La Patologia Discale Lombare: Ricerca di base e genesi ... Sezione...

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1 La Patologia Discale Lombare: Ricerca di base e genesi anatomo-funzionale C. Trevisan Clinica Ortopedica Università degli Studi Milano-Bicocca – A.O. S.Gerardo Monza Il disco intervertebrale (DIV) è una fibrocartilagine altamente specializzata di derivazione embrionale dalla notocorda (nucleo polposo) e dalle cellule mesenchimali circostanti (anello fibroso). Esso ha la funzione di ammortizzare i carichi agenti sulla colonna vertebrale e di permettere movimenti controllati tra le varie vertebre. Nel DIV integro e sano la vascolarizzazione e l’innervazione si arrestano alla fibre più esterne dell’annulus fibroso e la sua nutrizione avviene grazie alle proprietà fisico-chimiche della matrice di collagene ed aggrecani che formano il nucleo polposo. Dalla terza decade di vita il DIV va incontro a progressivi fenomeni degenerativi e di invecchiamento. Nelle prime fasi, la degenerazione interessa prevalentemente il nucleo polposo e i piatti vertebrali con un incremento dei processi anabolici e catabolici. In un secondo tempo, i processi catabolici divengono prevalenti rispetto a quelli anabolici. I processi degenerativi dell’invecchiamento del DIV sono determinati da una ridotta risposta cellulare (da senescenza con alterazione nella espressione e trascrizione genica), da alterazione di alcuni processi biochimici (alterazione post-trascrizionale proteica, aumento dei legami collagenici, perdita di proteoglicani e alterata diffusione dei nutrienti) e dal degenerazione dei piatti vertebrali (da ridotta vascolarizzazione e incrementata porosità per calcificazione progressiva). Le marcate alterazioni del DIV osservabili in tutti gli individui dopo una certa età fanno ritenere che il DIV sia la struttura del rachide maggiormente responsabile del dolore lombare. Le alterazioni biomeccaniche della sua struttura, la sensibilizzazione delle terminazioni nervose per il rilascio di mediatori e l’infiltrazione neurovascolare che si osserva nei dischi degenerati sono le basi patogenetiche del dolore di origine discale. Recentemente la ricerca di base ha individuato diversi mediatori chimici responsabili della iperalgesia (Fosfolipasi A2, Ossido nitrico), della alterazioni del collagene (metalloproteinasi della matrice: MMP-1, MMP-2, MMP-3, MMP-9), della degradazione della matrice (IL-1, TNF-α ) e della modulazione del segnale dolorifico dei gangli dorsali (CGRP, glutammato, sostanza P). L’invecchiamento del DIV ha indubbiamente una base genetica confermata dagli studi sulla familiarità delle patologie discali. Potenziali fattori genetici responsabili di una precoce degenerazione discale sono stati ricercati nel polimorfismo di alcuni geni responsabili della sintesi dell’aggrecano, della sintesi del recettore della vitamina D e della produzione della metalloproteinasi-3 e del collagene di tipo IX. Comunque, l’osservazione clinica suggerisce che il DIV non è il solo candidato alla genesi del dolore lombare poiché non vi è una correlazione univoca tra degenerazione discale e prevalenza della lombalgia e poiché sono molti i soggetti asintomatici con evidenti degenerazioni discali. Altre possibili fonti di dolore lombare sono i gangli nervosi dorsali, le faccette articolari, i legamenti ed i muscoli. Le recenti scoperte in campo biochimico e genetico hanno consentito di intraprendere la sperimentazione di nuove strategie per il trattamento della degenerazione del DIV come l’ingegneria tissutale, la terapia genica, l’uso delle cellule mesenchimali o staminali, dei fattori di crescita o di inibitori specifici dei mediatori implicati nei processi degenerativi.

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La Patologia Discale Lombare: Ricerca di base e genesi anatomo-funzionale C. Trevisan Clinica Ortopedica Università degli Studi Milano-Bicocca – A.O. S.Gerardo Monza Il disco intervertebrale (DIV) è una fibrocartilagine altamente specializzata di derivazione embrionale dalla notocorda (nucleo polposo) e dalle cellule mesenchimali circostanti (anello fibroso). Esso ha la funzione di ammortizzare i carichi agenti sulla colonna vertebrale e di permettere movimenti controllati tra le varie vertebre. Nel DIV integro e sano la vascolarizzazione e l’innervazione si arrestano alla fibre più esterne dell’annulus fibroso e la sua nutrizione avviene grazie alle proprietà fisico-chimiche della matrice di collagene ed aggrecani che formano il nucleo polposo. Dalla terza decade di vita il DIV va incontro a progressivi fenomeni degenerativi e di invecchiamento. Nelle prime fasi, la degenerazione interessa prevalentemente il nucleo polposo e i piatti vertebrali con un incremento dei processi anabolici e catabolici. In un secondo tempo, i processi catabolici divengono prevalenti rispetto a quelli anabolici. I processi degenerativi dell’invecchiamento del DIV sono determinati da una ridotta risposta cellulare (da senescenza con alterazione nella espressione e trascrizione genica), da alterazione di alcuni processi biochimici (alterazione post-trascrizionale proteica, aumento dei legami collagenici, perdita di proteoglicani e alterata diffusione dei nutrienti) e dal degenerazione dei piatti vertebrali (da ridotta vascolarizzazione e incrementata porosità per calcificazione progressiva). Le marcate alterazioni del DIV osservabili in tutti gli individui dopo una certa età fanno ritenere che il DIV sia la struttura del rachide maggiormente responsabile del dolore lombare. Le alterazioni biomeccaniche della sua struttura, la sensibilizzazione delle terminazioni nervose per il rilascio di mediatori e l’infiltrazione neurovascolare che si osserva nei dischi degenerati sono le basi patogenetiche del dolore di origine discale. Recentemente la ricerca di base ha individuato diversi mediatori chimici responsabili della iperalgesia (Fosfolipasi A2, Ossido nitrico), della alterazioni del collagene (metalloproteinasi della matrice: MMP-1, MMP-2, MMP-3, MMP-9), della degradazione della matrice ( IL-1, TNF-α ) e della modulazione del segnale dolorifico dei gangli dorsali (CGRP, glutammato, sostanza P). L’invecchiamento del DIV ha indubbiamente una base genetica confermata dagli studi sulla familiarità delle patologie discali. Potenziali fattori genetici responsabili di una precoce degenerazione discale sono stati ricercati nel polimorfismo di alcuni geni responsabili della sintesi dell’aggrecano, della sintesi del recettore della vitamina D e della produzione della metalloproteinasi-3 e del collagene di tipo IX. Comunque, l’osservazione clinica suggerisce che il DIV non è il solo candidato alla genesi del dolore lombare poiché non vi è una correlazione univoca tra degenerazione discale e prevalenza della lombalgia e poiché sono molti i soggetti asintomatici con evidenti degenerazioni discali. Altre possibili fonti di dolore lombare sono i gangli nervosi dorsali, le faccette articolari, i legamenti ed i muscoli. Le recenti scoperte in campo biochimico e genetico hanno consentito di intraprendere la sperimentazione di nuove strategie per il trattamento della degenerazione del DIV come l’ingegneria tissutale, la terapia genica, l’uso delle cellule mesenchimali o staminali, dei fattori di crescita o di inibitori specifici dei mediatori implicati nei processi degenerativi.

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Approccio Scientifico alla Diagnosi di Ernia Discale Lombare Marco Monticone [email protected] Fisiatra, Ricercatore ISICO ISICO – Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano www.isico.it La patologia discale lombare presenta una prevalenza inferiore al 3-4% di tutti i dolori vertebrali, nonostante vi siano ancora molti dubbi sull’esattezza di questo dato. L’incidenza stimata ad un anno varia dallo 0.1% allo 0.5%. La prevalenza di irritazione dolorosa agli arti inferiori nel corso della vita è del 40%. Di tutti i pazienti con lombalgia acuta, solo l’1% presenta segni di compromissione neurologica. La distribuzione per età raggiunge il suo picco a 40 anni, con un rapporto maschi:femmine di 1:1. L’anamnesi e l’esame fisico rappresentano i primi due passi fondamentali per la diagnosi di un paziente con sospetto di ernia discale lombare. Solo se giustificato dalla valutazione anamnestica (dubbi sulla natura secondaria del dolore e della disfunzione vertebrale), obiettiva (in particolare, dalla valutazione neurologica periferica) e se il paziente è fortemente candidato al trattamento chirurgico (per progressivo peggioramento dei deficit neurologici periferici), il clinico è autorizzato a confermarne l’ipotesi diagnostica attraverso ulteriori indagini strumentali (TC, RMN). Nota Bene. Sono riportati di seguito gli aspetti anamnestici, le valutazioni obiettive e le indagini strumentali da condurre nel caso di sospetto di patologia discale lombare. Per ognuna delle fasi descritte è indicata (qualora il dato sia presente in letteratura) la forza delle evidenze scientifiche, che ci permette di valutare la validità del test (sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e negativo, efficacia, ripetibilità inter ed intra-esaminatore…). Ognuno di noi, mentre conduce indagini anamnestiche e valutazioni obiettive deve tener conto di questi dati, i quali possono fuorviare enormemente il potere diagnostico del clinico (e la sua decisione terapeutica) se mal utilizzati o mal interpretati. Anamnesi Accurata raccolta dei sintomi: disturbo attuale e sua localizzazione (con attenzione al racconto di dolore irradiato agli arti inferiori), modalità di insorgenza, causa scatenante, situazioni predisponenti, fattori influenzanti il dolore, caratteristiche temporali. Distinguiamo, a tal riguardo, la fase acuta, dolore insorto entro 4 settimane, la fase subacuta, dolore insorto entro tre mesi e la fase cronica, dolore che dura da più di tre mesi, controllandone l’evoluzione ed ogni aspetto legato alla disabilità specifica (vertebrale) e generale. Durante l’indagine anamnestica è fondamentale la verifica della presenza dei cosiddetti “semafori rossi” o red flags, secondo la letteratura internazionale. In particolare, non devono essere assolutamente trascurati: un’età all’esordio inferiore a 20 anni e superiore a 55 anni, il dolore notturno (anche con risveglio del paziente) se non nelle primissime fasi algiche, la notizia di traumi violenti vertebrali e non, il dolore toracico, soprattutto se associato alle algie vertebrali, la presenza di comorbidità (tumori, anamnesi per pregresse di tossicodipendenze, diagnosi di HIV, disordini sistemici), assunzioni iatrogene continuative nel tempo, la perdita di peso soprattutto se repentina, una flessione rachidea lombare pura inferiore a 5 cm (escludendo, cioè, la componente legata alla flessione coxo-femorale), la presenza di segni neurologici diffusi, le deformità strutturali (scoliosi, ipercifosi dorsali e dorso-lombari, spondilolistesi), il riscontro laboratoristico di una VES>25, deformità strutturali (come gli esiti di Scheurmann, i crolli vertebrali osteoporotici e non,…) visibili all’indagine radiologica. Uno degli errori clinici (e, poi terapeutici) più comuni è quello di ritenere che ogni dolore riferito alla gamba sia necessariamente di natura sciatica. Può esserlo, ma nella maggior parte dei casi non lo è. Meglio definirlo, infatti, come un dolore nella distribuzione del nervo

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sciatico. È noto che questo tipo di dolore può anche derivare dalla fascia, dai muscoli, dai legamenti, dal periostio, dalle articolazioni, e non solo dal disco e dalle strutture epidurali. Tipicamente (e va attentamente discriminato anamnesticamente) è un dolore mal definito, con irradiazione glutea, ischio-crurale, anche bilaterale e che si attenua a riposo. È comunque un dolore riferito, non dovuto alla compressione diretta del nervo e quindi non è dolore “sciatico”, che si esplica, al contrario, attraverso una sensazione acuta, ben localizzabile (in cui possono coesistere anche formicolio ed ipoestesie), pressoché continua, con precisa distribuzione dermatomerica, fino alla gamba e al piede. In termini di affidabilità scientifica del dato anamnestico, il dolore riferito alla gamba è molto sensibile, offrendo però una specificità solo intermedia. Anche i valori predittivi sono intermedi e bassi. La possibilità di incorrere in falsi positivi è molto elevata. Le modificazioni (o alterazioni sensoriali) riferite dai pazienti offrono una sensibilità solo intermedia ed una specificità molto scadente. Le modificazioni riferite in termini di forza muscolare offrono bassa sensibilità e specificità. Per entrambe le valutazioni, i valori predittivi sono intermedi, offrendo, cioè, la possibilità di incorrere in numerosi falsi positivi. Le modificazioni in termini di peggioramento delle abilità personali sono molto sensibili, ma poco specifiche, con bassissimi valori predittivi con possibilità di incorrere in numerosi falsi positivi elevata. In virtù di un’anamnesi ben condotta, il clinico deve avere già la possibilità di formulare una credibile ipotesi diagnostica, da verificare con l’esame obiettivo, escludendo, in particolare, patologie spinali gravi. Esame obiettivo Valutazione ispettiva del rachide (cutanea, asimmetrie e deformità superficiali). Bassa sensibilità e specificità. Scarso valore predittivo. Scarsa ripetibilità inter ed intra-esaminatore. Valutazione articolare del rachide e delle principali articolazioni potenzialmente coinvolte (in particolare, sacro-iliaca e coxo-femorale): sensibilità intermedia, bassissima specificità, ripetibilità intra-esaminatore di livello intermedio. Ripetibilità inter-esaminatore molto scarsa. Valutazione palpatoria del rachide (vertebrale): sensibilità intermedia, bassissima specificità, ripetibilità inter ed intra-esaminatore intermedia; muscolare (anche dei trigger points): bassa ripetibilità inter ed intra-esaminatore, organi addominali; bassa ripetibilità inter ed intra-esaminatore. Valutazione palpatoria muscolare locale: condotta a livello paravertebrale lombare, con bassissima ripetibilità inter ed intra-esaminatore. Nessuna delle valutazioni appena descritte presenta valori di specificità nonché valori predittivi accettabili. In altre parole, sono assolutamente comuni anche nei pazienti con lombalgia aspecifica. Esame neurologico periferico degli arti inferiori Questo esame deve sempre essere condotto, in particolare di fronte a tutti i pazienti che lamentano un dolore irradiato agli arti inferiori. Devono essere esaminati i segni di irritazione radicolare (molto precoci) o di compressione nervosa (più tardivi e che si manifestano solo quando è compromessa la funzionalità del nervo). Segni di irritazione radicolare (il reperto diagnostico consiste nella riproduzione del dolore sintomatico). SLR (straight leg raising) test: è il più usato e consiste nel sollevare la gamba tesa. Va interpretato correttamente. Un sollevamento limitato non è segno di irritazione nervosa, ma può essere dovuto a lombalgia o a retrazione ischio-crurale. Il segno specifico di irritazione è un limitato sollevamento della gamba dovuto alla riproduzione del dolore nervoso lungo la coscia. Il dolore che si irradia solo alla coscia e non lungo il dermatomero

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è segno di irritazione radicolare, ma non di compromissione nervosa. Il test va considerato positivo entro i 30-70° di sollevamento della gamba. La dorsi-flessione del piede o la flessione del capo possono aumentare la sensazione dolorosa, così come l’irradiazione distale. Sono state riportate in letteratura anche variazioni circadiane del test che non hanno ancora, però, un consenso univoco. Elevata sensibilità, bassa/intermedia specificità (con possibilità di falsi positivi), valore predittivo positivo e negativo di livello intermedio. Buona la ripetibilità intra-esaminatore, molto più bassa quella inter-esaminatore. SLR crociato: consiste nel sollevare la gamba tesa sana ed è positivo se il paziente avverte dolore all’arto controlaterale. Bassa sensibilità ed alta specificità (sicurezza sui veri negativi), elevato il valore predittivo positivo (con alto riscontro di veri positivi), intermedio il valore predittivo negativo. Buona la ripetibilità intra-esaminatore, molto più bassa quella inter-esaminatore. Test dello stiramento femorale: il dolore insorge lungo la faccia anteriore della coscia e non alla schiena (porre diagnosi differenziale con patologie d’anca e muscolari del quadricipite). Sensibilità intermedia con elevata specificità. Buona la ripetibilità intra-esaminatore, molto più bassa quella inter-esaminatore. Il dolore all’arto inferiore, con irradiazione alla coscia, e con segni di irritazione nervosa è solo una versione più grave della lombalgia comune, e non rappresenta elemento indiscutibile per porre diagnosi di sciatica. Segni di compressione nervosa. Atrofia muscolare: valutazione accurata dei muscoli appartenenti ai territori di distribuzione nervosa. Sensibilità e specificità intermedie, ripetibilità intra-esaminatore intermedia. Ripetibilità inter-esaminatore bassa. Ipostenia: deve essere condotta su tutti i muscoli degli arti inferiori, con particolare riguardo ai muscoli innervati dalle radici L4, L5 ed S1. Bassa sensibilità, specificità intermedia, ripetibilità inter ed intra-esaminatore intermedia. Si conferma la bassa sensibilità anche per l’estensore proprio dell’alluce (importante poiché indicativo di una lesione L5), con valori di specificità, però, un po’ più elevati e, quindi, con un rischio minore di falsi positivi. Alterazioni sensitive: valutazione accurata dei territori di distribuzione nervosa a livello dermatomerico. Sensibilità bassa, specificità intermedia, intermedia la ripetibilità intra-esaminatore, più bassa quella inter-esaminatore. Alterazioni dei riflessi tendinei: valutazione accurata del riflesso rotuleo (indicativo di sofferenza L4) ed achilleo (indicativo di sofferenza S1), tenendo presente che una lieve asimmetricità può essere reperto normale e comune; attenzione alla non revocabilità distinguendo se questo reperto sia recente o possa essere segno di una lesione pregressa. Bassissima sensibilità, specificità molto elevata per il riflesso rotuleo (L4), Sensibilità e specificità intermedia per il riflesso achilleo (S1). Potere predittivo positivo e negativo intermedi per entrambi. Alta ripetibilità intra-esaminatore, intermedia se inter-esaminatore per entrambi. Nella conduzione dell’esame neurologico periferico, è fondamentale analizzare ciascun dermatomero e miotomero, in particolare di L4, L5 ed S1 (rappresentano la stragrande maggioranza delle patologie erniarie del tratto lombo-sacrale), confrontando entrambi gli arti. Il riscontro di segni di compressione nervosa corrisponde a sofferenza radicolare diretta. Esami diagnostici strumentali.

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Gli esami diagnostici strumentali devono servire come complemento alla diagnosi clinica, e non devono sostituire mai l’anamnesi e/o l’esame obiettivo. Esami di laboratorio VES: è esame sensibile, ma altamente aspecifico. È comunque rapido e di facile esecuzione. Molti falsi-positivi e falsi-negativi. Utile nella limitazione dei falsi-positivi. Esami di imaging e di conduzione nervosa. Radiografie Non mostrano alterazioni discali o neurologiche, ma solo la morfologia vertebrale. Una radiografia lombare non esclude la patologia discale. Non devono mai essere prescritte in fase acuta, soprattutto se in assenza di segni di irritazione radicolare. Vanno prescritte una volta che il dolore tende a persistere e in presenza di red flags. Elettromiografia Nonostante siano richiesti con altissimo impatto numerico non sono necessari per confermare la presenza di radicolopatia. I test neurofisiologici non sono in grado di fare diagnosi di livello erniario in modo accurato e le caratteristiche del dolore radicolare non possono essere spiegate attraverso la sola indagine elettromiografia. Sono sensibili, ma non sono altamente specifici. La ripetibilità intra-esaminatore è intermedia, mentre quella inter-esaminatore è di livello intermedio e basso. I test neurofisiologici sono utili nel determinare la cronicità e la severità della lesione radicolare secondaria ad ernia discale. Sono, inoltre, utili nel determinare se la lesione è a livello della radice, del nervo periferico (decorso) o a livello muscolare. Il test va eseguito sempre confrontando entrambi gli arti. Tomografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) Danno immagini molto dettagliate, ma le tecniche sempre più sensibili aumentano enormemente il numero di falsi-positivi nella popolazione normale. Il riscontro strumentale di erniazione discale lombare (presente in oltre il 30-40% della popolazione mondiale asintomatica) non significa necessariamente diagnosi clinica di ernia discale lombare. Sono strumenti di screening molto inefficienti in considerazione dell’altissima sensibilità (enorme rischio di falsi positivi). Devono essere prescritte una volta che gli elementi anamnestici ed obiettivi lo impongano, in particolare di fronte a chiari segni, in evoluzione, di compromissione nervosa periferica, in assenza di evidenti miglioramenti algici e funzionali dopo trattamento conservativo e per decisioni chirurgiche. Scale di disabilità In letteratura sono riportate molte scale di disabilità. Esse sono estremamente utili per caratterizzare la potenziale disabilità del paziente una volta inserita all’interno della vita quotidiana. È molto importante introdurle anche durante le valutazioni diagnostiche del paziente con ernia discale, essendo in aggiunta utili strumenti di outcome a medio e lungo termine. Le principali scale di disabilità per il paziente con algia e disfunzione vertebrale sono la Roland-Morris Disability Questionnaire (RDQ) e la Oswestry Disability Index (ODI). Per entrambe le scale di disabilità sono state riscontrati i principali requisiti in termini di affidabilità qualora confrontate con altre scale di disabilità precedentemente introdotte (come, ad esempio, la SF-36). In particolare, per entrambe è stata dimostrata la validità nei contenuti espressi, la validità della struttura del questionario, la consistenza interna, la riproducibilità test-retest (e relativi modificatori a seconda di quando il test verrà

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nuovamente somministrato), la facilità alla risposta e le differenze minime clinicamente significative da ottenere come criterio positivo, o meno, di outcome. Sono state tradotte, validate e diffuse ormai in moltissimi Paesi. Le differenze tra questi due strumenti non sono significative. Gli stessi autori invitano, comunque, ad usare la scala Roland-Morris di fronte a disabilità lievi ed intermedie, riservando l’Oswestry scale per le disabilità a più elevato impegno. Conclusioni La patologia discale corre il rischio di essere largamente mal diagnosticata, con problemi anche terapeutici e prognostici. Il primo passo è l’esclusione delle red flags, predittive di patologie spinali gravi. Successivamente, si deve passare ad una valutazione funzionale del paziente, differenziando l’universo “lombalgia aspecifica” (in cui un reperto neuro-radiologico senza segni di compromissione nervosa periferica di ernia discale è solo un co-fattore della lombalgia) dalla diagnosi clinica di “ernia discale lombare”. La valutazione del dolore alla gamba (anamnestica ed obiettiva) è cruciale per l’inquadramento diagnostico e terapeutico, cercando di distinguere i segni di irritazione radicolare (benigni) da quelli di compressione nervosa. La valutazione approfondita neurologica periferica è inescludibile per la diagnosi clinica di ernia discale. Gli esami radiologici (radiografia) non ci aiutano nella diagnosi di ernia discale. Gli esami neuroradiologici (TC e RMN) sono solo complemento della diagnosi clinica e non si sostituiscono mai ad essa. Prima di porre diagnosi di certezza di ernia discale lombare, ogni clinico deve tenere anche in considerazione il potere diagnostico di ogni test utilizzato, includendo anche la non trascurabile eventualità di falsi positivi e falsi negativi e il dato di prevalenza della patologia che si vorrà diagnosticare. Bibliografia - Andersson GBJ. History and physical examination in patients with herniated lumbar discs. 1996 Spine; 21(24S):10S-18S - Andersson GBJ et al. Consensus summary on the diagnosis and treatment of lumbar disc herniation. Spine 1996;21(24S):75S-78S - Rebain R et al. A systematic review of the passive SLR test as a diagnostic aid for low back pain. Spine 2002;27(17):E388-395 - Thelander U et al. SLR test vs radiologic size, shape and position of LDH. Spine 1992;17(4):395-399 - Hunt DG et al. Reliability of the lumbar flexion, lumbar extension, and passive SLR test in normal populations embedded within a complete physical examination. Spine 2001;26(24):2714-2718 - Hicks GE et al. Interrater reliability of clinical examination measures for identification of lumbar segmental instability. Arch Phys Med Rehabil 2003;84:1858-1864 - Waddell G et al. Objective clinical evaluation of physical impairment in chronic LPB. Spine 1992;17(6):617-618 - Strender LE et al. Interexaminer reliability in Physical Examination of Patients with LBP. Spine 1997;22(7):814-820 - Hicks GE et al. Interrater reliability of Clinical Examination Measures for Identification of Lumbar Segmental Instability. Arch Phys Med Rehab 2003; 84;1858-1864 - Nitschke J et al. Reliability of the American Medical Association guides’ model for measuring spinal range of motion. Spine 1999;24(3):262-268 - Ohnmeiss DD et al. Degree of disc disruption and lower extremity pain. Spine 1997;22(14):1600-1605 - van den Hoogen HMM et al. On the accuracy of history, physical examination and VES in diagnosing LBP. Spine 1995;20(3):318-327

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- Coste J et al. Reliability of interpretation of plain lumbar spine radiographs in benign, mechanical LBP. Spine 1991;16(4):426-428 - Tullberg T et al. A preoperative and postoperative study of the accuracy and value of electrodiagnosis in patients with lumbosacral disc herniation. Spine 1993;18(7):837-842 - Boos N et al. The diagnostic accuracy of magnetic resonance imaging, work perception, and psychosocial factors in identifying symptomatic disc herniations. Spine 1995;20(24):2613-2625 - Boos N et al. Natural history of individuals with asymptomatic disc abnormalities in magnetic resonance imaging. Spine 2000;25(12):1484-1492 - Kopec JA, Esdaile JM. Spine update. Functional disability scales for back pain. Spine 1995;20(17):1943-1949 - Kopec Ja. Measuring Functional Outcomes in Persons with Back Pain. A review of Back-Specific Questionnaires. Spine 2000;25(24):3110-3114 - Roland M, Morris R. A study of the natural hystory of LBP: Development of a reliable and sensitive measure of disability. Spine 1983;8:141-4 - Fairbank J et al. The Oswestry LBP Questionnaire. Physiotherapy 1980;66:271-3 - Roland M, Fairbank J. The Roland-Morris disability questionnaire and the Oswestry disability questionnaire. Spine 2000;25(24):3315-3124 Lettura consigliata - HN Herkowitz, J Dvorak, G Bell, M Nordin, D Grob. The Lumbar Spine. Third Edition – ISSLS International Society for the Study of the Lumbar Spine Edition, 2004.

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Approccio scientifico al trattamento dell’ernia discale Stefano Negrini ISICO (Istituto Scientifico Italiano Colonna vertebrale), Milano (www.isico.it) Segretario Scientifico Gruppo di Studio Scoliosi e patologie vertebrali (GSS) (www.gss.it) Presentiamo di seguito le indicazioni per il trattamento della sciatica contenute nelle Linee Guida Nazionali denominate “Percorsi Diagnostico Terapeutici per il paziente affetto da patologie del rachide lombare” che sono in fase di pubblicazione entro la primavera del 2005, come risultato finale dei contributi di tutte le Società Scientifiche Nazionali impegnate nel settore. Hanno partecipato ai lavori di stesura oltre ai fisiatri (SIMFER), le società dei medici di medicina generale (SIMG), dei reumatologi (SIR), degli ortopedici (SIOT), dei neurochirurghi (SINCH), dei neurologi (SIN), dei medici del lavoro (SIMLII), e dei fisioterapisti (AIFI). Le indicazioni sul trattamento conservativo sono proposte in una suddivisione tra sciatica acuta e sub-acuta; la sciatica cronica non viene presentata perché è stata considerata nelle sindromi da dolore cronico insieme alla lombalgia cronica, in quanto in letteratura non ci sono elementi per considerarla come un elemento patologico a sé stante. Non è stata fatta la classica distinzione accademica tra sciatica e cruralgia: ma nella sciatica sono stati considerati insieme i dolori irradiati all’arto inferiore. Il percorso diagnostico non viene presentato in quanto oggetto di un’altra relazione a questo stesso Congresso. Tutte le indicazioni sotto riportate riassumono rigorosamente la letteratura oggi esistente sull’argomento e sono state tratte dalle altre Linee Guida internazionali, dalle Revisioni Sistematiche Cochrane e dai Randomised Controled Trias pubblicati ad oggi. Sciatica acuta (0-30 giorni) Una volta esclusa la presenza di semafori rossi, la maggior parte dei pazienti, anche in presenza di disfunzione radicolare dovuta ad ernia discale, recupera entro un mese con guarigione spontanea, quindi non è consigliato l'invio al chirurgo prima di un mese di terapia Consigli su attività fisica e comportamento Riposo a letto è sconsigliato, salvo 2-4 giorni per sciatica severa Continuare l'abituale attività, nei limiti del dolore, e rimanere attivi Terapia farmacologica Steroidi per via sistemica possono essere utili per brevi periodi Paracetamolo, FANS, miorilassanti, tramadolo sono utili per ridurre la sintomatologia dolorosa (vedi MDS non specifico) Paracetamolo con oppioidi deboli può essere efficace alternativa quando FANS o paracetamolo da soli non controllano il dolore Se non vi sono risultati con trattamento farmacologico, le infiltrazioni di steroidi epidurali possono ridurre a breve termine il dolore radicolare Terapie fisiche Le manipolazioni non sono indicate Trazioni e corsetti non sono utili TENS e terape fisiche (massaggi, ultrasuoni, diatermia a onde corte) non sono utili L'agopuntura non è efficace Limitata l'efficacia delle back school Sciatica sub-acuta (30-90 giorni) Spiegazioni L'ernia recupera spontaneamente, ma molto lentamente L'unico problema è il dolore ed il possibile lieve danno neurologico residuo Il recupero del danno neurologico è lento, progressivo ed indipendente dal trattamento effettuato

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Imparare a controllare il dolore Si deve affrontare e non subire il dolore Interventi su attività quotidiane e lavoro Continuare/riprendere gradualmente Controllo delle posture Riduzione momentanea degli sforzi Riduzione dello stress Interventi su attività fisica Subito attività aerobica a basso impatto Terapia antinfiammatoria Cortisonico FANS Terapia sintomatica Paracetamolo con o senza oppioidi FANS Terapie manuali (blande mobilizzazioni, massoterapia blanda) Esercizi a scopo antalgico Terapie fisiche (TENS) Terapia riabilitativa Esercizi specifici individuali Terapia cognitivo-comportamentale individuale Terapia chirurgica Dopo un mese di terapia conservativa è indicato l'invio al chirurgo quando la sciatica è grave e disabilitante, continua senza miglioramento o con peggioramento nonché quando ci sono prove cliniche di una compressione radicolare Prima di un mese di terapia conservativa è raccomandato l'invio al chirurgo solo se c'è peggioramento neurologico o se il dolore è grave e resistente a qualunque trattamento conservativo o per comparsa di un semaforo rosso Nei pazienti con ernia del disco e radicolopatia la discectomia è efficace se non c'è miglioramento con la terapia conservativa La scelta fra microdiscectomia e discectomia dipende dall'esperienza del chirurgo e dalle risorse disponibili Discectomia percutanea e discectomia laser vanno considerate ancora sperimentali Non ci sono prove che gli operati di ernia del disco debbano ridurre la loro attività della vita quotidiana nell'immediato postchirurgico Programmi intensivi di esercizi, iniziati 4-6 settimane dopo l'intervento, riducono i tempi della ripresa funzionale e del ritorno al lavoro, ancora non sappiamo se possano essere iniziati subito dopo l'intervento Non c'è ragione per limitare l'attività fisica a distanza dell'intervento chirurgico Valutazione psicologica precedente l'intervento chirurgico

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Dall’esercizio terapeutico al programma riabilitativo individuale Silvano Ferrari Studio Professionale di Fisioterapia e Riabilitazione “L’Arcobaleno” , Milano Il bagaglio terapeutico a disposizione del fisioterapista per il trattamento delle lombalgie è enorme. Possiamo avvalerci della terapia fisica strumentale e della massoterapia in tutte le sue forme, della Back School, delle trazioni; disponiamo di esercizi terapeutici con finalità diverse (esercizi in delordosi, in lordosi, stretching, esercizi di rinforzo, di rilassamento, ecc.), sia a corpo libero che con macchinari specifici; possiamo utilizzare la Terapia Manuale segmentaria, le tecniche globali di estrazione Mézièrista, le Terapie Psicomotorie, le Tecniche di rieducazione neuromotoria ed ancora, avvalerci di agopuntura, di riflessoterapie, di biofeedback, di pedane stabilometriche, di terapie cognitivo-comportamentali e di quant’altro ancora. Tutta questa “ricchezza terapeutica” però, dovrebbe essere utilizzata con un razionale logico, mentre c’è la tendenza, da parte dei professionisti che trattano il mal di schiena, di utilizzarne solo una piccola parte (quando non addirittura una sola, eletta come la migliore). Eppure, se esistono così tanti approcci e molti professionisti si avvalgono di essi con risultati positivi, probabilmente tutti manifestano una certa utilità. Ma se ognuno di questi approcci può servire, come orientarci nella scelta del trattamento? In funzione degli obiettivi terapeutici. La base di partenza, comunque, deve essere la ricerca, la letteratura internazionale, e le indicazioni delle linee guida che ne sono derivate. Nata proprio per supportare le decisioni in ambito sanitario, l’Evidence Based Medicine (EBM) integra la competenza clinica individuale con la migliore evidenza disponibile proveniente dalla letteratura. Purtroppo, la ricerca quantitativa, da sola, non è sufficiente per comprendere il singolo paziente, i fenomeni che riguardano il dolore e la disabilità a livello individuale di una sindrome multifattoriale qual è la lombalgia, ed individuare il miglior trattamento senza conoscerne la causa è praticamente impossibile. Probabilmente è altresì fuorviante cercare una causa “anatomica” in una patologia che è spesso “funzionale”: tanto il disco vertebrale quanto le faccette articolari, tanto i legamenti quanto i muscoli sono innervati, ma la postura del soggetto, la sua personalità, l’ambiente in cui vive e la sua attività lavorativa o sportiva possono influenzare la sintomatologia e la disfunzione in maniera diversa. Un approccio uguale per tutti non ha quindi basi razionali (1,2,36). Il programma riabilitativo individuale della lombalgia (o, più precisamente, dei diversi tipi di lombalgia) non deve quindi partire dalle tecniche, che hanno un proprio presupposto teorico e sono strutturate per il raggiungimento di uno specifico obiettivo terapeutico, ma dalle differenti condizioni cliniche che ogni paziente con mal di schiena presenta. Pur riconoscendo il loro enorme valore - ogni tecnica riabilitativa è frutto dell’ingegno – (3, 35) è più opportuno utilizzarle in funzione di specifici obiettivi terapeutici individuati durante la valutazione del singolo paziente (4). Lavorare per obiettivi terapeutici inoltre, facilita anche la comunicazione tra i diversi operatori che si occupano di lombalgia. Gli obiettivi terapeutici devono essere scientificamente attendibili, per quanto al momento disponibile in letteratura, attuabili nel lavoro quotidiano, verificabili nel tempo e adattabili al singolo paziente (5). Una proposta che risponde a queste considerazioni e che più coglie, per chiarezza e semplicità, la peculiarità delle lombalgia di tipo “meccanico” e la sua implicazione biopsicosociale, è quella di Deyo. Gli Obiettivi Terapeutici da lui indicati sono: - migliorare la distribuzione dei carichi; - ripristinare i corretti meccanismi statico-dinamici;

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- combattere i fattori di rischio; - educare il paziente a gestire razionalmente il suo problema. All’interno di questi obiettivi generali, il fisioterapista dovrà individuare gli obiettivi specifici peculiari per la lombalgia (o la lombosciatalgia) di ogni paziente, gli strumenti terapeutici e gli strumenti di verifica (Fig. 1). L’impostazione per obiettivi terapeutici del trattamento delle lombalgia permette di utilizzare un sistema “aperto” che si può modificare man mano che le conoscenze si ampliano, progrediscono e pongono l’attenzione su nuovi e specifici fattori. Allo stato attuale, il trattamento del paziente lombalgico dovrebbe rispondere alle seguenti considerazioni: - l’importanza di individuare dei sottogruppi diagnostici (6, 7). A causa della difficoltà ad eseguire una diagnosi differenziale sulle cause anatomo-patologiche (8), il sistema di classificazione, per soddisfare le esigenze riabilitative, dovrebbe basarsi sulla ricerca di condizioni patologiche e/o disfunzionali considerate possibili e/o probabili dalla letteratura più accreditata, ed essere impostato per guidare il fisioterapista verso trattamenti specifici.(2, 9, 10, 11,12). - l’importanza di un lavoro specifico per la genesi “meccanica” di queste lombalgie (6); - la consapevolezza che la fonte dei sintomi può dipendere da svariate strutture (dischi intervertebrali, faccette articolari, legamenti, fasce muscolari, strutture nervose, sistema nervoso autonomo, vasi, ecc.); il motivo per il quale la zona lombare è diventata sintomatica può dipendere inoltre da altre zone biomeccanicamente e funzionalmente collegate (30, 35) - l’importanza di un trattamento che sia il più possibile attivo fin da uno stadio precoce (5, 13, 14, 15, 16); - l’importanza di prestare notevole attenzione alle componenti psico-sociali del disturbo e di adottare un intervento cognitivo-comportamentale, che faciliti la gestione del dolore ed influisca sulle modificazioni del comportamento del soggetto mediante l’educazione, gli esercizi attivi mirati e progressivi e il riallenamento allo sforzo ed alle attività quotidiane (17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27); - l’importanza di considerare l’influenza della postura, riferita sia a quella morfologico-funzionale propria del soggetto, sia alla posizione assunta in occasione di attività lavorative e/o ricreative (5,15, 28, 29, 30, 35) - l’importanze di prevenire le recidive, a causa della tendenza naturale della lombalgia alle ricadute ed alla cronicizzazione (6, 14, 31); - l’importanza di accompagnare costantemente la valutazione al trattamento del paziente lombalgico (2, 3, 6, 32, 35). Essa sarà indirizzata inizialmente alla ricerca della disfunzione del paziente, dovrà accompagnare tutto il trattamento per verificarne l’efficacia e servirà per valutare l’outcome finale (33,34). La valutazione clinico-funzionale iniziale serve soprattutto per verificare se il paziente è appropriato ad un trattamento di fisioterapia, dopo di che, basandosi sui segni e sintomi presenti, individuare quale approccio, in questo momento, ha la maggior probabilità di successo (10). Alla luce di quanto esposto finora, il programma riabilitativo individuale deve basarsi sulle migliori evidenze esterne, l’esperienza clinica del fisioterapista, i valori e le aspettative del paziente. Per far ciò il fisioterapista deve utilizzare il ragionamento clinico, che può essere definito come “il processo strutturato per analizzare lo stato di salute del paziente con l’obiettivo di attuare un adeguato piano di trattamento basato sull’evidenza”. La costante valutazione retrospettiva è parte integrante del trattamento e del ragionamento clinico e serve per confermare o meno il raggiungimento degli obiettivi terapeutici (fig.2).

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Il trattamento sarà quindi la logica conseguenza di una valutazione ben condotta, differenziato per ogni singolo paziente, e deve prevedere la possibilità di effettuare una prevenzione specifica ed agire sulla componente psicosociale. Un esempio di trattamento attuato in funzione degli obiettivi terapeutici individuati a seguito della disfunzione (prevalente) riscontrata, è indicato nella fig.3. Bibliografia: 1) JULL G.A., RICHARDSON C.A. Motor control problems in patients with spinal pain: a new direction for therapeutic exercise. JMPT 2000; 23 (2):115-117. 2) FERRARI S., VANTI C. ET AL. Riabilitazione Integrata delle Lombalgie 2° ed, Masson Editore, Milano, 2002. 3) MAITLAND G.D. Manipolazione Periferica. Piccin editore, Padova, 1998. 4) VANTI C., FERRARI S. “L’instabilità lombare. Approccio riabilitativo nella instabilità vertebrale non chirurgica”. In: Sibilla P., Negrini S. (eds) Il trattamento della lombalgia – Stato dell’arte. EdiErmes, Milano 1996, pp.317-318. 5) NEGRINI S., ATANASIO S. ET AL. “La scelta degli obiettivi terapeutici nella cinesiterapia della lombalgia idiopatica”. In: : Sibilla P., Negrini S. (eds) Il trattamento della lombalgia – Stato dell’arte. EdiErmes, Milano 1996, pp. 245-270. 6) MCKENZIE R.A. The lumbar spine. Mechanical diagnosis and therapy. Spinal Publications, Waikanae (New Zealand) 1981. 7) RIDDLE, D.L. Classification and low back pain: A review of the literature and critical analysis of selected systems. Physical Therapy 1998;78(7): 708-737. 8) SPITZER, W.O. Scientific approach to the assessment and management of activity-related spinal disorders. A monograph for clinicians. Report of the Quebec Task Force on Spinal Disorders. Spine, 1987: 12, 7S. 9) BRENNAN GP., FRITZ JM. ET AL. A Randomized trial of treatment-based classification for patients with low back pain: preliminary results. Relazione presentata al Combined Sections Meeting di Tampa (Florida) 12-16 feb 2003. 10) FRITZ J.M. Use of classification approach to the treatment of 3 patients with low back syndrome. Phys Ther 1998; 78(7): 766-777. 11) VAN DILLEN L.R., SAHRMANN S. ET AL. Movement System Impairment-based categories for LBP: stage 1 validation. JOSPT 2003; 33(3):126-42. 12) WILSON L, HALL H, ET AL. Intertester Reliability of low back pain classification system. Spine 1999; 24(3); 248-54. 13) MALMIVAARA A., HAKKINEN U. ET AL. The treatment of acute low back pain. Bed rest, exercise or ordinary activity? N Eng J Med , 1995; 332(6):351-355. 14) NACHEMSON A. “Orientamenti attuali nel trattamento della lombalgia”. In: : Sibilla P., Negrini S. (eds) Linee Guida nel trattamento della lombalgia. Gruppo di Studio delle Scoliosi e delle Patologie Vertebrali, Monografie di aggiornamento, Vol.1, 1996, pp. 16-48. 15) NORTH AMERICAN SPINE SOCIETY Ad Hoc Committee on Diagnostic and Therapeutic Procedures. Common Diagnostic and Therapeutic Procedures of the lumbosacral Spine. Spine 1991; 16(10): 1161-67. 16) TWOMEY L., TAYLOR J. Exercise and spinal manipulation in the treatment of low back pain. Spine 1995; 20(5): 615-619. 17) ALARANTA H., RYTOKOSKI U. ET AL. Intensive physical and psychosocial training program for patients with chronic low back pain. A controlled clinical trial. Spine 1994; 19(12): 1339-1349. 18) BENDIX A.F., BENDIX T. ET AL. Comparision of three intensive programs for chronic low back pain patients: a prospective, randomized, observer-blinded study with one-year follow-up. Scandinavian Journal of Rehabilitation Medicine 1997; 29(2): 81-89.

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19) KANKAANPAA M., TAIMELA S. ET AL. The efficacy of active rehabilitation in chronic low back pain. Effect on pain intensity, self-experienced disability and lumbar fatigability. Spine 1999; 24(12): 1034-1042. 20) LINDSTROM I. Mobility, strenght and fitness after a graded activity program for patients with subacute low back pain. Spine 1992; 6 (17). 21) LINTON S.J., BRADLEY L.A. ET AL. The secondary prevention of low back pain: a controlled study with follow-up. Pain 1989; 36 (2):197-207. 22) MOORE J.E., VON KORFF M. ET AL. A randomized trial of a cognitive-behavioral program from enhancing back pain self care in a primary care setting. Pain 2000; 88(2): 145-153. 23) NICHOLAS M.K., WILSON P.H. ET AL. Comparison of cognitive-behavioral group treatment and an alternative non psychological treatment for chronic low back pain. Pain 1992; 48(3): 339-347. 24) ROSE M.J., REILLY J.P. ET AL. Chronic low back pain rehabilitation programs. A study of the optimum duration of treatment and comparison of group and individual therapy. Spine 1997; 22 (19): 2246-2253. 25) VAN TULDER M.W., KOES B.W. ET AL. Chronic low back pain: exercise therapy, multidisciplinary programs, NSAID’S, Back schools and behavioral therapy effective:traction not effective; result of systematic reviews . Ned Tijdschr. Geneeskd. 2000; 144(31):1489-1494,. 26) WADDELL G, MCCULLOCH JA, ET AL. . Nonorganic physical signs in low-back pain. Spine 1980 Mar-Apr; 5(2):117-25. 27) MAIN CJ, WADDELL G. Behavioral responses to examination. A reappraisal of the interpretation of "nonorganic signs". Spine. 1998 Nov 1;23(21):2367-71. 28) HELIOVAARA M., MAKELE M. ET AL. Determinants of sciatica and low back pain. Spine , 1991 ; 16 (6): 608-614. 29) LEVEAU B.F. Biomeccanica del movimento umano. Verduci, Roma, 1993. 30) SOUCHARD PH. Basi del Metodo di Rieducazione Posturale Globale – Il Campo Chiuso. Marrapese Ed. Roma, 1994. 31) SCHNEIDER W., DVORAK J. ET AL. Medicina Manuale – Terapia. Verduci ed. Roma, 1990. 32) MAITLAND G.D. Vertebral manipulation. 5th ed, Butterworth-Heinemann, London, 1986. 33) CESARI E., VANTI C. ET AL. La valutazione dell’outcome in un gruppo di soggetti lombalgici mediante la Quebec Back Pain Disability Scale. Scienza Riabilitativa 2000; 4(1): 17-24. 34) VANTI C. Gli strumenti di verifica a disposizione del fisioterapista nel trattamento delle lombalgie. Atti 1° Congresso Nazionale Attualità in Terapia Manuale – Roma, 25-27 giugno 1999. 35) MAITLAND G., HENGEVELD E, ET AL. Manipolazioni vertebrali di Maitland. Masson editore, Milano, 2003. 36) RIVETT D.A. Manual therapy cults. Man Ther. 1999; 4(3):125-6.

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Fig 1. Schema riassuntivo degli Obiettivi Terapeutici (da Ferrari S., Pillastrini P., Vanti C. Riabilitazione Integrata delle Lombalgia. Masson, 2002)

OBIETTIVO GENERALE

OBIETTIVI SPECIFICI

STRUMENTI TERAPEUTICI

STRUMENTI DI VERIFICA

Migliorare la distribuzione dei carichi

Riduzione di una disfunzione discale Riduzione di una disfunzione vertebrale Riequilibrio posturale

McKenzie, chinesiterapia unidirezionale, ecc. Chiropratica, Osteopatia, Maitland, ecc. Rieducazione Posturale Globale, Mézières, cinesiterapia, ecc.

Sede del dolore: pain drawing Intensità del dolore: V.A.S. (analogo visivo) Postura: fotografie piano orizzontale, fotografie piano sagittale, pedane stabilometriche, bilance

Ripristinare i corretti automatismi statico-dinamici

Ripristino del controllo neuromotorio Riduzione di una rigidità rachidea Ripristino di movimenti funzionali Riduzione di conflitti meccanici da cause specifiche

Esercizi di stabilizzazione lombare, esercizi con pallone e tavole oscillanti, ecc. Tecniche psicomotorie, Biofeedback, ecc. Chinesiterapia, tecniche neuromotorie, allenamento funzionale, allenamento fisico, ecc. Maitland, McKenzie, stretching, pompages, ecc.

Dolore: pain drawing, V.A.S. R.O.M.: misurazioni lineari (distanza dita-suolo, Test di Schober) misurazioni angolari (goniometro, in clinometro, foto a fine arco di movimento) Attività funzionali: Quebec Back Pain Disability Scale, Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire, Roland Morris, ecc.

Combattere i fattori di rischio

Correzione dei fattori di rischio intrinseci: correzione di alterazioni posturali, allungamenti della muscolatura retratta, ripristino del controllo neuromotorio Correzione dei fattori di rischio estrinseci: attività professionali, attività domestiche, attività ricreative

Rieducazione posturale, stretching, allungamenti miofasciali, esercizi di propriocezione e di stabilizzazione lombare, ecc. Ergonomia, Back School, ausili appropriati, ecc.

Postura: foto (posizione seduta, stazione eretta) pedane stabilometriche, bilance R.O.M.: misurazioni lineari (distanza dita-suolo, Test di Schober) misurazioni angolari (goniometro, in clinometro) foto a fine arco di movimento Ambiente di lavoro: test, simulazioni

Educare il paziente a gestire razionalmente il suo problema

Presa di coscienza del problema Adozione di provvedimenti preventivi Ripristino di gestualità quotidiane Motivazione del paziente counseling

Approccio cognitivo-comportamentale Esercizi personalizzati, allenamento fisico, ecc Esercizi finalizzati, simulazioni, ecc. Dialogo, individuazione di obiettivi condivisi, ecc.

Attività funzionali: Test della disabilità a 5 voci, Disability Questionnaire, Scala di valutazione funzionale quantitativa della lombalgia, Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire, Quebec Back Pain Disability Scale, ecc. Aspetti comportamentali: scala UAB, Illness Behaviour Questionnaire, Segni non organici di Waddell, Fear-Avoidance Beliefs Questionnaire, Tampa Scale for Kinesiophobia, ecc.

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Fig. 2. La valutazione come processo continuo (da Ferrari S., Pillastrini P., Vanti C. Riabilitazione Integrata delle Lombalgia. Masson, 2002)

1) VALUTAZIONE INIZIALE ( anamnesi – esame generale – esame specifico e/o esame differenziale)

2) DIAGNOSI CLINICO -FUNZIONALE

3) OBIETTIVI TERAPEUTICI

4) PROCEDURE TERAPEUTICHE

5) VERIFICA

ESITO POSITIVO ESITO NEGATIVO O INSODDISFACENTE Dimissione quando indicato nuovo Obiettivo terapeutico (tornare al punto 3) verifica delle procedure verifica degli obiettivi terapeutici verifica della diagnosi clinico funzionale verifica della valutazione iniziale

FORMULARE NUOVE IPOTESI (tornare al punto 3)

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IMPOSTAZIONE DEL TRATTAMENTO IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI TERAPEUTICI -DISFUNZIONE DISCALE REVERSIBILE > migliorare la distribuzione dei carichi: tecniche specificatamente indicate per il disco intervertebrale. -DISFUNZIONE DISCALE IRREVERSIBILE > educare il paziente ad educare razionalmente il suo problema: procedure e posture per alleviare il dolore, in attesa che le manifestazioni causate dal disco erniato perdano intensità. -DISFUNZIONE POSTURALE > migliorare la distribuzione dei carichi: correzione della postura -DISFUNZIONE DINAMICA (da ipomobilità) > ripristinare i corretti meccanismi statico-dinamici: esercizi, stretching e tecniche manuali di mobilizzazione articolare -DISFUNZIONE DINAMICA (da instabilità) > ripristinare i corretti meccanismi statico-dinamici: esercizi di stabilizzazione -DISFUNZIONE STRUTTURALE > (obiettivo scelto in base alla disfunzione specifica): trattamento indirizzato alla disfunzione strutturale specifica -DISFUNZIONE DA ALTRO DISTRETTO > (obiettivo in base alla disfunzione specifica): procedure peculiari per l’anca, l’articolazione sacro-iliaca, il piriforme Fig. 3 – Impostazione del trattamento in funzione degli obiettivi terapeutici. Nello schema sono indicati solo gli obiettivi primari, ma ogni disfunzione può necessitare, contemporaneamente o successivamente, di più di un obiettivo terapeutico.

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Terapia Manuale: revisione internazionale Garri Roberto, Fisioterapista Cred. MDT, Asti - E.mail: [email protected] La Terapia Manuale (T.M.) non è una tecnica di massaggio o di micromovimenti articolari, né una metodica o altro, ma è un approccio rieducativo che comprende lo studio scientifico dei disordini funzionali della postura e dell'attività gestuale, nonché dei meccanismi di regolazione che possano costituirne l'origine. Qualunque tentativo di illustrare storicamente l’evoluzione degli approcci scientifici nei confronti della patologia discale lombare rischia di rivelarsi limitato ed incompleto. Materiali e metodi. Sono state fatte ricerche in sequenza nei database bibliografici computerizzati Medline, Embase e PEDro (Physiotherapy Evidence Database) utilizzando il titolo “trattamento conservativo della sciatica” espandendolo con altri termini quali “ernia del disco” e “disco prolassato”, e sottotitoli quali “Terapia Manuale ” e “ riabilitazione”. Risultati. In conclusione sembra esserci evidenza insufficiente a supportare l’efficacia della maggior parte dei trattamenti conservativi per la sciatica con una sottostante ernia del disco. Sono necessari studi nuovi e migliori (Ref. 4 Vroomen 2000). Esistono numerosi altri lavori ( val Tulder, Bendix e al., Little e al., Deyo e al. ) che, con ricerche originali o accurate analisi della letteratura, sono giunti alla conclusione che tante metodiche, in gran parte eponime, spesso divergenti e non di rado contraddittorie, non hanno dimostrato alcuna evidenza scientifica. Nonostante questa mancanza di evidenza scientifica riguardo l’efficacia del trattamento conservativo, a suo favore si hanno differenze non significative nei risultati tra la chirurgia e il trattamento conservativo (Weber,1994). Discussione. A questo punto si è preferito procedere a presentare l’approccio terapeutico in T. M., alla luce della più aggiornata evidenza scientifica, di fronte ad una diagnosi medica di ernia discale. A tal proposito proponiamo il modello multidimensionale di carico/capacità e di carico/adattabilità e la costruzione di un Profilo Prognostico di Salute ( Hagenaars LHA, 2002). Il riabilitatore agisce in modo specifico in un contesto biopsicosociale (Jones M. et al., 2002), non indirizzando il suo intervento alla patologia e ai sintomi da questa derivati con modalità standardizzate, ma ponendo al centro della sua azione valutativa e terapeutica in modo globale il paziente che richiede il suo intervento ( ICF). Si prosegue la discussione prendendo in considerazione alcuni concetti attuali che la T.M. considera molto importanti, quali per esempio: la mobilizzazione del sistema nervoso (Butler D.,2001), la classificazione dei sottotipi omogenei del mal di schiena meccanico(Van Dillen LR, Sahrmann SA et al, 2003), esercizi di stabilizzazione nella lombalgia cronica ( Ref. 20 Hodges PW., 2003), il fenomeno della centralizzazione (McKenzie, 1998), lo studio dei processi in grado di scatenare il dolore, la Guida alla misurazione dei risultati nei pazienti con mal di schiena (Ref. 17 Resnik L, Dobrzykowski E., 2003), ecc. Conclusioni. Questo studio ha messo in evidenza la necessità di utilizzare, in T. M. un approccio comune basato sulle migliori ed attuali evidenze scientifiche: a tal proposito si propone la formazione di un Gruppo di Studio che si attivi in questa direzione. E’ fondamentale mantenere un’ apertura mentale, affinché si metta in dubbio l’approccio a un’unica struttura e ci si impegni ad adottare un più valido approccio multifattoriale che prenda in considerazione tutte le strutture e i fattori che contribuiscono ( ad esempio ambiente e cultura). Tutti i riabilitatori dovrebbero, quindi, tralasciare un utilizzo esclusivo della metodica a cui sono più “affezionati”ed elevarsi al di sopra delle metodiche stesse, per agire non condizionati da preconcetti restrittivi.

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(Parole chiave: Terapia Manuale, ernia del disco, Rehabilitation of low back pain, dolore, ragionamento clinico). Introduzione A livello internazionale l’IFOMT rappresenta l’Associazione Sopranazionale fondata nel 1973, la quale raggruppa le Associazioni di Terapia Manuale ( T.M.) delle nazioni che hanno attivato un percorso formativo di alto livello. In Italia il GTM-AIFI rappresenta un gruppo di interesse specifico in T.M. dell’associazione italiana dei fisioterapisti; in occasione del Congresso Mondiale svoltosi a Cape Town nel marzo di quest’anno, l’Italia ha raggiunto il traguardo di diventare membro effettivo dell’IFOMT.. La T.M. non è una tecnica di massaggio o solo di micromovimenti articolari, né una metodica o altro, ma è un approccio rieducativo che comprende lo studio scientifico dei disordini funzionali della postura e dell'attività gestuale, nonché dei meccanismi di regolazione che possano costituirne l'origine. L'obiettivo è quello di ridurre o eliminare i disordini funzionali articolari all'interno delle catene di movimento umane eseguendo varie manovre sui tessuti ossei, capsulari, legamentosi, tendinei, muscolari e fasciali, solo dopo aver compiuto un approfondito esame clinico del sistema locomotore. Il Fisioterapista che ha approfondito le sue conoscenze in T.M., dunque, compie uno speciale esame e si serve di tecniche di trattamento rivolte ai sistemi osteoarticolare e neuromuscolare al fine di analizzare, migliorare la funzione e guarire le patologie del sistema locomotore di propria competenza. Quali sono le specifiche tecniche terapeutiche? In relazione alla patologia ed a quanto è stato rilevato nell'esame il Fisioterapista opta per: tecniche osteoarticolari (mobilizzazioni e manipolazioni),tecniche muscolari e miofasciali (stretching, rilasciamento, muscle energy, trattamento dei trigger points),esercizi medici di reclutamento attivo (stabilizzazione, rinforzo muscolare, propriocezione, coordinazione motoria, equilibrio, ecc.), programmi di esercizi domiciliari, informazioni circa i disturbi con istruzioni nella gestione del movimento, della gestualità, dell'ergonomia e della postura nella vita quotidiana. Qualunque tentativo di illustrare storicamente l’evoluzione degli approcci scientifici nei confronti della patologia discale lombare rischia di rivelarsi limitato ed incompleto . La T.M., di estrazione prevalentemente, anglosassone fa capo a Mennel (1960) che introdusse in Italia le prime tecniche indirizzate ai micromovimenti articolari. In seguito sono giunte l’Osteopatia, la Chiropratica, gli insegnamenti di Maigne (1979), la terapia manuale proposta da Bienfait (1987). A partire dagli anni ’80 sono giunte in Italia scuole di T.M .che hanno come comune denominatore un’approfondita competenza clinica individuale integrata con i risultati della letteratura originale valutata criticamente (metodo deduttivo). Ricordiamo, tra le più importanti , la scuola di Cyriax (1980), di Maitland (1986), di Kaltenborn-Evjenth (1979), di McKenzie (1981), di Butler (1991), di Mulligan (1999). Recentemente alcuni autori hanno proposto approcci rieducativi rivolti alla stabilizzazione intersegmentaria vertebrale (Hides 1996, Hodges 1996, Jull 2000, Richardson 1999, O’Sullivan 2000, Comerford 2001). In Italia ricordiamo, tra le scuole più importanti, il Master in Riabilitazione dei disordini Muscoloscheletrici dell’Università degli Studi di Genova, la Scuola Italiana di Riabilitazione Integrata delle Lombalgie, il Gruppo di Studio Scoliosi e Patologie Vertebrali (GSS) di Milano. Nell’ambito della T.M. della patologia discale lombare, la Evidence Based Practice (EBP, pratica clinica basata sulle prove di efficacia) costituisce per il fisioterapista un modello strutturato di apprendimento che pone al centro dell’interesse il bene del paziente e

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fornisce ad esso il più appropriato trattamento disponibile in quel momento (Ref. 1, Alassio 2004). Ne consegue che in tale contesto sia necessario “focalizzare l’attenzione” sugli sviluppi delle evidenze scientifiche, “consultarsi” in modo trasparente con il paziente prima di decidere l’opzione a lui più adatta, essere in grado di giudicare come e in quali casi sia possibile adottare le raccomandazioni emerse dalla ricerca adattandole al paziente stesso (Ref. 2, M. Gray 1997). Il mal di schiena ha spesso origine ignota, anche quando i sintomi sembrano provenire dai dischi. Uno studio effettuato in Germania contiene una curiosa affermazione: la fonte esatta dei sintomi non è importante. Gli autori affermano:”Nel dolore acuto, la specificità del dolore non ha importanza perché si cerca di alleviare rapidamente i sintomi; nel dolore cronico le strategie per combattere la paura del dolore e il comportamento conseguente al dolore sono più importanti delle alterazioni strutturali e funzionali” ( Ref. 3 Zeitschrift, 2004). E, allora, che cosa fare? Ha, forse, ancora valore l’affermazione dell’illustre Nachemson, il quale sosteneva che non ha tanta importanza cosa si fa, ma il fare qualcosa? Certamente la ricerca è andata avanti e tale affermazione rimane solo nella nostra memoria per evitare ingiustificati entusiasmi di fronte a lavori che esaltano troppo l’efficacia di un approccio rispetto ad altri. Lo studio Materiali e metodi. Sono state fatte ricerche in sequenza nei database bibliografici computerizzati Medline, Embase e PEDro (Physiotherapy Evidence Database) utilizzando il titolo “trattamento conservativo della sciatica” espandendolo con altri termini quali “ernia del disco” e “disco prolassato”, e sottotitoli quali “Terapia Manuale” e “ Riabilitazione”. Risultati. Questa ricerca ha condotto all’analisi degli abstract di 179 lavori e a selezionarne solo alcuni perché gli altri parlavano di chirurgia o comunque non di T.M. Tra questi ricordiamo il lavoro di Vroomen e al., che hanno condotto una rassegna sistematica del trattamento conservativo della sciatica , la cui causa più frequente viene considerata la compressione della radice nervosa a causa di un’ernia del disco lombare. I 19 RCT selezionati hanno mostrato una qualità metodologica alquanto variabile. Né la trazione,né la terapia con esercizi, né la terapia farmacologia sono state inequivocabilmente efficaci. Gli steroidi per via epidurale possono essere benefici per i sottogruppi con una compressione della radice nervosa in fase acuta. La manipolazione può avere effetti benefici sui disturbi radicolari. Lo studio che sostiene questo, comunque, aveva dei notevoli difetti ( per esempio nessuna analisi dell’intenzione di cura, nessun controllo dell’attenzione e delle aspettative dei pazienti, nessun mascheramento dei pazienti). In conclusione sembra esserci evidenza insufficiente a supportare l’efficacia della maggior parte dei trattamenti conservativi per la sciatica con una sottostante ernia del disco. Sono necessari studi nuovi e migliori (Ref. 4 Vroomen 2000). Esistono numerosi altri lavori ( val Tulder, Bendix e al., Little e al., Deyo e al. ) che, con ricerche originali o accurate analisi della letteratura, sono giunti alla conclusione che tante metodiche, in gran parte eponime, spesso divergenti e non di rado contraddittorie, non hanno dimostrato alcuna evidenza scientifica. Dopo aver ampliato la ricerca utilizzando il titolo “ Rehabilitation of low back pain” si è constatato che, in questo modo, era troppo dispendioso e inefficace continuare la revisione internazionale della T.M.: la maggior parte delle revisioni riguarda il mal di schiena non specifico e chiaramente i disturbi vertebrali di origine discale non sono ben rappresentati. Ad esempio nella Cochrane Library , il Back Review Group ha 23 revisioni completate di cui 4 che riguardano in specifico la patologia del disco e la radicolopatia, ma dal punto di vista chirurgico.

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Nonostante questa mancanza di evidenza scientifica, riguardo l’efficacia del trattamento conservativo, a suo favore si hanno: Ricerche recenti che evidenziano una elevata incidenza di remissione spontanea dei sintomi ( Ref. 5 Maigne,1994; Ref.6 Moore, 1996; Ref.7 Saal,1990). Situazioni di falsa positività di RMI in soggetti asintomatici per circa un 30% di casi (Ref.8 Deyo,1996). Discrepanza tra la diagnostica per immagini e i segni e sintomi rilevati durante la valutazione dei pazienti (Ref. 9 Postacchini,1998; Ref. 10 Cervellati,2001). Differenze non significative nei risultati tra la chirurgia e il trattamento conservativo (Ref. 11 Weber,1994). E’ evidente che il risultato della ricerca bibliografica fin qui illustrato è insoddisfacente e di difficile interpretazione: il trattamento conservativo non è mai ben spiegato e soprattutto, non si capisce a quale T.M. si fa riferimento. Discussione A questo punto si è preferito procedere a presentare l’approccio terapeutico in T. M., alla luce della più aggiornata evidenza scientifica, di fronte ad una diagnosi medica di ernia discale. Un’ottima apertura mentale porta a mettere in dubbio l’approccio a un’unica struttura e ad adottare un più valido approccio multifattoriale che prenda in considerazione tutte le strutture e i fattori che contribuiscono ( ad esempio ambiente e cultura). E’ per questo motivo che proponiamo il modello multidimensionale di carico/capacità e di carico/adattabilità e la costruzione di un Profilo Prognostico di Salute ( Ref. 12 Hagenaars LHA, 2002). Il riabilitatore agisce in modo specifico in un contesto biopsicosociale (Ref. 13 Jones M. et al., 2002), non indirizzando il suo intervento alla patologia e ai sintomi da questa derivati con modalità standardizzate, ma ponendo al centro della sua azione valutativa e terapeutica in modo globale il paziente che richiede il suo intervento ( ICF). Valutazione clinico-funzionale Il processo di ragionamento clinico descrive i passi seguiti da un clinico per giungere ad una conclusione diagnostica e terapeutica. Il punto importante è che l’indagine non è semplicemente una serie di domande e test clinici di routine, suggeriti da prescrizioni fisse di trattamento: il ragionamento orientato al problema di un paziente permette di valutare costantemente schemi imparati precedentemente e anche di riconoscere l’esistenza di altri schemi. Per esempio, alcuni clinici sono rapidi nell’etichettare un disturbo come discogenico se il paziente lamenta un dolore lombare centrale e difficoltà nel sedersi. La ricerca medica sugli errori di ragionamento ha dimostrato che dare troppa enfasi alle ipotesi preferite del clinico sono gli errori commessi più comunemente (Elstein et al. 1978; Barrows e Tamblyn 1980). Nell’esempio di prima, il dolore lombare centrale, che si aggrava immediatamente con la posizione seduta, non sarebbe compatibile con l’ipotesi di un semplice coinvolgimento discale se all’esame della flessione lombare il paziente avesse un pieno movimento libero dal dolore. Un modo di pensare chiuso limiterà la nostra efficacia nei quadri più complessi e ostacolerà l’opportunità di allargare il nostro repertorio di schemi clinici conosciuti (Ref. 14 D. Butler,2001). La modalità con cui l’esame ed i risultati del trattamento vengono registrati è molto importante: una scheda scritta è utile. E’ fondamentale rendere evidente, dall’esito del primo colloquio, un sincero desiderio di conoscere ciò che il paziente considera essere il o i problemi di cui vuole essere liberato. Il paziente deve essere ascoltato in modo aperto e non pregiudiziale: sentire è naturale, ascoltare è una disciplina che s’impara ( The Age, 1982). Una valutazione completa, con l’anamnesi e l’esame fisico, è necessaria, ma molti fattori condizionano la scelta delle domande e delle procedure. Il tipo di analisi che viene usato

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nel caso di un quadro clinico che potrebbe far pensare ad una problematica intradiscale serve ad analizzare il grado di gravità e irritabilità dei sintomi e la natura della problematica ( ad es. maggior natura meccanica o infiammatoria, o lo stadio della malattia, cioè acuto o cronico).In questo modo riusciamo a far fronte a tutte le eventuali situazioni di cautela e di contro-indicazione a determinati moduli di trattamento: ad esempio vanno ricercati la miglior posizione del paziente durante la valutazione e poi il trattamento, il dosaggio degli stimoli meccanici applicati, le direzioni di movimento da trattare, ecc. ( Ref. 15 Maitland, 1986). In particolare ci interessa localizzare la possibile fonte (il segmento colpevole) e tutti i fattori contribuenti (biomeccanici, patofisiologici, ergonomici, fisici e psicosociali del paziente). L’esame fisico ha lo scopo di riprodurre i sintomi, produrre segni comparabili, trovare parametri per la valutazione e la rivalutazione dopo ogni trattamento, fare una valutazione funzionale delle strutture coinvolte per individuare quella che dovrebbe essere la maggior responsabile dei disturbi. Al termine dell’esame fisico viene fatta un’analisi per definire se la T.M. potrà influenzare positivamente lo stato di salute del paziente: a tal scopo viene costruito il profilo prognostico di salute, nel quale vengono riassunte le informazioni più significative. Trattamento riabilitativo. Il trattamento si baserà su obiettivi ben precisi finalizzati a risolvere i problemi che ogni singolo paziente avrà dimostrato di percepire: in ordine di gravità sono in genere ridurre l’intensità del dolore, riuscire a dormire la notte, camminare ed essere in grado di lavarsi e vestirsi autonomamente, tornare al più presto alle normali attività quotidiane e al lavoro, ecc. Le strategie di intervento saranno scelte di volta in volta, senza essere legati a nessuna tecnica specifica della T.M. Le strategie sono tantissime e sarebbe inutile tentare di elencarle tutte, ma vale la pena ricordarne alcune tra le più significative: educazione, autotrattamento con l’utilizzo di posture corrette ed esercizi terapeutici basati sui principi comportamentali, tecniche della terapia manuale segmentaria rispettando una progressione delle forze. “La tecnica è frutto dell’ingegnosità” (Maitland 1986): ogni tecnica di T.M. applicata ad un particolare paziente non sarà mai ripetuta per un altro paziente esattamente con la stessa forza, direzione,durata e con la stessa modalità di comunicazione. Una volta diventati esperti nei test di base, i fisioterapisti devono procedere all’esame. Sarebbe raro che un semplice test di base, come SLR (sollevamento dell’arto inferiore esteso), fosse il migliore per riprodurre i sintomi; è più probabile che sia necessaria una combinazione di test come SLR/adduzione dell’anca/flessione laterale del rachide. Outcome. Gli Outcome di maggior interesse sono la condizione funzionale, il dolore, la possibilità di tornare al lavoro e lavorare, il miglioramento globale del paziente, il grado di soddisfazione del paziente, e la qualità di vita (Ref. 16 Staal et al., 2003). Comuni strumenti per la determinazione della qualità della vita legata alla salute (Ref. 17 Resnik L, Dobrzykowski, 2003). Gli strumenti per la determinazione della qualità della vita legata alla salute sono classificati come generici, specifici per una patologia o specifici per un paziente. SF-36. L'SF-36 è fra gli strumenti generici più studiati per la determinazione della qualità di vita legata alla salute. Strumenti specifici per la condizione. Gli strumenti specifici per la condizione o per la patologia sono ideati per misurare la qualità della vita legata alla salute in popolazioni specifiche di persone. Esempi di questi strumenti comprendono il Roland-Morris Questionnaire (RMQ) e l'Oswestry Low Back Pain Disability Questionnaire (questionario Oswestry per il mal di schiena e la disabilità). A questo punto sarebbe troppo dispersivo , anche se interessante, continuare la discussione: la terminiamo, quindi, ricordando alcuni concetti molto attuali della Terapia Manuale Internazionale.

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Il Sistema Nervoso forma una complessa rete attraverso il corpo, per cui un sistema di test di base facilmente ripetibili, con risposte conosciute secondo studi normativi, è necessario sia per un esame di routine, sia per avere un punto di partenza utile per un esame successivo. Nel nostro caso i test più utili sono il sollevamento dell’arto inferiore teso (Straight leg Raise, SLR), il test di flessione forzata ( Slump Test), flessione del ginocchio da proni (Prone Knee Bend, PKB). Le informazioni che si devono ricercare sono le seguenti: la risposta sintomatica e la resistenza al movimento (Butler, 2001). Il fenomeno della centralizzazione del dolore ha un’evidenza scientifica molto forte e viene descritto nel seguente modo: ripetendo alcuni movimenti e/o mantenendo certe posizioni si ha come effetto uno spostamento del dolore dalla colonna vertebrale alla periferia, o dalla periferia al centro della colonna. Una volta identificati i movimenti che riportano i sintomi dalla periferia al centro, sono da utilizzare per eliminare i sintomi irradiati. Nei pazienti con un dolore di origine recente questo progresso può essere molto rapido, e a volte si verifica in pochi minuti. I pazienti spesso riferiscono che nel giro di pochi secondi, eseguendo movimenti specifici ed individuali determinati durante la valutazione, il dolore avvertito sull’intera lunghezza della gamba lascia l’arto con direzione distale-prossimale ( Ref. 18 McKenzie R., 1998). Esistono in letteratura molti metodi di classificazione dei pazienti in base ad una diagnosi meccanica raggiunta con una dettagliata valutazione clinico funzionale. Numerosi ricercatori hanno suggerito che sia necessario un sistema per la classificazione dei sottotipi omogenei del mal di schiena meccanico( Ref. 19 Van Dillen LR, Sahrmann SA et al, 2003). Anche se sono stati descritti molti sistemi di classificazione volti alla guida della fisioterapia, pochi sono stati scientificamente provati e al momento non esiste alcun consenso inerente lo schema di classificazione più appropriato per il mal di schiena meccanico. Il sistema di classificazione è utilizzato con i pazienti affetti da un mal di schiena meccanico a qualsiasi stadio della cronicità. Le informazioni provenienti dall'esame vengono usate per categorizzare il mal di schiena meccanico del paziente da 1 a 5 categorie. Alle categorie viene dato un nome basandosi sui tipi di fattori meccanici che si ipotizza contribuiscano al mal di schiena meccanico e verso cui dovrebbe essere diretto l'intervento fisioterapico. Le categorie di cui si ipotizza l'esistenza sono: (1) flessione lombare, (2) estensione lombare, (3) rotazione lombare, (4) rotazione lombare con estensione, (5) rotazione lombare con flessione. Esercizi di stabilizzazione nella lombalgia cronica ( Ref. 20 Hodges PW., 2003).“L’esercizio è comunemente utilizzato nella gestione delle problematiche muscolo scheletriche, inclusa la lombalgia cronica (Chronic Low Back Pain CLBP). Gli esercizi possono essere focalizzati diversamente e possono includere parametri vari, dalla forza all’allenamento alla resistenza, fino ad un allenamento specifico di coordinazione e controllo muscolare. L’assunto soggiacente questi approcci è che una funzione neuromuscolare migliorata è in grado di ristabilire o aumentare il controllo, ed il supporto della colonna, e del bacino. In un modello biomeccanico di CLBP, che ritiene che il dolore recidivante sia causato da irritazioni meccaniche ripetute, su strutture dotate di nocicettori (Panjabi 1992), si sostiene che questo miglioramento nel controllo e nella stabilità possano ridurre l’irritazione, riducendo la sintomatologia dolorosa. Anche se questo modello ci può fornire una spiegazione riguardo la cronicità della lombalgia, la perpetuazione del dolore è più complessa, e le neuroscienze contemporanee sostengono che il dolore cronico sia mediato da una gamma di modificazioni periferiche, (es. sensibilizzazione periferica) e cambiamenti neuroplastici centrali (Butler 2001). Anche se questi dati non escludono il ruolo di un miglioramento nel controllo della colonna lombare e

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del bacino per la gestione del CLBP, in realtà evidenziano il bisogno di guardare oltre ai vecchi e semplicistici modelli. “Gli esercizi per la stabilizzazione rappresentano un processo in evoluzione, e l’affinamento delle strategie riabilitative è in corso. I due maggiori filoni di sviluppo sono: controllo motorio e capacità muscolare. Entrambe questi fattori sono fondati in modo considerevole nella letteratura e possono essere visti come una progressione nell’esercizio piuttosto che approcci in conflitto. Cosa molto importante è che la efficacia clinica di questi approcci è stata analizzata per mezzo di trials clinici. Ulteriori lavori saranno, comunque, necessari per raffinare e validare l’approccio, in particolare in riferimento alla comprensione della neurologia del dolore cronico.” La nocicezione è l’insieme di tutti gli eventi neuronali che avvengono allorché uno stimolo dannoso o potenzialmente tale, viene a contatto con recettori. Il dolore è, invece, la presa di coscienza dell’informazione nocicettiva, o meglio, ne è l’integrazione corticale e limbica. Per rappresentare come fattori mentali possano influenzare questo passaggio è stata proposta la metafora dello specchio in cui l’oggetto reale è la nocicezione e la sua immagine che si riflette nello specchio è il dolore. Capire quale siano i processi in grado di scatenare il dolore è fondamentale e così si è evoluta la comprensione delle componenti psicologiche dal modello rigorosamente cartesiano di dolore organico distinto da quello psicogeno ai più recenti modelli sofisticati ed integrati del dolore quali il Gate Control Model ed il Biopsychosocial Model. Il modello del cancello rispecchia la concezione che le componenti psicologiche del dolore si fondano su un substrato neuroanatomico e propone un concetto del dolore basato sulla sua rappresentazione nel sistema nervoso centrale : sensoriale-discriminativa (tratto spinotalamico), affettiva-reattiva (sistema reticolare attivante) e cognitiva-valutativa (corteccia cerebrale). Gli effetti di ansia, depressione e altri fattori psichici, che aumentano la sensibilità al dolore, possono essere compresi in questo modello. Inoltre il modello si focalizza sui comportamenti appresi del dolore, che sono generati e mantenuti da effetti pavloviani e di condizionamento. Il modello contribuisce anche a spiegare l’efficacia delle strategie di trattamento psicologico, come il bio-feedback, l’ipnosi, per pazienti con dolore cronico. Il modello biopsicosociale del dolore,derivato da G. Engel (1977) fornisce l’integrazione tra fisiologia, emozioni ed ambiente sociale nello sviluppo e nel mantenimento del dolore. In particolare, questo modello contribuisce a spiegare come il persistere del dolore nel tempo possa trasformare un processo sensoriale-nocicettivo in una sindrome da dolore cronico, in cui fattori sociali e psicologici vi esercitano effetti estremamente rilevanti sulla percezione del dolore. Il dolore come mezzo di comunicazione non verbale è una possibilità da prendere sempre in considerazione. Il “dolorante cronico” e di conseguenza il dolore cronico può avere fini più o meno espliciti, come già detto in precedenza, (maggiore attenzione, evitamento di responsabilità o mezzo per esercitare influenze di vario genere); per questo è estremamente importante non attribuire l’etichetta di “malato immaginario” anche perché, abbiamo già visto che, uno stimolo doloroso persistente innesca risposte neuronali e perciò è difficile stabilire se le alterazioni caratteriali sono una causa oppure una conseguenza. In più, il dolore fisico può, a volte, essere anche ricercato, ad esempio, in specifici movens religiosi, morali, culturali, per espiazione mistica, eroismo, martirio, dimostrazione (ad es. di virilità).In questi casi il dolore è privato delle proprie risonanze spiacevoli e viene finalizzato a “valori superiori” (Ref.21 Garrone A., 2003). Secondo la Guida alla misurazione dei risultati nei pazienti con mal di schiena (Ref. 17 Resnik L, Dobrzykowski E., 2003) "Il fisioterapista integra i 5 elementi che compongono il trattamento del paziente/cliente (visita, valutazione, diagnosi, prognosi e intervento) in un

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modo studiato per ottimizzare i risultati". Inoltre, il rieducatore è responsabile della misurazione dei risultati del trattamento. La Guida afferma che "Un fisioterapista determina i risultati attesi per ogni intervento e si impegna nella raccolta e nell'analisi dei dati inerenti i risultati". Una diffusa percezione errata fra i rieducatori è che le risposte dei pazienti ai questionari inerenti la qualità della vita legata alla salute siano soggettive e poco affidabili perché i pazienti stanno riferendo esperienze soggettive. I rieducatori tendono a considerare più affidabili le misurazioni cliniche oggettive della misurazione. In realtà può essere vero esattamente l'opposto. Gli strumenti per misurare la qualità della vita legata alla salute sono stati ampiamente studiati e la loro affidabilità e validità sono state ben stabilite, mentre molte misurazioni dei danni fisici mancano di affidabilità e di validità. Conclusioni A livello internazionale l’IFOMT rappresenta l’Associazione Sopranazionale fondata nel 1973, la quale raggruppa le Associazioni di T. M. delle nazioni che hanno attivato un percorso formativo di alto livello. Si raccomanda che tutti i fisioterapisti che si occupano di Terapia Manuale facciano riferimento all’IFOMT per un percorso formativo e di aggiornamento. Nell’ambito della T. M. della patologia discale lombare, la EBP costituisce per il fisioterapista un modello strutturato di apprendimento che pone al centro dell’interesse il bene del paziente e fornisce ad esso il più appropriato trattamento disponibile in quel momento (Ref. 1, Alassio 2004). In conclusione sembra esserci evidenza insufficiente a supportare l’efficacia della maggior parte dei trattamenti conservativi per la sciatica con una sottostante ernia del disco. Sono necessari studi nuovi e migliori (Ref. 4 Vroomen 2000). Un’ottima apertura mentale porta a mettere in dubbio l’approccio a un’unica struttura e ad adottare un più valido approccio multifattoriale che prenda in considerazione tutte le strutture e i fattori che contribuiscono ( ad esempio ambiente e cultura). E’ per questo motivo che proponiamo il modello multidimensionale di carico/capacità e di carico/adattabilità e la costruzione di un Profilo Prognostico di Salute ( Ref. 12 Hagenaars LHA, 2002). Questo studio ha messo in evidenza la necessità di utilizzare, in T. M., un approccio comune basato sulle migliori ed attuali evidenze scientifiche: a tal proposito si propone la formazione di un Gruppo di Studio che si attivi in questa direzione. Tutti i riabilitatori dovrebbero, a tal proposito, tralasciare un utilizzo esclusivo della metodica a cui sono più “affezionati”ed elevarsi al di sopra delle metodiche per agire non condizionati da preconcetti restrittivi. Ringraziamenti Si ringraziano i seguenti fisioterapisti, che hanno contribuito alla stesura di questo lavoro rispondendo alla richiesta dell’autore di un loro parere autorevole riguardo all’argomento in questione: Aina S., Ferrari S., Frosi G., Luetchford S., Rolf W., Strobbe R., Testa M. Si ringraziano anche i molti fisioterapisti e medici di tutto il mondo, con i quali l’autore ha avuto la fortuna di confrontarsi personalmente e che hanno fornito importanti informazioni con i loro lavori scientifici. Tra questi si ricordano: Monticone M., Negrini S., Hodges P., Pillastrini P., Vanti C., Butler D., McKenzie R, Maitland G., Waddell, Twomey, Taylor, Bogduk, Nachemson, Sahrmann S., Laslett M, Clare H., Lentini A. Negrini Antonio, Negrini Alessandra, De Capitani A., Romano M., Barindelli G., Burgi T., Robinson M., Donelson R., Wijmen P.

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Bibliografia Alassio, 2004 III Congresso Internazionale “Advances in manual Therapy and sport Rehabilitation, towards the evidence based practice”. Muir Gray JA. 1997. Evidence-based medicine health care: how to make health policy and management decisions. London. Churchill Livingstone. Zeitschrift fur Orthopadie under ihre grenzgebiete, 2004; 142 (2): 139-45). Vroomen PCAJ e al.. Conservative treatment of sciatica: a systematic review. Journal of spinal disorders 2000 13(6); 463-469. Maigne J.Y., Deligne L. Computed Tomographic follow-up study of 21 cases of nonoperativelytreated cervical intervertebral soft disc herniation, Spine 19 (2): 189-191, 1994. Moore R.J.et al. The origine and fate of herniated lumbar intervertebral disc tissue. Spine 21 (18): 2149-2155, 1996. Saal J.A. et al. The natural history of lumbar intervertebraldisc extrutiontreated nonoperatively. Spine 15(7): 683-686, 1990. Deyo R.A. Low back pain. A primary care challenge. Spine 21(24) : 2826-2832, 1996. Postacchini F. Le ernie discali lombari. Antonio Delfino, Roma 1998. Cervellati S. Evoluzione dell’ernia del disco lombare: operare o non operare? Convegno Multidisciplinare sulla patologia degenerativa del rachide lombare. Rimini, 2001. Weber H. Lumbar disc herniation. A controlled prospective study whit ten years of observation. Spine 8: 131-140, 1983. Hagenaars LHA, Bernards ATM, Ostendorp RAB. The multidimensional load/carriability model. Nederlands Paramedisch Institut. June 2002. jones M, Edwards I., Gifford l. Conceptual models for implementing biopsycosocial theory in clinical practice. Man. Ther. (2002) 7(1), 2-9. Butler D.S. Mobilizzazione del sistema nervosa. Masson 2001 Milano. Maitland G.D. Manipolazione periferica. Piccin Editore, Padova, 1998. Staal JB, Hlobil H, van Tulder MW, Waddell G, Burton AK, Koes BW, van Mechelen W. Department of Social Medicine, VU University Medical Centre, 1081 BT Amsterdam, Netherlands. Occup Environ Med. 2003 Sep;60(9):618-26. Estratto da: Guida alla misurazione dei risultati nei pazienti con mal di schiena Resnik L, Dobrzykowski E. Guide to Outcomes Measurement for Patients With Low Back Pain Syndromes. Journal of Orthopaedic & Sports Physical Therapy 2003:33(6);307-316 (Referenze Bibliografiche n. 92). Mckenzie R.A. La colonna lombare Spinal Pubblications Italia1998. Estratto da: Van Dillen LR, Sahrmann SA, Norton BJ, Caldwell CA, McDonnell MK, Bloom NJ. Movement System Impairment-Based Categories for Low Back Pain: Stage 1 Validation. Journal of Orthopaedic & Sports Physical Therapy 2003:33(3);126-142. Hodges PW. Core stability exercise in chronic low back pain.Orthop Clin North Am. 2003 Apr;34(2):245-54. Review. Garrone A., Scuola Post Universitaria di Ipnosi clinica e sperimentale “Ipnosi e dolore: un caso di dolore neuropatico”, Torino 2003. Letture consigliate Twomey L.T., Taylor J. Physical therapy of the Low Back. Churchill Livingstone, 2000. Maitland G.D. Manipolazione Periferica. By Piccin Nuova Libraria, Padova. 1998 Waddell G. The back pain revolution.by Momento Medico. 2000 Ferrari S. et al. Riabilitazione integrate delle lombalgie. Masson, Milano. 2002. Mckenzie R.A. La colonna lombare Spinal Pubblications Italia1998. Sahrmann S.Diagnosis and treatment of Movement Impairment Syndromes. By Mosby, Inc. 2002

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Ergonomia in ambito lavorativo e sportivo: limiti e potenzialità per il recupero Paolo Capodaglio UO Neuroriabilitazione, Fondazione S Maugeri IRCCS, Pavia - [email protected] Ergonomia = ergon - nomos “..scientific discipline concerned with the understanding of interactions among humans and other elements of a system ….. contributes to the design and evaluation of … jobs…in order to make them compatible with the needs, abilities and limitations of people."( The International Ergonomics Association, IEA) L’ergonomia integra il bagaglio culturale del riabilitatore con un interesse al luogo ed al tipo di lavoro/attività ed agli attrezzi utilizzati nell’attività specifica. Questo interesse per l’attività è in linea con i modelli ICIDH-2 e ICF dell’OMS (Fig 1) e fa parte del “mandato” del riabilitatore di presa in carico globale della persona per il suo ritorno alle attività produttive. “occupazione” = attività abituale (autosufficienza, vita sociale, lavoro, sport) riabilitazione funzionale = riattivare una funzione lesa strumenti: trattamento che utilizza la funzione (movimento, parola). Indicatori : funzione (misure cliniche), autosufficienza (es. FIM) riabilitazione occupazionale = riattivare un’attività Strumento è l’attività, misurabile nei suoi parametri oggettivi (richieste di impegno, prodotto) e nelle risposte evocate (potenze, forze, impegno funzionale), e mantenuta entro i limiti critici di sicurezza stabiliti dalla riabilitazione funzionale. Il paziente con patologia discale lombare segue un percorso di riabilitazione occupazionale che prevede: valutazione iniziale (anamnesi lavorativa, valutazione strumentale quantitativa di attività deficitarie) indagini funzionalità (mano, tests di riproduzione lavorativa arti superiori e tronco, test cammino, equilibrio e postura, tests di tolleranza allo sforzo) trattamento (allenamento forza/resistenza/aerobico, TO, destrezza, rieducazione al gesto, indicazioni di ergonomia -prevenzione, ausili) valutazione finale strumentale, misure di outcome, parere di compatibilità, norme preventive, sopralluogo, analisi mansione, verifica interventi ergonomici con una durata media del programma di circa 50 ore. La conoscenza dei fattori di rischio legati al lavoro è la base della prevenzione/riabilitazione: Lavoro pesante sollevamenti e movimenti di forza flessioni, torsioni e posture incongrue WBV Posture statiche Traumi Fattori rischio individuali: peso, altezza fitness fumo

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caratteristiche psicologiche Nello sport esistono dei fattori di rischio legati al potenziale rischio traumatico diretto (sollevamento pesi, body building, football/rugby) o a meccanismi di compressione del rachide secondaria ad intensa stabilizzazione muscolare del tronco (sci fondo, canottaggio, corsa), o ancora di flessione rachide con compressione-vibrazione (ciclismo), o di iperestensione del rachide (nuoto, tennis), o ancora di rotazione di forza con sovraccarico di dischi e faccette (golf). La normativa - Titolo V del D.L. 626/94 Art 47 definisce le azioni movimentazione manuale (sollevamento, spinta, traino, trasporto) Art 48 identifica gli obblighi del datore di lavoro (individuazione rischi, meccanizzazione, ausiliazione, uso condizionato della forza manuale, sorveglianza sanitaria, informazione & formazione) Gli strumenti per l’individuazione dei rischi ANAMNESI OCCUPAZIONALE - attività abituali (per durata e difficoltà), attività disaggregate in items ed attribuzione di un valore energetico stimato ad ogni item (in MET) L’ANALISI DEL COMPITO - COSTO ENERGETICO DI ATTIVITÀ LAVORATIVE - con misura diretta del VO2, tabelle di riferimento, stima ricavata dalla relazione lineare tra Fc e VO2, formule di predizione DE di componenti elementari di un compito L’ANALISI DEL COMPITO - VALUTAZIONE BIOMECCANICA - con sofwares dedicati che stimano i Carichi acuti (rischio di danno sulla base dei valori di compressione e taglio a livello L4-L5, confrontati con i valori-limite riportati dalla letteratura) e Indice LBP associato al turno lavorativo (stimato in base allo studio epidemiologico di Norman et al., OUBPS Group, 1998) La valutazione per il ritorno al lavoro Il giudizio di idoneità lavorativa è a carico del medico competente (medico del lavoro). Il concetto è di ridurre, molto raramente di evitare del tutto, l’esposizione a lavoro rischioso di movimentazione per soggetti con patologia discale lombare che hanno una condizione di ipersuscettibilità al carico biomeccanico (Fig 2). Il Manuale operativo per l’applicazione del Titolo V del DL 626/94 a cura di UOOML – Azienda USSL 41 - Milano cita per la Patologia discale lombare: “da escludere lavori che comportano sollevamenti/spostamenti di carichi superiori a quelli indicati in figura. I sollevamenti consentiti devono essere occasionali con frequenze di sollevamento max di 1 ogni 5 minuti per non più di 2 ore nel turno lavorativo” Esiste un razionale per restrizioni nel sollevamento dopo chirurgia spinale? L’ipotesi è che discectomia, laminectomia producono (con un aumento dell’escursione in flessione, estensione, latero-flessione, e rotazione assiale) una riduzione di stiffness ed una conseguente riduzione proporzionale della capacità di sollevamento. Non esiste tuttavia un consenso sul deficit meccanico secondario a determinati interventi chirurgici e dunque non esiste razionale scientifico per la restrizione del peso. E’ stata proposta una equazione NIOSH modificata (Pope et al Eur Spine J 1999; 8:179-186)

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“aggiustata” per una ridotta stiffness, ma l’atteggiamento in generale è quello di cautela nelle raccomandazioni troppo restrittive. Valutazioni strumentali/quantitative Test di forza di sollevamento (test massimale, considera solo alcuni aspetti della capacità lavorativa specifica, considerazioni etiche, poco aderente alla realtà lavorativa) Sistemi per la simulazione di specifiche mansioni lavorative (molto specifici ed aderenti alla realtà lavorativa ma costosi, dati riferimento scarsi/assenti) Test di sollevamento progressivo isoinerziale (submassimale, integrato con i dati clinici ed occupazionali, aderente alla realtà lavorativa) Fig 1

Health Condition (disorder/disease)

Impairment Activity Participation

Contextual Factors 1. Environmental 2. Personal

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Fig 2

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Approccio Cognitivo Comportamentale Michele Romano ISICO – Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale, Milano - [email protected] Il dolore è un sintomo che investe molteplici sfere della natura umana. L’impatto sulla qualità di vita è conseguenza della soglia del paziente, della sua percezione e della modalità con cui affronta il problema. Quando questo sintomo si protrae nel tempo, in assenza di un buon equilibrio emotivo o di un positivo approccio, il paziente sviluppa un’alterazione del comportamento e delle relazioni con il mondo esterno. Per tale motivo il mal di schiena viene sempre più descritto come un problema bio-psico-sociale, cioè di un disturbo che nasce da una base biologica, genera delle implicazioni psicologiche di non accettazione, di paura crescente, di sfiducia rispetto alla risoluzione del problema, fino a sfociare in atteggiamenti depressivi che con il tempo si riflettono anche sulle dinamiche di relazione con il mondo esterno. Grazie a questa nuova consapevolezza si è arrivati a valutare i casi di lombalgia cronica in un’ottica meno meccanicistica e a cercare di considerare tutte le sfaccettature di una condizione più complessa di quanto fino ad ora eravamo abituati a fronteggiare e questo ha indotto ad utilizzare tecniche integrate di trattamento che attingono anche all’esperienza di altre discipline mediche. E’ il caso dell’approccio cognitivo comportamentale che deriva dalle esperienze fatte nel campo della psicologia. La terapia cognitivo comportamentale nasce verso la metà del secolo scorso. Questa tecnica analizza gli schemi comportamentali e cognitivi del paziente cercando di identificare e modificare quelli che creano disagio al paziente stesso. Secondo questa visione l'essere umano è un tutt’uno di pensiero, emozione e comportamento. Questi tre elementi interagiscono tra di loro influenzandosi reciprocamente. Dolore Emozioni negative Modifica del comportamento Infatti, il dolore cronico induce sentimenti di rabbia, di frustrazione, di pessimismo che a loro volta influenzano il comportamento. Modificando il comportamento, ci si accorge che è possibile ottenere miglioramenti apprezzabili delle emozioni e questo determinerà una differente percezione del dolore. Uno dei cardini dell'approccio cognitivo-comportamentale è il concetto di apprendimento: gli schemi cognitivi, le reazioni emotive ed i comportamenti che mettiamo in atto sono frutto di apprendimento, sia quelli che risultano adattativi e funzionali al benessere della persona che, viceversa, quelli che sono definiti disfunzionali e creano disagio. E’ da questa base che si sviluppa il percorso terapeutico del paziente lombalgico cronico. La condizione essenziale per lo sviluppo del trattamento è l’impostazione di una comunicazione chiara e efficace, indispensabile per guadagnare la fiducia del paziente. - Ascoltare attentamente quello che dice. - Osservare il suo comportamento - Far percepire chiaramente al paziente che si crede al suo dolore - Rassicurare rispetto a pensieri catastrofici Se non si riesce a mettere a proprio agio il paziente e a guadagnarsi la sua fiducia

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- Il paziente avrà un atteggiamento sospettoso. - Penserà di aver fatto un altro buco nell’acqua. - Non rivelerà tutte le informazioni utili. - Rischiamo di aver fatto la prima e ultima seduta. Apprendere per cambiare può essere considerato lo slogan del trattamento, che si porrà come obbiettivi principali: 1- Liberare il paziente da convinzioni errate 2- Fargli abbandonare comportamenti da evitamento 3- Eliminare i comportamenti che aumentano i rischi. 4- Ricercare una buona forma fisica. Una delle armi principali è costituita da un programma educativo efficace disegnato per offrire al paziente tutti i chiarimenti utili alla comprensione del suo problema. Questo perché sia consapevole dell’effettiva entità e non lo sovrastimi, spesso sull’onda di informazioni mal interpretate. Verranno insegnate nozioni di base sull’anatomia e sulla fisiologia della colonna, così come prevede anche il più semplice programma di back school, per poi passare a informazioni più specifiche come la corretta comprensione del concetto di dolore cronico e della sua differenza con il dolore acuto, l’importanza di un uso corretto degli esami diagnostici e l’interpretazione della terminologia specialistica, spesso usata in maniera ridondante dagli operatori sanitari. Sarà stimolata la riflessione rispetto alla maniera di subire o gestire il dolore, sottolineando come il differente approccio influenza in maniera decisiva la percezione del dolore e lo stato di disabilità che può indurre. L’approccio cognitivo comportamentale sarà particolarmente efficace se verranno stabilite prima del trattamento delle mete realistiche e se si avvarrà di tecniche di automonitoraggio per liberare il paziente da preconcetti, fargli raggiungere la consapevolezza dei suoi comportamenti inadeguati e documentare i progressi. Verrà posta l’enfasi sull’autotrattamento e sulla presa in carico personale allo scopo di ottenere un coinvolgimento responsabile del paziente che deve divenire l’attore principale del processo di recupero. Bibliografia Moseley GL. Evidence for a direct relationship between cognitive and physical change during an education intervention in people with chronic low back pain. Eur J Pain. 2004 Feb;8(1):39-45. Reid MC, Otis J, Barry LC, Kerns RD. Cognitive-behavioral therapy for chronic low back pain in older persons: a preliminary study. Pain Med. 2003 Sep;4(3):223-30. Storheim K, Brox JI, Holm I, Koller AK, Bo K. Intensive group training versus cognitive intervention in sub-acute low back pain: short-term results of a single-blind randomized controlled trial. J Rehabil Med. 2003 May;35(3):132-40. Schultz IZ, Crook JM, Berkowitz J, Meloche GR, Milner R, Zuberbier OA, Meloche W. - Biopsychosocial multivariate predictive model of occupational low back disability. Spine. 2002 Dec 1;27(23):2720-5. Nielson WR, Weir R - Biopsychosocial approaches to the treatment of chronic pain. Clin J Pain. 2001 Dec;17(4 Suppl):S114-27. Linton SJ, Andersson T. - Can chronic disability be prevented? A randomized trial of a cognitive-behavior

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intervention and two forms of information for patients with spinal pain. Spine. 2000 Nov 1;25(21):2825-31 Van Tulder MW, Ostelo R, Vlaeyen JW, Linton SJ, Morley SJ, Assendelft WJ.- Behavioral treatment for chronic low back pain: a systematic review within the framework of the Cochrane Back Review Group. Spine. 2000 Oct 15;25(20):2688-99 Al-Obaidi SM, Nelson RM, Al-Awadhi S, Al-Shuwaie N. - The role of anticipation and fear of pain in the persistence of avoidance behavior in patients with chronic low back pain. - Spine. 2000 May 1;25(9):1126-31 Pfingsten M, Hildebrandt J, Leibing E, Franz C, Saur P. - Effectiveness of a multimodal treatment program for chronic low-back pain. - Pain. 1997 Oct;73(1):77-85. Nicholas MK, Wilson PH, Goyen J. - Comparison of cognitive-behavioral group treatment and an alternative non-psychological treatment for chronic low back pain. - Pain. 1992 Mar;48(3):339-47.

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Medicina Manuale: indicazioni, limiti, prospettive terapeutiche. Corrado Leuci, Massimiliano Cossu U.O.C. di Medicina Fisica e Riabilitazione Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda, Milano La Medicina Manuale è una disciplina medica, dedicata alla diagnosi ed alla terapia della cosiddetta patologia vertebrale minore. L’atto medico, grazie al quale essa è conosciuta e col quale e nel quale è troppo spesso erroneamente identificata e limitata, consiste nella manipolazione vertebrale: gesto terapeutico a volte estremamente efficace dal punto di vista clinico, certamente abusato e spesso somministrato al paziente in dosi eccessive e talvolta con scarse competenze. Occorre anzitutto chiarire che la Medicina Manuale non deve essere confusa con la chiropratica e l'osteopatia, due discipline delle quali sempre più si sente parlare in tema di medicine non convenzionali: la Medicina Manuale da noi proposta si distingue da esse per la validità delle basi scientifiche e per le procedure diagnostiche e terapeutiche. Non è, infatti, solamente una terapia eseguita con l'aiuto delle mani ma la logica conseguenza di un processo che inizia con un'accurata anamnesi e prosegue con un esauriente esame clinico e strumentale, la formulazione di un'ipotesi diagnostica, l'accertamento dell'indicazione per tale terapia e soprattutto dell'assenza di controindicazioni. Per questo motivo non può essere che un atto medico, preceduto e dettato da un esame preliminare ed eseguito da un operatore esperto che non solo sappia eseguirlo correttamente ma che anche conosca e sappia correttamente interpretare i possibili effetti secondari; inoltre come per ogni terapia deve prevedere una posologia (numero di .prestazioni) ed una temporalità (frequenza delle prestazioni) , specifiche per il singolo paziente e dettate dall’evoluzione del quadro clinico Che cos’è una manipolazione vertebrale? Secondo la Scuola di Robert Maigne, alla quale noi ci riferiamo, si definisce manipolazione vertebrale la mobilizzazione passiva forzata, che tende a portare gli elementi di un’articolazione o di più articolazioni, al di là del loro gioco abituale, sino al limite del loro movimento anatomico possibile. E’ quindi un atto terapeutico diverso dalla mobilizzazione che è invece una manovra solitamente di natura ritmica, d’ampiezza variabile che ha come fine l'escursione articolare compresa tra la posizione di riposo iniziale e gli estremi fisiologici del movimento Quando si pratica? L’unità funzionale del rachide è costituita dall’insieme di due vertebre contigue e di tutti gli elementi anatomici (disco, articolazioni intervertebrali, legamenti, muscoli, nervi e vasi artero-venosi) compresi fra di esse. La sofferenza, isolata o associata, di uno o più di tali elementi, per varie cause, meccaniche e/o chimiche, che si ripetono nel tempo, dà origine ad una serie di eventi successivi (dolore articolare, contrattura muscolare riflessa, limitazione articolare, ischemia- compressione/irritazione nervosa, neuropatia funzionale), che si traducono clinicamente nella disfunzione di uno o più segmenti. Indicazione fondamentale all’esecuzione di una manipolazione vertebrale. è la presenza di un D.I.M. o disturbo intervertebrale minore, così indicato per rilevarne la benignità e la reversibilità; tale disfunzione segmentaria, clinicamente silente o evidente, è una disfunzione di tutta l'unità funzionale vertebrale, ed ha conseguenze su tutte le strutture innervate dal ramo posteriore del nervo spinale, per cui può essere accompagnata o no da una S.V.S. (sindrome vertebrale segmentaria) o S.C.T.P.M. (sindrome cellulo-teno-periostio-mialgica). La diagnosi di un D.I.M. si basa sul riscontro di un segmento vertebrale doloroso ad una serie di manovre semeiologiche volte ad accentuarne la mobilità , e sul contesto clinico e

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radiologico, che permettono di affermare che si tratta di una sofferenza segmentaria benigna. Dove, come e quante volte si pratica? Essenziale è l’individuazione del segmento o dei segmenti, a livello del/dei quali eseguire l’atto manipolativo: una semeiotica classica ed una propria del medico esperto in medicina manuale sono un tempo fondamentale della diagnosi di livello e della ricerca della S.C.T.P.M. (pressione sul punto articolare posteriore, pressione assiale sulla spinosa, pressione laterale semplice e contrastata, pressione sul legamento interspinoso, pincé-roulé, pli-cassé, ricerca dei cordoni mialgici…). Parimenti essenziale è l’osservazione scrupolosa della c.d. “regola del non dolore e del movimento contrario”, che discende direttamente dall’esecuzione dello “schema a stella”, di facile applicabilità e riproducibilità, come è peraltro (e proprio per tale motivo ne rappresenta un punto di forza) tutta la semeiotica specifica della Medicina Manuale! Individuato il segmento, essa guida, al pari di un sistema di navigazione sofisticato, il medico nell’esecuzione di un gesto terapeutico efficace e privo di errori iatrogeni. Il numero abituale di sedute varia da una-due a quattro-cinque, con frequenza media di una-due la settimana, avendo cura di non aumentare questo numero di trattamenti qualora non si ottengano benefici: in tal caso infatti, fatta salva la correttezza della diagnosi, altri dovrebbero essere i percorsi terapeutici. Obbligatoria è inoltre la ripetizione dell’iter semeiologico descritto, sia subito dopo aver effettuato la manipolazione vertebrale. sia prima di eseguire la successiva, poiché il quadro clinico può essere variato dopo l’esecuzione del precedente trattamento. Nel 20% dei pazienti dopo la manipolazione vertebrale. possono insorgere effetti collaterali (reazioni post-manipolative, diverse dalle complicanze post-manipolative), quali la diminuzione del tono muscolare e posturale con sensazione di affaticamento, che si risolve in due-tre ore e l’accentuazione della sintomatologia clinica, che si riduce nei due-tre giorni successivi. Quali sono le indicazioni delle manipolazioni vertebrali a livello della patologia lombare (anche discale) minore? Esse trovano indicazione nella lombalgia bassa di origine di origine dorso-lombare (D11-D12-L1), nelle lombalgie di origine lombosacrale, nelle sciatalgie non iperalgiche, nelle pseudoperiartriti dell’anca di origine vertebrale. E comunque, secondo le recenti linee guida, esse sarebbero più efficaci nelle forme acute che in quelle croniche. Da un lavoro apparso su “Spine news” dal titolo “Il trattamento della lombalgia acuta: linee guida internazionali e internazionali a confronto” (2002; 2:322-327) , citiamo le conclusioni alla domanda se le manipolazioni vertebrali siano efficaci, secondo quattro linee guida (in ordine successivo statunitense, inglese, italiana, australiana): le manipolazioni vertebrali. sono utili in pazienti con lombalgia acuta senza radicolopatia (forza dell’evidenza B), le manipolazioni vertebrali nelle fasi acute e subacute riducono il dolore con bassi rischi (forza dell’evidenza ***), le manipolazioni vertebrali dovrebbe essere una scelta terapeutica nel singolo episodio doloroso acuto (raccomandazione A). Si raccomanda l’esecuzione da parte di medici qualificati e dovrebbero essere sospese dopo quattro trattamenti inefficaci (raccomandazione A), Il trattamento vertebrale mediante manipolazioni è consigliato dalla sesta settimana dall’evento acuto in poi. Alla nostra Scuola preme sottolineare che in ogni modo la manipolazione resta solamente un tempo di un programma riabilitativo ampio e completo, nel quale trovano indicazione la terapia fisica, la chinesiterapia e la massoterapia: in particolare l’igiene vertebrale e

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posturale diventa un punto cardinale, per evitare recidive via via più significative dal punto di vista clinico! L’atto manipolativo rimuove infatti il disturbo, se eseguito correttamente, ma non può eliminare la causa del disturbo stesso Quali sono le controindicazioni ed i rischi delle manipolazioni vertebrali? Esistono due tipi di controindicazioni: tecniche e cliniche. Fra le prime ricordiamo la mancata applicabilità della regola aurea “del non dolore e del movimento contrario”, il timore che il paziente mostra verso quest’atto terapeutico (i medici legali suggeriscono al proposito un consenso informato scritto … e potrebbe non essere considerato sufficiente), la deficitaria preparazione del medico, l’inadeguatezza delle condizioni d’operatività. Fra le seconde ricordiamo la mancata esecuzione d’indagini radiografiche (sempre indispensabili prima di ogni decisione in merito), sierologiche e comunque una diagnostica incompleta, le malattie neoplastiche primitive e secondarie, le malattie reumatiche quali gravi osteoporosi, l’artrite reumatoide, la spondiloartrite anchilopoietica, malattie infettive acute e croniche come la spondilodiscite, traumatismi recenti, malformazioni ossee che sovente si associano a malformazioni vascolari e nervose, aneurismi dell’aorta addominale, patologie viscerali, l’ernia discale espulsa o l’ernia discale con segni neurologici. Infine i rischi, che sono eccezionali quando il medico rispetta le regole dell’arte: essi consistono in aggravamento dei sintomi clinici, fratture costali e vertebrali, sciatica iperalgica o paralizzante, paraplegia (un caso su un milione di manipolazioni), sindrome della cauda equina (un caso su cento milioni di manipolazioni.). Ma come comportarsi di fronte ad una patologia discale lombare? Occorre procedere con un’attenta e comparativa valutazione dei dati clinici e strumentali. Sicuramente non vi è spazio alcuno per un atto manipolativo per un paziente con chiari segni di interessamento radicolare, o con ernia espulsa, ma nei casi, più frequenti e comuni, nei quali si ha l’immagine strumentale di una protrusione ed assenza di segni radicolari? In tali casi riteniamo che un atto manipolativo mirato e corretto possa essere effettuato ma come già detto deve essere sempre seguito da altri provvedimenti inseriti in un progetto riabilitativo.

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Terapia farmacologica: revisione sistematica Plinio Richelmi e Francantonio Bertè Sezione di Farmacologia e Tossicologia Cellulare e Molecolare Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica - Università di Pavia Piazza Botta, 10 – 27100 Pavia - e-mail: [email protected] Le terapie farmacologiche nel trattamento della patologia discale lombare sono molteplici: dai cortisonici, agli anti-ciclo-ossigenasici, dai miorilassanti a nuove categorie di farmaci quali gli inibitori del TNF- alfa . Una revisione sistematica è ardua poiché gli effetti di molti di questi farmaci sono stati prevalentemente studiati secondo criteri attualmente non più accettati scientificamente. La Clinical Evidence, desunta dalle meta-analisi del Centro Cochrane, può essere perciò una buona base di partenza per discutere dell’efficacia delle terapie oggi impiegate in questa affezione. Analgesici (paracetamolo, oppioidi): non sono state rilevate differenze significative tra analgesici e farmaci antinfiammatori non steroidei nella riduzione del dolore, ma è stato dimostrato che l’elettroagopuntura o l’utilizzo di ultrasuoni sono più efficaci degli analgesici nell'indurre sollievo dal dolore. Miorilassanti: i miorilassanti riducono il dolore e la contrattura muscolare e aumentano la mobilità rispetto al placebo, senza differenze significative negli esiti tra i vari miorilassanti. Gli effetti avversi nei soggetti trattati con miorilassanti sono frequenti e includono dipendenza, sonnolenza e vertigini. Antinfiammatori non steroidei: revisioni sistematiche ed uno studio randomizzato successivo hanno rilevato che i farmaci antinfiammatori non steroidei aumentano significativamente, rispetto al placebo, il numero di soggetti che manifestano un miglioramento globale dopo una settimana e riducono significativamente il numero di soggetti che richiedono analgesici aggiuntivi. Le revisioni e lo studio non hanno rilevato differenze significative nella riduzione del dolore tra i vari farmaci antinfiammatori non steroidei o tra antinfiammatori non steroidei e altri trattamenti (paracetamolo, oppioidi, miorilassanti, antidepressivi e trattamenti non farmacologici). Uno studio randomizzato ha rilevato che il naproxene riduce il dolore più efficacemente del placebo. Due studi randomizzati hanno trovato prove contrastanti sugli effetti dei farmaci antinfiammatori non steroidei rispetto agli analgesici. Steroidi per via epidurale: uno studio randomizzato incluso in revisioni sistematiche ha rilevato che l'iniezione epidurale di steroidi aumenta il numero di soggetti con scomparsa del dolore dopo 3 mesi rispetto a iniezione sottocutanea di lidocaina. Un secondo studio incluso in revisioni sistematiche non ha rilevato differenze significative, nel numero di soggetti guariti o migliorati, tra iniezione epidurale di steroidi ed iniezione di soluzione fisiologica, di bupivacaina o semplice puntura senza iniezione epidurale. Tre revisioni sistematiche hanno valutato l'impiego di steroidi per via epidurale rispetto a placebo, anestetici locali, anestetici locali più oppioidi o benzodiapine (midazolam) ed hanno rilevato prove insufficienti sugli effetti dei trattamenti. Una revisione sistematica non ha rilevato differenze significative tra steroidi per via epidurale e placebo nella riduzione del dolore dopo 6 settimane e 6 mesi. Una revisione sistematica infine ha rilevato che gli steroidi per via epidurale riducono significativamente il dolore nel breve periodo rispetto ad altri trattamenti. Antidepressivi: revisioni sistematiche e studi randomizzati hanno rilevato che gli antidepressivi migliorano in maniera significativa il controllo del dolore rispetto al placebo ma non hanno dimostrato differenze significative in termini di condizioni funzionali e sintomi depressivi. Studi randomizzati hanno riportato risultati contrastanti per quanto riguarda il controllo del dolore con diversi antidepressivi e con antidepressivi rispetto ad analgesici.

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Da questo quadro emerge come le terapie farmacologiche siano spesso di limitata efficacia, ma di converso da esse non si possa prescindere nel trattamento conservativo dell’ernia discale lombare. In particolare alcune notazioni devono essere fatte per quanto riguarda gli anti-infiammatori non steroidei. Come noto nell’armamentario farmacologico a disposizione del medico esistono oggi due grandi categorie di anti-infiammatori non steroidei: gli anti-cox 1 e gli anti-cox-2. Per quanto riguarda i primi, prescindendo dai noti effetti gastrolesivi da ascrivere in gran parte al loro meccanismo d’azione che, comportando un blocco delle ciclo-ossigenasi 1 diminuisce la disponibilità di prostaglandine “gastroprotettive”, hanno una efficacia dimostrata sia come anti-infiammatori che come analgesici. E’ comunque da rilevare come i classici FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei) non siano selettivi per i recettori delle ciclo-ossigenasi-1 ma, con diverse espressioni, possano interagire anche con i recettori delle ciclo-ossigenasi-2, un esempio paradigmatico è quello della nimesulide attiva su entrambi. Per quanto concerne i farmaci anti-cox-2 i problemi sono molteplici ed ancora aperti. Il loro sviluppo si è basato sull’assunto che gli anti-cox2 non sono espressi a livello gastrico e perciò la loro somministrazione cronica non implica necessariamente un effetto gastrolesivo. Tre coxib (celecoxib, rofecoxibe, valdecoxib) sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) ed uno (etoricoxib) dall’Autorità Regolatoria Europea. Recentemente i risultati dello studio APPROVe (Adenomatous Polyp Prevention on Vioxx), hanno determinato l’efficacia del rofecoxib nell’affezione trattata, ma anche un aumento di 3,9 volte dell’incidenza di eventi avversi tromboembolici. I classici anti-infiammatori non steroidei (anti-cox-1) inibiscono sia il trombossano A2 che la prostaglandina I2, mentre l’assenza di ciclo-ossigenasi 2 nelle piastrine fa si che gli anti-cox-2 non modifichino il trombossano, pur mantenendo il loro effetto inibente sulla prostaglandina I2. Ciò predispone i pazienti ad accidenti infartuali miocardici ed a manifestazioni trombotiche esitanti in stroke. Questi rilevi non sono necessariamente da estendere agli altri anti-cox-2, ma come acutamente sottolineato da FitzGerald (N. Engl. J. Med., 351, 1709-1711, october 21, 2004), “absence of evidence is not evidence of absence”. Un gruppo particolare di farmaci, attualmente in sperimentazione per la terapia dell’ernia discale, è costituito dagli inibitori del Tumor Necrosis Factor α TNF-α esercita un ruolo chiave nelle alterazioni nervose indotte dalla modificazione del nucleo polposo discale. In una sperimentazione Olmarker e Collaboratori (Spine, 26, 863-869, 2001) hanno dimostrato l’efficacia di due inibitori del TNF- α (atanercept e infliximab) nel prevenire la riduzione della velocità di conduzione nervosa e dell’edema intraneurale in maiali in cui era stato causato chirurgicamente un danno del nucleo polposo. L’infliximab in particolare è stato dimostrato efficace nella terapia dell’artrite reumatoide (Maini e Feldmann, Arthritis Res., 4, S22-S28, 2002) e nel dolore sciatico da ernia discale lombare (Korhonen et al., Spine, 29, 2115-2119, 2004). D’altro canto gli inibitori del TNF-αmanifestano gravi effetti collaterali, soprattutto in pazienti con diatesi allergica, il loro ruolo perciò nella terapia conservativa dell’ernia discale lombare è ancora in fase di attenta valutazione.

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Management del dolore lombare secondo le linee guida della contemporanea Evidence Based Medicine ( terapia farmacologica locale ). P.Notaro, F.Ceresa, A.Sciascia, I.Zanotti.* Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Divisione di Terapia del Dolore. Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, Milano. *Medico di Medicina Generale INTRODUZIONE: Il dolore lombare costituisce oggi uno dei problemi medici di più difficile gestione e costi nei paesi industrializzati, con una prevalenza del 25-30% nella popolazione adulta e un’incidenza del 5% circa l’anno. Sebbene raramente sia indicativo di una patologia organica grave, rappresenta la causa più frequente di dolore, disabilità e costi sociali. SCOPO DELLO STUDIO: Effettuare una revisione critica delle pubblicazioni scientifiche più recenti riguardanti le possibilità terapeutiche e in particolare il trattamento farmacologico locale del dolore lombare secondo le linee guida fornite dall’Evidence Based Medicine (EBM). MATERIALI E METODI: Revisione sistematica della letteratura scientifica internazionale corrente ( Medline-PubMed e Ovid-, Embase e Cochrane ). Le parole chiave utilizzate sono state dolore lombare, management, terapia farmacologia locale e linee guida secondo l’ Evidence Based Medicine. RISULTATI: Non esistono a tutt’oggi evidenze sperimentali sufficienti per raccomandare l’uso della terapia farmacologia locale nel trattamento del dolore lombare. CONCLUSIONI: La mancanza di evidenze scientifiche non pregiudica tale terapia e il suo uso non deve essere considerato “malpractice”, dal momento che le linee guida secondo l’ EBM non costituiscono l’ unico strumento di scelta del trattamento, ma uno degli strumenti. Questa review enfatizza la necessità di condurre ulteriori ampi studi prospettici, randomizzati, caratterizzati da criteri uniformi di inclusione ed esclusione della popolazione in esame, trattamento standardizzato, outcome dei pazienti e durata adeguata del periodo di follow-up, così che i risultati possano essere valutati criticamente e possano essere elaborate raccomandazioni definitive circa questo tipo di trattamento Bibliografia M. Quittan Management of back pain Disability and rehabilitation vol 24 n. 8 423-434 J.Steven Evaluation and treatment of low back pain: and evidence based approach to clinical care Muscle e nerve march 2003 265- 284 G. Ehrlich Low back pain Bulletin of The World Organization 2003, 81, 671-676

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Le Ortesi Semirigide e Dinamiche Claudio Testi Responsabile Ufficio Progettazione Corsetteria Ortopedica Dinamica TLM, Gerenzano (VA) Le ortesi sono dispositivi medici finalizzati al recupero di una funzione corporea, in quanto aumentano e migliorano la funzionalità e la capacità biomeccanica di parti del corpo presenti ma deficitarie. L’ortesi non sostituisce una parte anatomica mancante, ma si applica al corpo per correggerne il difetto meccanico. In particolare le ortesi spinali sono i dispositivi tecnici che si applicano alla superficie del tronco della persona per sostenere, mettere a riposo o correggere il rachide. In base ai materiali con i quali sono costruite, le ortesi spinali si suddividono in 3 grandi categorie: ortesi rigide, ortesi semirigide ed ortesi dinamiche. Le ortesi rigide sono composte da una struttura rigida (gesso, metallo, plastica, vetroresina). Le ortesi semirigide sono confezionate in prevalenza con tessuto rigido e stecche di rinforzo paravertebrali. Le ortesi dinamiche sono confezionate in tessuto elastico con stecche flessibili e, proprio per i materiali di costruzione, sono in grado di adattarsi alla anatomia del paziente. Ci occuperemo in questa relazione delle ortesi semirigide e dinamiche. L’efficacia delle ortesi semirigide e dinamiche si basa innanzitutto sulla loro azione meccanica. Cingendo il basso addome ed il tronco, si determina un aumento della pressione intra-addominale con conseguente aumento della pressione idrostatica: poiché la cavità peritoneale contiene liquidi non comprimibili, le forze componenti indotte, non potendo fuggire verso il bacino, si riflettono verso l’alto provocando una diminuzione del carico sul rachide. Le forze componenti dirette posteriormente contribuiscono alla delordosi lombare. Per ottenere il massimo effetto, occorre posizionare in maniera corretta l’ortesi durante la fase di indossamento. Oltre a questa azione meccanica, le ortesi semirigide e dinamiche esercitano anche un’azione di controllo sui movimenti del tronco, da una parte impedendo fisicamente gli atteggiamenti scorretti e dall’altra migliorando le posture del corpo attraverso una funzione di promemoria (feed-back tattile). Inoltre le ortesi semirigide e dinamiche svolgono un’azione psicologica, dando al paziente una sensazione di sicurezza e di tranquillità durante l’esecuzione dei movimenti. Nella patologia discale lombare le ortesi vengono utilizzate con diverse finalità: a scopo preventivo: pur riconoscendo come prevenzione primaria l’educazione ad automatizzare una postura corretta e ad eseguire correttamente i movimenti, è importante anche l’azione di protezione passiva del rachide svolta dalle ortesi, soprattutto durante le attività che richiedono sforzi particolari. A tale scopo l’utilizzo delle ortesi è limitato al periodo di svolgimento dell’attività (ad.esempio movimentazione manuale dei carichi, attività sportive che sollecitano il rachide) con lo scopo di evitare danni ai dischi vertebrali.

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per controllare la sintomatologia algica: durante la fase acuta, l’ortesi determina una diminuzione del carico sulla colonna ed una diminuzione della componente algica. L’azione di calore che l’ortesi provoca con la semplice applicazione e con lo sfregamento della parte su cui viene applicata, favorisce anche una continua stimolazione positiva sulla muscolatura paravertebrale, inducendone in parte una decontrattura. per coadiuvare i trattamenti previsti dal programma riabilitativo: durante la fase sub-acuta, l’ortesi dinamica, favorendo un graduale e soddisfacente miglioramento del dolore, facilita l’esecuzione del trattamento fisioterapico. La rapida e graduale dismissione dell’ortesi dinamica permette di limitare la possibilità di ipotrofia delle masse muscolari. per aiutare la ripresa funzionale delle attività: durante la fase post-operatoria, l’ortesi aiuta una ripresa precoce delle normali attività quotidiane e lavorative. Pur non essendoci attualmente alcuna evidenza scientifica in letteratura dell’efficacia o inefficacia delle ortesi semirigide e dinamiche nel trattamento delle patologie del rachide, il loro uso, che si è andato consolidando fin dagli albori della medicina, permette di validare il trattamento ortesico sulla base dell’esperienza acquisita. Occorre sottolineare infatti che la mancanza di evidenza non è evidenza della mancanza di efficacia. Proprio perché non ci sono evidenze scientifiche che delineino specifiche indicazioni e modalità d’uso per ciascuno dei diversi modelli di ortesi semirigide e/o dinamiche, è necessario acquisire confidenza con le ortesi disponibili, per sceglierle adeguatamente rispetto alle singole necessità e per collocarle correttamente all’interno del progetto riabilitativo individuale. Negli ultimi decenni si è assistito alla nascita delle ortesi dinamiche e al miglioramento delle ortesi semirigide, tutto questo è stato possibile grazie al continuo sviluppo di nuovi materiali ad una seria ricerca progettuale. Le motivazioni di questa spinta innovativa si individuano principalmente nella ricerca scientifica (che non è più propensa ad accettare l’immobilizzazione prolungata del paziente e preferisce un intervento ortesico complementare alla riabilitazione funzionale e che privilegi il movimento corretto alla limitazione del movimento) e nella continua attenzione rivolta al paziente, che sempre con maggiore insistenza richiede e pretende, a buona ragione, ortesi adattabili e confortevoli. Il comune corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale di altezza retro compresa tra cm. 24 e cm. 32 e con chiusura anteriore con velcro, è stato dotato di un incrocio elastico posteriore regolabile che determina un effetto di contenzione più calibrato rispetto al tradizionale incrocio fisso.

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Corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale con incrocio elastico posteriore regolabile Per assecondare le giuste esigenze dei pazienti con addome prominente, con patologie concomitanti a quella vertebrale, oppure con dotati di scarsa manualità, è disponibile un corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale con doppia fascia anteriore. Le due fasce anteriori sono importanti dal momento che: sono indipendenti, ossia possono essere chiuse una alla volta dimezzando la forza normalmente occorrente per indossare un corsetto e quindi facilitando quindi il paziente debilitato; sono sovrapponibili, ossia possono essere sovrapposte in maniera diversa per ottenere l’altezza anteriore più adatta alla conformazione addominale del paziente; sono differentemente tensionabili, ossia possono essere tensionate in maniera differenziata per evitare compressioni addominali nei pazienti con altre patologie oltre a quella vertebrale.

Corsetto dinamico dorso-lombo-sacrale con doppia fascia anteriore Anche le ortesi semirigide hanno avuto una ulteriore nuova crescita tecnologica, grazie ai materiali innovativi ed alla ricerca progettuale. Accanto ai tradizionali corsetti semirigidi con allacciatura centrale o doppia allacciatura laterale è disponibile un corsetto semirigido di altezza posteriore compresa tra cm. 30 e cm. 35 con doppia stoffa retro e con due fasce elastiche anteriori indipendenti, sovrapponibili e differentemente tensionabili, con i vantaggi già precedentemente esposti. Al corsetto semirigido dorso-lombo-sacrale è applicabile un rinforzo elastico aggiuntivo che può essere posizionato con velcro a livello lombare, sacrale o trocanterico a seconda della patologia del paziente.

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Corsetto semirigido dorso-lombo-sacrale con doppia fascia anteriore Bibliografia: M.Monticone, S.Negrini, M.Romano, I.Minari “Le ortesi nella riabilitazione dell’adolescente e dell’adulto con patologie del rachide” In: La riabilitazione nelle malattie reumatiche. Percorsi clinici, progetto e programma riabilitativo D.Baxter “La fine della pratica clinica basata sull’evidenza?” In: Vigevano, Gruppo di Studio della Scoliosi, 2004;2 P.Camels, B.Galtier, J.G.Carzon, J.P.Poinsignon, P.Vautravers, A.Delarque “Studio dell’effetto antalgico e funzionale di un’ortesi lombare nella lombalgia acuta” In: Ann Rèadaptation Mèd Phys 1999,42 S.Negrini, M.Monticone, C.Paroli, C. Trevisan “Le ortesi per le patologie del rachide dorsale” In: S.Negrini. L’ipercifosi e le patologie del rachide dorsale. Monografia di aggiornamento GSS 2003 – Vigevano B.Toso “Lombosciatalgia da ernia o protusione discale” In: Back School – Programmi di lavoro specifici per le patologie del rachide M.Monticone, A.Barbarino, R.Garri, C.Testi, A.Moschi “Ortesi dinamica ed esercizi di stabilizzazione vertebrale intersegmentaria nel paziente con ernia discale lombare non chirurgica. Trial controllato randomizzato.” C.Testi “Ortesi” In: Atti del Convegno della sezione SIMFER di Riabilitazione Ambulatoriale - Passaggio lombo-sacrale e sacro-iliache: progetto e programmi riabilitativi multidisciplinari, Pavia, 22 novembre 2003 C.Testi “Trattamento ortesico dinamico per il paziente con multipli crolli vertebrali su base osteoporotica.” In: Atti del I Convegno regionale SIMFER sull’Osteoporosi, Asti, 21-22 febbraio 2003.

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L’impiego dell’ossigeno-ozono nella patologia discale Luigi Valdenassi, Plinio Richelmi Dip. Med. Int. Ter. Med. – Sez. Farmacologia e Tossicologia Cellulare e Molecolare – Università degli Studi di Pavia – 27100 – Pavia Da alcuni anni, tra le diverse modalità di trattamento delle ernie discali e, più in esteso, della patologia discale lombare, è stato proposto l’impiego dell’ozono (O3) (Vedi Figura). E’ noto che l’O3 è la forma triatomica dell’O2, è un gas molto reattivo, instabile e con una forte potenzialità ossidativa. Viene preparato ed usato in modo estemporaneo, trasformando una piccola percentuale di O2 medicale in O3 tramite appositi generatori. Si tratta pertanto di una miscela di due gas, dove l’O3 rappresenta il 2-3% del totale (13). Appare sorprendente come l’uso dell’O3 nella terapia del conflitto disco-radicolare si sia diffuso assai rapidamente, in contrasto con il lento affermarsi della Ozono terapia in altri tipi di patologie; ciò probabilmente si deve alla larghissima diffusione della patologia discale, alla relativa semplicità di applicazione della metodica ed alla relativa rapidità di remissione della sintomatologia dolorosa (12). A tutto ciò sembra associarsi una buona efficacia nella verifica dei risultati a distanza evidenziata dagli studi di follow-up e la possibilità di reiterare la terapia in caso di recidiva (8). Per meglio capire come l’O3 possa esercitare la propria attività sulle strutture coinvolte nelle patologie discali, sembra utile focalizzare l’attenzione sull’eziopatogenesi del dolore rachideo, abitualmente collegato alla classica compressione nervosa (1). Occorre a tale riguardo ricordare che molti soggetti convivono con la propria ernia discale diagnosticata casualmente durante un esame neuroradiologico eseguito per motivi diversi dalla patologia discale e altrettanti soggetti possono convivere egregiamente con la propria ernia discale tra un attacco doloroso e l’altro, pur nella persistenza della compressione nervosa. Inoltre in almeno il 50% dei casi non è possibile stabilire una correlazione tra ernia ed entità della sintomatologia dolorosa, a parità di ampiezza del canale vertebrale. In casi poi numericamente non trascurabili, le terapie chirurgiche pur rimovendo la compressione discale, non risolvono la sintomatologia dolorosa. Queste riflessioni ci spingono ad analizzare compiutamente le basi fisiopatologiche della suddetta sintomatologia. Si possono pertanto individuare due componenti patogenetiche all’origine del dolore articolare: una componente meccanica ed una componente infiammatoria. COMPONENTE MECCANICA Fattori meccanici diretti: In relazione all’assenza di nocicettori nella guaina e nel contesto del nervo, questi sono legati in ordine di importanza a: Compressione del ganglio spinale, possibile nelle ernie intraforaminali ed extraforaminali. Deformazione e stiramento dei legamenti e dell’anulus, dove sono localizzati i nocicettori afferenti al nervo di Luschka della radice posteriore del nervo spinale. Deformazione e stiramento delle fibre nervose con frammentazione della guaina mielinica e conseguente possibile insorgenza di anomalie di conduzione. Fattori meccanici indiretti: Sono definiti come vasculomediati e possono essere suddivisi in: Ischemici, con disturbi trofici del nervo dovuti a compressione sugli afferenti arteriosi e sul microcircolo del fascio nervoso e conseguente demielinizzazione anossica secondaria delle fibre nervose. Da stasi venosa, con edema e disturbi trofici del nervo da blocco parziale o totale del reflusso venoso (specie nelle localizzazioni erniarie intraforaminali). COMPONENTE INFIAMMATORIA L’infiammazione neurale e perineurale gioca un ruolo preminente nella patogenesi del dolore radicolare (questo spiega gli effetti benefici della terapia corticosteroidea).

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Si possono identificare al riguardo una reazione infiammatoria immunomediata ed una reazione infiammatoria secondaria a fattori bioumorali. Reazione infiammatoria immunomediata Sono ormai ben note evidenze sperimentali che dimostrano come il materiale discale estruso dalla sua sede naturale causi fenomeni infiammatori di tipo immunitario. L’ipotesi più accreditata per spiegare questo comportamento è che il disco intersomatico dell’adulto sia segregato, dal punto di vista umorale, rispetto al sistema immunitario fino a quando è contenuto nella struttura fibrocartilaginea dell’anulus; una volta erniato, esso verrebbe riconosciuto come “non self” dal sistema immunocompetente stimolando negli altri tessuti una reazione cellulo-mediata. Una evidenza speculativa dell’importanza di questo meccanismo è l’alto livello di anticorpi anti-pso P27 (marker per i processi infiammatori di origine autoimmune) ritrovato nel liquor di pazienti con lombalgia e sciatica. La presenza di tessuto infiammatorio peridiscale è confermata dal riscontro mediante TC e RM di un aumento periferico della frammentazione discale dopo somministrazione di mezzo di contrasto i.v. (7). Ulteriori evidenze sperimentali sono rappresentate dal reperimento di macrofagi con espressione del gene IL 1? , caratteristica tipica delle reazioni autoimmuni e dalla riduzione dell’iperalgesia conseguente a leucopenia farmaco-indotta in condizioni sperimentali. Reazione infiammatoria secondaria a fattori bioumorali legati al tessuto discale. Evidenze sperimentali in tale ambito hanno permesso di identificare: - Fosfolipasi A2 (PLA2): Il materiale discale erniato contiene alti livelli di PLA2 che è un potente induttore della reazione infiammatoria in quanto la sua azione enzimatica sull’acido arachidonico conduce alla produzione dei maggiori mediatori chimici dell’infiammazione quali le prostaglandine ed i leucotrieni. La PLA2 inoltre può danneggiare direttamente le fibre nervose attaccando i fosfolipidi di membrana del nervo e della guaina perineurale. - Metallo proteinasi (MMPs): esiste una significativa produzione di questo enzima che, attaccando il tessuto discale, determina incremento della reazione infiammatoria (9). - Prostaglandina E2 (PGE2): è un potente induttore della reazione infiammatoria, prodotta direttamente dal tessuto discale o anche con l’intervento enzimatico della PLA2; lo stesso meccanismo vale per l’interleukina 6 (IL6). E’ interessante evidenziare il ruolo della glicoproteina YKL-40 recentemente identificata, prodotta abbondantemente in seguito a lesioni articolari, comprese le alterazioni degenerative che potrebbe essere uno dei principali mediatori della reazione infiammatoria nella patologia discale. Allo stato attuale delle conoscenze appare evidente come il dolore da conflitto disco-radicolare sia da considerare un sintomo a genesi multifattoriale in cui giocano un ruolo importante la reazione infiammatoria neurale e perineurale, i suoi mediatori bioumorali, nonché la stasi venosa da effetto congestizio sul circolo perineurale. La compressione nervosa in quanto tale potrebbe esercitare un ruolo fondamentalmente di tipo adiuvante, attraverso la generazione di anomalie della conduzione nervosa per demielinizzazione delle fibre con meccanismo diretto o indiretto di tipo anossico-ischemico. Sulla base delle conoscenze patogenetiche è giusto evidenziare il ruolo che l’ossigeno ozono può esercitare nella patologia discale lombare. Ruolo il cui razionale trae origine dalle proprietà biochimiche dell’ozono. CARATTERISTICHE BIOCHIMICHE DELL’OZONO L’ozono è una molecola che reagisce con i composti organici contenenti doppi legami, addizionando i tre atomi di ossigeno al legame non saturo con formazione di ozonidi, provoca poi la scissione dei doppi legami con una reazione definita ozonolisi (2, 11).

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In un mezzo acquoso come il sangue gli ozonidi si trasformano immediatamente in idroperossidi stabili. Occorre ricordare che i perossidi hanno la capacità di cedere ossigeno quando aumenta il pH, per esempio negli ambienti protonici, caratteristica fisico-chimica tipica dei processi degenerativi e/o delle ischemie. I lipo-perossidi che derivano dalla rottura di una catena degli ozonidi perdono la idrofobicità caratteristica dei lipidi e diventano solubili in acqua poiché sono composti lipidici a catena breve. AUMENTO DELLA GLICOLISI: è uno degli effetti più importanti esercitati dall’ozono e consente di sopperire con un aumento della formazione di ATP alle maggiori richieste determinate da condizioni degenerativo-infiammatorie a livello del muscolo scheletrico (3). ATTIVAZIONE DEL METABOLISMO LIPIDICO: ciò avviene attraverso un intervento sul catabolismo dei grassi ed un effetto lipolitico diretto; questo comporta una maggior produzione di energia utile nelle condizioni in cui vi è una richiesta di maggior lavoro (4). Effetti sui globuli rossi e sul microcircolo: l'ozono reagisce con i doppi legami degli acidi grassi insaturi della membrana degli eritrociti (addizione elettrofila), per cui perossidi a catena breve penetrano negli eritrociti stessi, influenzandone il metabolismo. ciò comporta un aumento della demolizione dello zucchero; il prodotto più importante di questa concatenazione di reazioni è il 2-3 difosfoglicerato che, in quanto sostanza deossigenante, rappresenta l'elemento chiave dell'effetto terapeutico dell'ozono grazie allo spostamento a destra della curva di dissociazione dell'emoglobina (11). La formazione dei perossidi conduce ad un aumento degli ioni idrogeno all'interno dei globuli rossi, poiché l'emoglobina ossigenata si comporta come un acido più forte rispetto alla emoglobina deossigenata. Tale modificazione del pH variando l'affinità dell'Hb per l'ossigeno porterebbe ad una maggiore cessione dello stesso (effetto Bohr) (6). Azione sulla emoreologia: la somministrazione di ozono induce, a basse concentrazioni, una riduzione della viscosità ematica globale e dell'aggregabilità piastrinica. tali modificazioni eritrocitarie sono testimoniate da un aumento della filtrabilità eritrocitaria nei capillari più piccoli, dove le emazie invece di muoversi disordinatamente si allineano e procedono lungo l'asse del vaso disponendosi a pila (effetto fahraeus-lindquist), aumentano la deformabilità facilitando così gli scambi metabolici (6,11). azione sul sistema immunitario: è stato osservato che agenti ossidanti come il perossido di idrogeno possono stimolare l'attivazione dei linfociti o dei monociti causando il rilascio di citochine tra cui: interferoni, fattore di necrosi tumorale ed interleuchine. gli effetti dell'ozono in tal senso sono stati valutati in patologie autoimmunitarie, sia somministrandolo da solo sia in associazione a terapia immunosoppressiva (10). si è giunti alla conclusione che tale gas riesce sia in vitro che in vivo, a determinare un effetto immunomodulante verificabile a livello ematico con la graduale riduzione delle immunoglobuline sieriche e la rapida caduta della clearance degli immunocomplessi circolanti. dati di laboratorio consentono di evidenziare un ruolo induttivo da parte dell'o3, sulla produzione di diverse citochine, quali: interferone (ifn)? ,? e ?, fattore di necrosi tumorale (tnf? ), interleuchina (il) 1, 2, 4, 6, 8 e 10, granulopoietine (gm-csf) e transforming growth factor ? (tgf? ). tutto ciò apre un ampio campo di ricerca sugli eventuali sviluppi terapeutici dell'o2o3 nel trattamento di diverse patologie di origine immunitaria (3,4). AZIONE ANALGESICA ED ANTINFIAMMATORIA Il disco intervertebrale è composto da: collagene di tipo II, elastina, proteoglicani, glicosaminoglicani, acido ialuronico e catene più o meno lunghe di carboidrati con sequenza ripetuta (1). Fisiologicamente il nucleo polposo è una struttura macromolecolare complessa contenente acqua legata alle varie matrici idrofiliche che gli permettono di funzionare come ammortizzatore. Traumatismi posturali ripetuti e l’usura da carico causano una degenerazione del disco con possibile erniazione ed eventuale compressione della radice nervosa. L’O3 introdotto nel disco, in funzione della sua

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solubilità e pressione si solubilizza nell’acqua intradiscale ed immediatamente si decompone, generando una cascata di composti ossidanti denominati ROS “reactive oxygen species” (5). L’ossidazione dei vari substrati presenti, particolarmente del glucosio, galattosio, N-acetilglucosamina, acido glicuronico, glicina e 4-idrossiliprolina, comporta una rottura dei legami intra ed intermolecolari con un collasso della struttura tridimensionale. L’approccio indiretto mediante infiltrazione percutanea paravertebrale di ossigeno ozono, determina un’attività complessa sull’intera unità funzionale disco-somatica; ciò in relazione ai fattori meccanici indiretti di tipo vasculomediato. In questo caso l’ozono esercita un’azione di tipo farmacologico mediante un’ossigenazione tessutale che si inserisce in aree colpite da ipossia e stasi venosa. L’attività dell’ozono si esplica inoltre sulla componente infiammatoria cellulo-mediata dell’ernia discale mediante l’inibizione della liberazione di proteinasi dai macrofagi e dai neutrofili polimorfonucleati. Sulla componente bioumorale della risposta infiammatoria gli effetti esercitati dall’ozono sono complessi: - inibizione della sintesi di prostaglandine pro-infiammatorie; - inibizione della liberazione di bradichinina e altri componenti algogeni; - neutralizzazione dei ROS endogeni e stimolazione della produzione locale di enzimi antiossidanti. La variabilità della risposta agli stimoli dolorifici suggerisce l’esistenza di sistemi modulatori a livello spinale e del SNC, capaci di regolare la sensibilità al dolore (5). In particolare si tratta di stabilire una forma di controirritazione cioè di attivare in via riflessa il sistema anti-nocicettivo. L’introduzione dell’ago ed in particolare la successiva iniezione di O2O3 in pressione positiva può provocare l’inibizione dei neuroni nocicettivi del midollo tramite la liberazione di peptidi oppioidi. CONCLUSIONI Alla luce delle attuali conoscenze, l’ozono pare esercitare un’efficace azione farmacologica multifattoriale: alleggerendo la compressione discale dal punto di vista meccanico, contrastando la cascata infiammatoria dei componenti bioumorali e cellulo-mediati e migliorando la condizione ipossica legata alla compressione arteriolare ed alla stasi venosa (12). L’ossigeno-ozono terapia ci pare pertanto essere una metodica di grande interesse nella gestione della patologia discale lombare, ciò in relazione ai buoni risultati di efficacia ed alla pressoché assenza di effetti collaterali. BIBLIOGRAFIA 1) Babyliss MT: Proteoglycan structure in normal and osteoarthrotic human cartilage. In: Kuettner K, Schleyerbach R, Hascall VC (eds): Articular cartilage biochemistry. Raven Press: 295-310, New York, 1986. 2) Bertè F, Vairetti M, Richelmi P: Ozono: problemi tossicologici con particolare riguardo alla formazione di radicali liberi. Congresso Naz Soc Ossigeno-Ozono Terapia, Punta Ala (Gr) 1990:1-6. 3) Bocci V. Autohemotherapy after treatment of blood with ozone. A reappraisal. J Int Med Res 22:131-144,1994. 4) Bocci V, Luzzi E et Al: Studies on the biological effects of ozone: 3. An attempt to define conditions for optimal induction of cytokines. Lymphokine Cytokine Res 12:121-126,1993. 5) Bocci V: Ozone as a bioregulator. Pharmacology and toxicology of ozone therapy today. J Biol regul Homeos Agents 10: 31-35, 1998. 6) Coppola L, Verrazzo G et Al: Oxygen-ozone therapy and haemorheological parameters in peripheral chronic arterial occlusive disease. Trombosi e Aterosclerosi. Vol. 3 n. 2, marzo-aprile 1992. 7) Goupille P, Jayson MI et al.: The role of inflammation in disk herniation-associated radiculopathy. Semin Arthritis Rheum 28(1): 60-71, 1998.

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8) Iliakis E, Macheras G, Kostakos A: L’ozonoterapia nel trattamento della lombalgia. Orthopaedics 8: 29-33, 1995. 9) Kang JD, Georgescu HI et al: Herniated lumbar intervertebral discs spontaneously produce matrix metalloproteinases, nitric oxide, Interleukin-6 and prostaglandin E2. Spine 21: 271-277, 1996. 10) Paulesu L, Luzzi E, Bocci V: Studies on the biological effects of ozone: 2. Induction of tumor necrosis factor (TNF-? ) on human leucocytes. Lymphokine and Cytokine Research 19: 409-412,1991. 11) Richelmi P, Valdenassi L: Aspetti biochimici ed implicazioni tossicologiche in ossigeno-ozono terapia. Attualità e prospettive in terapia antalgica. Ed. ESM 1995:185-204. 12) Valdenassi L, Richelmi P et Al: L'ossigeno-ozono nella medicina fisica e riabilitativa. Medicina fisica e riabilitazione. G.N. Valobra Ed. Utet, 2000. 13) Valdenassi L et al: Follow-up disc-root compression and post-surgical radiculopathies with paravertebral oxygen-ozone. 37th Annual Scientific Meeting “The pathophysiology of disease: from bench to bedside”. ESCI, Verona, 2-5 Aprile 2003.

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Ernia Discale L3-L4 Paramediana Preforaminale Sinistra Ernia Espulsa L5-S1 Paramediana Destra Ernia Sublegamentosa L3-L4 Paramediana Preforaminale Destra

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Ernia Espulsa L4-L5 Destra Frammento Erniario L5-S1 nel Recesso Laterale Destro Ernia Paramediana Sinistra L4-L5

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Autotrazione vertebrale Guido Brugnoni Cattedra di Ortopedia e Traumatologia Università degli Studi di Siena Il trattamento delle lombosciatalgie da ernia discale lombare non è ancora ben sistematizzato né validato. Una soluzione efficace, sicura e innocua è il metodo “Autotraction” ideato da G.Lind e perfezionato da E. Natchev. Questo metodo impiega un letto a piani mobili ove il Paziente partendo da una posizione antalgica, si tira con le braccia o è in trazione per gravità mentre l’operatore fa muovere i piani del letto verso altre posizioni. Indicazioni: l’ernia discale sottolegamentosa è l’indicazione principale, ma il metodo è efficace anche nelle lombosciatalgie da stenosi lombare, spondilolistesi, esiti dolorosi di ernia discale operata. I risultati del trattamento sono stati valutati in base a diversi questionari del dolore.