La Rassegna d’Ischia 4/1994 19 -...

12
La Rassegna d’Ischia 4/1994 19

Transcript of La Rassegna d’Ischia 4/1994 19 -...

La Rassegna d’Ischia 4/1994 19

20 La Rassegna d’Ischia 4/1994

Eccellenza Rev.ma, Signori, siamo ascesi sul monte Epomeo che in un fascino di luce e di armonie sublimi corona a meraviglia le bel-lezze tutte della verde Enaria; anzi di tutto il golfo partenopeo, che l’abbraccia in ampio semicerchio, dall’isola di Capri, costa sorrenti-na, Napoli, Pozzuoli, Baia, Cuma, sino alle isole di Ponza e Ventote-ne, in uno specchio di glauco mare che si apre sconfinato verso sud. Monte che tiene il suo degno posto nella mitologia, nella scienza, nell’arte e nella storia civile e religiosa. Tutte queste diverse branche dello scibile umano, ciascuna per la sua parte, si sono occupate di esso, han cercato celebrarne le raris-sime bellezze e i tesori che si chiude in un seno, e si sono provate a ritrarre il grandioso panorama che offre; ma la immaginativa fu sopraffatta dalla grandiosità del soggetto, e la parola riuscì insuffi-ciente all’effetto desiderato. Non sono io che oso asserire tali cose; invece autori nostrani e stranieri, che, ammirando e studiando ,a fondo questo gioiello che Ischia possiede, l’hanno confessato. Il Cav. d’Ascia Giuseppe, penna apprezzata della nostra Forio, nel-la sua storia dell’isola d’Ischia dice: “Il picco di S. Nicola può essere ammirato, ma non descritto: non vi è penna né ingegno che possa ritrarre al vero le impressioni svariate e le scene molteplici, che of-fre questo sublime monumento della natura, innalzato dalla divina compiacenza, in un giorno di allegrezza, dopo secoli di collera”. E Wladimiro Frenkel, accennando alla impotenza in cui si trova lo scrittore di fronte a questo straordinario sepolcro di Tifeo, dice che, non potendo esso per forza maggiore diventare “doctus cum libro”, cade nelle solite espressioni di luoghi comuni, ripetendo con il geniale illustratore francese dell’isola d’Ischia e delle meraviglie di essa:

Sous ce ciel où la vie, où le bonheur abonde, Sur ces rives que l’oeil se plaÎt à parcourir,

Mons. Domenico Caruso

Discorso recitatosull’Epomeoall’occasionedel collocamentodel Nuovo Crocefissoin quella chiesetta il 2.4.1934

Note aggiuntaa cura di Raffaele Castagna

1) Opuscolo pubblicato dalla Tip. “Epomeo” di Forio.

La Rassegna d’Ischia 4/1994 21

Chiesa di S. Nicola - Crocefisso ligneo posto sull’altare

Nous avons respiré cet air d’un autre monde Elise! et cependant qu’il faut mourir. (2)

o esclamando con la soave poetessa (3)

Vid’io la cima, il grembo e l’ampie falde Del monte altier che il gran Tifeo nasconde Fiammeggiar liete, e le vezzose sponde Dee lito bel di lumi ornate e calde.

Siamo dunque sul monte che vince ogni bellezza descritta e le sognate ancora.E per prima l’Epomeo vien celebrato altamente nella mitologia, che presenta l’isola come struttu-ra ed abitazione dei giganti che lottano contro gli dei , e Tifeo, o Tifone, il quale, agitando, come tan-te furie, le sue cinquanta teste, fece guerra a Giove, che lo fulminò, e ne fece dell’Epomeo il grandioso sepolcro, mentre le membra di lui, per queste pen-dici, diedero il nome a diversi paesi e contrade. Fu prostrato il gigante Tifeo, e messo a dormi-re sotto questo monumento di bellezza rara; ma non vinto in modo che non possa di tanti in tanto riaversi e scuoterlo e dargli dei niente desiderabi-li sussulti. E di fatti si riscosse più volte dal suo letargico sonno, ed eruttò lave vulcaniche dalla sommità e dai lati, scuotendo la terra e seminando distruzione e morte, sino a rimandare in fondo al mare l’istmo che avrebbe legata Procida al castello d’Ischia. Ho detto avrebbe! Ma che Procida fos-se stata congiunta a Ischia, molti autori lo danno per certo. Strabone nella sua Geografia, libro V, la dice una porzione di terra divelta da Ischia; e Plinio (Storia Nat. lib. IV cap. 6) deriva il nome Procida, non da quello della nutrice di Enea, come vorrebbero altri, ma dal fatto di questa secessione: “Non ab Aeneae nutrice, sed quia profusa (Pro-chyta) ab Enaria erat”. Fra i moderni lo Spallanzani (Viaggi sulle due Sicilie, tit. I, p. 213) e il Breislak (Descrizione della Campania, tit. 11 p. 181) sono pienamente convin-ti che tra le due isole esisteva un cratere comune che le riuniva. Ed ecco come Virgilio, En. IX v. 709 descrive questa secessione (4):

Qualis in euboico Baiarum littore quondam saxea pila cadit, magnis quam molibus ante

2) A. de Lamartine, Nouvelles Méditations, IX - “Sotto un cielo, ove abbonda la letizia, la vita, // Su questa sponda amica che l’occhio alletta e invita, // L’aria d’un nuovo mondo ci parve di sentire, // o Elisa!... E sarà vero che bisogna morire?” (traduzione del Sac. Mario Iacono in P. Polito: Lamartine a Napoli e nelle isole del golfo).3) Vittoria Colonna - Rime.4) Il passo descrive tutt’altra cosa (v. n. 5).

22 La Rassegna d’Ischia 4/1994

constructam iaciunt ponto; sic illa ruinam prona trahit, penitusque vadis illisa recumbit. Miscent se maria, et nigrae attollontur arenae; tum sonitu Prochyta alta tremuit, durumque cubile Inarime Jovis imperiis imposta Typhaeo. (5)

Anche Ovidio (Metam. X IV v. 89) e Strabone (Storia Nat. lib. II cap. 88) parlano dell’Epomeo, abitazione di Tifeo, che, agitandosi, causa eruzioni e semina ruine (6). Sono parole di quest’ultimo: Mox in his Pithaecusis montem Epopon cum repente flamma ex eo emicuisset, etc... (7) Data tale importanza del monte che ci accoglie in tanto lieto giorno, la scienza lo fece subito oggetto delle proprie ricerche e dei suoi studi. Ne volle conoscere le origini, ne esaminò le lave trachitiche di cui è coperto e ne trovò delle antiche, medie e recenti; ne osservò i vari coni eruttivi e conchiuse che esso emerse dal mare, da una profondità di cinquecento metri sui primordi dell’età quaternaria, e che fu nucleo primario e centrale, per dirla col Fuchs, dopo altri, al quale si addossa-rono altre terre emerse sempre per successive eruzioni subacquee, che diedero alla nostra isola l’attuale fisica conformazione. E la scienza se ne occupò, e tuttora studia le acque sature di sali mine-rali e di radio, dotate di prodigiosa virtù sanatrice; come pure le acque potabili che l’Epomeo prodiga intorno intorno dalle sue visceri a sollie-vo dei sofferenti mortali. Tesori immensi che si chiude in seno, e non ancora tutti esplorati, né valutati; mentre all’esterno sulle sue pendici matura grappoli dolci e frutti di speciale sapore.

Di necessaria conseguenza e di loro pieno diritto subentrarono l’arte e la storia. Anche l’Epomeo tiene la sua arte. Sarà la cartolina illustrata che lo ritrae, e gli fa girare il mondo; lo schizzo sul taccuino del visi-tatore, l’acquerello del dilettante, la tela dell’artista che orna i salotti. Ma c’è di più: l’estro del poeta e la penna del romanziere che l’hanno cantato e descritto con alata parola, nonché l’articolo della cronaca del giornale, presentandosi l’occasione, come il bozzetto della rivista. Se l’è tanto bello l’Epomeo, per necessità dovette piacere all’artista che dinanzi a meraviglie simili non seppe né può restar muto. Non mi

5) “... In tal guisa di Baia // su l’Euboica riva il grave sasso, // ch’è sopra l’onde a fermar l’opre eretto, // da l’alto ordigno ov’era dianzi appreso, // si spicca e piomba, e fin ne l’imo fondo // ruinando si ruffa, e frange il mare, // e disperge l’arena: onde ne trema // Procida ed Ischia, e il gran Tifeo se n’ange, // cui sì duro covile ha Giove imposto” (trad. di Annibal Caro - SEI ed.). Virgilio paragona la caduta del gigantesco guerriero Bizia e il rimbombo del suo scudo nella rovina ai rumori che si avvertivano nella baia di Pozzuoli, allorché si costruiva il porto di Giulio: dei grossi blocchi di pietre insieme cementate venivano fatti scivolare in mare, e costituivano così una valida difesa dalla violenza delle onde, nonché una sicura piattaforma per la costruzione di lussuose ville e villini lungo la costa Il mare ne veniva talmente turbato da scuotere e da tormentare Tifeo, sepolto sotto l’isola d’Ischia 6) I riferimenti agli autori, alle loro opere e agli argomenti non sono del tutto esatti.7) In realtà il passo è di Plinio (“... il monte Epopo, dopo un’improvvisa eruzione di fiamme....”).

La Rassegna d’Ischia 4/1994 23

trattengo però a riprodurre brani o a far nomi, avendone già riportati parrecchi, ai quali, solo per maggior comodo di chi desidera notizie più specifiche, aggiungo il Monticelli che ha dato alla geologia dell’isola d’Ischia un lavoro di tale importanza, da essere pubblicato negli atti della R. Accademia di Napoli, e il Sig. Pilla, nella sua descrizione geo-logica d’Ischia; i quali, classificando le diverse materie di cui l’isola è composta: varie specie di lave, tufo vulcanico, pomici e scorie, trattano dell’Epomeo che, dalla base a mezza altezza costa di tufo vulcanico, e per altra buona porzione è formato di lave di specie diverse. E così questo monte, mentre è allo studio, nella fredda calma dello scienzia-to, con la sua poesia lo attrae, lo innamora di sé, lo rende poeta e lo fa cantare, disposando l’arte con la scienza.

Se ho detto che l’Epomeo trova il suo degno posto nella mitologia, ciò va inteso nel senso che la superstizione idolatra lo fece abitazione di giganti che lottano con i Numi; dimora di Ninfe e di Sibille come fece di altre isole, non già che la sua esistenza sia mitica o leggendaria, e questo fece perché le sue bellezze rare lo facevano degno della dimora dei celesti. Siamo quindi di fronte ad una perfetta storia, la quale va ripartita, quale quella dei nostri popoli in primitiva, media e moderna ossia l’Epomeo tiene il suo posto nella storia orientale, latina o roma-na, medievale e contemporanea.

Chiesa di S. Nicola - L’altare maggiore

a) Nella storia greca trovo che l’isola d’Ischia col suo Epomeo era molto nota a quei popoli orientali, i quali la dissero Pitecusa dal perché fin da remotissimi tempi vi fioriva l’arte dei vasi di creta (da pitos/dolium) e che per Pindaro so-pracitato (8) la chiamò Arime ed Omero (Iliade, 2) la disse Arime o Inarime in cui trovavasi l’abitazione di Tifeo, la quale è nell’Epomeo (9).Anzi si vuole che quest’isola dai greci ebbe sia il nome di Enaria - a statione navium Eneae - (Plinio, Storia nat. III/6) , sia quello di Ischia (da Iscus / robur) perché il castello di questa città d’Ischia ritenevasi forte ed inespugnabile; oppure da Ischion / anca a cui essa isola somiglia nella sua fisica configurazione. E’ vero che il Mazzocchi, in una sua dissertazione storica “De Cathed. Eccl. Naeapolitanae” vuole che il nome Ischia sia venuto dall’antiquata parola francese isle , che sotto gli Angioini fu detta “isla”, e finalmente Ischia. Ma perché storica-mente costa che Papa Leone III già l’ave-va chiamata Iscla più secoli prima degli Angioini, bisogna riconoscere che i nomi di quest’isola sono proprio di origine gre-ca, come sopra si è detto.

24 La Rassegna d’Ischia 4/1994

b) Né meno conosciuto era il nostro Epomeo nel periodo classico latino-romano, quando la Campania felix, Pozzuoli, Baia e Cuma, erno il soggior-no preferito degli Augusti e del Patriziato di Roma; come era stata la dimo-ra delle Sibille. E basti pensare per conferma richiamare le citazioni poco prima accennate di Ovidio, di Virgilio, di Plinio, per non desiderarne altre.

c) Sinora siamo rimasti nel puro mondo della scienza e del periodo classico pagano. Ma il soffio del Cristianesimo che divinizza le bellezze della natura, dando loro un soffio di vita soprannaturale, e servendosi delle medesime, come mezzo per elevarsi a idealità che trascendono i sensi e la portata dalla naturale ragione, venne a dare nuova vita alla solitudine dell’Epomeo. Da questo momento, di Tifeo che fa guerra a Giove, e delle Ninfe e Sibil-le resterà un semplice ricordo a pura erudizione mitologica. Sull’Epomeo, dall’età di mezzo, si troverà il soffio di vita cristiana; e non in grado comu-ne. Saranno le vicende e gli episodi; ma la nota religiosa riterrà il posto conquistato. L’eremo in origine doveva essere una grotta cavata nel tufo. Forse serviva per rifugio agli abitanti dell’isola, quando erano minacciati dalle incursioni dei pirati. L’Epomeo, che signoreggia il largo orizzonte del mare che lo cir-conda, era come il forte che proteggeva tutti i paesi adagiatisi sotto la sua ombra. Da questa vetta partiva l’allarme al vedersi le navi saracinesche, e tutti prendevano la via del monte. Cessato il pericolo di queste invasioni, in sullo scorcio del secolo XV, si dice che Beatrice della Quadra, con alcune sue compagne, amanti di solitudine e di quiete di spirito, siano venute ad abitarvi. Ma ben presto, sgomentate dalle intemperie, sloggiarono, andan-dosene a stabilire sul castello d’Ischia e fondandovi il monastero di S. M. della Consolazione, che vi restò sino al 1809, donde passò al convento dei Frati a S. Antonio. Quegli che poi ridusse la grotta originaria allo stato dell’eremo fu il tedesco Argout, governatore dell’isola, sotto re Carlo III, il quale, mentre inseguiva due disertori della guarnigione rifugiatisi su questo monte, essendogli ca-duto il cavallo e avendogli quelli spianato contro i loro archibugi, fece voto al suo S. Nicola di darsi al servizio di lui, se lo salvasse. Ottenuta la grazia, vestì l’abito eremitico, ordinò le cellette, lungo la grotta, nel tufo, ingrandì la chiesa, prese con se altri, e l’Epomeo risuonò delle lodi del Signore. L’Argout e i compagni vi menarono vita cristiana perfetta nell’esercizio di tante virtù e vi morì in odore di santità, dopo sedici anni di vita eremitica, e fu sepolto in questo tempietto. I compagni di lui, l’un dopo l’altro, si di-spersero e finirono. Ma vennero altri a prendere il loro posto, tra i quali per santità di vita si distinsero un Grigione, e poi un tedesco a nome P. Michele, il quale restò in quest’eremo sino all’età di 105 anni, e nel 1811 morì nell’eremo di S. Fran-cesco di Paola in Forio. L’Argout, coadiuvato da un certo Iacono Giuseppe di Fontana, pensò as-sicurare il mantenimento del culto della Chiesa, dotandola di una grande estensione di terreno circostante, e fondando canonicamente una Cap-pellania laicale perpetua, di cui l’ultimo sacerdote investito fu Don Pietro Vado, morto nel febbraio 1881. Ma e per disposizioni di leggi sopravvenute, e per incuria e anche malizia degli uomini, la dote propria della Cappellania fu indemaniata e poi venduta, e altra buona parte fu sperperata, sì che oggi ne resta tanto poco che è del tutto insufficiente allo scopo; e S. Nicola deve vivere della generosità dei suoi devoti. Ma con tutte le avverse vicende e i delitti degli uomini, l’Epomeo restò nel suo grado e ambiente. Tentativi ce ne sono stati, per scoronarlo di quell’au-

La Rassegna d’Ischia 4/1994 25

reola religiosa che gli si era formata. Il popolo di Fontana però ci teneva al suo S. Nicola, come l’isola intera lo ha sempre venerato; e la generazio-ne pia di cinquant’anni fa, sapeva indicare questo monte, non col nome profano di Epomeo, bensì con quello di S. Nicola. Quando questa vetta si copriva di densi nuvoloni, guizzava il lampo e rumoreggiava il tuono, dicevano: S. Nicola si ha fatto il cappello, o si ha messo il cappuccio. E quando una bella nevicata la imbiancava, dicevano: S. Nicola si ha fatta la barba. Tutto era S. Nicola per i nostri, ed è doveroso e giusto che così sia per noi e per i successori, almeno da oggi. d) Ed eccomi così giunto al grande movimento attuale che s’impernia sull’Epomeo. E’ il periodo storico recente. Il turismo moderno non po-teva trascurare ai suoi scopi quello che in ogni età fu tanto apprezzato. E se oggi si può constatare con meraviglia e diciamo pure con tristezza che vi sono degli isolani, i quali non hanno ancora una volta visitato il loro S. Nicola, non c’è forestiero che si porti all’isola e non segni nel suo itinera-rio la puntata sull’Epomeo. A quest’ora che noi siamo qui raccolti per una festa di spirito, tanti e tanti, e sui transatlantici che li portano in Italia per gite turistiche, e sulle grandi stazioni ferroviarie, parlano dell’Epomeo. Esso quindi, mentre è per la nostra isola un dono speciale della Provvi-denza, ne è pure una gloria imperitura, che ne manda in giro per il gran mondo il nome e vi richiama gli ammiratori, le cui visite non fruttano soltanto ammirazioni, ma anche economici vantaggi.Più volte si è lamentato un certo stato di abbandono in cui questa vetta fu tenuta: difficoltà di accesso, assenza di qualunque comfort; le stes-se naturali bellezze spesso furono profanate e non mancò il delitto degli uomini a violazione del santuario. Ma che dire? Si parla di turisti, gente o senza religione alcuna o di una religione tutt’altra che cattolica, o, se cattolica, per niente praticata. E allora non deve far meraviglia, e molto meno scandalizzare, se il romitorio e la chiesetta siansi trattati come un luogo profano in momenti di assenza di chi lo custodiva.Il Frenkel, che spesso ho citato, a questo proposito dice: “L’ascesa all’E-pomeo non si compie né per visitarvi l’eremo inabitato e trascurato, né per... pregare nella chiesa di S. Nicola totalmente abbandonata, ma per guardare, per vedere, per mirare... come vuole la stessa etimologia del nome del monte: Epopon o Epopos, che preferiamo a quella indicata dal Dupays Epochon, carbone ardente.Per ben tre quarte parti sta l’affermazione del Frenkel; ma per il resto no! Egli ha guardato il turista del gran mondo, lo sport fatto a solo scopo di procurarsi delle emozioni, l’aspettare quassù la levata del sole, maga-ri sdraiandosi nella chiesetta tramutata in una buvette ancora, in quel momento. E’ vero questo per una parte. L’età ultra ottagenaria, che ob-bligava il fu eremita Fra Giovanni Mattera a riparare nella propria casa, le porte mal ferme, e il nessun senso religioso dei visitatori produssero quanto si è deplorato. Ma anco in questo periodo, che dicesi di abban-dono e di profanazione, ci sono state anime buone che han visitato S. Nicola con vera divozione. Il popolo credente e pio di Fontana non aveva perduto la sua fidente divozione verso S. Nicola, molto meno la fede, per non deplorare quanto commettevano visitatori di poca, o di nessuna re-ligione, e per aspettare con fiducia l’era della riparazione, che può dirsi arrivata, almeno per quello che riguarda il fatto religioso.

S. E. Rev.ma Mons. De Laurentiis, assecondando i voti di anime pie, nel 1932 dava incarico al Rev.mo Canonico Parroco Don Alfonso Mattera di

26 La Rassegna d’Ischia 4/1994

far eseguire una prima riparazione, la più urgente alla chiesetta; provve-derla di porta esterna e interna, in modo che ogni atto men che rispettoso pe rla casa di Dio fosse impedito. E nella festa di S. Nicola, sei dicembre detto anno, la chiesa si riapriva al culto. La nota squillante della campa-nella echeggiò per queste pendici, da monte a valle, rievocò molti ricordi, ridestò sante assopite nostalgie, e della devota Fontana molti furono lieti di assistere alla solennità del rito che chiuse una dolorosa parentesi. Si affidò la custodia della chiesa e dell’eremo a un nuovo eremita, canonica-mente istituitovi dal Vescovo, e in tutta l’isola si è vista rinascere la divo-zione a S. Nicola, manifestata dall’obolo che volentieri vien dato. Se molti dunque puntano sull’Epomeo solo per guardare, per vedere e per mirare, altri lo guardano e lo ascendono per vera devozione, e per invocare il va-levole patrocinio del Santo. E noi oggi siamo su questa vetta non per gusto sportivo, bensì per l’at-tuazione di un’altissima idealità religiosa, destinata appunto a colmare un vuoto e a riparare indolenze passate. Il motivo ce l’ha offerto il Rev.mo Sig. Canonico Mattera Giovanni, di che noi gli rendiamo pubbliche e sentitissime grazie. Non solo la chiesetta nel suo assieme era stata profanata, ma anche una statuetta dell’Immacolata, la mensa dell’altare del Crocefisso spezzata con un colpo violento, e lo stesso Crocefisso, roso dal tempo, era andato in frantumi, e aggiungo pure che nel grande Reliquiario parecchie reliquie di santi erano state manomesse. Cose detestabili, e che noi detestiamo con tutto lo slancio della nostra fede; con l’intera vigoria del nostro spirito di cattolici. Ma, come sempre, dopo la notte buia e tempestosa viene il bel tempo; così anche per S. Nicola spuntò l’alba del giorno ridente, che ora noi con gioia santa ci godiamo, riconsacrandolo a Cristo Redentore. Era in corso l’anno centenario della Redenzione, che aveva movimen-tato tutto il mondo, convergendo verso Roma le menti ed i cuori; anzi si pellegrinò alla Città santa non solo da città e regioni del mondo cattolico, ma anche da gruppi di cattolici confinati nelle lontane regioni della Cina, dell’India, dell’Australia, del Canada: terre di religione buddista e pagana. E in tanto risveglio credete voi che avrebbe dormito l’Epomeo? Ah no! E non fu lo spirito di Tifeo che si ridestò, né la preveggenza del Club Turi-stico; fu invece la voce di Dio, lo spirito di religione a voler riconsacrata questa vetta a Gesù. Come ne medioevo, una disposizione provvidenziale, che i mondani direbbero caso, portò quassù l’Argout con i compagni, e poi altri dopo di lui, che, lontani dai rumori del secolo, dalla contemplazione di queste meraviglie della natura, si elevavano alle mistiche contempla-zioni delle bellezze divine, in una vita cristianamente perfetta e santa; così oggi, una disposizione provvidenziale ha preparato questa festa di spirito per noi. Il Canonico Mattera Don Giovanni, in una sua fisica indisposizione, che Dio in una sua benefica visita volle mandargli, volse un pensiero a S. Nico-la e si ricordò del Crocifisso che, in una sua ascesa a questo monte, essen-do sano, aveva veduto così malandato, col suo altare, al tempo stesso che al suo spirito si presentava il centenario della Redenzione che si svolgeva nel mondo, tutto con tanta solennità, e disse: Ma come? Si celebra il de-cimonono centenario della Redenzione, e alla Cappella di S. Nicola man-cano proprio i segni della Redenzione: la Croce e l’effigie del Redentore, il Crocefisso? Questo vuoto dovrà colmarsi. Così disse e fu subito all’opera. UN appello ai confratelli sacerdoti, i quali, generosi, risposero e l’ideale concepito è oggi un fatto compiuto: il Crocefisso è qui. E noi siamo saliti all’Epomeo per portarvelo a riaffermarvelo Re.

La Rassegna d’Ischia 4/1994 27

Ed ora uno sguardo rapidissimo a quello che è l’anima della nostra festa, per la circostanza del giorno. Da questa vetta spingete lo sguardo a Roma, che resta al nostro NordO-vest... per raccogliere l’eco festiva, armoniosa e tutta divina che da essa ne viene. Le grandiose celebrazioni sono cessate, e a quest’ora, 11-12, il Papa in S. Pietro, e gli altri tre Cardinali delegati per le altre Basiliche Maggiori, murano la Porta Santa. I cuori palpitano all’unisono, e si effondono in atti di ringraziamento a Gesù e al suo Vicario per la compiuta Redenzione all’uno, e per il Giubileo straordinario concesso, all’altro. E con Gesù, col papa, con i fedeli del mondo intero siamo anche noi da questa meravigliosa vetta, e anche noi rendiamo a Gesù e al papa le nostre grazie. Facciamo però che sia un grazie non di semplice suono esteriore che pas-sa. Se gli uomini, che non possono andare oltre le apparenze esteriori, non si contentano di chiacchiere, pensate voi che possa mostrarsene soddisfatto il Signore, che guarda sino al fondo del nostro spirito? Noi abbiamo ricon-sacrata a Gesù la vetta dell’Epomeo, con un solenne atto di riparazione, ri-collocandone l’effigie al suo posto di onore. E questa riparazione l’abbiamo compiuta nella data solennissima della chiusra dell’anno giubilare, centena-rio della Redenzione. All’altro centenario nessuno di noi sarà più tra vivi. Ma si troverà su questa vetta il ricordo di questa data memoranda, il quale però non dovrà essere di quei ricordi che, affidati ordinariamente a lapidi e a marmorei monumenti, restano muti e freddi più del ghiaccio. Il nostro monumento che oggi abbia-mo eretto, è caldo, e dovrà restare caldissimo d’idee e di affetti, di fede e di opere. E per ottenere quest’effetto è necessario cooperare ai tanti aiuti che Gesù ci ha procurato con la sua Redenzione. Il Crocefisso è un libro scritto al di dentro e al di fuori. Fu scritto al di dentro, quando fin dall’eternità Dio Padre generava questo suo Figlio, Dio come Lui, nello splendore della santi-tà. Fu scritto al di fuori quando s’incarnò nel seno della Vergine e fu aperto al cospetto dei secoli, perché lo studiassero, quando fu disteso sulla croce. E voi collocandolo su questo monte, avete esposto questo libro divino non solo innanzi agli isolani ma innanzi a tutto il mondo che vi ascenderà. Col vostro atto avete detto al mondo che cerca luce di vero e di conforto: ecco il libro in cui è riposto il grande rimedio pe rla soluzione del gravissimo problema sociale, studiatelo. Ma per ottenere tanto benefico effetto, dovete studiarlo prima voi. Studiarlo con fede viva, perché nella conoscenza esatta di Gesù è riposta la nostra salvezza; studiarlo approfondendo il mistero della Reden-zione, e cercando di apprendere bene le verità di nostra religione, poiché dalla ignoranza di esse viene ogni ingiustizia e disordine privato e sociale. Studiarlo con ardore di carità penetrando sino al fondo di quelle piaghe me-ditandole una a duna, specialmente quella del costato, fornace di amore che compì la Redenzione. Sia tale la nota cara di questa festa, che tramanderete in eredità, alla ge-nerazione che cresce. E allora l’Epomeo brillerà di nuova luce, e tornerà al vostro spirito di credenti più caro che non le sue rarissime bellezze naturali. Esso sarà per voi novello Taborre, su cui il Crocefisso vi mostrerà gli splen-dori della dinità sua; e voi estasiati, pieno il cuore di paradisiaca dolcezza, gli ripeterete con S. Pietro: Sì, o Gesù, ce ne resteremo qui, sempre accanto a te con le spine e con la croce, più care al nostro cuore di qualunque altra gioia terrena, perché tu solo sei la nostra guida sicura, la speranza nostra, la nostra salvezza, nella presente ora trepida che traversa l’umanità.

28 La Rassegna d’Ischia 4/1994

L’ascesa al monte Epomeo ha sempre costitu-ito per i visitatori ed i frequentatori, antichi e moderni, un momento particolarmente in-teressante del soggiorno sull’isola. Ecco una descrizione tratta dal Tableau topographique et historique des isles Ischia… dell’Ultramon-tano (opera pubblicata a Napoli nel 1822).

Scesi dalle nostre tranquille cavalcature, che ci hanno portato al termine del nostro pellegrinaggio, Fra Desiderio ci riceve presso la porta dell’eremo e ci conduce at-traverso un corridoio lungo e oscuro, scavato nella roccia, su una piccola terrazza situata al limite del precipizio.

È impossibile provare una sensazione più viva, uno stupore più completo di quello provocato dalla scena che si presenta al nostro sguardo! L’ascensione, lunga ma graduale da Forio sino alla vetta, e le tante cose interessanti presenti lungo il cam-mino, avevano impedito di valutare la vera elevazione della montagna sulla quale ci si trova; è con meraviglia che l’occhio l’osserva ora dall’alto della terrazza, sotto la quale l’Epomeo, dal lato nord, è tagliato a picco.Lo sguardo abbraccia i territori di Ischia, di Casamicciola, di Lacco e di Forio; il viaggiatore può tracciare, come delle linee geografiche, tutte le parti e i piccoli con-torni del cammino seguito; per una illusione ottica le colline e i promontori percorsi sembrano essersi appiattiti e disposti tutt’intorno alla base dell’Epomeo.L’isola intera, vista da questa vetta, rassomiglia a una miniatura, o piuttosto ad un mosaico, che su una vasta distesa d’azzurro (il mare) presenta i colori più brillanti e le tinte più armoniose.(…)

L’Epomeo vomitava anticamente fuoco e bisogna considerarlo come il capostipite di tutti i vulcani secondari che hanno contribuito alla formazione dell’isola; ma da secoli non si è avita più alcuna esplosione. Le sostanze di cui è composta la sommità dell’Epomeo, ed anche le lave, si trovano in uno stato di decomposizione alla sua superficie.Al di sotto della terrazza si vede un’altra punta meno elevata: ugualmente verticale e sembra lanciarsi contro il precipizio dell’Epomeo: è chiamata Catreca e tra essa e Piazza della Pera, verso oriente, occorre immaginare l’antico cratere dell’Epomeo; dalla parte d’occidente e d’oriente ne restano alcuni segni; ma tutta la parte del cono e del cratere dell’Epomeo, che guardava a nord, è crollata ed è probabile che la cate-na di piccole colline, presenti alle sue falde, da Casamicciola sino a Forio, così come buona parte del territorio di questi due comuni e di Lacco, devono la loro origine a questi crolli, che ancora ai nostri giorni di tanti in tanto si verificano e provoca-no grandi danni alle vigne e alle abitazioni situate nella zona sottostante. Si tratta dell’unica reazione che questo vecchio vulcano esercita a lunghi intervalli e che bi-sogna tollerare in virtù dei grandi vantaggi che la generazione presente riceve dalle antiche eruzioni, per la fertilità apportata alle terre dell’isola. I campi di lava nera, di cui l’occhio, dall’alto dell’Epomeo, può seguire tutto il corso lungo le coste verdeg-gianti, cominciano a trasformarsi in vigne. Ad ovest della punta di Catreca, allo stesso livello e tra interstizi di antica lava, si trova una fumarola chiamata del Fasano. Altre se ne vedono un po’ più giù di Catre-ca, nelle zone chiamate Frassi e Montecito. Secondo una antica tradizione , queste Stufe sono state molto frequentate fino a qualche tempo fa, ma poi sono state abban-

La Rassegna d’Ischia 4/1994 29

donate a causa di un accesso difficile e scabroso. Dopo millenni l’Epomeo sembra ancora avere in sé, non soltanto nella sua base, ma anche sino alla cima più elevata, i germi della fermentazione vulcanica e i resti di un incendio, il cui fumo esala attra-verso numerose crepe, che è possibile osservare sulla superficie di questa montagna. Come esprimere il nostro stupore, nel vedere accanto alle fumarole di Fasano delle fosse profonde piene di neve, nel bel mezzo dell’estate?!Nei periodi caldi il fresco è un bisogno assai imperioso e indispensabile come quello del cibo. In alta Italia si fa uso del ghiaccio, ma, poiché l’inverno nel regno di Napoli non è talmente rigido da provocare forti gelate, si supplisce a questa mancanza con la neve, che d’altra parte è preferibile, secondo il parere dei medici. Si raccoglie la neve che cade sulle montagne più alte di Terra di Lavoro e per conservarla la si pone in recipientiLa neve congelata vi forma una massa coerente che bisogna sciogliere a colpi di ascia. Queste fosse, di cui le più grandi e le più numerose si trovano sull’alta monta-gna di S. Angelo dietro Castellammare e su un altro tratto dell’Appennino tra Nola e S. Severino, in Campania, soddisfano in estate le necessità della Capitale e della Provincia. Il Monte Epomeo fornisce neve sufficiente per gli abitanti dell’isola d’Ischia. Consi-derando che il consumo è notevole ed in continuo aumento per i molti stranieri che vengono per le cure termali, si può capire come sia cura degli Ischitani raccogliere quanta più neve è possibile sull’Epomeo. In effetti soltanto raramente si deve far ricorso alla Terraferma per approvvigionarsi di neve. Diamo ancora uno sguardo sull’isola che si stende al di sotto di noi, sino al mare che la circonda, alle isole e ai promontori che la limitano e l’abbelliscono, e poi la-sceremo la terrazza, questo luogo che ha a lungo attirato la nostra curiosità e che ci dà tanti rimpianti nel lasciarla, per rientrare nell’eremitaggio, anch’esso degno della nostra attenzione. Questo è completamente scavato nella roccia, ad eccezione della sola facciata della cappella, che è in muratura. Anche la Cappella deve essere stata originariamente una grotta naturale, come se ne incontrano spesso nei banchi di lava. Un uomo pio fu il primo abitante di questa, desideroso forse di allontanarsi dal mondo per una vita contemplativa sotto lo sguardo di S. Nicola. Egli non avrebbe potuto scegliere un ritiro più specifico per generare sentimenti nobili e puri; qui si è infatti tra Cielo e Terra! Il piccolo santuario conserva la sua semplicità primitiva, anche quando la sua ri-nomanza e l’accresciuta popolazione dell’isola vi richiamarono in pellegrinaggio gruppi sempre più numerosi. Ma sotto il regno di Carlo III di gloriosa memoria, si verificò un fatto che valorizzò grandemente l’eremitaggio di S. Nicola.

Il sig. Giuseppe d’Arguth, tedesco di nascita e comandante del Castello d’Ischia, volle di persona inseguire due soldati disertori della sua guarnigione, fuggiti in una foresta sulla vetta dell’Epomeo. Li sorprese in un luogo solitario, ma, mentre si ac-cingeva a catturarli, il suo cavallo cadde e fece cadere anche il cavaliere. Gli scelle-rati, armati dei loro archibugi, gli si slanciarono contro. Il castellano invocò il suo patrono S. Nicola, facendo il voto di dedicarsi al suo servizio, se si fosse salvato da sì grande pericolo. La sua preghiera fu accolta. Soltanto il suo cappello e il suo mantel-lo ebbero dei danni; nessuna ferita ricevette la sua persona: così si salvò miracolosa-mente. Dimessosi dal suo incarico, si ritirò sull’Epomeo. Fece ingrandire la chiesa e realizzare nella roccia varie celle. Con alcuni confratelli condusse una vita monacale, vivendo di dotazioni, con le quali aiutò anche i poveri e abbellì il santuario di S. Ni-cola. Morì dopo ave.r vissuto 16 anni sul monte e fu considerato un santo

30 La Rassegna d’Ischia 4/1994