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Atti del Convegno della Lega Sacerdotale Mariana 2016 La misericordia: cuore del Vangelo La misericordia chiave dell’esistenza Novarese: “Il malato non è la malattia” La pastorale della salute nel Giubileo della misericordia Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi Dalla prevenzione all’educazione. La sfida della cultura della prevenzione e della salute (seconda parte) Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita La croce, che fatica! Abbiamo letto per voi - Don Remigio, la sapienza del cuore Spunti per la lettura Magistero www.luiginovarese.org [email protected] RIVISTA BIMESTRALE DI PASTORALE DELLA SALUTE A U S L’ nell’ di ncora nità alute 3 MAGGIO GIUGNO 2016 ANNO XXXV

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• Atti del Convegno della Lega Sacerdotale Mariana 2016 • La misericordia:cuore del Vangelo • La misericordia chiave dell’esistenza • Novarese: “Il malato

non è la malattia” • La pastorale della salute nel Giubileo della misericordia • Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi • Dalla prevenzione all’educazione.

La sfida della cultura della prevenzione e della salute (seconda parte) • Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita • La croce, che fatica! • Abbiamo letto

per voi - Don Remigio, la sapienza del cuore • Spunti per la lettura • Magistero

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Rivista Medico-Psico-Sociologico-Pastoralea carattere professionale scientifico

Fondatore:Mons. Luigi Novarese

Direttore responsabile:Filippo Di Giacomo

Legale rappresentante:Giovan Giuseppe Torre

Redazione:Samar Al Nameh, Mauro Anselmo,

Armando Aufiero, Mara StrazzacappaComitato editoriale:

Maurizio Chiodi, Felice Di Giandomenico,Luigi Garosio, Rosa Manganiello

Segretario di redazione:Carmine Di PintoProgetto grafico:

Nevio De ZoltCollaboratori:

Alessandro Barca, Claudio Bottini, Amalia Bove, Paolo Cavagnoli, Gian Maria Comolli, Pino Corrarello,

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Ermanno Ripamonti, Raffaele SinnoDirezione e Amministrazione:

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ANNO XXXV - N. 3 - Maggio-Giugno 2016Sped. abb. Post. - Comma 20/c, Art. 2, Legge 662/96 - Filiale di Roma

Trullo Comunicazione s.r.l. - Roma - Cell. 335.5762727 - 335.7166301Finito di stampare: Giugno 2016

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Associazione Silenziosi Operai della Croce - Centro Volontari della Sofferenza Via dei Bresciani, 2 - 00186 Roma

Per l’Italia ........................... d 35,00Sostenitore ........................ d 50,00Per l’Estero ........................ d 50,00In formato PDF .................. d 20,00

Un numero ........................ d 8,00

Periodico associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

L’Ancora nell’Unità di SaluteScienza e fede

a servizio della persona

L’Ancora nell’Unità di Salute: tre aree

di interesse per favorire, nell’ambito

sociosanitario e pastorale, la piena

dignità della persona sofferente.

L’area umanistica coglie, nell’ampio

spettro delle scienze, le comprensioni

più idonee a promuovere l’apostola-

to specifico della persona ammalata,

disabile o comunque sofferente. Più

specifiche dell’orizzonte apostolico

dei Silenziosi Operai della Croce (As-

sociazione internazionale proprieta-

ria della rivista), le aree teologica e

associativa. L’azione diretta e respon-

sabile delle persone disabili o amma-

late, una precisa responsabilità pasto-

rale come soggetti attivi nella società

e nella Chiesa, sono gli intenti che la

rivista si propone. Fondata dal 1978

da mons. Luigi Novarese, iniziatore

dell’apostolato per la promozione

integrale della persona sofferente, la

rivista accoglie contributi a carattere

scientifico, collocandoli all’interno

di percorsi multidisciplinari. Punto

di convergenza per ogni studio è

comunque dare luce e profondità

alla dignità di ogni umana esistenza

e al valore di salvezza che essa rive-

ste in virtù dell’incarnazione di Dio,

in Cristo Gesù.

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INDICE

Donato Ferraro 279 La croce, che fatica!

A cura della Redazione 282 “Don Remigio, la sapienza del cuore”

A cura di Vincenzo Di Pinto 284 Recensioni e commenti

287 I progressi della medicina rigenerativa

Speciale Convegno Lega Sacerdotale Mariana

Area umanistica

_____________________________ Testimonianza __________________________

_____________________________ Abbiamo letto per voi ____________________

_____________________________ Magistero ______________________________

_____________________________ Spunti per la lettura ______________________

A cura della Redazione 196 Editoriale

198 Programma

Armando Aufiero 201 La misericordia: cuore del Vangelo

Andrea Lonardo 209 La misericordia chiave dell’esistenza

Giovanni Angelo Becciu 225 Novarese: “Il malato non è la malattia”

Zygmunt Zimowski 228 La pastorale della salute nel Giubileo della misericordia

Alfonso V. Amarante 238 Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi

Hiang-Chu Ausilia Chang 249 Dalla prevenzione all’educazione. La sfida della cultura della prevenzione e della salute (seconda parte)

Felice Di Giandomenico 270 Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita

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EDITORIALE

Ora anche la salute entra a pieno titolo nel web assumendo il nome di “salute elettronica” o e-Health. Cos’è l’e-Health?

In pratica il termine «eHealth» si riferisce ad una sintesi di tutti i servi-zi sanitari elettronici, per mezzo dei quali si intende migliorare le proce-dure e collegare tra loro i soggetti della sanità pubblica: pazienti, me-dici, terapeuti, assicurati, assicura-zioni, laboratori, farmacie, ospedali e personale di cura, ecc.

Dati recenti sembrano conferma-re che l’e-Health inizia a prendere piede anche in ambito italiano coin-volgendo una fascia d’età che va dai 35 ai 54 anni e sembrerebbe che sia proprio in questo arco di vita che la necessità di accedere ai servizi sani-tari direttamente da internet diventi più pregnante.

L’Osservatorio Innovazione Digi-tale in Sanità del Politecnico di Mi-lano assieme con Doxapharma ha condotto un’indagine su un campio-ne di 1000 persone rivelando come, rispetto allo scorso anno, il ricor-so ad internet per quanto riguar-da la salute sia in continua crescita, così come pure le App che offrono orientamenti a livello sanitario.

I servizi web maggiormente uti-lizzati, sempre secondo questa ricer-ca, sono quelli che consentono l’ac-cesso a informazioni sulle strutture sanitarie e la prenotazione online di esami e visite. Circa un terzo degli italiani ricorre a Internet per cercare informazioni su problemi di salute, un quarto su farmaci e terapie.

Ma tutto ciò non è esente da pe-ricoli. È facile, infatti, imbattersi in siti che erogano informazioni erra-te e poco attendibili creando non di rado veri e propri stati di panico.

Generalmente è sempre sconsi-gliato auto-monitorarsi via web così come tentare di diagnosticarsi da soli determinate patologie, magari usando il “fai da te” anche a livello farmacologico.

Quindi, nel pieno rispetto di quanto emerge dalle ricerche con-dotte sulla salute in ambito telemati-co, come sempre è meglio non ecce-dere e non considerare il web come una inesauribile panacea di informa-zioni riguardo a temi delicati come la salute, le malattie e i farmaci.

Le applicazioni più diffuse sono quelle per il monitoraggio dei bat-titi cardiaci, dei passi, degli allena-menti, e delle calorie. Ancora scar-

pp. 196-197

La salute elettronicaA cura della Redazione

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A cura della Redazione

so, invece, l’interesse per le App sul controllo del sonno. Qualche passo avanti lo stanno facendo anche i tre “pilastri” dell’eHealth pubblica, ossia le ricette, i fascicoli sanitari elettroni-ci e la telemedicina.

Sempre dalla ricerca condotta dal Politecnico di Milano e da Do-xapharma emerge inoltre che, so-prattutto gli over 55, non si mostra-no particolarmente fiduciosi nell’u-tilizzo di internet per prendere de-cisioni sul proprio stato di salute per le quali preferiscono, comun-que, consultare il proprio medico di

base. Insomma, va bene informarsi ma decidere poi sulla propria pel-le è diverso.

Altra cosa è se si considera la tec-nologia come coadiuvante nel con-tattare centri di assistenza, laboratori e ospedali per prenotare prestazioni sanitarie direttamente online.

In questo caso si tratta di age-volare e aggirare tutta quella serie di giri tra uno sportello all’altro o il contatto con i CUP regionali che, non di rado, prospettano appunta-menti per visite o esami clinici a lun-ga scadenza. ■

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La misericordia: Dio si muove a compassione

«Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza»

(Papa Francesco).

Martedì 26 gennaio 2016

Introduzione ai lavori

(Don ArmAnDo Aufiero, Presidente della Confederazione Internazionale

dei Centri Volontari della Sofferenza)

Relazione: Dio, il volto misericordioso delle parabole di Gesù

(mons. ermenegilDo mAnicArDi, Professore di Nuovo Testamento, Rettore dell’Almo Collegio Capranica)

Celebrazione Eucaristica

Mercoledì 27 gennaio 2016

Udienza generale con papa Francesco

Relazione: La misericordia chiave dell’esistenza cristiana

(mons. AnDreA lonArDo, Direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi di Roma)

Convegno Sacerdotale 2016progrAMMA

SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

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A cura della Redazione

Celebrazione Eucaristica

(Santa Maria del Suffragio, Chiesa dove è sepolto il beato Luigi Novarese)

Presiede Sua Ecc.za Rev.ma mons. giovAnni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato

giovedì 28 gennaio 2016

Relazione: L’esercizio della misericordia nel mondo della sofferenza

(mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale della Salute)

Relazione: Celebrare il sacramento della riconciliazione oggi

(PADre Alfonso AmArAnte, Professore di Teologia Morale all’Alfonsianum)

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Tre giorni di incontri e approfondimenti sui temi del Giubileo straordinario voluto da papa Francesco si sono svolti presso la Direzione generale dei Silen-ziosi Operai della Croce, a Roma, dal 26 al 28 gen-naio scorso.

I partecipanti sono stati circa sessanta, provenienti da diverse diocesi italiane.

Due i momenti culminanti: l’Udienza generale con il Santo Padre in piazza San Pietro e la celebrazione eu-caristica presieduta da monsignor Angelo Becciu, so-stituto della Segretaria di Stato vaticana, nella chie-sa di Santa Maria del Suffragio, in via Giulia, a Roma, dove è sepolto il beato Luigi Novarese.

Di seguito pubblichiamo gli atti del Convegno scu-sandoci con i lettori e con l’autore per non aver po-tuto pubblicare la relazione di Ermenegildo Manicardi su “Dio, il volto misericordioso della parabole di Gesù”.

Le registrazioni di tutti gli interventidel Convegno sono disponibili a richiesta:

Silenziosi Operai della CroceVia di Monte del Gallo 105

00165 [email protected]

06 39674243

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SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

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Il tema della misericordia è centrale nella Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Se si volesse, sarebbe possibile riassumere tutto il Vange-lo sotto il titolo della misericordia. Non di rado ‘misericordia’ è diventato il ter-mine-chiave del Pontificato di Francesco, e con questo messaggio papa Fran-cesco ha toccato i cuori di moltissime persone nella Chiesa cattolica e fuori di essa. Chi di noi non è bisognoso di misericordia e di uomini misericordiosi?

Tanto più che un tema tanto centrale e fondamentale sia imperdonabil-mente trascurato nella teologia sistematica e ridotto a un breve paragrafo del-la giustizia, su cui, inoltre, gli autori spesso si mostrano in difficoltà. Infatti, si domandano in che modo un Dio, che per loro è primariamente giusto, pos-sa essere misericordioso, perché, in quanto è giusto, egli deve condannare e punire i cattivi e premiare i buoni. Che idea povera e miserabile di Dio, di un Dio che è costretto ad agire secondo le nostre regole della giustizia, un Dio che è un idolo delle nostre concezioni e un’ideologizzazione, un esecutore e il prigioniero delle nostre richieste di un ordine presumibilmente giusto! Un tale Dio non sarebbe più Dio, ma un idolo che diventa ideologia.

Però la misericordia non è solo un problema della teologia dei manuali neoscolastici, ma è anche un problema della filosofia, o per meglio dire, di alcune tendenze filosofiche. Secondo il filosofo moderno per eccellenza Im-manuel Kant, l’etica deve essere guidata non da emozioni, come la misericor-dia e la compassione, ma dalla stessa coscienza del dovere morale. Si pensi anche a filosofie di tipo marxista o socialista, che sospettano che la miseri-cordia sia un sostituto della giustizia, il tentativo di rammendare buche indi-viduali di bisogno sociale invece di riformare lo stesso sistema sociale e crea-re un nuovo ordine di giustizia per tutti. Sentiamo il grido: Non vogliamo mi-sericordia, no, vogliamo giustizia, vogliamo i nostri diritti! Non vogliamo uno Stato o un imprenditore, che ci faccia misericordiosamente l’elemosina, no, abbiamo diritto a uno stipendio giusto!

Introduzione

La misericordia: cuore del VangeloArmando Aufiero

Presidente della Confederazione Internazionale dei Centri Volontari della Sofferenza

Armando Aufiero

pp. 201-208

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La misericordia: cuore del Vangelo

SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

È bene che il nostro sistema politico sia basato sull’ideale della giustizia e ne siamo grati. Però il nostro sistema economico e sociale è basato anche sulla competizione. Non c’è spazio per la compassione e la misericordia. Pre-vale il più intelligente che ha più successo, prevale spesso il più forte o il più furbo, che ha la capacità di imporsi contro gli interessi degli altri e non si cura degli altri. Spesso prevale nella nostra società il diritto del più forte e l’affermazione senza riguardi dei propri interessi egoistici. La Parola di Gesù nel suo Discorso sulla Montagna: «Beati i misericordiosi», suona strana in que-sto contesto.

Da ultimo Friedrich Nietzsche ha disprezzato la misericordia, come espres-sione di debolezza, indegna dell’uomo signorile forte e duro. Nietzsche, nel suo libro Così parlò Zarathustra, disegnava un vero contro-vangelo al Di-scorso sulla Montagna. Le conseguenze del nazismo, o meglio gli abusi che ne facevano i nazisti, erano terribili con la loro ideologia della razza signori-le e il loro disprezzo dei deboli, delle persone disabili, delle cosiddette raz-ze indegne della vita.

Sono state addirittura le due ideologie del marxismo e del nazismo, che tantissimo hanno devastato il ventesimo secolo e che hanno causato tan-ti dolori a tantissimi uomini, che hanno portato ad un ripensamento dell’i-dea di misericordia. Un mondo senza compassione e senza misericordia è un mondo freddo. Esistono testimonianze sconvolgenti a proposito della miseria umana e la disperazione in cui si trovava il mondo ateo del marxismo dell’U-nione Sovietica, dove si viveva nella totale assenza di misericordia. Sappiamo che alla fine con la misericordia anche la giustizia era perduta e calpestata.

Già Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio Vatica-no II, ha detto: «Oggi la Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità». Il futuro Papa Giovanni Paolo II ha vissuto il ter-rore della Seconda Guerra mondiale, la dittatura nazista e comunista in Polo-nia, una situazione di ingiustizia, di mancanza di diritto e di misericordia. In tale situazione ha scoperto di nuovo l’importanza della misericordia biblica e ha promulgato la sua seconda enciclica del suo Pontificato sul tema della mi-sericordia, Dives in misericordia. Come risposta ai terrori del secolo scorso, Papa Benedetto ha approfondito questo messaggio nella sua enciclica Dio è amore. Adesso papa Francesco ha fatto della misericordia il tema centrale e fondamentale del suo Pontificato. Il tema della misericordia non è superato, il messaggio della misericordia è di grande attualità.

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Armando Aufiero

Il volto della misericordia di DioLa misericordia tocca la questione di Dio. La questione di Dio riguarda la

crisi più profonda di oggi, ed è anche la questione oggi più importante. Seb-bene già in passato siano stati prevalenti l’ateismo e l’agnosticismo di alcu-ni filosofi, l’ateismo e l’agnosticismo delle masse sono un fenomeno recen-te della civiltà occidentale secolarizzata, mentre in tutta la storia più antica dell’umanità non è mai esistita alcuna cultura senza religione. Il Concilio Va-ticano II ha affermato che l’ateismo nelle sue diverse forme è uno dei pro-blemi più seri, ma il Concilio ha anche aggiunto che di esso i cristiani hanno una colpa (GS 19-21). Infatti, come dice il Concilio, spesso abbiamo oscura-to l’immagine di Dio. Spesso abbiamo annunciato unilateralmente il Dio giu-sto che punisce e talvolta abbiamo disegnato l’immagine di un Dio della ven-detta, e abbiamo piuttosto sottovalutato il messaggio di un Dio misericordio-so, che nella sua misericordia non vuole la morte del peccatore, ma la vita. Abbiamo sovraccaricato l’immagine del Dio vivente, che cammina con il suo popolo ed è presente in ogni situazione, con idee speculative sull’immobili-tà di Dio, che non sono sbagliate, ma, intese unilateralmente, hanno allonta-nato Dio dalla vita.

La Bibbia ci dice: «Dio è amore» (1 Gv 4,8), cioè comunicazione di se stes-so. Prima di tutto, Dio è comunicazione di se stesso nella Trinità. Dio non è un Dio solitario, il Dio trinitario è comunione. L’aspetto esteriore di quest’a-more e di questa comunicazione in se stessa è la misericordia. Essa è la fe-deltà di Dio a se stesso, che è amore. Poiché Dio è fedele a se stesso, egli vuole comunicare il suo essere prima nella creazione, poi nella storia della salvezza; egli non può fare altrimenti che perdonare e dare una nuova chan-ce a ogni peccatore che si pente e si converte. La misericordia diventa così lo specchio della Trinità e, secondo san Tommaso d’Aquino, essa è la prima proprietà di Dio. Nella sua misericordia Dio apre il suo cuore e ci lascia guar-dare nel suo cuore.

L’affermazione: «Dio è misericordia» significa che Dio ha un cuore per i miseri. Egli non è un Dio, per così dire, sopra le nuvole, disinteressato al de-stino degli uomini, ma piuttosto si lascia commuovere e toccare dalla miseria dell’uomo. Egli è un Dio compassionevole, un Dio ‘simpatico’ (nel senso ori-ginale di questa parola). Tali e altri argomenti hanno portato la teologia re-cente a una nuova riflessione sull’immutabilità e l’impassibilità di Dio. Certo è e resta vero che Dio è sempre lo stesso e che non c’è sviluppo in Dio. Dio

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non è, in un senso passivo, toccato dal male; in questo senso non ci sono né passione né sofferenza in Dio. A causa della sua perfezione assoluta Dio non si commuove, ma a causa della sua sovranità nella carità in un senso attivo e libero si lascia commuovere e toccare dalla miseria dell’uomo. Non c’è pas-sione, ma c’è compassione in Dio.

A questo punto arriviamo ai problemi più profondi della teologia: Dio e il male, Dio e la sofferenza innocente, Dio e l’ingiustizia e la cattiveria nel mon-do. Una risposta teorica nel senso della teodicea tradizionale, ossia nel senso della giustificazione di Dio, mi pare impossibile. Non possiamo immaginare una teoria che trascenda e superi i misteri di Dio e il mistero della persona sofferente, che non può essere strumentalizzata da una teoria né da un’ideo-logia astratta. La risposta non può essere teorica, ma deve essere pratica. La domanda è una sfida per la nostra misericordia. Noi dobbiamo portare alme-no un debole raggio della misericordia divina nel buio del mondo.

Misericordia, chiave dell’esistenza cristianaCredere in questo Dio della misericordia non vuol dire credere che un

Dio in qualche mode esista, ma che lui cambia tutta la mia vita. Il principio fondamentale della Bibbia per la vita del cristiano suona: «Essere imitatore di Dio» (Ef 5,1). Siamo chiamati a imitare Dio. In questo senso Gesù dice: «Sia-te perfetti sul modello di Dio» (Mt 5,48). E Luca afferma: «Siate misericordiosi sul modello di Dio» (Lc 6,36).

In questo senso, nel primo e più grande comandamento l’amore con Dio e l’amore con il nostro prossimo sono inscindibilmente connessi (Mt 22,34-40). Nessuno può amare Dio senza anche amare il suo prossimo (1 Gv 4,20; cfr. 3,10-18). Ecco la centralità del Discorso sulla Montagna: «Beati i misericor-diosi» (Mt 5,7). Nel suo discorso sull’ultimo giudizio, Gesù conosce solo un criterio: il nostro comportamento con gli affamati, gli assetati, gli ignudi, gli ammalati, i prigionieri ... Gesù non ci domanderà se avremo rispettato il se-sto comandamento. Certo, anche quello è importante, perché anche quello fa riferimento al rispetto degli altri, cioè al vero amore, che è altra cosa dal pia-cere e soddisfare i propri desideri. Eppure, decisivi saranno solo l’amore e la misericordia. Solo l’amore e la misericordia saranno l’unica cosa che potremo portare con noi e presentare al giudizio di Gesù. Perché nei poveri incontria-mo Gesù stesso, e lui ci riconoscerà quando lo incontreremo (Mt 25,31-46).

La tradizione cristiana elenca sette opere di misericordia corporale e set-

La misericordia: cuore del Vangelo

SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

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te opere di misericordia spirituale. Tutto il realismo cristiano viene alla luce quando ci rivolgiamo alle opere della misericordia spirituale. Infatti, non esi-ste solo la povertà materiale, ma anche la povertà culturale, quella povertà di coloro che non hanno accesso alla cultura (veniamo al problema dell’analfa-betismo), la povertà relazionale, cioè la povertà di comunicazione di chi è in solitudine, non ultima la povertà spirituale, il vuoto e sempre crescente de-serto interiore, la mancanza e lo smarrimento di orientamento nella vita. In questo senso, le opere della misericordia spirituale diventano di nuovo molto attuali: istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, confortare gli afflitti, cor-reggere i peccatori, perdonare chi ci ha offeso, sopportare gli antipatici (il che è la cosa più difficile), pregare per tutti.

La burocratizzazione dell’ambito sociale e sanitario, fino a un certo grado inevitabile, crea nuovi problemi e finisce spesso con un sistema freddo, im-personale e anonimo. Per esempio, una malattia non è solo un problema di un particolare organo dell’uomo, ma un problema della stessa persona, un problema emozionale ed esistenziale. Il malato ha bisogno di aiuto profes-sionale, ma anche di empatia e di simpatia nel senso originale della parola: egli ha bisogno di misericordia, cioè di un cuore per i miseri. Infatti, spesso una parola confortante e incoraggiante sostituisce la medicina e, anzi, pro-prio a causa del sistema e dell’unità psicosomatica dell’uomo, risulta la mi-gliore medicina.

Di fronte a tali e molti altri problemi la misericordia e le opere di miseri-cordia rivelano la loro attualità non solo in situazioni particolari, ma anche in un senso più generale. L’ordine sociale non può sopravvivere senza l’inizia-tiva e l’impegno personale e privato nell’ambito della famiglia, del vicinato e del volontariato. Tuttavia, per fare questo ci vuole motivazione, ci vuole mi-sericordia, ci vuole cioè un cuore per i miseri, un cuore aperto che tiene le mani aperte e mette in moto le nostre gambe per aiutare chi ha bisogno. La misericordia individuale non vuole e non può sostituire la giustizia sociale, ma può essere l’ispirazione e la motivazione a darsi da fare.

Sono necessarie delle persone che percepiscano il bisogno che spesso sorge inaspettatamente, e che si lascino commuovere da esso, delle persone che abbiano un cuore, che si prendano a cuore gli altri e che nel caso con-creto cerchino di aiutare meglio che possono. Senza una simile misericor-dia la base motivazionale per un ulteriore sviluppo della legislazione socia-le si perde. Pertanto, la nostra società non può cavarsela senza la misericor-

Armando Aufiero

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dia. Oggi, davanti agli enormi problemi cui dobbiamo far fronte, senza una base religiosa, viene a mancare l’impulso emotivo necessario per impegnar-si per un mondo migliore. Senza la misericordia rischiamo che la nostra so-cietà si trasformi in un deserto. Possiamo, perciò, intendere la misericordia come il fondamento e la fonte innovativa e motivazionale della giustizia so-ciale. La misericordia, che è una virtù soprannaturale, ha la sua razionalità e la sua urgenza naturali.

Quest’affermazione dev’essere confrontata con il comandamento più forte di Gesù. Egli dice: «Come Dio ci perdona settanta volte sette, così dobbiamo anche noi perdonare ed amare finanche i nostri nemici» (Mt 4,43s; 18,21s). Sigmund Freud ha detto che il comandamento di amare il proprio nemico è un comandamento assurdo perché è impossibile. Certo non è facile, e spes-so ci vuole un lungo cammino per arrivare a perdonare e amare il nemico. Però, Dio ha fatto così con noi. E solo così ha chiuso quel circolo vizioso se-condo cui ogni ingiustizia causa vendetta e la vendetta causa nuova ingiusti-zia e così via. La misericordia frantuma questo circolo vizioso e permette un nuovo inizio, una nuova via comune verso il futuro. La misericordia fino al perdono del nemico – certo non è facile, eppure non è assurdo, ma ragione-vole. Solo per mezzo della misericordia e del perdono possiamo essere ope-ratori di pace (Mt 5,9).

La Chiesa, sacramento della misericordiaPer concludere, parliamo adesso della dimensione ecclesiale della miseri-

cordia. Il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa quasi come un sacramento di Cristo, cioè segno e strumento di Cristo (LG, n. 1). Così la Chiesa è anche sacramento, ossia segno e strumento della misericordia di Cristo. Essa nella sua dimensione visibile, sociale e istituzionale deve rappresentare e rende-re visibile il Cristo misericordioso. In questa prospettiva si capisce qual è lo scandalo per cui la Chiesa spesso viene considerata, talvolta anche denuncia-ta, non misericordiosa, ma piuttosto dura e severa.

Fu in ragione della sua genialità spirituale che Papa Giovanni XXIII disse nel suo famoso discorso all’inizio del Concilio Vaticano II: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di im-bracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessi-

La misericordia: cuore del Vangelo

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tà odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piut-tosto che condannando». Con queste parole il Papa diede inizio non solo al Concilio, ma anche all’orientamento pastorale postconciliare. Papa Paolo VI ha confermato questa scelta e ha continuato su questa scia. Nella sua ultima allocuzione al Concilio ha detto che il comportamento del buon samaritano è la spiritualità del Concilio. Papa Giovanni Paolo II ha pubblicato la sua se-conda enciclica sulla misericordia. Così papa Francesco, con l’Evangelii gau-dium, è in ottima continuità con il Concilio e i suoi predecessori. ‘Misericor-dia’ è il termine-chiave del suo Pontificato.

C’è una triplice missione della Chiesa riguardo alla misericordia. La Chie-sa deve predicare la misericordia, deve celebrare la misericordia nella litur-gia dei sacramenti, soprattutto nel sacramento della misericordia, nel sacra-mento della penitenza e nella liturgia eucaristica, e deve praticare la miseri-cordia nella sua prassi pastorale. La pastorale misericordiosa non va confusa con una pseudo-misericordia, cioè con una prassi pastorale di compiacimen-to e di un cristianesimo light e a buon mercato.

La stessa misericordia è la verità fondamentale della fede cristiana. Perciò, essa non può essere contrapposta alla testimonianza della verità. È teologi-camente del tutto insensato metterla in contrapposizione alla verità, ovvero sospettare che essa indebolisca le altre verità e i comandamenti di Dio, o di-spensi dalla conversione. Anzi, come verità fondamentale secondo la gerar-chia delle verità, la misericordia deve essere intesa come il principio erme-neutico per l’interpretazione e l’applicazione delle verità di fede e per l’inter-pretazione e l’applicazione del diritto canonico, la cui legge suprema è la sal-vezza delle anime. Così la misericordia fa brillare sempre di nuovo la bellez-za del Vangelo e della fede, che non è mai fuori moda, bensì sempre attuale, sempre nuova e sempre sorprendente.

Nella misericordia la Chiesa si presenta come Madre misericordiosa, la cui casa è sempre aperta ai suoi figli, una Chiesa dalle porte aperte e non dai ponti levatoi chiusi. In questo contesto non voglio entrare in problemi pasto-rali concreti e in situazioni complesse, come, ad esempio, il problema dei di-vorziati risposati, che è stato discusso in modo controverso durante il Sino-do straordinario nell’ottobre scorso. Sono convinto che nel Sinodo ordinario previsto per l’ottobre di quest’anno si raggiungerà un largo consenso, come è stato fatto dal Concilio Vaticano II, il cui cinquantesimo anniversario della chiusura commemoriamo quest’anno. Anche in quel Concilio ci furono mol-

Armando Aufiero

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ti lunghi dibattiti e controversie, ma alla fine si è sempre raggiunto un largo consenso ben oltre i due terzi dei voti. Lo stesso avverrà questa volta.

In questo contesto voglio indicare solo la dimensione più profonda della misericordia. Essa non ha solo una dimensione sociale ed ecclesiale, ma una dimensione cristologica e mistica. Gesù è venuto per predicare il Vangelo, la lieta novella per i poveri (Lc 4,18). Lui che era ricco si è abbassato e si è fatto povero e debole fino alla croce (2 Cor 8,9). Questa kénosis, cioè questo auto-abbassamento, questa auto-spoliazione ed auto-umiliazione continua nel suo corpo mistico che è la Chiesa, continua nei poveri. Papa Francesco spesso ri-pete che nelle piaghe dei lacerati e dei poveri possiamo toccare Gesù. Ciò che abbiamo fatto ai poveri e ai miseri, lo abbiamo fatto a lui stesso (Mt 25,40).

Questo aspetto cristologico e mistico della misericordia è molto caro a papa Francesco. Il suo programma è profondamente radicato nella tradizione della Bibbia e nella tradizione agiografica. San Benedetto ammonisce i mo-naci di accogliere uno straniero come Cristo. San Francesco d’Assisi, all’inizio del suo cammino spirituale, ha abbracciato e baciato un lebbroso. Madre Te-resa ha ricevuto la sua vocazione originale quando sulle strade di Calcutta ha trovato un moribondo, lo ha portato nel suo monastero e ha avuto la sensa-zione di portare tra le sue mani Cristo in persona. L’ultimo Concilio ha risco-perto questa dimensione nella Lumen gentium (LG, n. 8,3). Con il suo inse-gnamento papa Francesco segue un’antichissima tradizione e inizia una nuo-va fase della ricezione del Concilio Vaticano II.

D’altra parte, questo insegnamento corrisponde benissimo alla situazio-ne attuale del mondo, dove più di due terzi degli uomini e anche dei cristia-ni vivono in povertà e miseria, mentre noi nel mondo occidentale viviamo in una società di abbondanza. Così aumenta l’abisso sociale fra benestanti e poveri, e soprattutto aumenta il deserto spirituale, nel quale molti si doman-dano: Come posso, in questo mondo profondamente secolarizzato, trovare e incontrare Cristo?

In questa situazione la misericordia e la sua spiritualità diventano chia-ve dell’esistenza cristiana. La sua mistica non è quella degli occhi chiusi, ma degli occhi aperti, occhi che ci portano ai cuori aperti, alle mani aperte, alle gambe veloci per venire incontro a coloro che sono nel bisogno e nella mi-seria. Così la misericordia diventa fondamentale per una spiritualità e una mistica non solo monastiche e clericali, ma per una mistica laica in mezzo al mondo. ■

La misericordia: cuore del Vangelo

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Andrea Lonardo

Premessa: la misericordia è una chiave, è la chiave

Da G.K. Chesterton «Il cristiano è né più né meno che una persona con una chiave, quella

chiave che poteva aprire la prigione del mondo intero, e far vedere la salvez-za. Una chiave non è materia di astrazioni: nel senso che una chiave non è materia di ragionamento. Essa o è adatta alla serratura, oppure non è. Nella chiave portata dal cristiano c’era una cosa che era semplice. Apriva la por-ta. Perché la fede cristiana fu accettata, ed è accettata? Perché corrisponde alla serratura; perché corrisponde alla vita. Siamo cristiani non perché ado-riamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà sulla terra dei viventi».

La utilizzerò per “aprire” problemi concreti

1/ Un principio assolutamente “incarnato” in un mondo che l’ha rifiutataCfr. W. Kasper, La sfida della misericordia, Qiqajon, Bose, 2014Cfr. nazismo, la forza della razzaCfr. marxismo, rallenta la lotta di classe, cfr. don Dordi in PerùCfr. nihilismo la misericordia il sentimento dei deboliCfr. neo darwinismo… non basta la scienza!Padre Vanni: un cuore morbido ed un’intelligenza dura o un cuore duro

e un’intelligenza morbida.

2/ per una visione “calda”, “passionale”, “affettiva”, “materna” della vita: un’ecclesiologia “popolare”

Il rifiuto di una concezione elitaria e organizzativa di Chiesa, fino all’esem-pio di don Camillo.

Papa Francesco al Convegno della Chiesa italiana a Firenze«La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere

la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri.

La misericordia chiave dell’esistenzaAndrea Lonardo

Direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma

pp. 209-224

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Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camil-lo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che sof-fre e sa ridere con loro”.

Papa Francesco, Il nome di Dio è misericordia[Dobbiamo innanzitutto praticare la medicina d’urgenza, non preoccupar-

ci di check-up specialistici].

Non una teologia non ratzingeriana, piuttosto una svolta richiesta a teolo-gi e pastoralisti.

3/ Nell’educare: la misericordia dell’educazioneDa papa Francesco, discorso al Convegno pastorale della Diocesi di

Roma “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”, il 16/6/2014

Quando ero arcivescovo nell’altra diocesi avevo modo di parlare più fre-quentemente di oggi con i ragazzi e i giovani e mi ero reso conto che soffri-vano di orfandad, cioè di orfanezza. I nostri bambini, i nostri ragazzi soffro-no di orfanezza! Credo che lo stesso avvenga a Roma. I giovani sono orfani di una strada sicura da percorrere, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldino il cuore, di speranze che sostengano la fatica del vivere quotidia-no. Sono orfani, ma conservano vivo nel loro cuore il desiderio di tutto ciò!

Questa è la società degli orfani. Pensiamo a questo, è importante. Orfani, senza memoria di famiglia: perché, per esempio, i nonni sono allontanati, in casa di riposo, non hanno quella presenza, quella memoria di famiglia; orfa-ni, senza affetto d’oggi, o un affetto troppo di fretta: papà è stanco, mamma è stanca, vanno a dormire… E loro rimangono orfani.

Orfani di gratuità […] Ecco il senso profondo dell’iniziazione cristiana: ge-nerare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani.

Da Giacomo Poretti, È più facile fare il premier che il papàSe i figli moderni chiedono: «Papà, cosa preferisci: la pasta o il riso?», loro

rispondono: dipende...Papà, ma tu voti a destra o a sinistra? Dipende...

La misericordia chiave dell’esistenza

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Se i figli domandano se bisogna sempre dire la verità, i papà moderni ri-spondono: dipende...

Ma papà bisogna fermarsi per far passare i pedoni sulle strisce? Dipende...Ma papi, è vero che fa male farsi uno spinello? Dipende...Papà, ma a te piacciono le donne vero? Dipende...Mio papà, a cui è sempre piaciuto il risotto, mi ha insegnato cose meravi-

gliose: a fare il presepe, a tifare per l’Inter, a fare il nodo della cravatta, a fare la barba con la lametta, ad andare in bicicletta, a bere un bicchiere di vino tutto d’un fiato, a vestirsi bene la domenica, a essere bravo nel lavoro, a cer-care di avere sempre un amico, a portare un mazzo di fiori ogni tanto a tua moglie, a ricordarsi dei nonni e dei nostri morti, perché noi senza di loro non ci saremmo, perché Giacomo è figlio di Albino il fresatore, che era figlio di Domenico il mezzadro, figlio di Adriano il ciabattino che era figlio di Giusep-pe il falegname figlio di Giosuè lo stalliere...

(anche in Video su Youtube Canale Gli scritti - Giacomo Poretti, Papà an-tichi e papà moderni)

-Recalcati, dal complesso di Edipo al complesso di Telemaco.

Adulto è il participio passato del verbo adolescere, colui che ha finito di crescere. Io oggi conosco più adulteri che adulti, adulteri a se stessi ovvia-mente.

Quella che stasera vi racconterò è la storia di un gruppo di ragazzi che avevano fretta di entrare in un mondo adulto che è diventato vecchio sen-za essere adulto. Il mio, il nostro paese, oggi è questo. È il più vecchio del pianeta e lo guardiamo senza nemmeno accorgerci di quello che abbiamo sotto gli occhi. Abbiamo sì sotto gli occhi il cambiamento del paesaggio, ma addosso a noi non lo leggiamo, perché? Perché noi non possiamo sentirci vecchi.

Secondo gli italiani si diventa vecchi a ottantatre anni. Siccome l’attesa di vita è ottantuno, secondo gli italiani si diventa vecchi dopo morti! Io vorrei chiedere ai miei coetanei per primi, di fare outing: dichiaratevi adulti. Rinun-ciate a quell’idea di giovinezza che ci viene venduta quotidianamente, per-ché c’è una confusione genetica mostruosa. Adulto è colui che si è giocato delle possibilità e deve vivere con quello che ha: il resto si è seccato. Quello che sei in potenza da giovane, non ce l’hai dopo. Se non capisci questo, se

Andrea Lonardo

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impedisci a chi viene dopo di sorpassarti perché tu, cullato dal sogno di que-sta eterna giovinezza, rubi costantemente tutto ciò che viene prodotto da chi viene dopo di te, indossandolo in vario modo attorno a te, tu stai creando un blocco mostruoso, che ci impedisce di leggere la realtà. Dichiaratevi adulti, prendetevi delle responsabilità.

da Che cos’è una famiglia?, di Fabrice Hadjadj (su www.gliscritti.it) Le persone che hanno un atteggiamento positivo verso la famiglia insisto-

no su alcuni elementi definitori. Li sintetizzerei in tre punti:1) La famiglia è, innanzitutto, il luogo del primo amore. È fondamen-

tale che i genitori si amino e che il bambino sia amato: altrimenti la famiglia non potrà che disseccarsi e decomporsi.

2) La famiglia è il luogo della prima educazione. Il bambino vi nasce a partire da un progetto genitoriale responsabile, dove si guarda al suo futu-ro, alla sua edificazione, alla sua qualificazione con la maggiore competen-za raggiungibile.

3) La famiglia umana è anche un luogo di rispetto delle libertà. I ge-nitori si sono uniti per un contratto e, attraverso la loro missione educativa, essi debbono contribuire non a rinforzare la dipendenza, ma a promuovere l’autonomia del bambino.

Noi insistiamo spesso su queste caratteristiche, poiché partiamo dal bene del bambino. Ma così facendo ci perdiamo l’essenza della famiglia sicché, anche se pensiamo di difenderla, affiliamo invece le armi che per-mettono d’attaccarla. Preoccupandosi troppo del benessere del bambino, ci si dimentica dell’essere del bambino. Attardandosi troppo sui doveri dei genitori, ci si dimentica dell’essere del padre e della madre. Gli elementi che abbiamo da proporre - amore, educazione, libertà - dicono tutto fuor-ché l’essenziale: sapere che i genitori sono i genitori e il bambino è il loro bambino.

Ecco la conseguenza fatale: pretendendo di fondare la famiglia perfetta sull’amore, sull’educazione e sulla libertà, quello che si fonda, in verità, non è la perfezione della famiglia, ma l’eccellenza dell’orfanatrofio. Non v’è dub-bio: in un orfanatrofio eccellente si amano i bambini, li si educano e si rispet-tano le loro persone. Si pensa di essere così in qualche modo nella comple-tezza di un progetto genitoriale, poiché prendersi cura dei bambini è il pro-getto costitutivo di una tale impresa.

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Ma non considerare la famiglia che a partire dall’amore, dall’educazione e dalla libertà, fondarla sul bene del bambino come individuo e non come fi-glio, e sui doveri dei genitori come educatori e non come genitori, significa proporre una famiglia già defamiglizzata.

Il principio della famiglia è nel sesso. […]È perché un uomo ha conosciuto una donna e dal loro abbraccio, per so-

vrabbondanza, sono nati dei bambini, che esistono i nomi di famiglia, padre, madre, figli, figlie, sorelle e fratelli. […]

Quando un bambino dice ai suoi genitori “non ho scelto io di nascere”, essi potrebbero rispondere: “nemmeno noi abbiamo scelto; ci sei stato dona-to e proveremo a cambiare la nostra sorpresa in gratitudine”. […]

La famiglia annoda cinque tipi di legami: coniugale (dell’uomo e della donna), filiale (dai genitori ai figli), fraterno (tra i figli) - a cui s’aggiungono altri due, spesso ignorati, ma decisivi per situare la famiglia storicamente e già politicamente. Il quarto è il legame nonni-nipoti, che permette d’attenua-re l’influenza dei genitori e d’aprire il tempo della famiglia a quello della tra-dizione. C’è poi un quinto tipo di legame che tende a relativizzare l’ideale di coppia, pur di non trascurare la suocera. Voglio parlare della “grande fami-glia” – ciò che potremmo chiamare la «teoria del genere». Attraverso questo legame l’alleanza coniugale si duplica in un’alleanza, per così dire, tribale e apre lo spazio della famiglia a quello della società.

4/ 7+7 opere di misericordia: corporale e spirituale, realtà inscindibilida L. Manicardi, La fatica della carità, Qiqajon 2010, pp. 57-70“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Pri-

ma di essere un comando, queste parole di Gesù sono la rivelazione di una possibilità: esse attestano la possibilità per l’uomo di partecipare alla miseri-cordia di Dio, ovvero di dare vita, di mostrare tenerezza e amore, di fare gra-zia, di con-soffrire con chi soffre, di sentire l’unicità dell’altro e di essergli vi-cino, di perdonare, di sopportare l’altro e di pazientare con le sue lentezze e le sue inadeguatezze. […]

La tradizione giudaica afferma […] che le opere di misericordia abbraccia-no un ambito molto più vasto della sola elemosina e sono molto più gran-di di essa:

L’elemosina viene fatta solo con il denaro, le opere di misericordia con il denaro e con tutta la persona; l’elemosina viene fatta solo al povero, le opere

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di carità vengono fatte sia ai poveri che ai ricchi; l’elemosina viene fatta solo ai viventi, le opere di carità riguardano sia i vivi che i morti.

Questo testo giudaico è particolarmente importante perché sottolinea la vera portata delle opere di misericordia: “Non si può praticarle se non ci si innalza dal piano dell’avere a quello dell’essere. Per praticarle bisogna im-pegnarsi personalmente. La qualità dei rapporti umani è fondamentale se si vuole ‘fare’ un’opera di misericordia”.

Il Nuovo Testamento trova nella pagina del giudizio universale di Mat-teo 25,31-46 una esemplificazione e un elenco di sei gesti di carità che, fatti a un povero, a un piccolo, sono in verità fatti a Gesù stesso: […]. La miseri-cordia trova un’infinità di espressioni e di manifestazioni assolutamente non racchiudibile in un elenco, ma la proliferazione di “liste” attestata nella pro-duzione letteraria cristiana antica non solo non smentisce questa affermazio-ne, ma la conferma: essa cerca proprio di esprimere il carattere non misu-rabile e non contenibile della misericordia. Queste opere, infatti, si situano sempre tra un elemento perenne (l’esigenza e il fondamento divini) e uno cangiante (i differenti bisogni della creatura umana). Lungi dunque dal vo-ler esaurire le possibilità della misericordia, le liste sono indicative e, mentre affermano delle istanze basilari dell’essere umano e della sua dignità, van-no accolte come sollecitazione della creatività e dell’intelligenza dei creden-ti nella storia perché la carità non sia solamente un gesto “buono”, ma an-che “profetico”. […]

L’idea di “opere di misericordia spirituali”, accanto a quelle rivolte al “cor-po” dell’uomo, sembra nascere dall’interpretazione allegorica del testo di Matteo 25 da parte di Origene: le opere lì indicate hanno una valenza “mate-riale”, ma anche una “spirituale”. Scrive Origene:

In verità, che intendiamo i benefici in senso semplice e materiale o in sen-so spirituale, una cosa è certa: che chi compie un’opera buona in un senso o nell’altro, e nutre anime con alimenti spirituali, o farà qualsiasi altra specie di opera buona per amore di Dio, è al Cristo affamato e assetato che dà da mangiare e bere.

Origene inizia così una rilettura spirituale-allegorica dei gesti di concreta carità elencati nel capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo: ad esempio, l’atto di vestire chi è nudo diviene il rivestire di virtù il prossimo grazie all’insegna-mento della Parola di Dio e della dottrina cristiana. Scrive Origene:

Abbiamo tessuto una veste per Cristo che ha freddo, prendendo da Dio

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una tessitura di sapienza, in modo da insegnare ad alcuni la dottrina, fa-cendoli rivestire di viscere di misericordia, castità, mansuetudine, umiltà (Col 3,12) e delle altre virtù; e tutte queste virtù sono indumenti spirituali per quelli che ascoltano l’insegnamento di coloro che li ammaestrano in essa, seguendo colui che dice: Rivestitevi di viscere di misericordia, di benignità, umiltà, mansuetudine (Col 3,2), eccetera, ma maggiormente lo stesso Cristo che è tutto ciò per i fedeli, stando a colui che ha detto: Rivestitevi di Gesù Cristo (Rm 13,14).

Commentando il Vangelo secondo Matteo, Teofilatto scrive: “Adempi que-ste sei forme di carità sia materialmente che spiritualmente, infatti duplice è la nostra natura: noi siamo anima e corpo”. […]

Più tardi (IX secolo) Rabano Mauro, ispirandosi ad Agostino, afferma che, sebbene l’uso abbia ristretto il termine elemosina alle elargizioni ai poveri, in realtà ne esistono numerose forme (“sunt eleemosynarum species pluri-mae”), e passa a elencare svariate opere: Fa elemosina chi riconduce l’erran-te sulla via della verità; fa elemosina chi istruisce l’ignorante, chi annuncia la Parola di Dio ai suoi vicini; fa elemosina chi non cessa di condividere i propri beni materiali con i propri fratelli, cioè con gli altri uomini; fa ele-mosina chi offre cibo e vesti ai bisognosi, li ospita, visita gli infermi, sostiene con i propri beni i carcerati e i tribolati, e non manca di liberare i condan-nati a morte e ai supplizi. Infatti tutte le opere buone che ogni giusto compie in questa vita possono essere comprese con questo unico nome.

Quindi prosegue parlando del fare misericordia verso se stessi:Quando ci convertiamo dai peccati alle opere buone, dalla superbia all’u-

miltà, dalla lussuria alla temperanza, dall’astio e dall’invidia alla carità e all’amore, dall’ira e dalla contesa alla mansuetudine e alla pazienza, dalla gola alla sobrietà, dall’avarizia alla generosità, dalla tristezza mondana alla gioia dello spirito, dall’accidia temporale allo zelo del bene, che altro faccia-mo se non elargire elemosine a noi stessi, poiché abbiamo pietà di noi stes-si? ... Esercita dunque bene e con ordine l’arte della misericordia (artem mi-sericordiae) chi non lascia mancare innanzitutto a se stesso le buone opere, una santa condotta e i frutti delle virtù.

Una lista definitivamente fissata delle opere di misericordia non è ancora attestata entro la fine del primo millennio: probabilmente è solo con il XII se-colo che assistiamo allo stabilirsi di una lista stereotipa di sette opere di mi-sericordia, quelle che chiamiamo corporali (le sei di Matteo 25 più la sepol-

Andrea Lonardo

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tura dei morti attestata nel libro di Tobia) a cui si accompagnerà - certamente almeno a partire da Tommaso d’Aquino - la lista di sette opere di misericor-dia spirituali. Conosciamo del resto il fascino che il numero sette e i settenari esercitarono sull’animo dell’uomo medievale al punto che il medioevo cele-brò “il trionfo del sette”: “Il sette è simbolo di ordine e di completezza, sinte-si quasi magica di unità e di molteplicità”. Con il settenario la molteplicità di atti di misericordia viene in certo modo sintetizzata e dotata di unità. Sempre nel medioevo accanto al settenario si sviluppa un sistema binario per cui, ad esempio, ai sette vizi si accompagnano sette virtù, spesso descritte in manie-ra corrispondente e parallela ai vizi.

Misericordiae vultus 15È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo

sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risve-gliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privi-legiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi di-scepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i fore-stieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non di-mentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, in-segnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdona-re le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Non possiamo sfuggire alle parole del Signore e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tem-po per stare con chi è malato e prigioniero (cfr. Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella pau-ra e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’igno-ranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiu-to necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’e-sempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Si-

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gnore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più pic-coli” è presente Cristo stesso.

Da don Bosco agosto 1877, BRAIDO P., Don Bosco educatore scritti e te-stimonianze, LAS, Roma 1997, pp. 363-271.

Dirò in cosa consista il Sistema Preventivo, perché lo si debba preferire, la sua pratica applicazione e i suoi vantaggi.

1. In cosa consista il Sistema Preventivo e perché sia da preferire. Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell’educazione della gioventù:

preventivo e repressivo. Il sistema repressivo consiste nel far conoscere la legge ai dipendenti, e poi sorvegliarli per individuarne i trasgressori ed inflig-gere, ove sia necessario, la giusta punizione. Con questo sistema le parole e l’aspetto del superiore devono essere sempre severe, e piuttosto minacciose, ed egli deve evitare ogni familiarità con i dipendenti. Il direttore per accre-scere la sua autorità deve trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o minacciare. Questo sistema è facile, meno fatico-so e serve specialmente nel mondo militare e in genere tra le persone adul-te e mature, che sono in grado di conoscere e ricordare ciò che è conforme alle leggi e alle altre prescrizioni.

Diverso e direi opposto è il sistema preventivo. Esso consiste nel far cono-scere le prescrizioni e i regolamenti di un istituto e poi sorvegliare in modo che gli allievi abbiano sempre su di loro l’occhio vigile del direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli e correggano amorevolmente, che equivale a porre gli allievi nell’impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema poggia tutto so-pra la ragione, la religione, e l’amorevolezza; perciò esclude ogni punizione violenta e cerca di tenere lontano anche le punizioni lievi.

4. La confessione frequente, la comunione frequente, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo da cui si vuole te-ner lontana ogni minaccia e punizione.

Non bisogna mai obbligare i giovani a frequentare i sacramenti, ma solo incoraggiarli e dar loro la possibilità di approfittarne agevolmente. In caso di esercizi spirituali, novene, prediche e catechesi si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella religione che propone dei mezzi così pra-tici, così utili al bene comune, alla serenità del cuore, alla salvezza dell’ani-ma, come sono appunto i sacramenti. È così che i giovani saranno sponta-

Andrea Lonardo

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neamente invogliati a ricercarli e vi si accosteranno volentieri con piacere e con frutto.

7. Si eviti come la peste l’opinione di alcuni che vorrebbero differire la pri-ma comunione dei più giovani ad una maggiore età, quando i vizi e le de-bolezze hanno conquistato il cuore di un giovane con un danno incalcola-bile per la sua innocenza. Nella Chiesa antica si era soliti dare ai bambini le ostie consacrate che avanzavano dopo la comunione pasquale. Questo ser-ve a farci conoscere quanto essa ami che i giovani siano ammessi per tem-po alla Comunione.

Alcuni dicono che questo sistema è difficile da mettere in pratica. Osservo che per gli allievi è decisamente più facile, più soddisfacente e più vantag-gioso. Da parte degli educatori comporta alcune difficoltà, che però si atte-nuano, se essi lavorano con zelo. L’educatore è un individuo votato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni ostacolo, ogni fatica per conseguire il suo scopo, che è la formazione civile, morale e scien-tifica dei suoi allievi.

5/ personale e socialeIl valore dell’ “elemosina”, della “mia” elemosina

6/ Il dialogo fra le religionida Laura Pausini, Il mondo che vorrei «Perché il cuore di chi ha un altro Dio è uguale al mio. […] Per chi spera

ancora in un sorriso, perché il suo domani l’ha deciso ed è convinto che il suo domani è insieme a te».

-I musulmani di fronte al mistero della croce: rifiuto o incomprensione?, di M. Borrmans (su www.gliscritti.it)

-Dobbiamo conoscere cosa viene insegnato su Gesù ai musulmani dai loro imam, altrimenti non potremmo capirci a scuola in una lezione di sto-ria. I tre punti più importanti della missione di Gesù che vengono inse-gnati dall’Islam sono 1/ Gesù è venuto a ripetere che Allah è il vero Dio 2/ Gesù non è stato crocifisso: è stato elevato in cielo senza mai morire e la crocifissione sarebbe un’invenzione dei cristiani 3/ Gesù è stato manda-to da Allah ad annunciare la venuta di Maometto, di Giovanni Amico (su www.gliscritti.it)

La misericordia chiave dell’esistenza

SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

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IV sura («Sura delle donne»), v. 157gli ebrei di Medina, fra gli altri torti, sono accusati per aver detto: «“Ab-

biamo ucciso il Messia, Gesù figlio di Maria, l’Apostolo di Dio!”, mentre non l’hanno ucciso né crocifisso, ma soltanto sembrò loro [di averlo ucciso]. In verità, coloro che si oppongono a [Gesù], sono certamente in un dubbio a suo riguardo. Essi non hanno alcuna conoscenza di [Gesù]; non seguono che congetture e non hanno ucciso [Gesù] con certezza».

7/ Accoglienza e proposta dinanzi ai profughi-es. i fatti di Colonia

-la scuola, l’inter-cultura (es. digiuno mercoledì ceneri, Dante, recite “cri-stiane”)

-I poveri e il bisogno di Dio EG 200. Desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramen-ti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’op-zione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzio-ne religiosa privilegiata e prioritaria.

Discorso di Jorge Mario Bergoglio nell’Introduzione alla teologia del po-polo di Ciro Enrique Bianchi

Quando come Chiesa ci accostiamo ai poveri per accompagnarli, consta-tiamo – al di là delle enormi difficoltà quotidiane – che vivono con un senso trascendente della vita. In qualche modo il consumismo non li ha ancora in-gabbiati. La vita mira a qualcosa che va oltre questa vita. La vita dipende da Qualcuno (con la maiuscola) e questa vita ha bisogno di essere salvata. Tut-to questo si trova nel più profondo della nostra gente, anche se è incapace di formularlo in termini concettuali. Il senso trascendente della vita che si vede nel cristianesimo popolare è l’antitesi del secolarismo che si diffonde nelle società moderne. È un punto chiave. Se volessimo parlare in termini antago-nistico-aggressivi, diremmo che la fede del nostro popolo è uno schiaffo agli atteggiamenti secolarizzanti.

Andrea Lonardo

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Pertanto si può dire che la pietà popolare è una forza attivamente evange-lizzatrice che possiede nel suo interno un efficace antidoto davanti all’avan-zare del secolarismo. Aparecida si esprime con parole simili: «La pietà popo-lare, […] nell’ambiente secolarizzato in cui vivono i nostri popoli, continua a essere una grandiosa confessione del Dio vivente che agisce nella storia, e un canale di trasmissione della fede» (DA 264).

dall’intervista rilasciata da Benedetto XVI a Radio Vaticana ed a tre tele-visioni tedesche il 13 agosto 2006

Abbiamo il nostro compito di mettere meglio in rilievo ciò che noi voglia-mo di positivo. E questo dobbiamo anzitutto farlo nel dialogo con le culture e con le religioni, poiché il continente africano, l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità.

È importante dimostrare che da noi non c’è solo questo. E reciproca-mente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razio-nale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre re-ligioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il pun-to di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione.

Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova intercul-turalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è suffi-ciente, ma occorre una razionalità più ampia, che vede Dio in armonia con la ragione, dobbiamo mostrare che la fede cristiana che si è sviluppata in Euro-pa è anche un mezzo per far confluire ragione e cultura e per tenerle insie-me in un’unità comprensiva anche dell’agire. In questo senso credo che ab-biamo un grande compito, di mostrare cioè che questa Parola, che noi pos-sediamo, non appartiene – per così dire – ai ciarpami della storia, ma è ne-cessaria proprio oggi.

8/ Creazione e neo-darwinismoDa Martin Luther King, dalla Nobel Lecture dell’11 dicembre 1964.Eppure, nonostante gli spettacolari progressi nella scienza e nella tecno-

logia, e nonostante quelli innumerevoli che verranno, ci manca qualcosa di fondamentale. C’è una sorta di povertà dello spirito, che si trova in palese

La misericordia chiave dell’esistenza

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contrasto con la nostra abbondanza scientifica e tecnologica. Più siamo diventati materialmente ric-chi, più poveri siamo diventati moralmente e spi-ritualmente. Abbiamo imparato a volare nell’aria come uccelli e nuotare nel mare come i pesci, ma non abbiamo imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli.

Einstein aveva anche un forte sense of humour, tant’è vero che nell’ultima intervista rilasciata al “New York Times”, apparsa postuma il 22 aprile del 1955, a chi gli chiedeva perché si fosse riusciti a scoprire l’atomo, ma non si fosse ancora capaci di trovare i mezzi per controllarlo, aveva risposto: “È semplice, amico mio, per-ché la politica è più difficile della fisica”.

Maurits Cornelius Escher, sul quale vedi I giorni della Creazione e Il pec-cato originale in Maurits Cornelius Escher. Breve nota di Andrea Lonardo, Mi-chelangelo, Volta della Sistina, Miniatura medioevale (vedi L’esegesi “secon-do la fisica” del racconto della creazione nel pensiero dei maestri chartriani del XII secolo, di Michele Filippi), M. Chagall, Creazione dell’uomo, Pastello preparatorio (definitivo nel Museo Biblico, Nizza)

Andrea Lonardo

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da Fabrice Hadjadj, “L’homme passe infiniment l’homme”. Brève réflexion sur le transhumain nell’incontro de Il cortile dei Gentili, Parigi, UNESCO, 24/3/2011.

C’è chi dice che l’uomo sia emerso sugli altri animali nel corso dell’evolu-zione per una sua maggiore capacità d’adattamento all’ambiente. E nello stes-so tempo l’uomo si documenta essere un grave disadattato [...] L’uomo è fatto per “trasumanar”

da G.K. Chesterton, Ortodossia La misura di ogni felicità è la riconoscenza.

Gesù in Mt: Guardate i gigli del campo

Papa Francesco, Laudato si’76. Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire na-

tura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può es-sere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Pa-dre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una co-munione universale.

77. «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli» (Sal 33,6). Così ci vie-ne indicato che il mondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espres-sa nella parola creatrice. L’universo non è sorto come risultato di un’onni-potenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di au-toaffermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato: «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata» (Sap 11,24). Così, ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un po-sto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è og-

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getto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, egli lo circon-da con il suo affetto. Diceva san Basilio Magno che il Creatore è anche «la bontà senza calcolo», e Dante Alighieri parlava de «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Perciò, dalle opere create si ascende «fino alla sua amoro-sa misericordia».

78. Allo stesso tempo, il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la na-tura. Senza smettere di ammirarla per il suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito un carattere divino. In questo modo viene sottoline-ato ulteriormente il nostro impegno nei suoi confronti. Un ritorno alla natura non può essere a scapito della libertà e della responsabilità dell’essere uma-no, che è parte del mondo con il compito di coltivare le proprie capacità per proteggerlo e svilupparne le potenzialità. Se riconosciamo il valore e la fra-gilità della natura, e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso mate-riale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affi-da la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere.

79. In questo universo, composto da sistemi aperti che entrano in comuni-cazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione. Questo ci porta anche a pensare l’insieme come aperto alla trascendenza di Dio, all’interno della quale si sviluppa. La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di ciò che accade.

9/ La famiglia e il divorzioCfr. adulterio e adultera

10/ Misericordia e giustiziaMisericordiae vultus 19Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono

a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combat-tendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fron-te ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illu-sione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità.

Andrea Lonardo

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discorso di papa Francesco nella chiesa di san Gregorio VII in Roma, il 21/3/2014.

Sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambia-te vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portar-lo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi.

Non l’AT contro il NT

da p. Reginald Garrigou-Lagrange, Dieu, son existence et sa nature, Pa-ris, 1923, p. 725 (non è stato possibile controllare la fonte della citazione)ù

La Chiesa è intransigente sui principi, perché crede, è tollerante nella pra-tica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui principi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano. La Chiesa assolve i peccatori, i nemici della Chiesa assolvono i peccati. ■

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La pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato (Mt 11,25-30) ci presenta la lode di Gesù al Padre, poiché ha nascosto i misteri del Regno ai grandi e ai potenti, ai sapienti e ai dotti, e li ha rivelati ai piccoli (cfr. v. 25). I piccoli sono coloro che accolgono Gesù, riconoscendolo nella sua fragilità, e non si scandalizzano della sua croce. Essi non parlano secondo una sapienza uma-na ma parla in loro l’esperienza di Dio e del suo amore. Il beato Luigi Nova-rese ha percepito l’amore di Dio su di sé e si è lasciato da esso riempire. Ha fatto l’esperienza dell’«uomo dei dolori che ben conosce il patire» (Is 53,3) e da ex ammalato si è dedicato con eroica carità in favore degli ammalati. Sem-pre desideroso di crescere nella conoscenza di Cristo, «è cresciuto come vir-gulto davanti a lui» (v.1), pronto e disponibile verso tutti, come il Maestro, e per questo in grado di fare sua quella stessa esultanza di Gesù verso il Padre: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra…» (Mt 11, 25).

La conoscenza dell’amore del Padre è una verità che sfugge a molti ma è compresa dai piccoli, che non riescono a trattenere per sé questo tesoro, sen-tendosi chiamati a donarlo a tanti altri. Scorgiamo in questa pagina del Van-gelo un tratto essenziale di mons. Luigi Novarese, l’apostolo dei malati, come lo ebbe a definire san Giovani Paolo II. Al lavoro in Segreteria di Stato, univa un fervido ministero nel mondo dell’assistenza ai malati, che in seguito oc-cuperà tutte le sue giornate. Il suo ministero sacerdotale condusse verso Cri-sto coloro che erano affaticati e oppressi nel corpo e nello spirito, perché in lui trovassero ristoro e sollievo. Sapeva bene che la prima guarigione di una persona è la guarigione interiore e che solo aprendosi a Cristo e affidandosi a Maria l’ammalato è attraversato da una inondazione salutare e pacificante.

Per questo, volle tenacemente che gli ammalati e i disabili facessero l’e-sperienza degli Esercizi spirituali, costruendo a tale scopo, con enormi sacri-fici ma con una fiducia incrollabile nella divina Provvidenza, la Casa presso il santuario di Re (Novara), dedicata al Cuore Immacolato di Maria. Special-

Novarese: “Il malato non è la malattia”Nella chiesa di Santa Maria del Suffragio mons. Giovanni Angelo Becciu, So-stituto della Segreteria di Stato Vaticana ha presieduto la celebrazione eucari-stica. Riportiamo di seguito la sua omelia che tratteggia la figura e l’Opera del beato Luigi Novarese.

Giovanni Angelo Becciu

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Novarese: “Il malato non è la malattia”

mente attraverso questa struttura, e poi con gli scritti e gli incontri in varie parti d’Italia, egli ha spinto gli ammalati a percorrere un cammino spirituale capace di trasformare la malinconia in gioia, la pietà che gli ammalati aveva-no di loro stessi in disponibilità verso gli altri, diventando a loro volta apo-stoli nel mondo della sofferenza.

In questa prospettiva, favorì incessantemente nelle persone percorsi di maturazione cristiana e sacerdotale che per molti sfociarono in un servizio ed un impegno che forse mai avrebbero immaginato. Non è un caso che at-torno a mons. Novarese, a condividere il suo desiderio di “salvare il malato con il malato”, ci fossero tanti sacerdoti e laici animati dal desiderio di porta-re l’amore, la luce e la gioia di Cristo nel mondo della sofferenza. Nacquero così la Lega Sacerdotale Mariana, il Centro Volontari della Sofferenza, i Silen-ziosi Operai della Croce, i Fratelli e le Sorelle degli Ammalati, allo scopo di rendere gli infermi protagonisti di un apostolato nuovo.

Il beato Luigi Novarese si lasciò abitare da Cristo, per questo poté entra-re in un dialogo intimo e fecondo con lui della preghiera. Così, mettendosi alla scuola del Maestro, a sua volta è diventato educatore di una schiera di ammalati e disabili, promuovendo in essi frutti di vita buona. Attuando il suo forte desiderio di collaborazione all’opera redentiva, egli partecipava intima-mente alle angosce fisiche ma soprattutto a quelle spirituali delle persone. Scriveva: «La malattia non colpisce soltanto la parte fisica, materiale e organi-ca del nostro corpo, ma trascina nel vortice del dolore qualcosa di più: quel-la parte più profonda del nostro essere che comprende la nostra vita menta-le, psichica e spirituale». Divenne in questo modo educatore credibile e pro-motore di una sanità chiamata a porre al centro la soggettività dell’ammala-to e a dare il giusto valore alla spiritualità nel percorso di cura. Nella consa-pevolezza che il malato non è la malattia, egli si prodigò per far capire che una sanità che non tiene conto dell’azione reciproca tra corpo e spirito, non è una sanità efficace.

Da umile servo e strumento, il beato Luigi Novarese lavorò nella vigna del Signore e fece in modo che ammalati e disabili facessero nella loro esistenza l’esperienza di Cristo e del suo amore. E di conseguenza si sentissero chia-mati a servire Gesù nello stato di vita proprio. Una visione moderna e matu-ra, la sua, che favorì l’impegno dei fedeli laici. Il suo apporto ecclesiale ci fa comprendere meglio e vedere realizzato uno degli insegnamenti fondamen-tali del Concilio Vaticano II, e cioè che l’indole secolare dei laici deve vede-

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Giovanni Angelo Becciu

re coniugati e ben armonizzati identità cristiana e impegno a servizio della Chiesa e del mondo.

Egli non solo favorì nelle persone ammalate la consapevolezza di esse-re soggetti attivi dell’opera di evangelizzazione e di salvezza, ma si sforzò di coinvolgere tutte le componenti della comunità ecclesiale nell’azione pasto-rale verso il mondo della sofferenza e della disabilità. Il suo sguardo lungi-mirante, illuminato dalla luce del Vangelo e reso attento dalla carità concreta per l’uomo, gli fece intravedere che la salute dello spirito è strettamente col-legata alla salute del corpo. E dunque la cura dello spirito – stare bene con noi stessi, l’amare e il sentirci amati dal Signore – ci aiuta a tenere lontani i veleni dell’anima che fanno ammalare il corpo.

La vita e la missione di mons. Novarese testimoniano che difficoltà e dolo-ri, se accettati per amore, si trasformano in un cammino privilegiato di santi-tà, che apre verso prospettive di un bene più grande, noto soltanto al Signo-re. Egli ha così ripresentato all’umanità del nostro tempo quel «vanto della croce» (cfr. Gal 6,14) che può diventare segno di speranza, perché la croce è passaggio indispensabile verso la vita nuova in Cristo.

Affidiamo le nostre preghiere e le nostre intenzioni al Signore, confidan-do nella celeste intercessione della Vergine Maria Salus Infirmorum e del be-ato Luigi Novarese. ■

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pp. 228-237

La cura degli infermi e l’attività taumaturgica, come ci testimoniano i Van-geli, sono momenti importanti dell’unica azione evangelizzatrice di Gesù e segno visibile della presenza del Re gno di Dio in mezzo a noi. Fedele al man-dato ricevuto e seguendo l’esempio di Cristo, suo Signore, che accogliendo i malati predisponeva le folle all’ascolto della Parola, alla conversione della vita e a credere al Vangelo, la Chiesa nel corso dei secoli “ha fortemente av-vertito il servizio ai malati e ai sofferenti come parte integrante della sua mis-sione e, non solo ha favorito fra i cristiani il fiorire delle varie opere di mise-ricordia, ma ha pure espresso dal suo seno molte istituzioni religiose con la specifica finalità di promuovere, organizzare, migliorare ed estendere l’assi-stenza agli infermi. I missionari, per parte loro, nel condurre l’opera dell’e-vangelizzazione, hanno costantemente associato la predicazione della Buona Novella con l’assistenza e la cura dei malati” (Giovanni Paolo II, Motu pro-prio Dolentium Hominum, n. 1). Davanti alle buone opere, soprattutto quelle ispirate alla misericordia divina, come la cura e l’assistenza dei malati, anche chi non crede da gloria a Dio e si predispone all’incontro con Gesù.

Con la compassione di gesù per l’uomo di oggiVolendo fare proprie “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli

uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, (GS, n. 1) la Chiesa oggi guarda al mondo della salute, caratterizzato da tanti cambia-menti e problemi, con la stessa compassione con cui Gesù accoglieva le fol-le stanche e sfinite di Galilea. Portando in esso la luce della Parola fatta car-ne e la carità del Buon Pastore (cfr. Gv 10,14) essa lo riconosce e lo trasfor-ma “in luogo di testimonianza e di annuncio del Vangelo” (Lineamenta, n. 6).

Immaginare la vita umana senza nessun riferimento a Dio e alla trascen-denza, come induce a fare una certa cultura secolarizzata dei nostri giorni, si è risolto in un grave attentato alla visione antropologica cristiana e ha pro-fondamente modificato, in alcuni casi addirittura stravolto, il modo comu-ne d’intendere il valore e il significato della vita, della salute, della malattia,

La pastorale della salute nel giubileodella misericordia

Zygmunt ZimowskiPresidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari

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Zygmunt Zimowski

della sofferenza e della morte. Una rivoluzione che trasversalmente interes-sa tutti gli ambiti della pastorale sanitaria. Descritto da san Giovanni Paolo II nella prima parte della Evangelium Vitae, si tratta di un fenomeno culturale che ha portato alla “deresponsabilizzazione dell’uomo verso il suo simile”, al venir meno della solidarietà verso i membri più deboli della società (an-ziani, ammalati, immigrati, bambini) e all’indifferenza che spesso si registra nei rapporti tra i popoli. Stigmatizzato come “cultura della morte”, esso si contrappone in uno scontro drammatico ed epocale alla “cultura della vita”. Una realtà tanto vasta, di cui molto più oggi, rispetto a ieri, ci si rende con-to delle sue reali dimensioni. Una “struttura di peccato”, economicamente e politicamente sostenuta da coloro che promuovono una concezione effi-cientistica della società. Una vera e propria guerra dei potenti contro i debo-li: “Chi, con la sua malattia, con il suo handicap o, molto piu semplicemen-te, con la stessa sua presenza mette in discussione il benessere o le abitu-dini di vita di quanti sono più avvantaggiati, tende ad essere visto come un nemico da cui difendersi o da eliminare. Si scatena così una specie di “con-giura contro la vita”. La “cultura della morte” affonda le sue radici in quella mentalità che esasperando e persino deformando il concetto di soggettività, riconosce come titolare di diritti solo chi si presenta con piena o almeno in-cipiente autonomia ed esce da condizioni di totale dipendenza dagli altri e in una concezione della libertà del tutto individualistica, che esalta in modo assoluto il singolo individuo, e non lo dispone alla solidarietà, alla piena ac-coglienza e al servizio dell’altro. Quando la libertà rifiuta il suo costitutivo legame con la verità, rinnega se stessa, si autodistrugge e si dispone all’eli-minazione dell’altro.

La vita umana finisce per essere considerata alla stregua di semplice «ma-teriale biologico». Una concezione “materiale e meccanicistica”, espressione di una volontà di dominio, che negando la benché minima dignità della per-sona all’inizio, alla fine e in ogni momento della sua esistenza, ne pretende la più assoluta disponibilità, per giustificare qualsiasi pratica in nome di un arbi-trario utilitarismo. Siamo alla dittatura del relativismo, che non tollera in nes-sun modo di essere messa in discussione. Dalla sua egemonia culturale han-no origine i cosiddetti temi eticamente sensibili riguardanti l’inizio e la fine della vita umana, la realtà della famiglia, i diritti dei più deboli, cioè di coloro che sono socialmente e giuridicamente meno tutelati, oggi al centro di aspri scontri culturali, sociali e politici.

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La pastorale della salute nel Giubileo della misericordia

Salute, malattia, sofferenza e morteAnche la cura della salute, di conseguenza, viene a perdere ogni riferi-

mento al destino trascendente dell’uomo. Riconosciuta come un diritto ga-rantito per legge, la sua tutela ha condotto spesso, soprattutto nei Paesi occi-dentali, a modelli sanitari caratterizzati dall’eccessiva medicalizzazione della vita, fino a ingenerare “una sorta di atteggiamento prometeico dell’uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte” (Evan-gelium Vitae, n. 15).

Da questo approccio deriva una visione della salute come bene assoluto, chiusa in se stessa, senza un orizzonte futuro di significati. La cura quasi os-sessiva del proprio corpo, intesa semplicemente come premessa e garanzia per godere dei propri beni materiali, spesso si risolve in un mero prolunga-mento temporale dell’esistenza e di conseguenza nel rifiuto di quel percorso verso la pienezza di vita promessa da Gesù.

Anche se oggi sembra essere diventato un modello poco apprezzato e piuttosto ignorato, dobbiamo avere il coraggio di proporre e la forza di te-stimoniare la prospettiva di una vita buona, orientata a quella futura ed eter-na, quotidianamente spesa nella realizzazione dei valori morali cristianamen-te ispirati, improntati al rispetto dell’altro e alla solidarietà con i più deboli, perseguiti attraverso l’esercizio delle virtù e il sacrificio personale. Si tratta di valorizzare al meglio l’esemplarità di tante comunità cristiane e di singole te-stimonianze di fede nei vari ambienti, che proclamano la possibilità e la gio-ia di vivere una vita evangelicamente ispirata.

In contrapposizione a tanto salutismo, oggi la malattia viene vissuta come una delle situazioni più sconvolgenti che l’uomo possa affrontare nel corso della sua esistenza. Alterando le normali funzioni psicofisiche e soprattutto la percezione della propria immagine corporea, genera un drammatico e incol-mabile divario tra progetti, desideri, aspirazioni e le ristrette condizioni in cui si è costretti a viverli. Paradossalmente l’ospedalizzazione rende la persona malata ostaggio della moderna medicina, che procedendo per classificazioni, indicatori vari, definizioni concettuali di sintomi e patologie finisce per isolare il paziente nella più totale passività. Nonostante i ripetuti proclami di un suo definitivo superamento (“Salute per tutti entro il 2000, Dichiarazione dell’Uf-ficio Europeo OMS, 1984), la malattia continua ad essere una minaccia all’au-tonomia personale. Essa trascina inesorabilmente l’individuo verso l’impoten-za umana e la marginalità sociale. È sempre san Giovanni Paolo II a ricordar-

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ci che “quando prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la sofferenza appare come uno scacco insop-portabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo” (Evangelium Vitae, n. 64).

Se si rifugge dalla sofferenza, ancora più inaccettabile è la morte. Essa “in-terrompe improvvisamente una vita ancora aperta a un futuro ricco di possi-bili esperienze interessanti” (Evangelium Vitae, n. 64). Paradossalmente “di-venta invece una liberazione rivendicata quando l’esistenza è ritenuta ormai priva di senso perché immersa nel dolore e inesorabilmente votata ad un’ul-teriore più acuta sofferenza” (Evangelium Vitae, n. 64). Per il mondo contem-poraneo è sempre un’ospite sgradita, un assurdo assolutamente inconciliabile con l’esistenza umana. La cultura secolarizzata tende a rimuoverla, a renderla socialmente invisibile e ad espropriare il soggetto della sua coscienza nel mo-mento del trapasso. Altri cercano di esorcizzarne la drammaticità, riducendola ad evento banalmente naturalistico. Paradossalmente la sua morbosa spetta-colarizzazione da parte dei mass-media ne riafferma marginalità e negazione.

Il Vangelo della misericordia Sull’esempio di Gesù, che all’inizio della sua missione predicava: “Il tem-

po è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vange-lo” (M, 1,15), e manifestava con i suoi gesti e le sue parole la presenza del regno di Dio nel mondo, muovendo i cuori alla conversione e alla fede, per proclamare il Vangelo in modo incisivo agli uomini di oggi, bisogna ripartire da questo suo primo annuncio. Sono ancora i segni della sua divina presen-za misericordiosa, a rivelare anche oggi in modo efficace e credibile la realtà e l’attualità del regno di Dio in mezzo a noi. Sono questi stessi segni che in-nescano nel cuore dell’uomo quel cambiamento di conversione e quel pro-cesso di purificazione che gradualmente lo apre all’incontro con il Signore e alla piena adesione della vita alla Parola.

Vivere il servizio ai malati e ai poveri come momento fondamentale dell’u-nica missione di salvezza a cui siamo stati mandati dal Signore, rappresenta sicuramente una delle vie attraverso le quali oggi è possibile rinnovare l’an-nuncio del Regno. Se ci confrontiamo con la testimonianza fondante della Chiesa apostolica (At 5,12-16), appare evidente la necessità di rendere que-sto legame tra predicazione e servizio agli infermi sempre più intrinseco.

“La Chiesa trasmette la fede che essa stessa vive, celebra, professa e testi-monia” (Lineamenta, n. 13). Soltanto a partire da questa premessa, dalla co-

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stante accoglienza della parola di Dio e dalla docilità allo Spirito Santo che la guida verso tutta la verità, essa ritrova la forza apostolica necessaria per com-piere oggi la sua missione. La meditazione del messaggio rivelato ha porta-to san Giovanni Paolo II alla conclusione che “in Gesù, Verbo della vita, vie-ne quindi annunciata e comunicata la vita divina ed eterna. Grazie a tale an-nuncio e a tale dono, la vita fisica e spirituale dell’uomo, anche nella sua fase terrena, acquista pienezza di valore e di significato: la vita divina ed eterna, infatti, è il fine a cui l’uomo che vive in questo mondo è orientato e chiama-to. Il Vangelo della vita racchiude così quanto la stessa esperienza e ragione umana dicono circa il valore della vita, lo accoglie, lo eleva e lo porta a com-pimento” (Evangelium Vitae, n. 64). Più avanti Giovanni Paolo II aggiunge che “all’uomo Dio ha conferito una dignità quasi divina, riconoscibile in ogni bimbo che nasce e in ogni uomo che vive” (Evangelium Vitae, n. 84).

Secondo il disegno di Dio nel concetto di vita si distinguono tre livelli fon-damentali di significato: il livello biologico (bios), che l’uomo condivide con gli altri esseri viventi; quello della vita spirituale (psiche), che nell’uomo de-riva dal principio spirituale dell’anima e che gli conferisce la qualità di perso-na unica e irripetibile; infine il nuovo piano della partecipazione alla vita di-vina (zoè), mediante la grazia della vita soprannaturale. Questi tre livelli sono in relazione tra loro e strettamente collegati l’uno all’altro, perché ognuno è fondamento di ciò che lo segue e sbocco e compimento di ciò che lo prece-de. La dimensione biologica, per esempio, per il suo sviluppo e compimento è orientata verso le altre due. A sua volta essa è il loro fondamento.

La riflessione sul Vangelo della vita ci dice che in ogni vita umana, anche nella sua fase terrena, in quanta aperta verso il suo compimento divino ed eterno, annunciato e comunicato da Gesù, Verbo della vita, con il suo farsi uomo e soprattutto attraverso il mistero della sua passione, morte e Resurre-zione, già si realizza l’incontro tra l’uomo e Dio. La dignità quasi divina e il presupposto di quell’incontro “che non lascia più nulla come prima, ma as-sume la forma della ‘metanoia’, della conversione, come Gesù stesso chiede con forza” (Evangelium Vitae n.19). Ora, poiché nessuno dal momento del suo concepimento in poi, non può ‘non vivere’ e la vita di ciascuno è molto di più di quello che nel corso dell’esistenza terrena riesce a sviluppare, a rea-lizzare, ad esprimere, a manifestare e a godere, molto più anche della autoco-scienza psicologica e morale, dobbiamo riconoscere che ogni uomo è icona di Gesù Cristo. Come dice Gesù nel Vangelo, Dio ci attira a sé, anche soltan-

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to per mezzo della vita in forza di questa sua qualità “quasi divina”. Saremmo tentati di dire che la vita ci conduce a Dio, più di quanto noi stessi possiamo avvicinarci a lui con la nostra affettività, moralità e religiosità.

Il Vangelo della vita per la nuova evangelizzazioneIl fondamento religioso della vita umana, messo in evidenza dalla rifles-

sione sul Vangelo della vita, tocca e riguarda ogni sua dimensione, ogni suo aspetto e ogni sua manifestazione. Quando Gesù, nella sua infinita miseri-cordia di Buon Samaritano, si chinava a curare gli uomini e le donne del suo tempo piagati e feriti nel corpo e nello spirito, fissandoli negli occhi (cfr. Mc 10,21) egli guardava alla loro realtà totale: umana, divina ed eterna per tro-vare in essa il fondamento della sua azione salvifica. E dopo aver rinnovato e trasformato con la potenza dello Spirito Santo tutta la loro vita, fino alla sua massima pienezza, (cfr. Gv 10,10) egli dava loro la prova dell’avvenuto “in-contro salvifico” dicendo: “Figlia, la tua fede ti ha salvata” (Mc 5,34).

Questo mistero di misericordia, capace di aprire qualsiasi cuore all’incon-tro con Dio, si è manifestato e si manifesta ancora a noi, soprattutto nella te-stimonianza eroica di tanti santi, come per esempio in quella di san Pio da Pietrelcina. Quel suo fissare lo sguardo sull’anima delle persone che incon-trava, fino a muoverle alla conversione, come faceva Gesù, rappresenta per la Chiesa non soltanto un esempio, ma soprattutto un paradigma da coniuga-re in un percorso di evangelizzazione capace di raggiungere il cuore di qual-siasi uomo in ogni tempo e luogo, per orientarlo alla conversione nell’incon-tro con il suo Dio, Creatore e Salvatore.

Se è vero infatti che l’annuncio del Vangelo e una questione anzitutto spi-rituale, la Chiesa per rinnovarsi nella sua originaria qualità spirituale e com-parire davanti al suo Sposo tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata ha bisogno prima di tutto di riscoprire e di riappropriarsi del sapiente disegno divino sulla vita umana, che ha un solo nome, Gesù Cristo. Questo progetto, nella sua semplicità e per mezzo delle dinamiche inscritte dal Creatore tra i suoi distinti livelli: biologico, spirituale e divino-eterno, rappresenta il fondamento e la giusta premessa per lo svi-luppo di una vita secondo lo Spirito Santo (cfr. Ef 2,22) e ad immagine del nuovo Adamo (cfr. 1Cor 15,45). Insomma, la Chiesa deve tornare a prender-si cura prima di tutto della propria anima, per essere poi capace di “guarire” (Lc 9,2) l’anima di coloro ai quali e mandata.

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Tenendo presente che un progetto di vita ispirato dal Vangelo racchiude quanto la stessa esperienza e ragione umana dicono circa il valore della vita, lo accoglie e lo eleva fino al suo compimento, nonostante le difficolta che so-prattutto oggi la Chiesa incontra nella sua missione evangelizzatrice sul piano del confronto con il mondo scientifico e culturale in genere, mai deve venire meno la fiducia nella presenza e nel disegno salvifico di Dio Creatore e Padre misericordioso. A noi, come discepoli di Cristo, è richiesto di vivere e di an-nunciare il Vangelo in ogni situazione, con una capacita di ascolto accogliente, di dialogo rispettoso e di stima sincera delle persone e delle diverse imposta-zioni di pensiero da esse rappresentate (cfr. Instrumentum Laboris, n. 154).

Misericordia e guarigionePer chi opera in abito sanitario è quanto mai importante saper accompa-

gnare le persone attraverso il grande mistero dell’iniquità (cfr. Giovanni Pa-olo II, Reconciliatio et poenitenti, n. 14) nel quale si vedono immerse e dal quale si sentono oppresse, soprattutto nel momento della malattia, per orien-tarle verso la rigenerante esperienza della misericordia di Dio, tanto straordi-naria e sorprendente per ogni uomo, quanto altrettanto fondamentale per la fede di ciascuno di noi. È facile sentire persone malate, o loro familiari, ac-cusare Dio di essere ingiusto e responsabile del male che si patisce. Il vitti-mismo invece tiene l’uomo legato al peccato. Per scrollarsi di dosso questo giogo (cfr. Rm 6,16) e trovare una via d’uscita alla schiavitù è importante in-vitare alla lode. Attraverso di essa si impara a riconoscere il Dio provviden-te e i doni con i quali egli sempre ci circonda. Soltanto allora, come il figliol prodigo, sarà possibile rientrare in se stessi (cfr. Sal 71,1 ss) provare dolore per il male commesso, desiderare una vita nuova e iniziare una profonda re-visione di vita. È il momento della guarigione interiore, fondamento di ogni altro processo terapeutico e di salvezza, conseguenza dell’incontro con la mi-sericordia di Dio e del suo tocco interiore, l’unico amore capace di chinarsi su ogni miseria umana, anche su quella che nasce dalla ribellione o addirit-tura dalla stessa negazione di Dio stesso. E Gesù questa volta, non l’apostolo Tommaso (cfr. Gv 20,27), a mettere il dito nelle nostre piaghe, prendendo su di sé tutta la finitezza umana per rinnovarla e assegnarle un destino eterno. Tutta la missione, e ancor più, tutta la persona di Figlio Unigenito del Padre (cfr. Gv 1,14) hanno una valenza sanante, comunicata attraverso la sua carne (cfr. Gv 6,55) a coloro che l’accolgono (cfr. Gv 1,12). Una sempre maggiore

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integrazione tra annuncio, celebrazione dei sacramenti e cura degli infermi, permetterà alla Chiesa di meglio dispensare agli uomini questi doni di grazia.

Ogni esperienza che si voglia qualificare come cristiana, non può pre-scindere dal principio della comunione, a cui tutto si deve conformare. Per sentire il fratello di fede nella profonda unità del corpo mistico, per vedere ciò che di positivo c’è nell’altro, per valorizzarlo ed accoglierlo come dono di Dio, per essere capaci di fargli spazio e di portare gli uni i pesi degli al-tri (Gal 6,2), respingendo le tentazioni egoistiche delle passioni, della gelo-sia, dell’invidia, della diffidenza, dell’ipocrisia, della falsità, della competizio-ne e del carrierismo è necessario lasciarsi guidare da Gesù verso il mistero della vita trinitaria di cui egli ci ha resi partecipi. Attraverso questa realtà di comunione e di amore la Chiesa si manifesta “in qualche modo sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, n. 11) Soltanto dentro questa comunio-ne di amore ogni sofferenza viene riscattata da quell’assurdo in cui l’ha con-finata la cultura della morte. Parlare della sofferenza come di una chiamata (cfr. Salvifici Doloris, n. 23), pretendere addirittura di dargli un senso, fino al punto di parlare del Vangelo della sofferenza (cfr. Salvifici Doloris, nn. 25-27) è un azzardo insopportabile per il mondo di oggi, anche se alla fine ri-mane comunque un mistero senza soluzione. Per questo si deve maggior-mente valorizzare la missione di tutti coloro che vivono la propria sofferen-za in unione al mistero redentivo di Cristo, completando ciò che manca alla sua passione e compensando per tutti noi a quella carenza abissale di amore che oggi c’è nel mondo.

Il punto d’arrivo del nostro catecumenato sanitario-terapeutico è la spe-ranza che non delude. La speranza cristiana si fonda sulla certezza delle pro-messe divine, di cui siamo già partecipi, anche se non ancora in pienezza. Vi-vere pensando al paradiso, desiderarlo, guardare alle realtà ultime della no-stra vita fa bene all’anima e a tutta la vita dell’uomo. Soltanto la speranza di un traguardo tanto straordinario può essere il fondamento di un’autentica li-bertà interiore, rispetto a tutte le realtà umane di cui rischiamo di diventa-re schiavi e vittime. La speranza cristiana dà senso “alla vita e alla storia e al camminare insieme” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, n. 4). È la spe-ranza che ci fa capire come la vittoria di Cristo su peccato, sofferenza, male e morte è già avvenuta ed è definitiva. Annunciare, celebrare e servire ogni giorno il “Vangelo della Speranza” diventa così la ragione per un rinnova-

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to impegno di continua conversione, per una vita sempre più evangelica e il modo migliore per partecipare alla missione della nuova evangelizzazione.

Il malato soggetto attivo nella ChiesaIn una delle propositiones finali della XIII Assemblea Ordinaria del Sino-

do da poco conclusasi, si è parlato esplicitamente dell’importanza del ma-lato per la Chiesa e per la nuova evangelizzazione. In quanto partecipe del mistero pasquale e per la presenza di Cristo in lui, egli diffonde la luce della fede sul mistero della sofferenza umana e diventa “una forza missionaria” per chiunque lo incontri. Nonostante l’autorevolezza delle affermazioni, dobbia-mo nostro malgrado rilevare che nella Chiesa il tema della sofferenza non è sentito importante da tutti allo stesso modo e non è ancora considerato una via privilegiata di annuncio e di offerta di salvezza e di speranza per l’umani-tà di oggi. Mentre a ben guardare è una delle poche realtà che può davvero rappresentare un punto d’incontro nel contesto della frammentazione cultu-rale e religiosa dei nostri giorni e una prospettiva che permetterebbe un’au-tentica comprensione di tutto l’uomo e di ogni uomo.

La diaconia della carità verso i malati si fonda quindi sulla considerazione del malato come “soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazio-ne e di salvezza”, che ha una missione da svolgere verso la Chiesa e la so-cietà: insegnare al mondo intero che cos’e l’amore vissuto nella malattia (cfr. Christifideles Laici, n. 53). Con la sua testimonianza di vita egli allarga lo spa-zio di Dio e per Dio nella storia, annuncia il Vangelo in modo credibile e au-tentico, invoglia a rinnovare la scelta per Cristo sofferente e ad amare la pro-pria vita, fino ad abbracciare tutti i dolori dell’uomo.

Per poter sostenere e promuovere l’uomo che soffre come soggetto, la pa-storale sanitaria deve proporre un ‘nuovo’ modo di pensare, un sapere co-mune e condiviso da tutti i credenti e strategie operative capaci di responsa-bilità, in rapporto alle concrete situazioni. Suo paradigma per eccellenza sarà la liturgia con al centro il mistero pasquale, offerto come evento di salvezza agli uomini e in grado di orientare la vita alla sequela del Signore. In essa si rende così presente la grazia della Resurrezione di Cristo, che trasforma an-che la dimensione fisica dell’esistenza.

Per essere sacramento universale di salvezza (cfr. Lumen Gentium, n. 1) la Chiesa deve fare proprio l’atteggiamento di continua conversione ed acco-gliere il dono della riconciliazione del Signore, che la risana e la rende capa-

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ce di compiere la sua missione, la cui efficacia è strettamente legata alla sua “salute” e allo spirito di pace che la anima.

Più la Chiesa si riconoscerà e si presenterà come comunità ferita, sanata e più sarà nel mondo fattore sanante. Lo devono essere soprattutto le Chiese locali. Loro compito è aiutare gli uomini a trovare il senso della malattia, ad intraprendere un vero percorso di guarigione, fino all’accettazione dell’insa-nabile. Una salute pienamente umana comprende il “sì” alla sofferenza (cfr. Col 1, 24; Salvifici Doloris, n. 1) alla compassione e insieme all’azione sanan-te e solidale.

guidati da papa FrancescoNell’impegno di sviluppare, e anzitutto di vivere, una Pastorale sanitaria

nutrita dall’amore di Dio verso ogni suo figlio, specie se sofferente e mala-to, ci sarà di sostegno la testimonianza evangelica di papa Francesco e il suo amore verso i più poveri e fragili.

Nel suo insegnamento è costante l’invito alla Chiesa di non chiudersi mai in se stessa, ma di uscire per portare l’annuncio del Vangelo fino alle “perife-rie” esistenziali, comprese quelle del dolore e delle malattia.

Nell’incontro con i fedeli in Piazza san Pietro, mercoledì 5 giugno 2013, papa Francesco ha denunciato con forza come gli stessi strumenti di comu-nicazione oggi tendano a dare sempre più risalto al valore del denaro, dei giochi finanziari, dimenticando la sofferenza attuale delle persone, il cresce-re della povertà in tutti i Paesi, la mancanza di lavoro, le ingiustizie socia-li esistenti.

Ha sottolineato come la persona umana, la sua dignità, la sua stessa vita sembra non contare. Spesso la vita dei bambini e degli anziani sembra in-gombrante, così come la vita dei disabili e delle persone malate.

Eppure se non si parte dalla persona con la sua inviolabile dignità, dalla cura e difesa della vita, si smarrisce il valore più grande che è l’umanità, sen-za la quale nessuno dei problemi che siamo chiamati ad affrontare anche so-cialmente, potranno trovare risposte.

Si tratta di un invito a riprendere nuova consapevolezza e fiducia nella luce e nella forza che può venire dal Dio dell’amore, se da noi accolto con una fede realmente vissuta e comunicata, come segno di una speranza che non delude e come sorgente di una gioia che solo in lui può essere speri-mentata. ■

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In molti sostengono che il sacramento della riconciliazione sia ormai en-trato in una sorta di crisi irreversibile. Le motivazioni addotte sono le più va-riegate. Si passa dalla non esigenza della grazia sacramentale alla confessione fai da te. Dietro la disaffezione al sacramento in realtà vi è una crisi ben più profonda, che attraversa in modo trasversale la cultura odierna, la crisi della fede, dell’incontro vero con Gesù Cristo che stravolge la vita.

In questi pagine – a partire da una rapida ricostruzione del faticoso cam-mino del sacramento della confessione così come si è andato a strutturare nel tempo secondo le indicazioni magisteriali – ci soffermeremo sulla ministeria-lità del confessore per ricordarne i compiti principali.

Nelle riflessioni che propongo di seguito, sul sacramento della confessio-ne oggi, il mio auriga sarà sant’Alfonso M. de Liguori (1696-1787) patrono dei confessori e dei moralisti.

1. La confessione oggiIn molti leggono la confessione semplicemente all’interno del contesto

morale del rispetto delle norme. Già papa Benedetto XVI ci ha ricordato che «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, n. 1). Spes-so si dimentica che l’incontro con Cristo dona gioia ed unità all’esistenza. Uno dei luoghi privilegiati, che oggi come sacerdoti abbiamo per far speri-mentare l’incontro salvifico con Cristo, è proprio il sacramento della confes-sione che, per fortuna, nel nostro contesto sociale, abbiamo ancora la pos-sibilità di esercitare sia pur sporadicamente in alcuni momenti dell’anno li-turgico.

Lo stesso papa Francesco ci ha ricordato che l’incontro con Gesù è un in-contro che apre alla gioia, perché «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano sal-vare da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’i-

Celebrare il sacramentodella riconciliazione oggi

Alfonso V. AmaranteProfessore dell’Accademia Alfonsiana, è membro della Provincia Redentorista di Napoli

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solamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Evangelii gau-dium, n. 1).

Purtroppo molto spesso nell’esercizio quotidiano i confessori, per molte-plici motivi, riducono la prassi del sacramento della riconciliazione ad una fu-gace e sbrigativa assoluzione dai peccati più che aprire il penitente all’incon-tro con Cristo. Da parte dei penitenti la pratica sacramentale sovente è ridotta ad un incontro dove si comunica in modo generale come peccato quelli che si intuiscono come azioni e mancanze che creano disagio. In molti scambia-no il confessionale come luogo per lamentarsi dei presunti torti subiti, il luo-go per accusare i peccati altrui o ancora come il luogo predisposto per l’in-contro terapeutico dove palesare le proprie angosce e frustrazioni.

Tanti credenti non riescono a comprendere la necessità dell’incontro con Cristo come apportatore della salvezza per mezzo del sacramento della ricon-ciliazione. Si è alla ricerca della felicità senza fine dove al centro c’è la liber-tà di autoaffermazione secondo la propria volontà. Per molti i peccati volon-tari non sono tali ma, solo una forma di affermazione del proprio sé davanti all’io altrui che tende ad opprimere la propria autoreferenzialità.

In questo contesto la confessione sacramentale diventa sempre più vaga. Un orpello del tempo che fu e che oggi può essere relegato in soffitta nella scatola dei ricordi.

Invece con forza papa Francesco il 9 dicembre 2015, il giorno dopo aver aperto la porta santa del Giubileo straordinario della misericordia ha afferma-to durante l’Udienza generale che «Volgere lo sguardo a Dio, Padre misericor-dioso, e ai fratelli bisognosi di misericordia, significa puntare l’attenzione sul contenuto essenziale del Vangelo: Gesù, la Misericordia fatta carne, che rende visibile ai nostri occhi il grande mistero dell’Amore trinitario di Dio. Celebra-re un Giubileo della misericordia equivale a mettere di nuovo al centro della nostra vita personale e delle nostre comunità lo specifico della fede cristiana, cioè Gesù Cristo, il Dio misericordioso».

Questo Anno santo sulla misericordia è il momento propizio per riflette-re sul sacramento della riconciliazione come uno dei luoghi di incontro con Cristo e per sperimentare ancora una volta – come ha affermato mons. R. Fi-sichella durante il XVII Convegno nazionale dell’Opera Romana Pellegrinag-gi ad inizio febbraio 2015 – «a toccare con mano la nostalgia di Dio e il de-siderio di far parte della comunità cristiana. È, infatti, alla luce di queste due prospettive che diventa più evidente il profondo valore che la confessione

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Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi

possiede. Spezzato il cerchio del rimanere rinchiusi in se stessi, il sacramen-to della riconciliazione permette di relazionarsi di nuovo con Dio e con i fra-telli in una maniera sempre nuova, frutto dell’avere sperimentato la miseri-cordia del Padre».

2. La penitenza nei documenti del magisteroDal lontano 1974, cioè dalla pubblicazione del nuovo Rito della Peniten-

za, che si poneva come strumento per il rinnovamento della prassi tradizio-nale, fino a giungere alla Bolla di indizione dell’Anno santo straordinario sul-la misericordia, il magistero ci ha continuamente sollecitato a riflettere sulla ministerialità del confessore.

Di seguito provo a riassumere le indicazioni più significative dei docu-menti magisteriali recenti.

Con le indicazioni della costituzione apostolica Paenitemini, promulgata da Paolo VI il 17 febbraio del 1966, giusto cinquanta anni fa, inizia il lento e faticoso rinnovamento della ministerialità del sacramento della confessione. Questa costituzione articola il discorso intorno a tre capisaldi: gli aspetti bi-blici e teologici del sacramento, gli aspetti pratici ed infine quelli normativi. Questo documento sarà la base dell’Ordo Paenitentiae del 1973 (l’edizione italiana è dell’anno successivo).

Il nuovo Ordo riprende i quattro elementi del sacramento della Riconci-liazione, individuati faticosamente durante i lavori del Concilio Tridentino (1545-1563), ma li ripresenta con un ordine diverso e ne dà una lettura nuo-va alla luce dei documenti del Concilio Vaticano II.

Se prima del Concilio Vaticano II l’assoluzione dei peccati era il centro del sacramento, con il nuovo Ordo il centro sono gli atti del penitente. Infatti a partire dalla categoria teologica della “conversione del cuore o metanoia” il nuovo Ordo mette in luce i quattro passi indispensabili per la celebrazione del sacramento, e cioè: il pentimento o contrizione, l’esame di coscienza, la confessione e la soddisfazione.

Nella teologia tridentina il ruolo del ministro era quello di giudice, con il nuovo Ordo il sacerdote è descritto come padre e pastore che accoglie e in-dirizza l’uomo alla ricerca della comunione con Dio attraverso la carità, l’e-sempio e la preghiera.

Il rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II non ha sempre sortito gli effetti sperati perché con l’affermarsi della società liquida, frutto del post

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modernismo, il sacramento della riconciliazione è stato oggetto di profonde riflessioni teologiche e canoniche e in contempo ha iniziato a registrare una disaffezione progressiva da parte dei fedeli.

Nel 1985 Giovanni Poalo II pubblica l’Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia. In questo documento, dove il Pontefice individua nel pecca-to la radice di tutti i mali della nostra società, è messa in luce la dimensione personale della riconciliazione frutto di una crescita umana sulla strada della conversione. Con forza il Pontefice richiamava lo stretto legame tra la cele-brazione del sacramento e l’impegno morale del credente e della comunità.

Nel 1997 è stato pubblicato il “Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale” dove si incontrano delle precisazioni e norme su questioni specifiche di morale.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, edito nel 1992, dedica ben 62 para-grafi al sacramento della penitenza (1422-1484), a cui ne seguono altri 13 di sintesi (1485-1498). Nel CCC troviamo una trattazione organica del quarto sa-cramento dove si cerca di tenere presenti tutte le implicanze teologiche che sono state formulate dal magistero lungo gli anni.

In occasione del grande Giubileo del 2000, il 7 marzo, veniva pubblicato il testo “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”, ad ope-ra della Commissione Teologica Internazionale. Questo testo, seppur non ri-guarda la prassi del sacramento in modo stretto, ha rappresentato un atto uni-co e senza precedenti nella storia bimillenaria del cristianesimo. Il Pontefice, a nome della Chiesa, ha chiesto perdono delle colpe commesse dai cristiani nel passato come esigenza di “purificazione della memoria”.

Infine nel 2011 è stato pubblicato dalla Congregazione per il Clero il “Sus-sidio per confessori e direttori spirituali” dove è ricordata la natura del sacra-mento della penitenza, frutto di un itinerario di conversione inserito nel cam-mino di santità.

Il richiamo al faticoso percorso storico delle indicazioni normative e pa-storali del sacramento della misericordia ci offre la chiave di lettura per com-prendere questo sacramento nel nostro oggi.

3. La ministerialità del confessoreCredo che approfondire la ministerialità dei confessori oggi sia una neces-

sità pastorale da condividere con i pastori e gli operatori pastorali per trova-re insieme uno stile accogliente che da un lato eviti di allontanare e disaffe-

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zionare i penitenti e dall’altro lato faccia sperimentare la bellezza dell’unico incontro che guarisce.

Con la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia Mi-sericodiae Vultus (da ora in MV) il Pontefice ci invita a due passi indispensa-bili: il primo quello di contemplare la misericordia e il secondo di ricordaci sempre che come confessori dobbiamo fare per primi l’esperienza di essa per poterla dispensare abbondantemente nel nostro ministero.

Il Papa dopo averci ricordati nella Misericodiae Vultus che «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre» (n. 1) indica alcuni passi indispensabili per amministrare questo grande tesoro della Chiesa «Abbiamo sempre biso-gno di contemplare il mistero della misericordia» perché «È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza» (n. 2).

Già questa prima indicazione che chiede ai confessori di immergersi nel-la contemplazione di una delle dimensioni di Dio, rivelataci dal Cristo in for-ma più piena, ci induce a riflettere su come l’amministrazione del sacramen-to della confessione ci rende partecipi dello stesso cuore trinitario della no-stra fede. Infatti donare il perdono a nome di Dio significa aprire al credente la possibilità di riprendere il cammino di comunione trinitaria interrotto dalla lacerazione del peccato. Infatti il Pontefice ci ricorda che «Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e su-premo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamen-tale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita». Questo perché la «Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato» (MV, n. 2).

Se immergerci nel mistero della misericordia in una vera contemplazione del mistero trinitario è il primo passo, quello successivo è di ricordarci come sacerdoti di rinnovare continuamente l’esperienza del perdono ricevuto «Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono» (MV, n. 17).

Alla luce di queste due istanze di fondo alcuni dati magisteriali devono ac-compagnare la nostra ministerialità nel celebrare il sacramento della Riconci-liazione, come il porre «di nuovo al centro con convinzione il sacramento del-la Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore» (MV, n. 17).

Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi

SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

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Il Pontefice ci invita quindi a mettere al centro della nostra prassi pasto-rale la riconciliazione non solamente come sacramento ma come cuore del nostro annuncio kerigmatico. A mio avviso è proprio qui che si gioca la pe-renne novità del Vangelo.

Se dimentichiamo che al centro della nostra fede c’è una Persona che an-nuncia la possibilità del continuo ritorno a Dio, se dimentichiamo che la no-stra fede ci chiede prima di amare e poi di fare, se omettiamo di ricordare che la fede non è osservanza sterile di norme ma il vissuto valoriale compreso nell’incontro con Cristo, allora sì che sarà impossibile celebrare la penitenza.

Alfonso de Liguori, Dottore della Chiesa e patrono dei confessori e dei moralisti, con forza ricorda che l’ufficio del confessore è prima di tutto «offi-cio di carità, istituito dal Redentore solamente in bene delle anime»1. Il de Li-guori afferma «l’officio di confessare è il più importante» poiché riguarda «il fine di tutte le scienze, ch’è la salute eterna», ma è anche «il più difficile, men-tre per prima l’officio di confessore richiede la notizia quasi di tutte l’altre scienze e di tutti gli altri offici ed arti; per secondo la scienza morale abbrac-cia tante materie disparate; per terzo ella consta in gran parte di tante leg-gi positive, ciascuna delle quali si ha da prendere secondo la sua giusta in-terpretazione. Inoltre ogni legge di queste si rende difficilissima per ragione delle molte circostanze de’ casi dalle quali dipende il doversi mutare le riso-luzioni». Il confessore non può perciò limitarsi a «possedere i principi gene-rali della morale», perché, pur essendo evidente che tutti i casi vanno risol-ti con i principi, «qui sta la difficoltà: in applicare a’ casi particolari i principi che loro convengono» .

Lo stesso Alfonso scriveva che «La morale è un caos che non finisce mai» per aggiungere subito dopo «Io all’incontro sempre leggo, e sempre trovo cose nuove» . L’ufficio di confessore richiede quindi un continuo aggiorna-mento scientifico accompagnato da una intensa vita di preghiera che ci per-mette di attingere alla misericordia di Dio per poterla elargire a piene mani. L’angolazione fondamentale per esercitare questo ministero è dunque quella della santità vissuta che invita alla santità.

Lo stesso papa Francesco ci ricorda che «Non mi stancherò mai di insiste-re perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi

1 A. De liguori, Istruzione e pratica per li confessori, in Opere Complete, vol. IX, Pier Giacinto Marietti, Torino 1860, p. 415.

Alfonso V. Amarante

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per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognu-no di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rima-sto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è in-giusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola inter-romperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. In-somma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situa-zione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia» (MV, n. 17).

Lo stesso Sussidio per confessori e direttori spirituali della Congregazio-ne per il Clero (2011), ricorda: «Il ministero della Riconciliazione e il servizio del consiglio o direzione spirituale si inseriscono nel contesto della chiama-ta universale alla santità come pienezza della vita cristiana e “perfezione del-la carità”. La carità pastorale nella verità dell’identità sacerdotale deve portare il sacerdote a proiettare tutti i suoi ministeri verso la prospettiva della santità, che è armonizzazione di pastorale profetica, liturgica e diaconale. È parte in-tegrante del ministero sacerdotale rendersi disponibili ad orientare tutti i bat-tezzati verso la perfezione della carità» (n. 4). Approfondendo poi il Ministero della penitenza e della riconciliazione nella prospettiva della santità cristiana (parte prima), si ricorda che «la celebrazione del sacramento della Riconcilia-zione si inserisce nel contesto di tutta la vita ecclesiale, soprattutto in rappor-to al mistero pasquale celebrato nell’Eucaristia e facendo riferimento al Batte-simo vissuto e alla Confermazione, e alle esigenze del comandamento dell’a-more. È sempre una celebrazione gioiosa dell’amore di Dio che dà se stes-so, distruggendo il nostro peccato quando lo riconosciamo umilmente» (n. 8).

4. La fiducia dell’abbraccio nel cuoreOggi esercitare il ministero del confessore è un compito per nulla faci-

Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi

SPECIALE CONVEGNO LEGA SACERDOTALE MARIANA

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le. È essenziale durante la catechesi sottolineare che la Confessione è un sa-cramento di guarigione e come ogni percorso di risanamento dona la gioia.

Va ricordato ancora che l’esame di coscienza va vissuto non guardando noi stessi ma Cristo crocifisso. È il Cristo che fa comprendere i limiti del pec-cato. È il Cristo che ridona senso nuovo alla nostra vita facendoci compren-de le possibilità che offre il vero amore rispetto alla chiusura e all’egoismo. In quest’ottica l’esame di coscienza più che essere uno sterile elenco di col-pe può diventare il momento in cui si comprende cosa si è lasciato chiuden-doci all’amore vero.

Inoltre papa Francesco ha ricordato durante l’Udienza generale del 3 febbraio 2016 che misericordia e giustizia non sono inconciliabili. I confes-sori non sono giudici perché, afferma il Pontefice, «Se pensiamo all’ammi-nistrazione legale della giustizia, vediamo che chi si ritiene vittima di un so-pruso si rivolge al giudice in tribunale e chiede che venga fatta giustizia. Si tratta di una giustizia retributiva, che infligge una pena al colpevole, secon-do il principio che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. […] Ecco allora un altro modo di fare giustizia che la Bibbia ci presenta come strada maestra da percorrere. Si tratta di un procedimento che evita il ricor-so al tribunale e prevede che la vittima si rivolga direttamente al colpevole per invitarlo alla conversione, aiutandolo a capire che sta facendo il male, appellandosi alla sua coscienza. In questo modo, finalmente ravveduto e riconoscendo il proprio torto, egli può aprirsi al perdono che la parte lesa gli sta offrendo».

Certamente questa dinamica che indica il papa è affascinante ma non è fa-cile da attuare a causa della forma mentis che per secoli ha pervaso la nostra società. Non bisogna dimenticare che la vera crescita spirituale si fonda sulla crescita umana. Solo l’uomo capace di ammettere le proprie colpe e chiede-re scusa sarà capace di riconciliarsi e di perdonare. Come confessori questo compito di formare coscienze adulte non possiamo delegarlo ad altri. Come confessori è essenziale riscoprire l’esigenza del cammino sapendo che ogni penitente ha davanti a sé una strada irta di ostacoli e soste improvvise. È in-dispensabile porre l’accento non tanto su cosa il penitente deve compiere ma sull’esperienza dell’anticipo misericordioso del perdono, che rende possibile il procedere graduale nel cammino di conversione e di guarigione.

Perché ciò avvenga però bisogna che il penitente che si presenta a noi lo si “Abbracci nel cuore” «quando si accosta un di costoro, se l’abbraccia-

Alfonso V. Amarante

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no dentro il cuore e si rallegrano quasi victor capta praeda, considerando di aver la sorte allora di strappare un’anima dalle mani del demonio»2.

5. I compiti del confessoreAlfonso de Liguori ricorda al confessore i quattro compiti fondamentali

che esplica nel ministero: padre, medico, dottore e giudice.Chi sia avvicina al sacramento della Penitenza spesso vive situazioni limi-

te. A volte i penitenti non hanno maturato un vero pentimento; altre volte il cammino di distacco dal male è reso difficile da situazioni ambientali che non sempre si possono cambiare. Al di là dell’intenzioni con cui si presenta il pe-nitente come confessori siamo sempre chiamati ad accoglierli.

Accogliere significa sapere ascoltare le angosce e comprendere la situazio-ne dell’altro che ci è di fronte in modo rispettoso «Abbiamo bisogno di eser-citarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comu-nicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimi-tà, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla con-dizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risveglia-re il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amo-re di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita» (Evangelii gaudium, n. 171).

Solo un padre che sa ascoltare sarà capace di individuare, come medico, la malattia del penitente. Il patrono dei confessori ci ricorda che «Il confesso-re, affine di ben curare il suo penitente, deve per prima informarsi dell’ori-gine e cagioni di tutte le sue spirituali infermità». Solo così sarà possibile «far la correzione, disporre il penitente all’assoluzione ed applicargli i rimedi»3.

Il primo e indispensabile rimedio è l’apertura alla verità mediante l’esorta-zione: «Informatosi il confessore dell’origine e della gravezza del male, pro-ceda a far la dovuta correzione o ammonizione. Sebben egli come padre dee con carità sentire i penitenti, nulladimeno è obbligato come medico ad am-monirli e correggerli quanto bisogna… E ciò è tenuto a farlo anche con per-sone di conto, magistrati, principi, sacerdoti, parroci e prelati, allorché questi si confessassero di qualche grave mancanza con poco sentimento».

2 A. De liguori, Pratica del confessore, cap. I, § 1, n. 3. 3 A. De liguori, Pratica del confessore, cap. I, § 1, n. 5.

Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi

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All’ufficio di medico viene ricondotto anche il discernimento nel il percor-so di conversione più adeguato al penitente: «In fine il confessore dee atten-dere ad applicare i rimedi più opportuni alla salvezza del suo penitente, con dargli quella penitenza che più conviene al suo male, e che all’incontro que-gli verosimilmente sarà per adempire».

Il peccato rende fragile l’uomo ma non deturpa il volto di Dio che è in ognuno di noi. Se il medico deve diagnosticare la malattia, il confessore in-vece deve presentare la verità salvifica al penitente.

Come quando si è ammalati le medicine che si sono somministrate rispet-tano una posologia per non uccidere il degente, così la verità salvifica, che è amministrata dal confessore, deve rispettare le tappe e i tempi di formazione della coscienza. Lo stesso Giovanni Paolo II ci ha ricordato «l’uomo, chiama-to a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un es-sere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita»4. Lo stesso papa Francesco ci ricorda che «senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno» per far sì che a tutti giunga “l’amore salvifico di Dio”.

Infine, in quanto giudice, il confessore «per prima dee informarsi della coscienza del penitente, indi dee scorgere la sua disposizione, e per ultimo dare o negare l’assoluzione». Alfonso ricorda che prima di tutto il confesso-re deve prestare aiuto ai penitenti non sufficientemente preparati, avverten-do che «mal fanno quei confessori che licenziano i rozzi, affinch’essi meglio esaminino la loro coscienza»5 .

Il giudice non è chiamato a dare una sentenza unica ed inappellabile. Il suo compito principale è di aiutare la coscienza del penitente a ricevere l’as-soluzione perché il confessore prima di tutto è padre e medico.

ConclusioneNella nostra società il sacramento della Riconciliazione non sempre è vi-

sto dai fedeli come momento peculiare di incontro salvifico e di formazio-ne della coscienza. Questa situazione non deve scoraggiarci. Il Giubileo del-la misericordia è un momento di grazia per far sperimentare ai penitenti l’in-

4 Familiaris consortio, n. 34. 5 A. De liguori, Pratica del confessore, cap. I, § 4, n. 19.

Alfonso V. Amarante

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contro con Cristo. Occorre guardare avanti con fiducia, come lo stesso Papa ricorda riferendosi all’iniziativa delle “24 ore per il Signore”, perché in tanti «in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita» (MV, n. 17).

Come confessori non possiamo mai dimenticare che il nostro compito è di abbracciare nel cuore il penitente per trovare insieme con lui la via del ri-torno al Padre.

In questa prospettiva l’ascolto che nasce dalla confessione deve essere so-prattutto da padre che vuol fare sperimentare l’amore più grande del Padre celeste, e da medico che vuole aprire al Medico celeste. ■

Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi

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Dalla prevenzione all’educazioneLa sfida della cultura della prevenzione

e della salute1

(seconda parte)

1. Dalla prevenzione all’educazione: il contributo dell’oMSLe riflessioni finora condotte, sebbene in modo sintetico, permettono di

cogliere gli elementi essenziali per fare una lettura pedagogicamente signi-ficativa del concetto di prevenzione. Lo sviluppo della riflessione mutuata da diverse prospettive disciplinari, lascia intravedere la maturazione di un sempre più chiaro approccio pedagogico alla prevenzione. Si tratta, a mio avviso, di una conversione pedagogica del concetto di salute o di prospetti-

1 Il presente lavoro è stato pubblicato con lo stesso titolo sia in chinello Maria Antonia - ottone Enrica - ruffinAtto Piera (a cura di), Educare è prevenire. Proposte per educatori, 2015, 41-90, sia nella Rivista di Scienze dell’Educazione: chAng Hiang-Chu Ausilia, Dalla prevenzione all’educazione. La sfida della cultura della preven-zione e della salute, in Rivista di Scienze dell’Educazione 53(2015)2, 202-223; ID., Dalla prevenzione all’educazione. Verso una conversione pedagogica del concetto di salute, in Rivista di Scienze dell’Educazione 53(2015)3, 350-366.

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AREA UMANISTICA

pp. 249-269

L’articolo affronta il concetto poliedrico della prevenzione nell’attuale contesto in cui tale realtà occupa uno spazio rilevante della cultura, in svariati ambiti

della convivenza umana e nella vita quotidiana. L’intento è quello di mettere in luce come nel mondo, segnato da forti contrasti, emerge sempre più l’esigenza di un’azione preventiva in linea con un intervento promozionale multidimensionale

che si identifica, infine, con l’atto stesso dell’educare in prospettiva integrale.La prima parte dell’articolo è stata pubblicata sul numero 2/2016

di questa rivista, alle pagine 154-180.

Hiang-Chu Ausilia ChangDocente di Didattica generale e di Pedagogia comparata

presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione «Auxilium» (Roma)

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Dalla prevenzione all’educazione

AREA UMANISTICA

va pedagogica della salute e, di conseguenza, di un passaggio dalla preven-zione alla promozione e all’educazione propriamente detta. Per meglio giu-stificare tale affermazione è necessario sondare la riflessione sul concetto di salute maturata nelle sedi internazionali, e promossa soprattutto dall’OMS, che si esprime sia come Life Skills, come anche «abilità di adattamento e di autogestione».

1.1. Verso una conversione pedagogica del concetto di saluteNella Conferenza di Alma Ata, svoltasi nel 1978, la salute è stata ricono-

sciuta diritto umano fondamentale di tutti. È dunque logico che, oltre la pre-venzione delle malattie, la ricerca sia stata orientata anche alla promozione della salute nel senso soprattutto di prevenzione universale.

1.1.1. Dalla prevenzione di malattie alla “promozione della salute”Mentre il verbo “prevenire” si riferisce a quelle azioni che si compiono per

difendere da, il “promuovere” indica azioni/iniziative per / in vista di / verso. Ora, il termine promozione è tipicamente pedagogico: basti pensare alla nota definizione di educazione, di s. Tommaso d’Aquino: «Promotio prolis usque ad perfectum statum hominis in quantum homo est, qui est virtutis status».2

In questo caso, però, parlare del passaggio dalla prevenzione di malat-tie alla promozione della salute non significa misconoscere l’importanza del-la prima azione, né tantomeno vuol dire sostituirla per mezzo della secon-da, quanto piuttosto, si mette in evidenza la necessità che le due azioni siano integrate, nella consapevolezza della indispensabile prospettiva - direi - pe-dagogica e sociale della seconda.3 Promuovere, infatti, significa sempre fare un’azione pedagogica e sociale. Quello che si viene dicendo, rappresenta quanto in realtà è avvenuto nel tempo, e cioè, il passaggio dalla definizione negativa di salute intesa come assenza di malattie, a quella positiva concepi-

2 tommAso D’Aquino, Summa theologica, Suppl. III P., 41.1.3 «La scelta tra terapia e prevenzione, tra cura e promozione non va risolta a fa-

vore dell’una o dell’altra, disconoscendo relazioni fondanti dell’azione quotidiana in campo scientifico; va forse risolta in un modo dialogico che dia vita ad una relazione comunicazionale, conservando tuttavia antagonismo e complementarietà: il circolo vizioso va reso virtuoso, capace cioè di moltiplicare possibilità e alternative di azio-ne» (sAccheri Tullia, L’equivoco terapeutico. Promozione della salute e negoziazione sociale, Milano, FrancoAngeli 2000, 138). L’auspicio è quello di acquisire «uno spazio di autonomia e di pari dignità interlocutoria» (l.cit).

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Hiang-Chu Ausilia Chang

ta come stato di benessere, considerazione andatasi affermando a partire dal 1948 grazie all’OMS.4

Per quanto riguarda la prevenzione delle malattie, nel Glossario OMS si puntualizza: «Talvolta, prevenzione delle malattie è utilizzato come termine complementare di promozione della salute. Sebbene vi sia una frequente so-vrapposizione tra le due voci rispetto al contenuto e alle strategie, viene co-munque data una definizione separata di prevenzione delle malattie. In que-sto specifico contesto, è considerata un’azione svolta solitamente dal settore sanitario e diretta ad individui e popolazioni che presentano fattori di rischio riconoscibili, spesso associati a diversi comportamenti a rischio».5

Il passaggio teorico dalla prevenzione alla promozione della salute è avve-nuto verso la seconda metà degli anni ’80, quindi dopo quasi trent’anni anni dalla definizione conosciuta a livello mondiale. Nel 1984 l’OMS elaborò un Glossary of Terms used in Health for All che sarebbe servito di base sia per la prima edizione dell’Health Promotion Glossary (1986), sia per le riflessioni svolte alla Conferenza internazionale di Ottawa, celebrata nel 1986,6 che poi costituì il punto di riferimento fondamentale delle successive riflessioni pro-poste sulla salute. D’allora in poi sono costantemente ribaditi sia il carattere

4 Secondo Michaela Liuccio, docente di Sociologia della salute e della medicina presso l’Università La Sapienza di Roma, la promozione della salute si è sviluppata a partire dalla metà degli anni ’70 per varie ragioni: crisi di efficacia delle tecnolo-gie mediche tradizionali; declino delle patologie infettive; emergere delle patologie cronico-degenerative; crescita della popolazione anziana e sovraccarico di domanda per i servizi sanitari; promozione della salute per modificare stili di vita, per ridurre la spesa sanitaria e il sovraccarico dei servizi; cambiamento etico: passaggio di respon-sabilità dal pubblico al privato, dalla dimensione politica alla dimensione individuale; contesto europeo/americano: dalla salute come diritto del cittadino a responsabilità personale per la propria salute (cfr. liuccio Michaela, Nuova cultura della salute, in http://www.skuola.net › ... › Interfacoltà › Sociologia della salute e della medicina [06-12- 2011]).

5 Glossario OMS 5.6 La prima conferenza internazionale sulla promozione della salute venne or-

ganizzata dall’OMS nel 1986 (a Ottawa, 17-21 novembre) al termine della quale ven-ne adottata la cosiddetta Carta di Ottawa. Le successive conferenze si sono svolte rispettivamente a Adelaide (1988), Sundsvall (1991), Tokio (1994), Jakarta (1997), Bangkok, Ginevra, Pattaya (Thailandia). In realtà, l’OMS si è occupato costantemente del problema sia dell’educazione alla salute, sia della formazione degli operatori a tale scopo, in particolare negli anni 1950, 1954, 1958, 1960, 1964, 1974, 1992, 1996.

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Dalla prevenzione all’educazione

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dinamico e interattivo della salute individuale o di gruppo con l’ambiente di vita, sia la conseguente responsabilità sociale per la salute.

1.1.2. La Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986)Oltre al documento della 1a Conferenza Europea dei Ministri sull’educa-

zione alla salute (1981) cui si è fatto cenno, merita un’attenzione particolare la prima Conferenza internazionale sulla promozione della salute, svoltasi a Ottawa (17-21 novembre 1986), organizzata unitamente dall’OMS, dal Mini-stero Canadese della Sanità e del Benessere Sociale e dall’Associazione Cana-dese di Sanità Pubblica. In essa venne adottata la cosiddetta Carta di Ottawa per la promozione della salute (Ottawa Charter for Health Promotion), che rappresenta un documento di fondamentale importanza, soprattutto dal pun-to di vista pedagogico, in quanto la Conferenza, a partire dal suo stesso tito-lo, studia la questione dalla precisa ottica promozionale della salute.

Secondo la Carta, «la promozione della salute è il processo che conferisce alle popolazioni i mezzi per assicurare un maggior controllo sul loro livel-lo di salute e migliorarlo. Questo modo di procedere deriva da un concetto che definisce la salute come la misura in cui un gruppo o un individuo pos-sono, da un lato, realizzare le proprie ambizioni e soddisfare i propri bisogni e dall’altro, evolversi con l’ambiente o adattarsi a questo. La salute è dunque percepita come risorsa della vita quotidiana e non come il fine della vita: è un concetto positivo che mette in valore le risorse sociali e individuali, come le capacità fisiche. Così, la promozione della salute non è legata soltanto al settore sanitario: supera gli stili di vita per mirare al benessere».7

Della salute, quindi, si parla espressamente in termini e in prospettiva pro-mozionale, significato vicino al concetto di educazione, per cui la si può con-siderare una visione propriamente pedagogica della salute e la prevenzione, secondo questa ottica, è vista come promozione in positivo in riferimento a tre principi direttivi esplicitamente elencati e visti in modo unitario, ossia so-

7 La Carta di Ottawa non ha numerazione dei paragrafi. Nel citare utilizzo la versione italiana tradotta da L. Colaianni. Con questo documento si entra in un nuo-vo modo di concepire la salute e il benessere nella visione olistica che supera, anzi mette in discussione, sia il business sempre più esteso dei prodotti farmaceutici e delle politiche sanitarie, sia la prassi sanitaria assistenziale di molti paesi che si limita principalmente alle prestazioni medico-farmaceutiche. Il concetto di promozione era presente già nel documento della 1a Conferenza Europea dei Ministri (Madrid 1981).

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lidarietà, olismo ed ecologia considerati come «dimensioni indispensabili per l’elaborazione di strategie di Promozione della Salute». Mantenendo la visio-ne unitaria dell’essere umano, e in una concezione olistica non solo dell’uo-mo, ma anche della società nella sua globalità mondiale, si afferma il criterio dell’equità chiamando in causa tutti i soggetti implicati: governi, sanità pub-blica e privata, organizzazioni non governative e mass media, ecc. L’approc-cio arriva a collegare la salute fisica delle persone al benessere anche spiri-tuale, della comunità e dell’ambiente, e mette in evidenza l’importanza di un intervento coordinato e armonico di una pluralità di soggetti, dagli enti pub-blici alle famiglie, dai mezzi di comunicazione alle organizzazioni della so-cietà civile.8

La Carta di Ottawa indica cinque strategie principali per la Promozione della Salute: 1. Dare avvio a politiche sanitarie (to create healthy public po-licy); 2. Creare un ambiente favorevole (to build supportive environment), cioè contesti fisici e sociali a supporto del cambiamento individuale; 3. Rin-forzare l’azione comunitaria (to strengthen community action), cioè i proces-si di partecipazione dei cittadini alla formulazione, implementazione e valu-tazione di politiche che influiscono sulla promozione della salute; 4. Svilup-pare le competenze personali (to develop personal skills);9 5. Riorientare i ser-vizi sanitari in prospettiva di promozione e non solo di cura (to re-orient he-alth services).

Si noti che tra questi cinque campi di azione prioritari il quarto riguar-da espressamente lo sviluppo delle capacità individuali per meglio affron-tare decisioni inerenti la salute individuale e della comunità. Inoltre, vengo-no considerati come prerequisiti per una vera salute: pace, istruzione, abita-

8 Oggi si riconosce pienamente la multidimensionalità della salute. Il National Wellness Institute [NWI] degli Stati Uniti riconosce otto dimensioni della wellness (well-being) di tutti gli esseri umani, ossia: Spiritual, Emotional, Intellectual, Physi-cal, Cultural, Occupational, Social, Environmental (cfr. http://ww.nationalwellness.org.). Già nel 1976 Bill Hettler, co-fondatore del suddetto Istituto, aveva rilevato 6 dimensioni dell’Wellness tra loro interdipendenti, ossia: fisica, sociale, intellettuale, spirituale, emotiva e occupazionale. Per la dimensione spirituale l’autore intende la ricerca di senso e scopo della nostra esistenza (cfr. hettler Bill, The Six Dimenions of Wellness Model, 1976, in http://www.nationalwellness.org/.../sixdimensionsfactshe [13-04-2015].1-2).

9 Per quanto riguarda lo sviluppo delle competenze personali viene affermato che «è indispensabile dare alle persone i mezzi per apprendere durante tutta la vita».

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zione, cibo, ecosistema stabile, ecc., per cui è necessario che siano positivi e non lesivi per l’uomo i vari fattori - politici, economici, culturali, ambientali - per la promozione della salute.

Dalla Carta di Ottawa emergono così sia la centralità dell’uomo, sia una visione socio-ecologica della salute che sottolinea l’importanza di creare le migliori condizioni possibili per un sano sviluppo dell’uomo in tutte le condizioni (lavoro, tempo libero) e nelle varie fasi di vita. Possiamo quin-di ben dire che, significativamente, si è giunti ad una convinzione comune sulla necessità di una visione olistica della salute, che prende in conside-razione la persona umana nella sua globalità e nel suo contesto di vita an-che sociale.10

La Dichiarazione di Jakarta del 1997, dal titolo Portare la Promozione del-la Salute nel XXI secolo, ribadisce ancora l’attuazione dei suddetti cinque campi d’azione indicati nella Carta di Ottawa, anzi vede necessario estender-lo a tutti i Paesi. È ancora messa in evidenza l’importanza dell’approccio glo-bale e della partecipazione attiva e del coinvolgimento dei cittadini nei pro-cessi decisionali. Si parla espressamente dell’approccio intersettoriale colla-borativo e coordinato (ad es. istruzione, cultura, turismo, agricoltura, traspor-ti, ecc.) in materia di promozione della salute. Emerge, dunque, evidente la consapevolezza della complessità, della pluralità dei fattori, della correspon-sabilità di tutti, singoli e istituzioni. Negli anni ’90 si moltiplicano le iniziative di riflessione e azioni operative a livello continentale per rendere sempre più effettiva e diffusa l’azione promozionale a favore della salute.11

1.2. prospettiva pedagogica della salute come «Life Skills» e «Health Literacy»

Come si è visto, da parte dell’OMS, già a partire dagli anni ’80, è stata av-vertita in modo generalizzato a livello mondiale l’esigenza di cambiare stra-tegia nell’approccio alla salute adottando una prospettiva direi decisamen-te pedagogica. Nella Carta di Ottawa (1986), infatti, è indicata una strategia

10 Sulla Carta di Ottawa vedi anche un interessante commento in mArZArio Mar-gherita, I primi 25 anni della Carta di Ottawa per la promozione della salute. Dall’e-ducazione alla salute all’educazione alla vulnerabilità, in http://www.edscuola.it/archivio/ped/i_primi_25_anni.html, (07-10-2013).

11 Cfr. ad es. Policies and Strategies to Promote Equity in Health, WHO Regional Office for Europe, Copenhagen 1991.

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dove emerge la consapevolezza dell’importanza di sviluppare le capacità in-dividuali. Poi anche nel Glossario OMS elaborato nel 1988 e pubblicato nel 1998, l’OMS riprende la definizione data nella Carta di Ottawa, ossia la pro-mozione della salute come «il processo che conferisce alle persone la capaci-tà di aumentare e migliorare il controllo sulla propria salute» e ribadisce che ciò rappresenta un processo globale, sociale e politico, non comprende solo le azioni dirette a rinforzare le capacità degli individui, ma anche quelle di-rette a cambiare le condizioni sociali, economiche, ambientali.

Di qui a implementare azioni propriamente educative, il passo è stato bre-ve. Infatti, agli inizi degli anni ’90, anticipando il successivo concetto di “com-petenza”, in particolare quello di competenze chiave di cittadinanza,12 l’OMS ha introdotto il discorso sulle Life Skills intese come «quelle abilità, competen-ze che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per af-frontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana».13

2.2.1. La salute come Life SkillsIl discorso sulle Life Skills non poteva fare a meno di un’azione educativa

mirata, cosicché l’OMS pubblicò nel 1993 un documento intitolato Life Skills Education in Schools, nel quale ne furono indicate dieci quali abilità necessa-rie per la vita, in grado di contrastare soprattutto le dipendenze dalla droga.

L’OMS quindi, in accordo con gli Stati, fondò l’attività di prevenzione a partire dall’attivazione di processi di formazione da realizzarsi nelle scuole di tutti gli ordini e gradi, compresa l’Università, senza escludere tutte quelle si-tuazioni in cui si apprende in modo intenzionale, sia di tipo istituzionale che a livello di volontariato.14 Alle istituzioni educative, in particolare alla scuola,

12 Agli inizi degli anni ‘90 in particolare, l’OMS presta attenzione alla salute men-tale come cura della salute primaria e, a cura della Division of Mental Health pubbli-ca nel 1994 programmi e guide per Life Skills Education e nel 1998 Health Promotion lossary.

13 Non è facile la traduzione italiana del termine Life Skills. A volte esso viene tra-dotto come abilità psicosociali e affettive, che in realtà resta riduttivo del significato, per cui preferisco mantenere l’espressione inglese.

14 Cfr. cAttAneo Piero, Life Skills, in http://www.orientamentoirreer.it/sites/de-fault/files/materiali/2007%20cattaneo.pdf. Cfr. anche mArmocchi Paola - DAll’Aglio Claudia - ZAnnini Michela, Come promuovere le abilità psico-sociali e affettive secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 2004. Si noti la traduzione dell’espressione Life Skills come «abilità psico-sociali e affettive».

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era consegnato l’impegno di educare le nuove generazioni alle competenze per la vita (Life Skills) affinché si rendessero capaci di gestire problemi, situa-zioni e domande comunemente incontrate nella vita quotidiana.

Le Life Skills, indicate dall’OMS, sono costituite da un nucleo fondamenta-le di abilità che stanno alla base delle iniziative di promozione della salute e di benessere di bambini e adolescenti. Senza la pretesa di essere esaustive, e lasciando aperta la possibilità di adeguarle ai vari contesti, restano comunque dieci competenze volte a creare comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace (enable) di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni.

Le dieci Life Skills individuate dall’OMS nel 1993 sono, a mio avviso, le competenze propriamente educative in grado di fare azione preventiva e pro-mozionale da sviluppare lungo la scolarità e tutto l’arco della vita. Esse sono:

1. Capacità di leggere dentro se stessi (autocoscienza); 2. Capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (gestione

delle emozioni);3. Capacità di governare le tensioni (gestione dello stress);4. Capacità di analizzare e valutare le situazioni (senso critico);5. Capacità di prendere decisioni (decision making);6. Capacità di risolvere problemi (problem solving);7. Capacità di affrontare in modo flessibile ogni genere di situazione (cre-

atività);8. Capacità di esprimersi (comunicazione efficace); 9. Capacità di comprendere gli altri (empatia);10. Capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (rela-

zioni interpersonali).15

Quanto sin qui evidenziato si trova in perfetta sintonia con gli obiettivi educativi fondamentali dell’educazione formale e non formale, per cui sareb-be interessante fare una ricerca comparativa tra il discorso teleologico sull’e-ducazione e la prospettiva dell’OMS finora analizzata. Al riguardo ritengo uti-

15 Tali dieci competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree quali: 1. Emotive - consapevolezza di sé, gestione delle emozioni, gestione dello stress; 2. Re-lazionali - empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci; 3. Cognitive - risolvere i problemi, prendere decisioni, senso critico, creatività.

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le ricordare gli orientamenti dell’Unione Europea e d’Italia che negli anni più recenti hanno introdotto sotto il nome di competenze chiave di cittadinan-za le quali, sostanzialmente, non si scostano da quanto elencato sopra come contenuto delle Life Skills.

Infatti, in sintonia con il punto di arrivo dell’OMS circa il concetto di sa-lute e come attenzione al diritto all’educazione - più delle volte riferita e ri-dotta all’istruzione - nel 2006 l’Unione Europea ha proposto le cosiddette 8 competenze chiave europee di cittadinanza, «di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione». Esse coincidono con quelle per l’apprendimento permanente:16 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nel-le lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scien-za e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare ad imparare; 6) compe-tenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consape-volezza ed espressione culturale.

È interessante al riguardo lo sforzo compiuto in Italia nell’anno successi-vo (2007), cioè declinare tali competenze in otto competenze chiave di citta-

16 Cfr. Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa a com-petenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE); euroPeAn commission/eAceA/euryDice, Developing Key Competences at School in Europe: Challenges and Opportunities for Policy. Eurydice Report, Luxembourg, Publications Office of the Eu-ropean Union 2012, in http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/ (02-04-2015). Queste competenze dovrebbero essere acquisite durante il percorso dell’istruzione e fare da base al proseguimento dell’apprendimento nel quadro dell’educazione e della formazione permanente. Tali opportunità, quindi, dovrebbero essere offerte anche agli adulti. Circa le 8 competenze chiave di cui sopra, bisogna riconoscere che diversi incontri di studio, a livello europeo e internazionale, hanno “preparato” la determinazione della suddetta Raccomandazione. Basti ricordare il Consiglio Eu-ropeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) e la Dichiarazione di Copenhagen (2002) che indicarono 8 competenze necessarie per il mondo moderno, così pure il Rapporto DeSeCo (Definition and Selection of Competencies 2003) dell’OCSE che individuò 9 competenze essenziali raggruppate in tre categorie: a) Agire in modo autonomo; b) Utilizzo di strumenti in modo interattivo; c) Funzionamento di gruppi socialmente eterogenei. Per un approfondimento vedi: Allulli Giorgio, Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020 (ottobre 2010), in http://www.cnos-fap.it/node/33930.pdf.92p (22-04-2015); rychen Dominique S. – sAlgAnik Laura H. (a cura di), Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole (2003), Milano, FrancoAngeli 2007.

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dinanza che ogni cittadino dovrebbe possedere dopo aver assolto al dovere di istruzione: 1) Imparare ad imparare; 2) Progettare; 3) Comunicare, com-prendere, rappresentare; 4) Collaborare e partecipare; 5) Agire in modo au-tonomo e responsabile; 6) Risolvere problemi; 7) Individuare collegamenti e relazioni; 8) Acquisire ed interpretare l’informazione.17

Anche le cosiddette competenze trasversali (core skills, key skills, cross competences; compétences transversales) vengono proposte come l’insieme delle capacità ad ampio spettro, applicabili a compiti e contesti diversi. Esse indicano ad esempio: capacità di diagnosi, di relazione, di problem solving, di decisione, di comunicazione, di organizzazione del proprio lavoro, di ge-stione del tempo, di adattamento a diversi ambienti culturali, di gestione del-lo stress, attitudine al lavoro di gruppo, spirito di iniziativa, flessibilità, visio-ne d’insieme.18 Le suddette indicazioni sono orientamenti teleologici e strate-gici per l’uomo di oggi e per la sua educazione, perché ognuno possa vivere la cittadinanza attiva, costruttiva e responsabile. Si tratta quindi delle indica-zioni che promuovono anche la salute intesa come abilità di adattamento e di autogestione in modo solidale.

Nella società della conoscenza e dell’apprendimento in cui ci troviamo ri-suona particolarmente attuale un concetto pedagogico di apprendimento che M. Mencarelli ha offerto già agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso. Egli, ri-conoscendo che l’apprendimento può essere studiato da diversi punti di vi-sta e variamente definito, lo definisce come «una sicura disposizione ad af-frontare i problemi che la vita presenta ed a risolverli con sempre maggio-re economia, con maggiore facilità, con la sicurezza di comportamento che rappresenta uno stile umano apprezzabile».19 L’autore anticipa così il concet-to di competenze ormai acquisito e diffuso – a partire dalla definizione data nel 2008 dall’European Qualification Framework (EQF) - come «comprova-

17 Cfr. Decreto n.139 del 22 Agosto 2007 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione”; tiriticco Maurizio, Le competenze chiave di cittadinanza, in Rivista dell’Istruzione (2009)1, 43-49.

18 Cfr. mAiorAnA Francesca, Apprendimento disciplinare e apprendimento tra-sversale, in http://www.indire.it/ccs/wp-content/uploads/2012/02/maiorana1.pdf (22-04-2015); http://www.archivio.pubblica.istruzione.it/dg_post.../allegati/comp_trasversali.pdf (22-04-2015); http://www.orientamentoirreer.it/materiali/AbilitaTra-versaliISFOL.htm (22-04-2015).

19 mencArelli Mario, Scuola in prospettiva. Insegnare ad apprendere, Brescia, La Scuola 1973, 115.

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ta capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professio-nale e personale».

2.2.2. La promozione della salute come Life Skills Education e «Health Li-teracy»

Nel 1999 l’OMS pubblicò un altro documento dal titolo Partners in Life Skills Education,20 che era il risultato dell’Inter-Agency Meeting on Life Skills Education (Geneva, 6-7 April 1998) a cui parteciparono anche UNHCR - UNI-CEF - UNFPA. In esso si metteva in evidenza la necessità di collaborare tra varie agenzie per promuovere le Life Skills dentro e fuori scuola.21 Si pren-devano in considerazione le cinque aree di Life Skills che il Department of Mental Health aveva identificato nel 1994, ossia: decision-making and pro-blem solving; creative thinking and critical thinking; communication and in-terpersonal skills; self-awareness and empathy; coping with emotions and co-ping with stress.22

I partecipanti al Meeting on Life Skills Education (1998) hanno condiviso circa la necessità di: «rafforzare e migliorare la salute della scuola; promuove-re lo sviluppo dei programmi scolastici a lungo termine e in modo olistico a favore delle Life Skills; promuovere la democrazia, l’uguaglianza di genere e la pace; prevenire problemi sanitari e sociali, compreso l’uso di sostanze psi-coattive, l’HIV/AIDS, la gravidanza adolescenziale e violenza».23

La proposta di un’educazione alle Life Skills non poteva essere circoscrit-ta all’ambito scolastico. Di fatto la Life Skills Education si amplia, a sua volta,

20 Il documento è intitolato Partners in Life Skills Education - Conclusions from a United Nations Inter-Agency Meeting (14p) (cfr. in http://www.who.int/mental_health/media/en/30.pdf [03-03-2015]). Per quanto riguarda l’iniziativa di applicazio-ne a livello italiano vedi http://www.est.indire.it/upload/07-ITA01-CO06-00484-1-prod-042.ppt (03-05-2015).

21 L’obiettivo dell’Inter-Agency Meeting fu duplice: «Generate consensus as to the broad definition and objective of life skills education and strategies for its implemen-tation; improve collaboration between the various agencies working to support life skills education in schools» (p.2).

22 Riportato in Partnership, p.2.23 L. cit. Sia ben chiaro che è necessario essere critici nei riguardi dell’OMS, di

fronte alla concezione dell’uomo e della vita, che non sempre è chiara e condivisibi-le, come ad esempio in materia di ideologia di gender e degli omosessuali.

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nel conteso della nota Lifelong Education di tutti, perciò va sviluppata anche nella prospettiva dell’alfabetizzazione funzionale alla salute (Helath Literacy) di tutti.

La Health Literacy, pertanto, è un concetto multidimensionale che da solo meriterebbe un approfondimento interessante di grande significato soprattut-to pedagogico. Il termine, introdotto negli anni ’70 del secolo scorso,24 indi-ca secondo la definizione dell’OMS, «le abilità cognitive e sociali che deter-minano la motivazione e la capacità degli individui di accedere alle informa-zioni, di comprenderle e utilizzare in modo da promuovere e mantenere una buona salute». Secondo la definizione aggiornata dalla stessa OMS essa «im-plica il raggiungimento di un livello di conoscenze, abilità personali e fidu-cia in se stessi tale da poter agire nel miglioramento della salute individua-le e della comunità, attraverso la modifica degli stili di vita individuali e del-le condizioni di vita. Pertanto, il significato di alfabetizzazione alla salute va molto al di là della semplice capacità di leggere opuscoli e richiedere infor-mazioni e consigli».25

Possedere una buona Health Literacy significa avere le competenze sia per riconoscere i propri bisogni di salute e comprendere ciò che viene pro-

24 Cfr. simonDs S.K., Health Education as social policy, in Health Education Mono-graph (1974) 2, 1-25.

25 Glossario OMS 12. In un ottimo saggio che delinea lo sviluppo del concetto e dell’utilizzo del termine “Health Literacy”, A. Peerson e M. Saunders rilevano che, secondo l’Unesco (Unesco, Literacy for all. Education for all global monitoring Report 2006. Paris, Unesco Publishing 2005), il termine ‘literate’ significa piuttosto la dime-stichezza con la letteratura o in generale ‘ben educato, ben istruito’. Pur mantenendo il suo significato più ampio di essere eruditi o istruiti in un ambito particolare, è stato usato anche per indicare le capacità di leggere e scrivere il testo. Negli ultimi anni, sono emerse dal dibattito della nozione quattro interpretazioni di alfabetizzazione, ossia Literacy come: 1) Un insieme autonomo di competenze; 2) Una applicazione praticata e situata; 3) Un processo di apprendimento; 4) Un testo. L’attenzione, inol-tre, sta ampliando il concetto di Literacy in riferimento alla trasformazione non solo individuale, ma anche contestuale e sociale in termini di collegamento tra cultura della salute per la crescita economica e il cambiamento socio-culturale. Gli autori, in-oltre, attraverso un’analisi del contenuto delle varie definizioni della Health Literacy, ne hanno messo in luce 6 elementi, riferiti cioè a: (1) competence, skills, abilities; (2) actions; (3) information and resources; (4) objective; (5) context; and (6) time (cfr. Peerson Anita - sAunDers M., Health Literacy revisited: what do we mean and why does it, in Health Promot Int, 24 [2009]3, 285-296).

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posto ed è a disposizione del cittadino, sia per assumere un maggiore con-trollo sui fattori che incidono sulla salute e adottare comportamenti preven-tivi adeguati per uno stile di vita sano individuale e sociale che va promos-so costantemente.

Se tanto Life Skills Education quanto Health Literacy dipendono dal con-cetto di salute, è interessante pensare ancora una volta che il riconoscimento della multidimensionalità della salute ci spinge ad approfondire una visione globale e integrale non solo della salute ma anche della persona umana. Infat-ti, risulta indiscutibile la prospettiva pedagogica emergente dalla considerazio-ne della salute come Wellness / Wellbeing (benessere) con la sua multidimen-sionalità riconosciuta, da promuovere nell’ottica ecologica e di equilibrio.26

2.3. Verso un concetto pedagogico di salute come «abilità di adattamento e di autogestione»

La prospettiva delle competenze adottata negli anni ’90, in particolare con la proposta di carattere pedagogico di Life Skills, mette sempre più in eviden-za sia la centralità dell’uomo nella promozione alla salute, sia il conseguen-te concetto dinamico di salute intesa come «abilità di adattamento e di auto-gestione» per cui è il soggetto che deve rendersi capace di adeguamento, ma anche di autogestire tale processo che dura tutta la vita.

Nel 2009 si tenne a L’Aia (Olanda), una interessante Conferenza interna-zionale con la partecipazione di rappresentanti di molteplici discipline pro-fessionali e scientifiche. Il tema della Conferenza era il seguente: «Is health a state or an ability? Towards a dynamic concept of health».

In riferimento al noto concetto di salute del 1948 che, come si è detto, per molto tempo non era stato messo in discussione, ci si domandava se la sa-lute fosse «una condizione o un’abilità». Huber e collaboratori, presentarono una nuova definizione di salute, più dinamica che teneva espressamente con-to del contesto di vita in continua mutazione: «Health as the ability to adapt and to self-manage, in the face of social, physical and emotional challenges».27

26 Sulle 8 dimensioni dell’Wellness (Spiritual, Emotional, Intellectual, Physical, Cultural, Occupational, Social, Environmental) vedi infra nota n.33.

27 huBer machteld et alii, How should we define health?, in British Medical Jour-nal 343(2011)4163, 235-237. Huber insieme ai suoi collaboratori ha cercato di “ope-razionalizzare” il concetto di salute al fine di esplorare gli indicatori di salute at-traverso il sondaggio delle opinioni di varie categorie di persone (malati cronici,

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Tale definizione, ritenuta “nuova” dagli stessi estensori, è, in realtà, in per-fetta linea con il concetto di Life Skills indicato dalla stessa OMS. La novi-tà consiste, a mio avviso, sia nel concetto di self-manage, quindi non solo l’abilità di adeguamento, ma anche di “scelta”, sia nella ricerca condotta da Machteld Huber e collaboratori.

Il concetto di prevenzione, in questo contesto, va molto al di là di cura e difesa dalle malattie fisiche e mentali, anzi viene ad essere non solo “autoge-stione” del benessere personale globale, ma anche espressione e promozione - reciproca/connessa - del benessere sociale generale, quindi un impegno di tutti, inoltre, la promozione della salute viene riconosciuta sempre più con-sapevolmente come uno dei diritti fondamentali, che si esplica con l’aiuto di tutti, persone e istituzioni.

Siamo ormai giunti alla cultura della salute concepita qui come Health Li-teracy (alfabetizzazione alla salute) che «comprende abilità cognitive e sociali che determinano la motivazione e la capacità degli individui di accedere alle informazioni, di comprenderle e utilizzarle in modo da promuovere e man-tenere una buona salute».28

È interessante costatare come le preoccupazioni dell’OMS di prevenire il “malessere” personale e sociale - quali la droga e la disoccupazione - inter-pelli e invochi l’azione propriamente educativa, anzi giunga a ritenere che la pista principale di soluzione del problema è l’educazione stessa. Anche per questo, a mio avviso, le riflessioni in sedi soprattutto internazionali, eviden-ziano la necessità di fare i conti con i fattori di rischio presenti nel contesto: l’aumento delle diseguaglianze all’interno e tra nazioni, nuovi modelli di con-sumo, di comunicazione e di commercializzazione, l’aumento del degrado ambientale e dell’urbanizzazione sono alcuni dei fattori critici che influenza-no la salute. In particolare, nella Conferenza di Bangkok (7-11 agosto 2005), nella presa di coscienza del cambio di contesto per la promozione alla sa-lute, si adotta una nuova Carta chiamata appunto la Carta di Bangkok il cui

operatori di sanità, politici, agenti di assicurazione, attori di pubblica salute, cittadini, e ricercatori, ecc.). Ne sono emerse più di 550 osservazioni che sono state raggrup-pate in 6 dimensioni di salute: 1) funzioni fisiche 2) funzioni e percezioni mentali 3) dimensione spirituale 4) qualità di vita 5) partecipazione sociale e societaria 6) fun-zionamento giornaliero. Tali 6 dimensioni poi sono state specificate in 32 differenti aspetti da cui sono stati derivati (ricavati) 46 concetti.

28 Glossario OMS 12.

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contenuto denota decisamente un approccio olistico e sostenibile alla salute in un mondo globalizzato.

2.4. La promozione della salute nella società globalizzataLa Carta di Bangkok, stilata nel 2005 durante la 6a Conferenza internazionale,29

affronta le sfide della salute nell’era della globalizzazione e considera come fattori negativi per la salute: «l’iniquità all’interno delle nazioni e tra di loro, nuovi modelli di consumo e di comunicazione, commercio, degrado ambien-tale e urbanizzazione». Nella consapevolezza che i fattori socio-economici e le diseguaglianze sono un grave motivo di preoccupazione, la Carta afferma che «le politiche e le partnerships per l’empowerment delle comunità e il miglio-ramento della salute e dell’uguaglianza nella salute dovrebbe essere al centro dello sviluppo globale e nazionale».30

La Carta, in questo senso, prende atto del fatto che il mondo in cui vivia-mo è ormai regolato da logiche globali31 e propone di sfruttare tali logiche in maniera positiva,32 diffondendo competenze, creando associazioni e reti, e sostenendo la causa della salute facendo leva su valori universalmente rico-nosciuti come la solidarietà e la tutela dei diritti umani.

L’invito rivolto alla sfera istituzionale suona perentorio: «la promozione della salute deve essere un punto centrale dell’agenda dello sviluppo mon-diale e una responsabilità prioritaria di tutti i Governi». La Carta, ovviamente, fa appello ai diversi protagonisti ribadendo la necessità di tenere d’occhio e contenere gli effetti della globalizzazione.

La Carta di Bangkok, dunque, riprende e completa i valori, i principi e le azioni strategiche stabilite dalla Carta di Ottawa del 1986 per la promozione alla salute e dalle raccomandazioni delle successive conferenze sulla promo-

29 La Carta di Bangkok per la promozione alla salute in un mondo globalizzato, in SAVAR. Rivista del Nursing (1986).

30 Introduzione a Ivi.31 Inoltre, il rapido cambiamento sociale, spesso negativo, interessa le condizioni

di lavoro, l’educazione ambientale, i modelli familiari, il tessuto sociale e le culture delle comunità. I modelli di salute in evoluzione e le migrazioni hanno contribuito anch’essi al cambiamento.

32 La globalizzazione può offrire nuove opportunità per accrescere e migliorare ad es., attraverso le tecnologie dell’informazione, la comunicazione e la condivisione delle esperienze, e per richiamare l’attenzione sui rischi sovranazionali evitabili per la salute.

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zione alla salute globale. Afferma che «l’ottenimento di un più alto standard attendibile di salute è uno dei fondamentali diritti di ogni essere umano sen-za discriminazioni. La promozione alla salute è basata su questo critico dirit-to umano. Essa prevede un concetto positivo e inclusivo di salute come de-terminante della qualità della vita che comprende il benessere mentale e spi-rituale».

La Carta rivela la consapevolezza che la promozione alla salute è un in-vestimento efficace nel miglioramento della salute e lo sviluppo umano e ha una funzione centrale anche nella salute pubblica, in quanto contribuisce a contrastare malattie trasmissibili e non trasmissibili e altre minacce per la sa-lute, così pure contribuisce a ridurre sia le ingiustizie di genere che nella sa-lute. Il senso di equità derivante dal riconoscimento del diritto di tutti sottoli-nea la prospettiva inclusiva della promozione della salute: Donne e uomini, bambini, disabili, indigeni, ecc.

Si noti che, da una parte, la consapevolezza di una visione olistica della salute e della sua promozione approda sempre più ad una considerazione pedagogica della prevenzione. Dall’altra, data la consapevolezza lucida del contesto globalizzato il dibattito si sposta, in certo senso, su un piano più po-litico e operativo, per cui l’obiettivo prioritario diventa quello di eliminare le gravi disparità di accesso ai requisiti minimi per salute e il benessere a livello sia internazionale - fra i diversi paesi - che intranazionale - fra le diverse ca-tegorie sociali all’interno degli stessi paesi. È positivo che le necessità d’inter-vento vengano interpretate in una chiave sempre più operativa, ma è altret-tanto importante che i tre pilastri di Ottawa - assistenza/solidarietà, olismo ed ecologia - rimangano dei punti fermi sui quali non sia possibile transigere.33

ConclusioneLa prevenzione, dal punto di vista concettuale, ha compiuto una graduale

trasformazione. Le riflessioni hanno avuto luogo soprattutto in sedi interna-zionali a cura dell’OMS e si sono raccolte attorno al concetto di salute che è andato evolvendosi e la cui promozione oggi coinvolge tutti e tutte le istitu-zioni locali e internazionali.

Nell’ambito della ricerca sanitaria, particolarmente nell’OMS, si è conso-lidata la convinzione che il tema della salute coinvolge le diverse dimensio-

33 Sulla tematica vedi anche lemmA, Promuovere salute nell’era della globalizza-zione. Una nuova sfida per “antiche professioni”, Milano, Unicopli 2005.

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ni della vita umana e non può ridursi all’aspetto solo medico e farmaceuti-co che purtuttavia si è sviluppato in modo straordinario soprattutto negli ul-timi decenni. Sin dal 1948 infatti - ma già nel testo del 1946 - la salute è sta-ta definita come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale», definizione che si è ulteriormente arricchita nel tempo arrivando ad essere considerata come Life Skills, cioè «abilità di adattamento e di autogestione» e quindi svelando il suo alto valore pedagogico. Lo spostamento di attenzione dall’ambito sanitario a quello pedagogico è avvenuto senza forzature, bensì come logica conseguenza della considerazione della salute come benessere, da intendere e promuovere in ottica olistica, solidale e ecologica. Il merito di ciò va, in particolare, alla Carta di Ottawa del 1986.

Di qui, almeno sul piano delle riflessioni, si è giunti al riconoscimen-to della multidimensionalità della salute e del benessere concepito a misu-ra umana,34 perciò in modo globale e non frammentario, unitario e sinergi-co, dinamico e non statico. Al valore di tali affermazioni, di portata univer-sale, si aggiunge quello - paradossale - del diritto alla salute e all’educazione in stretta relazione con la prospettiva di un’ecologia umana e di ecosocietà. La salute, l’educazione, il benessere globale, il bene comune non sono realtà disgiunte, ma strettamente interdipendenti. Proprio qui sta la sfida principale del XXI secolo: concepire l’educazione in tutta la sua portata, con dovuto ri-conoscimento e senza riduzionismi, e garantire la sua piena realizzazione per tutti. Ma in che modo si potrà realizzare questo?

Tutto porta a riconoscere la necessità di scoprire il vero volto dell’educa-zione e dell’educazione integrale, compito irrinunciabile di ogni educazione formale - non formale - informale. È giunto il momento di riportare all’unita-rietà le considerazioni relative alle cosiddette “educazioni a” nel senso che si tratta dei valori a cui educare in modo armonico, perché l’educazione, se au-tentica, non sopporta separazioni e tanto meno contrapposizioni sterili e no-cive. Perciò, bisogna sviluppare in modo unitario e convergente i cosiddet-ti temi didattici “trasversali”35 che non vanno considerati, erroneamente, op-

34 Oggi si riconosce pienamente la multidimensionalità della salute. Il National Wellness Institute degli USA riconosce 8 dimensioni della wellness (well-being) di tutti gli esseri umani, ossia: Spiritual, Emotional, Intellectual, Physical, Cultural, Oc-cupational, Social, Environmental (cfr. PAcific northwest founDAtion, Definitions of health/wellness, in http://www.pnf.org/definitions_of_health_c.pdf [25-03-2015]).

35 I temi “trasversali” che cioè toccano e attraversano tutte le discipline di studio

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tional, bensì come aspetti della finalità e contenuto essenziale dell’educazio-ne degna di questo nome. Vale la pena rivisitare e rileggere, in questo sen-so, i progetti educativi sia delle scuole che di altre istituzioni e organizzazio-ni che si occupano dell’educazione. Urge salvare (to save) e quindi promuo-vere l’uomo intero, educarlo istruendo all’altezza dei compiti a cui è chiama-to l’uomo d’oggi. La questione di fondo è sempre la concezione dell’uomo e della società, da cui dipende anche il modo di concepire l’educazione e la sua organizzazione.

In conclusione, si può affermare che educare è prevenire. Prevenire, però, nel senso di indicare la via giusta, come il cartello che indica il precipizio da evitare, il faro che guida la nave sul mare in tempesta, le luci dell’aeroporto per l’aereo smarrito nella nebbia: sono tutti segni grazie ai quali gli uomini possono percorrere il loro cammino in sicurezza e più celermente.

Ciò, però, esige di educare sul serio: ovvero di andare oltre la prevenzio-ne comunemente intesa, nel senso cioè di proteggere dai rischi e dagli infor-tuni, per concepirla come educazione che, per sua essenza, consiste nel pro-muovere lo sviluppo integrale di ogni essere umano, nel potenziare (to empo-wer) le potenzialità di ciascuno sviluppandole, nell’infondere la fiducia in se stessi facendo leva sulla resilienza, sulla capacità di autoefficacia, nel rende-re la persona competente umanamente, professionalmente e come cittadino attivo, critico, solidale, responsabile, nell’infondere speranza e fiducia in una società che può essere sempre più giusta e solidale.

Il segreto e la via per raggiungere il benessere nella sua globalità sta dun-que nell’educazione di tutti, che si compie in sinergia tra tutte le istituzioni le quali si devono sentire responsabili di tale irrinunciabile compito.

sono pure temi di attualità e, in sostanza, coincidono con l’educazione ai valori, con le cosiddette “educazioni a”: Autonomia, Democrazia, Diritti umani, Libertà, Giustizia, Verità, Responsabilità, Lavoro, Pace, Sviluppo, Salute, Solidarietà, Sessuali-tà, Sicurezza Stradale, Senso critico, Sacro, Speranza, Studio, Identità, Intercultura, Ambiente, Alimentazione, Paese, Continente, Mondo, ecc. Molti di questi temi fanno parte della sigla EDDulPssssssssiiAAiem, coniata da L. Corradini per indicare le molte “educazioni a” emergenti soprattutto negli ultimi decenni (cfr. corrADini Luciano et alii, Educazione civica e cultura costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Bologna, Il Mulino 1999; vAnZAn Piersandro, Questioni riguardanti la scuo-la. Recenti contributi di Luciano Corradini, in La Civiltà Cattolica 151[2000]1, 569). Cfr. ancora gonZáleZ Lucini Fernando, Temas transversales y educación en valores, Madrid, Anaya Alanda 1993).

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I “pilastri” dell’educazione per il secolo in cui viviamo sono stati chiara-mente indicati anche dalla nota pubblicazione dell’Unesco (1996): imparare a imparare, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare a essere.36 A scuola, e fuori, s’impara a vivere insieme, a scoprire e accrescere la comu-ne appartenenza all’umanità, alla “Famiglia umana” dove si riconosce l’altro come un altro “io” che cerca come me la felicità. Questa è la conditio sine qua non per godere dell’autentico Well-being o Wellness da parte dei singoli e della collettività: un benessere non solo fisico, intellettuale, culturale, emo-tivo, ma anche sociale, occupazionale, spirituale, ambientale.37

Nella diffusa emergenza dell’educazione, quindi, è tempo di far risorge-re l‘educazione perché diventi un autentico aiuto per tutti a incamminarsi in-sieme nella realizzazione del bene comune per una società giusta e solidale.

Riemerge così l’irrinunciabilità di una coscienza pedagogica “universa-le” di cui tutti abbiamo bisogno a vario titolo. Siamo, e dobbiamo essere, gli uni per gli altri un aiuto autentico affinché l’altro possa sentirsi riconosciu-to come un “tu” che cammina con tutta l’umanità della terra. L’altro non mi è estraneo, né scomodo, non è una minaccia o un nemico da combattere come, purtroppo, la cronaca nera fa supporre.

L’educazione non può che essere realistica, ovvero un’autentica promo-zione umana in positivo, lucida circa il contesto in cui è immerso l’uomo di oggi, con le sue risorse/opportunità come pure con i suoi rischi/minacce, quindi consapevole anche dell’agguato delle forze del male operanti in ogni angolo della terra, nei momenti anche più impensati.38 È necessario, in que-sto senso, prevenire lo spettro del totalitarismo e gli orrori dell’olocausto, an-cor oggi presenti nelle diverse e subdole forme di razzismo. Occorre l’educa-

36 Cfr. Delors Jacques et alii, Learning: the treasure within. Report to Unesco of the International Commission on Education for the Twentyfirst century / L’éducation: un trésor caché dedans, Paris, Unesco 1996, tradotto in parecchie lingue compreso l’italiano.

37 Circa il significato del benessere da auspicare ci fanno riflettere alcune bat-tute dell’attuale Papa Francesco pronunciate ai vescovi coreani in visita ad limina (12 marzo 2015): «Niente di mondanità spirituale, niente. Niente di un cattolicesimo facile, così senza zelo. Niente di un benessere religioso», in http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-la-Chiesa-in-Corea,-Chiesa-di-martiri-e-laici,-promessa-per-tutta-l%27Asia-33710.html (18-05-2015).

38 L’educazione preventiva non va intesa alla maniera di J. J. Rousseau, cioè come educazione negativa.

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zione; occorre l’azione sociale; occorre una politica giusta promotrice appun-to del bene comune e della solidarietà sempre più allargata.

In questo quadro sorge una domanda inquietante che, a mio avviso, do-vrebbero porsi tutti, in particolare il mondo della politica. Nello studio della preventività, tale interrogativo mi ha accompagnata e preoccupata: ci possia-mo chiedere, cioè, se, mentre da una parte si presta tanta attenzione alla sa-lute, alla protezione dai rischi e dagli infortuni, è anche presente la consape-volezza degli enormi danni in cui si incorre incoraggiando e sostenendo le-gislazioni a favore della disgregazione familiare, dei divorzi, dei matrimoni omosessuali e così via.

Volendo porre più esplicitamente la domanda: abbiamo il buon senso di accorgerci delle conseguenze che tale fenomeno sta attualmente provocan-do nelle nuove generazioni, vale a dire delle nefaste conseguenze derivanti dal disordine familiare “favorito” non raramente anche dalle legislazioni? Au-mentano, di fatto, i casi di patologia mentale e psichica, di violenza, di suici-di anche minorili: espressioni tutte che testimoniano sia il misconoscimento del valore della vita umana soprattutto da parte degli adulti, sia le variegate reazioni alla mancanza di amore sano soprattutto familiare di cui è privo un numero sempre più rilevante di bambini e giovani.

L’educazione è uno degli atti d’amore più sublimi che l’umanità può fare, è un prendersi cura della persona, farsene carico, aiutandola a diventare tale. Educare è promuovere in positivo le buone risorse / potenzialità che ciascu-no custodisce. Per questo, è anche e sempre prevenire, cioè salvare le perso-ne dalla minaccia incombente provocata dal disordine familiare, sociale, eco-nomico e politico.

La prevenzione come problema pedagogico - nel suo significato ampio - ha costituito il cuore dell’opera educativa di san Giovanni Bosco che non solo ha dedicato la sua vita all’educazione dei giovani, più poveri e abban-donati, ma ha cercato di formare gli educatori nello spirito del Sistema pre-ventivo che continua ad essere applicato con frutto in molti contesti grazie a coloro che di tale metodo hanno fatto la loro scelta di vita.39

Il Sistema educativo preventivo di don Bosco può ben a ragione essere descritto come una strategia valida ai fini di costruire la cultura della vita e la civiltà dell’amore. È un metodo che esige, contemporaneamente, competen-

39 Al riguardo cfr. lo studio di ruffinAtto Piera, Don Bosco e la prevenzione edu-cativa nel e oltre il suo tempo nella presente pubblicazione.

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za pedagogica e profondità spirituale al punto da trasformarsi in vera e pro-pria spiritualità.

Don Bosco, convinto dell’importanza dell’educazione, rivolgendosi agli adulti affermava: «Volete fare una cosa buona? Educate la gioventù. Vole-te fare una cosa santa? Educate la gioventù. Volete fare una cosa santissima? Educate la gioventù; anzi, questa tra le cose divine, è divinissima».40

Al santo dei giovani fanno eco le eloquenti parole di Hanna Arendt, che faccio mie, per concludere: «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo dei giova-ni. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, se li amiamo tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi: e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti».41 ■

40 ceriA Eugenio, Memorie Biografiche del beato Giovanni Bosco, vol. XIII, Tori-no, SEI 1932, 629.

41 ArenDt Hannah, La crisi dell’istruzione, in iD., Tra passato e futuro: sei esercizi sul pensiero politico (1961), Milano, Garzanti 2001, 244.

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Un stile di vita corretto e salutare dipende anche dallo stato d’animo con cui si vive; situazioni di stress prolungato, ansia, sedentarietà, possono influ-ire assai negativamente sui processi biochimici che regolano il metabolismo favorendo lo sviluppo di patologie croniche e insidiose.

Per quanto concerne il diabete, oggi si ha la tendenza a non considerarlo più una malattia nel senso stretto del termine, come un’unità singola, ma una sindrome, ossia un gruppo eterogeneo di sintomi che si presenta in modi diversi in rapporto non solo alle caratteristiche cliniche della malattia ma an-che all’età dei soggetti colpiti, alle cause che l’hanno scatenato e in particolar modo alle caratteristiche psico-sociali della persona. Tra i fattori eziopatoge-netici del diabete sono stati individuati anche una serie di stimoli stressanti, sia fisici sia emotivi e relazionali, i quali assumono lo stesso valore etiologico.

I dati riportati nell’annuario statistico ISTAT 2013 indicano che è diabetico il 5,4% degli italiani (5,3% delle donne e 5,6% degli uomini), pari a oltre 3 milioni di persone.

La prevalenza è aumentata dal 3,9% nel 2001 al 4,8% nel 2013:

• ildiabeteaumentaconl’etàfinoaraggiungereil20,4%nellepersoneconetà uguale o superiore ai 75 anni

• nellafasciadietà65-74anni laprevalenzaèdel16%neiuominiedel14,3% nelle donne.

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pp. 270-278

psicologia e diabete: l’importanzadi un corretto stile di vita

Felice Di Giandomenicopsicologo

Secondo stime recenti sono circa 346 milioni i diabetici nel mondo e il numero sembra destinato purtroppo ad aumentare. Cattive abitudini alimentari, stress, vita sedentaria sono tra le cause più conosciute per quanto riguarda la genesi e lo sviluppo di questa patologia ed è per questo che anche la psicologia, da tempo, si occupa del diabete cercando di studiarne i correlati psicofisiologici.

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Felice Di Giandomenico

Inoltre nella fascia di età 35-64 anni l’8% degli uomini e il 4% delle donne è in una condizione cosiddetta borderline (al limite tra normalità e patologia) dove è presente un’intolleranza al glucosio e il 23% degli uomini e il 21% del-le donne è affetto da sindrome metabolica, due condizioni ad elevato rischio di progressione a diabete. Studi rigorosi hanno dimostrato che interventi pre-ventivi di modificazione dello stile di vita (dieta ed esercizio fisico) possono ridurre del 60% l’incidenza di nuovi casi di diabete in 5 anni.

profilassi della Sindrome MetabolicaVi sono della campagne di sensibilizzazione sanitaria che spesso rimango-

no nascoste e non adeguatamente divulgate a livello sociale. Una di queste campagne passate un po’ in sordina, ma di estrema importanza pubblica, è quella promossa dalla Croce Rossa Italiana relativa alla prevenzione della cosiddetta “Sindrome Metabolica”, ossia un insieme di segni clinici dovuti principalmente “ad un’alimentazione troppo spesso caratterizzata dal consu-mo eccessivo di proteine, grassi saturi, zuccheri e sale, cui si aggiunge una crescente sedentarietà e una sempre minore attitudine al movimento e all’at-tività fisica, sia sul luogo di lavoro sia nel tempo libero”.

Questa sindrome, particolarmente insidiosa, è caratterizzata da alcuni sin-tomi che rappresentano spie alle quali si deve prestare la massima attenzio-ne. Tra questi:

- un indice di massa corporea (rapporto esistente tra altezza e peso) supe-riore a 30;

- un girovita superiore a 102 cm. per gli uomini e a 88 cm. per le donne;

- ipertensione arteriosa superiore a 130 (massima) e 90 (minima);

- glicemia a digiuno superiore a 110 mg/dl;

- colesterolemia superiore a 200 mg/dl;

- trigliceridi superiori a 150 mg/dl

L’indice di massa corporea è uno strumento atto a calcolare l’eccesso di peso corporeo. Per esempio: se si pesa 85 chili e se si è alti 1,70 cm. si effet-tua questo calcolo:

85 : (1,70 X 1,70) = 29.4 (sovrappeso critico).La tabellina seguente indica i parametri di riferimento della massa corpo-

rea il cui coefficiente ideale si situa tra 20 e 24.9.

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Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita

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risultato< 20 sottopeso

20-24.9 peso giusto

25-29.9 sovrappeso

30-40 obeso

> 40 molto obeso

Attualmente il problema del sovrappeso e dell’obesità si sta imponendo all’attenzione della comunità scientifica mondiale come una delle urgenze primarie da affrontare in tema di salute fisica ma non solo. E’ risaputo infatti che, un’alimentazione scorretta – in eccesso o in difetto - il più delle volte trae origine da un disagio psichico in cui ansia, depressione, stress giocano un ruolo di primaria importanza influenzando notevolmente anche tutti quei processi biochimici che sottendono l’attività metabolica dell’organismo.

Uno stile di vita sedentario, abulico, privo interessi, senza stimoli che consentano di affrontare la quotidianità con più slancio ed entusiasmo, con-cedendo al corpo quella giusta dose di movimento in grado di bruciare i grassi in eccesso, costituisce uno dei pericoli più subdoli per la nostra salu-te. Inoltre è stato anche appurato scientificamente che arrabbiature e scatti di ira improvvisi fanno aumentare in modo significativo il valore glicemico nel sangue.

Quando l’atto del magiare diventa patologicoSostanzialmente, quando si parla di disturbi alimentari ci si riferisce so-

prattutto all’anoressia ed alla bulimia ma, attualmente, si parla anche Binge Eating Disorder (BED) termine tradotto in italiano con Disturbo da Alimenta-zione Incontrollata. Si tratta di un disordine alimentare in cui i soggetti, note-volmente in soprappeso o obesi, mostrano un’alimentazione caotica con un elevato introito di cibo sia ai pasti che fuori pasto. Apparentemente questo disturbo somiglia molto alla bulimia nervosa ma, nel caso specifico, le “scor-pacciate” non sono accompagnate da strategie per compensare l’ingestione di cibo in eccesso, come avviene per il disturbo bulimico. Se tali strategie dovessero essere presenti, tipo il vomito autoindotto o l’uso di lassativi e diuretici, il digiuno, l’esercizio fisico eccessivo, non sono utilizzati in maniera sistematica.

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Felice Di Giandomenico

Stress, glicemia ed altro…Si dice che tra stress fisico e psicologico a farne le spese è sempre la gli-

cemia. E’ scientificamente provato, infatti, che stati prolungati di stress psicofisico

sono in grado di modificare in modo significativo il quadro ormonale con conseguente aumento di cortisolo e catecolamine, due ormoni che determi-nano l’innalzamento del valore glicemico nel sangue.

La persona diabetica non riesce a riportare la glicemia ai valori normali e quindi tende a scompensarsi.

Il dottor Alberto De Micheli, diabetologo e co-editor degli standard ita-liani per la cura del diabete spiega che: “questo meccanismo d’azione è facilmente intuibile: di fronte a uno stress fisico, ad esempio, il nostro or-ganismo deve avere a disposizione glucosio di pronto utilizzo cioè energia disponibile per la fuga o comunque per una reazione fisica immediata. E quando, invece, siamo sotto pressione dal punto di vista psicologico, allora è lo stress mentale a determinare oscillazioni di glucosio nel sangue. La causa? Sempre una maggior produzione di cortisolo, noto appunto come l’ormone dello stress”.

Coinvolgendo sia la sfera fisica che quella psichica è chiaro che lo stress può produrre un considerevole numero di disturbi funzionali la maggior parte dei quali è legato ad un progressivo indebolimento delle difese im-munitarie. La persona stressata, infatti, contrae più facilmente malattie da raffreddamento, tende ad essere maggiormente soggetta a fastidiose infe-zioni come cistiti, uretriti, bronchiti, anessiti ed herpes labiale, o a disturbi prettamente notturni come il bruxismo (digrignare i denti durante il sonno) per non citare poi patologie piuttosto perniciose come l’ipertensione arte-riosa, la colite spastica, la mononucleosi infettiva, il diabete, l’ulcera gastrica e duodenale ecc.

A livello comportamentale, lo stress si manifesta di solito attraverso una fa-cile irritabilità, l’impazienza, la perdita dell’efficienza lavorativa che si associa, di solito, ad un azzeramento dell’autostima con conseguente atteggiamento negativo ed ostile verso familiari, colleghi di lavoro, partner ed amici. Nella maggior parte dei casi è proprio la rabbia il sentimento che si evidenzia con maggior frequenza nelle persone stressate le quali possono perdere le staffe molto facilmente.

Vi sono poi dei fattori che possono, in qualche modo, indebolire la re-

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sistenza agli stress, predisponendo l’organismo a quello che alcuni defini-scono “esaurimento energetico” e che si manifesta nel senso di insicurezza, nella mancanza di amor proprio, nel pessimismo esasperato, nell’instabilità affettiva, nell’insonnia, nell’ansia, nella conflittualità interna, nella rigidità di pensiero ecc.

Inoltre, sempre considerando i fattori predisponenti che possono favori-re e far innalzare il livello di stress troviamo i problemi economici, il porsi obiettivi non realistici o difficilmente raggiungibili, il vivere di fantasie o sup-posizioni, la sedentarietà e un’alimentazione squilibrata che, a sua volta, crea danni considerevoli a livello gastroenterico e cardiocircolatorio.

In definitiva, lo stress è il risultato di un caos interiore dove, il coinvolgi-mento simultaneo di mente e corpo, determina uno squilibrio psicofisiologi-co che, non di rado, può richiedere un intervento medico piuttosto incisivo, oltre ad un intervento psicoterapico per rimettere ordine nel proprio mondo interiore. E’ comunque sempre consigliabile non lasciar correre e non pro-trarre per lunghi periodi situazioni stressanti e affaticanti dal punto di vista psichico.

Trascurarsi, in questi casi, significa correre il rischio di ammalarsi seria-mente danneggiando organi o alterandone le funzioni di base. A tal fine è utile ricordare che ogni persona ha uno o più organi cosiddetti “deboli” su cui tensioni, ansia e stress vanno ad infierire.

Ecco perché, nei periodi in cui il livello di stress si innalza, alcuni posso-no lamentare forti emicranie, altri dolori o crampi allo stomaco, altri ancora disfunzioni intestinali o dolori muscoloscheletrici. Ed è quando si avvertono certi sintomi, legati ad una forte tensione interna che diventa assolutamente necessario sforzarsi di mutare il proprio stile di vita evitando di rimanere impigliati nei rimpianti delle cose non fatte, vittime di pensieri inespressi che occupano la testa e che alimentano un rimurginìo interiore inutile e dannoso, evitando imprese superiori alle proprie forze.

Alcune indicazioni utili per far fronte allo stress1) Dormire bene. Sono necessarie da 6 a 8 ore di sonno profondo per dare

il meglio di sé.

2) Sforzarsi di essere mentalmente flessibili. La rigidità mentale è nociva.

3) Non subire i cambiamenti ma anticiparli.

Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita

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4) Essere realisti: agire in base ai fatti concreti e non a fantasie o supposi-zioni.

5) Esprimere le proprie emozioni.

6) Assumersi le proprie responsabilità evitando di atoingannare se stessi.

7) Essere consapevoli delle proprie tensioni interne.

8) Non preoccuparsi ma occuparsi dei problemi.

9) Saper staccare la spina dai pensieri che assillano.

10) Coltivare abitudini alimentari e di vita salutari.

Diabete e vita quotidiana Considerando che il diabete coinvolge sia la sfera psichica che quella

fisica è sicuramente utile, per chi ne soffre, rivolgersi innanzi tutto ad un diabetologo di fiducia e ad uno specialista in malattie del metabolismo per verificare i rischi per l’organismo dovuti ad un’alimentazione scorretta ed ad uno stile di vita eccessivamente stressante o troppo sedentario.

Per avere un quadro completo, dovrebbero essere valutati soprattutto i valori della glicemia, dell’ipercolesterolemia, dei trigliceridi e quello delle transaminasi. Anche una visita cardiologica ed un controllo della pressione periodico può risultare utile per arrivare ad una diagnosi corretta e, quindi, a cure mirate e correzioni dello stile di vita.

Inoltre, aiutare la mente a rilassarsi e a distendersi, può facilitare la capa-cità di modificare il proprio stile di vita che è essenziale per ridurre ai minimi termini i danni prodotti dall’iperalimentazione, dalla sedentarietà e da un continuo logorio interno dovuto allo stress.

Tra i metodi di rilassamento universalmente riconosciuti, quello della re-spirazione lenta e regolare è senz’altro il più efficace e consente, in tempi relativamente brevi, di giungere ad un benefico stato di calma interiore.

I ritmi della vita moderna, si sa, sono frenetici e richiedono un gran di-spendio di energie, soprattutto mentali. Queste dispersioni, ovviamente, van-no ad incidere anche sul modo di mangiare, spesso troppo veloce (tachifagia) e non regolare. Aiutare se stessi a ritrovare un equilibrio psicofisico diventa allora un imperativo al quale non ci si può sottrarre se si desidera mantenere il proprio corpo in forma ma, soprattutto, se lo si vuole preservare da malattie

Felice Di Giandomenico

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che possono prendere la china della cronicità e condizionare notevolmente la qualità della vita una volta rivelatesi.

La persona diabetica può svolgere tutte le attività quotidiane normalmente e serenamente a patto però che si rispetti uno stile di vita corretto ed equili-brato, basato su principi di buon senso e precauzione, e sappia come gestire situazioni di marcato incremento o riduzione della glicemia.

Pertanto è opportuno che il paziente diabetico sappia e sia in grado di:

• Controllarelapropriaglicemia

• Gestireleipoglicemie

• Evitareilfumoelimitarel’alcol

• Seguireun’alimentazionecorrettaedequilibrata

• Praticareattivitàfisicainmodoregolare

• Eseguireperiodicamenteesamidelsangueedell’urina

• Teneresottocontrollolapressionesanguigna

• Riconoscereimmediatamenteinfiammazioni,lesioni,infezioniacaricodeipiedi

• Controllareperiodicamentelapropriasituazionecardiovascolare,renale,orodentale

• Limitarel’usodellozucchero

• Leggerecorrettamenteleetichettedeiprodottialimentarieutilizzarneleinformazioni

Queste cose sembrano tante, e lo sono realmente. Tuttavia la persona con diabete deve impararle giorno dopo giorno, perché quante più conoscenze avrà, tanto più potrà condurre una vita pressoché normale.

Per quanto concerne una corretta profilassi della Sindrome Metabolica anche qui abbiamo una sorta di decalogo da seguire messo a punto dalla Croce Rossa Italiana.

1. Imparare a conteggiare le calorie assunte con il cibo ed a metterle in relazione al fabbisogno personale e lo stile di vita.

2. Distribuire le calorie giornaliere in 5 pasti: colazione, spuntino di metà mattina, pranzo, spuntino pomeridiano e cena.

3. Prediligere i cibi con più carboidrati la mattina e quelli ricchi di proteine il pomeriggio e la sera. Consumare alimenti vegetali in grande quantità.

Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita

AREA UMANISTICA

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4. Preferire l’olio vergine di oliva per condire le pietanze.

5. Ricordare che alcuni alimenti come la pasta, il pesce, i vegetali e i legumi sono chiamati “amici del cuore”, perché quasi privi di colesterolo.

6. Bere liquidi a sufficienza (almeno un litro e mezzo al giorno) anche du-rante i pasti e limita l’utilizzo del sale.

7. Mangiare lentamente e con tranquillità, gustando i pasti.

8. Svolgere ogni giorno un po’ di attività fisica: 30 minuti di cammino a passo svelto fanno mantenere una forma fisica ottimale; 60 minuti fanno perdere i chili di troppo.

9. Se si ama lo sport, scegliere preferibilmente le attività aerobiche, come la corsa lenta, il nuoto e la bicicletta: sono quelle più amiche del tuo cuore e della tua linea.

10. Sfruttare ogni occasione per muoversi: passeggiare il più possibile, fare la spesa o accompagnare i figli a scuola a piedi, preferire le scale all’a-scensore, ecc.

Diabete e sportIn linea di massima alla persona diabetica non è precluso alcun tipo di

sport. Un’attività fisica regolare aiuta a migliorare la prestazione cardio-respi-ratoria, favorisce l’ossigenazione dei tessuti ed inoltre consente di perdere i chili in eccesso.

Ovviamente, trattandosi di una patologia cronica, anche nel caso della pratica sportiva è necessario prestare attenzione su alcuni punti al fine di non rischiare modificazioni glicemiche significative.

Questi piccoli accorgimenti dovrebbero entrare a far parte dello stile di vita della persona diabetica che, dall’azione sportiva, deve poter trarre il massimo giovamento.

Quindi è bene effettuare un controllo della glicemia prima di ogni eserci-zio fisico considerando l’ora in cui l’attività fisica viene svolta. Di solito, so-prattutto nei casi di iperglicemia post-prandiale viene consigliato di svolgere esercizi fisici 1-3 ore dopo il pasto.

Per i soggetti diabetici è importante l’assunzione di acqua durante l’e-sercizio fisico, soprattutto per coloro in insufficiente controllo glicemico i quali sono particolarmente predisposti alla disidratazione quando praticano sport.

Felice Di Giandomenico

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Attività aerobica e anaerobicaAi soggetti diabetici viene spesso consigliata un’attività sportiva di tipo

aerobico (camminata, corsa leggera, ciclismo, nuoto) la quale comporta l’in-tervento progressivo dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio e l’adat-tamento a lungo termine si evidenzia fondamentalmente nell’aumento del massimo consumo di ossigeno.

Per quanto riguarda l’esercizio di tipo anaerobico, questo non necessita di un intervento diretto del sistema cardiocircolatorio, ma non può prescindere da esso e, determinando un aumento delle resistenze periferiche per l’eleva-ta tensione muscolare, richiede un brusco e intenso incremento dell’attività cardiaca. Si pensi a movimenti come gli scatti di corsa, il sollevamento pesi e in generale tutti gli sport che impongono una prestazione al top in tempi rapidi. Di solito l’attività sportiva di tipo anaerobico è sconsigliata ai soggetti diabetici in quanto caratterizzata da esercizi di tipo isometrico (di forza), i quali possono favorire l’insorgenza di crisi ipoglicemiche.

Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita

AREA UMANISTICA

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TESTIMONIANZA

pp. 279-281

La croce, che fatica!Donato Ferraro

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Quando l’enigma della malattia si trasforma in un tempo di luce e di ve-rità. Una toccante testimonianza di don Donato Ferraro, parroco di Picer-no (Pz).

Come tutti i sacerdoti, anche a me è capitato, centinaia di volte, di parla-re della croce: ai malati, ai moribondi, a chi era in qualunque difficoltà, a chi piangeva la morte di una persona cara…

Come tutti i sacerdoti, anche io ho cercato di consolare, di infondere spe-ranza, di stare semplicemente a fianco, a volte senza dire nulla, di chi era nel-la prova. Nella misura in cui ho saputo farlo ed il Signore mi ha dato la gra-zia di farlo, l’ho fatto.

Oggi, per un misterioso disegno della Provvidenza di Dio, mi trovo dall’al-tra parte: sono io il malato e tocca agli altri venire a farmi visita e dirmi pa-role di speranza.

La scena è la stessa, ma aver invertito i ruoli ha reso ogni cosa così pro-fondamente diversa!

Ho imparato, innanzitutto, che la croce è una “cosa seria” e che non la si porta mai “sportivamente”, canterellando o minimizzandone la durezza.

Sotto la croce si fatica, anche quando si è cristiani e si è interiormente con-vinti di avere accanto il Salvatore; sotto la croce si piange; sotto la croce, a volte, ci si scoraggia e persino si cade…

Ringrazio il Signore della vita, perché in quest’ora insieme tenebrosa e splendida mi ha fatto toccare con mano tutta la mia fragilità, la mia miseria, la mia paura.

Davanti alla croce vera, così diversa da quella predicata, sono cadute tut-te le maschere, tutti i ruoli, tutte le parole di circostanza, tutte le illusioni in-genue di forza e di intelligenza.

È caduta ogni forma di orgoglio e di presunzione, e questo perché rima-nesse soltanto la verità in tutta la sua drammatica evidenza: l’uomo nudo, l’uomo svestito di ogni sovrastruttura costruita nel tempo dalla necessità di apparire in un ruolo; l’uomo, semplicemente l’uomo, nella sua inguaribile e radicale miseria.

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La croce, che fatica!

TESTIMONIANZA

L’ora tenebrosa della malattia – di una malattia che so potrebbe condur-mi alla morte – si è così provvidenzialmente trasformata in un’ora di luce e di verità.

Ho conosciuto don Donato, la sua povertà, il suo bisogno – così difficile, credetemi, da accettare… – di essere aiutato anche nelle cose più semplici che per tutta la vita avevo pensato essere banali e scontate.

Ho conosciuto l’uomo e insieme ho imparato ad apprezzare ogni piccola gioia – fosse anche il semplice poter mangiare con la bocca piuttosto che es-sere nutrito da una disumana sacca – con le quali la Provvidenza rende meno penoso il nostro viaggio.

Accanto all’uomo nudo, però, ho scorto, anch’essa con occhi decisamente nuovi, la presenza di Gesù al suo fianco.

Lo conoscevo già il Signore; ho parlato di lui per tutta la mia vita; ho cele-brato i suoi misteri per 26 anni; ho guidato il suo gregge ovunque il mio ve-scovo mi abbia inviato, da Savoia a Marsico a Picerno.

Ma anche qui quante cose sono cambiate!È lo stesso Gesù che ho studiato sui libri di teologia e che ho predicato

e sentito predicare per anni, ma quanto “è cambiato” anche lui, o, meglio, quanto i miei occhi oggi lo vedono nuovo, diverso, sorprendente!

Oggi lui è il “mio” Gesù, il “mio” consolatore, il “mio” salvatore, la “mia” difesa, il “mio” fedele compagno di vita.

È sempre lui ed io sono sempre me stesso, eppure quanto siamo diver-si e lui ed io…

Se questo è un progresso spirituale – non tocca a me dirlo – ringrazio e benedico il Signore e, paradossalmente, ringrazio e benedico la malattia che lo ha reso possibile.

È stata lei, la malattia, a snudarmi di tutto, ma è stata anche lei, la malat-tia, a permettere al “mio” Gesù di rivestirmi di amore e di misericordia, ren-dendomi ancor più bello ai suoi occhi e aprendo dinanzi ai miei prospetti-ve nuove di vita.

Con san Francesco, allora, anche io canterò: “Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ scap-pare”.

Sii benedetto, Signore, perché togliendomi le vesti della salute e della si-curezza di me, mi hai rivestito della veste splendida della tua grazia e dell’ab-bandono a te!

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Donato Ferraro

E con il Poverello di Assisi pregherò: “Beati quelli che troverà ne le tue santissime voluntati, ca la morte secunda no ‘l farrà male”.

Un’ultima cosa.Insieme al “mio” Gesù, ho visto in questi anni accanto a me tante persone

buone che gli hanno prestato le mani, gli occhi, il cuore, il lavoro, perché lui potesse farmi sentire la forza della sua presenza.

Penso alla mia mamma, alla quale mai avrei voluto dare tanto fastidio e tanto dolore; penso a mia sorella e ai miei fratelli; penso ai miei familiari tut-ti e ai tanti amici conosciuti in questi anni di ministero parrocchiale; penso ai medici e a quanti si sono presi cura di me, e ancora lo stanno facendo, pri-ma a Roma ed ora a Potenza.

Penso soprattutto alla Madonna.L’altro giorno, don Paolo mi ha portato in camera una bella statua della

Madonna di Viggiano, la “mia” Madonna, la Madonna della “mia” gente, del-la “mia” storia di figlio di questa terra.

È di fronte al mio letto e non cesso un istante di guardarla, di lasciarmi guardare da lei, di amarla…

Ti ringrazio, o “mio” Gesù, per avermi voluto donare la tua mamma, che oggi più che mai sento anche come “mia”.

Senza di te, o Vergine benedetta, avrei solo freddo e paura.Con te, o Madre di misericordia, sento di poter trasformare anche quest’o-

ra di dolore in un’offerta preziosa di amore.Non lasciarmi nemmeno per un istante, o Madre mia, e prega con me per-

ché si compia in me la volontà di Dio: o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria! ■

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ABBIAMO LETTO PER VOI

pp. 282-283

“Don Remigio la sapienza del cuore” è il titolo della nuova bio-grafia in corso di stampa pubblicata dalle Edizioni CVS, che uscirà entro l’estate, a un anno dalla scomparsa del protagonista. Ventuno capitoli scritti dal giornalista Mauro Anselmo, che raccontano l’av-ventura umana e spirituale del primo sacerdote entrato a far parte dei Silenziosi Operai della Croce.

Il periodo della malattia, l’incontro con il beato Novarese, la to-tale dedizione all’apostolato dei malati. Don Remigio Fusi che pre-dica gli Esercizi spirituali a Re, che guida i pellegrinaggi pasquali a Lourdes con il CVS di Brescia, che a fianco di sorella Elvira My-

riam Psorulla si impegna a fondo nella causa di beatificazione di Monsignore.Una biografia che inquadra in una nuova luce il ritratto del sacerdote an-

che attraverso episodi inediti: il mite seminarista che diventa stretto collabo-ratore di Novarese, ma che sa anche battere i pugni sul tavolo davanti a co-loro che mettono in discussione il carisma del fondatore.

All’autore del libro abbiamo rivolto qualche domanda.

Che cosa l’ha colpita, in particolare, nella biografia di don remigio?La trasformazione determinata in lui dall’incontro con Novarese. Il gio-

vane Fusi era un seminarista timido e sofferente, che la malattia ai polmoni aveva gettato in uno stato di prostrazione emotiva e spirituale drammatica, senza via d’uscita. L’incontro con Novarese cambiò radicalmente la sua vita.

Che cosa avvenne?Remigio desiderava essere prete e fare il missionario in Africa, ma la pleu-

rite che lo aveva colpito rendeva irrealizzabile il desiderio. Il ragazzo era sta-to costretto a interrompere gli studi in seminario e si sentiva totalmente in balia della malattia e incapace di reagire. Novarese abbatté il muro che lo te-neva prigioniero.

In che modo?Con il suo insegnamento: “Tu ammalato puoi essere missionario in ospe-

“Don remigio, la sapienza del cuore”A cura della Redazione

Mauro AnselmoEdizioni CVSpp. 128 - € 10

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A cura della Redazione

dale o in sanatorio. La sofferenza non ti chiude in una stanza, ti fa raggiun-gere il mondo. Siccome Cristo in croce arriva a tutti tu, ammalato, unendo-ti a lui, raggiungi tutti”. Leggendo queste parole sull’Ancora, Remigio si sentì rinascere. Scrisse una lettera a Novarese, iniziò fra loro un rapporto di corri-spondenza che, nel luglio 1953, li portò al primo incontro.

Il libro è intitolato “Don remigio, la sapienza del cuore”. perché?Sono convinto che nella sua avventura sacerdotale e umana egli abbia

dato rappresentazione a quella disposizione spirituale che papa Francesco ha definito, nel messaggio per la Giornata mondiale del malato dell’11 feb-braio 2015, “la sapienza del cuore”. Questa sapienza rappresenta la dimen-sione affettiva della fede. È la certezza dell’amore di Cristo che cambia la vita e spinge il cristiano a essere “mite e umile di cuore” (Matteo 11, 29) come Gesù, disponibile all’ascolto e alla condivisione. Per tutta la vita don Remigio ha saputo ascoltare e condividere, portando luce e affetto nel cuo-re dei malati.

Don Remigio FusiNato a Bagolino, in provincia di Brescia, l’8 settembre del 1929, entra in contatto con monsignor Luigi Novarese nei primi anni ‘50 inizialmente per corrispondenza, ri-chiedendo l’invio della rivista L’Ancora mentre era ricoverato al sanatorio di Sondalo.Questi primi contatti furono la scintilla per la scelta radicale di Remigio di diventa-re un Silenzioso Operaio della Croce, che si consacra il 17 giugno 1953 ed entra uf-ficialmente in Comunità a Re il 4 ottobre 1954.A Lourdes, il 31 luglio 1960, viene ordinato sacerdote insieme a don Gastone Ru-bin da mons. Pasquale Venezia vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia. Da quel momen-to in poi, ricopre vari incarichi di rilievo all’interno dell’Associazione Silenziosi Ope-rai della Croce, tra i quali quello di assistente diocesano del CVS di Brescia, econo-mo, assistente per l’apostolato, formatore del tempo di prova e, per ultimo, respon-sabile della Comunità maschile di Moncrivello(Vc) e del Centro di recupero e riedu-cazione funzionale.Don Remigio è stato sempre in prima linea riguardo tutte le iniziative associative promosse da Monsignore, dagli Esercizi spirituali ai pellegrinaggi a Lourdes, dai Con-vegni sacerdotali ai progetti editoriali perseguiti dai Silenziosi Operai della Croce nel-le riviste L’Ancora e L’Ancora nell’Unità di Salute per diffondere e promuovere la spi-ritualità e il carisma del beato Novarese.Il 13 agosto, a Moncrivello (VC), presso la Comunità dei Silenziosi Operai della Croce, don Remigio è tornato alla Casa del Padre.

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“Sognate anche voi questa Chiesa”Il sussidio è stato pensato dalla Segreteria Generale della CEI per

ripartire dal V Convegno Nazionale “In Gesù Cristo il nuovo uma-nesimo” (Firenze, 9-13 novembre 2015), sulla base del discorso pro-grammatico con cui lo stesso Santo Padre ha indicato ciò che si at-tende dalla Chiesa italiana. Si tratta di uno strumento che ci aiuta a rivivere nelle nostre Chiese locali l’esperienza di discernimento co-munitario vissuta a Firenze. All’interno, oltre che ad una introduzio-ne del Segretario generale S.E. mons. Nunzio Galantino e agli inter-venti del Santo Padre, sono pubblicate le sintesi delle aree temati-che e una scheda metodologica per orientare il discernimento co-

munitario nelle nostre diocesi in stile sinodale.Anche per la Pastorale della salute, il richiamo forte alla sinodalità è cen-

trale per rispondere con efficacia alla domanda di salute e di salvezza che c’è in tutti e in particolare in chi soffre o è malato. Un testo che senz’altro potrà essere occasione per vivere l’impegno diocesano di ciascuno sempre più in stile sinodale, manifestazione della comunione che deve ispirare tutte le de-cisioni ecclesiali.

AA.VV., “Sognate anche voi questa Chiesa”, Mediagraf SpA, Noventa Pado-vana (Pd) 2016, pp. 84, € 3

Educatori in ricercaLa Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Na-

zioni Unite, 1989) ha promosso un nuovo modo di pensare che ha generato enormi cambiamenti all’interno del Child and Family Wel-fare. Uno degli aspetti innovativi che ne emergono è il vedere nel-la qualità degli interventi socioeducativi uno dei maggiori interessi dei soggetti in via di sviluppo.

Il volume di Silvio Premoli, narra una storia di apprendimento organizzativo che consente di cogliere la dinamicità del dialogo tra flussi globali di cambiamento nel settore dei servizi socio-educati-vi per bambini e famiglie vulnerabili, concentrandosi sull’esperien-

za pratica e radicata della Cooperativa sociale “La Grande Casa” di Sesto San Giovanni. In particolare, l’attenzione viene rivolta alle attività dei laboratori te-matici di ricerca considerati spazi di condivisione per promuovere processi di innovazione e trasformazione sul lavoro socio-educativo.

Premoli S., Educatori in ricerca, Carocci Editore, Roma 2016, pp. 136, € 15

La rivista accoglie in queste pagine le recensioni di testi che, dai più disparati punti di osservazione, trattano temi utili per approfondire e dibattere questioni inerenti all’articolato mondo dell’umana sofferenza. Questa rubrica è il luogo per un abituale e critico appuntamento con una bibliografia ritenuta utile a mantenere aperto un confronto ed un dibattito.

SPUNTI PER LA LETTURA

pp. 284-286

A cura di Vincenzo Di Pinto

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Al Santuario con pavese.Storia di un’amicizia

A distanza di settant’anni dal primo incontro, Franco Ferrarot-ti, padre della sociologia italiana, ricorda in un libro la sua amicizia con l’autore di Paese tuoi e La luna e i falò e riproduce le due sole lettere di Pavese sopravvissute alla distruzione del carteggio.

Nel libro Al Santuario con Pavese. Storia di un’amicizia, Ferra-rotti ricorda che negli anni più duri della Resistenza, nel 1943-1944, «è probabile che al Santuario di Crea, nel Monferrato, Cesare abbia cercato conforto nella religione degli antichi padri.

Credo che abbia anche fatto la comunione, forse in uno di que-gli improvvisi, non resistibili ritorni di fiamma della fede degli anni d’infanzia. Un’esperienza piuttosto rara fra gli intellettuali molto consci di sé, della pro-pria cultura, superbamente chiusi nella famosa torre d’avorio, pronti a tura-re i buchi dell’universo con i loro berretti da notte», incapaci di comprendere lo struggimento di un uomo che, ormai non lontano dalla stanza dell’hotel di Torino in cui si suicidò il 27 agosto del 1950, «ricordava i giorni dell’infanzia, quando si proibiva di deglutire per non infrangere la regola del digiuno prima di ricevere l’ostia consacrata».

F. Ferrarotti, Al Santuario con Pavese. Storia di un’amicizia, pubblicato EDB, Bologna 2016, pp. 128, € 11,50

Un profeta prestatoNell’attuale panorama socio-politico è quanto mai necessario ri-

valutare la figura di un uomo che ha saputo mettere assieme fede, lavoro e attivismo politico in modo armonico, senza mai cedere alla tentazione del potere o a compromessi disdicevoli dal punto di vi-sta morale.

Giorgio La Pira è stato un vero testimone del Vangelo di Cristo, un testimone che ha saputo ben miscelare le proprie responsabili-tà politiche con una spiritualità semplice ma allo stesso tempo rigo-rosa e vissuta.

Il testo di Micelli consente di conoscere la figura di La Pira sui vari fronti dove egli si è mosso sia come uomo pubblico che come politico.

Un personaggio importante per la storia del nostro Paese che, ancora oggi, rappresenta un esempio concreto di vera umanità e dedizione agli altri, una santità di vita sulla quale riflettere.

Micelli L., Giorgio La Pira. Un profeta prestato, Tau Editrice, Todi 2016, pp. 78, € 5

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Recensioni e commenti

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La sparizione dei bambini DownPer i nati con Trisomia 21, la sindrome di Down, questo è il mo-

mento migliore.In Occidente la loro speranza di vita sfiora i sessant’anni, un tra-

guardo ritenuto impossibile fino a pochi decenni fa, e soprattutto le loro condizioni di vita hanno subito un radicale cambiamento: sono praticamente autonomi in tutto e mostrano una grande voglia di fare, di esprimersi, di realizzarsi, che trova sbocchi sempre più significati-vi e apprezzabili. Vi è un crescente numero di Down che lavorano, non soltanto in ambiti protetti, mentre si restringe fino alla margina-lità la quota di quelli costretti a vivere tra le mura domestiche.

Nel 2016 si terranno a Firenze i primi Trisomia Games, i giochi internazionali di atletica a cui parteciperanno giovani affetti dalla sindrome di Down provenienti da ogni parte del mondo. Eppure proprio Firenze e la To-scana rappresentano una delle punte più avanzate della sparizione dei bam-bini Down attraverso il combinato disposto della diagnosi prenatale e dell’in-terruzione volontaria di gravidanza in presenza di feti affetti da questo difetto genetico. È la formidabile contraddizione che attraversa oggi non già il mondo dei bambini Down ma la nostra cultura e i nostri valori alle prese con questo mondo: per un verso offriamo loro prospettive sempre migliori, e per un altro cerchiamo di evitare in tutti i modi che vengano al mondo. E infatti si stanno estinguendo in tutta Europa, nel silenzio generale, se non proprio nella soddi-sfazione sottilmente eugenetica per un tale risultato. Forse è giunto il momen-to di interrogarsi seriamente su quanto sta accadendo.

R. Volpi, La sparizione dei bambini Down, Lindau, Torino, 2016, pp. 96, € 12

Il libro della mindfulnessLa mindfulness (letteralmente «consapevolezza» di sé, delle pro-

prie azioni, dei propri sentimenti) è un approccio psicologico che negli ultimi anni sta riscontrando un enorme successo in tutto il mondo. Consente di sviluppare la flessibilità mentale e aumentare l’autoconsapevolezza attraverso semplici esercizi quotidiani.

Questo libro, scritto da due esperti di fama internazionale, è il manuale di riferimento per chiunque voglia accostarsi alla mindful-ness.

Attraverso esercizi pratici e poco faticosi (bastano pochi minuti al giorno), chiunque sarà presto in grado di:

– aumentare il proprio senso di felicità e di benessere;– migliorare la propria visione mentale;– potenziare la propria produttività sul lavoro;– migliorare la propria vita sociale e familiare.S. McKenzie, C. Hassed, Il libro della mindfulness, Erickson, Trento 2016,

pp. 400, € 16.50

Recensioni e commenti

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MAGISTERO

pp. 287-288

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[…] Vorrei considerare, seppur brevemente, tre aspetti dell’impegno intrapreso dal Pontificio consiglio della cultura e dalle istituzioni con esso coinvolte, la Fondazione Vatica-na Scienza e Fede – STOQ e la Fon-dazione Stem for Life, insieme a mol-ti altri che si associano a questo per-corso culturale.

Il primo è la “sensibilizzazione”. È di fondamentale importanza pro-muovere nella società la crescita del livello di empatia, affinché nessuno rimanga indifferente alle invocazioni di aiuto del prossimo, anche quando è afflitto da una malattia rara. Sap-piamo che talvolta non è possibi-le trovare soluzioni rapide a patolo-gie complesse, ma sempre si può ri-spondere con sollecitudine a queste persone, che spesso si sentono ab-bandonate e trascurate. La sensibilità umana, invece, dovrebbe essere uni-versale, indipendente dal credo reli-gioso, dal ceto sociale o dal contesto culturale.

La seconda parola che vi accom-pagna nel vostro percorso è “ricer-

ca”, considerata nelle due accezio-ni inscindibili: l’educazione e l’inda-gine scientifica vera e propria. Oggi più che mai sentiamo questa urgenza educativa che, insieme alla matura-zione delle facoltà intellettuali degli studenti, garantisca un’adeguata for-mazione umana, assicurando il mas-simo livello professionale. In que-sto orizzonte pedagogico, si rende necessario, nell’ambito delle scien-ze della vita e delle scienze mediche, progettare percorsi interdisciplina-ri riservando un notevole spazio alla preparazione umana con un fonda-mentale riferimento all’etica. Infatti, anche la ricerca, sia in ambito acca-demico che industriale, richiede una costante attenzione alle questioni morali per essere strumento di tutela della vita e della dignità della perso-na umana. Così, formazione e ricerca esigono di essere collocate nell’oriz-zonte del servizio ai valori alti, quali solidarietà, generosità, gratuità, con-divisione del sapere, rispetto per la vita umana e amore fraterno e disin-teressato.

I progressi della medicina rigenerativaPubblichiamo il Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Convegno internazionale promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura sui progressi della medicina rigenerativa e i suoi impatti culturali riuniti in Aula Paolo VI, Venerdì, 29 aprile 2016.

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La terza espressione sulla qua-le vorrei soffermarmi è “assicurare l’accesso alle cure”. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudiumho ri-levato il valore dei progressi dell’u-manità in questo momento storico, portando come esempio «l’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione» (n. 52). Tuttavia, ho affermato con forza che bisogna op-porsi a «un’economia dell’esclusione e della inequità» (ibid., 53), che se-mina vittime quando il meccanismo del profitto prevale sul valore del-la vita umana. Questa è la ragione per cui alla globalizzazione dell’in-differenza bisogna contrapporre la globalizzazione dell’empatia. Per-ciò, siamo chiamati a rendere noto il problema delle malattie rare su scala mondiale, a investire nella formazio-ne più adeguata, a incrementare le risorse per la ricerca, a promuovere

l’adeguamento legislativo e il cam-bio del paradigma economico, affin-ché sia privilegiata la persona uma-na. Allora, grazie all’impegno coor-dinato a vari livelli e in diversi setto-ri, diventa possibile trovare non solo le soluzioni alle sofferenze che af-fliggono i nostri fratelli ammalati, ma anche assicurare loro l’accesso alle cure.

Vi incoraggio, pertanto, a coltiva-re questi valori che già appartengo-no al vostro itinerario accademico e culturale, intrapreso alcuni anni fa, e che continua a coinvolgere un nu-mero sempre più grande di perso-ne e istituzioni nel mondo. In questo Anno giubilare possiate essere coo-peratori qualificati e generosi della misericordia del Padre. Vi accompa-gno e vi benedico nel vostro cammi-no; e vi chiedo, per favore, di prega-re per me. Grazie. ■

MAGISTERO

Page 98: L’Ancora 3 nell’L’UAncora nità nell’Unità S...Hiang-Chu Ausilia Chang 249 Dalla prevenzione all’educazione. La sfida della cultura della prevenzione e della salute (seconda

• Atti del Convegno della Lega Sacerdotale Mariana 2016 • La misericordia:cuore del Vangelo • La misericordia chiave dell’esistenza • Novarese: “Il malato

non è la malattia” • La pastorale della salute nel Giubileo della misericordia • Celebrare il sacramento della Riconciliazione oggi • Dalla prevenzione all’educazione.

La sfida della cultura della prevenzione e della salute (seconda parte) • Psicologia e diabete: l’importanza di un corretto stile di vita • La croce, che fatica! • Abbiamo letto

per voi - Don Remigio, la sapienza del cuore • Spunti per la lettura • Magistero

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