sacrificio per amo-re di serenità. Purtroppo calano dai paesi freddi, e fingepiù civili, come orde di Lanzichenecchi. Non hanno rispet-to per niente e nessuno, emettono giudizi non richiesticon una sufficienza fastidiosa e credono di essere diver-tenti e sagaci, mentre risultano solo poco cortesi. Hannofigli che metterebbero a dura prova la pazienza diGiobbe: c’è Riccardino, che è solito lanciare in aria le sta-

tuette di Capodimonte o i vasetti di Lalique mentre saltel-la sul divano; Giovanna, che passa il tempo a piangere,intervallando la litania con acuti dalla frequenza altissi-ma, il cui unico sollievo è stare in braccio a qualcuno. C’èanche la fidanzata trapanese del cugino, la shampistamanager, espressione del tasciume più raffinato, che sicrede già imprenditrice perché frequenta la facoltà dieconomia e commercio. Non manca ‘u nonnò, che apredistrattamente i cassetti per vedere quanta argenteriac’è e fare una stima del patrimonio familiare. Infine cisono anche la mamma e la nonna che vi mostrano lagigantografia del Bambinello nella mangiatoia nella spe-ranza di sedarvi, mentre voi caricate contro la pletora diignari affettaghiandole. Emerge il ricordo del cenone: lestrane vibrazioni provenienti dagli antri oscuri dei vicini, igargarismi col vino, le esibizioni di corretta igiene oralefra una portata e l’altra, l’affondamento nella cassata del-le manine del neonato che deve scoprire il mondo che glista intorno. Proprio nella nostra cassata e proprio perNatale. Cominciano a sorgere i dubbi. Che non siano i veriparenti? Che siete state adottati o che loro siano i figlispuri del nonno defunto? Quanto conta il DNA, l’ambien-

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Le tentazioni della gallina ripienaIdentificatela con qualcuno che vi “sta molto a cuore” e immaginate che quello sia il corpo dell'eletto di LETIZIA MIRABILE

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«L’effetto sarà terapeutico,catartico, una sorta di

psicodramma che libereràle vostre pulsioni e

passioni più plutoniane»

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PALERMO161 LoungeBar&Restaurant // Via Libertà 161Al Siciliano // Via dell'Orologio 37Altroquando // Corso Vittorio Emanuele 145Art Gallery Valore // Via P. di Paternò 46Atelier Forme d'Arte // Via Goethe 28Atelier La Lucciola // Via Narciso Cozzo 9Auditorium Rai // Viale Strasburgo 19Berlin Café // Via Isidoro La Lumia 21Bibliolibreria Bokos // Via Enrico Toti 83Bibliogalleria Imago // Via Costantino 12Birimbao pub// Via dei Leoni 85Birmingham Cafè // Via R. Wagner 16/18Blue Brass // Via dello Spasimo 15Byblo's wine bar // Via Simone Corleo 2Cafè Moma // Via Gioacchino Di Marzo 61/cCaffè 442 // Piazza Don Bosco 1Cambio Cavalli // Via Giuseppe Patania 54Casa Pitrè pub // Via Sant'Oliva 18Centro Amazzone // Corso A. Amedeo 13Centro culturale Biotos // Via XII Gennaio 2Centro culturale Francese // Via Paolo Gili 4Ccp Agricantus // Via XX Settembre 82/aCentro del tè Cha // Via Velasquez 28/34Centro di cultura Akiti // Via Lombardia 19Centro di cultura Barag // Via De Spuches 7Centro di cultura Rishi // Via S. Bono 19Cinema ABC // Via Emerico Amari 166Cinema Ariston // Via Pirandello 5Cinema Aurora // Via Tommaso Natale 177Cinema Arlecchino // Via I. Federico 12Cinema Dante // Piazza Lolli 21Cinema Fiamma // Largo degli Abeti 6Cinema Gaudium // Via D. Almeyda 32Cineteatro Golden // Via Terrasanta 60Cinema Holiday // Via Mariano Stabile 223Cinema Igea Lido // Via ammiraglio Rizzo 13Cinema Imperia // Via Emerigo Amari 160Cinema Jolly // Via Costantino 54Cinema King // Via Ausonia 111Cinema Lux // Via Francesco Di Blasi 25Cinema Marconi // Via Cuba 12/14Cinema Rouge et Noir // Piazza G. Verdi 82Cinema Tiffany // Viale Piemonte 38Cineteatro Metropolitan // V. Strasburgo 356Convivium Miceli // Via Generale Streva 18/aCortile Patania wine bar // Via G. Patania 34Coso Cafè // Piazzetta Sant'Onofrio 39Country Time Club // Viale Dell'Olimpo 5Dischi & Co // Via Alcide De Gasperi 32Diskery // Via Aquileia 7/cEl Mescalito // Via Libertà 84/bEllepì dischi // Via Libertà 29/cExit drink // Piazza San F. Di Paola 41Fides Time // Via Principe di Paternò 91FrancescoPantaleone // Via Garraffello 25Fransal donna // Via Giuseppe La Farina 14Fransal uomo // Via Giuseppe La Farina 9Fresco // Via Enrico Albanese 24/26Gagini wine bar // Via Cassari 35Galleria 61 // Via XX Settembre 61Galleria Affiche // Piazza San Carlo 3

Galleria dell'Arco // Via Siracusa 9Galleria Expa // Via Alloro 97Galleria La Rocca // Via Giuseppe La Farina 6Galleria Mediterranea // Via D'Amelio 12Galleria Nuvole // Via Matteo Bonello 21Galleria Studio 71 // Via Vincenzo Fuxa 9Garage galleria // P.tta Resuttano 2Gattuso Musica // Via M. di Villabianca 50Gentleman Loser // Piazzale Ungheria 33Goethe Intitut // Via Paolo Gili 4Scuola del fumetto // Via Dante 28Scuola del fumetto // Via De Spuches 6Guitar Point // Via Cristoforo Colombo 14Hammam // Via Torrearsa 17/dHirsch pub // Via Damiani Almeyda 3/aI Candelai // Via Candelai 65I Grilli // Largo Cavalieri di Malta 2Jazz 'n Chocolate // Via Giacalone 26Il Musichiere // Via Damiani Almeyda 15International House // Via Quintino Sella 70Istituto Cervantes // Via Argenteria 33Jackass // Via Sammartino 117John Milton Institute // Via G.G. Sirtori 73Kursaal Kalhesa // Foro Umberto I 21Lab Music // Via Caltanissetta 13La Cuba // Viale Francesco ScadutoLa Cueva // Via delle Balate 13/15L'aperitivo // Via Giusti 34L'Espace // Via G.B.F. Basile 3Libr'Aria // Via Ricasoli 29Libreria Ausonia // Via Ausonia 70/74Libreria del Mare // Via della Cala 50Libreria Dante // Via Maqueda 172Libreria Brodway // Via Rosolino Pilo 18Libreria Feltrinelli // Via Maqueda 395Libreria Flaccovio // Via Ruggero Settimo 37Libreria Flaccovio // P.zza V. E. Orlando 15Libreria Kalòs // Via XX Settembre 56/bLibreria Mercurio // Piazza Don Bosco 3Libreria Modusvivendi // Via Q. Sella 79Libreria Mondadori // Via Roma 287Libreria Oliver // Via F. Bentivegna 9/13Libreria Universitas // Corso Tukory 140Loggiato S. Bartolomeo // C. V. Emanuele 25Lorg Green // Via Enrico Parisi 30Lulu pub // Via San Basilio 37Luppolo l'ottavo nano // Via Manin 36Malaluna // Viale della Resurrezione 82Malavoglia // Piazzetta G. Speciale 5Martini Plaza // Via Principe di PaternòMartin's Ristogallery // Via Calascibetta 25Master dischi // Via XX Settembre 38Mikalsa // Via Torremuzza 27Mi manda Picone // Via A. Paternostro 59Mondolibri // Corso Vittorio Emanuele 244More // Via Mariano Stabile 32Nashville pub // Via Belgio 4Nuovo Montevergini // P.zza Montevergini 8Oliver wine bar// Via F. Paolo Di Blasi 2Palab // Via del FondacoPalazzo Ziino // Via Dante 53Pan Store // Via Siracusa 22

Parco T. di Lampedusa // Vicolo della Neve 2Pata Palo // Piazza Giovanni BorgesePost Gallery // Via Emerico Amari 38Quattro Canti pub // Piazzetta delle VerginiRicordi Box Office // Via Cavour 133Robinson Vini // Via Ariosto 11/aRumors Cocktail Bar // Via I. La Lumia 70Santa Monica pub // Via Enrico Parisi 7Scacco Matto pub // Via Nicolò Spedalieri 2Skip La Comune // Via Sampolo 135Spasimando // Via Sapsimo 44/48Spazio Deep // Via Rosolino Pilo 21/23Spazio Nike // Via Monteleone 3Teatrino Ditirammu // Via Torremuzza 6Teatro Crystal // Via Mater Dolorosa 64Teatro Al Convento // Via C. Bandiera 66Teatro Al Massimo // Piazza G. Verdi 9Teatro Biondo // Via Roma 258Teatro Lelio // Via Antonio Furitano 5/aTeatro Libero // Piazza Marina Teatro Massimo // Piazza Giuseppe VerdiTeatro Orione Spicuzza // Via Don Orione 5Teatro Politeama // P.zza R. SettimoTeatro Savio // Via Evangelista Di Blasi 102/bTeatro Zappalà // Via A. Siciliana 125Technodrome fumetti // Largo PrimaveraTravel Cafè // Via Carducci Giosuè 18Triathlet // Via Notarbartolo 52Triathlet // Via Sammartino 28/cTriathlet // Viale Strasburgo 354Tribeca // Via Mariano Stabile 134Tutto Musica // Via Principe di Villafranca 5Villafranca pub // Via P. di Villafranca 54Villa Giuditta // Via San Lorenzo 17Vinile pub// Via Piazzi (piazza Lolli)Volo wine bar // Via Libertà 12World Wide Web // Via P. di Belmonte 103/cZelleArte // Via M. Bonello 19Zsa Zsa Mon Amour // Via Angelitti 32

BAGHERIAEdicola Pippo Bonura // Corso Umberto I 38

MONDELLOLibreria Sellerio // Viale Regina Elena 59/v

MONREALELa Bettola Del Novelli // Via Torres 30

TERMINI IMERESELibreria Caffè Punto 52 // Via Belvedere 52

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PUNTI DI DISTRIBUZIONE

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