Laboratorio di Chimica Analitica Ambientale – a.a. 2004-2005 Trattamento dei campioni Le fasi del...
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Laboratorio di Chimica Analitica Ambientale – a.a. 2004-2005
Trattamento dei campioni
Le fasi del procedimento analitico precedenti alla determinazione
• campionamento
• pretrattamento
• conservazione dei campioni
Considerazioni preliminari
Approcci all’analisi
Sono possibili tre tipi di approccio all’analisi:•analisi diretta sul campione, senza pretrattamento o con semplici manipolazioni meccaniche (es. pastiglia per analisi IR)
•analisi per via umida, portando preventivamente il campione o l’analita in soluzione
•analisi in fase non omogenea (rari casi, es. nefelometria)
Il pretrattamento
L’analisi di gran parte dei campioni richiede generalmente uno stadio preliminare che consiste nel portare il campione o piuttoato l’analita nella forma più opportuna ai fini della determinazione analitica. L’insieme delle procedure richieste per avere l’analita o gli analiti di interesse in forma determinabile è definito pretrattamento. Esso è un punto essenziale del metodo analitico, importante quanto la determinazione quali-quantitativa
La grande maggioranza delle analisi si effettuano per via umida. Ciò significa che il campione, se non è già liquido, va portato in soluzione o quantomeno va solubilizzata la parte che contiene l’analita o gli analiti di interesse. Generalmente, quindi, il pretrattamento coincide o termina con uno stadio di solubilizzazione. In rari casi è possibile effettuare l’analisi sul campione tal quale, utilizzando tecniche non distruttive es. la spettrometria Raman o NIR
La varietà delle matrici considerate in chimica analitica fa sì che sia difficile enunciare regole valide per ogni tipo di campione. A seconda della sua natura chimica (organica o inorganica; acida, basica o neutra; solubile in solvente acquoso o in solventi organici) e della tecnica analitica utilizzata, si dovrà selezionare il metodo di pretrattamento più opportuno
Pretrattamento dei campioni
Dipende strettamente dagli analiti di interesse, dalla matrice e dalla tecnica analitica scelta
Tecniche cromatografiche
Tecniche spettroscopiche
Tecniche elettrochimiche
Tecniche volumetriche
Saggi qualitativi
Tipi di pretrattamento
I metodi di pretrattamento più frequentemente utilizzati sono i seguenti:
Digestione umida con reattivi di solubilizzazione e/o ossidazione
In sistemi chiusi
Con microonde
Separazione con membrane
Ultrafiltrazione
Dialisi
Estrazione
Con solvente
Con solvente accelerata (ASE)
Con un fluido supercritico (SFE)
Con fase solida (SPE)
Fotolisi ossidativa
Si tratta di una tecnica di pretrattamento molto utilizzata per la determinazione di specie inorganiche (metalli, anioni), mentre non è adatta per la determinazione di specie organiche che subiscono degradazione chimica e termica. Il processo di digestione avviene all’interno di un contenitore nel quale sono introdotti il campione finemente suddiviso e i reattivi di solubilizzazione, eventualmente coadiuvati da reattivi di ossidazione. Generalmente sono utilizzati acidi puri o in miscela:
Digestione umida
Acido nitrico, esercita azione ossidante a caldo ed è in grado di rompere i legami glicosidici
Acido solforico, esercita azione ossidante e disidratante
Acido perclorico, esercita azione ossidante
Acqua regia (acido nitrico + cloridrico 1:3), esercita azione ossidante molto forte
Acqua ossigenata, esercita azione ossidante
Precauzioni nella digestione
Le quantità di reagenti e di campione introdotte devono essere compatibili con il volume del sistema. Un occhio di riguardo va messo per l’analisi di matrici contenenti sostanze organiche, nel qual caso va considerata la liberazione di composti gassosi conseguenti alla digestione, che può provocare sovrapressioni:
(C, H, O) + O2 (acido ossidante) H2O + CO2
Il volume dei gas liberati è ovviamente molto maggiore rispetto alla miscela campione-reagenti di partenza
Il contenuto di carbonio nei campioni è quindi un valore da tener presente nel progettare un pretrattamento per digestione umida
Applicazioni della digestione
La reazione di digestione può avvenire a temperatura controllata. Lavorando in sistema chiuso, è possibile raggiungere temperature superiori a quelle di ebollizione degli acidi a temperatura ambiente, con aumento delle proprietà solubilizzanti e ossidanti dei reagenti impiegati; inoltre il sistema chiuso limita le perdite di campione per volatilizzazione
Nel dettaglio delle varie matrici, la digestione umida è particolarmente efficace per il pretrattamento di alimenti a base di carboidrati (zuccheri, amidi, cellulosa, ecc.) che sono facilmente mineralizzati con acido nitrico a 180°C; più complessa è la solubilizzazione di matrici contenenti grassi e proteine, che può richiedere l’addizione di acido perclorico per avere una dissoluzione completa. In questo caso il trattamento va effettuato con cautela
Digestione umida con microonde
Una variante più efficace della semplice digestione umida prevede l’utilizzo di microonde per il riscaldamento del sistema. L’energia associata alle microonde (600-1500 W nelle apparecchiature da laboratorio) non è in grado di rompere direttamente i legami molecolari, ma può essere assorbita da sostanze come l’acqua e gli acidi minerali, che in questo modo si scaldano rapidamente e, in un sistema chiuso, sono in grado di solubilizzare il campione in maniera più efficiente e in tempi minori
La digestione avviene generalmente in contenitori di materiale inerte e trasparente alle microonde come il Teflon® o Politetrafluoroetilene (PTFE) e il Perfluoroalcossifluorocarbonio (PFA). Il trattamento delle matrici organiche va effettuato con grande attenzione, visto l’innalzamento rapido di temperatura e pressione che si ha all’interno dei contenitori. Per evitare che si inneschino reazioni incontrollabili se non esplosive, generalmente è possibile controllare con dei sensori temperatura e pressione dei contenitori
Esempi di trattamento con microonde
La maggior parte delle matrici organiche può essere solubilizzata con acido nitrico concentrato: 2 ml sono sufficienti per la digestione di 100-200 mg di campione di tessuti animali come alimenti, bevande con alto contenuto di sostanze organiche (the, vino, birra), latte Nei casi più difficoltosi è possibile addizionare acqua ossigenata, acido perclorico o solforico, ma sono necessarie particolari precauzioni per evitare reazioni esplosive
Ciò è necessario, ad esempio, per la solubilizzazione di farine e prodotti da forno e in generale per alimenti con alto contenuto di grassi e proteine
Spesso i sistemi di digestione con microonde esistenti in commercio prevedono la possibilità di trattare contemporaneamente più campioni, ciascuno nel proprio contenitore, e ciò abbrevia notevolmente i tempi di analisi
Estrazione con solvente
Si tratta di una tecnica di pretrattamento molto comune, utilizzata in tutti i casi in cui non è necessaria o è anzi controindicata la solubilizzazione totale del campione. Permette di portare in soluzione selettivamente gli analiti di interesse, lasciando la matrice quasi intatta. Si effettua in contenitore chiuso ponendo il campione a contatto con un solvente con esso immiscibile, nel quale siano però solubili gli analiti. Si può avere: Estrazione liquido/liquido se sono liquidi sia il campione sia
il solvente estraente
Estrazione liquido/solido se si effettua con un solvente liquida su un campione solido
L’estrazione si effettua ponendo in agitazione il campione (A) e il solvente per un tempo determinato, attendendo la separazione di fase (B) e recuperando la fase solvente che contiene gli analiti estratti di interesse (C)
L’ampia gamma di solventi disponibili permette di effettuare estrazioni molto selettive. Va sempre considerato il fatto che si utilizzano spesso solventi organici e quindi tossici
Esecuzione dell’estrazione
A B
C
Estrazione con Soxhlet
in grado di agire sul campione più volte, estraendo gli analiti con maggiore efficienze rispetto all’estrazione classica in imbuto separatore
La procedura è automatizzabile in batteria per poter agire su più campioni contemporaneamente
Un strumento molto utilizzato nel pretrattamento di campioni solidi è l’estrattore Soxhlet, che consente di effettuare lunghi cicli di estrazione in modalità semiautomatica con buon recuperi. Il campione è posto all’interno di un ditale poroso permeabile al solvente estraente. Attraverso un sistema ciclico di ebollizione, condensazione e ricaduta, il solvente è
Estrazione accelerata (ASE)
L’estrazione con solvente tradizionale, pur garantendo ottime prestazioni, presenta alcuni inconvenienti tra cui i tempi lunghi di trattamento, le elevate quantità di solvente utilizzato e la scarsa adattabilità all’automazione. Per questo motivo, sono state sviluppate alcune varianti
Nell’estrazione pressurizzata o accelerata con solvente (PSE o ASE) si utilizza un solvente in condizioni sub-critiche, nelle quali l’efficienza di estrazione è molto maggiore. Si lavora in recipiente chiuso, pressurizzato e termostatato. Ciò consente di ridurre i tempi di estrazione e la quantità di solvente necessaria; inoltre è possibile automatizzare il processo
Applicazioni dell’ASE
La tecnica ASE è ormai d’uso corrente per il trattamento di campioni solidi. Esempi di applicazioni in cui la tecnica è preliminare all’analisi cromatografica sono:
Estrazione di pesticidi fosforici da frutta e verdura con acetato di etile
Estrazione di idrocarburi policiclici aromatici (PAH) da terreni con miscela diclorometano/acetonitrile
Estrazione di composti organico-arsenici da pesce con miscela acqua/metanolo
In questa variante dell’estrazione liquido/solido si utilizza, al posto del solvente, un fluido supercritico, cioè una sostanza portata al di sopra della pressione e della temperatura critiche, quindi con un comportamento intermedio tra gas e liquidi: la diffusione nei solidi è paragonabile a quella dei gas, mentre la capacità di solubilizzazione è quella dei liquidi; inoltre i fluidi supercritici possono solvatare
Estrazione con fluidi supercritici
molecole grandi non volatili
Queste caratteristiche rendono i fluidi supercritici estremamente efficienti nel processo di estrazione, senza presentare gli inconvenienti dei solventi liquidi dal punto di vista di prezzo e pericolosità
Applicazioni della SFE
Il fluido più utilizzato per l’estrazione è la CO2 che ha caratteristiche di prezzo e inerzia chimica ottime e valori critici molto bassi: a 40°C e 378 Atm il suo potere solvatante è paragonabile a quello del benzene
La tecnica SFE è utilizzata già da tempo in campo agroalimentare per l’estrazione della caffeina dai chicchi di caffè e degli olii essenziali dai prodotti vegetali. Attualmente le applicazioni sono numerose: la tecnica (preliminare all’analisi con cromatografia fluida supercritica, SFC) risulta particolarmente efficiente nell’estrazione di grassi dagli alimenti, ma è impiegata anche per pesticidi, glucosidi, vitamine, ecc.
Estrazione con fasi solide (SPE)
L’estrazione con fasi solide prevede l’utilizzo di una fase estraente, appunto, solida, normalmente costituita da una colonnina impaccata con materiale avente proprietà sorbenti. Si tratta di una tecnica molto diffusa e utilizzata in tutti campi della chimica analitica, sia per estrarre selettivamente gli analiti di interesse, sia per purificare i campioni che si vogliono analizzare (es. precolonne per cromatografia)
La tecnica sfrutta quindi l’affinità di una fase sorbente per alcune sostanze presenti nel campione, che possono essere sia gli analiti di interesse sia sostanze interferenti che si desidera eliminare dal campione. La scelta del materiale sorbente più opportuno rende possibile modulare la procedura a seconda delle necessità
Passaggi nella SPEIl procedimento consta delle seguenti fasi:
Se si desidera eliminare gli interferenti anzichè trattenere gli analiti, è sufficiente usare una fase solida con affinità per i composti che si vuole eliminare dal campione
Attivazione del materiale sorbente
Passaggio del campione sulla colonnina con trattenimento selettivo degli
analiti
Lavaggio per eliminare
specie indesiderate
Desorbimento (eluizione) degli analiti trattenuti
con un opportuno solvente
Fasi sorbenti
I meccanismi su cui si basa il trattenimento di sostanze su fase solida sono tre:
•Adsorbimento, dovuto a forze di Van der Waals, legami idrogeno, interazioni dipolo-dipolo
•Ripartizione di un soluto tra due fasi immiscibili
•Interazione coulombiana tra cariche di segno opposto
Scelta della fase sorbenteSui principi citati funziona la maggior parte delle fasi solide utilizzate per la SPE, che sono molto simili a quelle impiegate in cromatografia liquida. A seconda del tipo di composto che si vuole trattenere (non polare, polare o ionico) si possono scegliere le seguenti fasi:
La fase non polare Si-C18 è una delle più utilizzate come filtro per la rimozione di interferenti idrofobici
Le fasi a scambio ionico sono utilizzate per il trattenimento di analiti ionici o ionizzabili come pesticidi, erbicidi, tossine, ecc.
Non polari Polari a scambio ionico
Silice-C18 Si-CN SCX, a scambio cationico con gruppi SO3-
Silice-C8 Silice a scambio cationico con gruppi chelanti
Silice -fenile AlluminaSAX, a scambio anionico con gruppi ammonio
Fasi eluenti
Il desorbimento degli analiti o eluizione è effettuato facendo passare sulla colonnina un piccolo volume di solvente che recupera le sostanze trattenute. Il volume dell’eluente può essere ridotto per incrementare la sensibilità del metodo analitico
Per la scelta dell’eluente è necessario tenere conto del tipo di interazione stabilito tra la fase solida sorbente e l’analita; l’eluente deve avere un’interazione con l’analita maggiore di quella che quest’ultimo ha con la fase sorbente
Eluenti tipici possono essere: una soluzione acida (HNO3, HCl) per eluire ioni metallici da una fase a scambio ionico
un solvente organico a polarità varia (metanolo, diclorometano, acetonitrile) per eluire composti organici da una fase Si-C18
Compatibilità con la tecnica analitica
Un parametro importante per scegliere il sistema SPE e in particolare la fase eluente consiste nella compatibilità con la tecnica analitica. In particolare, se successivamente al pretrattamento si impiega una tecnica cromatografica possono esserci dei vincoli:
Ad esempio, se dopo il trattamento SPE è prevista la separazione su una colonna Si-C18, stabile fino a pH 7, non si potrà evidentemente utilizzare un sistema SPE che preveda l’uso di un eluente basico
•tolleranza del sistema cromatografico a solventi organici
•tolleranza a valori di pH estremi (eluente molto acido o molto basico)
•tolleranza a contenuto salino elevato
Applicazioni della SPE
Le applicazioni della tecnica SPE in campo analitico sono numerosissime. Naturalmente i campioni liquidi sono quelli più idonei al trattamento con SPE preliminare all’analisi vera e propria; nell’analisi di campioni solidi è necessario uno stadio di solubilizzazione o di estrazione con solvente. Alcuni esempi di applicazioni sono i seguenti: Estrazione di composti volatili, acidi grassi ed esteri dal
vino: si ottiene con una fase estraente a fase inversa del tipo Si-C18 o Si-C8
Estrazione di antocianine e polifenoli dal vino: si ottiene con una fase estraente polimerica a base di polivinilpirrolidone (PVP)
Purificazione di un campione liquido da cloruri: si ottiene con una fase estraente contenente ioni Ag+, con i quali lo ione Cl- forma AgCl insolubile
Verifica delle condizioni
Per ottenere un trattenimento efficiente, è sempre opportuno verificare il campo di applicazione della fase estraente. In particolare il pH del campione può essere decisivo nel successo di una procedura SPE, in quanto a seconda del pH molte sostanze possono avere un comportamento ionico o non ionico, acido o basico, ecc.
Nel caso, ad esempio del trattenimento di acidi carbossilici su fase inversa Si-C18, esso si può realizzare già a pH debolmente acido, al quale gli acidi carbossilici sono protonati e quindi hanno un comportamento non ionico; per valori di pH elevati nel campione, invece, gli acidi potrebbero essere parzialmente deprotonati e quindi non essere trattenuti su una fase estraente apolare
Preconcentrazione con SPE
Un impiego importante della SPE consiste nel preconcentrare gli analiti di interesse preliminarmente all’analisi, cioè nell’incrementare la concentrazione degli analiti nel campione se questa è troppo bassa per poter essere misurata con gli strumenti a disposizione
La preconcentrazione si ottiene facendo fluire volumi elevati di campione sulle colonnine; se l’analita o gli analiti sono completamente trattenuti dalla fase estraente, è possibile ottenerne il rilascio utilizzando un piccolo volume di eluente. Se il volume di eluente è inferiore al volume di campione caricato e se il trattenimento e il rilascio degli analiti sono quantitativi, si avrà un incremento della concentrazione degli analiti che può essere quantificato in ragione del rapporto Vc/Ve (Vc = volume di campione caricato sulla fase estraente, Ve = volume di eluente)
Naturalmente l’eluente dovrà essere scelto in modo che sia sufficientemente forte da desorbire tutto l’analita trattenuto in un piccolo volume
Il sistema fase solida estraente/eluente può essere scelto in modo da ottenere contemporaneamente la preconcentrazione degli analiti e la rimozione delle sostanze interferenti
Tecniche cromatografiche
campioni solidi
• analisi diretta impossibile
• dissoluzione (digestione acida, fusione)
• estrazione in solvente
campioni liquidi
• analisi diretta
• correzione di alcuni parametri (pH, salinità)
• estrazione in solvente
Selezione sistema cromatografico
Schema preparazione del campione
Tecniche spettroscopiche
campioni solidi
• analisi diretta (IR, Raman, XRF)
• slurry sampling (spettroscopia atomica)
• dissoluzione (digestione acida, fusione)
• estrazione in solvente
campioni liquidi
• analisi diretta
• correzione di alcuni parametri (pH, salinità)
• estrazione in solvente
Tecniche elettrochimiche
campioni solidi
• analisi diretta impossibile
• dissoluzione (digestione acida, fusione)
• estrazione in solvente
campioni liquidi
• analisi diretta
• correzione di alcuni parametri (pH, salinità, elettrolita di supporto)
• estrazione in solvente
Conservazione dei campioni
Una volta effettuato il campionamento e/o il processo di pretrattamento, è opportuno conservare i campioni, prima dell’analisi, in contenitori che ne preservino il più possibile le caratteristiche chimico-fisiche. La scelta dei contenitori va fatta in primo luogo valutando la possibilità che i materiali alterino la concentrazione degli analiti che si va a determinare
I materiali più comuni per lo stoccaggio dei campioni sono i seguenti:
• vetro
• polietilene (PE)
• polipropilene (PP)
• politetrafluoroetilene o Teflon (PTFE)
Conservazione dei campioni
Vetro (borosilicato)
Analisi organica
Campioni acquosi
Plastica (PP, PE, HDPE, PTFE)
Analisi di metalli
Campioni solidi
Analiti volatili
Contenitori chiusi senza spazio di testa
Analisi sensibili alla luce
Vetro marrone
Analisi facilmente ossidabili
Evitare esposizione all’aria
Vetro
Il vetro ha ottime caratteristiche di resistenza termica e chimica, essendo attaccabile soltanto da HF concentrato. Per questo motivo è adatto allo stoccaggio di campioni liquidi di ogni genere, in particolare a matrice organica.
Va però considerato attentamente il suo impiego nel caso si sia interessati alla determinazione elementare in tracce o ultratracce. Il vetro è generalmente composto da miscele di ossidi di metalli alcalini e alcalino-terrosi e di Si, Al, B, Pb. La superficie esposta al campione contiene gruppi silanolici che sono bilanciati da cationi potenzialmente scambiabili in condizioni di pH o salinità estremi:
Si-O-Ba2+ + 2(Na+, H+) Si-O-2(Na+, H+) + Ba2+
Ciò significa che, in presenza di campioni molto aggressivi, la superficie del contenitore in vetro può rilasciare al campione ioni metallici alcalini o alcalino-terrosi, alterandone la concentrazione originale. Parallelamente, alcuni cationi del campione possono essere sorbiti dalla superficie del vetro
Controindicazioni del vetro
La maggior parte della vetreria è adatta all’impiego nell’analisi FAAS, GF-AAS o ICP-AES, ma diventa da evitare se si impiega la tecnica ICP-MS. Dovendo determinare metalli del I e II gruppo a livelli di concentrazione molto bassi è necessario tenere presente le seguenti controindicazioni:
Se non è possibile evitare l’uso del vetro, è opportuno mantenere i contenitori in soluzione acida prima dell’uso oppure pulire regolarmente la vetreria con acido cromico e detergenti commerciali
• Vetri a composizione classica soda-calce possono rilasciare Si. Na, Ca, Mg, Al (elementi maggiori) oltre a Zr, Li, Ba, Fe, K, Mn (elementi minori e tracce)
• Vetri al borosilicato possono rilasciare B
Contenitori in plastica
Attualmente i contenitori più utilizzati per l’analisi in tracce sono quelli costituiti da materiali plastici. Polipropilene, polietilene, polistirene, Teflon e altri disponibili negli ultimi 20 anni hanno sostituito il vetro per gli usi più sofisticati. Generamente si tratta di materiali a basso costo e quindi possono essere utilizzati in ogni occasione per quando riguarda la determinazione di specie inorganiche mentre non sono adatti nella determinazione di specie organiche che possono essere adsorbite sulla superficie
Polietilene
Il polietilene o PE è chimicamente inerte, come tutte le poliolefine; solo reagenti fortemente ossidanti sono in grado di renderlo fragile, o di causarne rammollimento o rigonfiamento, effetti che sono comunque reversibili. Il PE è molto economico
Esistono due versioni, a bassa densità (LDPE) e ad alta densità (HDPE), con il secondo più rigido e meno permeabile
Il PE è adatto all’analisi di metalli in tracce, ma può adsorbire ioni metallici sulla superficie se la soluzione non è acidificata. In alternativa, è possibile condizionare i contenitori mantenendoli in acido nitrico per desorbire eventuali ioni
Polipropilene
Il polipropilene (PP) ha caratteristiche di resistenza chimica analoghe al PE e a temperatura ambiente non è sciolto da alcun solvente. I contenitori in PP sono economici
Il PP è adatto alla conservazione dei campioni per l’analisi dei metalli in tracce, previa acidificazione dei campioni stessi o condizionamento in acido nitrico
PTFE
Il politetrafluoroetilene o PTFE ha caratteristiche uniche tra i materiali per contenitori, in quanto è resistente a praticamente tutti i reagenti chimici: solo sodio fuso, potassio fuso,fluoro e fluoroderivati sono in grado di attaccarlo. La sua resistenza è legata ovviamente alla sua struttura chimica: il legame carbonio–fluoro è uno dei più forti in natura. La resistenza termica è elevata, in quanto resiste fino ad almeno 300°C senza degradarsi
Il PTFE si prepara come polvere bianca fine dalle caratteristiche meccaniche inferiori, e viene poi trattato in forno per dare blocchi sinterizzati da cui è possibile ottenere fogli, nastri e altre forme commerciali
Caratteristiche del PTFE
Il PTFE è molto indicato per l’analisi di metalli in tracce in quanto contiene quantità limitate di contaminanti e ha scarsa tendenza all’adsorbimento. Queste caratteristiche si pagano caro in quanto il PTFE è decisamente più costoso dei polimeri citati in precedenza
Altri polimeri fluorurati
Esistono polimeri fluorurati che hanno caratteristiche ancora migliori del PTFE:
•Il Tetrafluoroetilene-perfluoropropilene (FEP, sx) è un copolimero avente resistenza chimica ancora maggiore
•Il PerfluoroAlcossido (PFA, dx) ha caratteristiche meccaniche e termiche eccellenti
Si tratta di materiali molto costosi