Arrighi - 450 Deputati Del Presente e i Deputati Dell'Avvenire (1865)

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    Fonte:

    I 450 deputati del presente e i deputati dell'avvenire per unasociet di egregi uomini politici, letterati e giornalisti diretta da

    Cletto Arrighi 1865, Milano-Napoli

    PASQUALE STANISLAO MANCINI

    La prima volta che ci fu dato udire il Mancini in Parlamento, memoridi quella frase del Petruccelli che lo chiama loratore:

    ...pi monotono per dispiacenza di voceRestammo colpiti dall'ingiustizia di un tale appunto. vero per che

    forse il Mancini non era mai stato tanto ispirato. Parlava in favore del-labolizione della pena di morte.

    E giacch gli un pezzo che non si cita il Petruccelli, non possiamo ameno in questo caso di cavarne il brano che riguarda l'onorevolepersonaggio, presentato in questo punto ai lettori, e allora ministrodell'istruzione pubblica.

    La critica petruccelliana servir a far risaltare pi vivamente ognilato di questa interessante biografia:

    Egli ha toccato infine la meta per cui aveva tanto fatto, tutto fatto per arrivare.Egli ministro. Che il portafogli gli sia leggero. Mancini una parola di gommaelastica; una parola fatta uomo, flessibile, profusa, incolore, dicendo tutto, nondicendo niente, buona alla prosa come al verso, buona a tutto, giustificante tutto.Ora Mancini ministro d'istruzion pubblica, ma sarebbe domani con la stessaimperturbabilit, colla stessa capacit ministro della guerra o della marina, e tuttoci che volete. E una stoffa di cui lascia fare a volont un mantello o un berretto,purch qualche cosa se ne faccia. Mancini non sa nulla, ma comprende tutto, e senon lo comprende vi fa persuaso che l'abbia compreso e ve ne parla per due ore.Mancini entrato a far parte in un gabinetto che non da indizii di vita; cadrannotutti sul sedere; Mancini solo sui suoi piedi. E' non far nulla, eccetto qualche cosaper il signor Oliva e per gli olivi che gli spargono la via di fiori, ma niuno avr tanto

    detto di fare, di voler fare, di poter fare, di saper fare, di avere a fare e di tutte lecombinazioni possibili che potete trovare a questo verbo magico, eccetto ilpreterito passato ho fatto! Mancini con un po' di pratica diventer il tipo deiministri parlamentari, vale a dire dei ministri minchionatori. Il no nella sua boccasar una parola introvabile, impossibile a proferirsi. Sta fresco per chi si addormesul suo s, accompagnato e preceduto da un franco sorriso e cementato da unagenerosa stretta di mano. Che volete? Sono le miserie del mestiere.

    La grande arte di un ministro costituzionale quella di saper scacciare lemosche. Ora sfido chi mi trovi qualche cosa di pi gaio, di pi leggero, di pimobile, di pi variopinto che Mancini, per tenere a distanza per un momentoquesti insetti petulanti. Uomo d'ingegno, pronto e vivace, di parola facile, di

    coscienza larga, di carattere compagnevole e non egoista, onesto e' liberale, vanoma non puerile, anzi modesto nella sua vanit, sibarita di buona compagnia, senza

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    fiele e senza rancori, pi studioso di parere che di essere; pi credulo checospiratore; abbindolato dai consorti, ma di costoro per ogni verso ripugnante edin tutto superiore; fresco e roseo come una pasqua, inannellato il crine come uncherubino di villaggio, tale il commendatore

    Mancini, fra non guari conte del regno d'Italia. A Mancini mancano due cose per

    essere ministro: la tempra forte e la pratica; questa l'avr presto; quella non mai.Sar dunque un ministro ad uso del Parlamento ma non mai un ministro.E tale fu infatti nel breve tratto di tempo che tenne il portafogli; che

    fra tutti i ministri d'istruzione pubblica del regno d'Italia il solo di cuinon si parli mai n in bene n in male, come se. non fosse mai stato alpotere, appunto il Mancini.

    Il Mancini nativo di Castel Baronia, ma ha dimora in Napoli. Nellapatria di Filangeri, di Vico, di Genovesi e del Giannone, il Mancini posesin da giovinetto amore particolare alle discipline giuridiche edeconomiche, non trascurando la letteratura che per cos dire ilcondimento d'ogni sapere. Le sue prime armi ei fece nelle Oresolitrie, giornale che egli fond a Napoli parecchi anni prima del 48 eche lo mise in relazione coi pi distinti scrittori di quell'epoca; finchlaureato in diritto cominci a dar lezioni pubbliche, alle quali accorrevala giovent napoletana come sempre avidissima di imparare edentusiasta per chi sappia mostrar dell'ingegno. Ai successi dellacattedra s'aggiunsero quelli del foro e gli applausi riscossi nei congressidegli scienziati che erano venuti di moda in Italia.

    L'ora preparata ed affrettata coll'opera di tutti i migliori parve

    venuta nel 1848. Nella breve storia costituzionale di Napoli il Manciniha delle pagine molto onorevoli. Compito il nefando spergiuro, anche ilMancini fu cercato dal Borbone, ma trov scampo sotto la protezionedella bandiera inglese. Esule ripar in Piemonte, dov'era giconosciuto merc i vincoli di reciproca stima ond'era legato con variide pi distinti patrioti. In Torino consacr la sua prodigiosa attivitall'avvocatura, nella quale senza tante parole lo si* pu dire sommo:scienza a profluvio; nerbo di logica; perizia di affari; fertilit diespedienti a lui non mancano certo. Si racconta, che una volta

    presentatosi dinanzi ai giudici a improvvisare una difesa, per unostrano scambio di idee, pigliasse le parli dell'avversario invece di quelledel suo cliente; accortosi a mezza strada esclam: Questa arringa vifarebbe l'avvocato del mio avversario; ma a lui io rispondo...E qui simise a ribattere trionfalmente le sue stesse ragioni. Le cause civili delMancini mandale alle stampe formano autorit nelle scuole di diritto, ele sue polemiche economiche saranno certamente ricordate dalla storiadella scienza.

    Ma le troppe occupazioni distolsero il Mancini dal dedicarsiinteramente ad essa; e la cattedra di diritto internazionale istituitasi a

    Torino e a lui affidata non paga del fatto suo. Gli amici del Mancinidicono ch'ei poteva essere il Grozio del nostro tempo e superarlo di

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    quanto i principii dell'era nuova superano i sofismi giuridici dell'etpassata. Le conquiste test fatte dal diritto internazionale nei gabinetti,nei protocolli, nella diplomazia furono da, molti anni in traveduticiMancini, il quale pose a fondamento di quelle la nazionalit e seppe

    trarre da essa lo scioglimento d'ogni pi intricato problema dello juregentium.Nel periodo non molto felice della luogotenenza napoletana, il

    Mancini fu messo a capo del dicastero degli affari ecclesiastici, emostr, a dir vero, molta abilit; ma lasci poca traccia di s.

    Il maggior trionfo del Mancini in Parlamento fu per l'abolizionedella pena di morte. L si rivel pi che mai uomo di cuore; e uomo dicuore si mostr nella solenne adunanza tenuta dai membri dellaCommissione milanese, presieduta dal conte Renato Borromeo,allorch egli, non ricco e carico di famiglia, propose di fondare unpremio di 500 franchi a chi sapesse scrivere una Memoria diosservazioni pratiche e statistiche in favore di quel grande principio, e

    volle sostener egli stesso la spesa del premio.Spesso parl il Mancini in Parlamento: Sui beni de' preti;

    dell'istruzione pubblica; sulla Polonin; sull'emigrazione italiana;sull'arresto Delafield; sulla tassa per la ricchezza mobile; sulla leva;sulle manimorte; sulle industrie private; sulla cessione di Nizza; sulcodice per l'Emilia; sul prestito, ecc, ecc. Ma il pi splendido edefficace suo discorso fu contro la pena di morte. Di lui, in

    quell'occasione cos dice il corrispondente dellaPerseveranza:La tornata di quest'oggi l'ha occupata il Mancini tutta. Aveva naturalmentetante cose a dire sopra una questione in cui se n' dette tante, e le ha dette tutte.Discorrere cos a lungo non si pu, senza che in alcuni nasca il desiderio, che talcosa o tal altra fosse messa da parte; e che si fosse fatta maggiore sceltad'argomenti e di esempi. E certo n all'oratore, n al soggetto nuoce il riassumere eil concentrare. Ma il Mancini uomo dotto, che ha letto molto e ricorda molto, ed ingegno analitico. Perci va di reminiscenza in reminiscenza, e di raziocinio inraziocinio. Non ostante questa magagna della prolissit e dei difetti dai qualideriva, l'importanza del soggetto e la copia delle ragioni hanno fatto che il discorsodel Mancini sia stato ascoltato sino alla fine ed applaudito anche quando fu finito.

    Ha fatta molta impressione sopratutto quella parte del suo discorso, dove hamostrato come in Toscana, non ostante la variet della legislazione sulla pena dimorte, che v' stata due volte abolita e due ripristinata, il numero dei delitticapitali v' rimasto sempre il medesimo. Che, certo, una gran prova per abolirla;giacch la pena di morte non pu difendersi, se non si dimostra, con grandeevidenza, che molti delitti non possono impedirsi che colla sola sua minaccia.Mancini ha anche dimostrata falsa una cotale statistica di delitti in Toscana,compilata molto confusamente, e comunicata dal governo nostro all'inglese, chegliela aveva chiesta, per mezzo del suo ministro qui, per uso d'una commissioneparlamentare.

    Mancini cit in quella sua arringa:...i grandi scrittori che discussero su questa tesi la pena di morte ricorda

    specialmente il venerando Carmignani, il quale, dopo avere per molti anni

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    sostenuto la legittimit della pena di morte, al termine della sua vita dichiarsolennemente di essersi ingannato.

    Certo 1'opinione sulla legittimit sostenuta ancora da autorevoli scrittori; maci non prova altro che c' ancora un gran dubbio. Ora nel dubbio, come si puancora uccidere?

    Come si pu adoperare ancora la pena di morte, se non siete sicuri della sualegittimit?L'oratore dice che la sola esistenza di questo terribile dubbio dev'essere il pi

    potente argomento per la abolizione. Che se si vuoi ancora attendere un momentoopportuno, se 8 vuoi continuare a dubitare, qualora dopo qualche anno siateconvinti doversi abolire la pena di morte, potrete voi ridare 1 vita alle vittime del

    vostro indugio?L'oratore si riserva in seguito:...a confutare le ragioni di coloro che vorrebbero attendere l'attuazione di altre

    riforme; ma se c' una quistione in cui pericoloso il ritardo, non si pu indugiaresu questo.

    Eliminata cos la quistione della opportunit, rimane la questione dellanecessit.

    Riferendosi alle stesse parole dell'illustre Pellegrino Rossi citate dall'onorevoleMassari dimostra come il grande uomo di Stato non ammettesse questo mezzo digiustizia estrema la pena di morte se non pel caso che ne potesse essere provatal'assoluta necessit. Ci prova secondo l'oratore quanta differenza passi da questaopinione alla glorificazione del patibolo.

    Ad ogni modo egli disse dopo 36 anni di studi e di progresso, se l'illustrePellegrino Rossi si trovasse a sedere in questo Parlamento, voterebbe per1'abolizione della pena di morte.

    L'oratore conchiude sostenendo che:...la pena di morte non riuscita a produrre gli effetti che ne speravano i suoi

    difensori. Lesse a questo proposito un brano di un illustre scrittore inglese, il qualedice che, non essendosi ottenuto dalla pena di morte gli effetti sperati, eradesiderabile che si tentasse il mezzo opposto, quello della dolcezza edell'indulgenza.

    Perch l'esperienza non ci ha ancora abbastanza dimostrato che la societumana possa sussistere senza sanguinose repressioni, non si pu dire che ci nonpossa avvenire. Ma non vero che l'esperienza non sia stata fatta in luoghi e tempidiversi, e non sia sempre riuscita favorevole al sistema della mitezza delle pene.

    Le vecchie leggi inglesi comprendevano a centinaia i casi, in cui era comminatala pena di morte. Tolto questo lusso di patiboli, i reati non moltiplicarono punto, seanche non erano pi puniti collestremo supplizio. Ci provi che, se le condizionidella sicurezza pubblica hanno presso di noi a migliorare, non lo dovremocertamente alle forche, ma ai benefici della civilt.

    Frattanto nel Parlamento inglese, una Commissione sta occupandosi dellaabolizione assoluta della pena di morte; e lo stesso John Russel, nella prefazionealla recente edizione della sua Storia della Costituzione inglese, si dichiaraapertamente partigiano dell'abolizione di questa inutile crudelt.

    Anche le statistiche giudiziarie francesi dimostrano, colla eloquenza delle lorocifre, la inefficacia di questa pena.

    I reati, puniti di morte, prima del 1832, anno nel quale per questi reati

    medesimi fu abolita la pena di morte, non crebbero di numero dopo quel tempo,sebbene pi mitemente puniti. Bando adunque al vano timore che i reati per

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    effetto di questa abolizione abbiano a moltiplicarsi.In Toscana, la abolizione della pena di morte era consacrata di diritto sin dal

    1786, sebbene due anni dopo venisse ripristinata.Ma non si creda che sia stata ristabilita perch i reati gi colpiti da quella pena

    fossero aumentati.

    Finalmente la pena di morte abolita nella repubblica

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    Ho sottocchio per un preteso quadro dei reati avvenuti nella Toscana nel1864. Questo quadro se non compilato con malignit, lo certamente consorprendente ignoranza.

    Questo quadro venne presentato alla Camera dal Governo; laonde io deggiodomandare su esso qualche spiegazione all'onorevole ministro della giustizia, che

    mi sapr dire a quali fonti furono attinte le cifre di queste tabelle, con qualmetodo raccolte.Io vedo che gli omicidi furono calcolati in complesso senza alcuna distinzione.E nei suicidii, per esempio, trovo compresi anche i casi di morte accidentale. Io

    respingo pertanto questa abborracciatura senza autorit. Mi duole per che siastato comunicato dal nostro governo ad un governo estero a documento dellamoralit e della civilt della Toscana.

    Ci risulta da una lettera che non pi tardi di questa mattina ho ricevutodall'illustre Mittermayer.

    L'oratore prosegue dicendo che l'esperienza fatta dalla Toscana deve essereuna esperienza decisiva anche per l'Italia. Del resto il governo ha gi dichiarato di

    non respingere in massima 1* abolizione della pena di morte.II governo per ha domandato una specie di proroga a questa riforma. Ma cinon toglie che esso non abbia dimostrato anche con questo solo che non crede alle

    barbarie della Toscana, come non credo io che un paese, culla di una civiltanteriore alla romana, sia oggi addietro della rimanente Europa. Il patiboloadunque deve perire.

    Qui oltre all'ingegno, c' un nobil cuore.La liberalit del Mancini proverbiale. Mancini ha, come si dice, le

    mani bucate, e se avesse i tesori dell'Australia, egli tale che saprebbedarvi fondo. Si racconta una storiella di quand'era ministro in cui

    mostr come in certe strettezze giovi l'astuzia e la diplomazia.Nel nuovo Parlamento il Mancini sar uno dei capi dell'opposizionemoderata.

    Firenze, 22 maggio.

    FRANCESCO De-Sanctis

    Francesco De-Sanctis nato in Lettomanoppello, studiata a Napoli lagiurisprudenza, vi ottenne la laurea d'avvocato.

    Fornito di talento e di cuore, ei port seco da Napoli nel suo paesefama di perito legista, di liberale sincero.

    Tanto bast per essere classificato dalla Polizia borbonica comeattendibile; per cui, nell'esercizio di sua professione mille inciampi eforti ostacoli d'allora in poi gli si pararono innanzi, sicch dopo una

    viva lotta ei fu ridotto al silenzio.Fin dai primi anni il De-Sanctis si die con solerzia ed annegazione a

    cooperare pel trionfo della libert; lo troviamo infatti membro della

    Propaganda, e complice nella cospirazione che caus la pena di mortea Cesare Rossarelli. Partecip ai moti di Pescara nel 1837, a quelli di

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    Aquila nel 1841, e nel 1848 fu chiamato dal voto popolare al comandoprovvisorio della milizia cittadina, contribuendo molto colla suafermezza a domare le reazioni ordite dalla camarilla di Corte.

    Dopo il 1848 fu processato due volte, ma per deficienza di prove non

    venne condannato. Nel 1853 il colonnello del 1. reggimento di fanteriadi linea G. Pianel, ora luogotenente generale dell'esercito italiano,denunciava una vasta cospirazione, nella quale il De-Sanctisrappresentava non piccola parte; per seppe cos bene schermirsi dauscirne illeso, anzi ebbe il coraggio di presentarsi in Pescara comedifensore degl'imputati.

    Quella causa che dur poco meno di tre anni, ebbe un esito tantofelice quanto inaspettato. La Commissione militare, nonostante lapressione del governo che volea condannato nel capo almeno ilClemente De-Cesaris, pronunci il non consta, con giubilo e sorpresadi quattro provincie, giacch da sapersi che quel processo tendeva acolpire i tre Abruzzi e la limitrofa provincia di Molise.

    La Polizia, che volle attribuire unicamente alla splendida e brillantedifesa del De-Sanctis quello smacco toccatole, raddoppi le sue seviziecontro di lui.

    Tutte le cause politiche da questo egregio patriota trattate, non glifruttarono veruna ricompensa; ma egli era pago della soddisfazione didifendere i suoi fratelli; anzi, cogli operai bisognosi condannalicorrezionalmente, ei fu sempre largo di soccorsi pecuniar.

    Il congresso di Parigi ridest le speranze sopite; e il De-Sanctis diemano tosto a riannodare le corrispondenze rivoluzionarie; fu perciimprigionato e mandato a domicilio coatto prima a Caramanico posciaa Tollo.

    Dopo quattro anni di vessazioni torn in Chieti; era stata promulgatala costituzione del 1860.

    Oramai conosciuta la ridicola commedia di quella effimeracostituzione; quindi ci limitiamo a dire che in Chieti, come nei vicini

    Abruzzi, alla regale concessione si rispose colla rivoluzione.

    Il 7 settembre, la forma di governo era gi mutata; la dinastia deiBorboni avea cessalo di dominare nella parte orientale e meridionaledel Napoletano; il De-Sanctis, uno dei capi del movimento, era in queigiorni al comando della milizia cittadina.

    Modesto quanto disinteressato, rifiut la carica di prodittatore chegli era offerta; accert invece la nomina di presidente della Societpatrio li ca e di quella degli operai. Grad il posto di maggioredell'unico battaglione della guardia nazionale di Chieti, a capo dellaquale si distinse nel combattere il brigantaggio, per cui fu decoralodella croce dei santi Maurizio e Lazzaro.

    Stimato dai suoi concittadini per le sue virt e pel suo amor dipatria, fu in grado di vincere nella lotta elettorale il Pisanelli, pel

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    potente appoggio che gli prest il circondario di Chieti.Ei siede alla sinistra, colla quale costantemente vot; ma non a

    confondersi con quei piccoli astri minori che obbediscono e seguono lefasi e le evoluzioni dei maggiori pianeti; non nemmeno un radicale, e

    come vuoisi dire, un dottrinario rosso; il suo voto non subisce alcunainfluenza, come non T espressione di un preconcetto sistema.Il De-Sanctis gode fama di facondo oratore, dallo siile spigliato, dalla

    elegante maniera di porgere; ci sorprese perci il suo costante silenzioin tulle le quistioni che si agitarono alla Camera. Vogliamo augurarciche nella ventura legislatura egli, rompendo il ghiaccio di unaincomprensibile...modestia, faccia sentire nel Parlamento quella voceche tante volle tuon in difesa di tanti martiri della libert.

    Milano, 12 luglio.

    UBALDINO PERUZZI

    Bisogna dire assolutamente che l'appellativo di volpe sia benappropriato all'ex ministro dei lavori pubblici e dell'interno, se a noi capitato di trovarlo usato da sei o sette che scrissero di lui.

    Comunque sia, se la virt della volpe l'astuzia, noi non sappiamo inqual modo egli si sia meritato quel titolo, dal momento che fruitidell'astuzia egli ne seppe mostrare assai pochi. Per quanto si voglia

    essere indulgenti verso di lui, impossibile dissimulare che, comeministro dei lavori pubblici, ei sia stato fra i pi inetti, e come ministrodell'interno fra i pi sfortunati? Fiasco su tutta la linea! esclamaPetruccelli, parlando di lui Egli ha completamente fallito; ha sciupato idanari dello Stato con una prodigalit furiosa, e giammai ministroprodusse risultati pi meschini. Tutte le compagnie colle quali tratt adelle condizioni ruinose, gli si sono spezzale fra le mani. La parolainfedelt ha ulcerato, a torto forse, il suo segretario generale; e lasconfidenza nel successo accompagna ora qualunque progetto.

    Noi crediamo che l'astuzia del Peruzzi non consista in altro che nelsaper metter ganci dovunque, e in questo gli assidua e fedelecollaboratrice la consorte Emilia Toscanelli, sorella del frate terziario,framassone, deputato. La forza del Peruzzi sta dunque nel crearsi moltiamici e nel tenerseli tali per mezzo delle conversazioni e dellacorrispondenza letteraria della signora Emilia; la quale si sa che incuor suo la pensa come il frate fratello, ma transige colle opinionialtrui, purch l'aura spiri amica intorno a suo marito.

    La biografia del Peruzzi conosciuta; la sua famiglia tra le pinobili della citt, che per sua iniziativa divenne capitale provvisoria. Dagiovine lo chiamavano a Firenze il nobile signorino; e suo zio, che era

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    stato ministro del granduca, lo avea fatto nominare ciambellano, e nel48 gonfaloniere.

    In tale qualit aveva dato una mano a Ricasoli nella famosarestaurazione del granduca, avvenuta la quale nel modo che tutti

    sanno, egli aveva per data la dimissione.Dal 48 al 59 per sir Ubaldino non era stato colle mani alla cintola,che ebbe la nomina di direttore delle strade ferrate livornesi con moltasoddisfazione degli azionisti.

    Sullo scorcio del 1857 formossi a Firenze una societ editrice, cheaveva per iscopo di eludere la legge, che proibiva la pubblicazione digiornali politici collo stampare opuscoli che ne avessero la essenza,che trattassero di cose attinenti alla libert e alla indipendenza delpaese. Erano caporioni di questa societ il Ridolfi, il Ricasoli, ilPeruzzi, il Cempini e il Bianchi, tutta gente pi o meno vincolata aiprincipii del 12 aprile, come quelli che avevano fatto parte di quelgoverno provvisorio che ne era stato 1'emanazione. Quella societeditrice chiamavasi dellaBiblioteca civile dell'Italiano e rappresentavail partito dei conservatori toscani che sprezzanti o piuttosto ignaridell'idea d'un'Italia una, aspiravano a una modesta libert sotto iLorena, contenti di tenersi la loro piccola autonomia. Infatti il primoopuscolo consigliato dal Peruzzi ai suoi amici fu un'apologia delle leggileopoldine, le quali costituivano ai Lorenesi un titolo di benemerenzapresso i Toscani; apologia che forse doveva servire a non destar

    sospetto nella censura, ma che contribuiva certamente a ristabilire ilcredilo del principe straniero, e a screditare il concetto dell'unitd'Italia.

    Che Ubaldino Peruzzi fosse allora uno dei pi accaniti autonomisti,non abbisognano prove. Fra i nomi di quelli che esortavano,pregavano, scongiuravano il granduca e il Baldasseroni a salvar ladinastia e a non lasciare che la Toscana fosse confusa col resto dellapenisola, si legge il suo nome. Di questa storia esiste una lettera di lui,datata dal 26 aprile, che non gli fa certo un bell'onore. Questa lettera

    in tutto paragonabile a quelle che i fautori di Massimiliano gliscrivevano perch facesse sua la Lombardia. E l'esito non rispose n aquello, n a questi. Eppure i cos detti massimilianisti lombardi furono

    vilipesi e disprezzali; il Peruzzi divent ministro di quell'Italia a cuinon aveva mai voluto credere. Cos la giustizia umana.

    Il municipio di Firenze, appena il granduca ebbe abbandonato ilterritorio toscano, nomin un governo provvisorio che riusci compostoda Peruzzi, Malenchini e Danzini. Il Rubieri, avversario politico delPeruzzi, come triumviro cos lo dipinge:

    II Peruzzi era certamente fornito di tutta la politica prudenza, e

    perspicacia amministrativa che avrebbe potuto avviar li Toscana versoquel riordinamento d'interna libert costituzionale, verse quel grado di

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    civile progresso e anche verso quel fine d'indipendenza nazionale d*onde avealo miseramente dilungato il precedente governo. Ma in lui,temprato ai gretti principii di quel politico consorzio a cui avevaappartenuto, non poteva trasfondersi quel popolare spirito oramai

    infervorato da un vasto, sublime, ardimentoso intento di nazionalerigenerazione.Al Peruzzi, da' suoi due compagni, fu lasciata tutta la cura degli affari

    esteri e interni; e chi volesse aver cognizione degli errori da luicommessi nel breve periodo del suo governo non avrebbe che a leggereattentamente e a criticare gli altri che si trovano raccolti nel Monitoretoscano di quell'epoca. Una prova del resto della poca importanza diquest'uomo sta in ci: che quando venne il momento di cedere il luogoad altro governo di pi stabile indole, il Peruzzi fu lasciato fuori,mentre il suo collega Malenchini rest alla guerra e il Bianchi alsegretariato generale.

    Fu poi mandato a Parigi dal Ricasoli in missione pi o menodiplomatica, in cui la sua signora vuoisi avesse una parteimportantissima. Chi fosse vago di aneddoti piccanti pu andare intraccia di quello che si racconta sul loro soggiorno a Parigi.

    Ma vediamolo al ministero del regno d'Italia.La caratteristica del Peruzzi come ministro di essere nemico di

    Rattazzi, e di attraversare ogni tentativo di riconciliazione fra questi e ilbarone Ricasoli. Questo innanzi tutto; gli affari d'Ilalia dopo. Il suo

    odio al Raltazzi e al suo partito egli lo sprizz intero in un certodiscorso pronunciato alla Camera sullo scorcio del giugno 1862,quando si tratt di dar un voto di fiducia al ministero del suoavversario. In quel discorso egli si rivel uomo di passione pi di quelloche convenga a un diplomatico, e mostr che le sue accuse al

    piemontesismo non gli erano dettate dall'amore d'Italia e dal desideriodel meglio, ma dalla sfrenala ambizione di portafoglio; il trasportodella capitale fu la sola cosa buona che sia stata prodotta daquell'antagonismo..

    Il Peruzzi fu uno dei capri espiatori della Convenzione del 45settembre.Il Diritto lo tinse, alla lettera, di sangue; secondo quel giornale, che

    in que' giorni pareva briaco, Peruzzi per poco non ficcossi, travestito dacarabiniere, nella folla a regalar coltellate a' Torinesi. Quel misteriosopersonaggio che, tra le tenebre del palazzo del Ministero dell'interno,mentre inferociva la zuffa nella sottostante piazza, pacificamentefumava il sigaro, fu detto esser Peruzzi. Ma chi tien conto dellestramberie dettate dalla passione, dal trambusto, dall'odio, dallapaura? Di queste colpe onde lo accusarono gli anticonvenzionalisti, egli

    ora completamente assolto.Torino, 17 luglio.

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    FRANCESCO MAROLDA-PETILLI

    degli ultimi arrivati, e siede alla sinistra. Democratico pereccellenza; di carattere fermo fino alla caparbiet. Finora non ebbe afare con ministri, n con camarille; ma pure egli voglioso di farconoscenze, non tanto per mira di interesse, quanto perch,nell'allargare la cerchia delle persone a cui poter far servizio e dallequali aver onoranza, trova soddisfatto l'amor proprio e l'ambizione.Nel vederlo per tre quarti del giorno occupato a scrivere, vuoisiammettere che il tubere dell'attivit in lui molto sviluppato.

    Non stende meno di dieci note al giorno ai ministri in vantaggio dei

    suoi elettori, dei quali tenerissimo. Della caduta amministrazione funemico implacabile, e la grid ai quattro venti ingiusta e stolta, perchprodiga di pubblici impieghi verso gente che non li meritava. L'abitualetaciturnit e il parlar sentenzioso e breve gli han dato l'aria di chi

    voglia studiare il Parlamento per formarsi un giusto criterio dei suoicolleghi. Per qualificarlo con una frase parlamentare, si pu direappartener egli alla categoria di quegli onorevoli che non hanno ancorarinunciato all'amor proprio.

    Come scrittore non un'aquila, ma mostra di aver nell'anima ungrande spirito di iniziativa e di tendere al nuovo ed al meglio sempre.

    Santa irrequietudine che da vita al progresso sociale! Sfortunatamentein Italia la moltitudine troppo lenta a tentar le proposte del novatore.

    Il cos faceva mio padre, e 1'orrore della riforma tanto penetrato nelpubblico italiano, che tutti i suoi genii furono dichiarati pazzi eutopisti.

    Marolda Petilli finora non merita il titolo di genio novatore; ma collasua indole potrebbe esser tale pei nostri nipoti. Soffermiamoci su duesoli dei tanti progetti del Marolda: I resoconti agli elettori e laistituzione militare pei fanciulli.

    Se gli elettori in Italia non rispondono interamente al dovere, non tanto che manchino di educazione e di pratica costituzionale, quantodal vezzo nei deputati di aver pochissimo contatto con essi.

    Una stolta, puerile, ridicolissima vergogna trattiene i deputatiitaliani dal parlare spesso e pubblicamente, e nei giornali e col mezzodi fogli volanti, e in tutti i modi ai loro elettori. Ora si domanda, comemai potranno gli elettori essere pi solerti del loro stesso eletto?

    Nei collegi inglesi, dove la stampa tutto, dove il giornale forma percos dire la base della societ, giorno per giorno, sia che il deputato si

    trovi al Parlamento, sia che visiti il collegio, le sue parole vengonostampale nel foglio locale, e sono lette dal primo lord all'ultimo

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    eletto, ma di poi, rifiutata la presidenza della Giunta di statistica edaltre cariche offertegli, entr in grazia dei suoi concittadini che loelessero nel febbraio 1864.

    Coloro che per conto del ministero fanno if mestiere in Parlamento

    di pescar anguille, s'accorsero subito ch'ei non era per le loro reti.Minghetti e Peruzzi speravano un momento ch'egli dovesse essere loroamico, perch in un opuscolo L'unit nella pluralit si mostrregionista. Il Marolda vorrebbe infatti che il Municipio godesse le piampie libert se fosse legato alla regione per mezzo della provincia,dalla quale dovrebbe dipendere direttamente. A tutela degli interessidei diversi collegi elettorali, in coda a quell'opuscolo, il Maroldapropone che i deputati si abbiano a scegliere fra gli aventi domicilio nelperimetro della provincia, misura a parer nostro molto contrariaall'interesse nazionale, e che farebbe discendere la missione di undeputato a quella, di ragioniere o di fattore.

    AGOSTINO DEPRETIS

    Questi un altro veterano e dei pi fortunati, finch non lo colp lasventura. Ex-giornalista, ex-vice presidente della Camera, ex-direttoredi ferrovie, ex-prodittatore, ex-ministro, forse destinato, d'ora in poi,a non essere pi nulla. Il ministero dei lavori pubblici nel gabinettoRattazzi lo atterr.

    Venuto alla Camera nel 1849, mandatovi dal Collegio di Broni, egli sifece in breve notare per una svegliatezza d'ingegno superiore a quelladella maggior, parte de' suoi colleghi e per una certa calma olimpica, laquale di rado si trova nei membri dell'estrema sinistra. Perci, quandoquesto partito volle avere un giornale gett gli occhi sopra il Deprelis, enacque ilProgresso che fu poi padre naturale delDiritto. Per una certaattitudine a considerare le cose sotto l'aspetto pratico, il Depretis,malgrado i suoi enormi difetti, fu dunque per molto tempo consideratonel Parlamento piemontese come capo della sinistra.

    Ma l'indolenza e la debolezza della sua indole gli nocquero. nolocosa diceva Cavour di Depretis:E' un uomo di neve. dominato dall'indecisione; il proponimento dell'oggi

    dimenticato il domani per una futile circostanza. Somiglia a un palloncino di gasche ora in balia del vento dell'opposizione, ma che si potrebbe rendere docileattaccandolo per un filo ad un portafogli.

    Operosissimo fu il Depretis alla Camera. Nel solo anno 1860 parlpi di venti volte e di svariali argomenti. Vot contro il trattato dicessione di Nizza e Savoja.

    Ma il pi importante discorso del Depretis fu quello del 4 agosto

    1864, in occasione della famosa discussione sulleferrovie meridionali.Depretis come ognun sa era in allora ministro dei lavori pubblici. Lod

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    l'idea di appoggiarsi esclusivamente su capitali italiani, ma la lodcome una bella utopia, diffidando della sua pratica bont. Volgendosial Susani, credette bene anzitutto prevenirlo esser sua intenzione

    procedere colla massima buona fede, premessa cotesta che era un

    epigramma assai pungente. Poi parl a favore di Rothshild, pezzosolido, secondo lui, e che ci ha resi segnalati servigi:Questa casa egli disse potentissima in tutti i principali centri bancarii

    d'Europa. E da questo cosa avvenne? Avvenne che colla potenza del credito pot inun momento di crisi impedire che qtieste azioni delle ferrovie italiane corressero ilmercato. Infatti noi abbiamo veduto, durante la guerra del 1859, spendersitranquillamente, come he nessun accidente politico avesse turbato l'orizzonted'Italia spendersi 50 o 60 milioni in Lombardia....

    Poi si lagn a ragione di esser stato accusalo d'aver assecondata l'Austria. Soliteenormezze di partiti!...

    Ma io debbo pure adottare una frase parlamentare e la vado cercando. Io che

    fin dalla giovinezza ho lavorato contro l'Austria (a cosa servono i complimenti;parliamoci schietto) adesso ohe sono diventato quasi vecchio e che sono ministrodel regno d'Italia, eccomi ad un tratto accusato d'averla assecondata...senzasaperlo. In verit, nell'udire quest'accusa, non ho potuto difendermi da un senso didolorosa sorpresa, sentendomi accusato di aver con questo contratto assecondatele viste dell'Austria, ed offeso il sentimento nazionale nella parte pi sensibile...In

    verit non credeva di esser serbato a quest'accusa....Al che una voce cinica:Sedendo su quei banchi tutto possibile.Fu in questa tornala che il Susani come abbiamo dello nella di lui

    biografia interpellato dal Depretis che sarebbe avvenuto della SocietVittorio Emanuele, s'ebbe in risposta:La mangeremo....Depretis ebbe il portafogli, e questa fu la sua rovina. Noi crediamo

    fermamente che nell'accettarlo il Depretis avesse mire onestissime edegne d'un leale Italiano; ma gli avvenimenti furono pi forti della sua

    volont e delle sue intenzioni. Al barbuto democratico, all'amico di Garibaldi, al socio

    dell'Emancipitrice, fu crudel sorte l'esser toccato Aspromonte:Garibaldi aveva torto; lo riconosciamo scrive un biografo II Governo aveva

    ragione di fargli rombar sul capo il fulmine della legge. Ma Depretis avvintocom'era al grand'uomo che errava; Depretis non poteva e non doveva lanciargli lapietra; e al pari di lui nessuno, o pochi dei ministri che firmarono la famosarelazione al Re. Depretis doveva dimettersi allora, e da semplice deputato,approvare, se la coscienza glielo permetteva, le prese misure repressive.

    Perci, come uomo politico, difficilmente egli potr ritornare a galla.Milano, 31 luglio.

    GIUSEPPE GARIBALDI

    inutile dissimularlo. Su quest'uomo, che per molli aspetti unadelle pi grandi figure storiche che abbiano mai vissute, e9 in Italia

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    un terribile malinteso che potrebbe esser causa di triste conseguenze.La nazione, riguardo a Garibaldi, divisa in due campi: nel primo

    stanno le moltitudini che la adorano ancora colla cieca fede dei settariidel Vecchio della montagna, mentre nel secondo si numera una certa

    quantit di individui d'ambo i sessi delle classi aristocratiche, i qualidimenticando tutto ci che Garibaldi fece e soffr per l'Italia, esageranoi suoi difetti e lo riguardano quale un pericolo permanente alla loro

    beata tranquillit.Coloro che stanno in mezzo a questi due estremi coloro che non

    vanno soggetti a esagerazioni, n di entusiasmo, n di biasimo, coloroche non fanno di quell'uomo un feticcio e non lo credono esente didifetti, costoro non han voce in capitolo, giacch d'uopo persuadersiche il partito della vera moderazione e del buon senso in Italia non haancora il predominio che dovrebbe avere, e la imparzialit in politica riguardata come ipocrisia o come versatilit.

    Noi comprendiamo per sempre pi l'eccesso dell'ammirazione edell'amore a Garibaldi, che non il biasimo e il disprezzo che certuni gliprofessano. Fra i due estremi saremo sempre piuttosto col primo, enon possiamo comprendere come ci siano delle anime abbiette che

    vorrebbero veder abbassato quest'uomo, di cui nel loro cuore sonoobbligati ad ammettere la grandezza.

    Nondimeno, quanto pi proviamo amore e rispetto per lui, tanto pici sentiamo chiamati a addolorarci e a commuoverci se ci pare che egli

    operi in modo da sminuire quella fama che rende ogni Italianoorgoglioso di averlo a concittadino; e crediamo di dimostrargli ben pirispetto notando francamente i suoi errori, che adulandolo con troppocomuni e volgari apologie.

    Del resto noi crediamo che, come non possono essere che le animeignobili quelle che desiderano veder umiliato Garibaldi, nello stessomodo non ci sono che i piccoli uomini i quali possono essere umiliatidai piccoli errori.

    Noi aborriamo le iperboli e le esagerazioni, ma non sappiamo

    concepire come mai quest'uomo che nei giorni delle ansie patriotticheentusiasm anche i pi freddi, non abbia poi trovato grazia presso isuoi avversarii, neppur quando dopo un successo quasi miracoloso,invece di tentare ambiziosamente ci che molli altri al suo postoavrebbero tentato, si decise di preferire il modesto soggiorno d'un isoladel Mediterraneo alle dimostrazioni, alle ricchezze e agli onori che loavrebbero atteso, solo che egli avesse voluto usufruttare tanta gloria etanta popolarit.

    inutile aggiungere che della vita di Garibaldi noi non tratteremoche quella che ha riguardo alla rappresentanza nazionale. Ci sarebbe

    superfluo ripetere la storia tanto conosciuta della sua vita poetica eavventurosa. A noi spetta di giudicare Garibaldi non gi come l'eroe di

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    Montevideo, di Roma, e di Marsala; ma piuttosto come l'onorevoledeputalo del primo Collegio di Napoli, essendo questo il compito chel'indole dell'opera ci impone.

    Imaginarsi un Parlamento italiano senza Garibaldi, noi non lo

    sapremmo. N Garibaldi come deputato potrebbe essere giudicato allastregua comune. Egli tale per titoli maggiori, immensamentemaggiori degli ordinarii e sarebbe tanto ridicolo il fargli carico di nonfrequentar la Camera e gli ufficii, quanto il pretendere da Rossini o daManzoni la presentazione di certificati musicali o letterarii.

    Ora nella biografa parlamentare di quest'uomo, ci sembra che 11questione si riduca tutta a studiare quale influenza egli abbia avuto inpassato e quale possa avere in avvenire sui destini d'Italia, sulledeterminazioni dei futuri rappresentanti della nazione e sullalegislatura.

    Se noi esaminiamo la parte che Garibaldi ebbe finora come deputatoin Parlamento, siamo colpiti, contrariamente a ci che comunemente sicrede dalla moderazione ch'egli vi ha sempre spiegato.

    Gli argomenti che dettarono parole a Garibaldi in Parlamento furonotre, e tutte e tre per lui dolorosi.

    Il primo discorso fu quello della memorabile seduta dell'aprile 4860,dietro la interpellanza ch'egli mosse a Cavour sulla cessione della suaNizza alla Francia. Garibaldi dal partito avversario fu acerbamenterimproverato per aver mossa quell'interpellanza. Ma in coscienza

    poteva egli tacersi? Quale l'uomo giusto che non voglia concedergli ildiritto di quello sfogo, e di quella protesta? Certamente la cessione diNizza e Savoia fu un alto diplomaticamente e politicamente necessario;ma Garibaldi, cittadino di Nizza, in quale altro modo avrebbe potutomostrar il dolore che ei provava nel veder staccata la nativa citt daquel paese ch'egli tanto amava, se non in pieno Parlamento?

    ciascuno il suo. Fu dovere per Cavour la cessione, come crediamoessere stato dovere per Garibaldi la protesta:

    Signori egli disse in mezzo al pi profondo silenzio l'articolo dello

    Statuto dice che i trattati i quali importino una variazione di territoriodello Stato non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso dellaCamera.

    E su questa pietra fondamentale, il generale dei volontari, con unacalma esemplare, fond le ragioni della sua interpellanza facendoosservare che:

    ...la pressione sotto la quale si trova schiacciato il popolo di Nizza;la presenza di numerosi agenti di polizia, le lusinghe, le minacce senzarisparmio esercitate su quelle povere popolazioni; la compressione cheimpiega contro il governo per coadiuvare l'unione alla Francia, come

    risulta dal programma del governatore Lubonis; l'assenza da Nizza dimoltissimi cittadini nostri obbligati ad abbandonarla pei suddetti

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    motivi; la precipitazione ed il modo con cui si chiede il voto di quellepopolazioni, tutte queste circostanze tolgono al suffragio universale ilsuo vero carattere di libert.

    Egli per tutti questi motivi che egli chiese:

    ...la sospensione di questa votazione.Ma Cavour, destro schermitore, dopo aver detto che per quelmomento, sul terreno politico, si ristringeva a questa soladichiarazione, che, cio, la cessione di Nizza e Savoia era condizioneessenziale del proseguimento di quella via politica che in cosi brevetempo ci aveva condotti a Milano, a Firenze, a Bologna preg Garibaldie i suoi amici politici a voler rimandare la discussione all'occasione incui doveva essere discusso il trattato. Ci fu lotta e lunga; ma la tornatae la questione vennero chiuse con un ordine del giorno dei deputatiBoggio, Ara, gli stessi che ora portano a cielo il Garibaldi.

    Ma procediamo con ordine; e lasciando in disparte, come dicemmo,le sue gesta di Sicilia, spiechiamoci dal giorno che imbarcatosi a Napolisul Washington si fece ricondurre allo scoglio di Caprera, imitandol'eroe romano che invitato a lasciar l'aratro per lo scudo e la lorica, f'ritorno al suo lampo dopo aver salvata la repubblica.

    Impassibile alle diverse opinioni che sul continente sipronunciavano di lui, pronto a metter di nuovo la propria vita per lasalvezza o la maggior gloria d'Italia, primo suo pensiero, giunto aCaprera, fu di rifiutare qualunque elezione politica che gli venisse

    offerta.Se questo fu un moto di amarezza e di orgoglio, se con taledeterminazione Garibaldi ebbe velleit di mostrarsi superiore aglialtri449 rappresentanti della nazione, bello sapere ch'ei seppe

    vincerla accettando da poi il mandato; se poi fosse stata modestia, etimore di non essere al suo posto sullo scranno del deputato, in tal casoil suo sentimento non che lodevole.

    Il fatto , eh9 egli scrisse da Caprera una lettera al suo segretarioBellazzi avvertendolo che:

    ... per circostanze eccezionali non avrebbe accettata alcunacanditatura, mostrando desiderio che ci fosse noto a tutti i collegionde evitare l'inconveniente di dover addivenire ad altre elezioni.

    Son note le ragioni per cui Garibaldi mut poscia consiglio. Neltempo che scorse fra il suo arrivo a Caprera e le elezioni generali, i duepartiti che erano rappresentati da Cavour e da Garibaldi si levarono arumore. Cavour, fatto calcolo sul tempo che matura i consigli eobbligato a dipendere da inesorabili esigenze diplomatiche, dovevafrenare, e potendo anche abbattere l'avversario che nella spensierataintrepidezza del non valutare gli oslacoli, avrebbe voluto aver Roma e

    Venezia quando sarebbe stato impossibile averli.Costretto dal proprio partito ad accettare la candidatura che prima

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    aveva rifiutata, Garibaldi scrsse agli elettori del quartiere di SanFerdinando di Napoli, il 21 marzo 1860, che accettava, e il 2 aprile sirec a Genova e di l a Torino.

    Giunto nella capitale, Garibaldi fu visitato dal presidente.

    I presidente della Camera, che era allora il Rattazzi, Garibaldi april'animo amareggiato dalle ingiustizie fatte a' suoi compagni d'arme, egli comunic un suo progetto per l'armamento nazionale con tutti queiprovvedimenti che gli parevano pi urgentemente richiesti dallenecessit della patria.

    Il Rattazzi gli disse che avrebbe comunicato quanto prima allaCamera tale progetto e infatti nella seduta del 15 egli leggeva unalettera in cui, tra le giustificazioni e le amarezze Garibaldi, pregava ideputati:

    ...di accordarsi nello intento di eliminare ogni superfluadigressione, per portare tutto il peso della loro autorit nel dare spintaa quei provvedimenti.

    Quella lettera fu seguita tre giorni dopo dalla comparsa di Garibaldistesso, che entr nell'aula vestito dalla gloriosa camicia rossa e avvoltoin quella specie di clamide ch'egli aveva sempre usato portare sulcampo di battaglia.

    (1) Continuazione e fine vedi il Fascicolo 57.

    L'assemblea non era mai stata tanto numerosa; e gi da lungo tempo

    prima dell'apertura le tribune erano affollate di spettatori. All'entrare dell'uomo straordinario applausi frenetici, immensi,scoppiarono nella sala. Garibaldi franco e modesto mont la scala fragli stalli, e and a sedersi al suo posto all'estrema sinistra. Allora unsegretario diede lettura del progetto di legge, che era stato presentalodal generale, dopo di che sorse l'onorevole Bettino Ricasoli a, muovereinterpellanza al governo sull'esercito meridionale.

    Chi non si rammenta con doloroso stringimento di cuore la tornatadel 18 aprile 1861 in cui Garibaldi, vinto dalla passione che gli faceva

    gruppo sul cuore, disse le memorabili parole che portarono unfierissimo colpo al presidente de' ministri?La Camera fu in preda ad un'agitazione non mai pi veduta. La folla

    delle tribune si agitava come mare in burrasca. Gli amici di Garibaldi loesortavano alla moderazione, mentre i moderati in varii modi glimostravano la loro disapprovazione.

    Il generale s'avvide tosto d'aver lasciato troppo libero il freno allapropria amarezza e ripigli il suo discorso colla calma consentita adun'anima che credeva d'aver ogni diritto di lamentarsi altamente delmodo con cui era stato trattato il suo esercito glorioso. E conchiuse

    pregando i colleghi di occuparsi del suo progetto di riorganamentodell'esercito del mezzogiorno.

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    L'opposizione di destra allora si fece viva; la politica di Cavour siopponeva a tale progetto; sorse Bixio a tentare la riconciliazione e dissedi quelle frasi che fanno un grande effetto sugli animi di un'assembleacommossa da grandi questioni politiche.

    Fu allora che Cavour, ebbe a rispondere a Garibaldi parole giuste evere:Mi si rappresenta come un nemico dei volontaria io eh* li ho

    chiamati pel primo? Me ne appello allo stesso gene'rale Garibaldi.Sono io, sono io che l'ho chiamato nel 1859 e che ho chiesto il suoconcorso.

    Volendo poi ad ogni costo non lasciar cadere la proposta dellaconciliazione prosegui:

    Accetto per mia parte l'invito del generai Bixio, e riguardo la primaparte della tornata come non avvenuta.

    i che dopo altre spiegazioni acconsent anche il generale dicendo:Mi dichiaro soddisfatto delle spiegazioni di Cavour. Ma vi sarebbe

    un mezzo di conciliare ogni dissidio politico. Io non dubito punto che ilconte di Cavour non ami ritaglia; ma sarebbe d'uopo che adoperasse lasua influenza per far votare la mia legge sull'armamento e richiamare i

    volontari dell'esercito meridionale. Questo sarebbe il miglior mezzoper conciliare ogni casa.

    noto come poi un ordine del giorno del Ricasoli ammorzasse comesecchio d'acqua l'incendio ch'egli aveva suscitato.

    Ma quella seduta del giorno 18 rimarr indelebile nel cuore degliItaliani, perocch da essa specialmente si assicura essere derivata laprima causa della morte del grande diplomatico, che certamente nonmeno di Garibaldi aveva contribuito alla indipendenza d'Italia.

    Del resto, pi che ai due sommi, la colpa di quello storico diverbio da attribuirsi ai partigiani accaniti che soffiavano dai due lati. Non siaveva di mira che da pochi la grande causa che formava l'oggetto delladissensione. La questione principale era quella ispirata dallo spirito disetta.

    Se le divergenze si fossero intese nel loro senso vero e genuino, se icavouriani ad ogni costo non fossero stati spaventati dal fantasma didarla vinta all'avversario politico, si sarebbero facilmente conciliatisubilo gli estremi della politica diplomatica e della politicaavventurosa. A Cavour le parole amare del generale fecero certamenteimpressione penosa ma non maraviglia. Egli ebbe a dire che al posto diGaribaldi sarebbe stato forse pi violento; e questo suo concetto loespresse allorch ebbe dire:

    V'ha tra il generale e me un fatto che ci separa. Io ho creduto di fareil mio dovere consigliando al re la cessione di Nizza e della Savoja. Al

    dolore che provai io comprendo quello che prova il generale e mispiego il suo risentimento contro di me.

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    Ma delle ragioni che dovevano eccitar in Garibaldi uno sdegno e undolore a livello dei meriti patriottici che nessuno osava negargli sitenue poco conio al generale. La stampa ministeriale, i moderati della

    paura, i partigiani della politica che vuoi conservare a ogni costo

    cominciarono a dipingere Garibaldi nuovo Catilina nocivo allasicurezza della patria; e lo stesso generale Cialdini nella famosa letteraindirizzatagli il 21 aprile in Torino, gli ritratt l'antica amicizia e tentdemeritarlo nella personalit. Fu doloroso oltre ogni credere losviluppo delle accuse che scesero fino alla puerilit del rimprovero sulmodo con cui era piaciuto a Garibaldi di entrar vestito in Parlamento.Ma pi grave di tutte le accuse fu quella di essere egli legato a Mazzini,mentre a tutti era palese l'affettuosa devozione che il generale nutrsempre per Vittorio Emanuele.

    La lettera che Garibaldi rispose a Cialdini secondo noi un modellodi buon senso e di moderazione.

    La trascriviamo perch ne resti pi scolpita la memoria nei lettori:Generale!Anch'io fui vostro amico ed ammiratore delle vostre gesta. Oggi

    sar ci che voi volete, non volendo scendere certamente agiustificarmi di quanto voi accennate nella vostra lettera, d'indecoroso,per parte mia, verso il re e verso l'esercito; e forse in tutto ei nella miacoscienza di soldato e di cittadino italiano.

    Circa alla foggia mia di vestire, io la porter finch mi si dica che io

    non sono pi in un libero paese, ove ciascuno va vestito come vuole.Le parole al colonnello Tripoti mi vengono nuove. Io non conoscoaltri ordini che quello da me dato: di ricevere i soldati italianidell'esercito del settentrione come fratelli: mentre si sapeva chequell'esercito veniva per combattere la rivoluzione, personificata daGaribaldi.

    Come deputato io credo avere esposto alla Camera usa piccolissimaparte dei torti ricevuti dall1 esercito meridionale dui ministero, e credodi averne il diritto.

    1/ armata italiana trover nelle sue file un soldato di pi quando sitratti di combattere i nemici d'Italia; e ci non vi giunger nuovo.

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    Torino, 23 aprile 1861.G. Garibaldi.Perfino un corrispondente della ministerialissima Perseveranza

    scriveva su questo proposito:

    Non mi da l'animo di fare alcun commento alla lettera del generaleCialdini a Garibaldi. Mi limito soltanto a dirvi essersi tentate tutte le vie per dissuadere il Cialdini dal dare pubblicit a quella lettera.Particolarmente il generai Fanti si adoper per impedire lapubblicazione, che rendeva men facile la concordia.

    Ma due anime nobili non potevano restar nemiche a lungo.La sera del 25 aprile vi ebbe una lunga conferenza tra Cavour e

    Garibaldi, nella quale si riconciliarono, colla promessa da parte diquest'ultimo di non muovere ulteriore opposizione al ministero; e lastessa sera, in casa del marchese Pallavicino-Trivulzio, Garibaldiincontr Cialdini e fra i due soldati d'Italia le spiegazioni furono brevi egenerose. Essi abbracciatisi e sui loro volti abbronzali fu vista scorrereuna di quelle lagrime di sublime emozione che risuggellanoindissolubilmente i legami del passato.

    L'annuncio di questo fatto venne accolto con entusiasmo in tuttaItalia.

    Il 30 aprile Garibaldi giungeva a Genova e si imbarcava per Caprera.E qui ci sia lecito di continuare con dei brani d'un opuscolo quasi

    sconosciuto intitolato: Garibaldi sul Continente, che ci viene

    comunicato da un gentile amico e nel quale a grandi tratti si spieganole cause della catastrofe di Aspromonte:Compiute le annessioni delle provincie meridionali, incominciato il

    laborioso lavoro della unificazione legislativa ed amministrativadell'Italia, e svampato quell'entusiasmo che aveva fatto miracoli nelleguerre del cinquantanove e del sessanta, videro gli Italiani quantodifettoso sarebbe stato per riuscire l9 edilizio nazionale, se non ademp

    vasi il voto solenne gi consacrato dalla volont dei rappresentanti delpopolo, d'acquistare, cio, il possesso della tanto desiata Capitale del

    regno.... Bastava un fiammifero perch l'incendio pigliasse fuoco eprestamente si dilatasse; e il fiammifero furono certe matte parole delcardinale ntonelli con le quali s'insultava all'Italia.

    E nel breve giro di una settimana, da un capa all'altro d'Italia, lefervide moltitudini raccoltesi nelle vie, nelle piazze delle citt, espiegate le bandiere come in segno di pubblica esultanza, levaronodappertutto un grido comune: Viva Roma capitale d'Italia, abbasso il

    Papare. E fu la risposta alle parole dell'Antonelli, il quale in una suanota s'era lasciata scappare di bocca le parole: che l'Italia era col

    Papare....In cosi grande ribollimento di spiriti, che faceva il generale

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    Garibaldi? Rinchiuso nella selvaggia e pittoresca isola di Caprera,Giuseppe Garibaldi ingannava il tempo coi pacifici lavoridell'agricoltura e della pastorizia, coll'educare piante, col divertirsi afabbricare con le proprie mani opere murarie. Ma la mente del

    generale varcava il piccolo spazio che lo disgiungeva dal continente,mulinava disegni arditi, pensava alla politica, studiava il lento macontinuo avanzare degli avvenimenti, e incuorava la giovent italianaad addestrarsi alle armi: Voi foste mille nel 1860. Siate un milione nel1S62 e non vi occupate d'altro. Dei risultati ne ciarleremo insieme.Queste parole egli dettava nel febbraio: e alla Societ operaia diManduria che lo acclamava presidente onorario, scriveva cosi:Carissimi amici:.Piccola o grande, ogni citt, ogni borgata devegettare il suo ferro nella bilancia, e gli oppressori precipiteranno. Tutti!Tutti! al nuovo banchetto, e presto saran beati dell'amplesso dei liberigli schiavi nostri fratelli.

    Coteste parole, e altre molte che il generale inviava come saluto eincoraggiamento agli amici suoi pi intrinseci, e ai cittadini di questa edi quella citt, erano fiamma potentissima che accendeva nel cuoredegli Italiani infinite speranze. Fu allora che il partita cos dettod'azione, creduto giunto il momento, incominci quell'opera diagitazioni e di commovimenti, che doveva pi tardi partorire sventuraall'eroico capitano del popolo. Fu allora che si pens di dare unimpulso vigoroso ai comitati di provvedimento, a tutte le associazioni

    patriottiche italiane, le quali avevano per iscopo di apparecchiare imodi pi pronti e pi efficaci onde la nazione potesse raggiungere lameta desideratissima. Fu allora che incominciarono a raccogliersiinsieme i rappresentanti delle varie associazioni, a discutere, arumoreggiare, a minacciar quasi il governo italiano, se egli si ostinassea mantenersi in quella via di traccheggiamenti e di lentezze nella qualese ne stava accasciato. Si era intanto fissata una generale adunanza.per il 9 di marzo, e doveva ella riuscire tanto pi autorevole, inquantoch lo stesso generale Garibaldi vi sarebbe intervenuto. Si non

    che al generale non garbavano certi arrisicati propositi, dei qualigiungeva anche a lui il rumore, e nella sua lettera indirizzata aicomitati di provvedimento scriveva queste assennate parole: Certocome sono che gli atti dell'adunanza saranno degni del senno praticoche distingue gli Italiani, e che le sue conclusioni risponderanno alleaspettazioni legittime dei serii amici di libert ed ai bisogni dellapatria, io mi astengo da qualunque raccomandazione. Col programmache ci condusse a Palermo e a Napoli, e coi sommi principii delplebiscito 21 ottobre 1860, pu avere glorioso compimento larivoluzione italiana.

    Ma se queste prudenti considerazioni attestavano la lealt delgenerale, non dissipavano, anzi accrescevano i timori che i delegati dei

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    comitati di provvedimento potessero trascendere. Fu allora che ildeputato Boggio nella memorabile seduta del 25 febbraio mosseinterpellanza al ministero intorno ai comitati medesimi; e porseoccasione al ministro Rica8oli di fare una splendida orazione. Il diritto

    di adunarsi pacificamente e senz1 armi (cos disse il ministro) esfierescritto nello Statuto; non potersene impedire l'esercizio fino a cherimanga nei termini prescritti dalla legge. Non potere il governo, senzanecessit provata, ricorrere ad atti coercitivi, ma come tutore e vigilecustode dell'ordine pubblico e degli interessi nazionali, non potere ilgoverno permettere lo sfregio delle leggi, o lasciar libero ad altri diturbare la quiete con agitamenti illegali. Questo discorso del baroneRicasoli (chi lo crederebbe?) parve troppo ardito alla Camera; fuseguito da interminabili commenti, se ne esager la importanza, fecenascere sospetti, paure, dissidii, senza numero; tantoch il ministerodovette mandare le proprie dimissioni al re, il quale accettandoleincaric il commendatore Rattazzi di formare il nuovo ministero. E ilministero fu sollecitamente formato; ma pi che la fiducia dellaCamera e 1'assentimento della maggioranza della nazione, serv afortificarlo e a renderlo gagliardo fin dal suo nascere la venuta delgenerale Garibaldi in Terraferma, e le sue aperte dichiarazioni di votarsostenere il nuovo ministero.

    S'avvicinava intanto il giorno della generale adunanza dei comitatidi provvedimento in Genova, e tutti si domandavano se il generale

    Garibaldi l'avrebbe presieduta o no Non si sa bene se il re e ilministero consigliassero al generale di astenersi: fatto sta che nelgiorno 9 di marzo, fra un'immensa folla plaudente, il Garibaldi fuaccompagnato nella sala del teatro Paganini, dove presiedette la primaadunanza. Furono belle o generose e patriottiche le sue parole: Sonofortunato (egli disse) di vedere qui i rappresentanti di un popolo liberoche ebbe il plauso del mondo intero pel'avere abbracciato i principiidell'umanit. Qui sono rappresentate anche le provincie schiave chenoi abbiamo giurato di redimere. Oggetto principale della riunione

    odierna di coordinare e riunire tutte le associazioni liberali italiane,per formare una sola associazione, a immagine del fascio romano,dinanzi a cui s'inchinarono tutte le nazioni. Desidererei che il concettodi questo sodalizio si estendesse anche oltre l'Alpi, e che l'Italiastendesse la mano agli schiavi di tutto il mondo. Come si potevaparlar meglio? E quando meglio che allora, potevano sembrareopportune le istanze alla nazione di apparecchiarsi con la concordia econ le armi a compiere i proprii destini? Ma bastarono due sedutedell'assemblea genovese, bastarono i discorsi di pochi oratori ai qualiassent la maggioranza degli adunati, perch Genova e l'Italia tutta

    andassero persuase che in seno a quella assemblea, anzich elementi diconciliazione, v'era stata portata la fiaccola della disunione, della

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    discordia, della intolleranza. Una assemblea (cos scriveva moltoopportunamente un assennato e onesto giornale di Genova),un'assemblea di cui la grande maggioranza applaud entusiasticamenteferoci invettive contro tanti buoni liberali, e declamazioni il di cui vero

    senso (qualora si prendessero sul serio) sarebbe quello d'una guerracivile, e che fece comparire come codini degni di riprovazione, comesospetti ai quali s'interrompe clamorosamente il discorso, perfinodeputati della pi avanzata sinistra, solo perch ragionevolmenteesposero alcuni chiari corollari del programma liberalissimo, legale edadottato per la nuova associazione una tale assemblea non pu credersistrumento di conciliazione, non rappresenta che una sola parte1 delliberalismo italiano, e quindi non pu dirsi tutta d'accordo conGaribaldi e co' suoi sinceri amici e fedeli compagni.

    E sia detto a onore del generale Garibaldi, egli amaramente si dolsedell'indirizzo al quale i suoi scompigliati amici volevano travolgere icomitati di provvedimento, t fece comprendere a tutti che suo scoponel tornare sulla terraferma non era gi quello di agitare illegalmente,e di creare imbarazzi al governo (funesti sempre, ma funestissimi epericolosissimi quando i tempi grossi s'avvicinano), ma di animare ipopoli alla concordia, d'infiammarli sempre di pi nel santo amore dipatria, d'infonder nei loro cuori un odio pi cocente alle tirannidimilitare e sacerdotale che affliggevano l'Italia.

    E che questo fosse il proposito onesto del Garibaldi, e* lo dimostr

    in quelle sue corse trionfali da una all'altra citt, dove inaugurava laSociet del Tiro a Segno, e dove liete e commosse le popolazioniitaliane accorrevano a f aleggiare e a fare onore al diletto capitano.

    Prima fra le citt fu Milano. Dire l'entusiasmo di quel generosopopolo, descrivere i festeggiamenti, ripetere i discorsi che furonopronunziati, le riunioni che furono fatte, sarebbe un voler sorpassare ilimiti che ci siamo imposti. Da Milano a Parma, da Parma aCasalmaggiore e nelle principali citt della Lombardia le medesimeaccoglienze sempre, sempre le medesime ovazioni. Il generale parlava

    dappertutto calorosamente delle speranze comuni, del bisogno di stareuniti, che appunto ci che forma la vera forza degli Stati. Bellissimesopra tutto ci paiono le parole che fra un'immensa moltitudine dipopolo egli pronunzi a Cremona, dove s'era condotto per inaugurarela Societ del Tiro Nazionale: Vi raccomando (egli disse) la concordia,la unione sono qualit che ci faranno forti, potenti. Dobbiamoricordarci del fascio dei nostri padri il fascio romano. A quel fascionulla pu resistere. Una sola verga anche un fanciullo sa romperla. Mamolte verghe riunite non si rompono. Noi siamo gi forti pi forti deinostri nemici, ve ne assicuro. II re merita il suo nome di galantuomo.

    Egli vuole che noi ci armiamo. Unito dalla concordia il prode esercitoitaliano, coi battaglioni delle guardie nazionali, coi valorosi volontari...

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    trionfer il pensiero che oggi ha invaso ogni mente, ogni cuore.Ma di questo entusiasmo dei popoli italiani volle giovarsi il partito

    d'azione per una inconsiderata impresa, della quale i viaggi trionfalinella Lombardia furono la principale occasione. E l'impresa si

    risolvette in un folle quanto magnanimo tentativo contro l'Austria nel Veneto, col quale il partito d'azione intese di trascinare il governoitaliano ad una guerra, che per non essere ancora preparata, avrebbepotuto riuscire fatale. S'era alla met di maggio; e al governo eranogiunte notizie che i capi del partito democratico si adunavano insiemecon molti dei loro seguaci verso il confine bergamasco. E quandol'autorit giudiziaria credetted'avere in roano le prove dellacospirazione, portatati sul luogo, perquis in molte case armi emunizioni, che non fu allora pi dubbio essere destinate per unaspedizione nel Tirolo, arrest il colonnello Nullo (quello che pi tardimoriva gloriosamente per la indipendenza della Polonia) e con lui uncentinaio di volontari. Fortuna volle che la pazza impresa rimanessetroncata in sul nascere. Ma per varii giorni ci fu in quelle provincie unostraordinario agita* mento; a Bergamo ebbe luogo una dimostrazioneche venne disciolta pacificamente; ma a Brescia la popolazione pretesed'invadere le carceri dov'erano custoditi i prigionieri; e non ubbidendoalle intimazioni di ritirarsi, si dovette sciogliere con la violenzal'assembramento. Luttuoso avvenimento ma necessario forse; subitoch appariva di somma necessit in que' momenti di bollore il far

    capire che il governo non era punto disposto a lasciarsi torre di mano ilfreno dell'autorit.II nome di Garibaldi fu messo innanzi dagli agitatori; e in sul

    principio credemmo che egli, per quanto ardesse dal desiderio divederla rompere una volta coi nemici d'Italia, non potesse approvare, etanto meno partecipare a movimenti, eh* erano atti a far precipitare lapatria in una serie di cose, in fondo alle quali stava aperto l'abisso.Sapeva il generale che non si pu far sempre a fidanza con la fortuna;che un'impresa riuscita prodigiosamente a buon fine non da ragione di

    mettersi in un'altra, nella quale avrebbe trovato un nemico ben piforte e pi preparato e desideroso ancora di venire assalito; che essanon sarebbe stata veduta indifferentemente dalle altre potenze, maavrebbe involto tutta l'Europa in una grande conflagrazione. Ma fuunivereale la meraviglia, quando si vide stampata nei giornali laseguente dichiarazione del generale Garibaldi: Poich il colonnelloNullo fu arrestato a Palazzuolo, credo mio dovere dichiarare che quel

    valoroso ufficiale era andato ed aveva agito conformandosiesattamente ai miei ordini. E nella piena del dolore che gli traboccavadall'animo all'annunzio che in Brescia v'erano stati dei morti e dei

    feriti, il Garibaldi scrisse parole severe contro i soldati italiani che perobbligo del loro ufficio dovettero pigliar la difesa della legge. Il dolore e

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    l'ira furono al Garibaldi cattivi consiglieri, imperocch la sua protestaandava contro soldati, i quali trovavansi nella trista alternativa o dilasciare aprire le carceri, liberare i prigionieri e calpestare le leggi, odisperdere con la forza gli assembramenti.

    Svampato cos in un tratto l'ardore suscitato per il tentativo diquella impresa temeraria (che fin poi con la scarcerazione del Nullo edei suoi compagni) il generale Garibaldi continu il suo viaggiotrionfale per la istituzione dei Tiri a segno. Si condusse nel mese diluglio in Sicilia; e di quale accoglienza, e di quante feste fosse fattosegno da quel popolo riconoscente, che rammentava con orgoglio igiorni non tanto remoti delle patrie battaglie combattute al fianco diGaribaldi, pu immaginarlo chiunque pensi all'indole focosa edespansiva del popolo meridionale. Ma gi un'idea grandiosa avea

    balenato alla mente di Garibaldi. La istituzione dei Tiri, la presidenzadelle societ democratiche non erano pi per lui un fine, bens unmezzo potentissimo per suscitare un'altra volta gli spiriti dei Siciliani, etentare un'impresa che la mente acuta del conte di Cavour seppe inaltri tempi attraversargli. I discorsi del generale, informati dapprima auna prudente riserva, tuonarono in seguito pi veementi: quel chedisse a Palermo dest la viva attenzione del governo centrale, che find'allora temette ci che pi tardi doveva accadere; ma il discorsopronunziato a Marsala fra le pi vive acclamazioni d'una immensafolla, nel giorno diciannove di luglio, fu, come dire, la prima parte del

    nuovo programma del Garibaldi. Crediamo utili di riportarne unbrano: Da Marsala (cos disse il generale) esord il generoso grido dilibert, e questo grido valse a rendere indipendenti 9 milioni d'uomini.

    Quello che sin oggi stato un voto dovr essere un fatto. Or siamo 25milioni d'uomini, e tutti abbiamo un solo voto, e questo voto ve lo dirio qual :Soma e Venezia; sciogliere dal vile servaggio i nostri fratelli.L'Italia ha le cento volte domandata la sua Roma con reiterate proteste,con dimostrazioni pacifiche ed inermi; ma le si risposto consotterfugi, cabale e menzogne. Oggi le menzogne dovon cessare, e

    poich non son valsi i pacifici mezzi, che valgano le armiN, a dir vero, l'ardimentoso linguaggio del Garibaldi stonavatroppo coi pensieri che agitavano allora le popolazioni tutte italiane. Difronte alla questione romana il Garibaldi rappresentava un voto, un

    bisogno, una necessit della nazione. Finch la cosa pareva dovesseessere trattata dalla diplomazia, gl'Italiani furono per questo mezzo; etutte le volte che sorgeva una voce di spedizioni e d'uso della forza,rigettarono da s persino l'idea di questi conati. Riuscirono vane le artidiplomatiche dinanzi alla perfidia della C uria Romana e alla politicadelle Tuilleries; l'Italia, e per un logico trapasso, dagli inutili arbitrati

    volgeva il pensiero a uno di quelli scioglimenti, per cui soltantoprocedette di vittoria in vittoria dalla Sesia al Garigliano: i mezzi

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    materiali erano entrati nella coscienza universale a prendere il postodelle pacifiche trattative. Per nell'adoperare la forza vedevano tutti unpericolo grave e forse mortale per l'Italia, imperocch a Roma v'eranoancora (com vi sono oggi) quelle medesime insegne che sventolarono

    a salute d'Italia nei campi di Magenta e Solferino. naturale dunqueche insieme al cocente desio di finirla una buona volta con lamostruosa tirannide di Roma, fosse in tutti una trepidazioneincessante, la quale si accresceva, a misura che sentivasi dei giovani

    volontari accorrere dal Napoletano e dalle provincie centrali esettentrionali, e stringersi intorno alla nuova bandiera che il generaleGaribaldi aveva palesemente innalzata.

    In questo stato di cose, e mentre disputatasi se il generale Garibaldiavesse 0 no il diritto di assumerei come accennava di fare, la iniziativadi un'impresa, che avrebbe potuto gravemente compromettere le sortidella nazione, il re Vittorio Emanuele pubblicava un proclama, quelfamoso proclama del 3 agosto, col quale faceva cadere le voci chedappertutto correvano, di accordi segreti fra il governo e il Garibaldi:Guardatevi (cos concludeva il proclama) dalle colpevoli impazienze edalla improvvida agitazione. Quando l'ora del compimento dellagrand'opera sar giunta, la voce del vostro re si far udire fra voi. Ogniappello che non il suo, un appello alla ribellione, alla guerra civile.La responsabilit ed il rigor delle leggi cadranno su coloro che nonascolteranno le mie parole.

    Come ascolt il Garibaldi quelle parole? Ritiratosi nel bosco dellaFicuzza (circondario di Corleone) insieme ai volontari che lo avevanoraggiunto, il generale pubblic anch'egli il suo proclama, col qualeinfiammava gli animi dei suoi giovani commilitoni: Anche oggi (eglidisse nel suo ordine del giorno) ci riunisce la santa causa del paese;anche oggi senza chiedere dove, che si fa, ove si va, col sorriso sullelabbra accorreste a combattere i prepotenti dominatori stranieri. Ederano sante, patriottiche le intenzioni: i prepotenti dominatori che ilgenerale intendeva di combattere non erano pi, come nel sessanta, i

    soldati d'un esercito, che sebbene devoto alla causa del dispotismo,pure era composto dei figli della patria italiana: i dominatori erano peril Garibaldi i soldati francesi, l'intervento dei quali a Roma apparivaallora, come apparisce oggi, odioso, ingiusto e tirannico alla pari deldominio austriaco nella Venezia. Per al disopra delle intenzioni,dovevano nel Garibaldi essere un freno salutare le convenienzediplomatiche, le ragioni della sicurezza, il bisogno di noncompromettere con temerari tentativi la causa italiana. A questo non

    bad il Garibaldi; ed ecco la origine de' suoi errori nei quali forse eglinon sarebbe caduto e per il prevalere del suo naturale buon senso e per

    la dirittura del cuor suo magnanimo e generoso, se gli amiciimprudenti, e coloro che per pescare nel torbido gli. si mostravano

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    amici, non ne avessero aizzati gli sdegni, non gli avessero infusonell'animo uno sprezzo esagerato per tutto, ci che partiva dairappresentanti del governo.

    Senza la malefica influenza di cotesti amici, il generale Garibaldi, al

    primo annunzio del proclama reale, si sarebbe allontanato dal boscodella Ficuzza, e avrebbe abbassato quella bandiera, che in faccia allalegge doveva considerarsi come bandiera di ribellione. E invece eglipersist nei giurati propositi, raccolse intorno a s un maggior numerodi volontari, distribu a tutti le armi. Come potevano, in questo statodelle cose, essere bene accolti gli amici suoi veri e sinceri, il duca Della

    Verdura e il deputato La Loggia, che si portarono al quartier generaledella Ficuzza e gli presentarono il proclama del re? Le loro parolefurono calde e appassionate, come convenivansi a due specchiaticittadini che scorgevano il Garibaldi avviarsi precipitosamente a certarovina. Desistesse egli (cos dicevano quei due egregi) dalla impresaimpossibile, e risparmiasse alla patria giorni di pericolo e di dolore.Esser folle tentare una fazione guerresca contro Roma, a custodia dellaquale vigilavano le milizie francesi. Gi fin dui primi moti il governofrancese avere rinforzato l'esercito di occupazione, ed esser pronto afar pagar cara ai volontari la loro audacia. Non essere pi per laFrancia questione diplomatica o religiosa, ma questione militare; ecompromesso l'onor militare, la nazione tutta francese avrebbefavoreggiato la resistenza, n si sarebbe acquietata fino a che non

    fossero state vinte, disperse e trucidate le bande dei volontari, cheanda,vano ad assalirla in luogo, che poteva allora dirsi luogoappartenente alla Francia. K esser minori i rischi che correva l'Italia.L'Italia, che non poteva certo approvare in que' momenti la condottadel generale, sarebbe stata quella che maggiormente avrebbe risentitoil danno e la vergogna, imperocch la Francia, colto il destro, avrebbeforse varcati i confini del regno, e col pretesto della tutela del ponteficee delle cose sue si sarebbe spinta innanzi. I sospetti dell'Austria, legelosie dell'Inghilterra partorirebbero proteste e interventi; e siccome

    in politica accadono spesse volte avvenimenti, ai quali la previdenzaumana non era pervenuta, niente di pi facile che la favilla accesa dalGaribaldi avesse a cagionare un vasto incendio di guerra, della qualel'Italia sarebbe stata il teatro e la vittima miseranda.

    Ma queste ed altre considerazioni non scrollarono punto ilGaribaldi dai fatti divisamente Accolse con aperta cordialit que' suoiamici, ma disse loro che non poteva accettarne i consigli, e neppur

    volle leggere la lettera che il generale Medici glf inviava. E liberatosi inbel modo dalla presenza dei due parlamentari, il generale raccolse infretta i tremila volontari che aveva seco, e dubitando di quel che

    doveva veramente succedere, che, cio, le milizie del general Cugiaavessero ordine d'inseguirlo, si mosse dal luogo riposto dove aveva

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    rannodato le forze, e s'intern nel paese. Le truppe italiane allora,costrette dal penoso dovere che imponeva loro la salute della patria,uscite di Palermo inseguirono i volontari, e avevano ordini precisi diarrestarli nel loro cammino, dovesse anche usarsi la forza. Qual dolore

    non provarono i soldati italiani, che ricordandosi d'aver combattuto lenazionali battaglie a fianco dei volontari, non potevano capacitarsicome oggi quei volontari medesimi si fossero cos apertamente ribellatialla legge?

    Garibaldi intanto, valendosi della lunga pratica che aveva allerapide marce per deludere la vigilanza di un pi gagliardo nemico,sfuggi alle ricerche delle milizie italiane avviandosi verso Messina. Eraforse allora intenzione su di varcare lo stretto, e per le montagne dellaCalabria giungere su su con i suoi fino al confine romano. Ma in moltidai suoi soldati il sentimento del dovere e della obbedienza alle leggi nepot pi dell'affetto e della riverenza che portavano all'amato generale;e considerando quali luttuosi avvenimenti si preparavano alla patria, siallontanarono dal campo deponendo le armi. Un forte nerbo di trupparimaneva per devota al Garibaldi, e con questa egli procedettenell'intrapreso cammino. Non lo atterrivano le difficolt: non lospaventavano i pericoli; e anzi nei pericoli e nelle difficolt trovava,come dire, un aculeo, che lo spronava ad operare pi energicamente. IlGaribaldi ben si accorgeva che la impresa sua non riscuoteva gliapplausi della nazione, sentiva bene che egli era incorso nello sdegno

    del suo vecchio compagno d'armi Vittorio Emanuele, e pur tropposapeva che la rappresentanza nazionale del paese lo aveva giudicatocon un atto solenne di biasimo. Per il Garibaldi, grande e magnanimoanche nell'errore, anzich sdegnarsi di tanto abbandono, siriconfortava pensando che l'ottima riuscita della sua impresa avrebbericondotto a lui gli animi di tutti. Ma lacrime amarissime egli sparse,quando gli giunse notizia che a Santo Stefano una colonna di volontaris'era incontrata con una compagnia di soldati reali; e che di qua e di lerano state tirate alcune fucilate, e che fra i volontari v'erano da

    lamentare due morti. Egli certo che in quel doloroso momento alpensiero del Garibaldi deve esser balenata l'idea, ch'egli forse sarebbela prima e funesta origine d'una guerra civile, la quale poteva anchechiudersi con una servit pi obbrobriosa, pi pesante. Ma egli s'eratroppo innanzi condotto, perch la via a ritirarsi dovesse sembrargliagevole di troppo; e serrando nel fondo dell'anima il dolore, continu ilsuo viaggio, fermandosi a Caltanissetta, movendo poi di l versoCastrogiovanni, e mandando ordini ai volontari che trovavansi pressoGirgenti di riunirsi tutti intorno a lui.

    Strane voci intanto faceva divulgare il partito d'azione, e fra l'altre,

    che nelle file dell'esercito italiano si cedessero frequentissimediserzioni, vi fossero del continuo grida sediziose, vi si manifestasse

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    ognora pi viva una agitazione e una concitazione cos universale deglispiriti, che non dava a sperar nulla di buono per il governo di Torino.Ma quelle voci erano cos esagerate, che, nonostante qualchediserzione alla spicciolata, e specialmente dei soldati che avevano

    appartenuto ali1 esercito meridionale, non dubitiamo di qualificarleper false. L'esercito italiano amava e venerava in Garibaldi uno dei pioperosi campioni della indipendenza nazionale. L'esercito italiano aveacombattuto ai fianchi dell'eroe di Corno, di Milazzo e del Volturno; esui campi di battaglia s'era avvezzato a riguardarlo come uno dei suoi,perch sapeva ch'egli operava a nome di Vittorio Emanuele, e che

    Vittorio Emanuele onorava l'illustre capitano della sua amicizia. Maquando la voce del re si fece sentire nel proclama del 3 agosto, e tolse

    via le incertezze, e chiam ribelli coloro che alla sua parola nonpiegassero il capo, il soldato italiano doveva, come fece, porre da parteogni affezione individuale; e devoto a quei sentimenti che lo hannoreso grande, seguire la via alla quale era chiamato. I principii d'ordinee di legalit, a volere che uno Stato non cada in isfacelo, debbonosempre avere il disopra sulle passioni, anco generosissime, chetrasmodino; e a tutela di quei principii veglia l'esercito, chiamato cos adifendere dalle esterne prepotenze, come a reprimere le aberrazioni e asoffocare le minacele di dentro.

    Ed erano fora'anche esagerati i timori d'una guerra civile. Avevamoallora un governo, deliberato a fare osservare a chicchessia la legge;

    avevamo un esercito incrollabile nella sua fede antica alla libertsancita dallo Statuto; uvevamo un popolo intero, che deplorando ifatali errori (sieno pure giustificabili) del Garibaldi, s'era strettointorno alla santa bandiera dove brilla di luce splendidissima la Crocedi Savoja; avevamo un re di cui la storia non ricorda l'uguale, un re che l'amore di venticinque milioni d'Italiani, un re che raccogliendo sulcampo di battaglia la corona insanguinata, avea giurato di vincere o dimorir per la libert della patria. E quel governo, quell'esercito, quelpopolo, quel re, volevano in sostanza una cosa sola, anelavano tutti alla

    medesima meta, formavano insieme una sola famiglia. Qui dunque.non e'era davvero i sin, tomi, gli elementi, i principii della guerra civile....E il Garibaldi continuava frattanto la sua rapida marcia; e

    deludendo la sorveglianza dei reggimenti italiani che lo inseguivano,sfuggendo quasi dalle loro mani, entr nella notte del 19 agosto inCatania. V'entr come si addirebbe a un conquistatore: s'impossessdei telegrafi, nomin alcuni dei suoi a reggere le sorti della citt; si fececonsegnare dalle autorit reali le casse; impose contribuzioni suicavalli, sui carri, sulle vetture; proib le comunicazioni coll'esternodella citt; alz barricate, fece incetta di fucili.1 Non v'era pi dubbio:

    Garibaldi ponevasi in aperta collisione col governo; minacciavaveramente la sicurezza dulia patria; e fu allora che con decreto del 21 il

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    governo proclam lo stato d'assedio in Sicilia, e con decreti del 23nomin commissario straordinario della Sicilia il generale Cialdini, esciolse la Societ Emancipatrice di Genova e tutte, le societ a quellaaffiliate. Con decreto poi del 26 prclam lo stato d'assedio nelle

    provincie napoletane, imperocch Garibaldi, prima d'esser raggiuntodai soldati regi, raccolta una parte delle sue forze era salpato dall'isolasopra due vapori postali, e sbarcato a Melito in Terraferma con unmigliaio di volontari. Aveva trovato tranquilla e* pressochindifferente la citt di Catania; lasci a vai a ora tranquilla, e oltremodolieta perch le autorit legittime potessero riprenderne il governo. Unmigliaio di volontari, lasciati dal Garibaldi in Catania, furono fattiprigionieri, senza che un grido, una voce sola si levasse in loro favore.

    Non v'era da dubitare: nessuno parteggiava per un'impresa, la qualeapparendo giusta e santa nel fine, doveva da tutti gli uomini di sennoesser considerata come riprovevole nei mezzi.

    e Pochi erano i volontari che nella furia del partire avevanoseguitato a Melito il generai Garibaldi. Con cotesti pochi non v'era daarrisicarsi contro le milizie reali che guarnivano Reggio e le altre cittdella Calabria; cosicch, voltosi dapprima dalla parte di Reggio,retrocedette fino a Melito, perch seppe che l'ingresso in quella citt glisarebbe stato contrastato con la forza. Sua intenzione allora fu direcarsi a Catanzaro; ma da Melito a Catanzaro ci vogliono quattrogiorni di cammino; n poteva a bene riuscire con con poche truppe.

    Era poi sua idea di stabilire in Potenza il quartiere generale; perch dil, per la posizione strategica del luogo, egli avrebbe potuto facilmentesignoreggiare una gran parte del territorio napoletano, troncando lecomunicazioni fra Napoli, le tre Calabrie, le tre Puglie, la provincia di

    vellino e la provincia di Salerno.Molte e gravi apparivano le difficolt da dover vincersi in Calabria;

    e fra queste non ultima l'animaversazione delle popolazioni, chedappertutto accoglievano festosamente le milizie regie, e il 'pericolod'esser raggiunto e circondato e predo dallo truppe che in tutta fretta

    uscivano di Reggio, e arrivavano da Messina e da Catania. Ma chiavrebbe potuto fermare Garibaldi? Certo che nell'animo suo dovetteallora combattersi pi veemente che mai la lotta fra il dovere dicittadino e il desiderio di combattere i veri nemici d'Italia: certo chel'accoglienza fredda e quasi ostile delle popolazioni fra le quali passavadeve avergli suscitato in cuore un amarissimo disinganno. Ma nulla dalsuo viso traspariva, eccetto il ferreo proposito di continuare laincominciata impresa. Sarebbe stato lodevole il desistere fino a che siera in tempo, prima che il s*ngU3 dei fratelli fosse versato per manodei fratelli: ma a lui sarebbe parsa co test a la pi schifosa delle vilt,

    preferendo di ceder in faccia alla violenza, piuttostoch addimostiarepaura.

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    E perch questo sapevano tutti in Italia, tutti vivevano in un'ansia,in una aspettativa dolorosa; non potendosi ormai dubitare che ilGaribaldi ed i suoi riuscissero a sfuggire dalle mani delle milizie regieche li inseguivano con alacrit straordinaria. Tutti si aspettavano a

    funeste notie; v'era in tutti il presentimento che una sventurairreparabile sarebbe occorsa per ovviare a sventure pi grandi, piuniversali, pi terribili. Quand'ecco improvvisamente giungere lanotizia che il Garibaldi, occupata la forte posizione d'Aspromonte, erastato raggiunto dai bersaglieri del colonnello Pallavicino, aveva avutoluogo un vivo combattimento, e nel combattimento erano caduti mortidodici volontari, e dugento rimasti feriti; e fra questi il generaleGaribaldi, colpito da due palle, una alla coscia, l'altra al piede.

    Sebbene le cose fossero giunte a tale nell'Italia del mezzogiorno danon potersene aspettare d'altra maniera, pure a tanto dolore la patrianon poteva esser ben preparata. Cotesta vittoria della legge edell'autorit del Parlamento e del re, sebbene necessaria a liberare lanazione da gravi pericoli, non pot arrecare gioia a nessuno che avesseanimo d'Italiano: la gioia in que' casi sarebbe stata un delitto. Le armiche dovevano esser rivolte solamente contro l'oppressore straniero, ildestino volle che fossero adoperate a reprimere gl'impeti inconsideratid'un uomo che tanto aveva operato per la patria comune. Chi lo trassea questo coi mali consigli, chi volle servirsene di strumento perprocurare il trionfo d'idee fatali alla patria, non potr mai levarsi dal

    cuore la spina d'un crudele rimorso; se chi fu sempre avvezzo a servirsidegli uomini in questo modo, pu esser capace di sentir rimorso peraver fatto il suo mestiere.

    ...Terminato il dramma luttuosissimo d'Aspromonte e il generaleGaribaldi venne trasportato alla Spezia, e custodito nel forte di

    Varignano. Chiarissimi professori dell'arto medica furono solleciti avisitarlo: citeremo fra questi il Porta, lo Zannetti, il Rizzoli, il Prandina,il De Negri, il Riboli.

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    sua Caprera. Perch seguiremo noi il generale Garibaldi, e assisteremoallo spettacolo d'un uomo, che avendo amato d'amore ardentisslmo lapatria, travolto da un momentaneo errore, paga con trafitture atroci ilfio d'un'impresa temeraria e quasi stolta, ma alla quale pi che l'animo

    suo e la volont propria, lo spinsero le mene dei falsi amici? Non cireggerebbe il cuore a descrivere minutamente quanti giorni, quantimesi trascorsero 9 prima che il generale ricovrasse la cara salute.Diremo sol*: tanto che nel cuor suo nobile e generoso non sminupunto l'affetto alla patria, alla libert, all'unit, all'indipendenza. Dalsuo romitaggio egli inviava ogni tanto un caldo e. patriotico saluto agliItaliani tutti che di lui non potevano, scordarsi; incitava i popolioppressi a risorgere; li confori tava e g'incoraggiava se insorti,scagliava maledizioni agli oppressori.

    Cos trascorse tutto l'anno 1863, cos passarono i primi mesi del1864. Ma in sul finire del marzo di quest'anno

    Un bel giorno si sente dire che un vapore postale s' avvicinato allacosta di Caprera, ha preso