La Rassegna d’Ischia 6-7/2001 3 · madre del meraviglioso siste-ma Cristologico che è l’unità...

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Anniversario “Nozze d’argento sacerdotali” del parroco Giuseppe Morgera

(Basilica pontificia S. Maria Maddalena Casamicciola Terme)

Nella ricorrenza del 110° anniversario delle nozze d’argento sacerdotali di Giuseppe Morgera (27 set-tembre), don Vincenzo Avallone ha voluto ricordare questa data particolare, richiamando i fedeli tutti in preghiera presso la tomba del parroco “santo”, che tanto si prodigò per la riedificazione della chiesa, dopo il terremoto del 1883, e che tanto operò a favore delle popolazioni locali. Intanto stanno per giungere a conclusione i lavori interni ed esterni alla parrocchia.

A distanza di 90 anni rileggiamo la Lettera Pastorale

di mons. Giovanni Scotti arcivescovo di Rossano

di Giuseppe Silvestri

Mi è capitato di leggere la Lettera Pastorale (*) con la quale mons. Giovanni Scotti si rivolge al clero e al popolo della sua Diocesi in qualità di vescovo di Cariati. E uno scritto che, a di-stanza di novanta anni (è del 1911), presenta spunti di straor-dinaria bellezza ed attualità e soprattutto consente anche a chi non ha gran versatilità teologica di comprendere, di capire ve-rità fondamentali e di sentirsene investito nel profondo dell’a-nima.

L’autore riesce ad accendere gli animi, trovando in Paolo di Tarso, San Paolo, il suo riferi-mento e modello di elezione. In una veloce sintesi mi sono soffermato su aspetti essen-ziali che riguardano la defi-nizione ed il compito del Ve-scovo attraverso tre domande che l’autore si pone e a cui, sempre con San Paolo, dà le interessanti risposte. L’esor-dio è

Magna Grecia, voi, miei di-letti Cariatesi”.

Ci si pone quindi la prima domanda: Chi è il Vescovo? E, ricorrendo alla scuola dell’a-postolo Paolo, si dice “che non è solo il tipo ideale del

Vescovo cattolico, ma anche il grande pioniere della teologia cristiana”. Chi è il Vescovo? “Cristo”, risponde l’apostolo.

Nella Lettera ai Galati (11,20) è riportato il motto su-blime, il motto che era una ri-velazione e doveva produrre, dice mons. Scotti, una rivolu-zione nelle menti: “Io son Cri-sto; Cristo è la mia vita. Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus; mihi vivere Christus est”.

Paolo ha definito se stesso, definendo se stesso ha defini-to l’Apostolo, definendo l’A-postolo ha definito il succes-sore dell’Apostolo, il Vescovo dei secoli futuri.

Mons. Scotti, insistendo su San Paolo, evidenzia la cellula madre del meraviglioso siste-ma Cristologico che è l’unità e

la perpetuità del sacerdozio: “nel cristianesimo esiste un solo eterno sacerdote, Gesù Cristo”.

Gli Apostoli sono il Cristo. La penetrazione, dunque, il nascondimento del Cristo nell’apostolo, o meglio la tra-sformazione dell’apostolo nel Cristo.

San Paolo ha dato luce dog-matica a ciò che poteva ap-parire soltanto poetico, dice mons. Scotti. Egli aveva scelto come tessera: “victus Christi” e di fronte a tante manifesta-zioni di affetto, non riuscendo a frenare la piena del suo cuo-re, si lascia sfuggire l’espres-sione in cui, afferma mons. Scotti, vibra tutta la sua anima riconoscente: “Sicut Christum Iesum excepistis me” (Gal. IV 15). Il testo procede ribaden-do il concetto della penetra-zione del Cristo nell’umano e specialmente nel povero e nel sofferente, e non solo.

Sempre San Paolo: “Cittadi-ni di Corinto, volete conoscere il Cristo? Ne volete la prova?” - “Ebbene, conoscendo voi stessi, conoscete Gesù Cristo: non è forse in voi il Cristo?”

Parole, secondo mons. Scot-ti, che sono la conferma di tutta la dottrina cristologica di San Paolo, la quale si com-pendia nelle due pittoresche immagini del “corpo” e dell’

*) Mons. Giovanni Scotti - Prima let-tera pastorale al clero ed al popolo della Diocesi, Napoli, Tip. D’Auria, 1911.

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“edificio”. Tutti formiamo in Cristo un corpo solo, tutti formiamo in Cristo un edificio solo. Che vuole il Vescovo?

“Formar Cristo nelle anime”, risponde l’A-postolo. Mons. Scotti individua nella Lettera ai Galati il programma religioso e sociale del Vescovo ed in particolare nella frase: “Filio-li mei, quos iterum parturio donec formetur Christus in vobis” (Gal. IV 19).

Formare il Cristo? Ma non è follia? È follia, ma la follia di Dio, la follia innanzi a cui si è inchinata l’umanità, la follia che ha conver-tito il mondo, perché Gesù non ha fatto che crearsi negli uomini. Qui per “forma” deve intendersi “anima”, nel senso che Cristo di-venta la forma, ossia l’anima dell’anima no-stra.

Di questo prodigio l’artefice è il Vescovo. E ciò ancora una volta è chiarito da San Paolo. Una mistica leggenda esprime questa intima unità di Gesù e dell’anima: “un’anima pelle-grina dalla terra, ove ha vissuto sospirando il cielo, giunge alla dimora del Diletto (Gesù) e batte alla porta. Una voce dall’interno chie-de: “Chi sei?” L’anima risponde piena di fede: “Sono io”. - “Non vi ha posto per te e per me”. La porta rimane chiusa. Allora l’anima deso-lata ridiscende sulla terra, ripiglia la spoglia mortale, passa un anno intero nel deserto a piangere, pregare, far penitenza. Poi risale alla porta vietata e vi batte ancora. Come un anno prima, ode la voce del Diletto che dice: “Chi sei?” Ella risponde: “Sono te”. La porta si apre. Mons. Scotti attraverso questa rievo-cazione esprime l’effetto della formazione del Cristo nell’anima. L’anima e il Diletto, così Tommaso De Kempis chiama Gesù, diventa-no una cosa sola. Io son te, o Gesù, e tu sei me: ecco l’ultimo sforzo e lo slancio supremo dell’ascetismo religioso. Che cosa anima il Vescovo.

“La carità del Cristo” risponde l’Apostolo.San Paolo, infatti, scrivendo a quei di Co-

rinto, disse solennemente: “Una forza arcana mi agita e mi sospinge, un’ansia tormentosa mi rende impaziente, la carità del Cristo”.

Charitas Christi urget me. E, aggiunge mons. Scotti, non è che Paolo imiti la carità di Gesù Cristo. È qualche cosa di più sublime ancora. Egli palpita, egli ama col cuore stes-so di Gesù Cristo perché, come genialmen-te scrive il Crisostomo, Paolo non aveva più

Mons. Giovanni Scotti

cuore, il suo cuore era il cuore di Cristo: Cor Christi, cor Pauli erat.

Viene riportato un bellissimo episodio del Quo vadis. “Che cosa portate voi al mondo? Chiede Vinicio in nome di Petronio ai due Apostoli Pietro e Paolo. “La Grecia creò la sa-pienza e la bellezza, Roma la forza: e voi, in nome del cielo, che ci portate?” - “Noi rechia-mo, dicono gli apostoli, noi rechiamo Carità”.

Lasciando intatto il mistero profondo del-la sua essenza, dice mons. Scotti, ci terremo paghi di dire che, quando essa, fiamma sacra, si accende nei cuori, s’accende nella società, comunica la vita a tutti, è la vita di tutto.

Scienza, civiltà, eroismo sono vibrazioni della carità di Gesù Cristo. Ed il Vescovo so-prattutto diventa protagonista nella ricerca ed affermazione della carità. E dopo diversi esempi sulla carità, il Vescovo conclude con San Paolo: “Chi ci separerà dalla Carità in Cristo? Forse la persecuzione? Forse la mise-ria? Nulla”.

Le ultime parole della lettera sono, ovvia-mente, dedicate al clero, alle autorità e ai fe-deli della sua Diocesi.

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Politica

Patti o l’Eden al Mezzogiornodi Giuseppe Mazzella *

Si è sviluppato di recente sul-la stampa regionale (Il Mattino, Repubblica, Corriere del Mezzo-giorno, Il Denaro) il dibattito sui patti territoriali e sulla cosiddet-ta “programmazione negoziata” e spesse si è sottolineato che il fallimento è stato determinato soprattutto dalla farraginosità delle procedure “centralizzate”. In sostanza - è stato posto in luce soprattutto dai sostenitori del-lo “sviluppo locale” - il mancato effettivo “decentramento deci-sionale” dallo Stato alla Regione è stato la causa principale del fal-limento.

Un accenno merita anche al mancato decollo del “marketing territoriale”, cioè delle politiche messe in atto dalla Regione e dagli enti locali per attrarre inve-stimenti italiani e stranieri nelle aree del Mezzogiorno.

Personalmente - avendo osti-natamente proposto per quattro anni un patto territoriale dell’iso-la d’Ischia al quale il Presidente della Provincia di Napoli, Amato Lamberti, ha dedicato un grande impegno, ed avendo addirittura promosso e costituito una società privata di sviluppo economico, la Therme di Casamicciola s.r.l. che ormai dovrà essere posta in li-quidazione -sono dell’avviso che lo strumento del patto territoria-le è fallito perché a torto gli “at-tori locali” lo hanno visto come il novello “messia economico” che portava il “paradiso dell’Eden” nelle realtà locali subprovinciali. Insomma la Cassa per il Mezzo-giorno uscita dalla porta avrebbe dovuto rientrare dalla finestra sotto mentite spoglie, essendo

nelle realtà locali meridionali il “sociale” prevalente sull’ “econo-mico”.

Bastava - è stato creduto - im-bastire un documento economi-co generico con il quale 5/6 co-muni progettavano investimenti per decine di miliardi per avere da “papa-Stato” cento miliardi a fondo perduto.Non era così. Fin dal primo ap-parire in una legge finanziaria di cinque anni fa veniva sottolinea-to che il patto territoriale era uno strumento di “programmazione economica” che voleva “stimola-re” investimenti produttivi e non cattedrali nel deserto. Il finanzia-mento fino ad un massimo di 100 miliardi veniva dato a quelle ini-ziative private, pubbliche o mi-ste, capaci di creare reddittività ed occupazione su realistici “bu-siness pian” certificati da istituti finanziari. Cosa ben diversa dagli “interventi a pioggia” della de-funta Cassa per il Mezzogiorno.I patti territoriali - nel caso del Mezzogiorno - potevano essere un grande strumento di sostegno dell’economia locale, soltanto in quelle microaree dove gli inve-stimenti erano convenienti. Ed infatti in 15 casi i patti territoriali

ed i loro “strumenti-gemelli”, i contratti d’area, hanno prodotto altrettanti nuovi distretti indu-striali.

Nel caso dell’isola d’Ischia - area turistica matura con 6 mi-lioni di presenze e 40 mila posti-letto - il patto territoriale poteva e doveva essere lo strumento di programmazione che puntava ad investimenti nei comuni in decli-no industriale.

Nell’isola d’Ischia è stato in-dividuato il Comune di Casa-micciola Terme dove vi erano e vi sono 12 aziende termali di-smesse, fra le quali il gigantesco complesso del Pio Monte della Misericordia, 52 mila me. Tale struttura è in rovina da almeno 29 anni dopo essere stata per cir-ca 4 secoli il “pilastro” dell’anti-co termalismo ischitano. Inoltre nell’ultima stagione turistica non è stato aperto l’Hotel Manzi, per lavori di ristrutturazione ancora in corso. I sei Comuni dell’isola avevano l’occasione di mettere a punto un progetto di “solidarietà economica” verso Casamicciola, posta al centro del recupero in-dustriale, anche per avviare una realistica politica sovracomunale o comprensoriale capace di giun-

* Presidente del Centro Studi su l’isola d’Ischia

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gere in tempi brevi al Comune unico per tutta l’isola di cui si parla da molti anni.

Non bisognava puntare ad un nuovo “libro dei sogni”, ad una nuova lottizzazione intercomu-nale di cui è stato esempio barba-ro l’ultimo piano della legge 64, ma ad nuova politica economica locale capace di sviluppare vera-mente la “coesione economica” dell’isola d’Ischia.

Bisognava quindi massimizza-re gli sforzi affinché nell’area di Casamicciola fossero resi possi-bili, prima giuridicamente e poi economicamente, gli investi-menti e si doveva mettere mano ad una società-mista di trasfor-mazione urbana, prevista dalla Legge Bassanini completamente

recepita nel testo unico degli enti locali, per “acquisire con l’espro-prio le aree dismesse”.

Se si realizzava infatti un gran-de investimento alberghiero-ter-male nel Pio Monte della Miseri-cordia con circa 500 posti letto, era lecito prevedere che si poteva determinare un nuovo sviluppo del mercato locale con la riat-tivazione di tutti gli altri vecchi “stabili-memnti termali” dismes-si nelle aree storiche di Piazza dei Bagni, del Gurgitello e di La Rita.

Allora quindi si può e si deve rilanciare la programmazione negoziata - alla luce anche della filiera termale dei fondi POR - o con un nuovo patto territoriale o con un PIT, chiarendo che non sono più possibili né cattedrali

nel deserto, né interventi a piog-gia, né interventi in contrasto con il piano paesistico in vigore.

La programmazione negoziata e la politica di marketing terri-toriale sono assolutamente com-plementari.

I sei Comuni dell’isola d’Ischia hanno queste opportunità e so-prattutto il Comune di Casamic-ciola Terme non può perdere quest’ultimo treno per la ripresa dello sviluppo. Questa strada, per quanto difficoltosa ed apparente-mente utopistica, non ha alterna-tive poiché è stato provato che da solo il mercato non è capace di risolvere tutti i problemi causati da una crescita senza regole.

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Coppa di Nestore messaggera di pace

Il Comune di Lacco Ameno ha istituito, lo scorso anno, il pre-mio Coppa dì Nestore messagge-ra di pace, simbolo di fratellanza tra i popoli e di valori umanita-ri, con l’intento di offrirlo ai più grandi testimoni della solidarietà internazionale. Quest’anno, per la seconda edi-zione, il riconoscimento è stato conferito al Prof. Daisaku Ike-da, presidente della Soka Gakkai Internazionale, un’organizza-zione buddista laica, presente all’O.N.U. come O.N.G., la quale, al di là di qualsiasi schieramento politico e ideologico, si adopera per la diffusione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti uma-

ni in tutto il mondo. Attività di tale valore umanita-rio si sono svolte anche nella no-stra piccola comunità: iniziative in favore dei bambini dell’Hon-duras, della Moratoria della pena di morte, proposta di una legge regionale “per la promozione di un’educazione alla cultura della pace”. Pace, cultura, educazione sono, infatti, i cardini e gli obiettivi dell’attività che da cinquant’anni svolge Daisaku Ikeda, filosofo e scrittore, instancabile tessitore di legami tra i popoli. L’Amministrazione di Lacco Ameno, nella sincera compren-sione del pensiero e delle azioni

di Daisaku Ikeda, gli ha conferi-to il premio “Coppa di Nestore 2001” per il continuo e costante impegno per la difesa e l’affer-mazione dei valori essenziali dell’umanità e della civiltà. La cerimonia di conferimento del premio si è svolta il 15 set-tembre 2001 presso II Museo Archeologico Pithecusae di Villa Arbusto, insieme con una mostra relativa ai maestri di pace: M. K. Gandhi, M. L. King e D. Ikeda.

Il 25° anniversario della scomparsa di Luchino Visconti è coinciso con l’apertura alla fruizione pubblica della Villa La Colombaia, già di-mora del regista e che ospiterà una Scuola Internazionale di Cinema e di Teatro. “La Colombaia - ha detto il sindaco Franco Monti – dovrà rappre-sentare per Forio una finestra sul mondo, uno strumento di apertura alle novità, al dialogo e all’osmosi fra i popoli e le culture nel nome di Luchino Visconti e del messaggio universale del suo genio creativo. La Colombaia sarà la sede di un festival internazionale del cinema, di premi, rassegne, incontri, di un museo permanente dedicato a Vi-sconti e il sogno propulsivo di attività di formazione e comunicazio-ne in grado di suscitare l’attenzione dei media e la partecipazione del territorio in un percorso che apra le frontiere al turismo di qualità “.

FORIO

Aperta allapubblica fruizionelaVillaColombaia

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Nell’ambito di un Congresso Internazionale all’Orto Botanico di Napoli

Mostra dell’artigianato d’Ischiadi Gioacchino Vallariello

Nell’ambito del terzo congresso internazionale di etnobotanica svoltosi a Napoli, nel periodo 22-30 settembre presso l’Orto Bota-nico e il Dipartimento di Biologia Vegetale, tra le varie manifesta-zioni collaterali si è svolta una mostra dell’etnobotanica dell’I-talia Meridionale. Il giorno 26 settembre vecchi e giovani artigiani si sono esibi-ti nella preparazione di oggetti e manufatti vari approntati con materiale di origine vegetale. Proveniente dalle zone del Ca-sertano, è stata illustrata con tut-ti i materiali e gli attrezzi in loco, la sequenza della coltivazione, macerazione, estrazione di fibre, filatura e tessitura della canapa. Dalle aree vesuviane e del Vallo di Diano alcuni artigiani hanno

eseguito l’impagliatura delle se-die, l’intreccio con parti di giun-co e castagno. Con il primo sono state realizzate delle ‘tuscelle”, famosi contenitori per ricotta e formaggi freschi; mentre con il castagno sono stati realizzati vari tipi di “spaselle”. Per la Calabria alcuni artigiani hanno illustrato l’utilizzo della ginestra e l’antica tecnica di lavo-razione di questa pianta per l’e-strazione di fibre, filatura e tessi-tura con telaio a mano. Relativamente all’isola d’Ischia sono intervenuti alcuni artigiani che con l’arte dell’intreccio con parti di piante di specie diverse hanno realizzato l’impagliatura di alcune bottiglie e diversi mo-delli di cestini e canestri.

Per tutta la durata del congresso, cioè dal 22 al 30 settem-bre, è stata realiz-zata una mostra di artigianato ischi-tano, presentando numerosi manufatti realizzati con l’arte dell’intreccio con materiali di origine vegetale, utilizzan-do: canna, paglia di grano, rafia, infine una serie di stru-menti e attrezzi tipi-ci realizzati con par-ti di piante sponta-nee nell’isola. L’esposizione dei manufatti isolani è stata ammirata da numerose autorità e da un folto pubblico attento e interes-sato, inoltre è stata Manufatto con canna - Arundo donax (Foto G. Vallariello)

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ripresa e trasmessa dalla televi-sione nazionale, riscuotendo un grande successo. L’arte dell’intreccio con mate-riali vegetali è una delle tante espressioni di artigianato di ori-gine antica. Nell’isola d’Ischia essa viene ancora oggi espletata utilizzando le antiche tecniche di lavorazione tradizionali dell’iso-la, che molto spesso sono state e vengono ancora oggi traman-date, nell’ambito familiare, dagli anziani ai giovani. Sono numerose le specie vege-tali utilizzate dagli isolani per la realizzazione di manufatti con l’arte dell’intreccio, tra cui quelle maggiormente impiegate sono: Arundo donax L. - Arundo plinti Turra - Avena fatua L. - Castanea sativa Mill. - Corylus avellana

L. -Erica arborea L. - Fraxinus ornus L. - Juncus spp. - Myrtus commu-nis L. - Olea europaea L. - Phoenix canariensis hort. ex Chabaud - Pistacia lentiscus L. - Populus ni-gra L. - Raphia ruffia Mart. - Sa-lix alba L. - Salix spp. - Spartium junceum L. - Tamarix gallica L. -Triticum duruin Desf. cv. carosel-la - Typha angustifo-lia L. - Ulmus campestris L. Quasi tutte queste specie sono presenti sul territorio isolano, tranne il giunco che viene impor-tato da altre località italiane, la rafia dall’Africa, infine le diverse specie di salice di origine orienta-le che vengono importate semila-vorate dalla Cina e dalla Corea, e arrivate sui mercati italiani sono quasi pronte ad essere utilizzati. Nell’ultimo decennio, l’impor-tazione di materiali semilavorati

La singolare storia di un’an tica usanza di origine greca ortodos-sa acquisita dalla tradizione popolare ischitana

L’utilizzazione di Rubia tinctorum L. nell’isola d’Ischia

di Roberta Vallariello

Rubia tinctorum L., appartenen-te alla famiglia delle Rubiaceae, è una pianta erbacea perenne rizomatosa, strisciante, abbon-dantemente ramificata, dotata di lunghi fusti rampicanti a sezio-ne quadrangolare e ricoperti da brevi aculei rivolti verso il bas-so. Le foglie sono verticillate e si presentano in numero di 4-6 per ogni verticillo; anch’esse sono provviste di brevi aculei sia lungo il margine che lungo la nervatura mediana della pagina inferiore. I fiori compaiono da aprile a giu-gno, sono di dimensioni ridotte e con corolla gialla. I frutti sono nerastri, carnosi, di forma più o meno tondeggiante e di circa 5 mm di diametro; ognuno di essi contiene un unico seme. La denominazione di tale pianta deriva dal latino ruber e si riferi-

sce alla presenza, nelle radici e nei fusti sotterranei, di sostanze colo-ranti di cui la più importante è l’a-lizarina rossa; le radici polverizza-te venivano com-mercializzate col nome di garanza e adoperate per tingere in rosso filati e tessuti.

Successivamente, nel 1868 me-diante sintesi chimica Graebe e Lieberman riuscirono ad otte-nere la stessa sostanza coloran-te presente nelle parti ipogee di tale pianta; e a partire dal 1880 tutta l’alizarina rossa commer-cializzata era di origine sinteti-ca. In seguito a questa scoperta la coltivazione di R. tinctorum

Manufatto con paglia di grano (Foto G. Vallariello)

Rubia tinctorum L. - Rubiacee (Foto G. Vallariello)

Originaria dell’Asia occidentale e centrale, R. tinctorum fu intro-dotta in Europa, ove si diffuse ra-pidamente in coltivazione. Essa veniva utilizzata sia in fitoterapia che nell’arte tintoria; inoltre, i pastori la adoperavano (solo la parte epigea) per filtrare il latte dopo la mungitura, liberandolo così da eventuali corpi estranei.

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e di manufatti dai paesi orientali è cresciuta note-volmente; la maggior parte delle merci intrecciate vendute in Italia sono di origine cinese o coreana: questi prodotti hanno conquistato un grosso mer-cato poiché sono di ottima qualità e hanno prezzi molto più contenuti dei prodotti nostrani. Attualmente nell’isola d’Ischia vengono realizzati con l’arte dell’intreccio diversi manufatti, impie-gando sia materiali ricavati dalle piante locali, che prodotti semilavorati di importazione; utilizzando però sempre le antiche tecniche di lavorazione tra-dizionali isolane. Grazie a un lungo e certosino lavoro di ricerca e di indagine sul territorio isolano condotto con entusiasmo e impegno, è emerso un enorme pa-trimonio culturale custodito nella memoria degli anziani. Uomini e donne che nell’ambito della loro origine artigiana, contadina o marinara sono stati protagonisti di una esistenza dove bisognava utiliz-

fu abbandonata e tale specie si inselvatichì nelle zone costiere e submontane dell’Italia penin-sulare e insulare. Attualmente, R. tinctorum si ritrova in special modo nel sottobosco di ambienti a clima mediterraneo, al pari di una specie assai simile: R. pere-grina L. Entrambe le entità sono ancora oggi impiegate come piante medicinali. Nell’ambito delle tradizioni po-polari dell’isola d’Ischia, ove R. tinctorum è denominata in for-ma dialettale “rova”, durante le feste pasquali secondo il calen-dario liturgico della religione cri-stiana, è consuetudine preparare delle uova con guscio colorato, utilizzando a tale scopo le radi-ci e i fusti sotterranei di questa pianta; le uova sono usate per confezionare piccoli cestini da regalare ad amici e parenti e per decorare le tavole imbandite du-rante le feste. Sono numerosi gli ischitani che, in prossimità delle feste, si recano nei campi a raccogliere la “rova”; chi non conosce tale pianta chiede la cortesia all’ami-co o al parente di procurargliela. Successivamente, all’interno del-le mura domestiche e al sicuro da sguardi indiscreti, si fanno bollire le uova intere, insieme alle parti ipogee schiacciate ado-

perando accorgimenti particola-ri che consentono di evitare che esse si rompano durante la bol-litura e usando tecniche tintorie individuali; si ottengono, così, uova con guscio di colore rosa intenso o rosso porpora opaco oppure brillante. E da sottoline-are che le operazioni relative alla bollitura delle uova e alla colora-zione dei gusci non sono sempre le stesse; ogni ischitano, infatti, usa metodi particolari traman-dati da generazioni nell’ambito familiare, questi sono piccoli se-greti custoditi gelosamente. L’usanza di preparare uova co-lorate, ormai entrata a far parte delle tradizioni popolari ischi-tane, è di origine greca (orto-dossa). Ad ogni modo, essa non fu importata dagli antichi Greci che approdarono nell’isola d’I-schia nell’VIII sec. a.C, ma giun-se nell’isola molto tempo dopo, a causa di un triste evento che colpì gran parte del popolo gre-co verso la fine del XVIII secolo e in seguito al quale si costituì la minoranza greca presente nelle regioni meridionali dell’Italia.Nel 1770, la regina di Russia, Caterina II la Grande, mandò in Grecia due suoi generali, i fratelli Orloff, con l’incarico di organizzare una rivoluzione con-tro i Turchi che in quel periodo

dominavano sul popolo greco. Quest’ultimo, sperando che la Russia ortodossa potesse costi-tuire un grande alleato in grado di fronteggiare l’impero ottoma-no e di liberare la Grecia dalla dominazione turca, organizzò una grande rivolta che si rivelò particolarmente sanguinosa nel Peloponneso.Inizialmente, i Greci riuscirono ad ottenere alcuni successi, ma ben presto i Turchi ebbero la meglio; pertanto la rivolta fallì e i fratelli Orloff rientrarono in Russia, lasciando il popolo greco in balia dei loro dominatori. La rappresaglia dei Turchi fu feroce e sanguinaria e provocò un esodo di massa dei Greci verso l’Italia meridionale.Pertanto, la presenza di una mi-noranza greca almeno in parte albanofona in Italia meridionale non è altro che il risultato di que-sto triste evento storico. I Greci che giunsero in tali zone vi por-tarono i loro usi, costumi e tra-dizioni e, tra l’altro, introdussero nell’isola d’Ischia l’usanza di tin-gere le uova e le relative tecniche. Attualmente, si può affermare che questa consuetudine è ormai parte integrante della tradizione locale ischitana.

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zare al massimo e nel migliore dei modi tutte le risor-se naturali presenti sul territorio isolano.

Manufato con ginestra (Foto G. Vallarielllo)

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Miti e leggende La Grotta della Sibilla Questa grotta non rassomiglierà certo all’auten-tica e splendida Grotta di Cuma con “le cento vie e i cento antri”, situata sotto il Tempio di Apollo.., né a quella falsa e modesta, presso il Lago d’Aver-no, al “primo entrar nel doloroso regno”... E’ una grotta ben semplice, rustica, di... villeggiatura, ma, per contro, il luogo è oltremodo romantico e suggestivo, come lo è tutta la riviera del Comune di Casamicciola. La Sibilla veniva qui, secondo al-cuni, nella stagione estiva, attratta dalle acque e dalle stufe medicamentose. Altri, invece, alludono ad un suo soggiorno forzato fra questi mirti, viti e ginestre... Essa sarebbe stata perseguitata dal tiranno Aristodemo e si sarebbe rifugiata presso il Castiglione, come tante famiglie cumane che si erano ribellate contro i noti metodi di governo in-trodotti dal suddetto padrone del Regno di Cuma: nella gioventù egli eccitava passioni sensuali; negli uomini maturi uccideva, con lavoro e con tasse, tutte le aspirazioni; nei vecchi provocava sentimenti religiosi... Il “carnevale” di Aristode-mo durò circa quattordici anni. Dopo la fine del mostro - fu ucciso dalla bella Senocrita - la Sibilla, senza dubbio, ritornò nella sua dimora principe-sca sotto l’Acropoli di Cuma. Ma, secondo la tradi-zione, essa, in questa stessa grotta, presso la quale ci troviamo, avrebbe annunziato la venuta del Re-dentore. Il rev. O. Buonocore, nelle sue Leggende Isclane, afferma che i pescatori avessero raccolto i seguenti responsi “sulle foglie mezzo aggrinzite dal sole e inzuppate d’acqua: una vergine conce-pirà e partorirà un Figlio... e rifioriranno i tem-pi di Saturno... farà trionfare la giustizia... pieno di mansuetudine... tornerà l’ordine dal mare al mare” (4). Coloro che avranno dimenticato il vero essere

della Sibilla o delle Sibille troveranno nella se-guente “carta d’identità” elementi sufficienti, per poter eventualmente più o meno emanciparsi dalla scienza dei ciceroni e dei “conoscitori non autorizzati”. Eccola in poche parole: Si contano parecchie Sibille. Quella detta Eritrea o “cuma-na”, proveniente dall’Asia Minore, si chiamava Deifobe o Erofile (cara a Era, a Giunone). Secon-do altri: Cassandra (allora figlia di Priamo?) o Amaltea... Era figliuola di Glauco. Vergine, secon-do alcuni. Secondo altri: Apollo non potè essere da lei corrisposto che al patto di farla vivere tanti anni quanti granelli di arena avrebbe potuto tene-re in una mano. Visse molti secoli. Infine non le rimase che la voce per profetare. Eraclito ricorda che la Sibilla parlava senza sorridere, non si truc-cava e non adoperava profumi... Grazie a Eraclito le profezie della Sibilla furono lanciate nel gran torrente del pensiero filosofico. Essa scriveva i va-ticini sulle foglie degli alberi. Una raccolta di tali oracoli, in versi greci, fu, per mezzo d’una vecchia sconosciuta, venduta a Tarquinio il Superbo, ma andò perduta nell’82 durante l’incendio del Cam-pidoglio. Fu formata una nuova collezione, scritta da ebrei ellenizzati, ma questa venne distrutta per ordine del celebre generale Stilicone nel 405. La Sibilla amava l’autore del poema Farsaglia. Sarà poi vero? Divenne immortale sopra tutto per aver accompagnato Enea nell’inferno e, come abbia-mo detto sopra, per aver annunziato il ritorno dei tempi di Saturno: la venuta di Cristo. Gli oraco-li sibillini, esistenti tuttora, sarebbero, secondo il Reinach, imitazioni giudeo-cristiane, sebbene sian citati come testi ispirati dai SS. Isidoro e Gi-rolamo e ricordati nella messa cattolica dei defun-ti: Teste David cum Sibylla.

Wladimiro Frenkel(in L’Isola d’Ischia, nuova guida, II ediz. 1928)

Poetica origine di alcune fonti dal poema Inarime seu de balneis Pithecusarum di Camillo Eucherio De Quintiis, 1726

Il GurgitelloSi celebravano i riti propiziatori in onore di

Minerva nella città a lei consacrata (Napoli) alla maniera di quanto avveniva un tempo ella Grecia.

Da ogni parte accorrono Ninfe e Sirene e fra tutte brilla per bellezza Partenope con i capel-li annodati nell’oro, accompagnata da schiere di amiche che le fanno corona. Sono annunziate in arrivo: Egle Pizzofalcone), Ermis (monte S. Era-smo), Coniche (La Conocchia), Antiniana (Anti-

gnano), Platamona (Chiatamone), Labulla (corso d’acqua), Olimpia (Chiaja) Euplea (La Gaiola), Megara (Castel dell’’Ovo), Nisida, Inarime, e Mer-gellina (tutte queste sono collegate con altrettante località indicate in parentesi).

C’è anche Procida, la più bella delle Driadi, pre-diletta da Diana che l’ha istruita a trattare l’arco e le frecce nelle selve. E magari sarebbe quivi rima-sta! Maledirà invece l’insana decisione di venire al lido in onore di Pallade. Indossa una clamide adorna d’arabeschi e ben lavorata; una fascia di

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gemme le cinge il virgineo fianco; sulle spalle tin-tinna la faretra; il vento le scompiglia le instabili chiome. Simile quasi a Diana nell’aspetto e nel portamento! Un fato ineluttabile incombe però su di lei e le Parche sono pronte a spezzare il filo della sua vita!

Da Capri giunge Teleboo, un satiro esperto nell’arte della medicina e nell’uso delle erbe che leniscono le ferite e gli affanni. Appena scorge Procida, egli se ne invaghisce perdutamente. Pro-fonda ferita gli preme nel petto e nella mente si agitano pensieri e brame di conquistare, anche con l’inganno, la dolce fanciulla.

Sul far della sera, terminata la festa, le Ninfe si apprestano a far ritorno ai propri Lari. Teleboo si avvicina a Procida per acquietare il suo furore ed osa sfiorarla con la mano. Lei tremolante e stupita vuole sfuggire a tanto affronto e cerca una via di scampo; vede Inarime che si avvia verso la patria dimora e la prega di aiutarla e di condurla con sé. Insieme e prestamente così raggiungono il lido d’Ischia. Le insegue sempre Teleboo, che rapido le raggiunge. Procida volge le sue preci a Diana, con le lacrime deturpando il suo bel viso: “O dea, se a te sempre ho sacrificato un cervo, siimi pro-pizia e soccorrimi in sì grave momento! Fa che il mio persecutore esanime cada al suolo e precipiti nel Tartaro”. La dea non può soddisfare del tutto questi voti. Si oppone ai tentativi iniqui e sacrile-ghi di Teleboo, ma non riesce a sottrarre la fan-ciulla al suo sinistro destino. Procida, mentre si difende dal nemico, pudibonda, sente un brivido scorrere per il corpo, la voce le si spezza in gola, le guance diventano di gelo, un pallore l’assale tutta. Diventa pietra colei che fu Ninfa. La parte eccelsa, che i capelli coprivano, d’alberi si imboschisce, le chiome si trasformano in foglie, dalla faretra, ove erano le frecce, germoglia un bosco che vien po-polato di fagiani da Diana.

Nessuna forza può confortare peraltro Teleboo che furente si lancia sugli scogli di Procida, im-precando contro i numi e contro se stesso, perché vive ancora e non giace disteso tra le ombre infer-nali. Apollo, mosso a pietà, per rimuovere le cause delle lagrime, scuote le cime, i monti e sconvolge tutto il territorio: Procida si distacca da Ischia e procede in mezzo al mare (il Quinzi tiene presente la teoria che l’isola di Procida era prima unita ad Ischia): il timore suo l’incalza ancora, pur men-tre si allontana e cauta irride anche così l’amante deluso.

Su Teleboo cade la vendetta di Diana, per ave-re egli tentato di violare la vergine. Impotente di fronte al destino, il giovane sente irrigidirsi le membra ed il sangue fermarsi; trasformato in pie-tra resta come una figura esanime là presso le rive di Inarime. Piange peraltro, pur se privo di vita,

deplorando i fallaci amori della Ninfa e ardendo sempre di quelle insistenti faville da cui fu eccita-to, ardor spirano le stille che escono dagli occhi, come da un Piccolo Gorgo, donde il nome della sorgente, che ha virtù sanatrici, in quanto Febo le conferisce quei doni salutari corrispondenti alle erbe che Teleboo usava miracolosamente contro i malanni.

I bagni dell’Oro e dell’Argento Clio e Liriope, due sorelle di stirpe divina per

parte paterna, prole cara a Febo e degna di un dio, qui giungono dalle rupi di Ercole. Di esse s’inna-mora Giove, ma, poiché non riesce a conquistarle, si vede costretto a ricorrere ad inganni già speri-mentati, allorché generò Perseo da Danae. Si tra-muta ancora in pioggia d’oro mista a gocce d’ar-gento e penetra attraverso reconditi cunicoli nella dimora delle due fanciulle, le quali, vedendosi perdute, impallidiscono e quasi non danno più segno di vita. Ma Cibele, la dea della terra, non tollerando che nei suoi recessi si svolgano simi-li intrighi, offre una occasione di fuga attraverso uno squarcio che s’apre nel terreno. Se ne avvede Giove e si rammarica che proprio lui possa essere respinto e così vilipeso. Non ha forse i suoi ful-mini per vendicare l’affronto e punire le fanciulle imbelli? Ma poiché tale castigo non sarebbe pro-porzionato alla grave offesa ricevuta, decide che esse continuino a vivere, ma come fluenti acque e fonti, l’una d’oro e l’altra d’argento. L’acqua come testimonianza e vendetta del misfatto! Ambedue così vivono ancora come fonti, conservando l’ono-re delle vergini e nome illustre.

Il BagnitielloIcmeno, nato dalla ninfa Euplea, abitava un

tempo sotto sembianze umane le terre di Ischia. Ancora giovinetto tendeva nelle selve le reti, ma incauto saltando da una sponda all’altra di un tor-rente cadde nel mezzo delle acque. Con le sue for-ze non riuscì a venirne fuori e inutilmente chiese aiuto, agitando le braccia e invocando i suoi com-pagni. Vane anche le preghiere rivolte agli dei; ai suoi sospiri facevano vana eco le querule valli. Al fine Giove, mosso a pietà, non volle abbandonarlo al triste fato e così si rivolse a lui: “Non pianger più, almo fanciullo, fatti coraggio in modo degno di un nume; invece che di lacrime, ora scorrerai con acque salutari che allevieranno i morbi e gioia apporteranno. Su questi lidi che hanno reso vane le tue invocazioni, sollievo troverà chi è sofferente di mal d’orecchio”. Improvvisamente le membra del fanciullo si sciolgono in acque, le braccia, am-

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molliti i nervi, si tramutano in acque correnti; si liquefanno le dita e le gambe. Acqua diventano le ossa e gli omeri. Così aumenta il numero delle fonti di Ischia e qui traggono giovamento coloro che soffrono di ronzio alle orecchie o di sordità.

L’OlmitelloUn pastore, malaccorto, poiché non riuscì a

tener lontano dai vitiferi campi il suo gregge ma-rino, disperso da una tempesta, fu da Bacco tra-sformato in olmo. Successivamente, liquefatte le frondi, Nereo lo fece diventare una piccola sor-gente, il nome traendo dall’albero.

NitroliInfuriava per le contrade euboiche grave con-

tagio, causa di lutti continui, per cui la gente ri-volgeva preghiere e doni agli dei per impetrare protezione. Consultato l’oracolo, la Sibilla così vaticinò: “La salvezza che cercate, verrà soltanto da una Ninfa”. Di quale Ninfa si trattasse non si capiva e di tale incertezza profittò Iale, brava nel tramare insidie, nata in Aenaria, introdotta nelle schiere delle Driadi (ninfe dei monti). Cogliendo l’occasione del responso, si presentò come colei che poteva fermare il diffondersi della pestilenza. Ma ciò avrebbe potuto avverarsi soltanto dopo aver ricevuto doni votivi offerti presso altari a lei consacrati. Tutti accettarono le condizioni.

Poiché la profetessa aveva peraltro indicato che soltanto le acque di Ischia potevano portare la salvezza, Iale si insinua nei reconditi seni per i fu-manti bacini e per gli antri tenebrosi; raccoglie ni-tro e zolfo da mescolare con le acque salutari e già si appresta all’uscita, quando la scorge Inarime che, raggiuntala, così l’apostrofa: “Cosa cerchi? Chi ti ha spinto qui?”. Scoperta nel suo furto, Iale perde i sensi e la mente. Il gelido corpo si irrigidi-sce in sasso, così come in pietra si mutò Niobe, vi-sti esanimi i figli e il marito, rimanendo attaccata alla rupe di Sipilo. E, siccome prima, mentre folle desiderava gli onori dovuti al dio indigete, aveva rimescolato i doni di quei fossili stillanti sotto i rifluenti antri, come se questa fosse una debita parte di pena, fusi ancora i rapiti liquidi, a testi-monianza del furto, la celebre vergine venne in fonte mutata. E, poiché ciò che Iale aveva rubato ai lidi di Inarime odorava di nitro, anche alla fonte fu conservato il nome di Nitroli.

Citara Adone, di cui Venere era innamorata, morì

durante una caccia, ucciso da un cinghiale. Ella, addoloratissima, pregò Giove di richiamarlo in vita; ma intanto se n’era invaghita anche Persefo-

ne, dea dei morti, e non voleva resituirlo alla vita. Giove sentenziò che per una parte dell’anno Ado-ne rimanesse nel regno delle ombre e per l’altra tornasse tra i vivi.

La dea, che piangeva la morte del giovane, vol-se le vele della nave verso l’isola d’Ischia. Mentre soffriva nel ricordo e i lidi riempiva di lamenti, con gli occhi pieni di lacrime, così esclamò: “Scor-rete, lacrime, segni evidenti di un triste lutto! Così conviene celebrare e dare onore al giovanet-to. Così il dolore bruci i cuori. Né minor vena si sparga da perenne fonte e attesti eterno amore al cenere. Occhi miei, versate eterne lacrime che la terra poi restituirà nuovamente, dopo averle as-sorbite, come il fiume Meandro che dopo tortuoso giro fa ritorno alle sue sorgenti. Subito la terra si liquefa e splende una nuova fonte che da Citerea vien chiamata Citara; in essa è infusa una gran-de potenza che vuole essere una testimonianza dell’evento.

Le NinfeNel suo poema “Inarime”, l’autore viene ac-

compagnato da Iasolino, nelle mitiche vesti di

Podalirio-Iasolino conduce il giovane De Quinzi alla scoperta delle sorgenti isolane e gli mostra le Ninfe in-tente alla preparazione delle acque termali. In alto un putto regge una scritta con i versi: Vade, age, et illu-strein medicis fer ad aethera lymphis Inarimen (Su via, dunque, celebra Inarime famosa per le sue benefiche acque).

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Podalirio, semidio figlio di Esculapio, esperto dell’arte medica, nelle profondità della terra, dove incontrano le Ninfe che sono intente, sotto la sorveglianza e la guida di Inarime a fondere i vari metalli nelle sorgenti d’acqua: Criseide (oro), Idrargirite (argento), Calcantide (vetriolo), Càlibe (ferro), Alumiade (allume), Nitroli (nitro), Asfal-tide (bitume), Leucogèa (zolfo), Calcitide (rame), Galatea (salsedine), Ma-gnetide (il magnete), Ocra (argilla), Cadmea (ossido di zinco), Armeni-de (bolarmenico), Marcassite (pirite).

Appena giungono nelle patrie caverne, verso di essi si muove Inarime stessa che alma presiede su tutte, ed a cenni le guida: questo onore le concesse Cibele, la madre degli dei, la sovrana assoluta del-la natura feconda. Ognuna è intenta al proprio la-voro e accompagna col dolce canto la propria ope-ra: parte alimenta il fuoco, parte fonde i metalli e nelle vasche cola e getta, secondo convenienza; altre riempiono di solfo le caldaie e distribuiscono le acque.

“Osserva con attenzione”, dice Podalirio-Iasoli-no al giovane Quinzi: “Quella che riveste drappo lucente di molto oro e fra le trecce e al seno ne è pure ornata, e che dinanzi alle altre doviziosa avanza è Criseide, simile a vene di cava aurifera, occupata a filtrare l’oro. Colei che ha cura degli stagni vicini è ricca ancor essa e solamente a Cri-seide inferiore nel culto: dalle native rive strari-pando procede argentea e copiosa a pieno alveo, ed è detta Idrargirite. Poi le altre che già la fama

elevò al cielo, adornate di più corone pei vinti morbi. Calcantide, atre le guance, pur d’atro colo-re imbratta le Naiadi (l’acqua) e le rende di nereg-giante aspetto. Timore non incuta Càlibe (ferro): benché si aggiri in mezzo ai truci nemici, tra le fiamme e tra faville di polvere pirica, e sempre ar-rechi stragi, morti e violenti eccidi, non colleziona qui stragi, spargimenti di sangue, dannose rovine. Mutata nel genio, ora di novelli doni promotrice, vitali aiuti offre, quasi a dissolvere e compensa-re mali antichi e crudeli un tempo causati: essa cosparge di salubre ferro le acque, nelle quali si bagnano i corpi che felicemente possono ripren-dere le forze. Altre alle ribollenti caldaie attizzano le fiamme, dentro versando nitro, allume, solfo, bitume: Alumiade è la madre e intorno v’è l’almo coro delle figlie. Qui si trovano la salsa Nitroli, la sorella Leucogèa ed Asfaltide dai tetri vapori. Inoltre splende nella pompa peregrina, ostenta barbariche ricchezze e fonde del patrio metallo i tesori, Calcitide gratissima a Venere, già dea delle spiagge Ciprie ed or non ultima tra le Ninfe d’I-narime. E poi c’è la Nereide Galatea, che riempie i fonti del sale di amaritudine: a lei si accompa-gna quella che nera nel volto e sassosa a sé attira il rigido ferro, cioè Magnetide. Quelle altre poi che coltivano le chiuse stufe, trasmettendo salutari aure nelle fonti sono Ocra, Cadmea, Armenide e Marcassite. Tutte d’Aenaria, per virtù famose”.

(Traduzioni di Raffaele Castagna)

Tifeo oppresso dalla mole dell’isola d’Ischia (Sullo sfondo: rumori sordi risonanti in una

spelonca; colpi di martello su un’incudine, qual-che belato lontano)

Una Voce Tonante - E anche oggi le nuvole sono andate lontano, e laggiù pioggia a dirotto! La vendetta continua!...

Altra Voce Roca - Anche il resto dell’armento languisce! Se continua così, anche le ultime bestie finiranno.

La Prima Voce - E ostinato, il Tonante! Ah, se-dici mesi, e nemmeno una goccia di pioggia! La Terra, arsa, non produce che sterpi...

La Seconda Voce - Ancora si vendica, o nostro Capo, della tua richiesta di disporre con lui del dominio della Terra e del Cielo. Non è disposto, il Cronìde, a far partecipi delle sue immense fortu-ne, dei suoi privilegi!

La Prima Voce - Vedremo! Vedremo!! Anche la mia pazienza ha un limite!

Una Terza Voce (sommessa) – Ma se è questo l’ordine delle cose naturali! A noi poteva bastare il dominio della Terra. Non c’è altro essere che so-vrasti i Giganti...

La Prima Voce (aspra) - Insano e codardo, tu! Non sai che io voglio migliorare anche la vostra sorte? Indegno della nostra stirpe, generata dalla Terra madre!

La Seconda Voce - Ma se continua cosi... La Prima Voce - Io, Tifeo, capo dei Giganti, do-

minatore di questi territori che il prepotente ora distrugge...

La Terza Voce - Che dici mai, o Tifeo? Tifeo - Taci, maledetto! Io chiamo a raccolta la

inclita progenie! Bisogna punire il prepotente che distrugge ogni nostro sforzo. Suonate a raccolta!...

(Suono a martello, vocio nella caverna, frastuo-no, trambusto: i Giganti a raccolta).

La Prima Voce - Io, Tifeo, capo della stirpe possente dei Giganti, vi dico che la nostra situa-zione è divenuta pericolosa, insostenibile! Giove, il Tonante, si ostina a privarci della pioggia, in-dispensabile alla nostra vita, alle nostre bestie, mentre ne manda a torrenti poco lontano, così,

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per dispetto! E tutto languisce intorno a noi: non possiamo sopportare oltre questo affronto! Ho deciso: daremo la scalata alla magione della ma-gna genia dei celesti, li abbatteremo per sempre, e al loro posto regneremo noi, regnerà io!!!

Voci Sul Fondo - Osa, o Tifeo! Osa!!! Altre Voci - Tremendo! Temerario! Empio!!! Una voce (in primo piano) - E come, o grande

Tifeo ?... Tifeo - Ho già pensato! I monti saranno disvel-

ti dalle loro fondamenta e accatastati. Ve ne sono abbastanza nei nostri paraggi.

Una Voce - Ma Giove è il signore del fulmine... Tifeo - Tu paventi: noi ammasseremo i macigni

di notte, quando non può vederci. Voci Roche - Sì, sì, osa o grande Tifeo! Tifeo - A questa notte, allora. Date una prova

della vostra possanza; scegliete i massi più gros-si: occorre salir presto, improvvisi... E domani il dominio della Terra e del Cielo sarà nostro, sarà mio!... E delle piogge, disporremo come ci fa co-modo!

(Rumori, vocio di assenso che va affievolen-dosi. Si scioglie l’assemblea dei Giganti. Pausa).

L’annunciatore - Alta è la notte; sulla Terra ferve l’opera temeraria dei Giganti che per tentare la scalata all’Olimpo rimuovono i monti e li am-massano l’uno sull’altro. Il tentativo procede ala-cremente: bisogna far presto. Nel frattempo, gli dèi riposano tranquillamente. Il cielo è terso. Ma sugli spalti dell’eterea magione qualcuno veglia. Ecco quanto vi accade:

Una Voce Argentina - L’Aurora dalle dita di rosa ha sciolto il suo cocchio: tra poco pel cielo si stempererà la luce mattutina...

Una Seconda Voce - La Corte augusta tuttora riposa. E noi, qui, a spiare il fluire delle ore e de-gli eventi. Ma come è piccina, la Terra, laggiù! Da questo soglio tutto appare limitato...

La Prima Voce - Che vedo, lì, verso il mare che ribolle?!

La Seconda Voce - Una pila di monti che si sol-leva a vista d’occhio!!

La Prima Voce - Lì, nel potentato dei Giganti! La Seconda Voce - Ma che fanno?! Guarda: an-

cora un monte sulla pila, ancora un altro! La Seconda Voce - Un’idea diabolica! Certa-

mente Tifeo... La Prima Voce - Ieri si lamentavano per la

mancanza d’acqua; il padre li punisce per la loro tracotanza!

La Seconda Voce - Temerari! Scellerati!! Ten-tano la scalata alla nostra eterna magione! È ter-ribile!

Va’, va’! Vola! Desta l’olimpico Signore, suona la tromba, che tutti gli dèi accorrano! ... (Pausa)

Una Voce Solenne - Dunque hanno osato tanto i perversi? Insani! Proveranno ora quanto è tremenda la mia ira! E Tifeo, che pretendeva di scalzarmi dal soglio, di rapirmi l’imperio del mondo, sentirà più implacabile la pena. Quegli stessi monti che hanno rimossi dalle fondamenta serviranno per punirli: per sempre ne dovranno sopportare il peso... Tifeo dovrà soggiacere sotto il più pesante di essi... I miei fulmini!...

(Fragori secchi, consecutivi, crescenti. Pausa) L’annunciatore - Percossi dai fulmini tremendi

dell’olimpico Signore, i Giganti vennero rapida-mente annientati e i monti rovesciati giù dalla pila ciclopica; il paesaggio che ne sortì aveva aspetti singolari, sinistri ed attraenti al tempo stesso. Ciascuno dei Giganti fu condannato a sopportare il peso dei monti disvelti, e Tifeo il più grosso dei macigni, divenuto poi l’Epomeo, possente monte dell’isola d’Ischia, che fa corona al golfo di Napoli. In quella zona, e in quella poco lontana dei Campi Flegrei, ove la terra è pregna di misteriose forze rigeneratrici, si sarebbe svolta la titanica lotta dei Giganti contro gli dèi. Ma Tifeo non si rassegnò facilmente al suo crudo destino: ecco quanto an-dava lamentando qualche tempo dopo la temera-ria impresa.

Una Voce Roca (lamentevole). - Ah! Qual desti-

La disfatta dei Giganti (in Inarime di Eucherio Camillo De Quintiis)

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no terribile! E quanto pesa questo enorme maci-gno! Già, e fui io a

rimuoverlo, è vero! Ora mi opprime, mi toglie il respiro! Un vero peccato! tutto stava per sortire l’effetto! L’alba ci ha traditi! Eppure non sono sta-ti lenti i miei fidi! Ed ora la mia stirpe è distrutta! Qual triste destino: eternamente così, come mise-ri bruchi! Un tempo si aveva tanto dominio... Ma il Fulminante non potrà togliermi di vendicarmi per questa terribile condanna: io non darò pace a questa terra che mi sovrasta. Se non posso rimuo-verla dal mio dorso, la scuoterò; tremerà il suolo e si formeranno voragini: il mare, ribollente, vi si precipiterà; col fuoco della madre Terra formerà lave ardenti che distruggeranno l’opera degli uo-mini, di quelli che l’olimpico ha fatto succedere al nostro dominio. Vedremo! Vedremo!! (Pausa)

L’annunciatore - L’epilogo della lotta violenta tra i giganti e gli dei, che la mitologia vuole sia cul-minata con l’impresa più temeraria che la leggen-da ricordi, la scalata al Cielo da parte dei primi, fu tremendo per questi. Nella regione ove i Giganti abitavano, corrispondente a quella ora detta dei Campi Flegrei, ad occidente di Napoli, i monti, i piccoli coni, i crateri ardenti, sorsero dalle acque sconvolte, ma sulla schiena dei ribelli che rimase-ro inchiodati a sopportarne eternamente il peso.

Di fronte a quella costa, altri monti sorsero for-mando delle isole: quelle dell’arcipelago parteno-peo. Tra esse la più grande, Ischia, annovera un monte alto circa 800 metri - l’Epomeo - sotto il quale, vuole la leggenda, venne relegato Tifeo, il promotore della rivolta contro gli dei.

Questi non si rassegnò facilmente e l’isola, in passato, fu sconvolta dalla sua irrequietezza. Di-versi vulcani sorsero su quel territorio, e lave ar-denti si riversarono sui dolci pendii. Fumarono i vapori di infocate sorgenti anche in riva al mare, e frequenti furono gli sconvolgimenti del suolo, per cui i primitivi abitanti, a più riprese, dovettero ab-bandonarla.

Ma suggestiva era l’attrattiva che quella terra esercitava su tutti coloro che si trovavano a re-migare dinanzi alla stupenda Partenope, la città delle Sirene, per cui sempre vi ritornarono altri abitatori dopo le eruzioni vulcaniche e i violen-ti sconvolgimenti. Oggi, dal grembo della terra vengono fuori gli avanzi delle remote civiltà sor-te su quella incantevole plaga del Tirreno, posta di fronte a Cuma, la greca città campana di più millenni vetusta: vasi, anfore, urne funerarie di mirabile fattura ritornano ora alla luce grazie alle pazienti ricerche di appassionati archeologi-

Tuttavia, il Gigante continuava ad agitarsi e a distruggere, con i suoi contorcimenti, l’opera paziente e tenace degli uomini: e qui la leggenda ancora fiorisce per dar conto dell’ira finalmente

placata, del prodigioso trasformarsi di quella ter-ra in un’oasi fiorita nel più carezzevole bacio del Tirreno.

Alcun tempo dopo l’inesorabile condanna di Tifeo, qualche divinità cui era cara la peregrina bellezza, trovatasi a transitare su quel mare così ricco di storia e di eventi, volle intercedere per placare l’erculeo ruggente e per creare su quel lido un magico intreccio di elementi salutari e benefi-ci. Il Gigante aderì al richiamo alla mansuetudine, visto che nulla avrebbe potuto mutare il proprio orrendo destino e, preso dal rimorso per le sven-ture provocate a uomini innocenti, volle dar prova del suo pentimento. Lacrime ardenti sgorgarono copiose dai suoi occhi infocati, e queste dai numi vennero trasformate in acque salutari, capaci di lenire tanti malanni: quelle lacrime divennero la-vacri rigeneratori di for

za e di salute. Densi vapori emanano dalle an-frattuosita del terreno, e permeano l’aria di prin-cipi vivificatori; la primavera orna del suo sor-riso e vi largisce il suo tepore in tutte le stagioni dell’anno.

Oggi l’umanità sofferente largamente benefi-cia di quegli insperati rimedi per le sue sofferenze mentre la poesia, ispirata dall’aura del mito e dal-la suggestiva bellezza di paesaggi d’incanto, trae dalla leggenda e dalla storia i motivi per intessere intorno a quella plaga cerulea corone di figurazio-ni fulgenti.

La scienza, compiacente, annuisce... Cristofaro Mennella Da “Dalla terra alle stelle - Fatti e racconti del

passato, del mondo attuale e del prossimo futuro” - Società Editrice Internazionale, Torino

La storia d’u Munaciello Villa Joseph, la piccola casa dei poveri, era sor-

ta a Casamicciola per onorare la santa memoria del parroco, don Giuseppe Morgera.

Là, verso gli anni ‘30, insieme con altri vecchi ce n’era uno mezzo accidentato, che passava le giornate seduto su di una vecchia poltrona, pres-so un finestrone che si apriva sulla campagna. Sul tavolinetto al quale si poggiava aveva un libro di preghiere dal quale spuntavano delle listarelle ri-empite di numeri.

Zi’ Vicié - come tutti lo chiamavano e non so il perché, mentre il suo vero nome era Salvatore - aveva quasi novant’anni. Era corpulento e bion-do: quel biondo esotico così raro nella gente del meridione. Il suo pensiero dominante era il gioco del lotto.

- Giocate questo biglietto. Ai giovani la fortuna tocca almeno tre volte nella vita... - E tutta l’anima gli scintillava nelle pupille.

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La Rassegna d’Ischia 6-7/2001 17

- Zi’ Vicié, disse quella mattina il padre Cappel-lano, presentandogli un giovine signore, il Dotto-re non vuol credere che ai giovani tocca tre volte la fortuna nella vita.

- Padre, i giovani sono ciuccioni come gli Ebrei che condannarono a morte Gesù Cristo che era in-nocente. Hanno la fortuna in mano e non la sanno conoscere.

- Come accadde a voi in gioventù, non è vero?- Sicuro! Se fosse adesso... - Ma il Dottore non sa la storia d’u Munaciello.

Raccontatela; vediamo che ne pensa.Una tale richiesta lo rendeva felice. Egli raccon-

tò. - Venni a Casamicciola una settantina di anni

fa. Ero giovane e lavoravo nell’antico Monte della Misericordia, che

sorgeva a Piazza Bagni enon già lungo il lido del mare com’è adesso. Un

giorno, attraversando uncorridoio, sento che si va in cerca di un barbiere.

Nessuna meraviglia:

Casamicciola di allora non era quella di oggi. A quei tempi, in certe cose, era molto indietro. Io, oltre che il sarto, sapevo fare anche da barbiere e mi esibii.

- Servito il reparto medico, attraversavo il lun-go corridoio quando si spalanca la porta della stanzetta n. 22. Un frate francescano alto, robu-sto, biondo e che rideva, rideva, mi chiama dalla soglia.

- Mi avvicino. Gli bacio la mano e chiedo in che posso servirlo.

- Potresti radermi la barba? - Molto volentieri - rispondo - e mi metto all’o-

pera. - Quando mi accomiatai mi disse: - Tornate do-

mani e vi regalerò. - L’indomani, alle nove, bussai alla stanzetta

n. 22. Il frate mi aprì, biondo, sorridente. Poi si accomodò, pronto per farsi radere.

- Padre, che debbo radere? La vostra faccia è liscia liscia. Toccate un po’.

- L’altro, che sorrideva, sorrideva sempre, ag-giunse: - Fate una passatina lieve lieve.

- Dopo con gli occhi sfavillanti e sorridendo sempre m’invitò a prendere un cassettino di noce. Mi porse una chiavicina bianca e lucida come ar-gento e mi fece cenno di aprire e di contare.

- Aprii. Lì dentro c’erano alla rinfusa biglietti da mille, da cinquecento, da cento, da cinquanta, da dieci, da cinque lire. Li contai e li misi in ordine secondo il taglio. Poi chiusi con cura il cassettino e consegnai la chiavicina bianca e lucida al frate. Egli non la volle. Mi guardava e sorrideva. Che po-tevo fare? Posai la chiave sul cassettino, baciai la

mano al frate, che sorrideva, ed uscii. - Fatti pochi passi mi ricordai della mancia e

tornai indietro. - Bussai e ribussai. Nessuno rispose. Allora

girai la chiave nella toppa ed aprii. La stanza era vuota. Mi recai in Amministrazione. Il Segreta-rio non ne sapeva nulla; anzi mi assicurò che la stanza n. 22 era libera. Compresi tutto allora, ma troppo tardi...

- Avevi bevuto a quell’ora? - domandò il Dotto-re con una punta d’ironia.

- Sempre così i giovani! rispose contrariato il vecchio. Non vogliono credere che almeno tre vol-te nella vita la fortuna viene sui loro passi. Quan-do se ne avvedono è già troppo tardi... Sentite a me, Dottore: incominciate da questa settimana a sperimentare la vostra fortuna -. E in così dire gli porse una lista-rella di carta ingiallita, sulla quale erano segnati cinque numeri. L’altro, per un atto di cortesia, sorrise benevolo ed accettò.

- Favole di altri tempi, caro Dottore! - disse il Cappellano mentre si allontanavano.

- Senza dubbio, Padre. Ma a sentire parlare con tale convinzione e tanta fiducia nella vita un uomo ridotto in quello stato, noi giovani dovremmo non dico arrossire, ma almeno sentirci umiliati. La parola convinta di quel vecchio sofferente, poco meno di un rudere umano, credete a me, fa del bene; molto bene; riconcilia con la vita.

Pasquale Polito da “Sette Racconti Ischitani” ‘

Le campane di Santa Restituta Un particolare fascino ha sempre suscitato

la vicenda delle campane di S. Restituta, su cui molto ha lavorato la fantasia popolare. Due ac-cenni di esse si hanno in un documento pontificio emanato da Papa Sisto V il 13 gennaio 1590: “ec-clesia cum campanis et cortili”, e in un passo del Capaccio, storico del ‘500: “dalla torre di Monte Vico di Lacco partiva l’allarme e le campane di S. Restituta fuse in quel tempo suonavano a di-stesa” (si riferisce lo storico alle scorribande che i Turchi non di rado facevano sull’isola d’Ischia). Allora infatti questo era il più grande flagello per gli isolani; molto probabilmente gli assalti erano effettuati a partire dalla primavera: di ciò abbia-mo conservato il ricordo in alcuni stornelli popo-lari che vogliono indicare la fine delle invasioni: “A S. Restituta le fave so arrennute, le quaglie so fernute e li turchi so partute”. Ma nei primi anni del 1600 l’assalto non fu fermato e i Turchi, pene-trati nella cappella, ove era la statua della Vergine, ne saggiarono con un colpo di scimitarra il legno dorato e delusi, avendole ritenuto d’oro, balzaro-no sul campanile e rubarono le campane. Dopo

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aver assistito allo scempio dei rapinatori e al tra-sporto delle campane sulle navi, i coloni dispersi sulle colline vedono i pirati apprestarsi a partire col prezioso carico. Il capitano della galea dà or-dine di salpare le ancore; ma ecco che comincia a soffiare un vento impetuoso, il mare si increspa sempre di più, le onde diventano sempre più alte e spumeggianti, la nave ora si inabissa nei gorghi, ora è sospinta in elevazione sull’acqua. Le campa-ne sono gettate in mare per alleggerire il carico. Un solo pensiero in quanti erano sulle colline, le andremo a ripescare. E quando tornò il sereno, i lacchesi andarono per ripescare le campane, le agganciavano, provavano a tirare: fatica sprecata ed inutile. Nel corso dei secoli i vari tentativi, ri-pensati dalla fantasia popolare, non hanno avuto esito migliore. E la notte dal sedici al diciassette maggio quelle ccampane in fondo al mare dondo-lano a festa; e le anime belle che si recano sulla riva e restano in ascolto dicono che quei concerti sono paradisiaci: sono le armonie della verginità e del martirio!

Don Pasquale Polito ritiene che forse da questa tradizione popolare Renan derivò la leggenda del-la sepolta cattedrale di Is. «La lessi, la prima vol-ta, mezzo secolo fa, scrive Polito; in seguito l’ho riletta altre volte e sempre vi ho trovato delle af-finità. Mi sono deciso a trascriverla, convinto che non sia una divagazione, ma un arricchimento del discorso. “Una delle leggende più diffuse in Breta-gna - riporta Renan - è quella di una pretesa città di Is, che in un’età non conosciuta sarebbe stata inghiottita dal mare. In diversi punti della costa viene mostrata l’area occupata da codesta città favolosa, e i pescatori ne fanno strani racconti. Nei giorni di tempesta - assicurano - si scorgono nel cavo dei marosi le punte delle guglie delle sue chiese; nei giorni di calma, si ode venire su dall’a-bisso il suono delle sue campane modulante l’in-no del giorno. Mi pare spesso di avere in fondo al cuore una città di Is, che suoni ancora campane, ostinate a convocare ai sacri uffici dei fedeli che non le intendono più. Talvolta mi soffermo a por-gere l’orecchio a codeste tremule vibrazioni, che mi paiono venire da profondità sconfinate, quasi voci d’altro mondo. Soprattutto all’approssimarsi della vecchiaia ho preso diletto, durante il perio-do estivo, a raccogliere siffatti lontani sussurri di un’Atlantide scomparsa”.

La musicadella Pietra Perciata Una delle tante pietre che si vedono lungo i

pendii della Falanga, un grande masso di tufo, è

chiamata Pietra Perciata, cioè bucata. Fra quei buchi dicesi che si ritirasse il vento per riposarsi dalla sua furia, quando era stanco di scompigliare le creste delle onde e le chiome degli alberi. Ai lati della Pietra zampillavano due fontanelle. Un po-vero pastore innamorato, cieco, condotto il greg-ge al pascolo, qui si metteva a sedere e trascorreva il tempo a percuotere con il palmo delle mani le pareti del tufo. E i colpi si tramutavano in note musicali, sicché si udiva una musica sublime e ar-cana: questa raccontava l’epopea dell’isola ed era commentata dal gorgoglio degli zampilli delle due fontane.

Attratto dalle note, il serpente dalle sette teste usciva dai sotterranei della Pietra Martone e si at-torcigliava intorno alla Stele del Drago, incantato e sottomesso. Tutti gli abitanti delle zone limitro-fe, nelle notti insonni, potevano udire quei con-centi misteriosi e ne restavano affascinati.

Pietra Grotta del Cavaliere Quivi si era rifugiato un Cavaliere che, non

avendo potuto ottenere la mano della Principes-sa, aveva dedicato il suo cuore alla vita campestre. Egli spagliava il grano sulla Pietra Due Grotte e, quando aveva sete, si sporgeva a bere nella sotto-stante cisterna dal buco sul pelo dell’acqua. Anche un sacro ministro, per attendere con maggior im-pegno alla mistica contemplazione, sulla Falanga, solitaria come un convento di frati, nella Grotta del Prete aveva trovato le dolcezze dello spirito.

Il valentissimo architetto di tutte queste pietre aveva intanto trascorso la vita a scavare i Fine-stroni, Pietra Rapesta, la Grotta del Pennino; s’e-ra prefisso di trattare con ricchezza di particolari Pietra Blox, di Schioppa, di Tatillo, di Don Gio-vanni, di Scappuccino, della Madonna dèi Turchi; ma, giunto alla Pietra del Cantariello, sentì l’av-vertimento dell’angelo del riposo. Sorretto dalla fortissima tempra si scavava la bara nellla Pietra dell’Acqua, e si effigiava in quest’ultima opera del suo ingegno, come la firma sull’ultimo capi-tolo di un libro. Dopo tanti secoli ancora oggi chi va alla Pietra dell’Acqua, sul fondo, nel tremolio dell’onda vede l’effigie di quel valoroso che con un braccio solo aveva saputo dare agli uomini opere, che il tempo ingiurioso ha rispettato con riverente ammirazione.

(G. G. Cervera, in Questa è Ischia, Napoli, 1955)

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Sezione d’Ischia del Tribunale di Napoli

Un’epigrafe marmorea dedicata a Filippo Di Lustro Con un crescendo di interesse e di emo-zione, e con larghissima partecipazione di pubblico, di autorità civili e militari, non-ché di rappresentanze scolastiche e di al-cuni componenti della rispettiva famiglia foriana nell’atrio della Sezione d’Ischia del Tribunale di Napoli, al suono della Mar-sigliese, il 18 ottobre e. a. è stata scoperta un’epigrafe marmorea dedicata all’avvoca-to fonano Filippo di Lustro ( 1769-1799). Nel segno della continuità ideale, lo sco-primento della lapide è stato affidato a due studenti della quinta elementare di Forio, sezione staccata di Panza, gli alunni Iaco-no Martina e Caruso Francesco che hanno tolto la bandiera italiana che provvisoria-mente la ricopriva.Il Giudice dott. Albino Ambrosio, presi-dente della sezione di Ischia del Tribunale di Napoli, ha dato il benvenuto a tutti sof-fermandosi sul valore culturale e storico dell’iniziativa dell’avv. d’Ambra. Il sindaco di Forio, Franco Monti, ha ri-cordato che già nell’Ottocento il Comune di Forio dedicò una strada ad di Lustro, che è da annoverare fra i migliori figli di Forio. Ha concluso l’avv. Nino d’Ambra, pre-sidente del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, promotore dell’iniziativa, che ha tracciato un ampio profilo biografico del di Lustro inserendolo nel periodo storico in cui operò.

All’avvocato foriano Filippo di Lustro (1769-1799)

Antesignano contestatore del dispotismo borbonico.Negli anni 1792-1794

Fu tra i primi italiani a sentire irrinunciabileil fascino prepotente della Libertà,dopo un lungo letargo nazionale.

Sfuggito con altri alla cattura,fu accolto fraternamente nella Repubblica di Oneglia

da Filippo Buonarroti.Sorte benevola che non arrise

a tre dei suoi giovani compagni:Emmanuele de Deo,

Vincenzo Vitaliano e Vincenzo Galiani,afforcati in Piazza Castello a Napoli

Il 18 ottobre 1794.

Il Centro di Ricerche Storiche d’Ambra,il Tribunale di Napoli – Sezione d’Ischia

e il Comune d’Ischiauniti

nella riconoscenza e nel perenne ricordodei Martiri per la Libertà

Ischia 18 ottobre 2001

Filippo Di Lustro Nacque a fono a Ischia nei nel 1769. Si laureò in Legge presso l’Università di Napoli ed iniziò ad esercitare la professione di avvocato. Fra i più attivi e determinati contestatori del dispotismo borbonico durante il triennio giacobino a Napo-li 1792-1794. Fra gli organizzatori della Cena di Posillipo dove si riunirono i diciotto principali cospiratori che fondarono la Società Giacobina Napoletana, di cui il di Lustro fu tra i dirigenti principali. Scoperta la congiura, riuscì con altri a fuggire. Si nascose per alcuni giorni negli anfrat-ti dell’Epomeo, poi un gozzo di Lacco Ameno di

notte lo condusse a Terracina, indi a Civitavecchia e di qui raggiunsi Oneglia (oggi Imperia), dove si era insediata una piccola repubblica filofrancese col presidente Filippo Buonarroti (1761-1837), professore, avvocato, scrittore politico e rivolu-zionario a tempo pieno. Il di Lustro ebbe incari-chi organizzativi nell’amministrazione pubblica di Oneglia, che espletò in maniera esemplare ed irreprensibile, come ha 1lasciato scritto lo stesso Buonarroti nei relativi registri che oggi sono con-servati presso l’Archivio Nazionale di Parigi. Il Di Lustro nel 1795, dopo la revoca del mandato a Buonarroti, si trasferì a Parigi. Nello stesso anno fece parte di una delegazione di patrioti italiani in esilio, che ebbe un abboccamento a Nizza con il Generale Napoleone Bonaparte, per discutere di quale ruolo avrebbe avuto l’Italia nelle mire espansionistiche francesi. Nel 1796 aderì alla cospirazione di Babeuf (vedi

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“Manifesto degli Uguali”). Scoperta la congiura, si arruolò nell’esercito di Napoleone raggiungendo il grado di Commissario di Guerra, soprattutto per la capacità oratoria di convincere i soldati ce combattevano per la Libertà.Morì in battaglia durante la campagna napoleoni-ca d’Egitto il 25 luglio 1799 combattendo contro i Turchi (detta seconda battaglia di Abukir, batta-glia terrestre dove vinsero i Francesi). Nel 1798 erano state pubblicate a Roma le sue

“Massime Repubblicane” (unico scritto del di Lu-stro che ci è pervenuto). Le attività del triennio giacobino “a Napoli pre-pararono il terreno politico-culturale della futura Repubblica Napoletana del 1799, ma soprattutto segnarono il primo scossone a favore della liber-tà e contro la tirannide, che sarà l’inizio di quel lungo processo culturale, politico e patriottico che porterà, attraverso l’epopea del Risorgimento, all’Unità d’Italia.

Convegno al Castello Aragonese

“Aloe, la dolce via del benessere” Presso il Castello Aragonese di Ischia Ponte si è svolto il 16 settembre u. s. un convegno intitolato “Aloe, la dolce via del benessere”, il cui tema cen-trale sono state le numerose applicazioni dell’a-loe, una pianta assai diffusa nell’isola d’Ischia e largamente impiegata in cosmetologia e nel trat-tamento di varie malattie. Giancarlo Bruschim, tra i massimi produttori italiani di estratto di aloe per fini terapeutici e grande esperto in materia, ha fatto il punto del-la situazione illustrando i più recenti risultati scientifici. Risultati a dir poco sorprendenti: l’a-loe, ormai ufficialmente riconosciuto come valido stimolante del sistema immunitario, sta rivelando un potenziale imprevisto nelle terapie antitumo-rali e addirittura nella cura dell’Aids, riuscendo in alcuni casi a determinare un rallentamento della malattia. Se a tutto ciò si aggiunge l’assenza di ef-fetti collaterali, si spiega la particolare attenzione del mondo scientifico. Carlo Jovine, neurologo romano, oltre a confer-mare le qualità dell’aloe come antitumorale, ha voluto testimoniarne i benefici effetti su pazienti affetti da deterioramento mentale, nei quali ha portato al miglioramento di alcune funzioni qua-li la vigilanza, la concentrazione e l’orientamen-to spazio-temporale, anche se - avverte Jovine - nonostante i risultati incoraggianti, è necessario continuare la ricerca per approfondire l’entità di tali effetti. Paolo Montenero, medico neurologo e appas-sionato cultore delle frontiere più avanzate della ricerca

scientifica, ha coinvolto l’attentissimo pubblico illustrando alcune prospettive affascinanti e al tempo stesso assai concrete. Il futuro della me-dicina vedrà lo sviluppo, accanto alle tradizionali terapie orientate a curare le singole alterazioni or-ganiche, di terapie complessive tendenti a rigene-rare l’equilibrio dell’intero organismo, incluse le emozioni e la sfera mentale. Tutto ciò avverrà in-tervenendo sulle alterazioni di campo elettroma-gnetico che sono all’origine di numerosi squilibri organici, basandosi sulle conoscenze relative alla struttura atomica delle molecole consentite dagli sviluppi più recenti della fisica nucleare. Nel corso dell’incontro, organizzato a cura di Clementina Petroni, è stata anche ufficializzata la creazione della sezione di Ischia dell’Unione Na-zionale Scrittori, che sarà coordinata dalla stessa Petroni. Massimo Nardi, segretario generale dell’Unione Nazionale Scrittori, ha spiegato le finalità dell’or-ganizzazione che, forte di una presenza sulla scena culturale da più di mezzo secolo, ha recentemente attualizzato la sua identità associativa al fine di in-teragire con le istituzioni per incentivarle ad una più efficace politica di promozione della cultura. Per conseguire questi scopi l’Unione Nazionale Scrittori (la cui sede è a Roma) si sta diffondendo in molte città italiane, e certo il Castello d’Arago-na è destinato a dvenire una delle sue rappresen-tanze di maggiore prestigio.

*

L’Eco della Stampa

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ArteLa Galleria Del Monte

di Alina Adamczyk Aiello

La Galleria di Giuseppe Del Monte è in Forio, via Statale Forio-Lacco n.64. Trovarla è facile. A metà strada fra Lacco Ameno e Forio un po’ si cela, un po’ si rivela la contrada Scentone: un agglomerato di costruzioni antiche e moderne fra cui spicca la caratteristica architettura ecclesiale locale della Chiesa del Purgatorio. All’opposto lato si trova proprio la Galleria Del Monte. Subito dopo, in di-rezione di Forio, sorge la Villa Regine, casa natale del Vescovo Giovanni Regine (1856-1918). Lo sta-bile antico/moderno in cui ha la sede la Galleria d’arte moderna si inserisce bene nell’impalcatura storica e culturale foriana, così percepibile in ogni contrada di questo Comune. Le dimore signorili più o meno antiche hanno sempre contribuito a nobilitare con la loro presenza sociale ed architet-tonica ogni centro abitativo, ma oggi più che mai siamo sensibilizzati alla conservazione e utilizza-zione del patrimonio ambientale anche architet-tonico.

Il proprietario della Galleria, Giuseppe Del Monte, trasformò il vecchio casolare isolano ori-ginario degli inizi del settecento, rude, solido ed essenziale, nell’odierna architettura funzionale e confortevole, generosa di spazi, solenne e rispet-tosa di tradizione. I vecchi muri non sono stati offesi da nessuna forzatura formale, al contrario, sono stati valorizzati al massimo. Il bel giardino, pieno di piante ornamentali, il piccolo stagno e la ricca vegetazione sempreverde creano l’atmosfera di positiva contemplazione, si potrebbe dire che il verde dell’ingresso svolge la funzione preparato-ria per entrare nel contatto con l’aura artistica che ci aspetta dentro. L’attività artistica e tutto ciò che si collega con essa possiede il misterioso alone di superiorità o almeno di diversità della dimensio-ne spirituale umana mai abbastanza conosciuta.

La sistemazione architettonica di tutto il com-plesso casa/giardino, interno ed esterno, è stata ideata dall’architetto Cesare Longo che vive e la-vora a Forio. Lo stesso architetto per molti decen-ni ha prestato la sua opera di sostegno e di ma-nutenzione ai giardini della Mortella (di solito si parla unicamente del grande paesaggista Russel Page, creatore dello splendido complesso bota-nico dei coniugi Walton, dimenticando chi ha continuato l’opera del celebre inglese). Pronta la

sede, nell’estate del 1984 Del Monte (Peppe per gli amici, professore di matematica al liceo clas-sico d’Ischia), inaugurò la galleria d’arte moder-na. Qui bisogna precisare che la moglie di Peppe, Rosaria, anche lei impegnata professionalmente nel settore scolastico, dal primo momento è stata sempre degna e fedele collaboratrice del titolare. Questa loro “avventura” ricca di aspetti artisti-ci, economici, imprenditoriali e sociali, richiede molta determinazione perché l’attività in questo settore è sempre condizionata anche dalla passio-ne e, collegata con essa, la conoscenza del mon-do dell’arte. Aprendo la galleria d’arte moderna, Peppe Del Monte ha realizzato il suo sogno; sua moglie Rosaria nel corso degli anni ha contribu-ito generosamente al consolidamento di questa struttura che è diventata un importante punto di riferimento culturale isolano. La grande simpatia ed ospitalità della signora Del Monte è un segno distintivo negli incontri alla Galleria.

Se l’attività principale consiste nell’organizzare le mostre della pittura ed altre arti visive, la Gal-leria Del Monte da sempre ha offerto ospitalità a tutti coloro che avevano qualcosa da dire nel campo culturale. Presentazione di nuovi libri, conferenze commemorative di personaggi cultu-ralmente rilevanti, seminari del Circolo G. Sadoul (la filiale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filo-sofici), incontri del gruppo “Momenti di lettura”, proiezioni di film documentari e di diapositive, presentazione delle mostre e degli artisti: ecco il campo d’azione della Galleria Del Monte.

Ho davanti a me l’elenco completo di tutte le mostre organizzate nei 17 anni di attività. Sono state realizzate oltre 60 esposizioni fra personali e collettive.

Non sempre è facile familiarizzare con l’arte contemporanea. Si cita spesso il fatto che Picasso si irritava: “Perché la gente per forza vuole capire l’arte? Nessuno si sforza di capire il canto degli uccelli e, nonostante ciò, li ammira”.

Quindi capire l’arte significherebbe essere con-sapevoli che non tutto è facilmente assimilabile, non tutto si può spiegare con le parole, non tutto obbligatoriamente deve piacere a tutti. L’arte con-temporanea c’è, esistono gli artisti, aumentano costantemente i mezzi d’espressione, tanto vale dunque sapere più o meno che succede in questo settore della vita culturale della nostra epoca. In questo ci può essere di aiuto la selettiva sequenza di esposizioni che ci indirizza all’ulteriore ricerca di emozioni visive. Per amore della verità bisogna pure aggiungere che molta gente, nonostante la buona volontà di capire ed aggiornarsi nell’infor-mazione, rinuncia a seguire le sorti dell’arte mo-derna come troppo sterile, troppo astratta, trop-po intellettuale, non sentita ma artificiosamente

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inventata, quindi non autentica. Forse la via di mezzo sarebbe quella di cocciuta conoscenza, confronto, analisi, studio del pre-cedente.

La Galleria Del Monte ha of-ferto in visione al pubblico vari campionari della produzione ar-tistica più diversificata. Abbiamo fatto conoscenza con i santi numi dell’Olimpo artistico attraverso le opere di Pablo Picasso, Joan Mirò, Otto Dix, George Grosz, Alberto Giacometti, Henri Ma-tisse, Alberto Burri, per citare solo alcuni; ci sono state propo-ste alla contemplazione i Disegni per l’Orlando Furioso di Fabrizio Clerici, oli, pastelli ed acquarelli di Giosetta Fioroni e di Gianni Pisani, le opere grafiche di Afro, varia e ricca raccolta dei lavori artistici di Emanuele Luzzati, di-pinti di Maurizio Valenzi e Gof-fredo Godi, quadri ed incisioni di Adriano Boni, impressioni di Otto Schliwinski... Ci sono poi artisti che più volte hanno espo-sto le proprie opere alla Galleria Del Monte e questo privilegio è dovuto alla voglia di incrementa-re l’arte isolana oppure alla deci-sione di valorizzare la produzio-ne artistica dei pittori forestieri o stranieri che si sono cimentati con le tematiche isolane. Ecco al-cuni esempi: - Eduard Bargheer (1901-1979), il pittore tedesco che per molti anni visse a Forio, lasciò nella nostra isola moltissime opere: oli su tela, acquarelli, china su carta, acquaforte, litografia, che abbiamo visto in ben cinque esposizioni. Le sue opere esplo-rano costantemente architettura, mare, lavoro, uomo, aria e colore mediterraneo. - Botho von Gamp (1894-1977): ben quattro volte sono state esposte le sue opere, quadri de-dicati al calore mediterraneo ed ai colori di Forio, dove soggior-nò per un certo rem-po, nonché disegni lontani nel tempo e nei temi.

- Heinrich Steiner, anche lui pit-tore tedesco innamorato dell’Ita-lia e della moglie toscana, dedicò molta attenzione al nostro pae-se. Del Monte ha esposto le sue opere in tre mostre (1988, 1995, 2000). - Nell’agosto 1992 ci fu la mostra “Immaginare Ischia” di Bruno Canova, disegnatore e incisore bolognese, che lasciò il ricordo vivacissimo in molti visitatori. Fortunatamente ci è rimasto il catalogo che costituisce in sé l’e-sempio di alta produzione in arte editoriale. - Mary Serpico Lay, la pittrice di origine americana, la nostra concittadina perché vive e di-pinge a Forio, nel lontano 1988 fece vedere qui i suoi “muri di

Eduard Bargheer - Forio - Torrione (varie esposizioni)

Forio”, interessantissimi oli di-pinti dall’artista nel decennio precedente la mostra. Da allora a Ischia non ha più esposto, però sappiamo che continua a dipin-gere e ciò ci incuriosisce. - Elio Waschimps, il pittore napoletano, l’autentica testi-monianza di travaglio pittorico dell’arte contemporanea, è fre-quentissimo ospite nella Galleria Del Monte, come anche in altri siti espositivi di Ischia e Napoli. Incredibilmente, profeticamente le sue opere intrise di angoscia rimangono attuali e la sua pittu-ra è semplicemente indimentica-bile. - Altri ospiti di Peppe Del Monte sono Gabriele Mattera, Raffaele Iacono e Raffaele Di Meglio, pit-

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tori isolani di cui è facile notare l’assidua presenza da diversi anni.

Non si possono citare tutti, tanto più che ci sono state varie esposizioni collettive sia dei pittori del passato, sia degli artisti viventi. Perché dovremmo curare l’amicizia con i musei e con le gallerie d’arte? Spesso fingiamo di credere che la vita possiede solide fondamenta esistenziali e sicuri punti di riferimento. Presto ci accorgiamo di diffusa insicurezza e terrificante sensazione di onnipresente volgarissimo caos. Non ci rimane che cercare un po’ di ordine intorno a noi. Accet-tando i propri limiti, non rinunciare all’approfon-dimento del sapere. In questo può verificarsi utile ogni tipo di informazione conquistata costante-mente, senza pregiudizi ma al contrario in aper-tura ad ogni pensiero nuovo e nuova idea di qua-lunque ispirazione. Né la Scuola, né l’Università possono guidarci per tutta la vita, ma senza limiti di tempo funzionano altri strumenti di conoscen-za. I libri, la partecipazione alla vita socio-cultu-rale, coltivazione dei passatempi, frequentazione dei luoghi destinati ad accogliere i prodotti della creatività umana, le gallerie d’arte insomma.

*

Al Castello d’Aragona mostra di

Arcangelo e Piero Pizzi Cannella

Si è tenuta presso il Castello d’Aragona d’I-schia, nei mesi di settembre/ottobre e. a., una mostra degli artisti Arcangelo e Piero Pizzi Cannella. Per gli spazi sono stati utilizzati gli antichi saloni del Carcere Borbonico e il sug-gestivo ambiente della chiesa di San Pietro a Pantaniello, costruita secondo la tradizione su progetto del Vignola.

“Arcangelo attinge dalla memoria e dalla storia di un quotidiano personale per trac-ciare un percorso plastico intriso di magie e religione, riunendo miti e credenze cristiane e pagane. Il suo spazio plastico è concepito secondo una poetica naturalistica che met-te in primo piano il rapporto che l’artista ha con la terra, la sua terra che conserva intat-to il suo peso di una tradizione dove l’uomo si lega alla natura senza esserne in alcun modo tributario. Il movimento dinamico delle vele nel vento dell ‘isola vara il nuovo soggetto di lavoro di Arcangelo, tutto teso

Pablo Echauren - Ischia (acquarello, mostra luglio/settembre 2000)

a ricordarci il rapporto che la gente del sud intrattiene con il mare che sovente ritma il loro quotidiano. L’alfabeto di immagini di Piero Pizzi Can-nella non finisce mai di evolvere: l’artista trova sempre il mezzo di coniugare degli elementi che hanno già la loro storia plasti-ca nella sua opera al fine di ristrutturarne il senso e di riequilibrare lo spazio della sua pittura. Questa è materia, memoria, e allo stesso tempo si libera per definire uno spa-zio nascosto con il quale l’artista vuole sot-tolineare l’importanza di ciò che si presenta ai suoi occhi, quasi un’armonia tra l’oggetto visibile e la sua “anima”’ (Aniello Placido).

All’appuntamento di grande richiamo in-ternazionale non sono mancate personalità del mondo della letteratura, dello spettaco-lo e dell’imprenditoria isolana: lo scrittore Giuseppe Ferrandino, l’attore Massimo Ghi-ni, Serena Dandini, il prof. Luigi Cimmino, presidente del Rotary Club d’Ischia, il dott. Peppino Di Costanzo, presidente dell’Asso-ciazione Termalisti d’Ischia, il sen. Salvatore Lauro.

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Premio Internazionale di Poesia“Ciro Coppola”

per lo studente italiano e dell’Unione Europea

Premio del Presidente della RepubblicaIschia - Edizione XXIV

Premiata la poesia... ma è dal punto che riparte la frase

di Gabriele Malavasi *

Attraverso la mia finestra apertaImmerso, come non mai, come ora,in qualcosa che chiamerei vento.Silenziosa, tremula fuga da TUTTO.Tracimare di vuotoingabbiare emozioni in un corpo - il mio corpo -Le mani stringenti le tempie:sforzi disumani per capire/di non potere/più afferrarele affusolate dita di una mano morta.Che la vita va a ca-po quando le pare.

* Sezione Scientifica del Liceo Classico Statale “R. Corso” Correggio (RE)

Ciro Coppola nacque il 20 no-vembre 1959 da Salvatore e Giu-seppina Maltempo. Morì il 19 ottobre 1976 a sedici anni, dieci mesi e undici giorni in un inci-dente stradale. Era un ragazzo del suo tempo. Frequentava con profitto il secondo anno del Liceo classico, “amava i Beatles e i Rol-ling Stones” ed il gioco del calcio. Due anni prima della morte con un gruppo di amici aveva fon-dato la Pro Casamicciola Ter-me, un’associazione “culturale e sportiva per un giusto impiego del tempo libero della gioventù “. Nel 1978 gli amici della Pro Ca-samicciola Terme, che nel corso degli anni sono aumentati, deci-sero di ampliare gli scopi sociali dell’associazione occupandosi anche della promozione econo-mica e turistica di Casamicciola e pensarono di dedicare a Ciro un Premio Nazionale di Poesia riservato esclusivamente agli studenti della scuola media su-periore, i coetanei di Ciro, in modo che il suo nome risuonas-se in ogni scuola d’Italia e poi d’Europa come esempio di una gioventù studiosa ed affascinata dallo strumento espressivo della parola poetica insieme a quello di Casamicciola Terme nell’Isola d’Ischia, il paese che gli diede i natali e dove egli riposa per sem-pre nella certezza della Risurre-zione.

Anche la XXIV Edizione 2001 del Premio Internazionale di Poesia “Ciro Coppola” per lo studente italiano e dell’Unione Europea - Premio del Presiden-te della Repubblica - ha raccol-to unanimi consensi presso gli studenti europei, i quali hanno ancora una volta partecipato nu-merosi all’iniziativa.

«I nostri molteplici sforzi orga-nizzativi - ha detto il presidente della Pro Casamicciola Terme, promotrice del Premio, Andrea Di Massa - sono stati nuovamen-te premiati da un significativo riscontro di pubblico, che ha atti-vamente partecipato alle manife-stazioni conclusive (7-14 ottobre 2001), le quali hanno offerto spa-zio, quest’anno, alla fotografia, alla poesia (anche in vernacolo), al cinema e, soprattutto, alla valorizzazione della nostra me-

moria storica, attraverso la pub-blicazione dell’opuscolo “Sotto il sole di Casamicciola Tenne”».

Pagine di confessioniRelazione della Giuria tecnica della XXIV edizione 2001

Il Premio Coppola, quest’anno, ha perso uno dei suoi più validi soste-nitori, il professore Edoardo Malagoli, presidente della giuria in ben 12 edizioni, dal 1978, anno della fondazione, al 1980 e dal 1983 al 1991.

Sin dall’inizio egli apprezzò l’iniziativa e vi collaborò fattivamente, considerando il premio “una ideale palestra letteraria che forniva ai gio-vani l’occasione di testimoniare il loro travaglio spirituale qua! è quello che un componimento poetico comporta e di confrontarsi a livello na-zionale.”

“Se infatti si pensa, - scriveva in una sua relazione - alla carica affet-tiva insita nell’animo giovanile proprio negli anni in cui si compie l’ap-proccio col mondo culturale e letterario che la scuola media superiore propone, si può meglio intendere quanto risulti stimolante l’occasione di un concorso che offra agli studenti uno spazio nazionale di comuni-cazione ove poter confrontare esperienze, verificare risultati, riceverne indicazioni; soprattutto quando la scuola italiana sembra ignorare le esigenze creative dei giovani, esigenze che costituiscono una componen-

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te non secondaria della loro età. “Con lo scorrere degli anni egli an-

notava con soddisfazione il sempre crescente numero di partecipanti, la validità dei componimenti, per cui - scriveva ancora - “E facile presagire lo sviluppo ulteriore che il Premio è destinato ad ave-re; ideato con felice intuizione da un gruppo di giovani e tradotto in realtà organizzativa con la de-terminazione che l’entusiasmo sa dare, esso è diventato ormai una istituzione nazionale ed aperta ai valori culturali ed artistici, una opportuna occasione per espri-mere stati d’animo ed aspirazioni, per misurare un impegno creativo con piena libertà di voce in quanto il Premio è immune da ogni inter-ferenza ideologica o politica”.

Non spetta a me delineare la po-liedrica figura del professor Mala-goli, ma in questa sede ho voluto ricordare, sia pure brevemente, quanto il Premio Coppola gli deb-ba.

Lascio a coloro i quali l’hanno frequentato e per i quali, a quanto sembra, è stato un punto di riferi-mento, il compito di precisare la sua opera di educatore e di intel-lettuale impegnato.

Per quanto mi concerne ho ac-colto una sua suggestione, quella, cioè, “di una valutazione diacro-nica, la quale consente di cogliere il lento svolgersi delle situazioni, che sempre costituiscono motivi di ispirazione per i giovani autori, e la resistenza al tempo di quanto fu scritto in precedenza.“

In altri termini, lo studio sulle varie edizioni del “premio”, con-siderate “una significativa trac-cia per disegnare l’andamento del modo di sentire dei giovani in rapporto alla propria epoca. Studio che spero proporre l’anno prossimo, in occasione della XXV edizione del Premio.

* L’alto numero dei partecipanti

al concorso in questa XXIV edizio-ne, la provenienza dei concorrenti da ogni regione d’Italia e dai vari istituti comprovano la diffusione e la validità di una iniziativa, collau-data da un successo che è andato sempre crescendo nel corso degli anni.

Risulta evidente che il “premio” porge agli studenti un invito e uno stimolo ad esprimere i loro senti-menti, un impegno a dare testi-monianza dei loro orientamenti e della loro sensibilità letteraria, “a ritrovare nel discorso poetico quella civiltà della parola che tanta parte ha nell’elevazione dell’uomo e della sua storia.”

Indagati in ottica sociologica, i componimenti evidenziano una propensione al colloquio interio-re, un’ansia di valori autentici, un abbandono quasi generale di quei grandi temi che sembravano im-porsi negli anni precedenti, come la precarietà della condizione umana, la commossa pietà per il prossimo, per il mondo dei disere-dati, la guerra, la mafia, la droga...

Urge, invece, un ripiegamento, ora dolce e sommesso, ora sicuro,

in se stessi, nell’espressione di un tormento esistenziale che a volte si compiace di teoremi, più o meno intellettualistici, della vita e sulla vita.

Non poesia d’evasione né poesia impegnata, non struggente nostal-gia per Eden per sempre perduti né esercizi di stile, ma quasi pagine di confessioni, ora timide ora più o meno teatrali, ove non sempre tra-spare una discreta sensibilità, né sempre sono ricche di sobrietà e aliene da parole ad effetto. Confes-sioni che rivelano anime inquiete, commuovono e danno da riflette-re.

Quanto ai moduli espressivi, pur con qualche ricorso a speri-mentalismi, predominano ritmi di una buona tradizione letteraria, assimilata con qualche perizia, ed un tono qualitativo di indubbio decoro, confermando da parte dei concorrenti una cognizione sto-rico-letteraria di buon livello ed acquisita senza assoggettamenti passivi.

Il presidente della Giuria: Prof. Giovanni Castagna

Componenti della Giuria: Prof. Giovanni Castagna (presidente), prof. Nunzio Albanelli, prof. Pa-squale Balestriere, prof. Carmela Califano, prof. Domenico Casta-gna, prof. Francesca Di Meglio, dott. Gigi Pagnano, prof. Maria Nasca, prof. Filippo Visone, prof. Gianni Vuoso. Segretaria: Anna Sambiase.

Il premio “Nuvolone” al giornalista Max Vajro

Quest’anno il prestigioso premio let-terario nazionale di poesia e giorna-lismo “La Fonte - Città di Caserta”, ha premiato Max Vajro, una delle firme più prestigiose del giornalismo napoletano nonché grande “napole-tanista”Il premio ideato dal Movimento di cultura Nuvolone, di cui è presidente il dottor Vincenzo Nigro, che ha pre-miato nelle precedenti edizioni altri giornalisti valentissimi (tra i qua-li Nuccio Fava e Antonio Ghirelli) quest’anno si è tenuto nella splendi-da cornice del Belvedere di San Leu-cio il 20 ottobre.

Il premio ha il patrocinio della Regione Campania, del Comune di Caserta, della Provincia, del Provve-ditorato agli Studi, della Fondazione “Don Salvatore D’Angelo”, in colla-borazione con il Cepu di Caserta e con Spring Edizioni. L’Associazione Musicale e culturale Mimi Palmiero (sempre più presente nelle manifestazioni dove si celebra la cultura non fine a se stessa) ha al-lietato con i suoi artisti la cerimonia di premiazione con poesie e brani musicali napoletani, eseguiti con voci, chitarre, mandolini e violino per dare una “parentesi solare” della nostra natura mediterranea.

Premio di Poesia Formica Nera Città di Padova

Il Gruppo letterario Formica Nera promuove la XXXII edizione del concorso di poesia aperto a tutti gli autori di lingua italiana. Si partecipa con una poesia inedita a tema libe-ro, da inviare entro il 3 aprile 2002 in cinque copie. Per il regolamento completo rivolgersi al segretario del concorso: Luciano Nanni, Casella postale 1084 - 35100 Padova. La XXXI edizione è stata vinta da Ivan Fedeli; segnalati: Narda Fattori, Benito Galilea, Valerio Pianella, An-gelo Taioli.

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Da una ricerca (anno scolastico 1997-98) degli alunnin della Scuola Media di Barano

Ai piedi del Monte e nei magici boschi di Fiaiano

Chiese cappelle eremiLo Schiappone I più antichi documenti repe-ribili sull’isola riguardanti il ter-ritorio dello Schiappone, li tro-viamo negli archivi diocesani di Ischia dove tale territorio viene nominato perché parte di esso veniva censito al Convento Ago-stiniano, sito appunto ad Ischia. Così apprendiamo che la località dello Schiappone intorno al 1500 era proprietà di una notabile fa-miglia, i Russo (Rossi per il d’A-scia), e tre fratelli (Ottavio, Raf-faele e Luigi) nella prima metà del ‘600 vi fondarono la chieset-ta con due cellette per gli eremiti. Nel 1656, però, i Russo morirono di peste e lo Schiappone passò in proprietà ad altri signori, tra cui i Siniscalchi, patrizi napoletani. Gli eredi di questi ultimi con-servarono il diritto di patronato sino alla fine del secolo XIX. La

chiesetta, dedicata alla Madonna di Montevergine, venne amplia-ta agli inizi dell’800 da un certo Baldino eremita e lo stemma dei Siniscalchi sulla balaustra venne conservato. Il d’Ascia, nella sua opera “Storia dell’isola d’Ischia”, la descrive con una struttura ar-chitettonica a croce latina, più esattamente a croce commista, con la cupola al centro del tran-setto. L’altare e la balaustra, ri-mossa in tempi recenti, con lo stemma dei Siniscalchi, erano di marmi policromi, risalenti alla metà del XVIII secolo. Stucchi di Domenico Savino decoravano le pareti e la volta e ancor oggi si possono ammirare nelle ghirlan-de d’edera, di quercia, di rose e di stelle.

Sull’altare pendeva una tela della Madonna e Santi del sec. XVIII che tuttora è esposta alla venerazione dei fedeli. Il pae-

saggio che si ammira sulla tela riproduce il castello Aragonese e la collina dello Schiappone. La chiesa in genere era chiusa e veniva aperta per accoglie-re i pellegrini che da ogni parte delle isole d’Ischia e Precida, in occasione della festività dell’8 settembre (natività di Maria), si recavano numerosi sulla col-linetta dello Schiappone, come ad un santuario, per venerare la Santa Vergine. Di quei pelle-grinaggi il d’Ascia ci ha lasciato una descrizione minuziosa: “Dai comuni lontani le carovane dei devoti, uomini, donne, fanciulli, frammisti in diverse età, confusi in diverso sesso, in allegra briga-ta, alle prime ore della sera del 7 settembre, partono per l’eremo, passando quasi l’intera notte in viaggio. Così le allegre carovane, dai paesi più prossimi, partono a più avanzate ore, in modo che, prima dell’alba ... l’Eremo è po-polato di venditori, di trafficanti e di devoti. Sull’atrio, sulle sca-

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le, sui poggi dell’Eremo stesso attendono che si apra la chiesa per assistere ai divini uffici e per pregare: la gente più civile e il popolo dei casali limitrofi accor-rono all’Eremo a giorno fatto, al-tri nel dopopranzo, in modo che per tutta la notte, per un giorno intero è popolata quella solitaria campagna. ‘ E una fiera ani uni-tissima di uomini e di animali, di donne abbigliate in diversi co-stumi, di gente parlante in diver-si dialetti. E una festa campestre piena di brio, con cui pare si salu-ta l’Autunno che si approssima, è una festa religiosa-popolare, da curiosarsi, perché è una delle po-che feste campestri religiose, che richiamano tanto concorso di po-polo da tutte le parti dell’isola”.

Prima del 15 marzo 1953, quando il vescovo E. De Lau-rentiis la elevò a parrocchia con il titolo di Santa Maria di Mon-tevergine e la affidò al giovane sacerdote don Luigi Di Iorio che ne prese possesso il successivo 19 marzo, la chiesetta dello Schiap-pone fu servita dagli eremiti, di cui si conoscono alcuni nomi: fra Gaspare Baldino (1838), morto miseramente sulla strada, men-tre tornava dalla questua; fra Giovanni e fra Pasquale (1886) e infine fra Pasquale da Fontana, rimasto fino agli anni 1920. Fu questo l’ultimo eremita e fu al-lontanato dopo aver fornito pro-va di dubbia moralità. L’eremita, per sopravvivere, era costretto a chiedere la questua per i casali d’Ischia, Procida e spesso anche nei dintorni di Napoli; vestito da frate, con i sandali ai piedi, zuc-chetto in capo, bussava di porta in porta e si annunciava con le parole “Madonna di Montever-gine”. Oltre alla cassettina per le offerte in denaro, egli recava con sé una bisaccia nella quale ripor-re le offerte in natura: olio, vino, salsicce, ecc. “Dopo l’allontanamento dell’ul-timo eremita, fra Pasquale da Fontana, - racconta don Luigi Di

Iorio - la chiesa fu affidata come rettoria, dipendente dalla par-rocchia di Testacelo, ai sacerdo-ti Di Costanzo, Giuseppe Buono e infine a me nel 1947. Dopo sette anni ne divenni il primo parro-co. La gente del luogo non sem-pre fu benevola nei confronti dei religiosi che mi hanno precedu-to, diventando oggetto di scherzi birboni. Fino agli anni sessanta la via che conduceva alla chiesa era molto ripida e fatta di molti sca-lini, perciò percorrerla in salita risultava alquanto faticoso. Si trattava, infatti, di una mulat-tiera molto frequentata dagli

animali da soma, utilizzati dalla gente del luogo per trasportare soprattutto barili colmi di vino. Per rendere più agevole l’acces-so alla chiesa, mi adoperai con l’amministrazione comunale perché fosse, costruita una stra-da carrabile. Le cellette per gli eremiti erano tre, di cui una era adibita a luogo di ristoro. Que-sta era in comunicazione con un tunnel sottostante con l’attuale piazza, antistante la chiesa. In questo celialo, oggi chiuso insie-me al tunnel perché ritenuto pe-ricolante, l’eremita conservava i frutti della questua, abbondanti e vari”.

La chiesetta del CretaioLungo la strada panoramica che collega Casamicciola a Fiaiano, im-

mersa nei boschi di castagni della zona del Cretaio, sorge una chie-setta dedicata al SS. Crocifisso. Fu fatta costruire dal nobile isolano Francesco Menga nel 1731, fu distrutta dal terremoto del 1883 e in seguito, ricostruita. Presenta una semplice struttura architettonica con un solo altare di marmi policromi ed una sola navata, dominata da un gran crocifisso ligneo di pregevole fattura, datato 1700. Ci ha raccontato don Attilio Buono che la chiesetta fu costruita perché un giorno era partito da Casamicciola un asino recante in groppa un Cro-cifisso (l’attuale). L’asino si fermò in un grande frutteto nel quale si

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buttò a terra e si rifiutò di prose-guire. Così sul posto gli abitanti decisero di costruire una cappel-la che racchiudesse il Crocifisso. Al suo interno vi sono delle lapidi che ricordano le tappe storiche. Il Comune di Barano l’ha espro-priata, restaurata e restituita alla fede di quanti vogliono recarvisi - come da tradizione - tutti i ve-nerdì di Quaresima per i riti sa-cri. Nel pomeriggio dell’ultimo venerdì della Quaresima si suole celebrare una toccante funzione, con gran partecipazione di po-polo: è una Via Crucis che parte dalla chiesetta e si snoda per la via Cretaio fino alla parrocchia di Maria SS. Madre della Chiesa a Fiaiano. Nel passato la chiesetta era punto di arrivo di pellegri-naggi da Barano, Ischia e Casa-micciola, cerimonie che i giova-ni, col passare del tempo, hanno “profanizzato”, trasformandole in occasione di scampagnata, co-lazione sull’erba e, soprattutto, motivo per ... evitare la scuola.

Chiesa di S. Mariadella Portaa Piedimonte Sorge al centro della piazza de-dicata alla memoria del canonico Luigi Scotti, ed è stata fonda-ta, come cappella, nel 1750 col nome di chiesetta dell’Immaco-lata. Il d’Ascia la descrive come “piccolo e meschino tempiuc-cio, un solo altare di marmo vi sta, un solo organo, più piccola tribuna e nulla da ispirare cu-riosità. E questa chiesetta di di-ritto patronale della famiglia Di Meglio di Piejo. Un’immagine dell’Immacolata dipinta in tela sovrasta il detto altare”. Nel 1780 Piejo contava circa 664 anime, ma nel 1792 queste erano sali-te a 800, con evidente difficoltà a servirsi dei Sacramenti, che si conservavano a Barano. Per que-sto i discendenti •dei fondatori avevano deciso di mantenere il Sacramento a proprie spese nel-

la chiesa di Piedimonte. Intorno al 1866 era stata ingrandita con altri due altari, S. Giuseppe e la Madonna della Porta. L’Imma-colata fu sistemata nella nava-ta di destra, nella quale oggi vi è la tomba che racchiude i resti mortali dei fratelli Scotti, mons. Giovanni, arcivescovo di Rossa-no Calabro, e mons. Ciro, vicario generale della diocesi d’Ischia. La chiesa era dei Di Meglio, ma gli Scotti portarono avanti una lunga causa per renderla pub-blica e fu eretta a parrocchia nel 1920. La chiesa, composta da tre navate, ha quattro altari, una tela dell’Immacolata del 1700, di pre-gevole fattura, appartenente alla scuola pittorica spagnola del Mu-rillo; un antico Crocifisso ligneo, forse del ‘600. Sulla facciata del-la chiesa è posta un’immagine in maiolica della Vergine voluta dal parroco don Vincenzo Iacono.

Chiesa di S. AnnaQuando nel luglio del 1849

Carlo Santucci prese in affitto dal comune di Barano alcune ter-re da coltivare, in esse edificò la propria casa e accanto eresse una chiesetta che oggi è conosciuta come la chiesa di S. Anna, ma che il fondatore aveva dedicato a S. Giuseppe. Fu inaugurata il 6 giugno 1858 e il Santucci chiese al vescovo di renderla pubblica, cosi come ci dice la lapide della donazione:

A Dio Ottimo Massimo I Carlo Maria Santucci De Magistris I col suo denaro edificò sulle spen-te eruzioni / un tempio sacro al divino Giuseppe, / patrono eminentissimo, / che arricchì di suppellettili / e lo dedicò, consa-crandolo, alla pubblica utilità / il 6 giugno 1858 In essa vi erano quattro altari dedicati a S. Giuseppe, S. Anna, Madonna del Rosario, S. Carlo Borromeo e un quadro di Ber-nardo delle Notti, raffigurante la Deposizione. Un’altra lapide di marmo, accanto a quella del-la donazione, indica le sepolture

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di Carlo Maria Santucci e della moglie Maria Raffaella Siniscal-chi che però, essendo morti a Napoli, non furono mai inumati nella chiesa di Fiaiano. Nel 1866 il citato Carlo Maria Santucci de Magistris dotò la chiesa anche di un campanile, sul quale aveva in-tenzione di porre un orologio co-struito dall’artefice Mattia Buo-nopane di Casapullo di Caserta. Dall’archivio parrocchiale risulta che alcuni anni dopo la chieset-ta, con annessi beni, a seguito dell’espropriazione forzata fatta in danno dei Santucci, pervenne in proprietà dei fratelli Buono. Il diritto di patronato sulla chiesa di S. Giuseppe (ancora oggi più comunemente denominata di S. Anna, per la presenza nella stessa anche di una statua raffigurante la madre di Maria) fu mantenu-to dalla famiglia Buono fino agli anni 1940, sino a quando, cioè, non fu temporaneamente chiusa a causa dei contrasti sorti tra gli eredi. A seguito della spiacevo-le situazione che si era venuta a creare, la piena proprietà della chiesa fu trasferita, di comune accordo, al vescovo d’Ischia, Er-nesto de Laurentiis (25 febbraio 1949). Qualche decennio dopo (27 dicembre 1965) essa fu eleva-ta a parrocchia dal vescovo Dino To-massini col titolo di Maria SS. Madre della Chiesa. Oggi la chiesa, a navata unica e con volta a botte, si presen-ta con un solo altare, centrale, di stile composito e con marmi policromi, opera dell’artista Igi-no Cianciarelli, sul quale è stata aperta una nicchia che conserva la statua di S. Giuseppe. Al suo interno si custodiscono le statue dell’Immacolata, di S. Anna e di S. Gerardo, due crocifissi, di cui uno di legno acquistato dal par-roco don Attilio Buono negli anni ‘70 e proveniente da una colle-zione privata. Di squisita fattura, infine, il quadro seicentesco di S. Giuseppe con bambino che, se-condo quanto riferisce il parroco, è stato attribuito da alcuni alla

scuola del Caravaggio e da altri a quella dello Spagnoletto.

Cappella privatadella Madonnadelle GrazieDopo il bivio di Fiaiano, lungo la salita che conduce alla bocca del cratere dell’Arso, si trova, presso una fontana, una antica cappella privata edificata dal signor Gio-acchino Baldino nel 1835, de-vastata dal terremoto del 1883 e restaurata da Mons. Gennaro Portanova. Essa era dotata di un

fondo rustico con la rendita del quale veniva mantenuta ma già ai tempi del Portanova (1885-88), quando era rettore don Vin-cenzo Baldino, si questuava per la messa del Purgatorio.La chiesetta, con pianta rettan-golare, tetto a doppio spiovente e volta a capriate lignee, spicca con evidenza tra le costruzioni vicine ed è dedicata alla Madonna delle Grazie. Essa ha subito nel tem-po varie vicissitudini che hanno causato parziali crolli e dissesti tali da determinarne la chiusura.

Casa e cappella privata Santucci Lungo la via Duca degli Abruzzi si apre via de Magistris che svolta a sinistra per la località detta Mai-sti (corrotta da de Magistris). Lì, nella parte alta di Fiaiano, sorse alla fine del XVII sec. il palazzo di Carlo e Gaetano de Magistris, fornito di tutti gli ambienti rustici utili alle esigenze della vecchia economia agricola locale. La costruzione si sviluppa con pianta ad “elle” e cortile annesso, recintato da mura che racchiudono anche parte dell’area coltivata. Al piano terra ci sono gli ambienti di servizio, cioè il cellaio con palmento, la cantina, i depositi e le stalle, mentre al piano superiore c’è l’abitazione padronale. Nel 1747, al complesso di loro proprietà, i signori Santucci de Magi-stris aggiunsero una cappella con S. Francesco, ma dedicata all’Imma-colata e a San Carlo Borromeo, ubicata sul lato nord della loro dimora, a poca distanza dal varco ricavato nel muro di cinta per servire anche gli abitanti del contado. Attualmente essa versa in uno stato di grande degrado, essendo stata fatta oggetto di furti ed atti vandalici, e per questo ormai è chiusa.

Cento e più anni fa si viveva così ...Abbiamo consultato parte della relazione del Senatore Comm. Fede-

le De Siervo resa al Senato del Primo Regno d’Italia. La relazione fa parte degli Atti della Giunta per l’Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola - voi. VII - Roma 1882. In essa si parla di Na-poli e provincia e viene più volte menzionata l’isola d’Ischia. Poiché si tratta dei lavoratori della terra, quanto relazionato dal De Siervo è valido per l’intera isola, e quindi anche per il territorio del comune di Barano. Ne scaturisce un’analisi non certamente edificante delle condizioni di vita della popolazione che ci fa capire come il Meridione, all’atto dell’unificazione d’Italia, versasse in una situazione precaria dal punto di vista socioeconomico. Ma vediamo in generale come si svolgeva la vita cento e più anni fa. I contadini soffrivano di febbri infettive e il servizio dei pochi medici condotti non era molto efficace. Secondo il relatore, ciò derivava dal sistema, perché lo stipendio non stimolava al lavoro ed il medico condotto vedeva nell’ammalato non una fonte di guadagno, ma una “sorgente di fatica”. Non c’erano stati miglioramenti apprezzabili nelle condizioni delle case coloniche, per-ché le tasse imposte avevano tolto i mezzi ai proprietari di operare dei miglioramenti. Interessante è il rapporto sull’istruzione che riportia-

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mo integralmente: “L’istruzione popolare non esisteva sotto il passato Governo, onde il numero degli analfabeti, se era grande in città, grandissimo doveva essere nelle campagne, ove infatti l’a-nalfabetismo era il fatto generale ed ordinario, ed il saper leggere era eccezione rarissima. Promul-gata ed attuata la legge sull’istru-zione del popolo, se nelle città e nei paesi ha dato qualche frutto, nelle campagne, essendo le case coloniche sparse e lontane dalla scuola, i figli dei contadini non hanno potuto profittare, sia che le scuole fossero diurne, sia che fossero serali (...). Altro ostaco-lo al concorso dei fanciulli alla scuola è l’opera che essi presta-no e che è di grande ausilio ai genitori. I piccoli fittaiuoli (...) si avvalgono utilmente dei figliuoli, anche piccini, o per guardare la casa, o per raccogliere il foraggio per gli animali, o per portare la minestra al padre che lavora; e per mille altre cose che non rie-scono pesanti alle giovani mem-bra, ma che impediscono al ra-gazzo di andare a scuola. Si osserva che costantemente le scuole sono affollate durante l’in-verno e si diradano al venire del-la buona stagione, e quantunque questo fenomeno sia più comune a tutti i paesi agricoli, è più sensi-bile a Napoli (e provincia) per la precocità della primavera.”Degna d’attenzione è la parte inerente il mondo contadino che il Senatore De Siervo illustra con dovizia di particolari: i prodotti agrari destinati alla conservazio-ne erano il frumento e i suoi suc-cedanei, i legumi, la canapa ed il lino, il fieno e la paglia, il vino e Folio. Il grano e i legumi erano conservati in stanze asciutte, così come la canapa e il lino (che era-no acquistati in terraferma) fino al momento della lavorazione. Grande importanza ha la colti-vazione arborea perché le terre di Ischia sono per la maggior parte in pendio ed estremamente adatte alla coltura degli alberi da frutta e delle viti. Gli abitanti del-

le isole, “mezzo marinai e mezzo contadini, capaci di maneggiare il remo e la zappa, d’indole pa-cifica, sono dalla necessità resi industriosi”. I contadini faceva-no diventare produttive le terre anche in situazioni di disagio con muretti a secco e dissodavano aree che potevano sembrare ari-de. “Cotesto lavoro di conquista - continua il De Siervo - imposto dall’accrescimento della popo-lazione, va estendendosi ogni giorno, e può a ragione additarsi come esempio, tenuto conto delle difficoltà che bisogna superare”. I proprietari, che dai terreni vo-levano trarre maggiori proventi, dedicavano le loro maggiori cure a migliorare la produzione del vino; molti contadini, però, ap-pena fatto il vino, erano costretti a venderlo per pagare i debiti e per il sostentamento della fami-glia. Né pensavano a coltivare altre piante che potessero fornire maggiori guadagni. Nella stessa isola, ove più ab-bondano e sono più accreditate le acque termo-minerali, vi ha nella stagione estiva numeroso concorso di forestieri, che cer-cando la sanità perduta, non pos-sono essere avari nello spendere, e la popolazione più profittevole addirsi al traffico ed ai servigi di tanti ammalati e si distoglie dai lavori campestri. I guadagni fa-cili ed anche un poco illeciti che si conseguono in pochi mesi, di-vezzando la gente dal lavoro, ne guasta il morale, la rende amica dell’ozio, ne aguzza la cupidigia e la fa all’occasione sempre più profittante” (non concordiamo del tutto con quanto riportato dalla relazione, anche se l’abusi-vismo selvaggio degli ultimi anni che ha colpito la nostra isola, ci convince che il più delle volte sia stato dettato non da necessità, ma da motivi di speculazione).Divertente è la parte inerente le superstizioni. Secondo il parere del Senatore, la popolazione non era bigotta, ma superstiziosa sì, perché dava alle fasi lunari un’in-finita importanza, credeva molto

“al fascino ed anche alla fattuc-cherìa”, contro la quale ricorre-va a rimedi che soltanto qualche vecchia comare sapeva attuare. Tali donne curavano anche le malattie con parole magiche e pratiche misteriose, usavano determinate erbe ritenute “ma-giche” che in qualche caso gua-rivano. Il mistero e la leggenda erano l’attrattiva principale dei racconti degli abitanti, così come il cantare canzoni d’amore tra-mandate di generazione in gene-razione senza conoscere il nome dell’autore. Il matrimonio era la meta dei giovani e il celibato, specialmente per gli uomini, era una rarissima eccezione, tanto che, se vedovi, riprendevano im-mediatamente moglie. Il vesti-to da sposo era di foggia antica, mentre le donne vestivano abiti di broccato. La foggia dei conta-dini era costituita da calzoni cor-ti, panciotti guarniti di bottoni d’argento, una larga cintura di seta che stringeva i fianchi. L’a-bito descritto era indossato nei giorni festivi. Il giudizio, per quanto riguarda le abitazioni, è positivo, mentre non così è per i ricoveri per gli animali perché mal lastricati o perché di-fettosi d’areazione e di luce. Ciò è giustificato con il fatto che l’alleva-mento del bestiame non costituiva un’industria, ma gli animali erano allevati per usi domestici. L’alimen-tazione variava a seconda delle sta-gioni: minestre fatte di legumi, fra i quali i più usati erano i fagioli e le fave. Si usava dare ai lavoratori della terra il companatico per la colazio-ne e la minestra o una ricca insalata per il pranzo. Secondo il De Siervo, quest’usanza aveva il vantaggio di non far accorgere i lavoranti dell’im-poverimento delle loro energie, e quindi il lavoro era portato a termine nel migliore dei modi. Molte donne si dedicavano alla filatura della ca-napa e del lino, soprattutto se erano avanzate negli anni, mentre le più giovani tessevano. Il guadagno non era molto, ma era sufficiente come aiuto al mantenimento della fami-glia. Ma con la filatura a macchina e con la tessitura perfezionata degli opifici napoletani, tale lavoro era mancato quasi del tutto.

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Il paese di Fiatano anticamente era chiamato Sciaja-no mentre Jasolino riporta la denominazione di Seja-no. Ma la tradizione popolare riferisce che nel punto detto Masto-Titto, prima che avvenisse l’eruzione del Cretaio, al cratere era apparsa una fiammella vulcani-ca. “Fiammella” nella lingua locale si diceva “Fiavella”, da cui poi il nome Fiatano.Nella carta borbonica del XVII secolo, però, la voce Fiaiano stava ad indicare solo la regione in genere e non si fa menzione del paese vero e proprio (Dora Buchner Niola). Si hanno notizie certe del luogo a se-guito dell’eruzione dell’Arso del 1301, quando la cola-ta lavica “travolse un villaggio e bruciò tutta la fertile regione fin quasi ai piedi del Castello, costringendo gli scampati a rifugiarsi nelle regioni vicine, insulari o di terraferma” (G. Villani: “Historia universalis libro VII, cap. 53 “Come l’isola d’Ischia gittò meraviglioso fuo-co”). Il Pontano, nel suo “De bello neapolitano”, rife-risce sull’eruzione “che inghiottì nella voragine anche il villaggio consumato dal fuoco. Essendo stati gettati in aria sassi di somma grandezza, mescolati con fumo, fiamma e polvere e poi essendo nel proprio movimen-to ricaduti, sparsi per la campagna, rovinarono la più fertile e più amena regione d’Ischia”. Il d’Ascia descri-ve il territorio ameno, con giardini profumati d’aranci e limoni, viali ombreggiati dai gelsi, case con pergolati fioriti. Tutto ciò fu distrutto dall’eruzione del Cremato che “venne a trasformare in luogo di desolazione e di pianto, covrendolo tutto di correnti pomicee, di nere scorie, senza risparmiarne avanzo, senza farne sfug-gire lembo”. Francesco Lombardi in “De Ischia et Civitate” scrive: “Un tempo, essendo re Carlo II, nell’annol301 dalle vi-scere della terra uscì un fuoco sulfureo che bruciò gran parte della stessa isola. A causa di questo fuoco molti uomini e parecchi animali morirono; circa due mesi imperversò l’incendio (...). Tracce di questo fuoco ri-mangono fino al giorno d’oggi e nel medesimo luogo non nasce erba né alcunché di vivente” Solo nel 1305, calmata l’eruzione, gli abitanti, pian piano, ritornaro-no nella zona ed iniziarono nuovamente a coltivare la terra. L. A. Muratori, nel “Rerum Italicarum Scriptores” voi. XIII dice: “Anno del Signore 1301. Quest’anno, nel mese di gennaio, di giovedì, il 18 del medesimo mese in ora tarda, nelle tenebre della notte, prima dell’alba e fino al giorno, cadde pioggia mista a zolfo in alcune parti. E nel medesimo giovedì l’isola d’Ischia comin-ciò a bruciare, per cui gli esseri umani che abitavano in essa fuggirono”. Le diverse testimonianze riportate danno un’idea della catastrofe e dell’eco che l’avveni-mento ebbe in più parti d’Italia. Le cronache dell’epo-ca descrivono un’atmosfera apocalittica, quasi simile a quella venutasi a creare a Pompei nel 79 d. C. Infatti si parla degli abitanti in fuga che cercavano di salvare quanto avevano di più prezioso, di madri che stringe-vano al seno i figli; di molti vecchi che morirono soli e disperati. Molti dei fuggitivi trovarono la morte, uccisi dai crolli delle case; i superstiti cercavano di imbarcar-

Fiaiano (Sejano - Sciajano)si, ma non c’erano barche sufficienti per tutti e l’intera isola era sconvolta dall’eruzione.Successivamente, nel 1767, una forte scossa di terre-moto colpì la zona provocando molti danni, tra i quali ricordiamo il crollo della chiesa del Rotaro che era sta-ta costruita nel 1731. Verso la metà del 1500, per provvedere alle necessità idriche degli abitanti del Borgo di Celso e di quanti di-moravano sul Castello, si decise di far convogliare l’ac-qua della sorgente di Buceto in un acquedotto. L’opera fu iniziata da Don Orazio Tuttavilla, inviato ad Ischia con l’incarico di governatore, e fu decretata dal Viceré Antonio Perrenot Cardinal di Granada fra il 1571 e il 1575. Per tale lavoro l’isola fu esonerata dal pagamen-to della tassa sul vino per essere devoluta alla realizza-zione dell’acquedotto. L’opera, però, fu sospesa per la morte del Tuttavilla e, solo dopo un secolo, fu ripresa da mons. Girolamo Rocca (1672), ma i fondi necessari vennero meno e, solo nel 1853, Ferdinando II, a spese della casa reale, completò l’opera e l’acqua di Buceto arrivò finalmente a Villa dei Bagni (l’odierna Ischia Porto) e al palazzo reale. Oggi dell’antico acquedotto ci rimane quella costruzione di tipo romano chiamata “I Pilastri”, ideale confine tra la zona montuosa e la fa-scia pianeggiante che si estende fino al mare. Attraver-so il bosco dei Conti, l’acqua giunge ad una fontanella presso la quale si recano le persone per prenderla e portarla a casa. È ottima da bere, ma vi sono pareri discordanti circa la sua utilità.Nel 1852 un certo Santucci cominciò a coltivare il suo-lo di Fiaiano, ricoperto dalla lava, a rimuovere i massi vulcanici prendendo in affitto dal comune di Barano una buona estensione di terreno, ampliata l’anno suc-cessivo. Durante il suo lavoro ebbe derisione e beffe dai locali i quali, però, rimasero meravigliati allor-quando videro il suolo, una volta arido, tramutarsi in verdi boschetti nei quali spiccavano pini, querce ed altre piante boschive.Fra il 1853 e il 1855 l’intera zona, colpita dalla cola-ta lavica, fu interamente coperta da una folta pineta impiantata dal botanico di corte Giovanni Gussone, autore di un’opera interessante “La flora delle piante vascolari dell’isola d’Ischia”. Il Gussone era uomo di fama europea, direttore dell’Orto botanico di Napoli, ed ebbe anche il merito di suscitare l’interesse per il pino negli abitanti di Ischia, tanto che furono distri-buiti alberelli di pino come lieto augurio per i neonati. Grazie al rimboschimento avviato dal Gussone e dal Santucci, Fiaiano ha cambiato aspetto. Centinaia di pini svettano sulle rocce laviche e dall’alto assomiglia-no ad una marea verde che arriva fino al mare. Fra la distesa dei pini si ammira l’incantevole paesaggio d’I-schia, il Castello, Vivara e l’isola di Precida; in lonta-nanza si contemplano Capo Miseno e il golfo di Napoli dominato dal Vesuvio, e più in là Capri. È una visione di sogno.Barano: continuiamo a conoscerla - Ai piedi del Mon-te e nei magici boschi di Fiaiano - A cura degli alunni della Scuola Media Statale di Barano

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La Rassegna d’Ischia 6/2001 1

ISOLA D’ISCHIA1950 - 1999

cinquanta anni di vitae di storia isolana

IX

a cura di Raffaele Castagna

1954 - Il centenario del porto d’IschiaLo storico avvenimento ricordato con commemorazioni e

con varie manifestazioni folcloristiche

Il Monumento ai Caduti di Lacco Ameno (1955)

“Isola viva” 1957 e 1958

Turismo - Gran Pavese dell’anno 1963

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1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana/ Il centenario del porto d’Ischia

1904

1909

1937

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Il porto d’Ischia ha compiuto un secolo

di Gina Formiggini(in L’Isola verde, numero unico a ricordo)

17 settembre 1854: la data della solenne apertura al traffico del nuovo porto d’Ischia

1954 - Ricordato lo storico avvenimentocon una serie di commemorazioni e

di manifestazioni folcloristiche

Il tempo lavora da gran signore; non sempre favorevolmente, è vero (tal-volta compie veri misfatti), ma, in certi casi, l’opera sua è preziosa. In arteseleziona e rimangono vive le opere che hanno un reale valore intrinseco;nella storia, superate le passioni del momento, permette di avere una visionepiù chiara degli eventi. Scendendo su un piano più modesto, vedremo cheseleziona e lavora anche nei riguardi di organizzazioni, di festeggiamentipubblici e così via. La cronaca di oggi, sfrondata di inutili scorie, sarà storiadi domani. Anche i festeggiamenti organizzati nell’estate 1954 a Ischia, perfesteggiare il primo centenario dell’apertura del suo porto, subiscono, logi-camente, tale legge naturale. Durante l’organizzazione, quanta fatica, quantecritiche, quanti malumori, quanti palpiti precedono il risultato finale! Nelricordo, rimangono le immagini migliori, nitide, fotografate nella memoria.A proposito di fotografie, visitando a Napoli, al Circolo dei Forestieri, labellissima mostra allestita da Giulio Parisio sulle Feste di Napoli, mostra chesi avvantaggiava di una sapiente illuminazione, pensammo che anche unamostra delle feste folkloristiche ischitane, allestita con la stessa arte, avrebbeavuto ottimo risultato.

Ma, poiché - almeno per ora - que-sto rimarrà un desiderio, cercheremodi fissare sulla carta alcune di quelleimmagini conservate dalla memoria,a cui abbiamo accennato sopra.

La data della solenne apertura altraffico: quel 17 settembre 1854, chelo vide per la prima volta affollato dibattelli e natanti, nonostante l’assenzadel Sindaco e dei “decurioni” del tem-po, i quali si erano dichiarati sfavo-revoli alla trasformazione del lago inporto.

Le autorità locali del 1954 invece,unite in comitato, con numerosi “pa-tuti” dell’Isola, hanno ritenuto op-

portuno festeggiare il primo cente-nario del glorioso porticciuolo, chetanta parte ha avuto ed ha nella pro-sperità di Ischia. Molte le manifesta-zioni organizzate, divise in vari tem-pi, impegnando l’intera estate. Perquesto e per l’aspetto folkloristico chesi è dato ai festeggiamenti, li abbia-mo raggruppati in un’unica defini-zione: Estate Folkloristica Ischitana.

Ha aperto la serie, in luglio, la “Mo-stra del costume ischitano”, che, comedice il nome, aveva lo scopo di farconoscere e di suggerire l’uso dell’an-tico ed elegante costume di Ischia.Un gruppo di gentili dame si è inte-

ressato particolarmente di tale com-pito, procurando stampe che dove-vano servire di guida per preparare icostumi, mentre alcune fortunate si-gnore potevano trovarli autenticiaprendo le casse delle ave. Stampepreziose, avute in prestito da Enti eda privati, attaccate alle pareti, por-gevano il saluto delle antiche donnedell’isola; figuravano anche due me-ravigliosi costumi, eseguiti in pregiatitessuti - perfetta riproduzione di unastampa - appartenenti alla signoraMalcovati e sorella. Ma la nota piùgraziosa era data da un gruppo di bel-le fanciulle di Ischia, che circolavanosorridenti nel salone delle Terme co-munali, dov’era allestita la mostra.Fanciulle 1954, in costume 1854...Intanto gli organizzatori avevano pre-parato un artistico calendario dei fe-steggiamenti, destinato a diffondersiin tutta Italia.

In ordine di data, troviamo una se-conda mostra: “Il porto d’Ischia attra-verso l’arte”, allestita dal prof. PaoloBuchner. Compito non facile quellodi presentare opere di ieri e di oggi,di qualunque tendenza, purché ri-spondenti al tema prescritto: “Il por-to d’Ischia”. Eppure riuscì una mo-stra veramente degna di attenzionepoiché, oltre all’indiscusso valore ar-tistico, presentava un interesse stori-co. Musei e gallerie avevano conces-so opere in prestito, e così i visitatorihanno potuto ammirare un Hackertdel 1713, dove il... porto era ancoralago; un Gigante (delizioso), quadro

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Il sindaco Telese, in costume d’epoca, rende omaggio a ReFerdinando e alla reginna Maria Teresa, al secolo Francesco

Di Manso e Giuliana Staderini

1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana/ Il centenario del porto d’Ischia

che reca una frase del Maestro: “dal-la finestra della mia camera”; ed an-cora Mancini, Duclère e altre firmedi uguale valore. I moderni rispose-ro numerosi all’appello: più di cin-quanta. Oltre a tutti i pittori ischita-ni esposero i migliori tra i napoleta-ni. Molto interessante è stato osser-vare le varie interpretazioni date alsoggetto, secondo epoche e tenden-ze artistiche.

La terza manifestazione, dal puntodi vista della rievocazione storica, vaconsiderata la più significativa. Si èricostruita la scena dell’apertura delporto, nel giorno della sua inaugura-zione: “Come cent’anni fa...”. Re Fer-dinando II (impersonato da France-sco di Manso) porgeva il braccio auna deliziosa Maria Teresa (la signo-rina Giuliana Staderini), imponentenel ricercato abito di raso bianco, chemetteva in risalto i bruni capelli e gliocchi languidi e scuri. Un diademaadorno di gioie posava sul suo capo.La coppia reale prendeva posto in unaberlina. Seguivano, in carrozzelle ad-dobbate, dame e gentiluomini di cor-te e popolo in costume. Alla Pagodaun palco allestito in precedenza ac-coglieva le Loro Maestà e il seguito:come allora... Un gentiluomo, in abi-to da cerimonia dell’epoca, si presen-tava alla coppia reale quale “villeg-giante di Villa dei bagni” e porgeva il“benvenuto” a nome della popolazio-ne. Intanto la folla che circondava ilpalco riconosceva nel “gentiluomo800” il Comm. Telese e applaudiva.Egli sorrideva e proseguiva il suo di-scorso: “Maestà, a cento anni di di-stanza vi chiediamo scusa per il sin-daco e i decurioni, per la loro incom-prensione e scorrettezza”. La battutadi spirito piaceva al pubblico, che ap-plaudiva di nuovo. Intanto l’infuo-cato tramonto ha ceduto il posto alletenebre; il fischio delle sirene avver-tiva che qualcosa di eccezionale sta-va per accadere.

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Un viaggio a ritroso negli anni, ri-torniamo al 1854: entra nel porto ilDelfino, come allora. È una nave avapore, illuminata e addobbata sfar-zosamente.

Lo spettacolo che sta per svolgersinelle acque del porto centenario haqualcosa di fiabesco. Al “Delfino” se-gue la “Nave 800” del Prof. Malco-vati, poi quella di Federico De An-gelis, “I pescatori di Ischia si diverto-no” ed ancora “I pescatori di perle”,“Idillio Ischitano” e tante, tante altre,illuminate con palloncini alla vene-ziana. Tutte eseguono evoluzioni nelporto. Suonano le fanfare, scoppia-no i mortaretti, ardono i falò sui col-li, guizzano migliaia di fiammelle

lungo le coste, sul-le logge, sui balco-ni, sui tetti dellecase; si elevanoverso il cielo mi-riadi di scintilledei fuochi pirotec-nici. Come unapossente sinfoniamusicale, lo spet-tacolo si snoda inun “crescendo”orgiastico. Èl’apoteosi. Poi,una lunga pausa.A notte tarda l’iso-lotto in mezzo alporto accoglieràcantanti e orche-strine dell’isola:sembrano i nau-fraghi del senti-mento. Rivivran-no, per una notte,le patetiche canzo-ni dell’ottocento ela brezza diffonde-rà nell’etere l’ecodelle voci armo-niose: si fonderan-no col canto eter-no delle onde.

Il programma non concede soste:la rievocazione storica ha avuto luo-go l’8 agosto ed ecco per il 9 già pron-ta la bella manifestazione folkloristi-ca ideata dal pittore Federico De An-gelis: Ballo in costume in pineta. Lecoppie - circa 200 - nei caratteristicicostumi ischitani, sfilano in corteoper le vie del paese. Vediamo costu-mi autentici o perfette riproduzioni.Alcuni sono bellissimi: benestanti,popolane, spose, nobili, “cafone”, sfi-lano accanto a pescatori, pezzenti,gentiluomini, sposi, pittori. Tutti‘800? Naturalmente!

Molto “in forma” il pittore Vincen-zo Colucci, nella parte di “buttafuo-ri”. Cammina a lato del corteo, get-tando manciate di confetti, al grido

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di “Viva ‘o Re”. Re Ferdinando, s’intende... Il corteogiunge sino ai piedi del Castello Aragonese e qui si uni-scono i bravi danzatori di “Buonopane” col loro “ ca-porale” Fiorenzo Di Jorio e col fedele segretario Aristi-de Di Meglio. È scesa la notte; a tutti vengono conse-gnate torce accese e la sfilata assume un aspetto alta-mente suggestivo. Ali di popolo fiancheggiano il lungopercorso. Un palco è stato preparato in pineta: quandogiungono le coppie la giuria le osserva per assegnare ipremi. Il primo premio è vinto dagli “Sposi ‘800" cioèda Pia Climaco e Carlo Calise Piro, al secolo fidanzati.Indossano gli eleganti abiti di nozze dei nonni dellaClimaco, sposati nel 1853: più autentici di così! La fol-la gremisce il vasto piazzale, applaude vivamente primai molti premiati, poi i danzatori, che eseguono la“Ndrezzata”, il famoso ballo caratteristico di Buonopa-ne. Si avvicendano ancora tarantelle, valzer, polke, mu-sica, canzoni napoletane.

Il giorno 10 agosto, ultima manifestazione folklori-stica: Sfilata di carrozzelle addobbate in stile dell’epocacon grande fiaccolata. Persone, carrozze... e cavalli stile1854! Il corteo percorre la Strada Panoramica; sosta a“Mezzo cammino vecchio” ove “Sua Maestà” offre unbicchiere del profumato vino dell’isola, propizio peraumentare il brio dell’allegra brigata. Partenza! Arrivoal Castello Aragonese, breve sosta ritorno, con galop-pata finale nei viali dell’ex Palazzo reale, ora sede delle

Il “Delfino” 1954 entra nel porto

Terme militari. Il direttore delle Terme offre un ver-mouth. Re Ferdinando, la regina, il seguito, ammiranodalle terrazze del parco il magnifico panorama, mentreal suono di una chitarra si cantano vecchie canzoni.

Si chiude così, in bellezza, il ciclo delle feste folklori-stiche ed il “grande protagonista”, cioè il porto, ne sem-bra soddisfatto. Siamo dolenti che la mancanza di spa-zio ci vieti di nominare tutti coloro che con la loro ope-ra appassionata contribuirono alla riuscita del program-ma; non possiamo però non fare un’eccezione per ilvice-sindaco Luca Scotti e per Giovanni Messina, di-rettore dell’Ufficio del Forestiero, che si possono con-siderare un poco le “vittime” o, per meglio dire, i prin-cipali animatori di questa prima Estate folkloristica Ischi-tana. Dobbiamo anche aggiungere che molti premi sonostati assegnati, oltre a quelli per i migliori costumi: pre-mi ad orchestrine e cantanti, premi alle carrozzelle, pre-mi alle imbarcazioni.

Finalmente il 17 settembre, esattamente a 100 annidal lieto giorno della trasformazione del lago, i più fe-deli dell’isola si sono dati convegno per assistere allasolenne celebrazione tenuta dal Dott. Giacomo Deu-ringer, direttore dell’Ente Valorizzazione Ischia, il qua-le, con indovinate parole, ha illustrato ciò che ha signi-ficato tale evento per l’isola. Si è poi scoperta una lapi-de commemorativa. Questa la cronaca dei festeggia-menti per il centenario del porto, cronaca che si avviagià a diventare storia.

Gina Formiggini(Resoconto riportato in L’Isola verde, numero unico

Lapide a

edito da Renato Cacciapuoti, patrocinato dall’Ente Au-tonomo per la valorizzazione dell’isola d’Ischia)

ricordo del centenario

Il popolo d’Ischiariconoscente per i benefici ottenuti

dall’apertura di questo portonel I centenario

solennemente rievocava l’avvenimento17 settembre 1954

Lapide dell’apertura

Quando Ischia beavanodi loro augusta presenza

re Ferdinando II e Maria Teresaregina con la reale famiglia

questo porto meravigliosamentein pochi mesi aprirono

1854

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1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana/ Il centenario del porto d’Ischia

L’esposizione pittorica

Serata deliziosa quella del 7 ago-

sto 1954, quando venne inaugura-ta l’esposizione artistica dei dipin-ti più solenni che ritraggono il por-to di Villa dei Bagni, da un secoloin qua e prima ancora!

Tra i numeri, tutti festosi, dellecelebrazioni, questa è la seratadegli intellettuali, di quelli che re-cano l’abito di pigliare letizia allacontemplazione dell’arte come lu-cido splendore del bello.

Nella sala delle Terme Municipa-li si nuota in un’orgia di luce; unavera folla di buongustai, isolani eospiti graditi durante la gaia sta-gione balneare, si aggira entusia-sta intorno ad una ottantina diopere di pennello, produzioni gra-devoli tutte, a cominciare dai ma-estri di primo piano, a scendere allospontaneo dilettantista.

Dobbiamo sentirci riconoscentiper la serena festa d’anima alla So-printendenza d’arte, la quale hapermesso di tirare fuori dalla Reg-gia di Caserta e dal Museo di SanMartino veri capolavori d’arte ri-guardanti il porto; alla Correale diSorrento e alle collezioni private

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del Duca Camerini, del Comm. A.Florio, del Prof. Paolo Buchner.

Tre superbi quadri di GiacintoGigante (1806-1876); una vedutadell’isola d’Ischia del Müller; il lagocol tondo di Filippo Hackert (1737-1807); un quadro di Teodoro Du-clère (1816-1868); un paesaggio diWeinhola Calwo; una tela dei Va-gersang di Zurigo; un attraentedisegno del Mancini: i lavori perl’apertura del porto 1853; un gin-gillo di Consalvo Carelli: la chie-setta di San Girolamo; un’Ischiadella Sig.ra Buchner; molti lavoridi anonimi riguardanti il porto.

Seguono i lavori della scuola pit-torica isclana sul bel montare; l’at-tenzione di tutti è rivolta al portodopo l’apertura al commercio.

In capo vanno posti gli audaci ca-piscuola, i quali da mezzo secolorecano in giro, per l’Italia e fuori,il nome d’Ischia: Vincenzo Colucci,Matteo Sarno e l’indimenticabileFederico Variopinto.

Diamo i nomi degli altri esposi-tori. Seguiamo l’elenco che ci offrela segreteria: Luigi e Federico DeAngelis, Eduardo Colucci, Giusep-

pe Albano, Gigi De Angelis, Vin-cenzo Funiciello, Ugo Cacciapuoti,Lucia Calibrizzo, Mario Mazzella,Aniello Antonio Mascolo, Elio Wa-schimps, Mattera, Pollio, Curci,Vezzuti, Giocondo Sacchetti, Cane-strint.

Come porta l’uso, dovremmo re-care l’elenco degli intervenuti: ci ri-nunziamo per non incorrere inomissioni involontarie. Siamo con-tenti di accennare alle rappresen-tanze. Intorno la cattedra dell’ora-tore sono assembrati l’On. Artiaco,senatore per l’isola d’Ischia; il Prof.Piegari, Presidente del ConsiglioProvinciale di Napoli; il Dott. Gia-como Deuringer, Direttore dell’En-te di valorizzazione dell’isolad’Ischia; il Prof. Luca Scotti, Pre-sidente del Comitato dei festeggia-menti; il Colonnello Giovanni Dot-tor Manzi, Direttore dello Stabili-mento balneo-militare; il Coman-dante del Porto, Mario Filosi; ilComm. Alfredo Florio; il Direttoredelle Terme, Sig. Mario Balestrie-ri; il segretario del Comitato Sig.Giovanni Messina.

Dopo il trillo del richiamo, il Sin-daco d’Ischia, Vincenzo Comm. Te-lese, con parole calde di entusia-smo volge invito al Prof. Paolo Bu-chner, il quale, durante mezz’oradi riposato conversare, con la suaparola ornata, viene illustrando,con limpide, soddisfacenti didasca-lie, i quadri di alto livello, che han-no riferimenti storici con l’inaugu-razione del porto.

E dal fondo della sala si leva im-ponente, ritto, di tutta la persona,la figura atletica di Ferdinando II,nella florida giovinezza. È in divi-sa militare; la mano sinistra, po-sata al petto, reca la feluca piuma-ta; la destra, scendente al fianco,serra i guanti. Tutta l’anima arden-te l’assomma negli occhi, che mi-rano lontano! È il capolavoro delMartorelli, viene dalla reggia diCaserta, con l’assicurazione, com’èdetto, di due milioni.

Onofrio Buonocore

(In O. Buonocore - Festose celebra-zioni secolari isclane, Napoli 1955)
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(Momento Sera, 20 agosto 1955)

La principessa JosèDel Drago, MimosaPignatari, lacontessa ConsueloCrespi e l’architettoSandro Pettiascoltano ilchitarrista UgoCalise a “’ORangio Fellone”

Ischia, l’isola del Golfo di Napolipiù grande e ricca di risorse natura-li, deve la sua rinomanza, come cen-tro turistico, all’abbondanza dellesue acque termo-minerali, alla suaposizione geografica privilegiata,all’incanto poetico delle sue rive ric-che di scogli dalla strana plasticitàevocatrice di mitici personaggi, allasua vegetazione lussureggiante edinfine alla natura vulcanica del suo-lo.

La leggenda vuole che nei fondimarini Tifeo, un gigante ribelle aGiove, giaccia e che dalle sue caldelacrime scaturiscano le molteplicisorgenti che fanno di Ischia il luogopiù radioattivo di tutta l’Europa. Perquesta ragione si sente spesso direche i non più esattamente giovanila preferiscono come luogo di villeg-giatura.

È altrettanto vero però che l’incan-to lirico delle bellezze naturali, arti-stiche, archeologiche, le stupendespiagge marine, il cielo sempre az-zurro e, dulcis in fundo, i piacevoliritrovi notturni fanno di Ischia unluogo di gradevole soggiorno ancheper i giovani, che trovano qui abbon-dante materia per sfogare, duranteil periodo di vacanze, l’energia ac-cumulata durante un anno di stu-dio e di lavoro.(...)

Dire che Ischia si sta avviando ra-pidamente a divenire uno dei più im-portanti centri di villeggiatura è diretroppo e nello stesso tempo troppopoco. Infatti Ischia non è veramen-te una scoperta di quest’anno o diquesti ultimi anni. Le antiche Chie-se, le Ville e il Castello (che in ag-giunta ai caratteristici villaggi deipescatori costituiscono altrettantemete turistiche), testimoniano il fa-vore che Ischia godeva, fin dai tem-pi più remoti.

Il successo che in questi ultimianni hanno riscosso le isole in gene-rale, come meta turistica, e la fidu-cia che gli ischiani tutti hanno nella“loro” isola hanno acceso una febbri-le atmosfera che porterà rapidamen-te questo paradisiaco luogo alla va-lorizzazione completa.

Gli alberghi nascono dalla matti-na alla sera. Molte case di pescato-ri, conservando esternamente la loro

affascinante e pittoresca apparen-za, sono diventate ormai residenzedotate di tutti i conforts moderni diricchi industriali del Nord, che perle ferie estive, dimenticando i pre-concetti campanilistici, vi si calanoa frotte numerose. Via Vittoria Co-lonna e Via Roma, che costituisconoil “passeggio” serale, possono beneessere paragonate alla romana ViaVeneto o alla Via Montenapoleone.

Alla chiusura del Monkey Bar, del‘O Rangio Fellone o della Tavernet-ta del Moresco, i locali notturni del-la massima mondanità, non è diffi-cile veder formare dei gruppi di per-sone, che se ne partono a dorso dimuli per salire sul Monte Epomeo(dove fra non molto arriverà la funi-via) per veder spuntar l’alba, spet-tacolo di un fascino più unico cheraro.

Nella rada, accanto alle folklori-stiche barche dei pescatori, sono an-corati panfili d’eccezionale bellezza.

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(...). Con il motoscafo del comm.Baldoni, leggiadro e pauroso comeuno di quei tanti cicloni che imper-versano sulle coste americane cheportano sempre un vezzoso nomefemminile, e che come un ciclone,oltre portare lo scompiglio nelle tra-sparenti acque del Golfo partenopeo,porta il delicato nome “Dudù”, ab-biamo fatto un rapido giro che ci harivelato l’incanto favoloso di Casa-micciola, l’imponenza maestosa delCastello Aragonese, il vivace folklo-re della penisola di Sant’Angelo colpiccolo villaggio di pescatori, laspiaggia dei Maronti ricca di soffio-ni e sorgenti calde ed altre spetta-colose beltà che potenti hanno risve-gliato in noi la fantasia della fanciul-lezza, riportandoci alle praterie sot-tomarine cullate nei sogni, dove lesirene, i tesori sommersi, e le ciur-me dei pirati svanivano immanca-bilmente con il risveglio.

Giulio I. Citti

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1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana

Lacco Ameno (Piazza S. Restituta) - 4 novembre 1955

Inaugurato il monumento ai cadutiMichele Regine

(Corriere di Napoli 8/9 novembre 1955)

Sotto un cielo terso, in un’atmo-sfera di entusiasmo popolare e conuna festosa cerimonia, è stato ce-lebrato a Lacco Ameno il gloriosoanniversario della vittoria. Per l’oc-casione è stato inaugurato un mo-numento ai caduti.

Alla bella manifestazione pa-triottica le autorità comunali han-no voluto far coincidere un’altranon meno suggestiva e significati-va, cioè la elezione di Angelo Ríz-zolí a cittadino onorarío di LaccoAmeno. In Piazza S. Restituta,pavesata di bandiere tricolori e tra-sformata in una serra di fiori, sonoconvenute numerose autorità civi-li, militari e religiose, gran folla dicittadini, provenienti dagli angolipiù remoti dell’isola d’Ischia, com-battenti, scolaresche, associazionicattoliche e un folto gruppo di av-venenti e graziose fanciulle in co-stumi ischitani dell’800.

Il sindaco dott. Leonardo Monti,nell’ampio salone del Comune,dopo aver pronunciato elevate pa-role d’occasione, tra scroscianti eripetuti applausi, ha conferito adAngelo Rizzoli la cittadinanza ono-raria di Lacco Ameno, offrendogliuna elegante pergamena, legatacon un nastro tricolore che è statotagliato dalla gentil Donna FulviaBertini.

Con un tale atto il popolo ha in-

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teso esprimere i sentimenti di vivariconoscenza, perenne gratitudinee immensa benevolenza a colui chetanto si è adoperato per il definiti-vo e grande sviluppo della cittadi-na termale di Lacco Ameno in par-ticolare e dell’Isola verde tutta. Adopera di Rizzoli, infatti, Lacco Ame-no oggi vanta un modernissimo,lussuoso stabilimento termale, ilpiù importante indiscutibilmented’Europa, per la radioattività del-le acque, con un grande albergoannesso.

Di fronte a tanta manifestazio-ne di simpatie, il benemerito edi-tore Rizzoli, che ha già donato aiComuni isolani un moderno ed at-trezzatissimo ospedale, visibilmen-te commosso, ha ringraziato le au-torità e la popolazione, prometten-do loro che per il 1956, nelle varielocalità dell’isola, sarà realizzatoun vasto ed imponente programmadi opere, consistente nella costru-zione di alberghi, di un campo peril golf e di un altro per il tennis aForio, e di un lussuoso cinema-te-atro, ove verranno proiettati filmin anteprima in Italia. La prossi-ma costituzione poi di una impor-tante squadra di calcio che verràchiamata “Nazionale ischitana” haentusiasmato tutti.

Dopo la riuscitissima cerimoniasi è formato un imponente corteoche si è diretto in Piazza S. Resti-tuta, ove è stata celebrata unaMessa. Ha officiato il Rev. PietroMonti, il quale, dopo aver benedet-to il monumento, ha pronunciatoun dotto discorso inneggiante al-l’opera fattiva e costruttiva di Riz-zoli che, con gesto encomiabile, haelargito sempre favolose somme afavore dei poveri.

Il monumento, opera dello scul-tore Coccia di Roma, raffiguraun’artistica e graziosa fontana sor-montata da quattro teste di delfi-

no e quattro di gabbiano.L’acqua zampillante, oltre a ri-

cordare l’acqua del Piave, bagnatadal sangue degli eroi caduti inguerra, simboleggia anche la con-tinuità della vita nelle miracoloseacque radioattive di Lacco Ameno.La cerimonia dello scoprimento delmonumento è avvenuta mentre nelcielo volavano stormi di colombi eaerei militari compivano evoluzio-ni e si udivano lo scoppio festosodei petardi e il suono giulivo dellecampane. Intanto la banda “Rizzo-li” intonava gli inni della Patria.

La storica data è stata rievocatacon un discorso del sindaco, dott.Leonardo Monti.

In serata il citato complesso ban-distico, diretto dal Maestro Napo-litano, ha tenuto un concerto inpiazza.

La manifestazione è stata cura-ta da un comitato presieduto dalPrincipe Innocenzio Pignatelli e co-stituito da tutti i componenti delconsiglio comunale, dalla signori-na Fulvia Bertini, dal dott. CarloTallarico e da molti altri.

Tra gli intervenuti sono stati no-tati: l’attrice Miriam Bru, il prof.Malcovati, il generale Rodolfo In-fante, il col. Romano, il comm. Vin-cenzo Telese, sindaco di Ischia, ilrag. Antonio Castagna, il pretored’Ischia dott. Tavassi col cancellie-re dott. Pizzuti e molte personali-tà del mondo artistico, culturale egiornalistico, nonché numerosistranieri.

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Lettera da Ischia - anno primo n. 1 - primavera 1957

Una turista straniera nella bottegaantiquaria di Vincenzo Colucci

A Roma, nella Galleria La Feluca, Bebé Lauren-za ha esposto le sue marine.

Il delicato pittore lacchese continua la tradizio-ne dei migliori marinisti mediterranei. La sua pit-tura ha ottenuto vasti consensi di pubblico, di cri-tica e di collezionisti. È stato invitato alle princi-pali mostre nazionali ed internazionali. Grande èstato il suo successo alla recente mostra degli In-contri di Artisti mediterranei a Palermo. A La Fe-luca Laurenza è stato, tra gli altri, visitato da Sil-vana Pampanini. Della sua pittura così ha scrittoDiego Calcagno: “I pittori sulla terra sono innume-revoli, come le stelle nel cielo. Ma tra i tanti ve n’èqualcuno che non dipinge ma canta e fantasticacon i fili leggeri del suo pennello. Quando la pittu-ra si sposa con la poesia, sono testimoni alle nozzela follia e la delicatezza. Nasce da questa unionel’opera d’arte, la creatura che alla tecnica, all’espe-rienza, alla moda e alle furbizie non deve nulla.Tra i pittori, che operano in questo stato di grazia,è Umberto Laurenza. I suoi paesaggi, le sue mari-ne, caste e incantate, sembrano filigrane dell’amo-re e del sogno. Mi piacciono”.

*Neil Little ha preferito invece restare sull’isola,

esponendo nel Bar Ristorante Lo scirocco di Forio,trentadue pitture. La mostra ha riscosso il più lar-go successo di critica e di visitatori.

*Nell’Aula Magna della Biblioteca Antoniana di

Ischia si è tenuto il diciassettesimo convegno degliintellettuali dell’isola. Sotto la sovraintendenza diquella inesauribile quercia che è Mons. OnofrioBuonocore, dopo la relazione finanziaria e moraledell’anno bibliografico 1956, il dott. Andrea Piro haillustrato Come vidi il mio maestro dott. GiuseppeMoscati. Il dott. Aniello Calise “sempre atteso”,come era annunciato nel biglietto di invito, ha datoancora un piacevole saggio della sua verve poetica.Al piano la signorina Anna Colucci.

*Luigi De Angelis e Aniellantonio Mascolo, espo-

nendo contemporaneamente a Roma, il primo lesue pitture alla Fontanella e il secondo le sue scul-ture e incisioni all’Aureliana, hanno polarizzzato

l’interesse degli ambienti artistici della capitale suIschia.

Manlio Miserocchi dice di Mascolo: “Ischitano,ci restituisce l’isola primitiva che andiamo cercan-do per il nostro riposo e le nostre meditazioni, eche a poco a poco sta cedendo di fronte al neon ealle esigenze turistiche delle fonti salutari. Sta difatto che davanti alle xilografie di Mascolo si sentela nativa interpretazione del paesaggio sul mare,nelle pinete e nel superstite barocco aragonese oveinquadra processioni, cortei nuziali, giostre, can-tastorie, pescatori, marinai, ragazze, barche, vele,cani, cavalli, ogni episodio raccontato con una fre-schezza vitale da renderlo insieme autore moder-no e classico”.

E Vasco Pratolini di Gigi De Angelis: “Accanto alDe Angelis delle marine, dei paesaggi ischitani,delle processioni, delle scene popolari, c’è il DeAngelis lirico. Il diarista di una vita familiare gra-ma e nobilissima”.

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Lettera da Ischia - anno primo n. 4 - inverno1957

Incisione di Aniellantonio Mascolo, uno dei più caratteristici ar-tisti che espongono alla Mostra “Il Natale nell’Arte Ischitana”.

Una mostra d’arte dal promettente tema Il Na-tale nell’arte ischitana rimarrà aperta ad Ischiapresso la Sala “La Fontana” in Via LuigiMazzella 78, dal 22 dicembre 1957 al 26 gennaio1958.

L’iniziativa di tale Mostra, che è stata orga-nizzata con il patrocinio dell’Ente Autonomo perla valorizzazione dell’Isola d’Ischia e del Comu-ne di Ischia, è dovuta ad un Comitato locale pre-sieduto dal Dott. Domenico Bizzarro.

Il Vescovo di Ischia, Mons. Antonio Cece, haaderito all’invito a lui rivolto di assumere la pre-sidenza di un Comitato d’onore in cui sono pre-senti tutte le autorità isolane.

***I componenti della Ndrezzata, l’antichissima

e non meno caratteristica danza che tanto inte-resse ha suscitato e tuttora va suscitando tra glistudiosi dell’arte e del folklore isclano, l’hannorecentemente arricchita di una nuova ed interes-sante figurazione.

Dopo aver eseguito la danza, gli esecutori siliberano dei mazzarelli e delle spade che hannovorticosamente “intrecciato” in armonico caroselloe si armano di lunghi e grossi bastoni a forma disigaro, aventi una delle estremità alquanto in-grossata, e con questi bastoni si trasformano inbattitori della volta dei tetti.

Infatti, per chi non lo sapesse, i tetti delle casead Ischia, prima che il cemento armato invades-se l’isola, venivano costruiti a forma di cupoleschiacciate. Per comprimervi il calcestruzzo mi-sto a lapillo, e sagomarne la volta, venivano in-gaggiati una diecina di giovani robusti che si ado-peravano con zelo ed arte alla bisogna.

Il ritmo che assumeva il lavoro di battituraveniva accompagnato da un suonatore di tam-burello e da un clavinista. Nasceva così un vero eproprio numero musicale e si riuniva intorno alla

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casa costruita di fresco tutta la gente del contado,conferendo con la sua presenza al lavoro dibattitura della volta il significato d’un rito che èrimasto nella storia del folklore isolano.

Durante gli intervalli, ai battitori veniva of-ferto dal proprietario della costruzione vino ezeppole, mentre le donne recavano ai battitoristessi grosse ceste infioccate ed abbellite con na-stri colme di cibarie: maccheroni al sugo, coni-glio alla cacciatora, rosolato in erbe aromatiche,prosciutto, pane e frutta di stagione.

In questo nuovo numero aggiunto allaNdrezzata non vi saranno portatrici di cesteinfioccate, colme di cibi, ma solamente renderàgrazie ai partecipanti alla danza il vivo e caloro-so applauso della folla, la quale ritornerà per po-chi istanti in un’epoca passata, e rivivrà un’alle-goria che è significativa del folklore isclano.

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Lettera da Ischia - anno secondo n. 5 - settembre 1958

Nell’ultima tornata del Centro di studi sull’isolad’Ischia, sotto la presidenza del prof. Paolo Buch-ner, si è proceduto alla elezione del vice presiden-te e del consiglio di amministrazione del Centrostesso.

A vice presidente, all’unanimità, è stato elettoil prof. Cristofaro Mennella; il consiglio di ammi-nistrazione è stato rieletto nelle persone del prof.Pasquale Polito, dott. Michelangelo Patalano,Mario Caccioppoli e Franco Scala. La segreteriagenerale del Centro è stata affidata al dott. Pata-lano.

Il prof. Buchner ha letto quindi alcuni capitolidella sua biografia di Giulio Iasolino di prossimapubblicazione. Al termine è stato festeggiato perla laurea ad honorem che gli è stata conferita dal-l’Università di München per i nuovi elementi ac-quisiti alla scienza con i suoi studi nel campo del-la biologia generale.

***

Giorgio De Chirico all’inaugurazione della sua personalea “La Plaza” di Lacco Ameno accanto al suo autoritratto

A Lacco, nel piccolo ma tanto artistico “La Pla-za”, abbiamo visto ed ammirato alcune delle mi-gliaia di opere di quel grande genio della pitturacontemporanea che risponde al nome di GiorgioDe Chirico. Francamente occorrerebbe ben più chel’avaro spazio che la rivista concede a questa ru-brichetta per poter, non giudicare, perché De Chi-rico è artista che si è posto ormai al di sopra dellacomune critica di mestiere, ma almeno dar contodelle tele che han trovato posto nella personaledi Lacco. Tutte portano impresso il marchio in-confondibile dell’Arte più pura, come ad esempio:l’Odalisca, l’architettonica Piazza d’Italia, i fre-netici cavalli fuggenti, la veduta di Palazzo Du-cale ed infine l’autoritratto che mostra il Maestronella sua attività più naturale perché, come dicemolto giustamente Isabella Far nella prefazioneal catalogo delle opere esposte, per De Chirico lapittura è scopo di vita e la qualità ne testimoniatutto il valore che trascende dalla venalità dellecomposizioni ed in cui il profondo spiritualismo èl’indice più esatto dell’anima del nostro grandepittore. E non ci si taccia di nazionalismo artisti-co, se affermiamo con tutta sincerità che mostred’arte come quella di Lacco sono il simbolo piùvero della validità della nostra arte che ha anco-ra molto da dire al mondo intero in fatto di artifigurative.

***Al Minareto di Ischia si è aperta il 6 luglio un’al-

tra personale artistica. Sono quattro giovanissi-me allieve della Scuola artistica napoletana chesi cimentano per la prima volta con la critica econ il visitatore: Giuliana Madia, Nerina Piciul-lo, Luisa Avolietto, Clara Coppola. Esse han datouna dimostrazione di misura e di notevole sensodelle proporzioni, se appaiono gaie come solo ra-gazze della loro età sanno essere, anche se i loroquadri hanno un qualcosa di serio, di ponderatoche mette ancor maggiormente in risalto la lorobravura.

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1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana

Gran pavese dell’anno 1963Da Lettera da IschiaAnno I (nuova serie)N. 2/autunno 1963

Porto d’Ischia, 8 agosto: Il Comm. Italo Monzino, vincitore della regata Antibes-Ischia,mostra i numerosi premi vinti, tra i quali il tradizionale “Boccale del Mediterraneo”.

La stagione turistica ischitana,che ha avuto inizio in luglio con laoramai classica gita gastronomicaai Maronti, si è conclusa il 13 otto-bre con la festa della vendemmia,cui hanno partecipato, in fraterni-tà con le popolazioni locali, le nu-merose colonie di forestieri che an-cora s’attardavano a fare provvistadi sole per il lungo inverno nordicosulle luminose e dorate spiaggedell’Isola.

Tra l’uno e l’altro avvenimento siè avuto un ciclo particolarmente in-tenso di manifestazioni artistiche,mondane e sportive di cui alcune,per la loro risonanza internaziona-le, meritano di essere ricordate.

Circa duecentocinquanta sonostati gli ospiti dell’Isola che hannopartecipato il 13 luglio alla Gita ga-stronomica. Una lunga, pittorescafila di carrozzelle e motocarrozzet-te li ha trasportati sulla spiaggiadei Maronti, dove hanno atteso checonigli e polli si cuocessero nellasabbia ardente, tuffandosi e rituf-fandosi nelle limpidissime acquedel mare.

Anche quest’anno ha avuto luo-go il 27 luglio, con grande concorsodi turisti italiani e stranieri, la tra-dizionale Festa a mare agli scoglidi Sant’Anna, culminata a nottealta con l’esplosione di fuochi d’ar-tificio e con il simulacro d’incendiodel Castello aragonese.

I premi messi in palio dall’E.V.I.per le barche meglio addobbatesono stati così assegnati da un’ap-posita giuria della quale, oltre alpresidente dell’E.V.I., dott. Deurin-ger ed al sindaco d’Ischia, Gran-d’Uff. Telese, facevano parte turi-sti e villeggianti: 1° premio di lire120.000 all’imbarcazione “Fanta-sia Isclana” di Rotolo e Savarese;2° premio di lire 100.000 all’imbar-cazione “Incendio del Vesuvio” diGiovanni e Giuseppe Sorrentino; 3°

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premio di lire 80.000 all’imbarca-zione “La torre di Sant’Anna” diMigliaccio e Di Massa; 4° premiodi lire 60.000 all’imbarcazione“Fondo Marino” di Triunfo e Taglia-latela; 5° premio di lire 40.000 al-l’imbarcazione “A tenda p’’e rezze”di Rossi, Cesareo e Scoti; 6° pre-mio all’imbarcazione “Gli argonau-ti” di Roberto Ielasi. Fuori concor-so la barca dell’Azienda autonomadi cura, soggiorno e turismo di Sor-rento.

Eccezionalmente affollati i salo-ni del Circolo del Forestiero per iconcerti tenuti dal gruppo stru-mentale “Alessandro Scarlatti” diNapoli e dal soprano giapponeseMiciko Hiroyama, accompagnataal piano dalla signora LoredanaFranceschini.

Trentasei barche d’alto mare inrappresentanza di clubs nauticiitaliani, francesi e spagnoli, han-no partecipato alla Regata interna-zionale del Mediterraneo 1963 “An-tibes-Ischia” organizzata dalloYacht Club Italiano con la collabo-

razione del Real Club Nautico diBarcellona, dello Yacht Club diFrancia, dello Yacht Club di Mona-co, delle Marine militari italiana efrancese, nonché del Club Nauti-que di Antibes e del remo e dellavela “Italia”.

L’appassionante regata di 384miglia marine ha visto vincitore il“Mait II” del Comm. Monzino alquale è stato assegnato il Boccaledel Mediterraneo, per il migliortempo realizzato tra tutte le clas-si.

In onore dei regatanti è stato or-ganizzato un ciclo di manifestazio-ni che ha avuto inizio il 6 agostocon un vermouth di onore offertodagli Albergatori di Ischia nei lo-cali del Circolo del Forestiero. Hafatto seguito nei giorni 7 e 8 ago-sto un giro turistico dell’Isola inpullman, un cocktail allo Sportingdi Lacco Ameno, offerto dalla dire-zione dell’Albergo Regina Isabella,una “pizziata” offerta dall’E.V.I. nelcaratteristico ristorante di Massaad Ischia Ponte, un pranzo di galaofferto dallo Yacht Club italianosulle terrazze dello Sporting Club

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Forio, 6 ottobre: L’ing. Marcello Rodinò consegna al rappresentante della squadra dei dilet-tanti spagnoli il trofeo Ugo Rodinò, vinto dalla stessa squadra unitamente alla Targa NicolaIacono, altro premio di cui è stata da quest’anno dotata la classica gara ciclistica isolana

di Lacco Ameno ed, infine, una se-rata danzante al “Pignatiello” du-rante la quale sono stati consegnatinumerosi premi a tutti gli equipag-gi in gara.

Il giorno 9 agosto ha avuto svol-gimento “la regata dei tre golfi “Ischia - Palmarola - Capri - Napo-li, che ha visto ancora vincitore ilcomm. Italo Monzino con il suo“Mait II”.

Quattordici concorrenti, quattor-dici belle ragazze, tutte ugualmen-te degne di cingere la fascia di “On-dina di Sport - Sud” si sono pre-sentate la sera del 10 agosto da-vanti alla giuria insediata all’Ole-ander di Lacco Ameno. La scelta,quest’anno, dopo ripetute votazio-ni, è caduta su una ragazza di Ba-rano, Flavia Conte, la quale ha di-chiarato d’aver partecipato al con-corso facendo affidamento non sul-la bellezza ma sulla sua prepara-zione atletica. La Conte è statacampionessa campana di fiorettonel 1961, ha frequentato l’Accade-mia nazionale di scherma ed hapartecipato con successo a gare dinuoto. Le altre finaliste, seleziona-te sugli stabilimenti balneari del-l’Isola, erano: Maddalena Leoni,Lia Carrano, Carmela D’Abundo,Clorinda Lirer, Bruna Famà, AnnaMaria D’Abundo, Anna Maria Im-prota, Carla Schioppa, Milly Chia-rolanza, Mirella Covatta, RosalbaPanaccioni, Agnese Jacono, Fran-ca Romano.

La giuria era composta dal sopra-no giapponese Miciko Hiroyama,che ha consegnato la fascia all’on-dina, e dalle signore Ferretti, Pa-cifico, Imparato, Marcucci, Lom-bardi, Cassero, dal sindaco d’IschiaTelese, dal sindaco di Barano DiMeglio, dal presidente dell’E.V.I.Deuringer, dal direttore dell’EnteAmato, dal dott. Montella, da GinoLatilla, dal comandante Carrino,dal dottor Taddeo, dal gruppo diSport-Sud con il direttore EnricoMarcucci e i redattori Cassero, DelVecchio, Greco, Travaglini e Paci-leo.

La Polisportiva di Lacco Ameno,

giunta quest’anno alla sua terzaedizione, ha visto in gara il 23 ago-sto per la conquista degli ambitipremi posti in palio, giovani atletidi diverse nazioni e paesi. Le gare,che comprendevano nuoto, palla-nuoto, pallavolo, corsa campestre,100 metri piani e tennis si sonosvolte alla presenza di numerosopubblico. Il Comitato organizzato-re era composto dal sindaco di Lac-co, prof. Vincenzo Mennella, dalprof. Michele Patalano, dal prof.Giuseppe Silvestri e dai sigg. Cam-pione, Ruggiero G. e Giglio. Segre-tario Raffaele Castagna.

A conclusione della III Polispor-tiva organizzata dal Comune di Ca-samicciola con la collaborazionedell’E.V.I. ha avuto luogo sabato 31agosto, nei locali del Bagno Mari-no una festa danzante in onoredegli atleti vincitori delle gare dinuoto, di atletica leggera e di ca-nottaggio. Hanno concorso alla riu-scita della manifestazione il com-plesso di Nick Pagano e i cantantiLuise Mitchell e Guido Locas.

I premi ai vincitori sono stati con-segnati personalmente dal sinda-co di Casamicciola, comm. Casta-gna, che si è avvalso, per la orga-nizzazione delle manifestazioni,della collaborazione degli avv. Mor-gera e del direttore dell’E.V.I. rag.Amato.

Il 31 agosto ha avuto luogo a San-t’Angelo la serata musicale “Chia-ro ‘e luna a Sant’Angelo d’Ischia”con la partecipazione dei cantantiai quali sono stati assegnati gli“Epomeo d’oro “.

Chitarristi di tutto il mondo sisono cimentati in una gara cortesenel giardino dell’Albergo Cristallodi Casamicciola dall’11 al 14 set-tembre. Massimiliano Vajro statouno degli animatori del II Festivalinternazionale della Chitarra.

Al Trofeo Ugo Rodinò (giro cicli-stico dell’isola), giunto quest’annoalla sua decima edizione, ha par-tecipato anche la squadra spagno-la venuta a Napoli per disputare igiochi del Mediterraneo. I corrido-ri oltramontani hanno trovato par-ticolarmente severo e impegnativoil percorso costituito da tre giridell’isola con partenza ed arrivo aForio. Al X Trofeo Ugo Rodinò èstata quest’anno abbinata la pri-ma targa Nicola Jacono, istituitadall’E.V.I. in memoria del propriodirettore tecnico immaturamentescomparso.

Tra le manifestazioni artistico-mondane che hanno fatto da coro-na agli Incontri internazionali delCinema quella che ha avuto luogoil giorno 8 ottobre ad Ischia per laconsegna degli “Epomeo-ciak”.

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1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana/ Gran Pavese dell’anno 1963

Il Ciclo delle manifestazioni,come si è detto in principio, si èchiuso in letizia con la Mostra deivini tipici dell’Isola e con la Festadella Vendemmia, l’una e l’altramagistralmente descritte da MarioStefanile su Il Mattino.

A noi non resta, quindi, che darela composizione del Comitato orga-nizzatore al quale va il merito del-

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la riuscita della bella manifestazio-ne. Ecco i nomi: Sindaco d’Ischia,Grand’Uff. Vincenzo Telese, Sig.Mario D’Ambra, sig. Renato Cac-ciapuoti, sig. Giovanni Messina,signora Sisina De Laurentis, signo-ra Rosaria Buono, signora AnnaColucci, prof. Bonaventura Baldi-no, cav. Vincenzo Funiciello, sig.Edoardo Canestrini, sig. Aldo Del-

l’Isola, sig. Domenico Lupoli, sig.Arcangelo Mazzella, Cav. MicheleColella, sig. Tony De Falco, dottorNicolaniello Buono.

Il Prof. Vincenzo Colucci ha fe-steggiato l’onomastico di S. Miche-le Arcangelo protettore della Gal-leria d’arte “L’Orsa Maggiore “ conMaria Pia di Jugoslavia, la Princi-pessa Ira di Furstenberg, i Princi-pi Otto ed Enrico D’Assia, con lapianista Niny Colucci, il BaroneStead, Baronessa Ursula Von Sto-ehr.

Franco Postiglione

Vento alla velaGrazie a nuove, veloci motonavi,

e alla distribuzione di queste sugliitinerari di maggior traffico, unmilione e mezzo di viaggiatori han-no avuto la possibilità di muoversia loro agio, abbreviando la distan-za fra l’isola e il continente.

Nel complesso si sono avvicenda-te, da e per gli scali isolani, 65 cor-se giornaliere, così distribuite: 17dal Beverello, 38 da Pozzuoli - dicui 17 effettuate da navi traghetto- 4 per Capri, di cui 2 effettuatedagli aliscafi, 6 per Mergellina ser-vite dagli aliscafi. A queste corsevia mare s’aggiungono n. 16 corseal giorno effettuate dagli elicotte-ri.

Il consuntivo del movimento tu-ristico in generale, conseguito que-st’anno dall’Isola d’Ischia, dal 1°gennaio al 30 settembre 1963, èstato di 68.814 arrivi e 1.010.280giornate di presenza.

Questi i dati del movimento ma-rittimo in relazione al numero ealla stazza delle navi approdate, aiviaggiatori sbarcati, alle merci,sugli scali isolani durante il perio-do suindicato:

Ischia Castello: Navi approdate730, stazza netta tonn. 220.456;Passeggeri sbarcati n. 34.185.

Porto d’Ischia: Navi approdate12.814, Motovelieri 345, Stazza

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Foto in alto: un gruppo di partecipanti alla tradizionale Festa della Vendemmia. Tra essil’artista Vincenzo Funiciello, ideatore dei folcloristici carri .Foto in basso: numerosi ospiti stranieri hanno partecipato insieme agli isolani alla tradizio-nale Festa della Vendemmia. Nella foto la signora Renata Potter di Berlino, tra il veteranodei cocchieri ischitani Sebastiano Lucido Balestrieri e l’organizzatore Renato Cacciapuoti.

complessiva tonn. 1.504.966; Pas-seggeri sbarcati n. 630.839, mercisbarcate tonnellate 47.577.

Casamicciola Terme: Navi appro-date 1.205, Motovelieri 47, Stazzacompl. tonn. 317.448; Passeggerisbarcati n. 24.207, merci sbarcatetonn. 5.656.

Lacco Ameno: Navi approdate727, Stazza tonn. 216.638; Passeg-geri sbarcati n. 3.990.

Forio: Navi approdate 423, mo-tovelieri 22, stazza tonn. 126.824;

Passeggeri sbarcati n. 1.786; Mer-ci sbarcate tonn. 770.

Sant’Angelo d’Ischia: Navi ap-prodate 32, stazza tonn. 9.896; Pas-seggeri sbarcati n. 295.

Complessivamente, dal 1° gen-naio al 30 settembre 1963, sono ap-prodate sui 6 scali dell’isolad’Ischia n. 15.931 motonavi, 414motovelieri e sbarcati circa 700.000viaggiatori e 54.000 tonnellate dimerci varie. Si è così avuto, tra ar-rivi e partenze, un movimento di

viaggiatori che si è aggirato intor-no a 1.400.000 unità.

Raffrontando i dati statistici delmovimento marittimo, e specifica-tamente quello riguardante il set-tore viaggiatori, con quelli rilevatidurante l’istesso periodo dello scor-so anno, risulta un aumento di11.839 viaggiatori sbarcati in piùquest’anno. Infatti a fronte dei683.463 viaggiatori dell’anno 1962- 1° gennaio/30 settembre - stannoi 695.302 di quest’ anno.

Come sempre, l’affluenza - che havisto impegnate in una corsa inin-terrotta, dalle prime luci dell’au-rora a quelle ultime della sera, tut-te le navi di linea esistenti - haavuto le punte massime durante imesi di luglio e agosto, ma altret-tanto intenso può considerarsi ilmovimento avvenuto nel mese disettembre, che ha registrato oltre110.000 viaggiatori nel settore ar-rivi.

Gli aliscafi, al loro 4° anno di vita,hanno svolto intensamente il loroservizio, effettuando 12 corse gior-naliere, da e per Mergellina, tra-sportando, nei due sensi, oltre150.000 viaggiatori.

Anche il movimento dei panfili,al quale è legata la tradizione delturismo di classe isolano, ha segna-to, quest’anno, un considerevoleaumento, rispetto al movimentoverificatosi l’anno precedente. Ol-tre 350 panfili, infatti, di cui buo-na parte battente bandiera estera,hanno attraccato alle banchine delporto; mentre tanti altri ancora,hanno gettato l’ancora alla fondadel porto aragonese, di Cartaroma-na, di Sant’Angelo, di Citara, diSan Montano e Cafiero.

Notevolissimo anche il movimen-to dei motoscafi e natanti da dipor-to, il cui numero si fa ascendere aoltre 500, di cui oltre 200 battentibandiera estera.

***Ciò che ha maggiormente colpi-

to l’attenzione e attirato l’interes-se di tutti è stato il numero vera-mente impressionante di automez-zi trasportati dalla terraferma, amezzo delle navi traghetto, ciò chedeve lasciar volger mente alla or-

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1950 - 1999 cinquanta anni di vita e di storia isolana/ Gran Pavese dell’anno 1963

Lacco Ameno -Gara di pallanuoto

nello specchiod’acqua del

pontile

ganizzazione che in tale settore,per il prossimo anno, occorre disci-plinare e migliorare.

L’arrivo ad Ischia, infatti, que-st’anno di un così considerevole nu-mero di automezzi, d’ogni cilindra-ta e nazionalità, ha posto le auto-rità marittime e amministrativeisolane, nonché gli enti turistici in-teressati, di fronte a gravi proble-mi da risolvere, non solo di viabili-tà e di parcheggi - scarsi l’una e glialtri -, non solo di rumorosità - chetante lamentele ha generato - maanche, e soprattutto di ricettivitàdel porto, il quale, purtroppo, nonè più in grado di avere quella fun-zionalità richiesta per far fronte adun volume così imponente di navi-glio. Si richiama, allora, la neces-sità di provvedere a carattere di ur-genza, con opere lungimiranti, allanuova funzionalità del predettospecchio d’acqua, già peraltro do-tato, sin dalla sua nascita, di unampio avanporto, onde poter rea-lizzare in esso un’adeguata siste-mazione d’impianti connessi ai ser-vizi d’attracco e alle connesse ope-razioni.

Alla soluzione di questo proble-ma, al quale sono interessati, daanni, gli organi superiori del Ge-nio Civile, è legato l’altro, nonmeno impellente, della “variante”alla statale 770, alla cui realizza-zione è interessata l’A.N.A.S.

***Le linee automobilistiche tra i

Comuni e i piccoli centri dell’isolad’Ischia diventano sempre più nu-merose. È di recente l’inaugurazio-ne della nuova linea Porto d’Ischia- Campagnano, l’ameno villaggioche dal grembo del monte omoni-mo s’affaccia sul Golfo di Napoli.L’itinerario è quanto mai suggesti-vo per le bellezze ch’esso palesaman mano che si avanza verso laVia Catavola e la Via Solitaria: daun lato fa capolino, al di là delmonte Tripodi, la vetta dell’Epo-meo, le bianche casette sembranoarrampicate su per i colli di Fiaia-

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I precedenti in. 2/1999 - n. 4/1999 -

no, degradanti in un denso piano-ro di verde; dall’altro lato la stu-penda Pineta, il Montagnone, ilporto e, al disotto, il Castello Ara-gonese, l’isolotto di Vivara, Proci-da, l’arco del Golfo, Capri.

Benché la stagione turistica siastata ottima, gli operatori econo-mici interessati in tale settore nonrestano inoperosi e stanno già pre-parando e attuando nuove inizia-tive per incrementare, non sola-mente il turismo primaverile-au-tunnale, ma anche quello inverna-le.

A Citara, ad esempio, i lavori perl’ampliamento dei “Poseidon” stan-no a buon punto: piscine al coper-to, attrezzature termali, tutto vaallestendosi con ordine e gusto;mentre, di pari passo, gli organiz-zatori vanno programmando uninteressante ciclo di convegni fragli studiosi.

***La funivia del Montagnone è sta-

ta rilevata da un gruppo di indu-striali alberghieri. Alla stazioneterminale del monte, verrà costru-ito un villaggio in miniatura, na-scosto fra gli alti castagni e il foltosottobosco.

***L’Amministrazione Civica del

Comune d’Ischia, si va attivandoperché venga realizzato, nella pia-na di “Costa del Lenzuolo”, un ae-roporto civile.

A cura della Provincia procedo-no intanto i lavori di allargamento

nserti sono stati pubblicati su La Rasseg n. 5/1999 - n. 3/2000 - n. 7/2000 - n. 1 e n

della Via Duca degli Abruzzi, cheda Piedimonte conduce al vicinovillaggio di Fiaiano. La spesa è di68 milioni e, oltre all’allargamen-to della sede stradale, comportaopere murarie lungo tutto il per-corso che è di circa 1.500 metri.

La sistemazione di questa stra-da, oltre a permettere il facile ac-cesso ai mezzi rotabili, ne sollecitala valorizzazione turistica. Il villag-gio di Fiaiano è sito a circa 200 m.in una posizione privilegiata, inmezzo a boschi e pinete, e le suecase s’affacciano, da un’ampia ter-razza, sul panorama sottostante esul golfo di Napoli.

***Sono stati portati a termine i la-

vori eseguiti a cura dell’ANAS, del-la variante alla 770 in località “Ca-sabona”, incrocio Vatoliere-Testac-cio-Barano immettendo in località“Starza”. Sono state così eliminatedue paurose curve, e alla zona at-traversata dalla nuova strada èstata data la possibilità di un sicu-ro sviluppo edilizio.

Prosegue il riempimento della“Cava” prospiciente l’abitato diBarano, profonda una trentina dimetri. Intendimento dell’Ammini-strazione locale è quello di realiz-zare una piazza, ciò che manca allacittadina, e lungo i bordi graziosivillini. Sono stati recentemente ap-paltati i lavori per la posa della reteidrica interna del comune di Bara-no, per la somma di 54 milioni.

Francesco Fermo

na d’Ischia. 2/2001 - n. 3/2001