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TRIULZI ET AL. LA STABILIZZAZIONE TARTARICA CON IL POLIASPARTATO DI POTASSIO, P.1 WWW.INFOWINE.COM RIVISTA INTERNET DI VITICOLTURA ED ENOLOGIA, 2015, N.11/2 LA TECNICA ADDITIVA ALLA STABILIZZAZIONE TARTARICA SI EVOLVE E NASCE L’APPLICAZIONE ENOLOGICA DEL POLIASPARTATO DI POTASSIO Gianni TRIULZI 1 , Cristiano MONTAGNER 2 , Barbara SCOTTI 3 1 (Research and Development Manager Enartis); 2 (Research and Development specialist Enartis); 3 (Marketing manager Enartis) Introduzione La presenza di deposito di bitartrato di potassio (KHT) nei vini in bottiglia è causa del loro deprezzamento e generale rifiuto da parte dei consumatori. Per prevenire i rischi di precipitazione di bitartrato vengono adottate pratiche enologiche che consistono nella riduzione della sua concentrazione, nell’asporto di una parte di potassio o acido tartarico presenti, oppure strategie basate sull’aggiunta di colloidi protettori, composti in grado di ostacolare il processo di cristallizzazione. Nonostante il comune obiettivo, le varie tecniche enologiche si basano su due strategie diametralmente opposte: nei primi due casi possiamo parlare di tecnica sottrattiva mentre nel terzo di tecnica additiva. La tecnica più diffusa è quella sottrattiva che, negli anni, si è evoluta diventando più efficiente e specifica: dalla tradizionale stabilizzazione di lunga durata senza aggiunta di cristalli di tartrato si è passati alla stabilizzazione a freddo in regime dinamico (in continuo) per arrivare negli ultimi anni all’ elettrodialisi e al trattamento con resine. Queste tecniche sottrattive presentano tuttavia alcuni inconvenienti: la stabilizzazione a freddo (sia statica che in regime dinamico) è costosa e scarsamente selettiva nei confronti di composti positivi presenti in soluzione colloidale, polifenoli e polisaccaridi. L’elettrodialisi comporta un importante investimento iniziale per l’acquisto della macchina e alti costi di gestione. L’impiego delle resine scambiatrici di cationi non è consigliabile su vini aventi alto contenuto in acido tartarico. Allo scopo di migliorare la rispettosità del processo di vinificazione e la sua sostenibilità economica, molti produttori cercano di limitare l’impiego delle tecniche sottrattive o quantomeno abbinarle a quelle additive. Queste ultime sono basate sull’utilizzo di composti in grado di limitare la formazione ed il successivo accrescimento dei germi di cristallizzazione, quelle microscopiche particelle di bitartrato di potassio che ingrandendosi diventeranno cristalli ben visibili. Attualmente i coadiuvanti enologici autorizzati dalla legislazione europea sono l’acido metatartarico (AMT), la carbossimetilcellulosa (CMC) e le mannoproteine. Anche alcune gomme arabiche Seyal, opportunamente idrolizzate, possono essere usate con lo stesso obiettivo (figura 1). Figura 1 a Figura 1 b

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LA TECNICA ADDITIVA ALLA STABILIZZAZIONE TARTARICA SI EVOLVE E NASCE L’APPLICAZIONE ENOLOGICA DEL POLIASPARTATO DI POTASSIO

Gianni TRIULZI1, Cristiano MONTAGNER2, Barbara SCOTTI3 1(Research and Development Manager Enartis); 2(Research and Development specialist Enartis); 3(Marketing manager Enartis) Introduzione La presenza di deposito di bitartrato di potassio (KHT) nei vini in bottiglia è causa del loro deprezzamento e generale rifiuto da parte dei consumatori. Per prevenire i rischi di precipitazione di bitartrato vengono adottate pratiche enologiche che consistono nella riduzione della sua concentrazione, nell’asporto di una parte di potassio o acido tartarico presenti, oppure strategie basate sull’aggiunta di colloidi protettori, composti in grado di ostacolare il processo di cristallizzazione. Nonostante il comune obiettivo, le varie tecniche enologiche si basano su due strategie diametralmente opposte: nei primi due casi possiamo parlare di tecnica sottrattiva mentre nel terzo di tecnica additiva. La tecnica più diffusa è quella sottrattiva che, negli anni, si è evoluta diventando più efficiente e specifica: dalla tradizionale stabilizzazione di lunga durata senza aggiunta di cristalli di tartrato si è passati alla stabilizzazione a freddo in regime dinamico (in continuo) per arrivare negli ultimi anni all’ elettrodialisi e al trattamento con resine. Queste tecniche sottrattive presentano tuttavia alcuni inconvenienti: la stabilizzazione a freddo (sia statica che in regime dinamico) è costosa e scarsamente selettiva nei confronti di composti positivi presenti in soluzione colloidale, polifenoli e polisaccaridi. L’elettrodialisi comporta un importante investimento iniziale per l’acquisto della macchina e alti costi di gestione. L’impiego delle resine scambiatrici di cationi non è consigliabile su vini aventi alto contenuto in acido tartarico. Allo scopo di migliorare la rispettosità del processo di vinificazione e la sua sostenibilità economica, molti produttori cercano di limitare l’impiego delle tecniche sottrattive o quantomeno abbinarle a quelle additive. Queste ultime sono basate sull’utilizzo di composti in grado di limitare la formazione ed il successivo accrescimento dei germi di cristallizzazione, quelle microscopiche particelle di bitartrato di potassio che ingrandendosi diventeranno cristalli ben visibili. Attualmente i coadiuvanti enologici autorizzati dalla legislazione europea sono l’acido metatartarico (AMT), la carbossimetilcellulosa (CMC) e le mannoproteine. Anche alcune gomme arabiche Seyal, opportunamente idrolizzate, possono essere usate con lo stesso obiettivo (figura 1).

Figura 1 a Figura 1 b

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L’acido metatartarico è uno stabilizzante efficace per tutte le tipologie di vino, ma perde la sua attività dopo alcuni mesi dall’aggiunta. La carbossimetilcellulosa ha un’efficienza stabilizzante inferiore rispetto all’acido metatartarico ma duratura e nei vini rossi, può provocare instabilità del colore. Tale effetto destabilizzante sul colore può essere evitato utilizzando una adeguata dose di gomma arabica Verek come si nota nel test effettuato su Sangiovese, illustrato nelle foto 2A e 2B. Le mannoproteine hanno un’efficienza stabilizzante minore rispetto ad acido metatartarico e carbossimetilcellulosa; possiedono però l’importante capacità di contribuire in modo positivo al miglioramento della sensazione di volume dei vini. Come accennato in precedenza, le tecniche additive hanno la capacità di rispettare la qualità del vino più delle tecniche sottrattive. Questa loro peculiarità viene evidenziata, come esempio, con i risultati contenuti nei grafici relativi a valutazioni di tipo sensoriale e analitico riportati in seguito.

Figura 1 c Figura 1 a) normali cristalli di bitartrato di potassio formati in vino dopo trattamento a freddo a -4°C per sei giorni. b) cristalli di bitartrato di potassio formati in vino trattato con gomma arabica Seyal. La superficie corrugata indica un accrescimento alterato dalla presenza della gomma. L’intensità di questo effetto è dose dipendente: aumentando la dose di gomma arabica il cristallo non riuscirà più a formarsi. c) Dettaglio del cristallo di bitartrato formato in presenza di gomma arabica Seyal.

2B 2A

Foto 2A: Sangiovese (pH=3,44, Alcol: 12%V, K+=1129 ppm, Tartarico: 3,2 g/L, ΔµS/cm =148, µSi =1081) con sedimento di bitartrato di potassio e colore dopo test a freddo per sei giorni a -4°C. Foto 2B: Sangiovese trattato con CMC e gomma arabica Verek, risultato stabile dopo test a freddo.

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Grafico 2 Analisi di composti aromatici vino stabilizzato a freddo Vs stabilizzazione con tecnica additiva Vino bianco taglio di Chardonnay, Pinot grigio, Zibibbo Stabilizzazione a freddo: 10 gg a -4°C Tecnica additiva: 100 mL/hL ES Cellogum mix

Grafico 1 Degustazione vino stabilizzato a freddo Vs stabilizzazione con tecnica additiva Vino bianco taglio di Chardonnay, Pinot grigio, Zibibbo Stabilizzazione a freddo: 10 gg a -4°C Tecnica additiva: 100 mL/hL ES Cellogum mix

Grafico 3 Analisi di composti aromatici vino stabilizzato a freddo Vs stabilizzazione con tecnica additiva Vino bianco taglio di Chardonnay, Pinot grigio, Zibibbo Stabilizzazione a freddo: 10 gg a -4°C Tecnica additiva: 100 mL/hL ES Cellogum mix

Grafico 4 Degustazione vino stabilizzato a freddo Vs stabilizzazione con tecnica additiva Vino rosso taglio Lagrein + Sangiovese Stabilizzazione a freddo: 13 gg a -4°C Tecnica additiva: 200 mL/hL Maxigum + 100 mL/hL Cellogum L

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Evoluzione della tecnica additiva: nasce l’applicazione del Poliaspartato di potassio. Nel corso di un progetto di ricerca iniziato nel giugno 2012, Enartis ha scoperto le proprietà stabilizzanti di una molecola fino ad allora mai utilizzata in enologia o nel settore alimentare: il poliaspartato di potassio (KPA). Per meglio caratterizzarne l’applicazione enologica, Enartis si è fatta promotrice di un progetto di ricerca europeo chiamato Stabiwine (http://www.stabiwine.eu/, Use of biopolymers for sustainable stabilization of quality wines) che coinvolge associazioni di produttori, aziende produttrici e centri di ricerca specializzati in enologia, polimeri, impatto ambientale e tossicologia. Dal 2013 a tutto il 2015, il KPA è stato oggetto di studi approfonditi volti a capirne le performance enologiche, le caratteristiche chimiche e tossicologiche. I risultati ottenuti sono stati positivi ed hanno messo in luce il potenziale interesse d’utilizzare questa sostanza per la stabilizzazione tartarica dei vini, tanto che, completati gli studi, è stato avviato l’iter autorizzativo presso l’OIV. Nel 2014 è stato redatto un dossier tossicologico per l’EFSA (European Food Safety Authority) al fine di inserire il KPA nella lista degli additivi ammessi per uso alimentare. Tutti i test tossicologici richiesti dall’autorità europea hanno dimostrato la piena salubrità del prodotto e l'assenza di qualsiasi effetto tossico anche in caso di somministrazione ripetuta. Nel dicembre 2014, Enartis ha richiesto al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) l’autorizzazione ad effettuare prove sperimentali su grandi volumi, autorizzazione che è stata concessa in tempi rapidi.

Grafico 5 Analisi composti aromatici vino stabilizzato a freddo Vs stabilizzazione con tecnica additiva Vino rosso taglio Lagrein + Sangiovese Stabilizzazione a freddo: 13 gg a -4°C Tecnica additiva: 200 mL/hL Maxigum + 100 mL/hL Cellogum L

Grafico 6 Analisi composti aromatici vino stabilizzato a freddo Vs stabilizzazione con tecnica additiva Vino rosso taglio Lagrein + Sangiovese Stabilizzazione a freddo: 13 gg a -4°C Tecnica additiva: 200 mL/hL Maxigum + 100 mL/hL Cellogum L

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SINTESI E CARATTERISTICHE CHIMICHE DEL KPA Il poliaspartato di potassio testato è un polimero che ha peso molecolare medio di circa 5K Da e che, al pH del vino, presenta carica negativa. E’ prodotto a partire da acido L-aspartico. Per mezzo di un processo termico l’acido aspartico si trasforma in polisuccinimide, insolubile, che viene successivamente trattata con KOH in condizioni controllate, consentendo l’apertura dell’anello e la polimerizzazione. Si ottiene in questo modo una soluzione di poliaspartato di potassio che può essere successivamente atomizzata per ottenere il prodotto in forma essiccata. APPLICAZIONE ENOLOGICA DEL POLIASPARTATO Nel corso del progetto Stabiwine, il KPA è stato utilizzato per stabilizzare tartaricamente vini sia bianchi che rossi, a confronto con altri coadiuvanti enologici quali acido metatartarico, carbossimetilcellulosa e mannoproteine. Qui di seguito si riportano a titolo di esempio alcuni dei risultati scelti tra le tante prove sperimentali effettuate. EFFICACIA STABILIZZANTE NEI CONFRONTI DEL BITARTRATO DI POTASSIO Per valutare la capacità stabilizzante del KPA sono stati usati il test a freddo ed il test di minicontatto. Nel test a freddo il campione di vino viene prima microfiltrato su membrana di 0,45 micron e poi messo in termostato a temperatura di -4°C per 6 giorni. Il vino viene giudicato tartaricamente stabile se al termine dell’esposizione al freddo si presenta privo di cristalli. Con il test di minicontatto si valuta la caduta di conducibilità elettrica (ΔμЅ/cm) del vino in seguito a raffreddamento a 0°C per 30 minuti. I vini bianchi vengono considerati stabili se la variazione di conducibilità è inferiore a 30 ΔμЅ/cm, i rossi se inferiore a 40 ΔμЅ/cm.

Nel grafico KPA1, sono riportati i risultati relativi al test di minicontatto condotto su alcuni vini bianchi e rossi trattati con la stessa dose di KPA, CMC e acido metatartarico (AMT). Nel caso dei vini rossi, la CMC è stata usata in combinazione con un’adeguata quantità di gomma arabica Verek al fine di mantenere il colore stabile.

I dati ottenuti mostrano che l’efficienza stabilizzante del KPA è elevata e paragonabile a quella di AMT.

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DURATA DELL’EFFETTO STABILIZZANTE Per valutare la durata dell’effetto stabilizzante, il vino aggiunto di KPA è stato mantenuto a 40°C per 14 giorni.

Il grafico KPA2 mostra che a differenza del vino trattato con AMT, quello aggiunto di KPA ha mantenuta intatta la sua stabilità anche dopo esposizione al calore. La capacità del KPA di mantenere il vino stabile per più di dodici mesi è stata confermata in numerose prove realizzate nel 2013. La conservazione ancora in corso dei vini trattati, permetterà di verificare la reale durata del suo effetto stabilizzante.

INTERAZIONE CON IL COLORE Per verificare l’interazione del KPA sul colore, campioni di vino rosso trattati con AMT, CMC e KPA sono stati conservati a -4°C per tre settimane. Le condizioni estreme del test sono state scelte per massimizzare le differenze di comportamento tra gli additivi utilizzati. L’impatto del coadiuvante sul colore del vino è stato valutato come variazione percentuale della densità ottica nel rosso (DO 520 nm) rispetto al vino testimone. Nel grafico KPA3 si osserva che, sebbene le condizioni estreme del test, AMT e KPA hanno avuto un’azione destabilizzante sul colore confrontabile tra loro e molto contenuta (in condizioni adeguate di stoccaggio del vino, l’AMT non ha alcun effetto destabilizzante sul colore). Situazione molto diversa si presenta invece per la CMC, che, come noto, quando non è usata in combinazione con una gomma Verek ad elevato peso molecolare, tende a destabilizzare il colore. IMPATTO SULLA FILTRABILITÀ DEL VINO L’indice di filtrabilità di un vino stima la facilità con la quale quel determinato vino riesce a passare attraverso una membrana di filtrazione. Un aumento dell’indice di filtrabilità evidenzia una riduzione di portata ossia un effetto colmatante sul filtro.

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Il test di filtrabilità utilizzato per queste prove misura la portata durante una filtrazione su membrana da 0.45 μm condotta alla pressione di 2 bar e alla temperatura di 20 °C. L’indice di filtrabilità modificato (IFM) è calcolato come (T3-T1)-2(T2-T1) dove T1= tempo in secondi necessario per filtrare 200 mL; T2= tempo in secondi necessario per filtrare 400 mL; T3 = tempo in secondi necessario per filtrare 600 mL. Il vino bianco viene considerato filtrabile se IFM ≤ 10. L’indice di filtrabilità è stato valutato per comprendere se il comportamento del KPA fosse più simile a quello di AMT, che ha scarsa influenza sulla filtrabilità del vino, oppure più simile a quello di CMC e mannoproteine, che in funzione del dosaggio, possono avere effetto colmatante. Come evidenziato nel grafico KPA4, le curve relative ad un vino Chardonnay testimone ed allo stesso vino aggiunto di KPA alla dose di 10 g/hL sono perfettamente sovrapposte (entrambe hanno indice di filtrabilità pari a 4). Questo risultato testimonia che il KPA non altera la filtrabilità dei vini ai quali viene aggiunto. IMPATTO SENSORIALE Le numerose degustazioni effettuate indicano che il KPA non modifica le caratteristiche organolettiche del vino. Ulteriori indagini sono in corso sulla sua proprietà antiossidante indiretta (chelazione dei metalli presenti) e quindi sulla sua capacità di prolungare la shelf-life dei vini trattati. SOSTENIBILITÀ Un altro aspetto valutato nel corso del progetto è quello della sostenibilità ambientale e dell’incidenza sui costi di produzione di questa nuova pratica di stabilizzazione.

Il grafico KPA5 mostra l’impatto delle diverse tecnologie di stabilizzazione sulle emissioni di gas effetto serra in atmosfera. Oltre che essere meno impattante sul cambiamento climatico, il trattamento con KPA ha un’impronta idrica trascurabile e un costo economico paragonabile a quello del metatartarico: globalmente, quindi, il KPA rappresenta la tecnologia di stabilizzazione più sostenibile tra tutte quelle attualmente disponibile.

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CONCLUSIONI La sperimentazione condotta nell’ambito del progetto Europeo Stabiwine ha dimostrato i benefici derivanti dall’uso del poliaspartato di potassio come coadiuvante per la stabilizzazione tartarica del vino: elevata efficienza stabilizzante, effetto duraturo nel tempo, nessun impatto sulla filtrabilità del vino e nessuna interazione negativa con il colore come evidenziato in tabella KPA6. Sulla base di questi risultati, si può concludere che il poliaspartato di potassio rappresenta un passo avanti nel percorso di innovazione dell’attuale tecnica enologica e quindi una nuova opportunità per tutti i produttori. La ricerca che ha prodotto questi risultati ha ricevuto finanziamenti dal Settimo Programma Quadro della Comunità Europea (FP7/2007-2013) gestiti da REA (Research Executive Agency) secondo il contratto di sovvenzione n. 314903 Bibliografia Bosso , Panero, Petrozziello, Sollazzo, Asproudi, Motta, Guaita, (2015) Use of polyaspartate as inhibitor of

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Efficienza di stabilizzazione KHT 10 7 5 10

Durata dell'effetto 5 10 7 10

Effetto sul colore 0 -8 0 0

Filtrabilità 10 5 2 10

scala valutazione -10 +10

MPConfronto tra performance AMT CMC KPA

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