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Scuola Europea di Anestesia Ostetrica Master Biennale di Alto Perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA Direttore Prof. Giorgio Capogna Anno accademico 2017-2018 UN CASO DI SINDROME DI MARFAN TESI FINALE Dott.ssa Daniela Dal Santo Roma 12 Ottobre 2018 1

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Scuola Europea di Anestesia Ostetrica

Master Biennale di Alto Perfezionamento in ANALGESIA, ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA IN OSTETRICIA

Direttore Prof. Giorgio Capogna

Anno accademico 2017-2018

UN CASO DI SINDROME DI MARFAN

TESI FINALE Dott.ssa Daniela Dal Santo

Roma 12 Ottobre 2018

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INTRODUZIONE

La sindrome di Marfan è causata da un errore metabolico che colpisce il tessuto

connettivo. Questa sindrome, trasmessa geneticamente, si caratterizza per una

produzione anomala della proteina fibrillina 1, originata da una mutazione del gene

FBN1 situato nel cromosoma 15. La sintomatologia della sindrome ha uno spettro

molto ampio e non per tutti i pazienti la diagnosi è precoce, né immediata. Tanto è

vero che , con sintomi lievi, solo un’indagine genetica può far scoprire questa

sindrome. Nei casi più gravi, invece è la stessa sintomatologia che la fa sospettare.

Nel caso in cui una donna affetta da questa patologia voglia avere una un bambino,

deve conoscere quali sono le sintomatologie in atto e la gravità delle stesse. Il

rischio maggiore si ha quando la sindrome si manifestata soprattutto nel settore

cardiocircolatorio, con la dilatazione valvolare-aortica, perché lo sforzo a cui è

sottoposto il cuore nello spingere in circolo una quantità maggiore di sangue e la

dilatazione valvolare aortica, o aneurisma aortico, potrebbero essere in questo caso

fatali alla gestante. Occorre anche tener presente i rischi a cui andrebbe incontro il

nascituro, diversi da quelli fatali, o da disfunzioni varie. Se la gestazione venisse

portata a compimento con successo, il rischio che il bambino possa aver contratto

la sindrome di Marfan arriva a ben il 50 per cento di probabilità e così anche per le

generazioni successive.

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LA SINDROME DI MARFAN

La sindrome di Marfan (MFS) è una malattia ereditaria, a trasmissione autosomica

dominante) caratterizzata da una anomala produzione di fibrillina1, la proteina che

costituisce le microfibrille delle fibre elastiche, presenti con le fibre collagene nel

tessuto connettivo. Il tessuto connettivo elastico, in particolare, è costituito quasi

interamente da fibre elastiche ed è presente in maggiore concentrazione nei

legamenti sospensori del cristallino, nelle pareti dei grandi vasi, nelle vie aeree, nei

legamenti gialli paravertebrali. Queste strutture, grazie alla prevalente

concentrazione di fibre elastiche, sono in grado di modificare per esigenze

funzionali la loro conformazione e di ritornare allo stato iniziale al termine della

loro funzione. La fibrillina 1 non è l’unica proteina presente nella struttura delle

fibre. Essa infatti forma insieme ad altre proteine (quale il fattore della crescita

TGF-beta) un complesso strutturale proteico che mantiene l’integrità del tessuto.

Quando la fibrillina 1 è strutturalmente anomala, l’intero complesso proteico perde

le sue caratteristiche: accade che il TGF-beta può attivarsi come fattore di crescita

e come catalizzatore delle reazioni, il che porta alla degradazione delle stesse fibre

elastiche e quindi del tessuto. I segni e sintomi della sindrome di Marfan sono

pertanto conseguenza della perdita di configurazione e integrità di questo

complesso proteico. In quest’ottica la sindrome di Marfan entra in diagnosi

differenziale con altre malattie che presentano analogie con la sindrome stessa, ma

possono essere conseguenza della mutazione di un gene diverso ( es. sindrome di

Loeys-Dietz, sindrome di Ehlers-Danlos ). Nella sindrome di Marfan la fibrillina 1

è anomala perché il gene che la codifica (FBN1) contiene una mutazione. Il gene

FBN1 si trova sul cromosoma 15, è molto grande e di esso dal 1991, anno della sua

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identificazione, sono state riconosciute numerosissime mutazioni. L’analisi di

questo gene è complessa e per una tempestiva diagnosi i tempi possono essere

troppo lunghi, motivo per cui quest’ultima rimane essenzialmente clinica. La

diagnosi è tuttavia articolata perché il quadro clinico è molto variabile anche

nell’ambito dei componenti della stessa famiglia con la stessa mutazione. Per

questo motivo per anni la diagnosi di sindrome di Marfan è stata estesa a soggetti

con segni e destino diversi, con il rischio di avere incluso individui con anomalie

scheletriche, ma con normali aspettative di vita e di avere escluso pazienti con

modeste alterazioni scheletriche, ma con dilatazione dell’aorta ascendente

pericolosa “quoad vitam”. I nuovi criteri di Ghent (Tabella II) hanno ridotto il

numero di pazienti che rientrano nella definizione di sindrome di Marfan, ponendo

in una posizione diversa pazienti con aorta dilatata e ectopia lentis da quelli con

miopia, prolasso mitralico e alterazioni scheletriche. In effetti tutte le alterazioni

sono comunque dovute ad una mutazione della fibrillina1, ma sono responsabili di

manifestazioni cliniche di diversa gravità. La storia della sindrome di Marfan inizia

nel 1896, quando Antoine Bernard-Jean Marfan ( pediatra francese ) descrisse il

primo caso della sindrome, una bimba di 5 anni e mezzo. Il principale difetto

strutturale coinvolge i sistemi cardiovascolare, muscolo-scheletrico e oculare.

Anche il sistema polmonare e il sistema nervoso centrale sono colpiti. Esistono

molte diverse manifestazioni della mutazione genetica che causa la sindrome di

Marfan; tuttavia, essa è tipicamente riconosciuta in base alla costellazione di arti

lunghi, dilatazione della radice aortica e lussazione del cristallino. La sindrome di

Marfan è una malattia rara. La sua incidenza nel mondo è approssimativamente di

2 casi su 10.000 individui, mentre la prevalenza riportata in letteratura medica è di

2-3 casi su 10.000. Non vi sono differenze di incidenza di malattia per sesso, razza

o distribuzione geografica. Nel 25% dei casi non si riconosce una familiarità; in tal

caso la mutazione genetica viene quindi definita come “de novo”. Niccolo’

Paganini e Abram Lincoln sono fra i tanti personaggi famosi che manifestavano

molte caratteristiche cliniche della sindrome di Marfan. Il principale difetto

strutturale coinvolge i sistemi cardiovascolare, muscolo-scheletrico e oculare. ! 4

Anche il sistema polmonare e il sistema nervoso centrale sono spesso colpiti.

Esistono diverse manifestazioni della mutazione genetica che causa la sindrome di

Marfan; tuttavia, essa è tipicamente riconosciuta in base alla costellazione di arti

lunghi, dilatazione della radice aortica e lussazione del cristallino. Le patologie

oculari includono la miopia (il più comune difetto visivo ), la sublussazione del

cristallino (colpisce circa il 60% dei pazienti affetti da Marfan ) e un aumentato

rischio di distacco di retina, di glaucoma e di insorgenza precoce di cataratta. Il

coinvolgimento del sistema scheletrico è caratterizzato da una eccessiva crescita

delle ossa e una particolare lassità delle articolazioni. Le estremità sono

sproporzionatamente lunghe rispetto al tronco (dolicostenomelia ). Circa il 25%

dei pazienti affetti da sindrome di Marfan presentano delle lesioni cutanee e nessun

dismorfismo cranio facciale. Altre caratteristiche tipiche sono la crescita eccessiva

delle coste, che possono spingere lo sterno verso l’interno ( pectus excavatum ) o

verso l’esterno ( pectus carinatum ); e la scoliosi che può andare da media a severa

e che spesso è rapidamente progressiva. Nella sindrome di Marfan le cause

principali di morbilità e di mortalità precoce sono relative al sistema

cardiovascoalre, queste includono la dilatazione dell’aorta a livello dei seni di

Valsalva, elemento predisponente alla dissezione e alla rottura dell’aorta stessa, il

prolasso della valvola mitrale con o senza rigurgito, il prolasso della valvola

tricuspide e un aumento del diametro della parte prossimale dell’arteria polmonare.

Un importante e prolungato rigurgito della valvola mitrale e/o aortica può

predisporre a una disfunzione del ventricolo sinistro e occasionalmente a episodi di

scompenso cardiaco. Con un trattamento adeguato la spettanza di vita di soggetti

affetti da sindrome di Marfan si avvicina molto a quella della popolazione

generale. La gravidanza può essere pericolosa per le pazienti affette da sindrome di

Marfan soprattutto se la radice dell’aorta presenta un diametro > 4.0 cm. Le

complicanze comprendono un rapido aumento del diametro della radice dell’aorta

e una dissezione o una rottura durante la gravidanza, il parto o nel post partum.

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Sintomatologia

Sistema cardiovascolare

I reperti principali comprendono

▪ Aneurisma aortico

▪ Prolasso valvolare

Le complicanze più gravi sono causate da alterazioni patologiche nella radice

aortica e nell'aorta discendente. La tonaca media dell'aorta è colpita

preferibilmente nelle zone soggette al maggiore stress emodinamico. L'aorta si

dilata progressivamente o si disseca in acuto, a partire dai seni coronarici, talvolta

anche prima dell'età di 10 anni. La radice aortica si dilata nel 50% dei bambini e

nel 60-80% degli adulti, e può determinare insufficienza aortica, nel qual caso un

soffio diastolico può essere sentito sopra la valvola aortica. Le cuspidi e le corde

tendinee ridondanti possono portare a prolasso o a rigurgito della valvola mitrale; il

prolasso della valvola mitralica può provare un click sistolico e un soffio

telesistolico o, nei casi più gravi, un soffio olosistolico. Può insorgere

un'endocardite batterica acuta nelle valvole lese.

Sistema muscolo-scheletrico

La gravità varia notevolmente. I pazienti sono più alti della norma rispetto all'età e

alla famiglia; l'apertura delle braccia supera l'altezza. L'aracnodattilia (dita

sproporzionatamente lunghe, sottili) è notevole, spesso rilevata dal segno del

pollice (la falange distale del pollice supera il margine del pugno chiuso). ! 6

Malformazioni dello sterno, torace carenato (spostamento all'esterno) o pectus

excavatum (spostamento all'interno), sono frequenti, come lo sono

l'iperestensibilità delle articolazioni (ma in genere lievi retrazioni in flessione ai

gomiti), il ginocchio recurvato (curvatura all'indietro delle gambe a livello delle

ginocchia), i piedi piatti, la cifoscoliosi, e le ernie diaframmatiche e inguinali. Il

tessuto adiposo sottocutaneo abitualmente è rado. Il palato è spesso ogivale.

Sistema oculare

I reperti comprendono ectopia del cristallino (sublussazione o lussazione del

cristallino verso l'alto) e iridodonesi (tremolio dell'iride). Spesso è possibile

osservare il margine del cristallino lussato attraverso la pupilla non dilatata. Può

esservi una miopia di alto grado e si può verificare un distacco spontaneo della

retina.

Sistema polmonare

Possono insorgere pneumopatia cistica e pneumotorace spontaneo ricorrente.

Questi disturbi possono causare dolore e mancanza di respiro.

Sistema nervoso centrale

L'ectasia durale (ampliamento del sacco durale che circonda il midollo spinale) è

un reperto frequente che compare in genere nella colonna lombo-sacrale. Può

causare cefalea, lombalgia o deficit neurologici che si manifestano con debolezza

intestinale o vescicale.

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Diagnosi

La diagnosi può essere difficile poiché molti pazienti presentano solo poche

manifestazioni cliniche tipiche, senza specifiche alterazioni istologiche o

biochimiche. Considerando questa variabilità, i criteri diagnostici sono basati su

costellazioni di reperti clinici, anamnesi familiare e genetica. La diagnosi e

l’indicazione alla chirurgia della sindrome di Marfan sono da sempre oggetto di

discussione a causa del rischio di morte legato alla dissezione acuta o alla rottura

dell’aorta. La variabilità delle manifestazioni cliniche della sindrome di Marfan

dipende dal tipo di mutazione del gene FBN1 e dal complesso concatenarsi dei

meccanismi che ne condizionano il fenotipo e quindi la prognosi. Ne consegue che

la sindrome di Marfan si manifesta in modo differente non solo tra soggetti con

mutazione genetica diversa ma anche nell’ambito della stessa famiglia in soggetti

portatori della stessa mutazione. Questa variabilità porta inevitabilmente a

includere nella stessa diagnosi persone con caratteristiche cliniche differenti e

quindi con prognosi potenzialmente diversa. La necessità di concentrare

l’attenzione diagnostica prevalentemente sui pazienti con prognosi infausta legata

ad un più elevato rischio di complicanze aortiche, ha condotto negli anni alla

compilazione di varie classificazioni della malattia allo scopo di definire un

percorso diagnostico e terapeutico ottimale. La scoperta nel 1991 della mutazione

del gene FBN1ha inoltre consentito di confermare la malattia nei soggetti con

sospetto clinico grazie al test molecolare. I due aspetti, approccio clinico e

decodificazione del gene, si sono rincorsi tra di loro e hanno portato gli esperti a

una migliore classificazione dei criteri per l’identificazione della sindrome. Negli

anni si sono succedute diverse revisioni dei criteri diagnostici, dalla Berlin

Nosology del 1986 alla revisione di Ghent del 1996, fino alla più recente revisione

del 2010 nella quale i cardini della sindrome di Marfan sono la accertata familiarità

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per la sindrome, la lussazione o sublussazione del cristallino e la dilatazione del

bulbo aortico. Tutte le altre possibili manifestazioni cliniche sono incluse in una

unica lista nella quale ogni manifestazione possiede un punteggio a seconda della

specificità per la sindrome. Il segno del polso e del pollice se insieme hanno la

maggiore specificità e quindi un punteggio pari a 3, l’ectasia della dura madre, il

pneumotorace, la protrusione dell’acetabolo, la deformità del retropiede e il petto

carenato sono meno specifiche e hanno un punteggio ciascuno pari a 2 mentre tutte

le altre possibili manifestazioni quali il prolasso mitralico, la scoliosi o il petto

escavato possono essere presenti ma sono aspecifiche e ad ognuna di essa viene

attribuito il punteggio di 1. Se la somma del punteggio (score sistemico) uguaglia o

supera il valore di 7, allora questa entra come quarto punto cardine per la diagnosi

della sindrome (Tabella 1). La combinazione di tali criteri definisce dei sottogruppi

o coloro che non vi rientrano o sono soggetti con forme borderline a prognosi

anche momentaneamente migliore perché non a rischio attuale di dissezione

aortica o pazienti con forme di diversa origine genetica nelle quali può essere

coinvolta l’aorta (Tabella 2). Con l’introduzione della nuova classificazione anche

l’atteggiamento chirurgico ha subito delle modifiche, in quanto è possibile

intervenire in modo più selettivo, stabilire un timing migliore e poter effettuare il

tipo di intervento più idoneo per ciascun paziente. Le linee guida dell’American

Heart Association del 2010 consigliano di effettuare la chirurgia per diametri della

radice di 5 cm, o per diametri minori in caso di rapido accrescimento (definito

come >0.5 cm/anno), in caso di familiarità per dissezione aortica, o di

concomitante insufficienza aortica.

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Tabella 1 Punteggio per la diagnosi di Sindrome di Marfan

!

Tabella 2 Diagnosi di sindrome di Marfan ( Ghent,2010 )

! 10

!

La diagnosi di Sindrome di Marfan è quindi prevalentemente clinica e dovrebbe

prevedere, laddove possibile:

▪ Rx della colonna per valutazione della scoliosi;

▪ Rx della pelvi per valutazione della protrusione dell’acetabolo;

▪ TC o RMN lombo-sacrale per la valutazione dell’ectasia della dura madre;

▪ Valutazione oculistica;

▪ Valutazione cardiologica ed ecocardiografica;

▪ Determinazione della BSA (body surface area);

▪ Utilizzo dei normogrammi internazionali per la normalizzazione delle

dimensioni della radice aortica;

▪ Determinazione dell’omocisteina (L'omocistinuria può in parte simulare la

sindrome di Marfan, ma può essere distinta rilevando la presenza di

omocisteina nelle urine);

▪ Analisi genetica.

! 11

Prognosi

I progressi nella terapia e il regolare monitoraggio hanno migliorato la qualità della

vita e ridotto la mortalità. L'aspettativa di vita media è aumentata da 48 anni nel

1972 a 72 anni nel 1992. Tuttavia, l'aspettativa di vita è ancora ridotta per il

paziente medio, soprattutto a causa delle complicanze cardiache e vascolari.

Questa riduzione dell'aspettativa di vita può pesare dal punto di vista emotivo su

un adolescente e la sua famiglia.

Trattamento

▪ Induzione della pubertà precoce nelle ragazze alte

▪ β-Bloccanti

▪ Riparazione elettiva aortica e riparazione valvolare

▪ Corsetti e chirurgia per la scoliosi

Il trattamento si focalizza sulla prevenzione e la terapia delle complicanze. Nelle

ragazze molto alte, l'induzione precoce della pubertà entro i 10 anni con gli

estrogeni e il progesterone può ridurre la statura terminale. Tutti i pazienti devono

routinariamente assumere β-bloccanti (p.es., atenololo, propranololo) per aiutare a

prevenire complicanze cardiovascolari. Questi farmaci riducono la contrattilità

miocardica e la pressione differenziale e rallentano la progressione della

dilatazione della radice aortica e il rischio di dissezione. La chirurgia preventiva è ! 12

consigliata quando il diametro aortico è > 5 cm (o meno nei bambini). Le donne in

gravidanza sono particolarmente ad alto rischio di complicanze aortiche; la

riparazione aortica elettiva deve essere valutata prima del concepimento. Anche la

grave insufficienza valvolare è riparata chirurgicamente. La profilassi

dell'endocardite batterica prima di procedure invasive è indicata solo in pazienti

con protesi valvolari o che hanno precedentemente avuto un'endocardite infettiva.

La scoliosi è gestita con corsetti il più a lungo possibile, ma l'intervento chirurgico

viene incoraggiato in pazienti con curve di 40-50°. I reperti cardiovascolari,

scheletrici e oculari (tra cui l'ecocardiografia) devono essere rivalutati

annualmente. È indicata un'appropriata consulenza genetica.

SINDROME DI MARFAN E GRAVIDANZA

La gravidanza nelle pazienti con sindrome di Marfan rappresenta una sfida SIA

per il medico che per la paziente a causa dell’elevata incidenza di complicanze

materne e fetali, e pertanto merita delle considerazioni particolari.

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La causa principale di morbilità e mortalità nelle pazienti affette da sindrome di

Marfan è la dissezione aortica.

La prevalenza della sindrome di Marfan è 1 su 5000 e interessa in maniera uguale

il genere maschile e femminile, 80% dei pazienti presentono complicanze

cardiovascolari quali : dilatazione aortica, rigurgito aortico, prolasso della valvola

tricuspide e mitrale con o senza rigurgito. In passato la vita media dei soggetti

affetti da sindrome di Marfan era circa 2/3 quella dei soggetti sani, attualmente

grazie al miglioramento delle tecniche mediche e chirurgiche la spettanza vita di

questi pazienti è sovrapponibile a quella della popolazione generale.

La diagnosi di sindrome di Marfan è spesso difficile, perché il quadro clinico è

molto variabile anche nell’ambito dei componenti della stessa famiglia con la

stessa mutazione e richiede un approccio multidisciplinare.

Sfortunatamente, a causa di tali difficoltà, questa sindrome viene spesso

diagnosticata durante la gravidanza, quando la paziente si presenta con

complicanze potenzialmente letali o dopo il parto.

Rischio materno La dissezione aortica rappresenta la principale e più seria complicanza nelle

paziente affette da sindrome di Marfan, il rischio di dissezione è sostanzialmente

aumentato durante la gravidanza e nel post partum a causa delle modificazioni

cardiovascolari materne quali l’aumento del volume ematico, della frequenza

cardiaca e dello stroke volume. Inoltre i cambiamenti ormonali della gravidanza

provocano delle modificazioni istologiche nei tessuti della parete dell’aorta con

una riduzione nella quantità di mucopolisaccaridi e perdita di fibre elastiche.

In base alla letteratura il tasso previsto di dissezioni aortiche in pazienti gravide

con sindrome di Marfan va da 1% nelle donne con diametro della radice aortica <

40mm a circa 10% nelle donne ad alto rischio cioè con diametro radice aortica >

40mm, o con un rapido incremento delle dimensioni dell’aorta o con una

precedente dissezione dell’aorta ascendente. La sindrome di Marfan rappresenta un

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fattore di rischio indipendente per la dissezione aortica pertanto anche se molto

raramente può colpire pazienti non gravide e con un diametro della radice aortica

nella norma.

Nella maggior parte delle pazienti gravide la dissezione avviene nel terzo trimestre

di gravidanza o nel post partum ma nulla vieta che possa insorgere in qualsiasi

epoca gestazionale.

Outcome della gravidanza a lungo termine Tutte le pazienti affette da sindrome di Marfan che desiderano affrontare una

gravidanza dovrebbero essere informate circa l’elevata morbilità e mortalità cui

possono andare incontro dopo la gravidanza stessa.

Le complicanza più importanti comprendono le aritmie cardiache, la dissezione o

la rottura dell’aorta residua, l’insufficienza cardiaca per patologie mitraliche, le

endocarditi, e le emorragie cerebrali o spinali. I dati della letteratura indicano

chiaramente che nonostante una efficace terapia medica o chirurgica la sindrome

di Marfan è associata ad una aumentata morbilità e mortalità anche in donne che

hanno avuto una gravidanza e un parto senza complicanze. La probabilità di tali

comorbidità è molto elevata nelle pazienti con una pregressa dissezione acuta di

tipo A, ma possono colpire anche pazienti con pregressa chirurgia profilattica della

radice dell’ aorta o della valvola mitrale.

Rischio fetale e complicanze ostetriche Il rischio di trasmissione della sindrome di Marfan alla progenie è del 50%. A

causa della variabilità della clinica, un quadro severo della sindrome può essere

presente nella progenie di una madre con un quadro molto meno severo. Si deve

sottolineare come l’insorgenza di una dissecazione aortica nella madre sia un

elevato rischio di patologia aortica nel feto.

! 15

La gravidanza in donne con sindrome di Marfan è associata con una elevata quota

(superiore al 40%) di complicanze ostetriche, come il parto prematuro,

principalmente per una prematura rottura delle membrane, la restrizione della

crescita fetale intrauterina, un feto piccolo per l’età gestazionale, o una elevata

mortalità neonatale.

Diagnosi prenatale I test di genetica molecolare possono essere utilizzati per la diagnosi prenatale in

caso di sindrome di Marfan. Insieme con i test genetici, che si possono eseguire

nelle fasi precoci della gravidanza, durante il terzo trimestre si può utilizzare

l’ecocardiografia fetale per diagnosticare eventuali alterazioni cardiache fetali

tipiche della sindrome di Marfan.

Counseling preconcezionale Sfortunatamente, in base ai dati precedentemente pubblicati, il couseling

preconcezionale in donne affette da sindrome di Marfan spesso non viene

eseguito e in molti casi la sindrome è diagnosticata per la prima volta durante la

gravidanza o nel post partum in seguito alla comparsa di complicanze. Secondo la

letteratura in quasi metà delle donne gravide con sindrome di Marfan la diagnosi

della sindrome viene fatta per l’insorgenza di complicanze aortiche.

La gestione della gravidanza in donne con sindrome di Marfan dovrebbe

idealmente iniziare prima del concepimento. Il rischio materno e fetale dovrebbe

essere valutato e discusso da un team multidisciplinare che dovrebbe includere un

cardiologo, un ostetrico e uno specialista in genetica. Le pazienti devono essere

edotte circa le complicanze della gravidanza e informata sulle. possibilità della

diagnosi prenatale.

Durante il consulto preconcezionale la donna dovrebbe essere informata sulla

possibile morbidità durante e dopo la gravidanza.

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La paziente dovrebbe essere sottoposta ad una attenta visita cardiologica che

comprenda la valutazione del diametro dell’aorta prossimale e distale, della

funzione cardiaca e valvolare con l’esecuzione di un ecocardiogramma, una TAC o

una risonanza magnetica secondo le esigenze.

La valutazione dell’aorta distale è importante soprattutto nelle pazienti con una

dilatazione dell’aorta prossimale e in quelle con una pregressa chirurgia dell’aorta

prossimale, che è stato dimostrato essere ad elevato rischio di dissezione dell’aorta

distale. Sia la tomografia computerizzata che la risonanza magnetica può essere

utilizzata per una precisa valutazione delle dimensioni e dell’anatomia dell’aorta

prima della gravidanza. Un rischio previsto di complicanze aortiche si può stimare

in base alla presenza di una dilatazione della radice dell’aorta ( > 4.0 cm), di un

rapido aumento del diametro dell’aorta o di una pregressa dissezione dell’aorta

ascendente. Le pazienti dovrebbero inoltre essere informate che la dissezione

durante la gravidanza può avvenire anche con un diametro dell’arteria normale e in

qualsiasi trimestre compreso il post partum. L’incidenza maggiore di dissezioni

avvengono durante la terza decade di vita quindi sarebbe auspicabile pianificare la

gravidanza in giovane età. Le pazienti devono essere edotte sulla necessità di uno

stretto follow up e dell’assunzione di beta bloccanti durante il periodo gestazionale

e nel post partum.

Un pregresso intervento di sostituzione aortica non elimina il rischio di una

possibile dissezione in altre parti dell’aorta.

Le pazienti devono essere istruite sui sintomi legati alla dissezione e sulla necessità

di recarsi immediatamente presso un pronto soccorso alla comparsa di tali sintomi.

Un Holter ECG dovrebbe essere eseguito in pazienti con dilatazione ventricolare

per la valutazione delle aritmie ventricolari.

Sono stati riportati casi di morte improvvisa da aritmia in pazienti con sindrome di

Marfan con prolasso della valvola mitrale e dilatazione del ventricolo sinistro

nonostante terapia con beta bloccanti e casi di contrazioni ventricolari premature o

tachicardie. A causa dell’aumentata incidenza di aritmie durante la gravidanza si

! 17

dovrebbe considerare l’impianto di un defibrillatore prima del concepimento nelle

pazienti più a rischio.

Le pazienti con pregresse sostituzioni valvolari con protesi meccanica presentano

una gestione complessa durante la gravidanza a causa della necessità della terapia

anticoagulante.

Trattamento chirurgico e gravidanza Chirurgia aortica profilattica prima della gravidanza

Le linee guida dell’European Society of Cardiology del 2011 sul trattamento delle

patologie cardiovascolari in gravidanza suggeriscono una chirurgia elettiva

profilattica per prevenire la dissezione aortica nelle pazienti con sindrome di

Marfan che desiderano una gravidanza con una dilatazione della radice dell’aorta >

45 mm, con la consapevolezza che un rischio di dissezione esiste anche dopo la

chirurgia. Nelle pazienti con un diametro dell’aorta tra 40 e 45 mm, l’intervento

chirurgico è raccomandato in caso di una rapida dilatazione o nei casi di familiarità

per dissezione precoce.

Le linee guida Americane e Canadesi del 2010 raccomandano di evitare la

gravidanza o eseguire una chirurgia aortica profilattica prima del concepimento se

la radice aortica è > 40 mm con o senza fattori di rischio aggiuntivi.

Sebbene molti studi riportino un outcome favorevole materno e fetale durante la

gravidanza con una dilatazione aortica < 45 mm, le raccomandazioni americane e

canadesi sono più severe perché si basano sul fatto che in gravidanza non esiste un

diametro della radice dell’aorta ritenuto scevro da complicanze.

Le raccomandazioni più recenti suggeriscono una chirurgia profilattica nella

pazienti con sindrome di Marfan nei casi con aorta ascendente > 50 mm. Nelle

pazienti con un diametro dell’aorta <50 mm, l’intervento chirurgico si deve

prendere in considerazione in caso di rapida dilatazione, di familiarità per

dissecazione precoce e in presenza di un rigurgito aortico da moderato a severo.

Considerando gli elevatissimi rischi di un intervento cardiochirurgico per

dissezione in urgenza/emergenza durante la gravidanza, per le pazienti che ! 18

desiderano partorire è meglio sottoporsi ad un intervento profilattico prima del

concepimento.

Altre recenti linee guida suggeriscono una chirurgia elettiva prima della gravidanza

in donne con radice aortica > 47mm.

Nelle pazienti giovani con sindrome di Marfan si può procedere anche con la

sostituzione della radice aortica risparmiando la valvola se anatomicamente

indenne in modo da evitare la terapia anticoagulante, l’outcome di queste pazienti

a lungo termine è ottimo ma una piccola percentuale deve essere rioperata

nell’arco di 10 anni.

Chirurgia per complicanze aortiche durante la gravidanza La chirurgia cardiaca durante la gravidanza è associata ad elevati rischi sia per il

feto che per la madre. La letteratura riporta negli ultimi anni una riduzione ella

mortalità materna ma sempre una elevatissima mortalità fetale. Dal momento che i

rischi associati a un intervento chirurgico emergente per dissezione o rottura

aortica sono elevati si ritiene necessario un intervento elettivo in tutti quei casi in

cui si assiste a una dilatazione progressiva dell’aorta > 10 mm anche durante la

gravidanza. Considerando l’elevata mortalità fetale in caso di chirurgia cardiaca

durante la gravidanza, sarebbe auspicabile eseguire un taglio cesareo subito prima

o in concomitanza con la chirurgia aortica se il feto è in epoca vitale.

Una gestione perioperatoria ottimale che sembra ridurre i rischi per mamma e

bambino include il monitoraggio materno e fetale, attenzione al by pass

cardiopolmonare, una perfusione pulsatile, normotermia, alti flussi aortici ( > 2,5

L/min/m2 ) , una pressione arteriosa media > 70 mmhg, in ematocrito >28 %,

evitare l’ipoglicemia e l’ipossia materna posizionare la paziente in decubito

laterale durante circolazione extracorporea per evitare la compressione della vena

cava inferiore, evitare i farmaci vasocostrittori.

Terapia medica

! 19

I beta bloccanti secondo la letteratura sembrano rallentare la dilatazione della

radice aortica e ridurre in maniera significativa l’incidenza di dissezioni aortiche,

l’entità del rigurgito aortico e la mortalità. Il metoprololo è il beta bloccante da

preferire in gravidanza e dovrebbe essere titrato ad un dosaggio tale da ridurre la

frequenza cardiaca materna basale di circa il 20% Anche l’ipertensione arteriosa

in gravidanza può aumentare il rischio di complicanze aortiche pertanto nelle

pazienti con sindrome di Marfan la pressione arteriosa deve essere mantenuta sotto

stretto controllo.

Follow-up durante la gravidanza e nel post partum Le pazienti con sindrome di Marfan durante la gravidanza dovrebbero essere

seguite insieme dal cardiologo e dal ginecologo. Un’ ecocardiogramma

transtoracico dovrebbe essere eseguito ogni 4-6 settimane nelle pazienti con

diametro aortico ≥ 40 mm, o una progressiva dilatazione aortica o una pregressa

chirurgia aortica per dilatazione o dissezione e ogni trimestre in quelle con radice

aortica di normali dimensioni. Le linee guida americane ( ACCF/AHA )

raccomandano la valutazione ecocardiografica delle dimensione dell’aorta

ascendente ogni uno o due mesi nelle donne con dilatazione aortica durante la

gravidanza e le prime settimane dopo il parto. La dissezione aortica può

complicare anche il postpartum pertanto nelle pazienti con sindrome di Marfan il

follow up dovrebbe per 3-6 mesi dopo il parto.

Travaglio e parto Il parto vaginale è consigliato nelle pazienti con sindrome di Marfan che non

presentano complicanze cardiovascolari e hanno un diametro dell’aorta normale

( < 40 mm). Potrebbe essere indicato l’utilizzo dell’analgesia epidurale per ridurre

lo stress del travaglio riducendo il dolore e l’uso della ventosa per accorciare il

secondo stadio. Considerando che oltre il 70% della pazienti con sindrome di

Marfan presentano un’ectasia durale lombosacrale una consulenza anestesiologica ! 20

è fondamentale. Durante il travaglio la pressione arteriosa deve essere ben

controllata con l’utilizza dell’analgesia epidurale, dei beta bloccanti e degli

antiipertensivi se necessari.

Le pazienti con dilatazione aortica ≥ 40 mm, una progressiva dilatazione aortica

durante la gravidanza, una pregressa sostituzione aortica sono ad elevato rischio

per dissezione e dovrebbero essere sottoposte a taglio cesareo elettivo in ALR o

anestesia generale per ridurre le alterazioni emodinamiche legate al parto vaginale.

Se una chirurgia aortica elettiva è indicata nell’ultimo periodo di gravidanza

dovrebbe essere eseguita dopo il parto, se possibile. In caso di chirurgia urgente

per miglior outcome fetale sarebbe auspicabile eseguire prima il cesareo e subito

dopo l’intervento cardiochirurgico.

BYPASS CARDIOPOLMONARE E GRAVIDANZA

Il bypass-cardiopolmonare è una metodica che, durante un intervento

cardiochirurgico, viene usata per sostituire in maniera totale o parziale la funzione

! 21

del cuore e dei polmoni. Lo scopo è quella di mantenere attiva la funzionalità degli

organi tramite un’adeguata perfusione e ossigenazione. Il sangue venoso delle vene

cave o dell’atrio destro viene dirottato alla macchina cuore-polmone e, dopo essere

stato ossigenato, viene pompato direttamente in aorta ascendente.

Strumento indispensabile per l’impiego di questa metodica è appunto la macchina

cuore-polmone che, sostituendo la funzione cardiaca e polmonare ( circolazione

extra-corporea ), permette di operare in condizioni di arresto cardiaco.

La chirurgia cardiaca con supporto extracorporeo in una paziente gravida è una

procedura molto complessa, rappresentando la somma degli effetti anestesiologici,

chirurgici e della circolazione extracorporea su due individui con situazioni

biologicamente ben distinte.

E’ opinione comune che solo le procedure chirurgiche emergenti dovrebbero essere

eseguite durante la gravidanza. Sebbene la morbilità e la mortalità materna

dipendono più dalla patologia cardiaca preesistente e non tanto dalla circolazione

extracorporea, la morbidità e la mortalità fetale è molto alta e legata

prevalentemente al supporto extracorporeo e alla chirurgia cardiaca.

La preoccupazione dell’anestesista in questi casi è che gli ormoni secreti dal corpo

luteo e dalla placenta, così come gli effetti meccanici dell’utero gravidico, creano

delle alterazioni fisiologiche in tutti gli organi di un organismo con un cuore già

compromesso. Questi effetti possono causare gravi problemi sia alla madre che al

feto.

Negli Stati Uniti è riportata un’incidenza di 1-4 % di patologie cardiache in

gravidanza, la patologia cardiaca reumatica rappresenta circa il 60% del totale.

L’incidenza della patologia cardiaca in gravidanza è prevalente nei paesi in via di

sviluppo e viene ritenuta da molti specialisti la causa principale di morte durante la

gravidanza e il parto.

La terapia medica non sempre è sufficiente a gestire un cuore con ridotta riserva

funzionale o con complicanze acute nella paziente gravida. Nonostante la terapia

medica massimale, quando le condizioni cliniche della paziente gravida con

patologia cardiaca peggiorano, l’intervento chirurgico rappresenta l’unica ! 22

alternativa per ripristinare la funzionalità cardiaca e creare le condizioni favorevoli

all’evoluzione normale della gravidanza.

I primi reports di chirurgia cardiaca durante la gravidanza apparvero nel 1952 e

riguardavano undici commissurotomie mitraliche con una morte materna e un

parto pretermine. Nel 1957 per eseguire una valvulotomia polmonare, sotto visione

diretta, Daley utilizzò l’ipotermia con un arresto cardio circolatorio di tre minuti e

la paziente portò a termine la gravidanza. Nel 1959 Dubourg eseguì una

commissurotomia polmonare e la riparazione di un difetto interatriale a sei

settimane di gestazione, utilizzando la circolazione extracorporea, la paziente

superò l’intervento ma abortì tre mesi dopo.

10 anni più tardi venivano riportati 2° casi di chirurgia a cuore aperto durante

gravidanza con una mortalità materna del 5% e una mortalità fetale del 33%. Nel

1983 si revisionarono altri 55 casi evidenziando una riduzione della mortalità

materna a 1,8% e solo una lieve riduzione di quella fetale a 21,8%. Quasi tutti gli

interventi erano eseguiti duranti il secondo trimestre di gravidanza a causa di

insufficienza cardiaca progressiva refrattaria a terapia medica.

Secondo più recenti revisioni della letteratura gli interventi cardiochirurgici con

circolazione extracorporea durante la gravidanza risulta in una morbilità fetale-

neonatale del 9% e una mortalità del 30% e una morbilità e mortalità materna

rispettivamente del 24% e 6%.

Per comprendere le implicazioni cliniche che la circolazione extracorpora ha in

una paziente gravida è di fondamentale importanza conoscere i cambiamenti

fisiologi che avvengono nel fisico materno durante la gravidanza e la fisiologia

dell’unità feto placentare. Dalla 12a alla 36a settimana di gravidanza la gittata

cardiaca aumenta gradualmente fino a raggiungere un massimo di un 50% in più

rispetto ai livelli di base. Questo aumento della gittata cardiaca è secondario

all’aumento del volume intravascolare. Il consumo di ossigeno aumenta del 25%-

30% . L’incremento del volume intravascolare con quello del consumo di ossigeno

porta a un aumento del precarico con conseguente aumento dello stroke volume e

della frequenza cardiaca e quindi della gittata. ! 23

Durante la gravidanza aumenta il volume della massa dei globuli rossi ma in

quantità minore rispetto al volume plasmatico pertanto si assiste a una riduzione

del valore dell’ematocrito. Le resistenze vascolari polmonari e sistemiche

diminuiscono durante la gravidanza, questo è molto importante per pazienti con

patologie cardiache con shunts destro-sinistro. Gli eventi tromboembolici

aumentano durante la gravidanza a causa di uno stato relativo di ipercoagulabilità.

Il flusso sanguigno uterino che rappresenta circa il 3% della gittata cardiaca

all’inizio della gravidanza raggiunge il 15% nel terzo trimestre.

Tutti questi cambiamenti sono necessari per permettere alla madre di far fronte alla

aumentata richiesta metabolica dell’unità feto placentare.

La circolazione extracorporea comporta modificazioni della coagulazione, della

funzione dei componenti cellulari e proteici del sangue, rilascia sostanze vasoattive

dai leucociti, attiva il complemento, crea un flusso non pulsatile,, ipotermia e

ipotensione e può essere causa di embolia gassosa.

Tutti questi eventi possono alterare il delicato equilibrio tra il feto e la placenta.

Durante interventi prolungati quali le sostituzioni valvolari o gli aneurismi gli

effetti deleteri della circolazione extracorporea agiscono più a lungo quindi i danni

conseguenti possono essere maggiori.

Esiste una preoccupazione per gli effetti degli anestetici sullo sviluppo fetale e

l’eventuale teratogenicità durante chirurgia cardiaca e circolazione extracorporea

ogni volta che un farmaco viene somministrato a una paziente gravida soprattutto

nel primo trimestre quando avviene l’organogenesi, ma sembra che la maggior

parte degli agenti anestetici siano privi di effetti teratogeni e possano essere

impiegati in sicurezza durante la gravidanza.

L’ipocapnia causata dall’iperventilazione meccanica può ridurre del 25% il flusso

ematico uterino a causa di un ridotto ritorno venoso e una riduzione della gittata

cardiaca spesso con pressione arteriosa stabile.

Ci sono pochi studi che valutano gli effetti della circolazione extracorporea

materna sul feto. La prima registrazione del battito cardiaco fetale durante bypass

risale la 1975 e da allora è noto che una bradicardia fetale insorge quasi sempre ! 24

all’instaurarsi della circolazione extracorporea materna. La causa di tale

bradicardia all’inizio della circolazione extracorporea materna non è nota ma è

probabilmente legata alla riduzione dell’ossigenazione fetale secondaria

all’ipotensione placentare o a modificazioni dell’equilibrio acido-basico. Si ritiene

che iniziare una circolazione extracorporea in normotermia e con alti flussi di

perfusione possa ridurre l’incidenza di bradicardia fetale.

La ridotta perfusione uterina causata dall’ipotensione associata alla circolazione

extracorporea può comportare l’insorgenza di contrazioni uterine e ipoperfusione

placentare con successiva bradicardia fetale. Una frequenza cardiaca fetale di

70-80 battiti per minuto rappresenta un elevato grado di distress fetale.

Aumentando il flusso di perfusione e aumentando la PO2 materna a 300-400

mmHg si può correggere la bradicardia fetale, considerando che lo scambio di

ossigeno a livello placentare è favorito proprio dall’aumento del flusso di

perfusione a dalla PO2.

Se nonostante le misure correttive la bradicardia persiste si può somministrare un

bolo di efedrina, in alcuni casi nonostante il trattamento la bradicardia persiste per

tutta la durata della circolazione extracorporea e si risolve alla ripresa della

circolazione materna normale. Quando la bradicardia si prolunga nel periodo

postoperatorio il rischio di morte fetale è aumentato.

L’aumento delle catecolamine materne e fetali per lo stress aumentano le resistenze

vascolari periferiche, evenienza non ben tollerata da un miocardio fetale immaturo.

Gli agenti anestetici pur garantendo un piano di narcosi adeguato a mamma e feto

non riescono a bloccare la risposta fetale alle catecolamine circolanti e agli agenti

vasoattivi.

Il monitoraggio della frequenza cardia fetale e dell’attività uterina può offrire delle

informazioni valide al perfusionista circa il flusso e la perfusione placentare.

Attualmente il miglior uso del monitoraggio cardiaco fetale è di poter modificare il

flusso se si evidenzia una bradicardia.

Da trenta a sessanta minuti dopo che viene rimosso il bypass cardiopolmonare si

instaura una severa e progressiva acidosi respiratoria fetale. La probabile causa è ! 25

l’attivazione dei prodotti degli Eicosanoidi. Dati sperimentali hanno mostrato che

l’inattivazione di questi prodotti come prostaglandine E2 e Trombossano

utilizzando indometacina e corticosteroidi possono prevenire questa acidosi

respiratoria.

L’indometacina però ha effetti antiaggreganti sulle piastrine e in questo setting può

essere molto pericolosa per emorragie materne anche nel post operatorio perciò

sono da preferire i corticosteroidi.

Una acidosi metabolica più difficile da trattare si sviluppa da sei a otto ore dopo

l’uscita dalla circolazione extracorporea, questa acidosi ritardata è dovuta alla

ridotta gittata cardiaca secondaria a un aumento delle resistenze vascolari

sistemiche per gli alti livelli di catecolamine circolanti ed è parte della risposta

fetale allo stress.

Si ritiene che gli effetti della diluizione causata dalla circolazione extracorporea

possa causare una riduzione dei livelli ormonali, particolarmente del progesterone,

che può essere causa di aumentata eccitabilità uterina. Le contrazioni uterine sono

particolarmente frequenti durante la fase di riscaldamento dopo ipotermia

moderata o profonda e sono considerate il più importante predittore di mortalità

fetale. L’incidenza delle contrazioni aumenta con l’aumentare dell’età

gestazionale. La supplementazione con progesterone o l’utilizzo di beta 2 agonisti (

Terbutalina, Ritodrina ) possono ridurre l’insorgenza di contrazioni durante il

periodo della circolazione extracorporea e subito dopo.

Le contrazioni uterine insieme con il flusso non pulsatile della circolazione

extracorporea può produrre una perfusione insufficiente della placenta con

conseguente ipossiemia fetale. Il monitoraggio può essere utile per verificare una

precoce insorgenza di contrazioni uterine in modo tale che possano essere trattate

adeguatamente prima dello sviluppo dell’ipossiemia e della bradicardia fetale.

Il monitoraggio della frequenza cardiaca fetale e della contrattilità uterina può

offrire valide informazioni sul flusso e sulla perfusione placentare e deve quindi

essere aggiunto ai normali monitoraggi durante circolazione extracorporea nella

paziente gravida. ! 26

Gli effetti della circolazione extracorporea sull’unità fetoplacentare può contribuire

all’interruzione della gravidanza e provocare la morte del feto. Durante la

circolazione extracorporea l’attenzione del perfusionista deve essere rivolta alla

perfusione placentare, che può essere ottimizzata per garantire al feto le migliori

condizioni di sopravvivenza.

La paziente gravida dovrebbe essere posizionata sul tavolo operatorio con un

cuneo sotto il gluteo destro per spostare l’utero ed evitare la compressione aorto-

cavale in particolare durante il terzo trimestre di gravidanza in questo modo si

riduce il rischio di ipotensione all’induzione dell’anestesia.

L’eparina utilizzata durante bypass cardiopolmonare nonostante non pasi la

barriera placentare può essere causa di emorragia placentare, aborto o parto

prematuro. Si raccomanda per le pazienti gravide un ACT di 480-600 sec. Durante

circolazione extracorporea.

Nella paziente gravida a causa della nota anemia fisiologica e della ridotta

pressione oncotica plasmatica il priming con cristalloidi per il bypass

cardiopolmonare può causare una riduzione tale dell’ematocrito da provocare

distress fetale. Il volume di priming dovrebbe essere il minimo indispensabile per

iniziare la circolazione extracorporea in considerazione della ridotta pressione

oncotica. L’albumina o i colloidi possono favorire la perfusione tissutale e

contribuire a evitare l’edema interstiziale.

I diuretici non dovrebbero essere somministrati di routine, ma possono essere

utilizzati se necessari per stimolare la diuresi materna.

La furosemide è da preferire al mannitolo. Il mannitolo attraversa la varriera

placentare e può stimolare la diuresi fetale.

Durante circolazione extracorporea in paziente gravida il flusso arterioso dovrebbe

essere 20-40% più alto di quello che si utilizza di routine in modo da permettere

adeguati scambi fetoplacentari durante il flusso non pulsatile. Il flusso di pompa

dovrebbe essere sufficiente per mantenere una pressione media al di sopra di 70

nnHg ( da 70 a 90 mmHg). Durante circolazione extracorporea in una paziente

! 27

gravida, un alto flusso di perfusione, una pressione arteriosa media elevata e una

normale cardiotocografia sono interdipendenti.

Per avere un adeguato scambio gassoso a livello dell’unità fetoplacentare la

circolazione extracorporea durante la gravidanza deve essere gestita con elevati

valori di FIO2 in modo da raggiungere dei valori di PO2 almeno di 200 mmHg: Se

compare una bradicardia fetale la laPO2 deve essere aumentata fino a circa 400

mmHg e ovviamente si devono contemporaneamente aumentare il flusso di

perfusione e la pressione. Alti livelli arteriosi di O2 materni non creano alcun

effetto dannoso al feto.

L’ipotermia durante circolazione extracorporea provoca riduzione degli scambi a

livello placentare, può aumentare il tono uterino e favorire l’insorgenza di

contrazioni e aumentare le resistenze uterine vascolari. Inoltre durante l’ipotermia

sono frequenti aritmie materne ( bradicardia, aritmie ventricolari e aritmie ). La

mortalità fetale è maggiore quando la circolazione extracorporea è condotta in

ipotermia. Se possibile in base all’intervento, si dovrebbe evitare un’ipotermia

significativa. Il riscaldamento successivo è spesso causa di insorgenza di

contrazioni e aumenta la pressione del fluido amniotico.

Il flusso ematico uterino ha un controllo alfa adrenergico, tutti i vasopressori che

agiscono sui recettori alfa adrenergici può ridurre il flusso uterino e placentare.

L’efedrina e le basse dosi di dopamina non sembrano influenzare il flusso uterino.

L’isoproterenolo viene raccomandato come l’inotropo di scelta subito dopo l’uscita

dalla circolazione extracorporea, ha effetti positivi sulla frequenza cardiaca fetale e

materna.

Con la circolazione extracorporea associata all’ipotermia si possono verificare

alterazione dell’equilibrio acido-base, non esiste un consenso sulla gestione del PH

nella paziente gravida.

Durante le procedure chirurgiche più lunghe e con l’uso di una cardioplegia

continua, gli alti livelli di potassio del sangue materno passano al feto provocando

una iperkaliemia fetale, che a livello cardiaco fetale può causare bradicardia, altri

disturbi della conduzione fino all’arresto cardiaco. Indipendentemente al tipo di ! 28

cardioplegia, l’effluente dovrebbe essere aspirato dall’atrio desto o dall’ostio

coronarico per evitare che si mescoli con il perfusato.

In conclusione, la circolazione extracorporea durante la gravidanza è associata ad

un elevato rischio di morbilità e mortalità fetale. I punti chiave nella gestione

ottimale della paziente gravida durante bypass cardiopolmonare sono: evitare

improvvisi cambiamenti nel flusso placentare, mantenere la fisiologia placentare il

più normale possibile, mantenere una adeguata tensione arteriosa di ossigeno, un

flusso di perfusione e una pressione media adeguati. La bradicardia fetale e

l’insorgenza di contrazioni uterine devono essere valutate e gestite

immediatamente.

Quando possibile è comunque preferibile procede con taglio cesareo prima della

chirurgia cardiaca.

SINDROME DI MARFAN: UN CASO CLINICO

Alina, una ragazza romena di 26 anni, gravida alla 12 w di gestazione si presenta

presso il nostro pronto soccorso per dolore alla spalla sinistra che si esacerba con il

movimento e con il respiro profondo.

Alina è affetta da sindrome di Marfan, seguita presso il centro di riferimento di

Pavia dove ha eseguito un recentissimo controllo ecocardiografico: nota ectasia del

tratto ascendente aortico (48-49 mm) e rigurgito valvolare moderato. Protesi

meccanica mitralica.

L’ecocardiogramma odierno è sovrapponibile al precedente di Pavia se non per un

lieve decremento della funzione sistolica globale (FE 45-50%) e aumento dei

volumi/diametri ventricolari (effetti verosimilmente dovuti al sovraccarico

! 29

volumetrico compatibile con lo stato gravidico). Aorta ascendente 49 mmHg, no

segni di dissezione aortica.

L’ECG è sostanzialmente sovrapponibile ai precedenti ( numerosi BESV ).

Si eseguono prelievi seriati della troponina che risultano lievemente positivi ma in

calo. Sintomi aspecifici per angor.

Pressione arteriosa 96/50 mmHg, FC 92 bpm, Sat O2 98%

Viene ricoverata presso il reparto di ginecologia per osservazione, qui esegue eco

ostetrica che mostra una gravidanza in normale evoluzione.

Alina è stata sottoposta all’età di 11 anni ad intervento cardiochirurgico di

sostituzione valvolare mitralica con protesi meccanica e da allora ha iniziato

terapia con anticoagulanti orali. Tre anni dopo le è stata diagnosticata una

miastenia gravis trattata inizialmente con steroidi e mestinon e poi sottoposta ad

intervento chirurgico di asportazione di timoma associata a sternocondroplastica

con placche metalliche per “pectus carenato” presente dalla nascita. All’età di 17

anni le viene diagnosticata geneticamente la sindrome di Marfan FBN1 e

l’ecocardiogramma eseguito in quegli anni mostra una insufficienza aortica medio

severa con una dilatazione del bulbo aortico di circa 47 mm. Per l’elevato rischio

materno legato a tale situazione clinica si è sottoposta a due interruzioni volontarie

di gravidanza; Alina inoltre è portatrice di spina bifida, affetta da ipertiroidismo

(Morbo di Basedow), ipercolesterolemia e grave miopia.

Nonostante Alina sia perfettamente consapevole dei rischi materni e fetali legati a

questa nuova gravidanza ha deciso comunque di provare a portarla a termine.

Durante il ricovero in ginecologia si assiste ad un peggioramento della

sintomatologia nonostante la persistenza della stabilità emodinamica pertanto la

paziente viene traferita in cardiologia.

In cardiologia, nel sospetto di una dissezione aortica, in accordo con la fisica

sanitaria per la valutazione dosimetrica finale al feto, viene eseguita angio-TC

coronarie. L’esame fa rilevare presenza di dissecazione dell’aorta toracica tipo A

con evidenza di flap intimale che si estende dall’ostio di entrambe le coronarie a

! 30

circa 6 cm dal piano valvolare aortico, senza coinvolgere il tratto prossimale delle

medesime coronarie.

Concomita dilatazione aneurismatica del tratto prossimale dell’aorta ascendente

che presenta diametro massimo di 52 mm.

Dopo consulto multidisciplinare si informa la paziente della necessità

dell’intervento cardiochirurgico di sostituzione aortica in CEC e degli elevatissimi

rischi fetali che tali procedura comporta.

La paziente viene pertanto sottoposta in anestesia generale a sternotomia mediana,

cannulazione di arteria femorale destra e dell’atrio destro per la conduzione della

CEC in normotermia. Vent in arteria polmonare e cardioplegia ematica

intermittente selettiva, avvio della CEC in ipotermia generale; clampaggio

dell’aorta ascendente distale con incisione ed asportazione di tutta l’aorta

ascendente. Eseguito intervento sec. Bentall con impianto di tubo valvolato

meccanico St Jude 27/29. Al declampaggio dell’aorta il cuore riprende

spontaneamente l’attività cardiaca. Lo svezzamento dalla CEC avviene

gradualmente senza l’ausilio di supporto inotropo. Vengono posti tubi di drenaggio

ed elettrodi epicardici temporanei. Durante l’intervento vengono trasfuse 4 unità di

emazie e 600 ml di PFC.

Il feto è stato monotorato per tutta la durata dell’intervento chirurgico durante il

quale non ha mai manifestato episodi di bradicardia, durante CEC si sono attuati

tutti gli accorgimenti consigliati in caso di by pass cardiopolmonare in paziente

gravida.

Alina è stata svegliata il giorno dopo l’intervento in rianimazione cardiochirurgica.

Il decorso post operatorio in terapia intensiva è stato regolare così come il

proseguo della degenza in reparto. Durante la degenza sono stati effettuati controlli

ecografici fetali che sono risultati sempre nella norma. Pertanto Alina viene

trasferita in riabilitazione cardiologica dopo 15 giorni dall’intervento, qui si

verifica un unico episodio di aritmia da FA ad elevata fvm trattato efficacemente

con cordarone e.v., ripetuti controlli ecocardiografici hanno confermato il regolare

posizionamento del tubo valvolato aortico e il buon funzionamento delle protesi ! 31

valvolari aortica e mitralica. E’ stata proseguita la somministrazione di

Enoxaparina 6000 u.i. x 2/ die con eparinemia (anti X-a) compresa tra 0,74 e 0,86

U/ml. I controlli e le ecografie ostetriche eseguite durante la degenza in

riabilitazione cardiochirurgica hanno evidenziato un feto vitale con crescita nella

norma. Alina viene dimessa con un quadro cardiologico e ostetrico stabile in attesa

di ricovero in ostetricia per eseguire maturazione polmonare fetale e successivo

taglio cesareo.

Per le condizioni cliniche della paziente e per un iniziale rallentamento della

crescita fetale a 33 settimane di gestazione, dopo maturazione polmonare si decide

di eseguire taglio cesareo elettivo. In considerazione della sospetta ectasia durale a

livello lombosacrale, della spina bifida e della terapia anticoagulante si decide di

eseguire il taglio cesareo in anestesia generale: la paziente è stata monitorizzata

con ECG, pulsossimetro e pressione arteriosa invasiva, è stato somministrato

l’antibiotico per via endovenosa prima dell’induzione. La paziente è stata posta sul

lettino con un cuneo sotto il fianco destro per evitare la compressione aorto-cavale,

è stata preossigenata per 5 min. con O2 100% durante i quali è iniziata l’infusione

di remifentanil per coprire il dolore dell’intubazione e del taglio cesareo, si sono

poi somministrati 3 mg/kg di propofol e 1,2 mg/kg di rocuronio. La pressione

arteriosa e la frequenza cardiaca sono rimaste stabili durante l’intubazione

( 115/70mmHg e 70 bpm prima dell’intubazione e 118/70 mmHg e 72bpm dopo

l’intubazione),dopo l’incisione della cute è stato spento il remifentanil ,l’anestesia

è stata mantenuta con un’infusione continua di propofol 10mg/kg/ora e 50% di

ossigeno/aria, all’estrazione del feto sono stati somministrati 100 mcg di

carbetocina e 40 mcg di sufentalil e ridotta l’infusione di propofol prima a 8 mg/

kg/h e poi a 5 mg7kg/h fino alla chiusura della cute. La paziente è stata

decurarizzata con Sugammadex 100 mg ed estubata 8 minuti dopo la sospensione

del propofol. I parametri vitali di Alina sono rimasti stabili e nella norma per tutta

la durata dell’intervento e nel postoperatorio ma per maggior sicurezza è stata

comunque ricoverata in rianimazione per le prime 24 ore. Il neonato è di sesso

maschile con un peso di 2450 gr e un Apgar score di 9/9. ! 32

Il decorso del post partum è stato regolare e l’ecacardiogramma condotto prima

della dimissione era sovapponibile a quello dei controlli pre TC.

Attualmente Alina è in condizioni cliniche stabili, il bambino è affetto da sindrome

di Marfan ma non presenta alcuna complicanza cardiovascolare.

CONCLUSIONI

La gravidanza in una paziente con sindrome di Marfan è gravata da elevat

mordilità e mortalità sia materna che fetale. La complicanza più seria è la

dissezione dell’aorta toracica che richiede un intervento cardiochirurgico urgente

in circolazione extracorporea, tale evenienza è molto spesso mortale per il feto. Se

il feto è in epoca gestazionale vitale si dovrebbe procedere con il cesareo subito

prima o insieme all’intervento cardiochirurgico per potergli dare una possibilità di

sopravvivenza. Se il feto non è in epoca vitale, come nel nostro caso è

fondamentale una diagnosi precoce di dissezione con successivo intervento

chirurgico con by pass cardiopolmonare eseguito rispettando tutti i principi prima

descritti che permettano un efficacie scambio a livello placentare riducendo il

rischio di ipossia e acidosi fetale.

! 33

! 34

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