LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A ......la legge Rosatel-lum bis. Questa prevede che i...

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LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO 1 ANNO XI-

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  • LA VENTICINQUESIMA ORA - GIORNALINO A DISTRIBUZIONE GRATUITA DEL LICEO “A. CANOVA” - NUMERO 1 ANNO XI-

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    DICEMBRE 2019

    EDITORIALE, 3PLANISFERO, 4

    Un governo (non) eletto, 6 Un grido per la libertà, 7

    Delitto d’onore, 8 Pseudo-recensione, 9

    Come liberarsi da un’ossessione, 10 Storia di una bambina speciale, 11

    PILLOLE MITICHE, 12PAROLE, 13

    Il paziente Sigma, 14Dal Liceo ... al Quarto Profilo, 16

    Cronache di un Canoviano al Don Mi-lani, 18

    Diario di un viaggio ad Augusta, 19 “Diponibile anche in mogano” e lo

    scorrere del tempo, 20 “Lo strano caso del cane ucciso a mez-

    zanotte”, 21TRAPADVISOR, 22

    Liete, Gai e Transformers, 23POESIA, 24

    LE PERLE ROSA DI TONY CANOVA, 26 CRUCIVERBA e BUCCE DI BANANA, 27

    OROSCOPO, 28TAROCCHI, 30 ANNUNCI, 31

    Capo redattrici: Marta CesterFrancesca PastorelliEleonora PezzinImpaginatore: Nicola Ceolotto Orso Agnetti (illustratore)Giulia AlberoniCaterina AmatoMattia BaldoLuna Benotto (illustratrice) Giulia CadamuroIlaria CarvoneNadia Cazziolati (illustratrice) Martina CenedeseLorenzo Criveller (illustratore) Tani De Cristofaro (illustratrice) Elena De VecchiVasco FurlanettoGreta GiacobiniAngelo GranàCarola GuastallaLetizia GuizzoGreta LocatelliSara MarcatoCarlotta MarconatoAnna MartinatoPietro MichielettoKan Le Norcen (illustratrice) Sofia OrsingherBeatrice PadoanVittoria PegoraroMatteo PizzolonPietro RosaIrene ScarpelOrjana SpahiuChiara TortatoAnna VanzettoDaniel VillaniAgnese Zanasi

    Copertina realizzata da Kan Le Norcen.I vacui di questo numero sono stati realizzati da Na-

    dia Cazziolati e designed by Freepik.

    email: [email protected] Instagram: @venticinquesimaora.giornalino

    COMPONENTI DELLA REDAZIONE

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    EDITORIALEInsieme

    Ciao a tutti! Ci presentiamo: siamo Marta Cester, Francesca Pastorelli ed Eleonora Pezzin, nuove referenti del Giornalino!Siamo davvero felici ed orgogliose di ricoprire questo ruolo all’interno della Redazione, contesto che, da quando siamo entrate a farne parte, ci ha donato mille sorrisi, soddisfazioni ed esperienze nuove. Die-tro al Giornalino che tutti i Canoviani hanno a loro disposizione e possono sfo-gliare durante l’anno scolastico, infatti, si celano le personalità di più di tren-ta persone, tutte accomunate dalla passione per la scrittura o per il disegno. Dietro al nostro celebre Oroscopo, alla rubrica “Le perle rosa del Tony Canova”, agli articoli di attualità, alla rubrica di poesia, a tutte le illustrazioni e le copertine, e chi più ne ha più ne metta, non mancano accese discussioni, dibattiti durante le riunioni riguar-do ai temi da trattare, tante risate, pacche di incoraggiamento e scroscianti applausi per chiunque riporti un’idea interessante (o porti una deliziosa torta al cioccolato da man-giare tutti assieme). Dietro al prodotto finito che tutti possono percepire, si nasconde tutto l’impegno, la voglia di fare e la passione che ognuno di noi riversa nel proprio lavoro per il Giornalino. Siamo tremendamente orgogliosi di ciò che riusciamo a creare di volta in volta e ci apprezzia-mo tutti a vicenda, come un vero gruppo di amici che si rispetti.Come membri della redazione del giornalino, accogliamo con grande entusiasmo la proposta del Ministro Fioramonti orientata al miglioramento della nostra scuola: da quest’anno ci stiamo impegnando per rendere ancora più efficiente il servizio di vendita delle torte utilizzando come ingredienti esclusivamente prodotti biologici e locali.Quest’attività, utile al finanziamento del giornale che state leggendo, si svolge ogni giovedì in tutte le tre sedi, durante la ricreazione.In sede centrale ci trovate al piano terra all’entrata, in succursale siamo al primo piano, mentre a Cà del Galletto la vendita si svolge in atrio!Inoltre per questo stesso motivo, cioè quello di rendere sempre più salutare il nostro ambiente scolastico, chiediamo alla dirigenza di sostenerci in quest’iniziativa e di con-tribuire alla causa attivandosi affinché le macchinette automatiche dispongano di snackbiologici, privilegiando sempre eventuali fornitori a km 0.

    IN QUESTO NUMERO: LIBERTA’La libertà. Che gran parolone. Ma cos’è la libertà? Molti credono sia qualcosa a cui aspirare, altriancora un fine o un’emozione, un biglietto per sciogliersi da catene troppo strette, alcuni invece la usano come strumento nascondendosi dietro vuote illusioni per soggiogare altri.Ma forse la libertà non è questo. Forse è solo una tappa della nostra vita, il punto in cui prendiamo consapevolezza di chi siamo, dove ci troviamo e chi e dove vorremmo essere.La libertà non è una sola e assume le più diverse forme: ad una rana in un pozzo l’acqua di quest’ultimo sembrerà l’oceano, ma per noi non è altro che una pozzanghera.Cosa curiosa, la libertà. Un’ ossessione per alcuni, una chiamata per altri. Ancora più curioso che tutti ne vogliano un po’, alla fine. Anche se sarà difficile da raggiungere. Anche se farà male. La libertà sarà diversa per ognuno, ma è definitivamente qualcosa per cui vale la pena lottare.

    Marta Cester

    Francesca Pastorelli

    Eleonora Pezzin

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    REGNO UNITO

    Per cercare di porre fine al bal-letto delle parti sulla Brexit, Westminster ha approvato una mozione che indice nuove ele-zioni parlamentari per il 12 dicembre; abbondantemen-te preannunciato il trionfo dei conservatori di Boris Johnson, favoriti dal sistema elettorale inglese. Essi avrebbero più di 370 seggi contro i 316 necessari a creare una maggioranza.

    USA

    290 sparatorie di massa negli USA a partire da gennaio 2019, altre 90 si stima accadranno negli ultimi 2 mesi dell’anno. Considerato il totale di 1,24 morti per sparatoria e di 1300 feriti annuali medi complessivi contando amputati, disabili per-manenti ecc, negli USA vi sono più stragi che giorni e altre 110 persone moriranno nell’arco di tempo che va da ora al 1 genna-io 2020. Morti annunciate. o

    AMERICHE DEL SUD

    20 morti nelle proteste con-tro le politiche del premier cileno a Santiago, dopo l’imposizione di un copri-fuoco poi ritirato. Decine di blindati erano stati invia-ti, nell’arco di pochi giorni, per mettere in sicurezza la capitale e reprimere le manifestazioni di ottobre: il presidente Pinera aveva parlato di guerra civile in corso, minacciando l’aper-tura del fuoco sui dissidenti in piazza.

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    A cura di Vasco Furlanetto

    MEDIO ORIENTE

    160 persone sono morte durante le proteste contro il carovita e la corruzione in Iraq. L’esercito e la polizia hanno sparato a bru-ciapelo sui manifestanti men-tre si susseguivano saccheggi e violenze nelle maggiori città di un Paese ormai caduto in una si-tuazione di anarchia.

    HONG KONG

    Bloccata la cadidatura alle elezioni distrettuali loca-li di Joshua Wong, leader delle proteste anti Pechino, poiché le sue richieste di autodeterminazione dell’i-sola vanno contro le leggi imposte dalla Repubblica Popolare Cinese; il tut-to esaspera il clima delle enormi proteste recenti.

    ZIMBABWE

    55 elefanti sono morti per la siccità nel parco natura-le di Hwange. Sembra che i pachidermi siano decedu-ti dopo aver percorso molti chilometri in cerca di acqua. Il cambiamento climatico e il conseguente aumento delle temperature stanno mettendo a serio rischio queste specie e i loro habitat.

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    “L’ennesimo Governo (non) eletto dal popolo”

    Quanto ha di corretto questa formula, tanto apprezzata dai politici di opposizione?

    Dopo i fatti avvenuti questa estate, ovvero il falli-mento della coalizione tra Lega e Movimento Cinque Stelle e la nascita del Governo tra questi ultimi ed il Partito Democratico (nonché altre formazioni mi-nori), è stata usata sempre più spesso la definizione “Governo non eletto dal popolo”. Certamente in que-sto momento la sua composizione non rispecchia le attuali intenzioni di voto degli italiani (emerse alle elezioni Europee, dove la Lega ha avuto un gran suc-cesso ed il Movimento un forte calo), ma la formula usata per esprimerlo è errata (o almeno lo sono le im-pressioni che suscita). Vi spiegherò il perché qui di seguito.Innanzitutto, il Governo italiano non è e non sarà mai (a meno di una modifica alla Costituzione) diretta-mente eletto dal popolo. Ad esser-lo è invece il Par-lamento, secondo la legge Rosatel-lum bis. Questa prevede che i parlamentari (ov-vero i deputati per la Camera dei deputati ed i se-natori per il Sena-to) vengano eletti con un sistema misto, ovvero in parte maggiorita-rio (i seggi vanno esclusivamente a chi ha più voti) ed in parte pro-porzionale (i seggi vengono ripartiti in proporzione tra tutti coloro che hanno superato una certa soglia di sbarramento).Ma allora che influenza abbiamo noi, comuni citta-dini, sulla formazione del nostro Governo? Questa: esso, per entrare in funzione, ha bisogno di ottenere la fiducia del Parlamento eletto. E qui potrebbe sorgere un’altra domanda: come nasce un Governo? Secondo l’articolo 92 della Costituzione “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Detto così sembra semplice. In realtà però è un processo complesso (per approfondire: www.governo.it), for-mato da diverse fasi, in cui il Capo dello Stato deve

    individuare una personalità adatta a diventare il nuo-vo Presidente del Consiglio, che abbia un tale consen-so in Parlamento da permettere al suo Governo di ot-tenere la fiducia, dopo la nomina del Presidente della Repubblica. Solitamente questo individuo è o il capo di un partito politico che ha da solo la maggioranza in Parlamento o, come è successo negli ultimi anni, il leader comune scelto da una coalizione di partiti che insieme raggiunge la maggioranza (per esempio, Giuseppe Conte negli ultimi due casi, ma prima di lui anche Renzi e Gentiloni). Può anche accadere che venga approvata dal Parlamento una squadra di Go-verno che non ha nulla a che vedere con i partiti poli-tici e che dovrebbe essere, in teoria, neutrale: si parla allora di Governo tecnico (come nel caso di Monti).

    È quindi impor-tante realizzare che l’attuale Go-verno non solo ri-specchia la volon-tà espressa dalla maggioranza dei cittadini nelle ul-time elezioni na-zionali, o meglio, dai parlamentari da loro scelti in esse, ma soprat-tutto che non è in alcun modo frutto di un’operazione illegale. Anzi, il meccanismo se-guito, quello del-la coalizione tra

    partiti che da soli non otterrebbero la fiducia del Par-lamento, è esattamente lo stesso grazie al quale è nato il Governo precedente. La decisione di non tornare subito al voto, per quanto si possa discutere sulla sua correttezza morale, è non solo un procedimento pos-sibile, ma anche quello di norma quando, alla caduta di un Governo, sia presente una nuova maggioranza in grado di formarne subito un altro.Tutto può essere detto su questo avvicinamento di due partiti che, come Pd e Movimento Cinque Stelle, hanno passato anni ad insultarsi a vicenda. Di sicuro, però, è tutto perfettamente legale.

    Anonimo

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    Un grido per la libertà: le proteste di Hong Kong

    Durante l’estate, ahimè appena passata, la celeberrima città di Hong Kong è stata teatro di un movimento rivoluzionario, che sfida apertamente il Partito al potere

    Quest’estate, mentre noi studenti pensavamo a diver-tirci in spiaggia e fuggivamo l’ idea di tornare a scuo-la, l’atmosfera nella città di Hong Kong veniva scal-data da cittadini rivoltosi, spinti a reagire dalla legge sull’estradizione, secondo la quale Hong Kong non può trasferire fuggitivi a Taiwan. Tuttavia questa leg-ge, ora ritirata dalla governatrice stessa Carrie Lam, era solo la miccia, che ha portato ad una più grande e pericolosa esplosione: gli abitanti dell’ex colonia bri-tannica infatti, stanno disperatamente chiedendo più diritti, una richiesta raramente tentata e ancor meno ascoltata, nella Cina moderna. Questo ha portato no-tevoli tensioni tra il governo centrale di Pechino e la città che, a conti fatti, ha una sua speciale am-ministrazione, come concordato nel 1997 tra Cina e Regno Unito, al punto che si teme per un inter-vento pesante dello stato. Le rivolte con-tinuano tutt’oggi e una delle più recenti è datata il primo ot-tobre, anniversario della Repubblica Popolare Cinese: una sfida al sistema e a tutte le innumerevoli repres-sioni perpetrate dallo stesso. Ma come mai a Hong Kong vi è questa sensibilità? Molto semplicemente, la città è un’ ex colonia britan-nica e nel 1997 è stata ceduta alla Cina: ne è consegui-to un accordo, che ha garantito a Hong Kong una mo-neta propria e un sistema amministrativo e giuridico autonomi, il quale ancora oggi rispecchia, per quanto riguarda trasparenza e giustizia di processi, la legge britannica. “Una Cina, due sistemi”: questo era stato sancito, e finchè rimarrà in vigore, Hong Kong avrà la sua voce, i suoi diritti e le sue libertà, o almeno fino al 2047, anno in cui l’accordo perderà valore. Ora i manife-stanti si schierano per maggiori libertà e hanno recen-temente richiesto la deposizione della governatrice corrente, oltre che il rilascio dei manifestanti arrestati dalla polizia, che nel suo metodo repressivo non si è risparmiata dall’ usare idranti e gas lacrimogeni sulla folla. Il maggior ostacolo per i manifestanti si mostra nel-

    le vesti di una sofferenza dell’economia: il maggior partner commerciale di Hong Kong è infatti la Cina, e l’ingente numero di voli cancellati a causa delle pro-teste sta giocando il suo ruolo. In ogni caso, quello che preoccupa di più sono le reazioni del governo, dato che alcuni funzionari hanno descritto ciò che sta succedendo come “la peggiore crisi della città dal 1997” oppure “atti di terrorismo”, e continuano a eti-chettare i manifestanti come “violenti” e “pericolosi”, aggiungendo che il loro comportamento è “una grave violazione dello stato di diritto e dell’ ordine socia-le”: da metà agosto sono state schierate infatti delle

    truppe armate e si avvicina sempre di più il momento per i manifestanti di stipulare un ac-cordo con Pechi-no, se desiderano continuare a go-dere anche di un minimo dell’auto-nomia avuta fino-ra. Purtroppo però la Cina potrebbe inasprire ancora di più le sue con-

    tromisure, e Hong Kong non esisterebbe più, lascian-do spazio a Xiang Gang. Finirà tutto in tragedia, come una seconda Tienan-men? Riusciranno i manifestanti a fare un passo avan-ti nella dura lotta per i diritti del cittadino in un paese di ritorsioni e terrori? Solo la storia ce lo potrà dire.

    Marta Cester

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    Delitto d’onoreQuando l’omicidio è “giustificato”

    Il delitto d’onore è un tipo di reato commesso nei con-fronti di un membro della famiglia in difesa dell’ono-re o della reputazione della stessa. Il Pakistan è forse il paese in cui i delitti d’onore, lì conosciuti come karo-kari, sono più diffusi. Le donne, principali vittime di questo genere di reato, in alcune parti del paese sono ancora viste come una proprietà degli uomini. Questo tipo di crimine viene quindi ignorato, se non addirittura glorificato. Un triste esempio è quello di Saba Qaiser: nel 2014, padre e zio le spararono perché aveva deciso di spo-sare il suo fidanzato senza il consenso della famiglia. Fortunatamente riuscì a sopravvivere, ma nonostante tutto venne spinta a perdonare i familiari, che, grazie alla legge allora in vigore, non andarono incontro ad alcun tipo di pena. Per aggiungere la beffa al danno, il padre, dopo ciò che aveva compiuto, veniva rispettato ed ammirato, perché secondo la loro visione e tradi-zione era la cosa giusta da fare: infatti, in Pakistan, l’o-nore è sempre stato talmen-te importante che uccidere la propria fi-glia o sorella non è un pro-blema, pur di difenderlo. Sempre nel 2014, una donna incinta fu lapidata a morte perché aveva sposato un uomo andando contro i desideri della famiglia. Il delitto avvenne al di fuori di una delle corti più ri-spettate del paese, in presenza della polizia, che non mosse un dito per aiutare la povera donna.Fino a poco tempo fa, i colpevoli potevano evitare la pena per i propri crimini, che comunque nella mag-gior parte dei casi venivano ignorati, con il perdono da parte della famiglia della vittima o della vittima stessa, nel caso fosse sopravvissuta. In cambio di que-sto perdono, la famiglia avrebbe ricevuto un compen-so in denaro da parte dello Stato. Fortunatamente, nel 2016 il Pakistan ha eliminato questa scappatoia, che permetteva al criminale di evitare la propria punizio-

    ne.Nel 2017 una madre fu condannata a morte per aver ucciso la propria figlia, che si era sposata senza il con-senso della famiglia.Tali avvenimenti non accadono soltanto in paesi lon-tani a noi come il Pakistan: infatti, quasi tutte le na-zioni hanno familiarità con il delitto d’onore. Fra esse vi è anche l’Italia.Fino alla fine del 20esimo secolo, infatti, le pene in-flitte a chi commetteva delitti d’onore erano attenuate rispetto a coloro che compivano crimini per altre mo-tivazioni: si pensava che recare disonore alla famiglia fosse una fortissima provocazione, quasi giustifican-do il delitto. Quest’attenuante veniva messa in atto, nella maggior parte dei casi, nel caso la vittima avesse un’”illegittima relazione carnale”. Era quindi neces-sario uno stato d’ira dell’aggressore, che veniva dato per scontato. La pena veniva attenuata anche nel caso

    in cui, oltre alla compa-gna infedele, venisse ucciso anche l’aman-te.Il movente non è sempre il matrimonio non approvato dalla famiglia o il tradimen-to; altre mo-tivazioni pos-sono essere il divorzio o la separazione, il rifiuto di un mat r imonio

    combinato, avere un rapporto sessuale fuori dal ma-trimonio, essere vittima di stupro, vestire in maniera considerata non appropriata, avere relazioni omoses-suali o rinunciare alla fede.Nel corso della storia le vittime di tale delitto sono state innumerevoli e continuano ad esserlo ancora oggi. Fortunatamente la situazione sta migliorando, ma ci vorrà ancora tempo perché essa si risolva del tutto.

    Chiara Tortato

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    Pseudo-recensioneUn viaggio nella mente di un lettore

    A volte il nostro pensiero fa dei voli da una parte all’altra della nostra mente; esso non sceglie da che parte andare, ma spinto da diversi impulsi a noi sco-nosciuti finisce per mettere insieme gli stimoli e cre-are una soluzione creativa e assolutamente personale. Questo è quello che accade per esempio quando si legge un libro con particolare attenzione: ci si focaliz-za su certe parole e frasi e queste messe insieme vengono assemblate nella nostra mente e ricollega-te ad altre cose simili che abbiamo visto o sentito. Si crea quindi una sorta di filo che collega tutto ciò che viviamo e ci permette costantemente di fare col-legamenti e guardare la realtà in modo poliedrico. E’ tuttavia consigliabile fare ciò non solo quando si legge, ma anche nella vita reale dove bisogna essere elastici nel modo di vivere, sapersi adattare, ma anche mostrare carattere e personalità.

    Tutto ciò mi fa venire in mente un libro che ho letto quest’estate che racconta di una storia d’amore, di un amore profondo. Lasciamo anonimo il testo e parlia-mo invece di cosa c’è alla base di questo amore. Biso-gna partire dal contesto, dalla società in cui i due vi-vono, grazie alla quale tutto nasce e tutto si distrugge. Da una parte un uomo che non conosce i sentimenti, che si è sempre piegato agli ordini e al regime, dall’al-tra una donna che proviene dalla stessa situazione so-ciale, ma dà voce allo spirito ribelle dentro di lei e dà sfogo alle sue passioni senza lasciarsi condizionare da sentimenti come paura e ansia, ma anzi animata dagli stessi è spinta continuamente a oltrepassare i limiti. I due protagonisti si compensano quindi e creano l’equilibrio che non gli è permesso vivere nella real-tà quotidiana. Un piccolo spazio dove si estraneano dallo stile di vita alienante e meccanicistico che sono obbligati a condurre e dove creano una nuova forma di vita al resto del mondo sconosciuta, niente di più semplice di un sentimento sincero di affetto e stima, per l’altro.

    La loro relazione non è complicata perché loro lo sono,

    ma perché tutto ciò che li circonda e li osserva dall’al-to non permette che ci siano sentimenti come l’amore tra due persone, ma solo quello assoluto nei confronti di chi sta sopra loro. Non si tratta quindi di cancel-lare il sentimento, ma semplicemente di indirizzarlo da un’altra parte, attraverso una tortura psico-fisica che porta uno scompenso, non nel corpo, ma nell’ani-

    ma. Il sentimento d’amo-re viene infatti trasmesso da una parte all’altra ma lascia dei vuoti dentro di sé, perché è un passaggio avvenuto meccanicamen-te, e le ferite create sono colmate dall’odio. Non rimane nulla dell’amore come lo conosciamo noi, eppure si parla di uesto alla fine del libro. Ma è un’utopia. La realtà è che si possono manipolare i sentimenti, la scienza lo prova, ma non si può con-trollare la nascita di que-sti ed è proprio per questo

    motivo che il libro non si conclude con una sconfitta totale, perché, se per la prima volta c’è chi ha amato, ci sarà chi si ribellerà e amerà ancora. Questa è la na-tura dell’uomo, se c’è uno scompenso, ci si compensa a vicenda e si ama chi più ci assomiglia.

    Anonimo

    I due protagonisti si compensano quindi e creano l’equilibrio che non gli è permesso vi-vere nella realtà quoti-diana

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    Come liberarsi di un’ossessione

    Non vedo l’ora di poter dire che non ho bisogno di te. Tu mi dai mille opportunità per farlo; io devo solo imparare a riconoscerle e prenderle al volo. Del resto sono sicura che tu un giorno o l’altro te ne andrai dal-la mia testa, e non tardi. A volte riesco anche a ubria-carmi senza pensarti; ed è rinfrescante, divertente.

    So che indipendentemente dalla voglia di parlarti e vederti e conoscerti davvero (o di prenderti a calci ne-gli stinchi), io rimango la stessa. Anche se tu fai capo-lino da un angolo della mia mente quasi ogni giorno, io continuo a scrivere, a ballare, a cantare stonata e a specchiarmi dicendomi che sono una diva. E poi non è colpa mia se da quando ti ho visto di persona mi

    sei piaciuto un po’ troppo, o un po’ troppo a lungo. E’ stato un trip divertente, ma ora posso finalmente lasciarlo andare.

    Smetterò di dire a me stessa che questa strana cotta mi rende sporca o debole, perché quella tecnica fin ora ha solo reso le cose peggiori. Ti penserò quando ascolterò una canzone che parla di sesso e denaro, o quando riderò a una battuta a cui potresti ridere anche tu, o quando vedrò qualcosa di insolito che potrebbe

    stranire anche te; ma il tuo ricordo non sarà mai abba-stanza forte per rovinare le cose che vedo. E domani probabilmente mi tornerai in mente quando sentirò il profumo delle piante autunnali, ma il tuo ricordo non puzzerà; allora potrò comunque godermi quell’aroma senza paura di condividerlo con te. Questo non mi renderà una bimba innamorata o un’illusa, Io rimarrò la stessa, solo che per un po’ avrò te in testa.

    Il tuo ricordo, alla fine, sa di cioccolato. E io non mi sono mai odiata tanto per amare il sapore del ciocco-lato. Non ho motivo di forzare me stessa a non voler-ti, o a volerti parlare solo per secondi fini. Ho sem-pre creduto che come io pensassi di te influenzasse

    come tu pensassi di me; in realtà, mi piaceva il cioccolato e basta. Non ho mai avuto motivo di vergognarmene; eppure l’ho fatto per un po’ troppo a lungo. Più mi proibivo di pensarti, più lo facevo. Ora che ho smesso di ver-gognarmi, tutto d’un tratto il tuo pen-siero non mi tortura più: arriva a volte per stuzzicarmi e poi se ne va.

    Ogni tanto mi godo ancora un pezzo di cioccolato, ma senza andare in crisi per digerirlo.

    Agnese Zanasi illustrazione di Kan Le Norcen

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    Storia di una bambina speciale

    “Io sono Canada, ho 7 anni e questa è la mia storia: i miei genitori mi abbandonarono molti anni fa e al-cune persone molto buone mi portarono qui. Quattro anni fa finalmente trovai una famiglia e subito mi ci affezionai moltissimo. I miei genitori non erano per-fetti, come tutti del resto, molto spesso stavo a casa da sola, loro mi mancavano molto ma erano impegnati e io li volevo bene comunque. A volte mi portavano al parco a giocare oppure andavamo al mare, in mon-tagna o in città per passare un po’ di tempo insieme. Un giorno partimmo per uno di questi nostri viaggi, io e mamma. Prima però ci fermam-mo in un posto perché doveva firmare alcuni documenti. Chissà per-ché quel posto mi era stranamente famigliare, ma non ci badai più di tanto perché non vede-vo l’ora di salire nuo-vamente in macchina e partire per una delle no-stre avventure. Quando mamma finì di com-pilare i moduli però, arrivò una signora, la stessa di 4 anni prima. Ed ora eccomi di nuovo qua, senza una famiglia ma con una cosa che mi mancava da molto: l’a-more…L’amore disinteressa-to di chi ti dona il suo tempo senza pretende-re niente in cambio, un amore che ho ricevuto troppe poche volte nel-la mia breve vita, quel tipo d’amore che ci danno ogni giorno le persone che vengono qui per stare un po’ con noi e che ci aiutano a trovare una famiglia.Non è corretto dire che una famiglia non ce l’ho per-ché io in verità ce l’ho, non ho una famiglia normale, ne ho una un po’ strana, molto rumorosa, diversamen-te equilibrata, ma che mi ama e vizia in tutto. Sapete all’inizio ero spaventata, triste, non capivo perché fossi qui, perché mi avessero abbandonata, tutti cercavano di consolarmi, mi dicevano che avrei trovato una famiglia che mi avrebbe amato veramen-te, ma non mi bastava, non mi bastava per accettare che i miei genitori, le persone di cui mi fidavo di più mi avevano lasciata da sola, ancora. Poi tutto è cam-biato...Un giorno ho conosciuto una ragazza che mi ha fatto recuperare un po’ della fiducia che avevo perso, siamo diventate grandi amiche e ogni giorno guardo speran-zosa fuori dalla finestra della mia camera, aspettando

    il suo arrivo.Ora sono felice, ma questo in fondo non è il mio posto e mi piacerebbe tanto, almeno per una volta, avere un posto da poter chiamare veramente casa”.

    Lei è Canada, una cagnolina del Rifugio ENPA di Ponzano, è stata abbandonata dalla famiglia che l’a-veva adottata, a causa della sua ansia d’abbandono. Loro ritenevano che non fosse necessario portare il proprio cane dal veterinario, dato che sembrava sta-

    re bene, per questo per ben 4 anni Canada non è stata mai sottoposta ad alcuna vi-sita per vedere il suo stato di salute.La sua storia mi ha spezza-to il cuore, mi ha spezzato il cuore vedere come, quando la sua padrona la stava ab-bandonando, lei continuava a scodinzolare e aggrapparsi a lei.

    Tra noi è stato amore a prima vista appena ci siamo cono-sciute, ogni volta che passo davanti al suo box mi fer-mo a farle un po’ di coccole e quando me ne vado mi fa malissimo sentirla piange-re mentre mi chiama anche se ormai sono a molti box di distanza. Ogni volta è un dolore lasciarla e so che mi mancherà moltissimo quan-do se ne andrà. Mi mancherà vedere il suo musetto sorri-dente quando mi vede, la sua coda scodinzolante, il suo soffice pelo, mi mancherà

    tutto di lei, anche quando fa l’offesa, quando mi af-fonda le sue unghiette nelle gambe o quando mi salta in braccio tutta bagnata. Mi mancherà, ma non vedo l’ora che trovi una famiglia, dei genitori che possano capire le sue esigenze e che abbiano la giusta sensibi-lità e pazienza per comprenderla.Lei si merita una bella casa, come se la meritano tutti i cani che abbiamo in canile, tutti con una storia dram-matica alle spalle, tutti che sperano che qualche ange-lo dia loro finalmente un posto caldo dove dormire e tanto amore. Quindi se volete un cane non compratelo da allevamenti dove probabilmente vengono sfruttati e maltrattati, andate in canile e date una speranza a chi l’ha persa già da un po’.

    Greta Locatelli

    illustrazione di Tani de Cristofaro

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    PILLOLE MITICHE - lezioni di dei ed eroiPersefone – L’arte di donarsi

    Ci sono molti aggettivi che possono descrivere il re-gno dell’Ade, ma non penso che luminoso e conforte-vole siano i più adatti: entrate da una buca nel terreno, vi trovate di fronte una bestia che vuole sbranarvi a tutti i costi e passate accanto a tre vecchiette scorbu-tiche che si ingarbugliano cercando di tagliare dei fili (senza aggiungere che quei fili sono le vostre stesse vite). Insomma, tutto quel terrorismo psicologico un po’ trova il suo senso. A questo, aggiungete infine una divinità, che negli Inferi non doveva andarci, e otter-rete Persefone. Ebbene sì, sono proprio io e non penso di dovermi presentare. Se sono qui oggi, è per tutt’al-tra ragione. Mi capita spesso di scorgere i vostri volti, i volti degli uomini, e mi rendo conto di quanto noi, le divinità assolute, non vi abbiamo insegnato niente di buono. Se sono qui oggi, è per rimediare al mio errore e narrarvi la mia storia, che i venti e le onde del mare, spero portino da voi:“C’era una volta, in una regione sconosciuta della Grecia, dove la sabbia era d’oro e il vento trascinava con sé la magia delle stelle, una fanciulla dai capelli color del grano e gli occhi come frammenti di cielo. Aveva in sé l’allegria del sole, e l’eleganza dei fiori, la tenacia della pioggia e la forza del fuoco. Ancora una volta, ero io, Persefone, e non stavo facendo al-tro che giocare con le ninfe del lago, quando Ade mi portò via con sé. Ade, Ade, mi aveva presa per una stupida cotta e, da vero innamorato, mi fissava e ba-sta, dicendomi poco o niente! Un giorno, scoprii che, portandomi via da mia madre, aveva fatto su una con-fusione tale che lo obbligarono a farmi ritornare sulla terra. Quello stesso giorno, però, mi offrì la melagra-na, quella che penso tutti consideriate la mia fine.Quando me la diede, accettai volentieri e ne gustai il sapore. Molti dicono che io l’abbia fatto per sbada-taggine, ma si sbagliano. In un primo momento, stavo per cadere nella sua trappola ma, dopotutto, le regole che ci avevano imposto sull’Olimpo non erano sta-te date invano e mi ricordai facilmente che mangiare un frutto dell’Ade significava rimanerci per sempre. Potete dunque immaginare l’ira che mi bruciò den-tro. Possibile che volesse tenermi lì ed impedirmi di tornare sulla terra? Invece di mangiarla, pensai, glie-la avrei lanciata addosso, e tutto quello che sarebbe uscito dalla mia bocca sarebbe stato voluto. Decisa, la strinsi forte, ma cercando di gridare “Per la barba di

    Zeus”, mi fermai: mi ero sbagliata di nuovo.Quando giunsi qui per la prima volta, il cumulo di paure che si era formato negli anni prese forma: prima Cerbero, poi lo Stige, il Cocito, l’Acheronte, il Fle-getonte e il Lete, i cinque fiumi della morte; per non parlare delle mille altre cose che risiedono, silenziose, in questa remota regione della terra. Per non parla-re dello stesso Ade: uno degli dei, se non il dio, più terrificanti dell’Olimpo. I primi giorni piansi molto, maledissi il territorio dove mi trovavo quando ven-ni rapita, e maledissi il Fato per tutto quello che mi aveva mandato. Poi, piano piano, inizia ad accettare le cose per come stavano, ripetendomi che piangere sul latte versato non avrebbe portato a nulla, non mi avrebbe fatto fuggire da lì. Allora, presi con me tutto il coraggio che mi restava e andai a parlargli, speran-do di convincerlo a farmi andar via. Ade, ovviamente, declinò, ma, dopo le prime ostilità, quando ormai mi ero arresa, mi dimostrò di avere un cuore, come molti avevano dimenticato, e di recare con sé il ricordo del sole dell’Olimpo. Bastava poco per rendersi conto di quanto la solitudine a cui l’avevano costretto l’aves-se corroso dentro, e avesse sprigionato una furia che egli, prima, riusciva a domare. Zeus e Poseidone gli rifilarono il regno degli Inferi, perché, insomma, chi avrebbe voluto essere re di una tale oscenità, e lui, da vero dio, si prese carico di quel luogo. Per cui, quando decisi di mangiare quel frutto, lo feci col cuore, spe-rando che, oltre alla terra, su cui sarei ritornata, anche il cuore di un dio, buono ma dimenticato, sarebbe ri-nato. Quella melagrana non era un tranello, ma solo la proposta di restare lì affianco a lui, di aiutarlo.Ad ogni persona, mi avevano insegnato, il Fato scrive un destino e nessuno è in grado di leggerlo, se non la persona stessa, anzi, forse neanche quella. Possi-bile, dunque, che la mia strada fosse lì, tra gli orrori della morte? La strada della fanciulla della terra, che brillava sotto il sole perenne, e gioiva tra gli steli dei fiori e i tronchi degli alberi? Sì, era possibile. E sì, lo accettai. Allora, mangiai la melagrana.Per cui, cari uomini, quando vedrete qualcuno in dif-ficoltà, non giratevi. Mai. Restate lì, dategli una mano e, aiutandolo, non cambierete solo lui, ma anche e so-prattutto voi stessi.

    Persefone (Mattia Baldo)

    Secondo il mito, un giorno Persefone, figlia di Demetra, la dea del raccolto, viene rapita da Ade e portata negli Inferi. Nonostante sia costretta a riportare la ragazza nel regno terreno per la sofferenza della madre, Ade non si dà pace: offre alla giovane dei chicchi di una melagrana, affinché, cibandosi di alimenti di quel mondo, lei possa restare lì in eterno. Inconsapevole di tutto questo, Persefone s fida di lui. Gli dei però sono dalla sua parte: avendone mangiati soltanto sei, la giovane s troverà per metà dell’anno con Ade mentre, nelle stagioni che noi chiamiano primavera ed estate, si ricon-giungerà alla madre.

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    Parole, Words, Palabras, Mots, Wörter, Palavras, Λέξεις, СловаIn questo articolo sono scritte tre parole che riferiscono concetti non traducibili in italia-no con sinonimi o esprimibili in parole semplici, poiché contengono significati difficili da

    esprimere e capire.

    Mamihlapinatapei: è una parola del lessico yamana, la lingua degli Yamana (tribù fuegine della Terra del Fuoco, prossima all’estinzione). Il vocabolo è noto come una delle parole più difficili da tradurre al mon-do, tanto da essere inserito nel Guinness dei primati. La parola descrive l’azione di: “Guardarsi reciproca-mente negli occhi, sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano fortemente, ma che nessuno ha il coraggio di fare”. Uno dei significati più antichi è anche: “Il momento di riflessione attorno al pusa-kí (fuoco, in yagan), quando le nonne raccontavano le loro storie ai giovani”Lo scrittore Henry Hitchin-gs adopera la prima volta il termine nella biografia di Sa-muel Johnson, dove lo usa per descrivere le difficoltà di sin-tesi e definizione incontrate quando il letterato compilava le voci del “A dictionary of the English language” (1755).

    Yuánfèn: la parola cinese Yuánfèn indica il concetto di “coincidenza fatidica” o, più semplicemente, di destino tra due persone. La parola ha ori-gini cinesi, ma è tradotta in pinyin (sistema per tradurre in alfabeto latino la pronuncia del cinese moderno). Nella religione popolare cinese è un concetto diffuso e che indica le relazioni poten-ziali e le opportunità.Le cause dello yuánfèn si dice che siano le azioni fatte in precedenti vite ed incarnazioni. Il proverbio yǒu yuán wú fèn “Avere destino senza destino” è usato so-prattutto quando si parla di coppie che si incontrano, ma che non sanno per quale motivo stanno insieme.Molti studiosi tra cui KS Yang e D., hanno analizzato i vantaggi e gli svantaggi di questa convinzione: attri-buendo allo yuárèn la casualità di eventi negativi, le

    persone tendono a mantenere buoni rapporti, evitare conflitti e promuovere filosofie di perdono; allo stesso modo, quando gli eventi positivi sono assegnati allo yuárèn, si riduce l’orgoglio, il risentimento e l’invi-dia.

    Hiraeth: hiraeth è una parola gallese che indica la nostalgia e il desiderio verso la terra natale. In inglese la parola che ci si avvicina di più è homesickness,

    anche se hiraeth ha un significato molto più ampio: essa implica la mancanza di una terra, di una persona, un’epoca che potrebbe anche non esistere più, che non si sta vivendo o non si ha mai vissuto.E’ associata anche al pensiero dolceama-ro della mancanza di una persona, ma che allo stesso tempo sia-mo felici che esista.Ci sono alcune parole in altre lingue straniere che possono essere considerate sinonimi di hiareth: morriña (spagnolo, p r e c i s a m e n t e

    gallego), dor (rumeno), cianalas (gaelico), toska (russo), sehnsucht (tedesco).

    Caterina Amato

    Se volete inviare anche voi parole, scrivete all’indi-

    rizzo e-mail [email protected]

    Mamihlapinatapei: è una pa-rola del lessico yamana La parola descrive l’azione di: “Guardarsi reciprocamente ne-gli occhi.Yuánfèn: la parola cinese Yuánfèn indica il concetto di “coincidenza fatidica”Hiraeth: hiraeth è una parola gallese che indica la nostalgia e il desiderio verso la terra natale.

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    Il paziente Sigma

    Fino a dove la creatività deve essere influenzata dal “politically correct”?

    Il 22 luglio 2019 la casa produttrice di videogiochi Blizzard Entertainment, creatrice di titoli come il popolarissimo “World of Warcraft”, ha pubblicato sul canale dedicato ad uno dei loro prodotti più cele-bri, “Overwatch”, il trailer di un nuovo personaggio giocabile: si tratta di Sigma, un brillante astrofisico olandese che, dopo un grave incidente durante un esperimento, viene suo malgrado trasformato dagli antagonisti del videogioco in una vera e propria arma vivente. Insomma, un personaggio indiscutibilmente interessante e che è riuscito ad attirare l’attenzione anche di persone che, come me, non hanno l’hobby dei videogame.Purtroppo, però, alcune delle at-tenzioni dirette a questa nuova ag-giunta ad Overwatch non sono state molto positive: alcuni fan, soprat-tutto appartenenti alla corrente dei Social Justice Warriors (SJW, vale a dire persone che, con la scusa di promuovere la giustizia sociale, sono pronti anche ad attaccare ver-balmente e in alcuni casi persino fisicamente quelli che anche solo sospettano essere sostenitori di idee contrarie all’uguaglianza di qualun-que tipo) hanno infatti incolpato il team di sviluppatori di essersi ri-fiutati di creare un personaggio più “progressivo”, ad esempio una don-na di colore, preferendo invece “il solito maschio bianco etero”; altri invece hanno mosso accuse anco-ra più gravi, definendo Sigma “una caricatura violenta dei disturbi della personalità creata per stigmatizzare le malattie mentali”. Il personaggio, infatti, dopo aver subito il già cita-to incidente, soffre di sintomi che ricordano molto quelli della schizo-frenia paranoide o del disturbo dis-sociativo dell’identità; e il fatto che si sia schierato con i cattivi (anche se non di sua volontà, cosa che a dire il vero farebbe di lui un personaggio alquanto simpatetico più che un semplice “scienziato pazzo”) di certo non aiuta.Quindi, chi ha ragione e chi torto in questo caso? Gli sviluppatori del gioco “misogini e razzisti” o gli SJW, polemici e sempre pronti a scagliarsi contro tutto e

    tutti pur di difendere la loro causa?Difficile dirlo. La Blizzard avrà senza dubbio la sua parte di torto, avendo fatto la scelta (tra l’altro per nulla intelligente a mio parere, dato il clima del mo-mento) di dotare il personaggio di una skin chiamata eloquentemente “Asylum” (=manicomio) o di giusti-ficare il fatto che Sigma abbia i piedi nudi dichiarando di volergli dare un “tocco da asilo psichiatrico”, ma la fanbase ha in ogni caso decisamente esagerato.

    Da un lato, le accuse al franchise di essere razzista, sessista, maschilista e chi più ne ha più ne metta sono

    del tutto infondate: al contrario, Overwatch si è sem-pre dimostrato particolarmente inclusivo nei confron-ti delle varie minoranze che gli SJW hanno tanto care (ad esempio l’eroina lesbica Tracer o le giunoniche Zarya e Mei), al punto di diventare in breve tempo uno dei franchise più amati dalla community di Tum-blr che, come molti sanno bene, è particolarmente…diciamo affezionata a queste tematiche.

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    Dall’altro, per quanto non si possa negare che le ma-lattie mentali recentemente non abbiano ricevuto una rappresentazione accurata e realistica al 100% da par-

    te dei media (vi ricordate di “Tredici”?), ritengo sia sbagliato pensare che il personaggio di Sigma sia de-finito soltanto dai suoi scompensi psichici. Il trailer di presentazione dell’(anti)eroe al contrario evidenzia in poco tempo le sue varie “essenze”: quella di scienzia-to desideroso di svelare i segreti dell’universo, quella di prigioniero (sia letteralmente, in una base segreta in cui è rinchiuso dopo l’incidente, che metaforica-mente, nella sua psiche irrimediabilmente fratturata), e infine quella di spietato killer/macchina da guerra capace di piegare le leggi del cosmo a suo volere; la malattia mentale, quindi, non è percepita come costi-tuente l’intera personalità di Sigma come sembrereb-be dai commenti dei critici. Oltre a ciò, pretendere che un videogioco offra un ritratto della schizofrenia pa-ranoide o del disturbo dissociativo dell’identità uscito direttamente da un manuale di psicologia è come pre-tendere che un anime rappresenti fedelmente lo stile di vita giapponese.

    Per carità, se Sigma fosse rappresentato in modo deli-beratamente offensivo e dannoso verso le persone che purtroppo devono fare i conti con queste condizioni ogni giorno, le accuse nei confronti della Blizzard sa-rebbero pienamente giustificabili e io stessa le sup-porterei; ma questa situazione non può fare a meno di ricordarmi quello che successe nel 2015, quando il personaggio antagonistico di Daisy Domergue nel film “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino sca-tenò l’ira delle femministe di terza generazione. Il fat-to che un personaggio femminile fosse continuamente

    oltraggiato, malmenato e alla fine ucciso in modo tru-culento sembrò loro inaccettabile, evidentemente poi-ché ignoravano il fatto che la Domergue non riceves-se questo trattamento in quanto donna, ma in quanto assassina spietata che meritava la forca; inoltre, anche Tarantino come la Blizzard in quella occasione venne accusato di misoginia, mentre qualunque appassiona-to delle opere del regista saprà bene che nei suoi film non sono per nulla rari i personaggi femminili forti (mi chiedo se le sue accusatrici avessero mai visto una certa saga chiamata “Kill Bill”…).Tutto questo per dire che, se veramente il mondo reale è bello perché è vario, lo stesso vale per quelli imma-ginari. Non esiste un solo modo di rappresentare un perso-naggio, quindi purtroppo per i guerrieri della giustizia sociale la regola “maschio bianco etero= cattivo, tut-ti gli altri= vittime (o, se sono trattati da antagonisti, “offensivi”)” non è valida neanche qui; anzi, creando questi archetipi gli SJW si sono resi paradossalmente tanto razzisti e sessisti quanto i creatori da loro accu-sati.E in ogni caso, pretendere che in virtù del politically correct vengano tralasciati personaggi più “sconve-nienti”, siano questi una donna criminale o un anta-gonista affetto da una malattia mentale, dichiarando che essi non debbano esistere o che siano frutto di semplici pregiudizi e accusando chiunque affermi il contrario di essere vari sinonimi di retrogrado è tanto scorretto quanto dannoso per la stessa libera espres-sione artistica, e non solo, tanto discussa e allo stesso tempo agognata nel mondo moderno.

    Nadia Cazziolati

    illustrazione di Kan Le Norcen

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    Edoardo Giommi è il fondatore della rock band tutta trevigiana “Quarto Profilo”.L’ho incontrato una sera prima del loro concerto in uno dei più rinomati locali di musica live di Treviso e vendendolo alle prove insieme agli altri membri del gruppo, ho chiesto a Edoardo se riusciva a conceder-mi qualche minuto per un’intervista.Ne è uscito il breve dialogo che segue.

    Edoardo, per iniziare, mi piacerebbe conoscere il si-

    gnificato del nome della vostra band. Allora, dimmi, perché vi chiamate “Quarto profilo”?Ero al liceo Canova quando con altri tre compagni di scuola, abbiamo deciso di fondare un gruppo che fosse l’insieme dei nostri quattro gusti musicali. La nostra band doveva fare sintesi di quattro personali-tà ciascuna con il proprio marcato stile musicale in un’unica “grande” idea: il “Quarto Profilo”. Guardan-do ora retrospettivamente non so però se ci siamo ri-usciti fino in fondo!

    Qual è il tuo apporto al gruppo?

    Io mi occupo della prima stesura delle canzoni, scrivo di solito musica e testo, una volta finito il pezzo lo porto ai ragazzi che con me ne curano l’arrangiamen-to. Nello scrivere ho da sempre sentito l’esigenza di dare al testo la stessa importanza della musica. Devo dire che lo studio approfondito della letteratura ita-liana è stato fondamentale, soprattutto all’inizio, per

    trovare una mia scrittura. La musica oggi è per me un secondo lavoro infatti ogni sera, quando torno a casa, entro nel mio studio che ho attrezzato con tutto

    il necessario, lì provo, scrivo , suono e registro idee, potremmo definirlo come un lavoro notturno.

    Quali sono i temi che trattate nelle vostre canzoni?

    Già agli inizi avevamo capito che non dovevamo seguire la direzione verso cui andava la musica “di moda”, ma suonare quello che piaceva a noi. Inizial-mente scrivevo le canzoni solo su alcuni temi, ma poi ho deciso di non pormi limiti nella scrittura e così ho inizia-to a scrivere di tutto quello che vedevo, sentivo, provavo, così le emozioni, le passioni, l’amo-re, ma anche le cose che non mi piacevano, in-somma la nostra musica avrebbe rappresentato quello che sia-mo e pensiamo.Com’è cambia-

    to fare musica

    nel tempo?

    La mutazione che la musica ha subito rispetto al passato è notevole: oggi essa è legata a meccanismi che poco hanno a che fare con il talento, la qualità e la bellezza , che dovrebbero essere alla base del fare musica. Oggi infatti non è quasi più necessario essere un bravo musicista o cantante, tutto è immediato, finalizzato all’immagine e a raggiunge-re la “fama”.Questo, fa si che dopo qualche mese un prodotto con-cretamente realizzato, risulti al mercato già superato. Per noi queste regole non valgono, siamo comunque legati alla “vecchia” maniera di fare musica, dedichia-mo molto tempo allo scrivere, arrangiare e provare le canzoni prima di far uscire un disco.

    Ma allora, ci sarà qualche vantaggio a essere dei mu-

    sicisti in quest’epoca?

    Dal Liceo ... al Quarto Profilo

    Intervista a Edoardo Giommi sul fare musica

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    Si, il vantaggio è la tecnologia. Grazie a essa infat-ti abbiamo la possibilità di essere autonomi e di re-gistrare le canzoni direttamente a casa, io lo faccio nel mio studio e poi le produciamo interamente nello studio professionale del nostro batterista. In questo modo velocizziamo i tempi ed abbiamo un controllo totale su quello che facciamo.

    Ho notato che

    nei vostri con-

    certi avete un

    rapporto par-

    ticolare con il

    pubblico, che

    oserei defini-re speciale. Da

    cosa deriva que-

    sto legame?

    L’affetto delle persone che ci seguono ci ha sempre motivato ad andare avanti con il nostro pro-getto, nonostante sia difficile ot-tenere i risultati desiderati. Con i nostri fans ab-biamo instaurato un rapporto di

    amicizia: ad ogni nostro concerto sono sempre pre-senti e numerosi. Ci seguono puntualmente ad ogni esibizione.È proprio questo rapporto particolare che ci permette di scrivere con la consapevolezza che degli amici ascolteranno la nostra musica. Penso che il sostegno dei fans sia un bisogno indispensabile per l’artista che da questo si sente motivato a scrivere. Nessuno può comporre solo per sé stesso: è proprio l’apprezzamento dei nostri fans che ci aiuta a continuare.

    So che collaborate con molte associazioni di volon-

    tariato locali.

    Si, tra gli altri collaboriamo con i volontari della “Lilt Giocare in Corsia”, con cui spesso uniamo le nostre esibizioni in un unico evento per dare voce alla soli-

    darietà attraverso la musica, il tutto dedicato ai pic-coli pazienti di pediatria degli ospedali di Treviso e Conegliano. Con l’associazione “I Bambini Delle Fate” che si occupa di autismo collaboriamo da di-versi anni, con e per loro abbiamo scritto un mini cd dedicato alla vita di Franco e Andrea Antonello.

    Per finire, Edoardo, mi puoi raccontare qualcosa sul Canova, la tua cara vecchia scuola?

    Sono entrato in IV ginnasio nel 1985. Me lo ricordo ancora oggi perché a settembre di quell’anno era stata riaperta la sede centrale, in seguito a numerosi anni di chiusura per restauro. Eravamo molto entusiasti di entrare per primi nell’edificio rinnovato. Il Canova è stato abbastanza impegnativo ma mi ha aiutato a di-ventare poi medico e compositore. Mentre studiavo greco e latino, ho partecipato a un corso di chitarra, avevo 17 anni. Inizialmente quello strumento non mi piaceva molto poi il mio interesse nei suoi confronti è cambiato, ed è successo quando, ho avuto la possi-bilità di suonare in gruppo.Da quell’istante ho provato un amore incondizionato per la musica, che è diventato un sentimento duratu-ro, intenso e soprattutto la musica mi fa stare bene.

    Edoardo, ti voglio fare un’ultimissima domanda. C’è

    qualcosa di particolarmente interessante che ti pia-

    cerebbe fare? Insomma, hai un sogno nel cassetto?

    Eccome! Mi piacerebbe ritornare al liceo, ma questa volta per fare un concerto per tutti gli studenti della mia scuola. Nel nostro ultimo disco “ Tra la polvere e il sole” c’è una canzone che si chiama “Quanto vale la felicità ?” che parla proprio del periodo al Liceo Ca-nova e di come vivevo la mia vita allora…è un pezzo di cui vado molto fiero!

    L’intervista è stata raccolta nel novembre del 2019.

    Eleonora Pezzin

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    Cronache di un canoviano al Don Milani

    La dura vita degli studenti nelle sedi di periferia

    L’anno scolastico è iniziato, per l’intera provincia di Tre-viso, in modo un po’ caotico: ci sono state delle polemiche non solo con le navette per gli istituti superiori di Viale Eu-ropa, ma anche riguardo le ristrutturazioni di molte scuo-le, come quelle elementari e medie di Arcade. Anche il no-stro istituto ha avuto le dovute ristrutturazioni, ma i lavori si sono protratti e l’unica alter-nativa per iniziare l’anno sco-lastico in modo sicuro è stata quella di aggiungere una sede provvisoria, che avrebbe po-tuto sopperire alla mancanza delle aule impegnate nei lavo-ri: questa sede è l’istituto Don Milani, alias sede ammini-strativa della scuola media Fellissent, a San Zeno. Non c’è tre senza quattro insomma. Così, ho intervistato alcuni di questi ragazzi per indagare sulle lorvo condizioni e questi sono i risultati…(I=Intervistatore; A=intervistato 1; B=intervistato 2)I: Allora, potreste raccontare come avete accolto la notizia della nuova sede?A: Certo, parlerò per primo. Inizierò da principio: era il lontano 8 settembre 2019, una delle tante giornate in cui il caldo afoso d’agosto stava iniziando a lasciare il posto al clima settembrino che accompagna l’inizio della scuola, quando a un tratto, si udì un rombo. B: Ma se non eravamo nemmeno a scuola!A: … Era il rombo del mio cuore, all’udire una tal ver-gognosa notizia! La nostra classe, immune da generazioni dalla maledizione delle sedi succursali, aveva subìto la più ignominiosa, la più infamante, la più…B: In sostanza, ha letto sul gruppo Whatsapp che la nostra classe sarebbe stata messa al Don Milani.A: Ma la vuoi smettere di interrompere la mia narrazione? Sto cercando di metterci più pathos possibile, ma così fa-cendo mi rovini l’atmosfera!B: Sì ma non metterci così tanto!A: Dicevo… A nulla servirono le proteste del nostro capo-classe, che bruciante di sdegno come il Pelide Achille si erse da solo contro Agamennone nell’assemblea dei rap-presentanti di classe e dei professori e fu costretto a riporre la spada, per saggio consiglio della coordinatrice. E così sconfitti, come l’eroe di Troia, giungemmo al fine, profu-ghi del Fato, ai desolati lidi di San Zeno…B: Va bene, direi che hai reso bene la tragicità dell’evento, ora posso rispondere io?!I: Veramente, quel che ha risposto il suo amico mi è più che sufficiente, ora passerei alla domanda successiva: po-treste descrivere una vostra giornata tipo?B: Beh, se devo essere sincero…I: Sinceramente, preferirei sentire prima l’opinione del suo amico. Sa, ho dei limiti per il mio articolo e la cronaca nera

    fa più scalpore.B: Ma… Non è cronaca nera, è la rivisitazione dei poemi classici questa!A: Lascia perdere amico mio: d’altronde l’arte retorica

    non è da tutti e come dice Ci-cerone, per diventare perfetti oratori servono sia l’indole giusta, sia buona conoscenza delle tecniche retoriche.Comunque, la mia giornata si svolge in codesta maniera: mi sveglio ogni giorno alle 6 del mattino e parto da casa cam-minando per una selva oscura, quando l’Aurora dalle rosee

    dita non è ancora giunta nel cielo, per prendere la corriera delle 7 e arrivare a Porta Santi Quaranta alle 8, mentre l’autista, come un Caronte, controlla che abbiamo l’obolo per la traversata in corriera. Da lì poi ogni giorno devo cor-rere più veloce di Maratona per arrivare a scuola e sprecare tutte le mie autorizzazioni per giustificare il ritardo.B: Ma se c’è anche la possibilità di fare l’autorizzazione permanente di entrata posticipata!A: Ed il ritorno è anche peggio! Gli autobus che passa-no davanti alla fermata di San Zeno sono sempre pieni e spesso dobbiamo assaltare le navette altrui, marciando fieramente con armi di splendido bronzo e dizionari… e tuttavia, alla fine, ogni giorno arrivo a casa alle 15, anche se finiamo quando il sole non si è ancora levato fino allo zenit.B: Sì, ma non per tutti è così male, per me ad esempio…I: Che storia commovente! Un’ultima domanda: ha altri commenti in merito a questo cambiamento?A: Non ho commenti, ma pregherò soltanto Zeus e le divi-nità tutte che i lavori della nostra amatissima sede centrale si concludano il più celermente possibile e che a breve po-tremo tutti tornare nella nostra patria, a lungo compianta, dopo la nostra relegazione nella barbara Tomi… cioè, vo-levo dire San Zeno.I: Va bene, vi ringrazio, è più che sufficiente. Ora vi lascio a…B: Un momento! Ora è il mio turno! Vorrei dire che non per tutti questa sede è una seccatura: io ad esempio, abito qui vicino e personalmente non mi trovo poi così male e anzi mi alzo più tardi del solito. Inoltre, la sede è confor-tevole, ha molti spazi e gli scarichi dei bagni sono sempre ben funzionanti, oltre che avere, almeno nella nostra clas-se, anche gli armadietti. Insomma, per me è una cuccagna.E poi in fin dei conti, non importa se siamo divisi in quat-tro sedi diverse, perché c’è una cosa che non cambia per tutti i canoviani e quella cosa è… il fatto che studiamo tutti come dei dannati.

    Anna Martinato

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    Diario di un viaggio ad Augusta

    Uno sguardo alla “Roma del Nord Europa” con i miei occhi

    Pioviggina. Non è raro che pioviggini in questo periodo a Mo-naco di Baviera, nonostante ciò la temperatura è fantastica. Il mio volo atterra e in pochissimo tempo i nastri trasportatori mi recapitano il bagaglio. Noto che rispetto a Venezia, nonostante il percorso più lungo, è più veloce uscire dalla sezione “Arrivi” dell’aeroporto, sembra tutto più naturale. Anche il transfer per Königsbrunn è in perfetto orario. Ci vuole solo un’ora per arri-vare ad Augusta e una ventina di minuti in più per arrivare nel paesino in cui sarò ospite, poco più a sud della periferia. Nono-stante ciò poche canzoni dopo e qualche chiacchierata in tedesco sul tempo atmosferico sono arrivato. A causa della pioggia non riesco a pagare in tempo il transfer e mi prende un attimo di panico. Alla soglia del condominio vengo accolto da Frau Gillich, una simpaticissima vecchietta bavarese che ha girato mezzo mondo ed ospitato persone da ormai qualsiasi angolo del pianeta. Mi sento di consigliare a chi non sia mai stato/a ospitato/a di comu-nicare direttamente alla famiglia se siete vegetariani o se seguite particolari diete prima che vi imbandiscano la tavola con un in-tero allevamento bovino. Detto questo il giorno dopo mi trovo a prendere l’autobus 740 della AVV (hanno anche un account Instagram: avv_augsburg). L’autobus arriva in perfetto orario. In realtà nessun autobus in due settimane, preso almeno due volte al giorno è arrivato in ritardo, tuttavia non è l’unica sorpresa che la gemella bavarese della MOM riserva, poiché dispongono anche di quattro linee di tram ancora più efficienti degli autobus se possibile che non si limitano solo al centro città ma si estendo-no fino alla periferia. In termini trevigiani sarebbe come se con dieci minuti a piedi da Casier si potesse prendere un tram che in altri dieci minuti portasse direttamente in centro. Anche perché il centro di Augusta non è che una Treviso che ha fatto bodybuil-ding, ci sono diverse piazze minori che circondano Ratausplatz, sede del municipio e sede della Torre Perlach, icona della città, Marktplatz ovvero la sede del mercato e Königsplatz, dove si trovano la stazione della AVV e la scuola di tedesco che avrei frequentato. Per vari motivi è sconsigliata la permanenza in soli-taria nell’ultima piazza: oltre al fatto che essa venga sorvegliata in modo particolare dalla polizia, mi è personalmente capitato un caso in cui un individuo sulla quarantina abbia insistito per più di mezz’ora per portarmi a casa sua poco prima delle lezioni. Ma le piazze non sono l’unico punto di forza turistico di Au-gusta, infatti la seconda città più antica della Germania offre la Fuggerei, ovvero il complesso di case popolari del mondo voluto dal mercante Jacob Fugger (da qui il nome) detto Il Ricco. La Fuggerei è provvista di ristorante, birreria all’aperto, casa aper-ta con funzione di esempio per i turisti e bunker della seconda guerra mondiale, ora adibito a museo della Germana in guerra. Se non sapete dove si trovi non disperatevi: letteralmente chiun-que saprà come indirizzarvici ed una volta all’interno, qualora non siate così ferrati con gli imponenti termini tecnici della lin-gua tedesca, ogni cartello e depliant è scritto anche in italiano. Detto questo direi di passare alla scuola: l’ADK, un edificio dei primi del novecento se non precedente con le scale in legno che reggono bene nonostante non siano state toccate da quando sono state posate la prima volta. L’accettazione è fulminea: vi mette-ranno in una stanza a fare un test da B1 con tempo due ore con possibilità di andare in bagno, farsi un tè o un caffè o mangia-re mentre si compila. La situazione non cambia in classe: è un ambiente davvero più libero e più sereno comparato al sistema

    italiano. Inoltre l’uso del libro di testo è limitato agli esercizi per casa: la grammatica si impara attraverso film, canzoni e discus-sioni attive. La mia classe era composta da due gemelli da Hong Kong, una ragazza da Taiwan, due italiani, un kazako, una russa e due veronesi. Ogni tanto ci sono state sottoposte delle “sfide” di orienteering senza usare internet o la scrittura collettiva di una storia, mentre il pomeriggio avevamo delle attività pagate dalla scuola quali cinema ed una gita ad Ulm in treno dove abbia-no visitato la cattedrale alta più di settecento scalini e perso un ragazzo albanese in un centro commerciale. Successivamente, dopo la fine dei corsi mi sono preso due giorni per esplorare liberamente la città. Adoro la sensazione di libertà che in non avere limiti di tempo può conferire e me la sono goduta tutta in pace con la mia voglia di fare determinate cose quando volevo senza la restrizione a cui si è soggetti se parte di un gruppo. Ovviamente all’inizio la consapevolezza di non avere un posto dove andare, qualora non avessi trovato nulla di meglio da fare o nessuno con cui condividere determinate esperienze e/o chiama-re nel caso fosse successo qualcosa; non mi diede l’impressione che quei due giorni fossero stati una grande idea, ma dovetti ricredermi non appena arrivata sera, pensavo fossero soltanto le tre di pomeriggio. Finì anche l’ultimo giorno e la mattina se-guente il transfer arrivò alle otto in punto con già una famiglia a bordo. Ci volle un’altra ora perché arrivassimo all’aeroporto di Monaco ed una volta lì il guidatore sparì di nuovo senza che riuscissi a dargli la somma pattuita probabilmente perché aveva ancora dei passeggeri da far arrivare chissà dove. Entro nella sezione Check-in dell’aeroporto, non c’è nessun bancone di ac-cettazione o addetto all’aeroporto al di fuori di diverse colonnine e due addette alle informazioni, tuttavia utilizzare le colonnine è più facile di quanto sembra ed una volte messo il bagaglio su un nastro trasportatore completamente anonimo incrocio le dita perché non finisca a Pechino e mi dirigo verso i gate. L’aereo subisce mezz’ora di ritardo, quindi prendo l’iniziativa di farmi un giro per il duty free, dove trovo persino un negozio della Fa-briano. Passata mezz’ora finalmente si apre il gate d’imbarco per Venezia, anticipato da una voce prima in tedesco, poi in Italiano ed infine in inglese. Decollato, riesco a scorgere una città ma non riesco bene a capire se si tratti di Monaco o altro a causa del ragazzo francese che si era addormentato ed occupava mezzo finestrino. Ancora prima di tentare di mettere a fuoco qualche dettaglio l’aereo si addentra tra le nuvole. Ora, ad Augusta, delle esperienze che ho fatto durante il mio viaggio rimangono soltan-to una vecchietta, dei disegni, un pedofilo ed un bagaglio pieno di ricordi che per fortuna è arrivato sano e salvo in Italia.

    Angelo Granà

    illustrazione d’archivio di Marco Frassetto

  • 20

    “Disponibile anche in mogano” e lo scorrere del tempo

    “Senti il tempo che passa, dentro questa tua bolla di plastica?”Sono passate molte settimane ormai (purtroppo) da quando ho avuto la fortuna di andare a vedere i rove-re, una band bolognese formata da tre ragazzi, Nelson Venceslai alla voce (già conosciuto per i canali you-tube “Nels” e “Space Valley”), Luca Lambertini, alla chitarra e Lorenzo “Stiva” Stivani, alle percussioni e sinth, affiancati da Marco “Cobra” Paganelli alla bat-teria e Davide Franceschelli al basso, ma l’energia e le emozioni provate mi sono rimaste addosso, come una malinconia di cui non riesco a liberarmi.Ho notato, nelle mie interminabili ore di ascolto di disponibile anche in mogano, album uscito a fine marzo, che questa malinconia è legata a dei temi af-frontati, forse inconsciamente, in quasi tutti i testi: il legame che il presente ha con il passato o il futuro e lo scorrere del tempo e come questo cambi le persone e i rapporti tra loro.L’esempio più marcato appare già all’inizio: in caccia militare è posta una domanda che mi è costata molto rimuginamento e qualche lacrima: “ma cosa succe-

    derebbe/saremmo ancora salvi/se il tempo si fermas-se?”. I rovere rispondono semplicemente che “il tem-po non si ferma come non ti fermi tu”; ma è davvero così? E se il tempo si fermasse e di colpo capissimo quanto è inutile correre sempre? E ancora, il verso “il tempo spegne quello che sei” marca il ruolo distruttivo che il tempo ricopre in que-sto disco; nel videoclip stesso di questa canzone, il tempo personificato cambia e distrugge i tre poveri ragazzi, rasando i capelli di Stiva, sommergendo di vernice Nels e avvolgendo Luca con la pellicola.In peter pan, invece, l’idea del tempo non è centrale, ma è comunque presente: le scarpe nuove sono “rot-te da un mese”; da questo verso ho anche ricavato un’interessante riflessione: quand’è che una cosa si può definire nuova, e quando non lo è più? Delle scar-

    pe “nuove” possono avere più di un mese?Più spesso la malinconia ha la meglio: in tadb, cen-trali sono il ricordo di un amore giovanile, dei tempi delle abbreviazioni e di msn (“tadb” sta per “ti am(av)o di bene”), e la consapevolezza che anche se è ormai relegata al passato, la memoria è ancora viva e pre-sente, e la stessa cosa avviene in sport, in cui canta anche Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nuclea-ri, dove i versi “la mia malinconia sei tu” sottolinea perfettamente questo sentimento; in silenzio invece, ecco rimpianti “silenzio e conforto”, e poste cinque semplici (ma potentissime) domande, tra cui: “quanto tempo metti tu per me?”; è ancora il tempo uno dei protagonisti di questa relazione ormai finita. Come si può rispondere a cuor leggero, soprattutto dopo aver ascoltato quanta passione c’è in questa canzone?E di passione ce n’è tanta, l’ho sentita una sera di lu-glio in un paesino di provincia. Sono passate settimane dal giorno del concerto, eppu-re se chiudo gli occhi percepisco ancora i miei piedi

    che toccano terra dopo tutti i salti, vedo Nelson sedu-to sulla piattaforma della batteria durante conforto e lo vedo ballare con me, stanco ma anche felice, sento la risata di Luca e vedo Stiva commuoversi durante martedì e la sua gioia mentre parla con me dopo l’e-sibizione.E quando ci sono passione e sentimenti veri, il tempo non esiste.

    Luna Benotto illustrazione di Lorenzo Criveller

  • 21

    Recensione del romanzo “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di

    Mark Haddon

    Ultimamente ho avuto occasione di leggere in lin-gua originale, ossia in inglese, il romanzo “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” (titolo originale: “The curious incident of the dog in the night-time”) di Mark Haddon, la cui prima pubblicazione è del 2003 e la cui edizione è Vintage Books.Mark Haddon è uno scrittore e poeta inglese, nato a Northampton nel 1962. Ha studiato presso il Merton College di Oxford. Finora ha scritto e illustrato quin-dici libri per ragazzi e lavorato per la TV e la radio, realizzando anche diverse sceneggiature. “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” è il suo roman-zo per adulti più famoso e ha ottenuto vari riconosci-menti.Il romanzo affronta la storia del quindicenne di nome Christopher Boone, affetto dalla sindrome di Asper-ger, un ragazzo dalle forti capacità logico-matemati-che, ma con difficoltà nel relazionarsi con gli altri e padrone di un ratto di nome Toby. È orfano da par-te della madre (da quel che dice il padre, per infar-to) e vive con il padre a Swindon. Frequenta inoltre una scuola diversa dagli altri, con un’ insegnante di supporto: Siobhan. Una notte però viene sconvol-to dall’ uccisione del cane Wellington, della vicina di casa, ossia la signora Shears, trafitto da una for-ca per il giardinaggio. Allora Christopher decide di scoprire l’assassino, anche se il padre gli intima di stare alla larga dagli affari altrui. Chiedendo informa-zioni sull’accaduto ai vicini, il ragazzo entra in con-tatto con l’anziana signora Alexander, con cui parla quando sono da soli, gli dice che la madre, prima di morire, si frequentava con il signor Shears, l’ex mari-to della signora Shears. Intanto Christopher scrive un libro sulla sua ricerca per scoprire l’artefice del delit-to. Il padre però accorgendosi che il figlio continua a cercare indizi, gli confisca il libro. Ritrovando poi il libro, Christopher si accorge anche di alcune lette-re nascoste nell’armadio del padre, destinate a lui e con mittente la madre presunta morta: infatti il padre gli rivela che la madre non è mai morta, ma è andata a vivere a Londra con il signor Shears, pur volendo mantenersi in contatto con il figlio e che è lui stesso l’artefice del delitto di Wellington. Infatti afferma che la moglie amava più il cane che lui. Allora, spaventato dal padre, Christopher scappa a Londra dalla madre, che lo accoglie, contenta di rivederlo. In seguito ad un forte litigio con Shears, la madre di Christopher fugge e riporta il figlio a casa del padre a Swindon, rom-pendo i legami con il compagno e andando a vivere altrove. Di nuovo a casa, Christopher svolge gli esami

    di matematica ottenendo il massimo dei voti e riceve una cagnolina perché prenda il posto di Toby, morto di vecchiaia. Christopher spiega poi i suoi progetti per il futuro, ossia di studiare all’università e diventare uno scienziato.Lo stile di questo romanzo giallo è caratterizzato da periodi abbastanza semplici, con lunghi paragrafi di riflessione e di dialogo, con poche descrizioni e molto veloci. Sono presenti anche alcune metafore e molti modi di dire inglesi che il protagonista a volte ha dif-ficoltà nel comprendere.Parlando dei personaggi, Christopher si presenta come un ragazzo, come già detto, affetto da un auti-smo, con delle idee e dei punti di vista diversi dagli altri, intelligente e abile nella matematica e amante dei videogiochi. Ama inoltre il rosso, ma odia il mar-rone e il giallo, in quanto li collega a fattori ed ele-menti negativi. Il padre Ed è molto disponibile e paziente con il figlio e lo aiuta sempre nei momenti di difficoltà, rimanen-do sempre severo. La madre è anch’essa amorevole con il figlio, ma poco paziente e pur amando il figlio, decide di fuggire con l’ex marito della signora Shears (che ovviamente serba rancore), uomo egoista e che pensa solo a sé stesso. Siobhan, come già accennato è l’insegnante privata di Christopher e gli insegna a riconoscere figure e af-fronta con lui altri argomenti. È inoltre colei che gli dà consigli su come stendere la trama del suo libro.Questo romanzo è uno dei più belli che abbia mai let-to. “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” è un romanzo che pur con uno stile semplice e un po’ bambinesco, riesce ad attirare l’attenzione con i vari momenti di suspence e colpi di scena completamente inimmaginabili come la falsa morte della madre del protagonista, una bugia che il padre utilizzava per non ferire i sentimenti di Christopher, che affronta inve-ce le situazioni con durezza e serietà, con coraggio e dedizione. Pur affrontando una situazione verosimi-le, che si può riscontrare in molte famiglie di tutto il mondo, proprio il modo di vedere le cose da parte di Christopher, incuriosisce il lettore (come ha incuriosi-to me), portandoti avanti per lo svolgersi delle azioni e in un certo senso ti influenza il suo modo di pensare razionale e matematico, svelandoti alcuni particolari a cui la maggior parte della gente non fa tanto caso e che considera delle sottigliezze.

    Daniel Villani

  • 22

    TrapAdvisorCurry, tavoli unti e ventilatori traballanti: gli ingredienti perfetti per un ristorante indiano da

    urlo (letteralmente)

    Ogni volta che aggiunge anche un solo pizzico di cur-ry in padella, mia mamma è convinta di aver cucina-to un autentico piatto indiano. Ma, se escludiamo i suoi impacciati esperimenti culinari, tra spolverate di curcuma sul gelato e condimenti al cardamomo nei pancakes, non avevo mai gustato i i sapori di un Pae-se che si direbbe in perenne festa. Mai, fino al giorno in cui, passeggian-do per Treviso con un’amica, mi si parò davanti un maestoso Taj Mahal raffigurato sull’insegna di un lo-cale, che di maestoso, però, aveva ben poco. Ma questo l’avrem-mo scoperto solo una volta varcata la so-glia: quella si sareb-be rivelata una vera e propria trap.

    Immaginatevi un bar in una stazione di provincia, una di quelle così sperdute e desolate che quando il treno vi si ferma, i passeggeri si affac-ciano dal finestrino e credono di essere nel mezzo del deserto del Gobi. Ecco, l’atmosfera in quel bar è sicuramente più vi-vace che nel ristorante indiano in cui il destino – o meglio, la fame - aveva deciso di farmi pranzare quel giorno. Varchiamo la porta ed è difficile decidere chi tra noi e l’annoiato cameriere al bancone sia più perplesso. Se noi per aver appurato di essere capitate in quella che sembra la bottega di un rigattiere, o lui per aver final-mente visto i primi clienti della sua carriera. Osser-viamo i pochi metri quadrati che ci circondano e d’un colpo la nostra cornea prolassa. Il locale, simile ad una piccola sala d’attesa per dimensioni ma non per igiene, vanta un così vario assortimento di tavolini, uno diverso dall’altro, da far concorrenza all’Ikea nei giorni dei saldi. Infatti, quando il cameriere ci invita ad accomodarci a nostro piacimento, siamo incerte se optare per il logoro panno cerato a motivi floreali o il bancone nero su cui le impronte di unto riflettono la

    luce abbagliando i passanti attraverso la vetrata. Sce-gliamo il bancone unto, convinte dal vicino ventilato-re, che, seppur sgangherato, rappresenta l’unica fonte di aerazione del locale in un soffocante giorno estivo come questo. Il tempo scorre, ritmato solo dal cigolio del ventila-tore traballante, ma pare che il cameriere si sia com-

    pletamente scordato di noi per concentrar-si, invece, su audio indiani che ascolta a tutto volume dal suo cellulare. Che si trat-ti forse di un inno-vativo ristorante self cooking? Prese dalla disperazione, consi-deriamo seriamente l’idea di irrompere in cucina e iniziare a friggere tutto quel-lo che ci capita sotto tiro. E poi, improvvi-samente, il minuscolo spazio d’aria che ci divide dal cameriere è perforato dalla tan-to attesa domanda: “Volete mangiare?”. Certo che no – penso

    – siamo qui solo per comprare dei nuovi cacciaviti a stella, non si preoccupi. Il nostro uomo ci porge due menù, depliants spiegaz-zati su cui compaiono più ditate che pietanze. Coglia-mo la palla al balzo e, prima che i suoi attraenti vi-deo indiani lo riattirino a sé, ordiniamo al cameriere dei samosa di carne e un classico riso al curry. Non appena l’indiano sparisce in cucina per improvvisarsi cuoco, tiriamo un caldo sospiro di sollievo, realizzan-do che l’unico elemento che la location del tutto oc-cidentale ha in comune con l’India, è proprio la tem-peratura. Ormai sicure di non poter uscire dal locale senza traumi, afferriamo brutalmente il ventilatore e ce lo puntiamo dritto dritto sul collo sudato, alla mas-sima potenza, sperando di svenire per lo shock prima di affrontare il temibile pranzo.

    Greta Giacobini

    illustrazione di Lorenzo Criveller

  • 23

    La Lega Nord contro la legge sull’omotransfobia

    Per la Lega la legge emiliana “non è necessaria”Quest’estate è approdata in commissione a Bologna la legge regionale contro l’omotransfobia, che lo stesso sindaco Virginio Merola ha definito “fonda-mentale”, anche se se ne discuteva da ormai cinque anni.Un lungo dibattito ha spaccato lo stes-so centrosinistra riguardo la mater-nità surrogata, che è stata messa al pari dello stupro e dello sfruttamento della prostituzione, ma il nove luglio, dopo quasi novemila fir-me e trentanove ore nonstop di votazio-ni, la legge è stata approvata.Una grande con-quista per l’Emilia Romagna, per l’I-talia e la comunità LGBTQ+, che do-vrebbe, a mio pare-re, essere replicata su scala nazionale: una legge sull’omo-transfobia mette-rebbe la parola fine (si spera) agli abusi e alla paura subiti dalla comunità. Eppure la destra, capeggiata da Massimiliano Pompi-gnoli, annuncia di voler abolire la legge se a gennaio la Lega dovesse venir eletta in Emilia.Pompignoli, dagli studi di Teleromagna, ha detto che non si possono “riconoscere i diritti a persone che hanno già dei diritti”; secondo il consigliere, infatti, indipendentemente da qualsiasi tipo di orientamento sessuale, ogni cittadino italiano possiede dei diritti, e la legge è semplicemente ridondante.

    Eppure, continuo a pensare alla discriminazione quo-tidiana che ogni membro della comunità è costretto a sopportare, e le frecciatine “ironiche” sono il male

    minore; come può una persona cisgender ed eterosessuale com-prendere l’odio e la paura con cui convi-viamo? La consapevo-lezza di essere diversi, anche se a conti fatti non lo siamo, il fatto che un’intera ala del governo creda di po-terci curare con l’ac-qua santa, cartelli con-tro i gay, il disprezzo palese di persone a noi più o meno vicine, l’essere messi sempre in secondo piano per-ché “tanto siete la mi-noranza”? Dobbiamo fare co-ming out e spiegare al mondo cosa siamo, sperando che gli amici e i parenti non ci di-sconoscano. Dobbia-mo subire, dobbiamo nasconderci, per avere salva la vita.

    La legge contro l’omotransfobia è assolutamente ne-cessaria, non solo in Emilia Romagna, ma in tutta Italia; vorrei davvero fosse una legge inutile, ma in questo momento non lo è.

    Unicorno Pastello

    Liete, Gai e transformers

  • 24

    Rubrica di poesiePoesie brutte

    Per questa rubrica non ho nessuna voglia di portare poesie profonde, tristi, che parlano di emozioni forti o altro. Mi sono stancata di scriverne; figuriamoci se voi non vi siete stancati di leggerle. Detto questo, buona lettura.

    Come nascono i bambini delle rane?Avrei troppo da rinfacciarti,

    ma non mi va.Mi limito a ridere per quella volta

    che mi hai raccontato come si riproduconole rane:

    tutti i rospi si attaccano l’uno sopra l’altroaddosso alla rospa,

    finché lei non respira più e se li scrolla tutti di dosso.

    Solo il rospo che rimane attaccato alla rospale darà dei rospini.

    Menomale che me l’hai raccontato,altrimenti sarei ancora arrabbiata.

    Zio Billy che buono il profumo del coccoL’estate scorsa in un negozio in Grecia

    ho rubato della vaselina al coccoperché quella alla fragola faceva schifo.

    La cassiera non se n’è accortae io sono scappata dal negozio ridendo.

    Zio Billy che buono il profumo del cocco.

    La gang delle papereOgni giorno torno a casa in bici all’una

    passando per viale Fellissent:per divertirmi batto il cinque ai rami degli alberi

    che riesco a raggiungere col braccio(e poi mi chiedo se in realtà

    gli ho battuto il cinque o gli ho tirato uno schiaffo).

    Oppure a volte faccio il dito medio alle papereche camminano vicino al burrone;

    oppure a volte faccio il segno della Dark Polo Gang con le mani;oppure a volte quello dei Crip;

    oppure a volte, se ci riesco, quello dei Blood.

    Menomale che faccio queste cose,altrimenti mi annoierei sempre.

    Agnese Zanasi

  • 25

    4:00 a.m.

    Ho troppi pensieriNella mia testaE questa notte

    Ho dormito un’oraA volte mi domando

    Perché io sia così fragile all’internoMi sento debole

    E voglio andare avantiNon posso sopportare

    Di vivere per sempre nel passatoSpero di bruciare tutto

    E sentirmi finalmente leggero.

    Non riesco a dormireNon posso dormire

    E forseNon voglio dormire

    Persona, aePersona

    In latino significa mascheraE quando mi guardo un po’ intorno

    In effetti è quel che vedo.Persone false

    Persone insicurePersone che feriscono

    Persone troppo fragili per uscirePersone troppo sicure per guardarsi

    intornoE penso che in fondo

    Siamo tutti un po’ deboliAnche i più resilienti

    Mi sento solo separatoCome su un altro piano

    Ma nello stesso momentoMolto più vicino

    Alla vera anima delle personeO maschere

    Come preferite chiamarle

    Pietro Michielettoillustrazione di archivio di Marco Frassetto

  • 26

    Nerd Area 51 5 ottobre 2019, ore 20:30

    Caro Tony Canova,ultimamente, mi sta succedendo qualcosa di strano. Sin da piccola sono sempre stata una ra-gazza seria e diligente: studiavo volta per volta, stavo sempre attenta in classe e facevo sempre i compiti, senza mai essere distratta da niente, neanche in età preadolescenziale. Però negli ultimi tempi ho iniziato a sconcentrarmi molto spesso, con la conseguenza che anche la mia media è calata drasticamente, e tutto questo perché non faccio altro che pensare a lui. Sì, si tratta di un ragazzo, ma lui non è come tutti gli altri. Da quando lo ho visto per la prima volta, nella mia mente si è impresso ogni più piccolo dettaglio della sua immagine... la mia vita non è più stata la stessa e per quanto io mi sforzi non riesco più ad essere quella di prima. Si tratta forse di amore? Non lo so e ho paura che le persone sappiano di questo mio strano sentimento nei suoi confronti: ogni volta che ne parlo entusiasta con i miei amici o la mia famiglia, vengo sempre guardata male. Certo, lui non ha fama di essere un bravo ragazzo, eppure io non riesco a non… amarlo (non so nemmeno se questo sia il termine giusto). Forse sarebbe meglio che lo dimenticassi, ma io davvero non so come fare… Eppure, al tempo stesso so che il nostro è un amore impossibile, perché se anche lui mi ricambiasse, cosa che comunque ritengo alquanto improbabile, non riusciremmo mai ad incontrarci. E il motivo è molto semplice: lui è il perso-naggio di un’opera immaginaria, mentre io sono di questo mondo. Lui non esiste e per quanto io possa esserne attratta, per quante fanfictions possa scrivere su di lui, per quante volte lo disegni e lo pensi, il nostro resta un amore impossibile. Ma come riuscire a dimenticarlo? Aiu-

    tami tu, Tony!

    Giornalino Canova 10 ottobre 2019, ore 00:53

    Cara nerd-area51,devo ammetterlo, è dai tempi di Twilight che non vengo a conoscenza di una storia così triste. La tua situazione è indubbiamente complessa: da un lato l’impossibilità di dimen-ticare un personaggio, dall’altro la consapevolezza che non sarà mai tuo. A mio parere, le strade sono due: se il tuo amore è tanto grande da non riuscire in alcun modo a dimenticarti di lui, potresti decidere di sposare il tuo personaggio, dato che in alcuni paesi è possibile. Altrimenti, come ti consiglio io, guarda molte serie tv e dimenti-calo. Vedrai che, se anche ora ti sembra impossibile, tra poco tempo avrai trovato un altro personaggio, ancora migliore di quello attuale, che ti farà completamente dimenticare di lui e avanti così. E magari chi lo sa, parlando con qualcuno riguardo a questi personaggi, ti accorgerai che quel qualcuno è riuscito a prendere il loro posto e amerai una persona del tuo stesso mondo.Mi raccomando, raccontami cosa hai deciso e come sia andata a finire!Tony Canova

    P.s. Naturalmente, ci sarebbe anche una terza opzione, ma penso che sia la più ardua di tutte: creare una macchina che riesca a trasportarti in questi mondi paralleli e congiun-gerti con il tuo amore, sperando che lui ricambi. Però penso sia impossibile e nessuno è stato così pazzo da provarci fino ad oggi, quindi fingi che non abbia detto nulla.

    Nerd Area-51 10 ottobre 2019, ore 00:57]

    Vada per la macchina che trasporta in un altro mondo.

    Se anche tu stai affrontando un momento difficile, che sia per amore, scuola o famiglia, scrivi a [email protected] , Tony Canova ti risponderà con tutta la sua saggezza.

    Le perle rosa di Tony Canova

  • 27

    Cruciverba

    Tema: “Tu sottovaluti il potere del lato oscuro…”Risolvi il cruciverba a tema: le lettere evidenziate mostreranno il nome di un serial killer tanto

    noto quanto temuto! Riuscirai a capire di chi si tratta (senza usare Internet)?

    Bucce di bananaScivoloni e svarioni di alunni e professori (quando lo stress al Canova gioca brutti

    scherzi!)

    DEFINIZIONI:1) Terrorizza i giocatori in “Venerdì 13” 2) Capolavoro di Bram Stoker 3) Il titolo dell’opera di Fussli con un demone e una donna 4) Arthur Fleck, alias... 5) Noto personaggio in “Il signore degli anelli” 6) Il villain di “The Avengers” 7) Altro nome del mostro di Lockness 8) Jaws 9) Notte delle streghe 10) Letteralmente, il suo nome è “cicatri-ce” 11) La matrigna di Biancaneve 12) Ha detto la frase tema del cruciverba 13) Cattivo con il guanto 14) Il nome del killer Bundy 15) Il nome di Frankenstein 16) Il castello di Walpole 17) La “Signora del male”

    A cura di Anna Martinato

    Alunno: “Io sono dell’opinione che l’area totale sia la metà del cerchio”.Prof di matematica: “Perché?”Alunno: “Intende dal punto di vista matematico?”

    *A lezione di scienze*Alunno x: “Ma Prof, quindi noi siamo eucarioti o pro-carioti?”Prof: “Riguardo te non sono sicuro, gli altri eucario-ti”.

    Prof: “Ragazzi ho parlato con la vostra professoressa di italiano”.X: “Prof ma noi abbiamo un professore”.Prof: “Sicuri?”X: “Direi di si prof.”Prof: “E allora io con chi ho parlato?”

    *Durante la lezione di fisica*Prof: “Cosa vi serve per trovare la forza peso?”Alunna: “Un miracolo”.

    Prof: “Tre equazioni messe a sistema mi...”Alunno: “Mi rovinano la vita”.

    Prof: “Macchiavelli dice che la fortuna è donna. Cosa vuol dire?”Alunno: “Che la fortuna ha sempre ragione”.

    Prof: “Accelerazione si scrive con una sola L”.Alunna: “Solo in matematica o anche in italiano?”

    Anche tu hai degli scivoloni da raccontare?

    Scrivili a [email protected]

  • 28

    ARIETE: Ottobre vi insegnerà a non lasciare che le aspettati-ve altrui influiscano sulla vostra tipica indipendenza e grinta. Se non avete voglia di andare al di-ciottesimo della vostra cugina di terzo grado a cui non parlate da anni, usate il Canova come scusa per non andare e restate a casa comodi e tranquilli. Se un prof vi dà fastidio, evitate l’impulso di picchiarlo. Vedrete che il mese passerà in fretta!

    TORO: Se avete un com-pagno di banco con cui siete a vostro agio, sentitevi liberi di torturarlo con tutto l’affetto possibile (anche se in modo un po’ molesto). Per un mese all’an-no, riuscirete ad abbandonare il vostro lato dittatoriale ed a lavo-rare con un maggiore spirito di squadra: approfittatene. Se ve-dete qualcuno scavarsi la fossa sotto i piedi, tuttavia, diteglielo!

    GEMELLI: Se c’è qualcosa di cui potrete vantarvi, è la vo-stra creatività ed il vostro sen-so dell’umorismo; fate solo attenzione a non essere la ra-gazza aesthetic che si vanta di ascoltare Billie Eilish. Ottobre sarà un mese di successo dal punto di vista della creatività: avrete molto più coraggio ad esprimervi tramite la musi-ca, la scrittura, l’arte, il senso dell’umorismo o la recitazio-ne. Approfittatene!

    CANCRO: Si spera che almeno le patatine di Peterland non vi fac-ciano venire i brufoli: se quello è il caso, farete un festone a casa vostra. Se il moroso o la morosa non vi risponde, cercate di non rigare la macchina dei suoi con le chiavi o di sedurre i loro amici: al massimo, sfogatevi affogando nell’alcool. Ci saranno dei grandi cambiamenti nel vostro aspetto e nel vostro atteggiamento con gli altri, prendete al volo l’occa-sione per renderli qualcosa di positivo.

    LEONE: Se non siete i più belli, i più intelligenti e i cocchi dei prof, sappiate che vi vogliamo bene lo stesso. Se vi sentite depres-si per il tempo e per la routine scolastica, cercate gli amici e fa-tegli capire che vi fidate di loro. Ci saranno grandi cambiamenti in famiglia: se per voi sono sco-modi, non lo nascondete! Si