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di Miriam Allena Ricercatrice di Diritto amministrativo Università Bocconi di Milano La facoltatività dell’instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio: un “fossile vivente” nell’evoluzione dell’ordinamento amministrativo 11 APRILE 2018

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di Miriam Allena

Ricercatrice di Diritto amministrativo Università Bocconi di Milano

La facoltatività dell’instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio: un “fossile vivente”

nell’evoluzione dell’ordinamento amministrativo

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La facoltatività dell’instaurazione del procedimento di annullamento d’ufficio: un “fossile vivente”

nell’evoluzione dell’ordinamento amministrativo *

di Miriam Allena Ricercatrice di Diritto amministrativo

Università Bocconi di Milano

Sommario: 1. Premessa e delimitazione del campo di indagine. – 2. La doverosità del procedere nei procedimenti d’ufficio: la non necessità, ma non anche irrilevanza, della denuncia di parte. – 3. L’evoluzione della giurisprudenza nei procedimenti d’ufficio: la ricerca di una posizione differenziata meritevole di tutela in capo al denunciante. – 4. I limiti tradizionalmente opposti alla ammissibilità dell’azione contro il silenzio inadempimento in materia di annullamento d’ufficio: considerazioni critiche. – 5. Conclusioni: l’annullamento d’ufficio da misura di autotutela a strumento di “tutela”.

1. Premessa e delimitazione del campo di indagine

Nel presente lavoro si analizzerà un istituto classico del diritto amministrativo, vale a dire l’annullamento

d’ufficio, e ci si concentrerà in particolare sul tema della doverosità della instaurazione del relativo

procedimento quando vi sia una richiesta in tal senso da parte di un interessato (cd. doverosità nell’an).

È noto che l’annullamento d’ufficio viene considerato da sempre come l’esempio per eccellenza di

procedimento del tutto facoltativo e incoercibile1.

Addirittura, la giurisprudenza, anche recente, afferma comunemente che si tratterebbe di un potere «di

merito», rispetto al quale la richiesta del privato si configurerebbe come «una mera denuncia con funzione

sollecitatoria, che non fa sorgere un obbligo di provvedere»2. Sicché, a fronte di tale denuncia,

* Articolo sottoposto a referaggio. Il presente lavoro costituisce una rielaborazione della Relazione tenuta al Convegno “Concetti tradizionali del diritto amministrativo e loro evoluzione”, tenutosi presso l’Università di Roma La Sapienza il 2 febbraio 2017 ed è in corso di pubblicazione, in una versione ridotta dal titolo “Annullamento d’ufficio e discrezionalità nell’an: rilievi critici”, nei relativi Atti a cura di A. Carbone ed E. Zampetti. 1 E. CANNADA BARTOLI, Sulla discrezionalità dell’annullamento d’ufficio, in Rass. dir. pubbl., 1949, 562 ss.; ID., Annullabilità e annullamento (dir. amm.), in Enc. dir., II, Milano, 1959, 485 ss., 487. Per un inquadramento generale e per una sintesi delle varie posizioni cfr. M. IMMORDINO, I provvedimenti di secondo grado, in F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2017, 336 ss.; nonché, A. CONTIERI, Provvedimenti e procedimenti di secondo grado, in AA. VV., Percorsi di diritto amministrativo, Torino, 2014, 448 ss. 2 Così, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017, n. 611, che prosegue: «Rispetto all’esercizio di tale potere non è configurabile un obbligo di provvedere, essendo l’amministrazione titolare di un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, insindacabile da parte del giudice (…)». In termini analoghi, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 3 ottore 2012, n. 5199, secondo il quale «non sussiste alcun obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto (oggi dall’art. 117 c.p.a.); infatti, il potere di autotutela

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l’amministrazione ben potrebbe rimanere inerte e il suo comportamento non integrerebbe una ipotesi di

silenzio-inadempimento3. Ovvero, potrebbe legittimamente dichiarare il proprio rifiuto di esercitare il

potere in esame emanando un atto cd. meramente confermativo4, in sé non impugnabile in quanto, in

tesi, non espressivo di potere o, come efficacemente si è detto, difettante di una «volizione intorno a una

statuizione»5.

In entrambi i casi, la preoccupazione della giurisprudenza è evitare che, attraverso l’impugnazione del

silenzio o del diniego espresso di autotutela, l’interessato ottenga «una sostanziale rimessione in termini

quanto alla contestazione dell’originario provvedimento»6 che egli non abbia impugnato per tempo in

sede giurisdizionale. Da ciò deriva, secondo quel che viene talora anche espressamente dichiarato, che «Il

diniego espresso di autotutela non è (…) impugnabile per l’esposta assorbente ragione che si tratta di atto

espressione di un potere di apprezzamento di interessi pubblici nel loro merito (opportunità,

convenienza), su cui il giudice amministrativo non ha giurisdizione». Infatti, «Il giudice non può valutare

se il diniego di autotutela è stato bene o male esercitato, perché se ciò facesse la conseguenza sarebbe un

ordine, rivolto all’amministrazione, di riesercizio del potere di autotutela secondo parametri fissati dal

si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell’amministrazione, e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere». 3 Cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1012, per la quale «se è vero che alla stregua dell’art. 31, comma 1, c.p.a., il rimedio processuale avverso il silenzio-inadempimento della p.a. può essere attivato da chi vi abbia “interesse”, deve escludersi che versi in tale condizione chi, avendo avuto a suo tempo conoscenza del provvedimento di cui si assume l’illegittimità e avendo omesso di impugnarlo tempestivamente, aspiri successivamente a una sorta di impropria “rimessione in termini” attraverso la sollecitazione alla p.a. dell’intervento in autotutela». 4 Su cui cfr. E. CANNADA BARTOLI, Conferma (dir. amm.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 857 ss., che lo definiva come «quell’atto mediante il quale l’amministrazione dichiara di mantenere fermo un precedente provvedimento, del quale venga chiesto il ritiro» ed evidenziava che «La giurisprudenza e la dottrina escludono che si possa impugnare il mero atto di conferma, perché in tal modo si eluderebbe l’inoppugnabilità dell’atto confermato; si vuole impedire che, mediante la impugnativa del secondo, quello di conferma, risulti impugnato anche il provvedimento confermato ed inoppugnabile». Per una chiara esposizione delle distinzioni tra le varie ipotesi di conferma, è tutt’ora attuale il lavoro di L. MAZZAROLLI, Gli atti amministrativi di conferma, vol. I, Le decisioni, 1964, e ID., Gli atti amministrativi di conferma, vol. II, Provvedimenti e meri atti, 1969; dello stesso A. cfr. pure la voce Conferma dell’atto amministrativo, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988. Più di recente, cfr. sul tema l’ampio saggio di F. SAITTA, Per una nozione di “atto confermativo” compatibile con le esigenze di tutela giurisdizionale del cittadino, in Foro amm. CdS, 2003, 2423 ss., cui si rinvia anche per ulteriori citazioni bibliografiche. 5 Così P. STELLA RICHTER, L’inoppugnabilità, Milano, 1970, 239 ss. Già M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, III ed., Milano, 1993, II, 565 ss., sosteneva che: «la conferma impropria o atto confermativo non è mai provvedimento, ma una semplice dichiarazione di rappresentazione». 6 Così, per es., con riguardo agli atti meramente confermativi, Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2012, n. 2548. Che quella degli atti meramente confermativi sia una problematica che attiene essenzialmente al regime della tutela, in quanto «attraverso l’istanza di riesame di un determinato provvedimento, e successiva impugnazione del relativo atto confermativo, si potrebbe eludere la norma circa il regime di impugnazione degli atti amministrativi nel termine di decadenza» è opinione condivisa in dottrina: così, per tutti, V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 603.

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giudice, ma è evidente che questo sarebbe uno sconfinamento in un potere di merito riservato

esclusivamente all’amministrazione e incoercibile»7.

Analogo orientamento è stato da ultimo seguito anche dalla Corte costituzionale che, pronunciandosi in

tema di autotutela tributaria, ha statuito che: «Se questa Corte affermasse il dovere dell’amministrazione

tributaria di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, aprirebbe la porta (ammettendo l’esperibilità

dell’azione contro il silenzio, con la conseguente affermazione del dovere dell’amministrazione di

provvedere e l’eventuale impugnabilità dell’esito del procedimento che ne deriva) alla possibile messa in

discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo definitivo. L’autotutela

finirebbe quindi per offrire una generalizzata “seconda possibilità” di tutela, dopo la scadenza dei termini

per il ricorso contro lo stesso atto impositivo»8.

Come si cercherà di mostrare nel prosieguo, l’impostazione riportata appare non condivisibile sotto

molteplici punti di vista e, innanzitutto, perché difficilmente giustificabile alla luce dell’ordinamento

costituzionale e amministrativo vigente. In effetti, la configurazione attuale della instaurazione del

procedimento di annullamento d’ufficio come ampiamente facoltativa (e la conseguente non

giustiziabilità della relativa inerzia a fronte di sollecitazioni provenienti da terzi) si configura sempre più

come una sorta di “fossile vivente”, specie se raffrontata con l’evoluzione positiva che ha interessato i

procedimenti d’ufficio in altri settori del diritto amministrativo.

Peraltro, la recente previsione, nell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, del termine di diciotto mesi

per l’annullamento d’ufficio di una importante (e potenzialmente molto vasta) categoria di provvedimenti

amministrativi, quantomeno mitiga il timore che sta – spesso anche dichiaratamente – alla base della tesi

della facoltatività nell’an del potere in esame9: vale a dire che i provvedimenti amministrativi possano

essere messi in discussione sine die su richiesta dei privati, con conseguente lesione del principio di certezza

dei rapporti di diritto pubblico10.

7 Così, ancora, Cons. Stato, n. 2548 del 2012, cit. 8 Cfr. Corte cost. 13 luglio 2017, n. 181, punto 4 del Considerato in diritto, ove si legge altresì che: «Affermare il dovere dell’amministrazione di rispondere all’istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall’interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto». Su tale pronuncia cfr. le osservazioni critiche di E. DE MITA, Limitare l’autotutela dà spazio all’inerzia dell’amministrazione, Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2017. 9 Per una chiara sottolineatura di come le recenti modifiche intervenute sul testo dell’art. 21-nonies vadano tutte nel senso di contemperare il rispetto del principio di legalità, da un lato, e la tutela dell’affidamento che i privati e gli operatori economici in specie abbiano riposte sulla stabilità dei provveidmenti autorizzatori cfr. M.A. SANDULLI, Autotutela, in Libro dell’anno del diritto, Roma, 2016. 10 L’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 come modificato a opera dell’art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124, prevede infatti che l’annullamento d’ufficio dei «provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici» debba intervenire «entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi» dal

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D’altro canto, non può non notarsi che sempre l’art. 21-nonies non contiene alcuna indicazione che

giustifichi una ricostruzione in termini di facoltatività della instaurazione del procedimento di

annullamento d’ufficio. Sicché, nel silenzio della legge, l’inserimento di tale previsione nel contesto delle

garanzie della legge n. 241 del 1990, ossia nell’ambito di una “visione partecipata” dell’azione

amministrativa, il più possibile paritaria e, comunque, informata ai principi costituzionali11, dovrebbe

semmai indurre a ricostruire anche il procedimento in esame alla luce del generale canone di doverosità

dell’azione amministrativa12 e di sua necessaria funzionalizzazione all’interesse pubblico collettivo13.

Non sfugge, del resto, che la lettura in termini di ampia facoltatività nell’an dell’annullamento d’ufficio

incarna una visione dell’amministrazione come soggetto privilegiato che può, a suo piacimento, sottrarsi

all’esercizio di un potere conferitole dalla legge semplicemente invocando la facoltatività

dell’instaurazione del relativo procedimento. Con il ché, il tema finisce per assorbire quello,

legislativamente affrontato, della cd. discrezionalità nel quid del potere in esame (ossia, della discrezionalità

dell’annullamento in senso proprio)14. Appare infatti quasi ozioso analizzare quale livello di discrezionalità

nel quid il legislatore abbia voluto accordare all’amministrazione in sede di annullamento d’ufficio quando

poi si riconosca a quest’ultima il potere di non iniziare neppure il procedimento.

Nel presente lavoro si analizzerà dunque anzitutto quale sia il rilievo della denuncia di parte nei

procedimenti ufficiosi e si darà conto della tendenza giurisprudenziale a individuare, in questi casi, una

momento della loro adozione. Con specifico riferimento al nuovo termine di esercizio dell’autotutela cfr., per tutti, M.A. SANDULLI, Gli effetti diretti della legge 7 agosto 2015 n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio assenso e autotutela, in www.federalismi.it. n. 17/2015; M. RAMAJOLI, L’annullamento d’ufficio alla ricerca di un punto di equilibrio, in Riv. giur. urb., 2016, 99 ss., 104; G. MANFREDI, Annullamento doveroso?, in PA Persona e amministrazione, 2017, 383 ss., e ID., Il tempo è tiranno: l’autotutela nella legge Madia, in Urb. app., 2016, 5 ss. 11 Il primo studio del procedimento amministrativo visto come luogo di avvicinamento tra il cittadino e il potere pubblico si deve a G. PASTORI, Introduzione generale, in ID. (a cura di), La procedura amministrativa, Vicenza, 1964, ora in ID., Scritti scelti, I (1962-1991), Napoli, 2010, 81 ss. Tra i numerosi saggi che l’A. ha dedicato al tema si vedano, almeno, Il procedimento amministrativo tra vincoli formali e regole sostanziali, in AA. VV., Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, a cura di U. ALLEGRETTI, A. ORSI BATTAGLINI, D. SORACE, Rimini, 1987, II, 805 ss., ora in ID., Scritti scelti, I, (1962-1991), cit., 361 ss. Tra i lavori più recenti, cfr. Recent Trends in Italian Public Administration, in Italian Journal of Public Law, 2009, 1 ss. 12 Su cui, da ultimo, S. TUCCILLO, Contributo allo studio della funzione amministrativa come dovere, Napoli, 2016, spec. 189 ss.; in precedenza, con un’attenzione anche ai profili costituzionali, F. GOGGIAMANI, La doverosità amministrativa, Torino, 2005, 80 ss. 13 Viceversa, quasi consapevole dell’incoerenza di fondo esistente tra la diffusa interpretazione dell’annullamento d’ufficio come potere ampiamente facoltativo e incoercibile e l’inserimento dell’art. 21-nonies nel contesto della legge n. 241 del 1990, la giurisprudenza si preoccupa talora di precisare che la suddetta previsione, pur disciplinando «i presupposti e le forme dell’annullamento d’ufficio […], non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all’autotutela»: così, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2012, n. 2549. 14 Non vi è dubbio, infatti, che l’art. 21-nonies costruisca come discrezionale il potere se annullare o meno un dato provvedimento, dal momento che non basta la illegittimità di quest’ultimo, ma l’amministrazione deve altresì valutare la sussistenza di «ragioni di interesse pubblico» e tenere conto degli «interessi dei destinatari e dei controinteressati».

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posizione differenziata in capo ai denuncianti, onde precostituire un dovere di risposta

dell’amministrazione. Si spiegherà come tale impostazione, che certamente sconta una (impropria)

commistione tra il piano sostanziale e quello processuale, rifletta però altresì l’idea che il cittadino si possa

rivolgere all’amministrazione, prima ancora che al giudice, per la tutela della propria posizione soggettiva.

Si confronterà infine tale evoluzione con quella che è la visione tutt’ora dominante dell’annullamento

d’ufficio come potere ampiamente facoltativo e incoercibile e si analizzeranno criticamente le principali

ragioni che tradizionalmente giustificano simile ricostruzione.

La tesi del presente lavoro è che la ricostruzione in termini di doverosità dell’apertura del procedimento

di annullamento d’ufficio, a fronte di una denuncia seria e circostanziata, costituisca il presupposto

imprescindibile per una rilettura in chiave “giustiziale” dell’istituto in esame. Quest’ultimo potrebbe cioè

essere “rivitalizzato” portando a compimento la nota intuizione benvenutiana dell’autotutela decisoria

come funzione «materialmente giurisdizionale» in quanto diretta, tra l’altro, alla restaurazione del diritto

obiettivo violato e alla risoluzione dei conflitti tra l’amministrazione e gli amministrati. Ciò, del tutto in

linea con le sempre più avvertite istanze di una amministrazione moderna, efficiente e davvero attenta

alle esigenze dei cittadini.

2. La doverosità del procedere nei procedimenti d’ufficio: la non necessità, ma non anche

irrilevanza, della denuncia di parte

In primo luogo, occorre chiedersi se la circostanza che l’annullamento in autotutela sia un procedimento

d’ufficio costituisca una ragione in sé sufficiente per negare rilievo alla richiesta di esercizio di tale potere

che provenga da un cittadino. In altri termini, occorre interrogarsi se tale denuncia/segnalazione, oltre

che non necessaria, possa anche dirsi irrilevante sul piano giuridico.

Invero, come anche di recente notato da attenta dottrina15, fin dai primi del Novecento alcuni Autori

francesi derivavano dal principio generale di doverosità dell’azione amministrativa l’«obbligo giuridico»

per la pubblica amministrazione, anche rispetto ai procedimenti d’ufficio, di fornire una risposta a fronte

della denuncia di un cittadino. Così, per es., si evidenziava che, rispetto all’azione di un prefetto, il quale

«a le devoir juridique d’assurer le maintien (…) de la tranquillité, de la sécurité, de la salubrité publique», ben potesse

accadere che «le bon exercise de la function consiste pour l’agent à s’abstenir de faire l’acte qu’on le sollicite d’accomplir».

Difatti, avendo lo stesso «un pouvoir discretionnaire quant au choix de moyens (…) on ne pourra pas dire qu’en

s’abstenant de prendre telle ou telle mesure positive, le prèfet viole son devoir professionel».

15 Cfr. M. MAZZAMUTO, L’amministrazione senza provvedimento: la “SCIA”, Relazione al Convegno su “L’amministrazione pubblica nella prospettiva del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma Madia”, Lecce, 28 e 29 ottobre 2016.

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In altri termini, ragionando sulla base della nota visione attizia del silenzio che ne ha costituito la prima

forma di riconduzione a giustiziabilità16, la dottrina d’oltralpe qualificava il mancato esercizio (la

«abstension») di un potere tipicamente ufficioso a fronte della sollecitazione da parte di un cittadino, come

«une façon (…) d’exercer la foncion»17: un silenzio che, dunque, diveniva significativo grazie alla denuncia

presentata dal privato. Quest’ultima, quindi, era tutt’altro che irrilevante, in quanto consentiva di

ricostruire l’inerzia come provvedimento amministrativo tacito.

Un medesimo modo di ragionare si è manifestato anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato

italiano che, fin dal 1956, in una nota pronuncia annotata dal Guicciardi, ha riconosciuto la possibilità di

rendere coercibile, in sede giurisdizionale, l’esercizio di un potere senza dubbio ufficioso. La fattispecie

riguardava una denuncia di abuso edilizio (presentata dal conduttore di un appartamento antistante un

cortile ove era stato installato un forno industriale) alla quale l’amministrazione non aveva dato riscontro:

in quel caso, i giudici amministrativi hanno affermato la titolarità, in capo all’interessato, di un «interesse

occasionalmente protetto» (ossia coincidente con il pubblico interesse perseguito dall’amministrazione),

di fronte al quale «non è dubbio che l’autorità comunale abbia l’obbligo di provvedere». In specie, essi

hanno rilevato che laddove disponga di un potere discrezionale, «nei limiti segnati dalla norma l’autorità

amministrativa è (…) libera di dirigere in un senso o in un altro la sua statuizione, in relazione al pubblico

interesse, ma non può essa sottrarsi all’esame delle situazioni illegittime e non ancora consolidate che le

vengano denunciate da coloro che abbiano interesse alla loro rimozione»18.

Nel commentare la sentenza, Enrico Guicciardi si poneva una questione preliminare, «se cioè in questi

casi (…) l’amministrazione abbia o no l’obbligo giuridico di intervenire coi suoi poteri repressivi». Risolta

tale questione, scriveva, tutto il resto sarebbe stato consequenziale, «Poiché è chiaro che solo se questo

dovere c’è, vi sarà la possibilità di qualificare l’inerzia come rifiuto (…) e quindi di procurarsi il

provvedimento impugnabile avanti il giudice amministrativo». E a tale interrogativo rispondeva nel senso

che «quando la legge assegna all’amministrazione la tutela di determinati interessi pubblici (…) il

perseguimento di questi interessi non è per l’amministrazione una semplice facoltà, è un dovere»19.

16 Per approfondimenti sulle prime ricostruzioni del silenzio, anche nel nostro ordinamento, come provvedimento tacito, implicito o presunto, cfr., per tutti, F.G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971, 5 ss. 17 G. JÈZE, Essai d’une théorie générale de l’abstension en droit public, in RDP, 1905, 764 ss., 769-770, il quale precisa ulteriormente: «Ce qui vient confirmer cette manière de voir, c’est que si, au lieu de garder le silence, l’agent exprime, par une déclaration formelle, les motifs qu’il a eus de s’abstenir, -ces motifs étant, bien entendu, autres que la volonté de refuser d’exercer la function, -nul ne songera à voir là une violation du devoir juridique de remplir la fonction. Ce qu’on critiquera peut-être, c’est l’exercice illégal de la function. Mais c’est une question tout autre». 18 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 1956, n. 418, in Giur. it., 1957, III, 21 ss. 19 E. GUICCIARDI, Interesse occasionalmente protetto e inerzia amministrativa, in Giur. it., 1957, III, 21 ss. 22: «Se anche il perseguimento di questi interessi avviene mediante provvedimenti, e questi sono esplicazione di un potere, tuttavia, quando ne siano certi i presupposti (cioè l’esigenza del pubblico interesse), l’esercizio di questo potere non è ad

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Del resto, l’idea che alla funzione amministrativa, anche ove ufficiosa e discrezionale, si accompagni

indissolubilmente un elemento di doverosità, essendo la stessa non libera ma vincolata alla cura

dell’interesse pubblico, è stata centrale in alcuni studi della dottrina italiana degli anni Sessanta-Settanta

del Novecento.

In particolare, nel volume su “Il rifiuto del provvedimento amministrativo” Franco Ledda condivisibilmente

evidenziava che «la facoltà di scelta discrezionale (…) non riguarda mai l’agere in se stesso (anche

l’apprezzamento discrezionale è un’operazione dovuta)» in quanto, «se così non fosse, lo stesso scopo

del riconoscimento di una facoltà di determinazione discrezionale verrebbe ad essere frustrato, poiché,

restando l’amministrazione inerte, verrebbe a mancare proprio quella valutazione di interessi cui questa

facoltà è preordinata»20. Non solo, ma riferendosi alla disciplina formale della funzione secondo il

procedimento, rilevava che «non avrebbe senso garantire al cittadino la osservanza di quella disciplina, se

l’autorità fosse poi arbitra di svolgere, o non svolgere, l’attività che ad essa è sottoposta»21.

Per quel che qui più rileva, poi, la suddetta impostazione ha trovato accoglimento nell’art. 2 della legge n.

241 del 1990. Tale norma, nel prevedere che «Ove il procedimento consegua obbligatoriamente a una

istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo

mediante l’adozione di un provvedimento espresso», innanzitutto parifica, ai fini della doverosità della

conclusione con provvedimento espresso, i procedimenti di parte a quelli d’ufficio, nonché quelli

discrezionali e quelli vincolati, senza consentire una impropria confusione tra discrezionalità nel quid e,

invece, nell’an22. Per altro verso, mediante l’utilizzo dell’ausiliare «debba», riferito all’inizio d’ufficio del

libitum per l’amministrazione. Se consta che una determinata situazione è, per es., nociva alla pubblica salute, l’amministrazione non può soltanto, ma deve impedirla o eliminarla». 20 F. LEDDA, Il rifiuto di provvedimento amministrativo, Torino, 1964, 100. 21 Così F. LEDDA, op. ult. cit., 128, il quale evidenziava altresì che: «In presenza di certe condizioni, questa attività è dovuta: ciò che non può garantirsi direttamente al singolo è solo un certo risultato, cioè la realizzazione del potere giuridico nel senso della sua aspettativa». In termini analoghi, qualche anno più tardi, si esprimeva A. MELONCELLI che, nel volume su L’iniziativa amministrativa, 1976, 43-44, rilevava: «se è vero che l’amministrazione pubblica è chiamata a rispondere non solo di ciò che fa, ma anche di ciò che non fa […], si presuppone che la doverosità si estrinsechi per lo meno con riferimento all’agere». E proseguiva (48-49): «la necessità di agire deriva alla pubblica amministrazione dal suo interno, se è vero che la sua azione è tesa alla persecuzione dei fini pubblici che la legge predetermina» e per tale ragione «essa non si pone come attività che possa essere svolta o non essere svolta». Di conseguenza, proponeva di risolvere «la questione della compatibilità tra discrezionalità e dovere […] dando come oggetto minimo al dovere non l’atto, ma l’attività». 22 Su tale disposizione, tra i molti, cfr., almeno, A. TRAVI, Art. 2, in AA. VV., Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (a cura di A. Travi), in Le nuove leggi civ. comm., 1995, 8 ss.; A. CIOFFI, Dovere di provvedere e pubblica amministrazione, Milano, 2005, 89-90, il quale rileva: «Ed ecco che il testo dell’art. 2 evoca un dovere che esisteva, implicitamente, nell’ordinamento: il dovere di provvedere. E rivela che il “dovere di iniziare” dell’art. 2 altro non sia che una versione del dovere di provvedere. Così prefigura una distinzione portante, che accompagnerà tutta l’indagine. Se da un lato l’ordinamento si occupa di individuare nella legge la fonte esatta del dovere di concludere, non chiarisce, viceversa, quando si dia dovere di provvedere. E fa intuire che il dovere di provvedere non ha bisogno di essere prefissato in un’apposita norma legislativa, come quella

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procedimento, indica, laddove ancora residuassero dubbi, che non è doverosa solo la conclusione del

procedimento una volta aperto, ma che il procedimento stesso deve essere aperto quando sia certo che

sussistono i presupposti per l’esercizio del potere23.

Così, se nel caso dei procedimenti a istanza di parte il dovere di iniziare e concludere il procedimento

nasce direttamente, ex lege, da un’istanza del cittadino (purché qualificabile come tale e, quindi, presentante

gli elementi minimi perché si possa parlare di “istanza”24), lo stesso non accade nei procedimenti d’ufficio:

ivi, l’eventuale denuncia del cittadino serve “solo” a rendere compiutamente e formalmente nota

all’amministrazione l’esistenza di presupposti di fatto e di diritto in presenza dei quali essa “è tenuta” a

procedere.

In altri termini, con la segnalazione o denuncia il cittadino rende edotta l’amministrazione del fatto che,

per riprendere la formulazione dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, «il procedimento debba essere iniziato

d’ufficio». E, dunque, l’istanza ha una funzione informativa e, per così dire, “attualizzante” del dovere di

procedere, ma non è, di per sé, manifestazione di volontà giuridica.

Significativamente, con riguardo a denunce o segnalazioni tendenti a stimolare l’esercizio di poteri

repressivi o di vigilanza da parte delle amministrazioni, la giurisprudenza afferma talora che, «pur non

sussistendo alcun procedimento da iniziare per impulso di parte, l’esercizio della potestà amministrativa

non è meramente discrezionale, ma costituisce piuttosto un atto dovuto, non potendo l’amministrazione

sottrarsi ai propri doveri d’ufficio»25, e individua un «dovere» di intervento derivante dall’essere

l’amministrazione preposta al perseguimento del pubblico interesse.

In quest’ottica, ben si comprende che la denuncia o segnalazione, onde “attualizzare” questo dovere di

procedere (e, poi, di provvedere) debba essere circostanziata e verosimile. Ossia, che essa debba

rappresentare la realtà con un grado di precisione sufficiente da indurre l’amministrazione a ritenere

dell’art. 2, giacché quel dovere preesiste. Deriva all’amministrazione da una sua data capacità o posizione, manifestazione inestinguibile di un’autonomia istituzionale, attribuita dall’ordinamento»; F. FIGORILLI-A. GIUSTI, Art. 2. Conclusione del procedimento, in N. Paolantonio, A. Police, A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione, Torino, 2005, 137 ss.; A. POLICE, Doverosità dell'azione amministrativa, tempo e garanzie giurisdizionali, in AA.VV., Le riforme della L. 7 agosto 1990, n. 241 tra garanzia della legalità ed amministrazione di risultato (a cura di L. Perfetti), Padova, 2008, 15 ss., e ID., Il dovere di concludere il procedimento e il silenzio inadempimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 226 ss., 234. 23 In tal senso anche A. TRAVI, Art. 2, cit., 9. 24 Su questi profili, da ultimo, cfr. l’ampia trattazione di S. VERNILE, Il provvedimento amministrativo in forma semplificata, Napoli, 2017. Il tema è affrontato anche da E. FREDIANI, Il dovere di soccorso procedimentale, Napoli, 2016, 80 ss., sia pure nell’ottica particolare del dovere di soccorso in presenza di un atto di iniziativa privata in vario modo viziato. Più in generale, sulla nozione di “istanza” cfr. G.M. RACCA, Richiesta e istanza alla pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., XIII, Torino, 1997, 368 ss. 25 Tar Campania, Napoli, sez. III, 8 novembre 2012, n. 25, in materia edilizia.

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sussistenti i presupposti per l’instaurazione del procedimento26. Guicciardi rilevava, non a caso, l’esigenza

di «una attenta ed acconcia formulazione della diffida a provvedere, tale che, se essa non sorte l’effetto di

indurre l’amministrazione a provvedere, l’inerzia di quest’ultima ne resti inequivocabilmente qualificata

come rifiuto a provvedere per motivi illegittimi»27.

Una denuncia generica, infatti, non sarebbe idonea a far sorgere tale dovere in quanto non

modificherebbe apprezzabilmente la conoscenza della questione in capo alla pubblica amministrazione28.

Si può dire, per semplicità, che simile denuncia renderebbe manifesto il desiderio del cittadino che il

potere venga esercitato, ma non integrerebbe la conoscenza legale, in capo alla pubblica amministrazione,

che il potere “deve” essere esercitato29. Sicché, in tale ultima vicenda, il dovere di procedere in capo

all’amministrazione sorgerebbe solo ove essa venisse per altra via a conoscenza dei presupposti che

impongono l’esercizio doveroso del potere.

In definitiva, da tutto ciò deriva che, nei procedimenti d’ufficio, la denuncia o segnalazione, purché

circostanziata e verosimile, anche se in sé non necessaria, non è però affatto irrilevante, perché utile ad

“attualizzare” il dovere di iniziare (e, qundi, concludere) il procedimento. In altre parole, una denuncia

circostanziata e verosimile rende evidente all’amministrazione che sussistono i presupposti per l’esercizio

doveroso del potere.

D’altra parte, una volta che la situazione dalla quale origina il dovere di procedere sia stata portata a

conoscenza dell’amministrazione, il fatto che la eventuale denuncia o segnalazione venga ritirata non

26 Cfr., per es., Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592 che, in materia di abusi edilizi, afferma: «(…) l’amministrazione in ipotesi di segnalazioni sottoscritte, circostanziate e documentate, ha comunque l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, e ciò in forza dei principi di cui all’art. 2 della legge sul procedimento, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente». 27 E. GUICCIARDI, Interesse occasionalmente protetto e inerzia amministrativa, cit., 24, sicché l’amministrazione, per evitare ciò, sarebbe stata «costretta a pronunciare un rifiuto espresso e motivato», per l’eventuale impugnativa del quale il titolare dell’interesse occasionalmente protetto non avrebbe incontrato ostacoli particolari, potendo agire secondo le regole comuni. 28 In tal senso, cfr. per es., Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 2016, n. 653, ove si precisa che «(…) nella specie si chiede genericamente che ENAC ponga in essere una serie di attività e/o iniziative e/o azioni volte a veder assicurato il rispetto della normativa del settore di competenza dell’Ente: quella invocata dalla ricorrente è un’attività di controllo di vasta latitudine, svolta in via continuativa da ENAC e che implica l’esercizio di poteri di contenuto discrezionale, come tale insuscettibile di confluire nell’alveo del giudizio avverso il silenzio, in quanto in ordine alla esplicazione della generale ed istituzionale attività di vigilanza non è configurabile, almeno nei termini dedotti dalla ricorrente, la mancata adozione di un provvedimento specifico (…)». 29 Non a caso, si parla di «carattere formalizzato e necessitate dell’apertura del procedimento», ove l’aggettivo «necessitate» sta proprio a indicare il verificarsi di «una situazione tale da rendere necessario l’esercizio del potere»: così V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2016, 314.

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impedisce a quest’ultima di esercitare ugualmente e doverosamente il potere30: ciò appare del tutto in linea

con la natura ufficiosa del potere in esame, esercitabile “d’ufficio”, ossia nell’interesse innanzitutto

dell’ordinamento e non del denuciante in quanto tale.

3. L’evoluzione della giurisprudenza nei procedimenti d’ufficio: la ricerca di una posizione

differenziata meritevole di tutela in capo al denunciante

Ragionando secondo le categorie dei procedimenti d’ufficio, dovrebbe dunque essere irrilevante il fatto

che la denuncia sia presentata da un soggetto piuttosto che da un altro e perfino le finalità da questi

perseguite. Come si è sopra chiarito, infatti, i procedimenti ufficiosi sono avviati dall’amministrazione

ogni qual volta si verifichi in concreto un’esigenza di cura dell’interesse pubblico: la denuncia o

segnalazione ha dunque una mera “efficacia attualizzante” di un dovere che già esiste in capo

all’amministrazione e non muta i caratteri del potere e la sua intrinseca doverosità nell’interesse generale.

Eppure, se si analizza la giurisprudenza in tema di avvio dei procedimenti d’ufficio, emerge che essa tende

per lo più a richiedere come necessario, onde far sorgere sul piano sostanziale il dovere di procedere,

anche il presupposto della titolarità, in capo al denunciante, di uno specifico interesse che valga a

“differenziare” la sua posizione rispetto a quella della collettività31.

Per es., in materia urbanistica si afferma comunemente che il vicino sarebbe «sempre titolare di un

interesse qualificato alla salvaguardia delle caratteristiche urbanistiche della zona» e, dunque, sarebbe

«legittimato ad inoltrare all’amministrazione atti di denuncia che, se sufficientemente circostanziati,

obbligano l’amministrazione ad esercitare i propri poteri di verifica nonché a comunicare l’esito di questa

al denunciante» (tra l’altro, anche quando l’intervento sanzionatorio sia ritenuto non necessario, «non

potendosi ammettere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori

possa giustificare un comportamento meramente silente»)32.

Pure in presenza di poteri tipicamente ufficiosi, il dovere di provvedere della pubblica amministrazione

viene dunque collegato a un presupposto soggettivo, costituito dalla titolarità -in capo al denunciante che

solleciti l’esercizio di poteri repressivi, inibitori e sanzionatori- di un interesse legittimo33. E sarebbe tale

interesse differenziato (che la giurisprudenza individua, appunto, ricorrendo al criterio della cd. vicinitas,

intesa come stabile collegamento del denunciante con l’area interessata dal manufatto abusivo) a

30 Cfr. A. SCOGNAMIGLIO, Istanze alla pubblica amministrazione, in Diz. dir. pubbl. (dir. da S. CASSESE), 2006, 3284 ss., 3285. 31 Il punto è ben colto, anche in una prospettiva teoretica più generale, da A. CIOFFI, Dovere di provvedere e pubblica amministrazione, cit., 162 ss. 32 Così, tra le più recenti, Tar Lombardia, sez. II, 26 luglio 2017, n. 1886. 33 Sul punto cfr. L. BERTONAZZI, Il giudizio sul silenzio, in B. Sassani-A. Villata (a cura di), Il codice del processo amministrativo: dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, 905 ss.

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giustificare la pretesa, già sul piano sostanziale, a un provvedimento espresso e motivato sulla denuncia

di abuso edilizio34.

Si tratta di una ricostruzione che, per molti versi, appare strettamente connessa al problema di consentire

la tutela giurisdizionale avverso il silenzio. Il che viene, spesso, anche esplicitato: per es., quando si afferma

che «il silenzio serbato sull’istanza-diffida integra gli estremi del rifiuto -rectius, inadempimento35-,

sindacabile in sede giurisdizionale quanto, almeno, al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere

espressamente»36. In altri termini, l’idea che emerge da queste sentenze è che, se non esistesse un

“obbligo” di riscontrare l’istanza proposta dal vicino, il silenzio dell’amministrazione non potrebbe

configurare un inadempimento37; e, d’altro canto, mancando una espressa previsione legislativa in tal

senso, lo stesso non potrebbe neppure essere qualificato come diniego (a sua volta impugnabile in sede

giudiziale).

Un analogo modo di ragionare è alla base della teorica delle cd. denunce qualificate, in base alla quale

l’amministrazione sarebbe tenuta a dare riscontro alla denuncia o segnalazione quando la legge contempli

espressamente la possibilità, per chi vi abbia interesse, di sollecitare l’avvio d’ufficio di un certo

provvedimento38; o, secondo una visione estensiva, quando tali denunce siano proposte da chi è titolare

di una situazione soggettiva differenziata «meritevole di tutela» e, dunque, in quanto tale, «protetta

dall’ordinamento»39.

In questi casi, secondo la giurisprudenza e la dottrina, non saremmo di fronte a denunce semplici,

espressive di un interesse di mero fatto, ovvero, come efficacemente è stato detto, di atti che «hanno la

34 Cfr., per es., Tar Campania, Napoli, sez. II, 11 ottobre 2010, n. 18387, cit.; ma si tratta di orientamento consolidato da tempo: tra le pronunce meno recenti cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. I, 26 gennai 2005, n. 578; Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975. L’impostazione giurisprudenziale è sostanzialmente condivisa da N. POSTERARO, Sui rapporti tra dovere di provvedere e annullamento d’ufficio come potere doveroso, in Federalismi.it, 8 marzo 2017. 35 Sull’uso come sinomi delle due locuzioni silenzio inadempimento/silenzio rifiuto da parte della giurisprudenza cfr. M. OCCHIENA, Diffida e silenzio-rifiuto: il tradimento della teoria di Aldo M. Sandulli, in M.A. Sandulli (a cura di), Aldo M. Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, 410 ss. 36 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2015, n. 3177. In termini, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5087, per il quale «(…) il silenzio serbato dalla p.a. (…) integra gli estremi del silenzio rifiuto ed è sindacabile in sede giurisdizionale, grazie appunto alla combinazione della vicinitas con la funzione non discrezionale della vigilanza edilizia, la qual cosa differenzia la fattispecie in esame dalla vicenda in cui un qualunque altro soggetto, non così legittimato, segnali un abuso edilizio alla p.a. stessa, ma proprio per questo non ha titolo per rendere coercibile l’omesso esercizio di tale funzione». 37 Cfr., in tal senso, tra le più recenti, Tar Lazio, sez. 2-quarter, 8 maggio 2017, n. 5542. 38 Cfr., sul punto, L. DE LUCIA, Denunce qualificate e preistruttoria amministrativa, in Dir. amm., 2002, 717 ss.; ID., Provvedimento amministrativo e diritti dei terzi. Saggio sul diritto amministrativo multipolare, Torino, 2005, 141 ss., il quale derivava, da tale ricostruzione, l’obbligo dell’amministrazione di applicare alla fase di delibazione della denuncia i canoni fondamentali della legge n. 241 del 1990. 39 A. SCOGNAMIGLIO, Il diritto di difesa nel procedimento amministrativo, Milano, 2004,

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struttura degli atti di iniziativa, ma non ne hanno la natura e dunque non ne hanno gli effetti»40. Al

contrario, il denunciante sarebbe “legittimato” a presentare una denuncia (e a ricevere risposta

dall’amministrazione) perché in grado di differenziare la sua posizione da quella che qualsiasi altro

soggetto può vantare rispetto alla legalità dell’azione amministrativa.

Del resto, il tema della rilevanza delle denunce nei procedimenti d’ufficio e dunque dell’esistenza, anche

con riguardo a questi ultimi, di interessati – diversi dal destinatario del provvedimento – titolari di una

posizione differenziata di carattere pretensivo, è divenuto del tutto evidente, anche sul piano quantitativo,

a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, con la giurisprudenza in tema di denuncia di inizio attività41.

Anzi, in questi casi, l’esigenza di garantire tutela a interessi pretensivi rispetto all’esercizio di poteri

repressivi o inibitori da parte della p.a., è stata probabilmente ancora più sentita, essendo venuto a

mancare un provvedimento direttamente impugnabile.

Non stupisce, dunque, che proprio in questo ambito abbia oggi trovato espresso riscontro, anche in sede

legislativa, la tesi che l’inerzia dell’amministrazione rispetto alla sollecitazione di intervenire proveniente

da un terzo (diverso dall’interessato) possa essere contestata in sede giurisdizionale: l’art. 19, c. 6-ter, della

legge n. 241 del 1990 (come modificato, da ultimo, a opera della legge 7 agosto 2015, n. 12442) prevede

infatti che «gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in

caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. 2 luglio 2010,

n. 104», ossia l’azione avverso il silenzio-inadempimento. Con il che, il legislatore ha espressamente

ammesso che, successivamente al decorso del termine per l’esercizio degli ordinari poteri di controllo (60

giorni o 30 giorni, nel caso di dia edilizia), si configuri un inadempimento e che, dunque,

l’amministrazione possa essere giudizialmente obbligata a (quanto meno) riscontrare la denuncia del

terzo.

Ora, è evidente che le tendenze giurisprudenziali e legislative sin qui richiamate scontano una certa

commistione tra il piano procedimentale e quello processuale, tanto che in dottrina si è evidenziato come

40 Secondo la nota definizione di G. MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in AA. VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2005, 604-605. 41 Così G. GRECO, Ancora sulla SCIA: silenzio e tutela del terzo (alla luce del comma 6-ter dell’art. 19 l. 241/1990), in Dir. proc. amm., 2014, 645 ss., 651. 42 Cfr. anche i decreti delegati n. 126 del 30 giugno 2016, di «Attuazione della delega in materia di segnalazione certificata di inizio attività (Scia), a norma dell’art. 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», e n. 222 del 25 novembre 2016, recante «Individuazione dei procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (Scia), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’art. 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124». Sul punto cfr. M. LIPARI, La scia e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, in Federalismi, 2015, 21 ottobre 2015.

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si finisca, in questi casi, per trasporre sul piano sostanziale la categoria, processuale, della legittimazione

a ricorrere43.

Peraltro, la individuazione di una posizione differenziata che varrebbe a fondare un obbligo

dell’amministrazone di rispondere non giunge sempre a esiti di completa e coerente trasformazione di

questi procedimenti d’ufficio in procedimenti a iniziativa di parte. Altrimenti non si comprenderebbe

perché, nella giurisprudenza in materia edilizia, il denunciante-proprietario limitrofo non acquisisca, per

ciò solo, la qualità di controinteressato nel processo44, essendo necessario, a tal fine, che il suo «diritto di

proprietà (…) risulti direttamente leso da un’opera edilizia abusiva»45. E, d’altro canto, sempre in materia

edilizia, si ribadisce spesso la non necessità di «una precisa corrispondenza tra il contenuto della denuncia

e l’atto di avvio del procedimento sanzionatorio» perché, comunque, i fatti esposti dal privato dovrebbero

«essere verificati d’ufficio, sotto il profilo della loro sussistenza e qualificazione giuridica»46.

Resta il fatto che, a rigore, nei procedimenti d’ufficio non vi dovrebbe essere spazio per valutazioni in

termini di “legittimazione procedimentale” del denunciante, in quanto, come si è detto, il potere assume

qui i connotati di un dovere e quest’ultimo è «situazione irrelata, ossia diretta alla tutela di interessi

generali, cui non corrispondono destinatari determinati e, quindi, diritti altrui»47. Insomma, mentre nei

procedimenti a istanza di parte la doverosità dell’azione amministrativa si trasforma in una obbligatorietà

nei confronti di qualcuno (l’istante), nei procedimenti d’ufficio il dovere nei confronti dell’ordinamento

(o dell’interesse pubblico) non si trasforma mai in un obbligo verso qualcuno.

Questo assetto sembra essere oggi confermato anche dalla lettera dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990:

se la doverosità riguardasse solo le vicende in cui vi è un cittadino istante ovvero un cittadino denunciante

legittimato sul piano della titolarità di una posizione soggettiva, allora il legislatore dovrebbe limitare il

dovere di procedere e di provvedere a queste vicende; e invece tale dovere riguarda qualunque

procedimento che, appunto, «debba essere iniziato d’ufficio».

Del resto, non mancano nel diritto vivente orientamenti, per così dire, “più ortodossi”. Per es., in materia

di concorrenza, il Consiglio di Stato riconosce dal 2004 che i terzi controinteressati possano impugnare i

cd. provvedimenti negativi, ossia quei provvedimenti con i quali l’Autorità antitrust archivia o rifiuta di

43 Così M. MONTEDURO, Sul processo come schema di interpretazione del procedimento: l’obbligo di provvedere su domande inammissibili o «manifestamente infondate», in Dir. amm., 2010, 103 ss. 44 Così, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2011, n. 3380. 45 Così, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2017, n. 2416, secondo il quale per l’attribuzione della qualifica di controinteressato processuale «non può ritenersi sufficiente la vicinitas, occorrendo invece la sussistenza di una diretta lesione, attuale o potenziale, della proprietà del terzo menzionato nell’atto per aver dato impulso con la sua denunzia al procedimento sanzionatorio». 46 Cfr., tra le più recenti, a mero titolo esemplificativo, Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 28 gennaio 2016, n. 569; in termini analoghi, Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 28 maggio 2015, n. 829. 47 Cfr. l’insegnamento di S. ROMANO, Doveri, obblighi, in Frammenti di un dizionario giuridico, 1947, 104.

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intervenire a fronte di una denuncia/segnalazione presentata da soggetti in varia misura interessati (quali,

per es., imprese concorrenti sullo stesso mercato che si ritengano lese da una presunta concentrazione o

intesa, o associazioni dei consumatori che reclamino un intervento dell’Autorità per inibire condotte

anticompetitive da parte degli operatori del mercato)48. Significativamente, in queste pronunce i giudici

amministrativi precisano che «il denunziante, in quanto tale, non è titolare di un interesse qualificato ad

un corretto esame della sua denuncia, ma lo diventa solo quando dimostra di essere portatore di un

interesse particolarmente differenziato, leso dalla mancata adozione del provvedimento repressivo».

Sicché, la sua legittimazione a ricorrere in sede giurisdizionale deriva «non dalla qualità di denunciante,

ma da quella di controinteressato»49. In altri termini, questa giurisprudenza ha ben chiaro che la

legittimazione processuale deriva, secondo le categorie generali, dal pregiudizio sostanziale (ossia,

collegato a un bene della vita) che al privato possa derivare dalle concrete scelte di esercizio (o non

esercizio) del potere50: ossia, che essa è del tutto indipendente dalla denuncia.

Allo stesso modo, pure in materia edilizia si ribadisce talora che «l’amministrazione, in via tendenziale,

non è legittimata a decidere liberamente l’an della sua azione, atteso che il riconoscimento di una potestas

agendi è direttamente correlato alla funzione strumentale del potere medesimo rispetto alla cura

dell'interesse pubblico, la cui rilevanza sul piano dell’ordinamento generale rende doverosa l’azione

amministrativa». Tuttavia, «non ogni atteggiamento omissivo può essere sottoposto al giudizio delibativo

del giudice amministrativo, ma solo quelli che, interferendo con posizioni legittimanti dei privati, recano

48 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3865, che ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo a una impresa concorrente avverso un provvedimento di autorizzazione in deroga rilasciato dall’Autorità antitrust ai sensi dell’art. 4, l. 10 ottobre 1990, n. 287 (caso Motorola). In termini analoghi, Cons. Stato, 3 febbraio 2005, n. 280, in tema di pubblicità ingannevole, che ha riconosciuto alle associazioni dei consumatori un interesse qualificato e differenziato e, dunque, certamente, giustiziabile, alla corretta informazione economica e alla libertà di determinazione nelle scelte di acquisto. Sul revirement segnato da tali pronunce cfr. A. SCOGNAMIGLIO, Interesse a ricorrere e criteri di qualificazione dell’interesse legittimo in una recente decisione del Consiglio di Stato, in Annali dell’Università del Molise, Campobasso 2005. 49 Così, più di recente, Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3751. Su questa giurisprudenza, condivisibili osservazioni in R. CHIEPPA, La tutela giurisdizionale dei controinteressati rispetto ai provvedimenti di archiviazione e di autorizzazione dell’Autorità Antitrust, in Concorrenza e mercato, 2004, 137 ss. 50 Cfr., per es., Tar Lazio (Roma), sez. I, 23 febbraio 2006, n. 1373: «Il mero status di consumatori non è (…) sufficiente all’emersione di un interesse differenziato da quello della collettività e comunque di un interesse concreto ad agire, per il quale occorre pur sempre che l’attore provi la necessità di ricorrere al giudice per evitare una lezione del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica (…). La funzione giurisdizionale, con assunto costantemente ribadito sia in sede di giurisdizione amministrativa che ordinaria, può in definitive legittimamente dispiegarsi solo qualora si ravvisi una lesione (attuale o potenziale) di una posizione giuridica di vantaggio presente nel patrimonio di chi agisce, e non già per perseguire l’interesse generale alla legittimità dell’azione amministrativa». Sottolinea la rilevanza della effettività e concretezza della lesione ai fini della individuazione dei legittimati al ricorso A. SCOGNAMIGLIO, Profili della legittimazione a ricorrere avverso gli atti delle Autotirà amministrative indipendenti, in Foro amm. CdS, 2002, 2245 ss.

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di per se stessi una lesione giuridicamente apprezzabile e, dunque, radicano un interesse concreto ed

attuale all’instaurazione di un giudizio cognitivo»51.

Ci si deve chiedere allora quale sia la ragione che spinge invece altra parte della giurisprudenza, sopra

richiamata, a ricercare nei procedimenti ufficiosi un “interesse differenziato” sul piano sostanziale in capo

a colui che presenta la denuncia/segnalazione.

Ebbene, l’impressione è che sottesa a tali orientamenti vi sia la consapevolezza che il cittadino si può

rivolgere alla pubblica amministrazione in un’ottica di tutela delle proprie posizioni soggettive. Ossia che

l’amministrazione, che qui si manifesta, secondo le categorie benvenutiane, nelle forme della cd.

autotutela sui rapporti (la quale si esprime mediante decisioni di condanna o mediante sanzioni e riguarda

quei casi in cui un soggetto estraneo all’amministrazione pone in essere un comportamento contrastante

con una pretesa o una attesa dell’amministrazione stessa)52, realizzi una forma di “giustizia” secondo la

nota intuizione dell’autotutela come funzione «materialmente giurisdizionale»53.

Solo in quest’ottica si può comprendere la richiesta della titolarità di un interesse differenziato anche in

procedimenti ufficiosi. In effetti, questi ultimi vengono in molti casi vissuti dalla giurisprudenza come

procedimenti a istanza di parte. Ma ciò, come si è detto, non tanto per riprodurre i caratteri di questi

ultimi, quanto, piuttosto, sul modello dei procedimenti giurisdizionali ai quali, altrimenti, il cittadino

dovrebbe fare ricorso.

Ben noto, in particolare, è stato il dibattito sulla tutela del terzo rispetto alla formazione del titolo edilizio

tramite denuncia di inizio attività. Era stato ampiamente notato che, a rigore, a fronte di un titolo edilizio

non espressivo di potere amministrativo, costui avrebbe dovuto rivolgersi al giudice ordinario per

ottenere giustizia nelle forme del risarcimento del danno54. Tutavia, come si è detto, è prevalsa in

giurisprudenza e, poi, per quel che più importa, nella stessa legislazione, una visione materialmente

giurisdizionale del procedimento “di riesame” della Scia che ha condotto a mettere a disposizione del

cittadino uno strumento più veloce ed economico, ossia la “denuncia qualificata” all’autorità

amministrativa.

Insomma, in queste vicende la denuncia del privato vale a tener luogo dell’esercizio dell’azione

giurisdizionale e al modello di quest’ultima, naturalmente, si ispira.

51 Così Tar Campania, Napoli, sez. II, 11 ottobre 2010, n. 18387. 52 Cfr. F. BENVENUTI, Autotutela (diritto amministrativo), in Enc. dir., IV, 1959, 537 ss., ora in ID., Scritti giuridici, II, Articoli e altri scritti (1948-1959), 1781 ss. 53 F. BENVENUTI, op. ult. cit., 1789. 54 Cfr. L. FERRARA, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia sotitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996; E. BOSCOLO, I diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, 2001. Per una sintesi di queste letture e per ulteriori riferimenti cfr. A. TRAVI, Silenzio-assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi controinteressati, in Dir. proc. amm., 2002, 16 ss.

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Sempre in quest’ottica, allora, non sembra privo di interesse il fatto che la giurisprudenza stessa talora

espliciti come il fondamento del dovere di provvedere a fronte della denuncia del privato sia da

individuare in «ragioni di giustizia e di equità» che imporrebbero all’amministrazione di attivarsi anche al

di là dei casi espressamente previsti dalla legge o dei casi in cui la posizione del denunciante è comunque

“differenziata” 55.

4. I limiti tradizionalmente opposti alla ammissibilità dell’azione contro il silenzio

inadempimento in materia di annullamento d’ufficio: considerazioni critiche

Da quanto si è sin qui detto, emerge un innegabile contrasto tra l’evoluzione che ha interessato la gran

parte dei procedimenti ufficiosi nel nostro ordinamento e la situazione che tutt’ora caratterizza

l’annullamento d’ufficio. A ben vedere, se confrontata con lo “stato” complessivo dell’ordinamento, la

visione diffusa e singolare di quest’ultimo come potere del tutto facoltativo e incoercibile, il cui esercizio

dipenderebbe da una valutazione ampiamente discrezionale coinvolgente lo stesso agere della pubblica

amministrazione, appare ancora più ingiustificabile.

Non a caso, si direbbe, la giurisprudenza qualifica tale potere come «di merito», «riservato esclusivamente

all’amministrazione e incoercibile»56. Ossia, ne fa un potere del tutto arbitrario nell’an.

Volendo analizzare gli argomenti che tradizionalmente vengono addotti a sostegno della suddetta natura

dell’annullamento d’ufficio, occorre innanzitutto confrontarsi con l’affermazione, comunemente ripetuta,

che, dato il carattere discrezionale del potere in esame, nei confronti dello stesso i privati non potrebbero

vantare un interesse differenziato suscettibile di tutela procedimentale e processuale. In altri termini, la

tesi “classica” è che in questa ipotesi i privati sarebbero portatori di un interesse di mero fatto non

protetto dall’ordinamento e, dunque, non idoneo né ad aprire il rapporto procedimentale con

l’amministrazione, né a fondare la legittimazione a contestare l’inerzia della stessa in sede processuale.

Ebbene, una tale tesi appare, francamente, incomprensibile: non vi è dubbio, infatti, che chi chiede

l’annullamento d’ufficio di un atto che lo danneggia sia titolare di un interesse legittimo. Ciò è confermato

dalla stessa giurisprudenza la quale, nonostante affermi che il cittadino non può pretendere una risposta

sulla sua istanza di annullamento d’ufficio, da tempo riconosce, contraddittoriamente, che il diniego

espresso e motivato di annullamento d’ufficio si confronta invece con l’interesse legittimo pretensivo del

55 Così, ex multis, Tar Emilia Romagna, Parma, sez. I, 10 novembre 2011, n. 399, riguardante l’inerzia serbata da un Comune a fronte di una diffida presentata da alcuni residenti che chiedevano la riconduzione dei valori di inquinamento acustico entro i limiti di legge. 56 Così, da utlimo, Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017, n. 611, cit.

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richiedente il quale è, dunque, ritenuto certamente legittimato all’impugnazione di tale scelta57. Simile

impostazione denuncia la consapevolezza, da parte dei giudici amministrativi, che una posizione

soggettiva differenziata e qualificata in realtà esiste a fronte del potere di annullamento d’ufficio (visto

che esso, come è noto, è idoneo a causare un pregiudizio o un vantaggio concreto e attuale).

Diversamente, occorrebbe ammettere che l’interesse legittimo nasca solo dalla risposta

dell’amministrazione e, dunque, non sia preesistente rispetto all’esercizio del potere. Tuttavia, tale

ricostruzione appare in diretto contrasto non solo con la visione generale dell’interesse legittimo come

posizione giuridica sostanziale, ma altresì con precisi dati di diritto positivo derivanti dalla stessa Carta

costituzionale.

Infatti, da tempo è stato notato che l’art. 24 Cost., riconoscendo e garantendo la tutela giurisdizionale dei

diritti soggettivi e degli interessi legittimi, ha parificato sotto questo profilo le due posizioni giuridiche e

ne ha affermato implicitamente la preesistenza rispetto alla tutela giurisdizionale58. Il che significa che non

è la tutela giurisdizionale a creare l’interesse legittimo, ma è l’interesse legittimo a reclamare la tutela

giurisdizionale59.

Tale interesse, dunque, ha un carattere sostanziale60 e non ha più spazio la pure autorevole tesi per cui

esso avrebbe una consistenza solo processuale, cioè di mero strumento di legittimazione al ricorso

giurisdizionale61.

57 Cfr., in tal senso, la nota decisione del Cons. Stato, 24 settembre 1941, n. 304, in Foro amm., I, 1942, 1 ss., annotate da P. BODDA, Sull’obbligo di annullare d’ufficio o su denunzia gli atti amministrativi legittimi, che, dopo avere statuito che «l’amministrazione non è tenuta a motivare il provvedimento negativo, col quale deliberi, in presenza di una denuncia dell’interessato, di non voler esplicare il proprio potere di annullamento», precisava però che «se il provvedimento viene motivato, le ragioni esposte sono, come ogni altra, sindacabili in sede giurisdizionale». 58 Cfr., per tutti, V. BACHELET, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966, 18, il quale, guardando agli art. 24 e 113 Cost., evidenziava, tra l’altro, che «la Costituzione ha accolto la interpretazione prevalente della figura degli interessi legittimi come situazioni soggettive sostanziali, ed esclude invece ogni possibilità di interpretazione dei medesimi come situazioni meramente processuali o meramente strumentali alla realizzazione dell’interesse pubblico». 59 A. TRAVI, Gli art. 24 e 113 Cost. come principi unitari di garanzia, in Foro it., 2011, V, 165 ss. 60 Cfr., sul punto, G. MIELE, Questioni vecchie e nuove in materia di distinzione del diritto dall’interesse nella giustizia amministrativa, in Foro amm., 1940, oggi in Scritti giuridici, I, Milano, 1987, 275 ss. La tesi della natura sostanziale dell’interesse legittimo è poi stata compiutamente sviluppata da M. NIGRO, Ma che cos’è questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470 ss.; e da F.G. SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990. Di quest’ultimo A., cfr., più di recente, Attualità dell’interesse legittimo?, in Dir. proc. amm., 2011, 379 ss., nonché, Recours pour excès de pouvoir e ricorso al giudice amministrativo. Stesse radici, simili problem, soluzioni diverse, ibidem. 2013, 1 ss. L’A. è infine ritornato su questi temi nel volume L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, ove si ritrova anche una compiuta ricostruzione del passaggio da una visione formalistica a una visione sostanzialistica dell’interesse legittimo. Per una recente e compiuta ricostruzione del pensiero di M. Nigro cfr. M. RAMAJOLI, Lo statuto del provvedimento amministrativo a vent’anni dall’approvazione della legge n. 241/1990, ovvero del nesso di strumentalità triangolare tra procedimento, atto e processo, in Dir. proc. amm., 2010, 458 ss. 61 Si tratta della nota tesi di E. GUICCIARDI, esposta per la prima volta nel saggio Concetti tradizionali e principia ricostruttivi nella giustizia amminsitrativa, in Arch. dir. pubbl., 1937, 51 ss., e successivamente ripresa in Studi di giustizia aministrativa, Torino, 1967, 1 ss. Ampi riferimenti e una rivisitazione in chiave critica della teoria di Guicciardi si

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D’altra parte, la visione sostanziale dell’interesse legittimo è oramai data per presupposta anche nella

legislazione.

Basti pensare alla legge sul procedimento amministrativo che tutela il cittadino a fronte del farsi del potere

e, quindi, ben prima dell’eventuale fase giurisdizionale62. Né si potrebbe ritenere che tale tutela

dell’interesse legittimo, in quanto preesistente agli atti della pubblica amministrazione, subisca un

affievolimento a fronte dell’inerzia amministrativa: oramai è lo stesso art. 7 del Codice del processo

amministrativo a parlare di controversie «concernenti l’esercizio e il mancato esercizio del potere» come

ambito naturale della giustizia amministrativa.

Volendo sforzarsi di comprendere, allora, quale sia il retroterra culturale della singolare impostazione

secondo la quale a fronte di un potere ufficioso e discrezionale non vi potrebbero essere interessi

differenziati suscettibili di essere lesi, si potrebbe ricordare la posizione sostenuta dalle Sezioni Unite della

Cassazione in una nota pronuncia degli anni Sessanta, concernente l’esercizio del potere di contrasto agli

abusi edilizi. Nel caso di specie, la Suprema Corte aveva statuito che «Il privato non è (…) titolare di un

interesse occasionalmente protetto all’esercizio di quel potere, perché non può ravvisarsi la lesione di un

interesse pubblico che l’amministrazione non abbia riscontrato, e tanto meno può indicare come idoneo

alla tutela di quell’interesse un provvedimento determinato»63.

È quasi superfluo chiosare che una tale impostazione, peraltro già al tempo non condivisa dal Consiglio

di Stato e, d’altro canto, incisivamente criticata da autorevole dottrina64, si pone oggi in radicale contrasto

non solo con lo stato di evoluzione del diritto vivente, ma anche con precise scelte legislative che lo

hanno codificato.

Ai sensi dell’art. 31 c.p.a. del codice del processo amministrativo, infatti, la violazione del dovere di

risposta è sempre giustiziabile, anche rispetto a procedimenti discrezionali: tale norma si limita a

specificare che può essere richiesto al giudice di «pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in

possono leggere in F. VOLPE, Norme di relazione, norme d’azione e Sistema italiano di giustizia amministrativa, Padova, 2004. 62 Sul procedimento come luogo di emersione degli interessi e come strumento essenziale di garanzia del privato nei confronti del potere amministrativo cfr., per tutti, F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1950, 1 ss., ora in ID., Scritti giuridici, II, Articoli e altri scritti (1948/1959), Milano, 2006, 1117 ss.; e, successivamente, il fondamentale e innovativo lavoro di G. PASTORI, Introduzione generale, in ID., La procedura amministrativa, Milano, 1964, ora in ID., Scritti scelti, I, (1962-1991), Napoli, 2010, 81 ss. Di quest’ultimo A. cfr., inoltre, almeno, Procedimento amministrativo tra vincoli formali e regole sostanziali, in AA. VV., Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, a cura di U. Allegretti, A. Orsi Battaglini, D. Sorace, Rimini, 1987, II, 805 ss., ora in ID., Scritti scelti, I, (1962-1991), cit., 361 ss. Su questi temi è poi imprescindibile anche il richiamo a G. BERTI, Procedimento, procedura, partecipazione, in Studi in memoria di E. Guicciardi, Padova, 1975, 779 ss. 63 Cfr. Corte di Cassaz., sez. un. civ., 18 luglio 1961, n. 1746, in Foro it., 1961, I, 1672. 64 Cfr. Cassaz., sez. un., 18 luglio 1961, n. 1746, in Foro it., 1961, I, 1672 ss., con nota critica di M. NIGRO, L’art. 32 della legge urbanistica e l’individuazione degli interessi legittimi, ibidem, 1962, I, 83 ss.

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giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di

esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti

dall’amministrazione». Negli altri casi, tuttavia, è possibile richiedere quantomeno l’accertamento

dell’obbligo in astratto di provvedere e, quindi, non è posta in discussione la doverosità di fornire una

risposta (quale che sia) e la ricorribilità in giudizio contro il relativo inadempimento65.

Insomma, se è vero che a fronte dell’annullamento d’ufficio una posizione soggettiva differenziata c’è,

pure in questo caso, analogamente a quanto accade con riferimento ad altre vicende, andrebbe

riconosciuto il carattere giuridicamente rilevante della denuncia del cittadino: ossia, occorrerebbe

ammettere che tale denuncia rende doverosa l’instaurazione del procedimento in vista dell’annullamento

d’ufficio e legittima il denunciante-istante ad agire in giudizio contro l’inerzia della p.a.

Del resto, la stessa giurisprudenza ha talora ammesso come sussista un dovere dell’amministrazione di

dare riscontro a chi solleciti l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, ove la relativa “istanza” sia

proposta prima della decorrenza del termine previsto per l’impugnazione giurisdizionale66. Il che

dimostra, ancora una volta, che una posizione soggettiva “meritevole di tutela” qui senza dubbio esiste.

Come già notato in dottrina (e come si è anticipato in apertura del presente lavoro), la vera ragione che

induce a trattare l’annullamento d’ufficio in modo diverso rispetto alla generalità dei procedimenti

ufficiosi, è allora di ordine diverso, ossia è di tipo “processuale”: essa consiste nel timore che, imponendo

all’amministrazione un obbligo di riscontrare l’istanza di riesame (anche se proposta oltre il termine

previsto per il ricorso giurisdizionale) e (conseguentemente) ammettendo l’impugnazione, da parte del

privato, dell’inerzia da essa mantenuta, si determinerebbe una sistematica elusione dei termini

decadenziali di impugnazione del provvedimento di primo grado67.

65 Sul punto F. FRACCHIA-M. OCCHIENA, Art. 31. Azione verso il silenzio e declaratoria di nullità, in R. Garofoli-G. Ferrari (a cura di), Codice del processo amministrativo (D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), 517 ss., 522. 66 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2006, n. 6056, che ha ritenuto «sussistente l’obbligo di pronunciare sull’istanza di riesame», dal momento che la stessa appariva «esente dall’intento di eludere la decadenza dall’impugnazione del diniego emesso dal Comune (…), in quanto proposta in pendenza del termine per proporre ricorso»; successivamente, le medesime argomentazioni sono state riprese, per es., da Tar Piemonte, sez. I, 30 luglio 2009, n. 2125 (su questa giurisprudenza cfr. F. FIGORILLI- M. RENNA, sub art. 2 l. n. 241 del 1990, in Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, a cura di A. Bartolini, S. Fantini, G. Ferrari, Roma, 2010, 105 ss.). Tale orientamento non costituisce però una costante: in senso opposto si è, per es., espresso Tar Roma, Lazio, 16 dicembre 2015, n. 14162. 67 Cfr. M. MAZZAMUTO, L’amministrazione senza provvedimento: la “SCIA”, cit. Peraltro, l’inoppugnabilità non costituisce in sé un limite assoluto, come è dimostrato dalla giurisprudenza che talora ammette, per es., in presenza di un mutamento della situazione di fatto o di diritto, o di grave ed evidente errore dell’amministrazione, la possibilità per quest’ultima di annullare d’ufficio un provvedimento anche se oramai inoppugnabile: per riferimenti, M. IMMORDINO, Risarcimento del danno e obbligo della pubblica amministrazione di annullare un proprio atto inoppugnabile su istanza del privato interessato, in S. Perongini (a cura di), Al di là del nesso autorità-libertà: tra legge e amministrazione, Torino, 2017, 255 ss., 262; nonché, F. FIGORILLI- M. RENNA, sub art. 2 l. n. 241 del 1990, cit. Sul punto anche N. PAOLANTONIO, Provvedimento in forma semplificata, doverosità della funzione ed esigenza di motivazione, in Giustamm.it, n.

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In realtà, appare lecito dubitare innanzitutto della correttezza della premessa sulla quale si fonda questo

argomento, ossia che all’annullamento d’ufficio si applichi, in via analogica, lo stesso termine decadenziale

previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi in sede giurisdizionale.

Infatti, occorre considerare, da un lato, che l’annullamento d’ufficio è oggi assogettato a un compiuto

regime positivo dettato dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990: in base a tale disposizione, il potere

in esame deve essere esercitato nel termine di 18 mesi68, ove ricorrano provvedimenti «autorizzatori e

attributivi di vantaggi economici» e, nelle altre ipotesi, entro un termine che il legislatore si limita a definire

come «ragionevole», senza dunque operare direttamente (né lasciare spazio interpretativo per) alcun

avvicinamento con il regime ordinariamente previsto per l’impugnazione degli atti amministrativi di

fronte al giudice.

D’altro canto, al di là della sostanziale coincidenza, sul piano materiale, degli effetti dell’annullamento

posto in essere dall’amministrazione e di quello disposto dal giudice, non si può dimenticare che

l’annullamento d’ufficio è però profondamente diverso dall’annullamento giurisdizionale sotto il

fondamentale profilo delle chances di accoglimento dell’una e dell’altra domanda69: esso richiede infatti una

valutazione sia degli interessi pubblici sostanziali, sia degli interessi dei privati che sono correlati al

provvedimento illegittimo. Viceversa, l’annullamento giurisdizionale è un potere vincolato, subordinato

al solo accertamento del presupposto dell’illegittimità.

Di conseguenza, appare francamente difficile ipotizzare una elusione del termine decadenziale di

impugnazione giurisdizionale da parte di un cittadino che prescelga un rimedio, quale l’annullamento

d’ufficio, profondamente diverso e, tra l’altro, nel complesso certamente meno “sicuro”, rispetto a quello

il cui regime decadenziale sarebbe, in tesi, eluso. Nel caso dell’annullamento d’ufficio, infatti, pure a fronte

di una pacifica illegittimità, non vi è «un obbligo di dare alla decisione il contenuto richiesto dall’istante,

rimanendo […] integra la discrezionalità dell’amministrazione quanto al contenuto della scelta»70.

12/2016, per il quale in linea di principio «l’inoppugnabilità, categoria di dubbia fondatezza teorica, non è d’ostacolo ad una rinnovazione del potere», sia pure solo «a condizione che siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto». 68 Su tale previsione, oltre agli A. citati alla nota 9, cfr. inoltre, senza pretesa di completezza, M. MACCHIA, Sui poteri di autotutela: una riforma in senso giustiziale, in La riforma della pubblica amministrazione, in Giorn. dir. amm., 2015, 634 ss.; A. CARBONE, Il termine per esercitare l’annullamento d’ufficio e l’inannullabilità dell’atto amministrativo, in A. Rallo-A. Scognamiglio (a cura di), Procedimento amministrativo ed attività produttive ed imprenditoriali, Napoli, 2016, 85 ss., 92 ss.; G. TROPEA, La discrezionalità amministrativa tra semplificazioni e liberalizzazioni, anche alla luce della legge n. 124 del 2015, in Dir. amm., 2016, 106 ss., spec. par. 7; C. DEODATO, Il potere amministrativo di riesame per vizi originari di legittimità, in Federalismi.it, n. 7/2017, 1 ss.; A. GUALDANI, Il tempo nell’autotutela, in Federalismi.it, 14 giugno 2017. 69 Si tratta del resto di differenza nota da tempo: sul punto, ampie riflessioni in G. CODACCI-PISANELLI, L’annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939. Spec. 149 ss. 70 Così, puntualmente, M. IMMORDINO, Risarcimento del danno e obbligo della pubblica amministrazione di annullare un proprio atto inoppugnabile su istanza del privato interessato, cit., 261-262, la quale dunque esclude che si possa parlare di «elusione del termine decadenziale di impugnazione del primo provvedimento».

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In altri termini, laddove decida di percorrere la strada dell’annullamento d’ufficio, il cittadino sa di affidarsi

a uno strumento significativamente “meno protettivo”, perché il risultato a cui egli mira è subordinato

non solo al riscontro della illegittimità del provvedimento, ma anche a valutazioni dell’amministrazione.

E queste ultime, a loro volta, sono sindacabili solo nei limiti dell’eccesso di potere.

Ciò significa che, di regola, l’intrinseco della scelta discrezionale dell’amministrazione (ossia l’eventuale

diniego di annullamento d’ufficio giustificato sotto il profilo della sussistenza dell’interesse pubblico) non

verrà comunque sindacato. Quindi, anche sotto questo profilo, non appare condivisibile l’affermazione

che l’impugnazione del diniego (espresso o implicito) di annullamento d’ufficio consentirebbe di “riaprire

il termine”, già decorso, per l’impugnazione del provvedimento di primo grado.

Alla descritta diversità sostanziale tra i due rimedi si aggiunge poi il fatto che, anche sotto il profilo delle

garanzie procedimentali, l’annullamento d’ufficio è senza dubbio uno strumento più imperfetto perché

non assicura certo la parità delle armi e l’indipendenza del decisore che sono, viceversa, sempre garantite

in sede giurisdizionale.

D’altro canto, non esiste alcun principio generale che vieti la possibilità di offrire al cittadino due rimedi

cumulativi (e consecutivi) per contestare l’esercizio illegittimo dell’azione amministrativa: basti pensare

alla disciplina del ricorso amministrativo ordinario che non è affatto basata su un criterio di alternatività

con il ricorso giurisdizionale, ma anzi, con quest’ultimo concorre.

Infine, non sembra senza significato il fatto che, in materia di Scia, sia oggi espressamente prevista la

possibilità di contestare in sede giurisdizionale il mancato esercizio di poteri ufficiosi che trovano il loro

presupposto nelle «condizioni di cui all’art. 21-nonies». In specie, l’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del

1990, dopo avere previsto che l’amministrazione che lasci decorrere inutilmente il termine di 60 giorni (o

di 30 giorni in caso di Scia in materia edilizia) fissato per l’adozione di «motivati provvedimenti di divieto

di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa», ha ancora la possibilità

di intervenire con i provvedimenti suddetti «in presenza delle condizioni di cui all’art. 21-nonies»71,

ammette altresì, come si è detto, che gli interessati possano «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti

all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31 commi 1, 2 e 3

del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.

Con il ché, anche a prescindere dalla natura del potere di cui all’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del

1990 (ossia, a prescindere dal fatto che si tratti di autotutela in senso proprio oppure, come talora

71 «Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal comma 3 in presenza delle condizioni di cui all’art. 21-nonies».

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suggerito in giurisprudenza, ancora di un potere di vigilanza72), appare indiscutibile (e molto rilevante,

anche in un’ottica sistematica) che l’esercizio di un potere di intervento ricondotto all’annullamento

d’ufficio (come denota l’espresso richiamo all’art. 21-nonies)73 viene poi reso certamente doveroso (almeno

quanto all’instaurazione del procedimento), perché soggetto all’azione avverso il silenzio inadempimento.

Detto altrimenti, il dato positivo ritiene oggi compatibile con il paradigma legislativo dell’art. 21-nonies

una forma di autotutela doverosa nell’an.

Tra l’altro, lo stesso art. 21-nonies, come da ultimo modificato, laddove prevede una responsabilità dei

funzionari pubblici connessa, tra l’altro, al «mancato annullamento» di un provvedimento illegittimo,

introduce alcuni elementi di doverosità (a dire il vero, non soltanto nell’an74) del potere in esame: non a

72 Cfr., per es., Tar Veneto, sez. II, 12 ottobre 2015, n. 1038, ove si legge che «poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve poi svolgersi in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio». Analogamente, Tar Basilicata, sez. I, 8 luglio 2015, n. 390, evidenzia che: «Invero, l'istanza formulata ai sensi di tale ultima disposizione (art. 31, cc. 1, 2 e 3, c.p.a.) da chi abbia interesse alla adozione delle misure inibitorie dell'attività oggetto di d.i.a. o s.c.i.a., determina un obbligo di provvedere diverso ed autonomo rispetto a quello, di carattere officioso, di procedere al controllo previsto dal n. 3 dello stesso articolo 19, che sorge per effetto della mera presentazione della s.c.i.a. o della d.i.a. La presentazione dell'istanza obbliga pertanto l'amministrazione ad attivare un procedimento di controllo che deve indefettibilmente sfociare in un provvedimento espresso il quale, diversamente dal silenzio non attizio con cui si chiude il procedimento officioso delineato dall'art. 19, n. 3, ben può essere impugnato dall'interessato». 73 Ammette che si applichino le condizioni di cui all’art. 21-nonies anche A. TRAVI, La tutela del terzo nei confronti della d.i.a. (o della s.c.i.a.): il codice del processo amministrativo e la quadratura del cerchio, in Il foro it., 2011, III, 517 ss., il quale evidenzia che «Fin nella prima fase applicativa, l’adunanza generale sostenne che la verifica, da parte dell’amministrazione, della regolarità della d.i.a. avesse carattere di doverosità; precisò, però, che la verifica di una eventuale irregolarità non avrebbe comportato l’obbligo per l’amministrazione di vietare la prosecuzione dell’attività, dovendosi applicare i canoni sull’autotutela (Cons. Stato, ad. gen. 6 febbraio 1992, n. 27). Gli interventi legislativi più recenti sembrano aver seguito proprio questo indirizzo. La disposizione processuale, pertanto, non tramuta la disciplina sostanziale e non rende “doveroso” l’esercizio del potere inibitorio, una volta che sia scaduto il termine perentorio. Comporta invece che, se l’amministrazione non compie le verifiche richieste, il terzo che le abbia sollecitate può agire in giudizio, con le modalità previste per l’azione nei confronti del silenzio, per ottenere l’effettuazione di tali verifiche. E se in esito ad esse accerta una irregolarità, l’amministrazione deve procedere a tutte le conseguenti valutazioni: ciò non significa, però, che debba adottare comunque una misura inibitoria, perché, se non ricorrono le condizioni stabilite dall’art. 21-nonies l. 241/1990, l’amministrazione può non adottarla, fermo restando la necessità di provvedere motivatamente». In argomento anche F. LIGUORI, Le incertezze degli strumenti di semplificazione: lo strano caso della d.i.a.-s.c.i.a., in Dir. proc. amm., 2015, 1223 ss., il quale, peraltro, manifesta perplessità rispetto alla configurabilità di un inadempimento giustiziabile rispetto a un potere sottoposto alla medesima disciplina di cui all’art. 21-nonies. Cfr., inoltre, M. SINISI, La nuova azione amministrativa: il “tempo” dell’annullamento d’ufficio e l’esercizio dei poteri inibitori in caso di s.c.i.a. Certezza del diritto, tutela dei terzi e falsi miti. Riflessioni a margine della legge 7 agosto 2015, n. 124, in Federalismi.it, 23 dicembre 2015, 11. Del resto, va ricordato che da sempre la più avvertita dottrina ha inquadrato nell’ambito dell’autotutela il potere di intervento ex post dell’amministrazione sulle denunce di inizio attività: cfr., per tutti, V. CERULLI IRELLI, Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazioni, in Dir. amm., 1993, 61 ss., e A. PAJNO, Gli articoli 19 e 20 della legge n. 241, prima e dopo la legge 24 dicembre 1993, n. 537. Intrapresa dell’attività privata e silenzio dell’amministrazione, in Dir. proc. amm., 1994, 47 ss. 74 In tal senso F. FRANCARIO, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 19 aprile 2017, 22, il quale rileva che «Se il mancato annullamento è fonte di responsabilità, è evidente che in tal modo si

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caso, la previsione è stata sin da subito individuata in dottrina come possibile elemento di rottura del

sitema75.

5. Conclusioni: l’annullamento d’ufficio da misura di autotutela a strumento di “tutela”

L’intuizione di Santi Romano per cui l’annullamento d’ufficio è atto di “autotutela” in quanto

all’amministrazione (diversamente da tutti gli altri soggetti dell’ordinamento) è data la possibilità di non

rivolgersi al giudice per ottenere l’annullamento di provvedimenti amministrativi76, invita a riflettere

sull’opportunità di un passaggio, si potrebbe dire, “dalla autotutela alla tutela”.

Si intende dire che in un sistema democratico in cui l’amministrazione è al servizio dei cittadini (art. 98

Cost.), va superata una visione strettamente unilaterale dell’autotutela decisoria. Come si è mostrato,

infatti, la concezione attuale dell’annullamento d’ufficio, quale emerge dalle ricostruzioni giurisprudenziali

dominanti, è ancora quella di un potere rispetto al quale l’interesse del privato è del tutto esterno (dunque,

non tutelato) e, comunque, tende a essere schiacciato dalla «convenienza dell’amministrazione»77.

Tuttavia, appaiono maturi i tempi per superare l’idea che tale istituto serva essenzialmente a garantire

l’interesse della p.a. in quanto tale78, rendendole più facile e immediata la possibilità di eliminare i propri

atti illegittimi, senza alcuna (o, comunque, estremamente limitata) attenzione per l’interesse del cittadino

che tale illegittimità subisce.

Evidenti sarebbero, d’altra parte, i vantaggi in termini di riduzione del contenzioso giurisdizionale e dei

relativi costi, diretti e indiretti, se il cittadino potesse fare affidamento su uno strumento serio di

“risoluzione delle controversie” con la pubblica amministrazione o, comunque, su un mezzo che

qualifica come doveroso l’esercizio del potere di autotutela e si ritiene che vi sia quindi un obbligo di provvedere in tal senso». 75 Sul punto cfr. P.L. PORTALURI, Note sull’autotutela dopo la legge 164/14 (qualche passo verso la doverosità?), in M.A. Sandulli (a cura di), Gli effetti del decreto-legge Sblocca Italia convertito nella legge 164/2014 sulla legge 241/1990 e sul Testo Unico dell’edilizia, in Riv. giur. ed., suppl. al fascicolo n. 6/2014, 21 ss.; G. LIGUGNANA, I percorsi dell’autotutela tra discrezionalità e certezza delle situazioni giuridiche, dattiloscritto, la quale rileva la difficoltà di «conciliare una responsabilità per mancato annullamento con la discrezionalità che tuttora caratterizza questo tipo di provvedimento»; S. TUCCILLO, Autotutela: potere doveroso?, in Federalismi.it, spec. 7, che, riprendendo la tesi esposta nel volume Contributo allo studio della funzione amministrativa come dovere, cit., 173 ss., sostitene che la previsione andrebbe nel senso di rendere doveroso nell’an l’annullamento d’ufficio. 76 Cfr. S. ROMANO, Annullamento (Teoria dell’) nel diritto amministrativo, in Nuovo dig. it., 1937, 473 ss., 475: «Di autotutela può parlarsi in quanto i privati, di regola, per fare annullare un atto, è necessario che si rivolgano all’Autorità competente, mentre le pubbliche amministrazioni possono ciò fare direttamente, salvi i controlli cui vanno soggette siffatte loro pronunce». 77 Secondo l’espressione di B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo, III, Padova, 1993, 356 ss. 78 Pe riprendere ancora le parole di Santi Romano, op. ult. cit., 475, «la pubblica amministrazione (…) non pronuncia l’annullamento per l’imparziale tutela del diritto oggettivo, ma solo se e quando questa tutela sia un’esigenza della specifica funzione amministrativa che le è affidata o, almeno, non sia contraria ai propri interessi».

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consenta di emendare i vizi di un atto amministrativo in una fase che non sia necessariamente quella

processuale79.

Come si è notato, dati i caratteri prevalentemente discrezionali dell’annullamento d’ufficio come

disciplinato dall’art. 21-nonies, il cittadino non può avere alcuna certezza quanto all’effettivo auto-

annullamento dell’atto illegittimo.

Tuttavia, egli può e deve essere certo del fatto che la sua istanza verrà almeno, seriamente, considerata.

In questo senso, il riconoscimento del carattere doveroso del procedimento di annullamento d’ufficio

rappresenterebbe un essenziale momento di passaggio in vista di un uso “giustiziale” di tale strumento80.

Insomma, aderendo all’ipotesi qui proposta, in coerenza con una già acquisita visione giurisprudenziale

di taluni procedimenti d’ufficio come strumenti di tutela a fronte di una denuncia-istanza proposta dal

titolare di una posizione giuridica lesa, troverebbe pieno compimento la felice intuizione di Feliciano

Benvenuti che, pur muovendosi ancora in una prospettiva per molti versi tradizionale, vedeva

nell’autotutela decisioria un mezzo di risoluzione dei conflitti81; e, d’altro canto, l’annullamento d’ufficio

verrebbe a collocarsi come strumento non più di privilegio, ma capace di attuare la visione costituzionale

di un’amministrazione autenticamente democratica e partecipata.

79 Sul punto cfr. le puntuali considerazioni di G.D. COMPORTI, Autotutela della pubblica amministrazione – Prove di resistenza in tema di autotutela della pubblica amministrazione, in Giur. it., 2017, 180 ss., il quale rileva la necessità di «un aggiornamento dei consolidati schemi interpretativi che ancora affollano la materia, lungo una traiettoria che porta ad individuare nell’“invito all’autotutela” la cifra distintiva di un mutamento di prospettiva decisivo dall’interno all’esterno di quello “snodo delicatissimo” che lega i distinti momenti dell’esercizio e del riesercizio del potere amministrativo». 80 Uso giustiziale che, come evidenziato in dottrina, sembra essere auspicato anche dall’ordinamento laddove prevede, all’art. 30, c. 3, secondo inciso, del Codice del processo amministrativo, che «Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti»: sul punto cfr. M. IMMORDINO, Risarcimento del danno e obbligo della pubblica amministrazione di annullare un proprio atto inoppugnabile su istanza del privato interessato, cit., 255, 266. Per l’intuizione che «le istanze di riesame costituiscono una forma, non istituzionalizzata e non disciplinata espressamente ex lege, di alternative dispute resolution (a..d.r.), mediante la quale il soggetto ipoteticamente leso da un provvedimento illegittimo tenta di comporre la controversia nascente con l’amministrazione in via stragiudiziale e preventiva, sollecitando il ritiro del provvedimento illegittimo in funzione anticipatoria rispetto alla possibile sentenza del giudice amminsitrativo» cfr. A. CASSATELLA, Una nuova ipotesi di annullamento doveroso?, in Foro amm. Tar, 2010, 810 ss., nt. 2. 81 F. BENVENUTI, Autotutela (diritto amministrativo), cit.