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AIPG ASSOCIAZIONE ITALIANA di PSICOLOGIA GIURIDICA
3° CORSO DI FORMAZIONE in
PSICOLOGIA GIURIDICA, PSICOPATOLOGIA E PSICODIAGNOSTICA FORENSE
Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in Ambito Civile e Penale, adulti e minorile
Anno 2003
LA “SINDROME DI STOCCOLMA”
Dott.ssa Cinzia Foglia
INDICE
Introduzione…………………………………………………………………...2 Cos’è la “Sindrome di Stoccolma”?……………………………………….…3 Come si spiega?………………………………………………………………..6 Perché non in tutti si manifesta?…………………………………………..8 Implicazioni…………………………………………………………………..10 Conclusioni…………………………………………………………………...13 Bibliografia
“Pensavo che se fossi riuscita a stabilire un rapporto con lui, avrei potuto convincerlo
a rinunciare a tutto, e se si fosse liberato dell’angoscia che si teneva dentro,
forse avrebbe avuto un ripensamento […] Se piaci a qualcuno, non ti ucciderà.”
Kristin Ehnmark, ostaggio della Sveriges
Kreditbank di Stoccolma, in una testimonianza alla polizia.
“La colpa è degli ostaggi.
Facevano tutto quello che dicevo. Se si fossero ribellati, forse non sarei qui. Perché nessuno di loro mi è saltato addosso? Hanno fatto in modo che uccidere fosse difficile. Ci hanno fatto vivere insieme giorno dopo giorno, come capre, in quella sporcizia. L’unica cosa da fare era conoscersi.” Jan Erik Olsson, sequestratore della Sveriges Kreditbank di Stoccolma, in un’intervista dalla prigione.
INTRODUZIONE
Se da un punto di vista giuridico il rapporto fra vittima e
persecutore risulta chiaro (persecutore è colui che infligge la sofferenza
ad una vittima che la subisce), da un punto di vista psicologico è molto
più complesso: l’interazione vittima-persecutore è, infatti, in questo
ultimo caso vista in relazione all’interazione fra i due e non solo
vedendo il ruolo dell’uno in funzione di quello dell’altro.
Fra due persone che entrano in relazione, qualunque ne sia il tipo,
si stabilisce una comunicazione, un legame contenente rapporti
affettivi, seppur di varia natura.
Ovviamente, in questa situazione giocano un ruolo importante varie
componenti, quali: la personalità1 della vittima e del persecutore, i loro
comportamenti, le circostanze, il contesto situazionale, che
caratterizzano l’evento e la dinamica di esso (soprattutto la sua
intensità, la sua gravità e la sua durata).
Soltanto partendo da queste premesse è forse possibile tentare una
spiegazione di un fenomeno strano ed al tempo stesso affascinante, che
peraltro presenta importanti implicazioni preventive, repressive e
processuali, quale la “Sindrome di Stoccolma”.
1 Per personalità si intende la struttura psichica del soggetto nella sua globalità: fattori cognitivi, ma anche e soprattutto aspetti emotivi, affettivi, meccanismi di difesa, rapporto con la realtà e integrità dell’Io.
COS’E’ LA “SINDROME DI STOCCOLMA”?
La Sindrome di Stoccolma promuove inverosimili rapporti affettivi
tra le vittime di sequestro di persona2 ed i loro rapitori; sembra essere
una risposta emotiva automatica, spesso inconscia, al trauma del
diventare ostaggio e coinvolge sia i sequestrati che i sequestratori.
Infatti consiste, generalmente, di tre fasi: sentimenti positivi degli
ostaggi verso i loro sequestratori, sentimenti negativi degli ostaggi
contro la polizia o altre autorità governative, e reciprocità di sentimenti
positivi da parte dei sequestratori.
Il termine “Sindrome di Stoccolma” è stato utilizzato per la prima
volta da Conrad Hassel, agente speciale dell’FBI, in seguito ad un
famoso episodio accaduto in Svezia tra il 25 ed il 28 agosto del 1973:
due rapinatori tennero in ostaggio per 131 ore quattro impiegati (tre
donne ed un uomo) nella “camera di sicurezza” della Sveriges
Kreditbank di Stoccolma. Nonostante la loro vita fosse continuamente
messa in pericolo, durante il periodo di prigionia, che fu seguito con
particolare attenzione dai mezzi di comunicazione, risultò che le
vittime temevano più la polizia di quanto non temessero i rapitori, che
una delle vittime sviluppò un forte legame sentimentale con uno dei
rapitori (che durò anche dopo l’episodio) e che, dopo il rilascio, venne
chiesta dai sequestrati la clemenza per i sequestratori e durante il
processo alcuni degli ostaggi testimoniarono in loro favore.
Situazioni affettive simili a quelle descritte nel “caso originario”
hanno trovato riscontro in numerosi altri episodi di rapimento,
suscitando il medesimo clamore.
2 Il sequestro può essere per fini politici, terroristici, a scopo di estorsione, per rapina…
Questa Sindrome può interessare ostaggi e rapitori di ogni età, di
ambo i sessi, di ogni nazionalità e senza distinzione di “background”
socio-culturale.
Alcuni fattori ne faciliterebbero l’insorgere: la durata e l’intensità
dell’esperienza, la dipendenza dell’ostaggio dal delinquente per la sua
sopravvivenza e la distanza psicologica dell’ostaggio dalle autorità.
Sembrerebbe che i legami positivi tra rapitore e rapito non si
formino subito, ma si rivelino già abbastanza solidi entro il terzo giorno
di prigionia. Questo potrebbe essere giustificato dal fatto che nei primi
momenti dopo il sequestro il rapito sperimenti un totale stato di
confusione, riscontrabile anche in alcune risposte tipiche al trauma:
diniego, illusione di ottenere la liberazione, attività frenetica ed esame
di coscienza.
Una volta superato il trauma iniziale, la vittima torna consapevole
della situazione che sta vivendo e deve trovare un modo per
sopportarla; tutto ciò, unitamente all’aumentare del tempo trascorso
insieme tra vittima e rapitore ed all’isolamento dal resto del mondo,
agevola l’alleanza col sequestratore.
La mancanza di forti esperienze negative, quali percosse, violenza
carnale o abuso fisico, facilita la genesi della sindrome; abusi meno
intensi, deprivazioni ed umiliazioni tendono, invece, ad essere
razionalizzati e le vittime si convincono che la dimostrazione di forza
del sequestratore sia necessaria per controllare la situazione o
giustificata da un loro comportamento scorretto.
Spesso il legame fra sequestratore e rapito comincia sulla base di un
comune risentimento nei confronti della polizia, che il più delle volte è
percepita dall’ostaggio come minacciosa: l’insistenza per la resa del
criminale e l’eventualità di un’incursione pongono la vittima in un
continuo stato d’ansia e di paura per la propria incolumità. Inoltre, le
forze dell’ordine vengono considerate meno potenti del delinquente
stesso, perché hanno fallito il loro ruolo protettivo e di garanti
dell’ordine pubblico dal momento che il sequestro è avvenuto.
Una volta sviluppatasi non si conosce ancora con precisione la
possibile durata di questa Sindrome, ma pare possa sussistere anche
per parecchi anni.
E’ comunque opportuno sottolineare che anche in chi ha sviluppato
la Sindrome di Stoccolma si sono riscontrati a distanza di tempo:
disturbi del sonno, incubi, fobie, trasalimenti improvvisi, flashback e
depressione.
COME SI SPIEGA?
Varie sono state le spiegazioni date a questo fenomeno.
Alcuni autori ritengono che questo legame derivi dallo stato di
dipendenza concreta che si sviluppa fra il rapito ed i suoi rapitori;
questi ultimi controllano cibo, aria, acqua e sopravvivenza, elementi
essenziali, rinforzi che, da un punto di vista comportamentale, quando
vengono concessi, giustificherebbero la gratitudine e la riconoscenza
che gli ostaggi manifestano nei confronti dei loro carcerieri.
Altri autori, la maggioranza a dire il vero, affronta invece il
fenomeno da un punto di vista più tipicamente psicoanalitico; in
generale, si potrebbe affermare che l’Io nel tentativo di trovare un
equilibrio fra le richieste istintive dell’Es ed una realtà angosciosa, non
può far altro che mettere in atto meccanismi difensivi.
I due meccanismi di difesa ai quali viene più spesso fatto riferimento
sono la regressione e l’identificazione con l’aggressore.
Per quanto riguarda la regressione, la priorità della conservazione
mette in atto funzioni istintive, di carattere infantile, così il sentimento
reattivo della vittima si concretizza in un atteggiamento teso a
provocare protezione e cura; l’ostaggio è simile al neonato: deve
piangere affinché gli venga dato da mangiare, non può parlare, è
costretto all’immobilità, è in uno stato di totale dipendenza da un
adulto onnipotente ed ha paura di un mondo esterno vissuto come
minaccioso.
L’identificazione con l’aggressore, invece, fa si che il dato di realtà
relativo alla natura ostile del persecutore venga distorto; la
paradossale condivisione del punto di vista del persecutore permette al
soggetto di superare il conflitto psichico dato da un lato dalla
dipendenza da un aggressore minaccioso e dall’altro dall’impossibilità
di “liberarsene” o sfuggirgli proprio perché subordinato a lui, col
vantaggio secondario del ritenere giustificate, e quindi meno
intollerabili, le angherie che da lui provengono.
L’autore del sequestro, a sua volta, “subisce” un’identificazione
inversa. Quanto più un ostaggio riesce a farsi riconoscere nella sua
identità, tanto più diventa difficile per il sequestratore fargli del male.
E’ infatti provato che la maggior parte delle persone non riesce a fare
del male ad altri individui, a meno che la vittima non resti anonima.
Inoltre, pare che i sequestratori provino un certo affetto nei confronti
dei rapiti anche come segno di gratitudine per la collaborazione
ricevuta, forse mossi da un desiderio inconscio di essere amati e
rispettati.
PERCHE’ NON IN TUTTI SI MANIFESTA?
Tuttavia la Sindrome di Stoccolma non si sviluppa necessariamente
sempre, non è conseguenza inevitabile delle situazioni di cattività. Vi
sono casi di alcuni ostaggi che, non solo hanno evitato ogni
subordinazione ai carcerieri, ma che, col proprio atteggiamento, ne
hanno anche incrinato l’intransigenza. E’ altresì vero che questi esempi
sono molto meno frequenti rispetto a quelli che riportano lo sviluppo
della Sindrome di Stoccolma.
Non essendoci prova di una correlazione diretta tra intensità o
natura del trauma e reazione psicologica, è probabilmente da ricercare
nei fattori personologici e caratteriali soggettivi il motivo della messa
in atto di alcuni meccanismi difensivi e di adattamento piuttosto che
altri.
I rari casi di rapiti che non hanno manifestato la Sindrome di
Stoccolma, vengono descritti come soggetti con una forte personalità e
con radicate convinzioni morali, che sono riusciti a mantenere la
propria identità ed un rapporto affettivo e di fiducia con la realtà
esterna e che grazie a ciò siano stati in grado di attivare un
comportamento teso all’adattamento costruttivo, che li ha condotti
all’accettazione della situazione senza subirla totalmente.
Lo sviluppo della Sindrome di Stoccolma è meno probabile anche nei
casi in cui un individuo, magari per il lavoro che fa, può attendersi un
atto del genere; infatti, pare che la rapidità e l’inaspettatezza
dell’evento giochino un ruolo fondamentale nella creazione di quella
situazione di emergenza psichica che favorisce la dinamica di
annullamento che può indurre la Sindrome.
Comunque sia, è necessario ricordare che situazioni di questo tipo,
estreme ed altamente stressanti, possono lasciare tracce indelebili, che
si rivelano a distanza di tempo, pur in persone che al momento hanno
reagito in maniera valida.
IMPLICAZIONI
Si è accennato nell’introduzione che questa Sindrome può avere
implicazioni a livello preventivo, repressivo e processuale. Alla luce di
quanto esposto fin ora, questi concetti possono essere meglio esplicati e
probabilmente più comprensibili.
La Sindrome di Stoccolma aumenta le possibilità di sopravvivenza
della vittima; elaborare specifiche misure preventive che le vittime
potenziali potrebbero adottare, informandole anche della natura e del
grado di rischio associato a determinate reazioni e risposte in
situazioni di contatto diretto ed immediato col vittimizzatore, potrebbe
quindi rivelarsi di grande utilità.
Partendo dallo stesso presupposto, ossia che lo sviluppo della
Sindrome di Stoccolma vada a tutto vantaggio dell’ostaggio, favorirne
lo sviluppo è divenuto, almeno in America, una delle varie procedure
adottate dalla polizia per garantire una risoluzione positiva dei
sequestri. I negoziatori cercano in ogni modo di creare legami emotivi
positivi tra l’ostaggio e il rapitore, ad esempio chiedendo al
sequestratore di permettere all’ostaggio di parlare al telefono,
facendone controllare la salute, oppure discutendo col rapitore delle
responsabilità familiari degli ostaggi stessi; è insomma promossa
qualunque azione tesa a sottolineare le qualità umane degli ostaggi.
Sebbene le forze di polizia più attente incoraggino questo tipo di
situazione, spesso la Sindrome di Stoccolma ostacola il lavoro della
polizia; in nome della stima e della simpatia per i sequestratori (anche
perché magari ha discusso con essi della loro causa e dei motivi della
loro sofferenza), l’ostaggio potrebbe non seguire gli ordini della polizia
durante un assalto, potrebbe avvertire i rapitori per impedire che
vengano uccisi o catturati e persino nascondere informazioni durante i
contatti con i negoziatori. La polizia e le autorità non possono e non
devono quindi fidarsi dell’ostaggio, che non deve essere informato
segretamente dei piani di liberazione. Inoltre, le sue informazioni sulle
condizioni e sulla situazione esistente nel luogo di segregazione spesso
non sono affatto attendibili.
Nel caso originario, gli ostaggi, pur avendo avuto la possibilità in
qualche occasione di scappare, non ne hanno approfittato; il rifiuto di
fuggire portò gravi conseguenze anche e soprattutto durante il
processo, perché i giurati non riuscirono assolutamente a comprendere
le motivazioni di quel gesto.
Purtroppo accade di frequente che le vittime non collaborino con la
polizia e continuino a proteggere i criminali anche finito l’assedio;
alcune vittime hanno preso ferie per assistere al processo, altre hanno
aperto una sottoscrizione per la difesa dei loro sequestratori, altre
ancora hanno rifiutato di farsi intervistare dai funzionari di polizia che
avevano in custodia i rapitori.
In questi casi gli ex ostaggi non sono di alcuna utilità, sia al
momento della risoluzione della crisi, sia durante il successivo
procedimento penale, dove possono perfino rivelarsi testimoni avversi
all’accusa.
Secondo lo psicologo Chris Hatcher è comune che i rapiti una volta
tornati in libertà preferiscano “lasciare a Dio o ad altri il compito della
punizione…” e che sarebbero riluttanti a farsi avanti con delle accuse
perché il procedimento penale li costringerebbe a rivivere
quell’esperienza.
Nonostante tutto, la Sindrome di Stoccolma è agevolata, perché un
ostaggio ostile e inaffidabile o un testimone non collaborante, sono
comunque un ostaggio ed un testimone vivi.
CONCLUSIONE
In conclusione mi sembra interessante riportare uno studio del
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Università di
Padova. Lo scopo di questa ricerca, oltre alla valutazione della
frequenza di disturbo post-traumatico da stress (DPTS) e depressione
maggiore (DM) in un campione di 24 soggetti vittime di sequestro di
persona in Sardegna, era la valutazione dello sviluppo della Sindrome
di Stoccolma (definita come lo sviluppo di un legame positivo con uno o
più sequestratori) durante la loro prigionia.
Dai risultati si evince che la Sindrome di Stoccolma è presente in
circa il 50% dei soggetti e non è significativamente associata al DPTS
o alla DM. E’ comunque importante sottolineare che il DPTS risulti
significativamente associato ad un maggior numero di esperienze di
violenza fisica, mentre la Sindrome di Stoccolma sia maggiormente
legata ad altri aspetti dell’esperienza traumatica.
BIBLIOGRAFIA
Favaro A., Degortes D., Colombo G., Santonastaso P. Disturbo post-traumatico da stress nelle vittime di sequestro di persona in Sardegna. Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Padova. Ferracuti F. (a cura di) Trattato di Criminologia, Medicina Criminologia e Psichiatria Forense; Vol. 9: Forme di organizzazioni criminali e terrorismo. Giuffrè, Milano, 1988.
Franzini L. R., Grossberg J. M. Comportamenti bizzarri. Astrolabio, Roma, 1996. Freud A. L’Io e i meccanismi di difesa. Martinelli, Firenze, 1967.
Giusti G. (diretto da) Trattato di Medicina Legale e Scienze Affini; Vol. 4, Parte 10: Psicopatologia forense e criminologia. CEDAM, Padova, 1999. Gulotta G. (con la collaborazione di M. Vagaggini) La vittima. Giuffrè, Milano, 1976. Gulotta G., Vagaggini M. Dalla parte della vittima. Giuffrè, Milano, 1980.
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g{F
attualità @ sequestri dí personar,*è1W'4e
Ci si affezl onare\puorapltore?al proprio
Non è insolito che i sequestrati chiedanoclemenza per qli aquzzíni: non sorprendequindi che Natisclía abbia detto dì essere''in Lutto" per [a morte del carceriere
Si è pensato allasindrome di StoccolmaTutta Ia vicenda ha dello straordinario. ma al sollievoper il lieto fine, si è aggiunta I'incredulità per I'atteggia-mento di Natascha nei confronti del suo aguzzino.O La ragazza, îorL solo ha dichiarato che il suo seque-stratore era gentile e non le aveva mai fatto mancarenulla, ma ha affermato di "sentirsi in un certo sensoin lutto" per la sua morte, nonostante la sua vita quoti-diana fosse caratterizzata "dall'angoscia legata alla soli-tudine" e dal costante desiderio di trovare un modo perfuggire.O Perché Natascha ha difeso I'uomo che l'ha derubata diotto anni di vita normale per segregarla in un bugigat-tolo, amministrando le sue giornate a proprio piacimen-to, centellinandole perfino le letture e la televisione, re-galandole solo qualche minuto all'aria aperta semprecontrollata a vista? Gli psicologi a cui laragazza è affidata hanno parlato di sindrome di Stoccolma, la condi-zione psicologica che porta i sequestrati a provaresentimenti positivi nei confronti dei loro carce-rieri.
IL PARERE DELLA PSICOLOGA,ii Si uuole beqe alliagutzina
per soprawiuere 1Í ir
Abblamo chiesto alla dottormsa Glnzia Foglia, psicologa aMilano, di spiegare in che cosa consiste questa fonna diatlac-camento emotiuo e perché può svilupparsi.
In che cosa consistela sindromedi Stoccolma?Per sindrome di Stoccolmas'intende il legame affettivoche si instaura tra la vittimadi un sequestro e il suo rapito-re. Al sentimento positivo delsequestrato, che si ipotizza siauna risposta emotiva automa-tica al trauma di diventareostaggio, può associarsi unsentimento negativo nei con-fronti della polizia e delle au-torità in generale che vengonopercepite come meno potentidel rapitore, visto che nonhanno saputo ricoprire il lororuolo protettivo, impedendoche il sequestro avvenisse.Può accadere, inoltre, che ilsentimento positivo del seque-strato venga corrisposto dals€questratore, ma questo nondeve stupire più di tanto poi-che. fra due persone che entra-:o in stretta relazione (anche* si tratta di una relazioned,rammatica) si stabilisce un-dame che, in qualche modo,tresenta anche una valenza::Tettiva.
Come nasce questosentimento?I;'ipotesi più accreditata è chela sindrome di Stoccolma siaun vero e proprio meccanismodi difesa che le vittime di se-questri mettono in atto perpoter tollerare emotivamentequanto sta loro accadendo.O Una volta superato il trau-ma iniziale (stupore, increduli-tà, angoscia, timore per la pro-pria vita), lbstaggio deve trova-re un modo per sopportare lasituazione: provare affetto peril proprio aguzzino è il sistemamigliore per riuscirci. Favori-sce la sindrome l'isolamentodal resto del mondo e I'assenzadi violenze fisiche e di unamarcata aggressività da partedel sequestratore. Non ostaco-Iano, invece, il suo sviluppo gliabusi lievi, le deprivazioni e leumiliazioni poiché lbstaggiotende a razionalízzarli, convin-cendosi che siano necessari alsequestratore per tenere la si-tuazione sotto controllo o cherappresentino addirittura unarisposta lecita agli atteggia-menti dellbstaggio.
Quali dinamiche sonoalla base dellasindrome?Le ipotesi sono due: alcuni stu-diosi ritengono che le vittimesviluppino un sentimento posi-tivo nei confronti dei seque-stratori perché dipendono daessi in modo totale e non soloperché un rapinatore potrebbeanche decidere di uccidere ilsuo ostaggio. Dall'aguzzino de-rivano la possibilità di bere, dimang'iare e quindidi soprawi-vere nell'immediato, per cui ilsequestrato può tendere natu-ralmente aprovare per luigra-titudine e riconoscenza.O L'altra teoria. che trova lamaggior parte dei consensi inambito scientifico, parte dal-la tesi psicoanalitica secondocui l'affetto nei confronti diun aguzzino sarebbe frutto didue processi: la regressione auno stadio infantile e I'iden-tificazione con l'aggressore. Ilprimo nascedalla consa-pevolezza diessere lette-r a l m e n t enel le manidell'altro, dacui può deri-vare quasiautomatica-mente I'usodi parole edi atteggia-menti volti a sollecitare lacura e la protezione del se-questratore. L'ostaggio, difatto, è molto simile a un neo-nato per la sua completa di-pendenza da un altro essereumano e il sequestratore, con
le dovute distanze, diventadunque una sorta di "madre"da cui ci si attende la soddi-sfazione dei bisogni primari.L identificazione con l'aggres-sore permette, invece, di ac-cet tare ps icologicamentequello che egli fa senza soc-combere. "Mettendosi neipanni dell'altro" e quindi ini-ziando a condividere il suopunto di vista, diventa menodrammatico accettare la per-dita della libertà, la dipen-denza assoluta da lui, I'inca-pacità di fuggire dal luogo disegregazione.
Si sviluppa piùfacilmente neibambini?La sindrome di Stoccolma puòinteressare ostaggi di qualun-que età, sesso, ceto sociale e lostesso vale per i rapitori. Ilfattore che più la influenza ècomunque la durata dell'espe-
tterLzai sripotizza cheiI legame af-fettivo trasequestrato-re e ostaggioabbia biso-gno di alme-no tre giorniper svilup-parsi. Primadi questo pe-riodo, la vit-
tima può essere troppo diso-rientata e confusa per aprirsidal punto di vista emotivoverso il suo aggressore.O Sempre per quanto riguar-da gli ostaggi, si è osservatoche la sindrome di Stoccolmaè più rara in chi ha convinzio-ni morali ben radicate, unrapporto di fiducia con il mon-do esterno e una personalitàforte, lì dove per personalitàsi intende il funzionamentopsichico nella sua globalità(livello intellettivo, rapportocon la realtà, forza interiore,esperienze vissute, emotività,sictrezza di sé, temperamen-to). Questi requisiti consento-no, infatti, di adattarsi a unacircostanza avversa come unsequestro senza sottomettersicompletamente all'aguzzino.Pare, inoltre, che lo sviluppo
23
I
II
attualità s*qerestnÍ di persona
della sindrome sia meno pro-babile nelle persone che, pervarie ragioni (per esempio, acausa del loro ruolo sociale),sono preparate all'eventualitàdi un rapimento.O Il fattore sorpresa gioca unruolo di rilievo nel produrrenella psiche una condizione di"emergenza e allarme" che fa-vorisce l'annullamento di sestessi, spingendo a voler beneal delinquente che ha attuatoiI sequestro fino a "mettersidalla sua parte".
La sindrome aiutala vittima?La sindrome di Stoccolma au-menta le possibilità di soprav-vivenza della vittima, proba-bilmente perché la simpatia eI'affetto che questîltima pro-va nei confronti del suo aguz-zino ne lusinga la vanità e logratifica, inducendolo a com-portarsi in modo più umanodi quanto forse non farebbe selbstaggio mostrasse una fran-ca e invincibile ostilità. Anchein questo senso, soddisfa dun-que la sua natura di meccani-smo di difesa.
È destinata a durareanche dopola liberazione?Non c i sono dat i prec is iriguardo la durata della sin-drome, anche se l'esperienzaha dimostrato che può sussi-stere per diversi anni. Ancorauna volta, molto è influenza-to dalla durata della convi-veîza tra secuestratore e
sequestrato e dal tipo di rela-z ione instaurato duranteI'esperienza. Va sottolineatoche anche chi sviluppa la sin-drome va quasi sempre incon-tro, dopo Ia l iberazione, aldisturbo post traumatico dastress, caratterizzato da unaserie di problemi psicofisici,quali insonnia, incubi, fobie,trasalimenti improvvisi, de-pressione.
ÈE Vero cne puoinfluenzare il processoal rapitore?Un ostaggio con sindrome diStoccolma può arrivare aostacolare il lavoro della poli-zia, per esempio aiutando isuoi sequestratori a fuggire.Laffetto nutrito nei confrontidi un rapitore può, infatti,indurla a diventarne in qual-che modo sua complice.O In sede processuale, lavit-tima di un sequestro può fareil possibile per rendere menoseveri i prowedimenti del giu-dice nei confronti del suo rapi-tore, come già accaduto moltevolte.
da rFearda*eLa sindrome
di Stoccolmaaumenta le
possibilità disoprawivenza
della vittima
Seruizio di Laura de Laurentiis.
l l nome del disturboderiva da un rapimentoLa sindrome di Stoccolma deve il suo nome a una vicendaaccaduta nella capitale svedese. Era il 25 agosto 1973:due rapinatori entrarono nella camera di sicurezza dellaSveriges Kreditbank, dopodiché, per 131 ore, tennero inostaggio i quattro impiegati, tre donne e un uomo, che almomento dell'irruzione si trovavano nella stanza.O I sequestrati erano in balia dei loro rapitori e rischia-vano la vita ogni minuto: nonostante questo, dopo il rila-scio chiesero clemenza per gli ag:uzziIai. Ma non solo: unadelle vittime si innamorò di un sequestratore ed ebbe conlui una relazione. L'episodio di Stoccolma fece cosìtanto clamore da trasformarsi nell'emblema dell'af-fetto misto a riconoscenza che, a volte, i rapiti provanonei confronti dei loro carcerieri e che non di rado si è ri-scontrato in altri casi di sequestro. La definizione "sin-drome di Stoccolma' fuutilizzata per la prima volta dal-I'agente speciale dell'Fbi, Conrad Hassel, in relazione aquanto accaduto nella banca svedese.
Kristin Ehnmark, uno degli ostaggi della Sveriges Kre-ditbank, durante un colloquio con la polizia affermò cheera sicura che, se fosse riuscita a stabilire un rapportocon il suo sequestratore, avrebbe anche potuto convin-eerlo a rinunciare a tutto. Avevalacertezzache seluisi fosse liberato dall'angoscia che si teneva dentro forseavrebbe avuto un ripensamento, quindi ha concluso di-chiarando: "se piaci a qualcuno non ti ucciderà".O Le parole di questa donna, protagonista della vicendaa cui si deve il nome "sindrome di Stoccolma" avallano ilcomportamento della polizia americana, che favorisce losviluppo della sindrome di Stoccolma per avere più ga-ranzie che i sequestrati vengano lasciati liberi.O In pratica, anche chi negozia con un sequestratore agi-sce affinché tra lui e I'ostaggio si crei un buon legameaffettivo: uno degli stratagemmi è quello di chiedere alrapitore di controllare lo stato di salute della vit-t ima.