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MARIO DELLA MEA La Certosa di Vigodarzere LA CERTOSA RRESSOPADOVA 1976 A CURA DEL LIONS CLUB DI CAMPOSAMPIERO

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MARIO DELLA MEA

La Certosa

di Vigodarzere

LA CERTOSA RRESSOPADOVA

1976

A CURA DEL LIONS CLUB DI CAMPOSAMPIERO

MARIO DELLA MEA

La Certosa

di Vigodarzere

rilievi degli architetti Vasco Camporese e Luciano Salandin apparati storici e filologici di Giovanni Toniato

fotografie di Giorgio Graziati

e

quattro disegni di Galeazzo Viganò

1976

A CURA DEL LIONS CLUB DI CAMPOSAMPIERO

di questo volume

sono state tirate 1024 copie

per i tipi di

A. Bolzonella stampatore in Padova

su carta Rusticus della cartiera Ventura di Milano

Esemplare

n. 372

Pubblicazione a cura del Lions Club di Camposampiero nell'ambito del service 1975-76 in favore di una politica

per la salvaguardia dei beni culturali.

LA (fERTOSA PRESSO PADOVA

Ora che gruppi sempre più numerosi di cittadini ma­nifestano crescente interesse verso la conoscenza del patri­monio culturale del passato, l'opinione pubblica comincia a prendere coscienza degli annosi ed irrisolti problemi che la tutela e la salvaguardia dei nostri beni artistici compor­tano. È in questo nuovo contesto culturale che nel Veneto una cerchia sempre maggiore di persone sensibili, anche se non propriamente addette ai lavori, si viene interessando ai magistrali studi di Fiocco, di Bettini, di Pallucchini e de­gli allievi delle loro scuole e che si assiste ad un rinnovato interesse per il consolidamento ed il restauro di opere che incuria degli uomini e danni del tempo stanno condannan­do alla rovina. In particolare, per quanto attiene al Cin­quecento padovano, il pubblico è venuto scoprendo quella ricca architettura «minore» che ben merita di esser affian­cata alle maggiori costruzioni descritte nei trattati o ricor­date nei breviari; così, entro il perimetro delle mura cin­quecentesche, agli edifici Cornaro del Falconetto, alla Ba­silica di Santa Giustina del Moroni, al Cortile Vecchio del­l'Università (Sansovino?, Moroni?, Tiziano Minio? ) i pa­dovani e i turisti meno affrettati cominciano ad affiancare i nomi, fino a ieri poco noti, di Palazzo Zacco, Casa di Giu­lio Fedele, Oratorio di Santa Barbara e Corte di Marco Lando; così, nel territorio extraurbano, alle costruzioni del Falconetto (Luvigliano ed Este), del Sansovino (Ponte­casale) e del Palladio (Piombino e Montagnana) le meno note villa Roberti di Brugine, villa Duodo di Monselice e villa Molin della Mandriola.

Da questo recupero culturale è rimasta finora defilata la Certosa di Vigodarzere che pure è uno dei più ragguar­devoli monumenti del Rinascimento a Padova, complessa

cittadella che per caratteristiche di pianta, di volumi, di decorazioni ben testimonia di quell' originale gusto pado­vano che il cenacolo di Alvise Cornaro aveva contribuito a far maturare - e cui non fu insensibile lo stesso Palla­dio -, proprio a Padova mediando la propensione rigida­mente dottrinaria della cultura veneta di terraferma con le aperture realistiche, pragmatiche della cultura lagunare.

Un documento religioso permette di fissare al 1534 la data d'inizio della costruzione della Certosa di Vigodarze­re, rifondazione della Certosa di Padova che, dopo poco più di cinquant'anni di vita, era stata «spianata» per ra­gioni di strategia militare. A tutt'oggi le ricerche d'archi­vio non hanno permesso di assegnare una sicura paternità al progetto globale e ciò spiega la diversità delle ipotesi di attribuzione. Ancora nel 1760, nel fervore della riscoperta palladiana, il Fossati, senza alcuna plausibile giustificazio­ne storica, inserisce la costruzione tanto cospicua fra le o­pere inedite di Andrea Palladio; ma già pochi anni dopo (1762), facendo le più diligenti ricerche d'archivio, il Te­manza poteva precisare che dai documenti dei Certosini non risultava alcun rapporto col Palladio, mentre a partire dal 1560 risultava proto della fabbrica Andrea da Valle. Anche se oggi non più controllabile, questo dato può es­sere recepito sia in considerazione della ben nota serietà dello studioso e biografo sia perché nello stesso anno (da­ta di morte di Andrea Moroni) proprio il da Valle, proto della Cattedrale, subentrava al Moroni nella qualifica di Architetto e proto di S. Giustina. Non va dimenticato pe­rò che nel 1560 la Chiesa della Certosa era già finita (co­me dimostra la data della consacrazione scolpita sopra la acquasantiera dell'ingresso) e che, ben sedici anni prima (dieci anni dopo la posa della prima pietra), il bresciano mastro Franco s'impegnava in un documento notarile (Ri­goni, 1939) di scolpire le porte della chiesa in pietra di Montegalda «iuxta dessignum sibi ostensum et secundum sagomas sibi datas per ser Andream pro tu m ecclesiae S. ]ustinae». Pertanto, mentre non vi possono essere dubbi

sull'attribuzione della Chiesa ad Andrea Moroni (Fiocco vi ritrova anche elementi di gusto veneziano che permet­tono di affiancarla a Palazzo Zacco), resta ancora da pre­cisare l'entità e il rilievo dell'opera di Andrea da Valle nel­la costruzione dei chiostri, della foresteria e delle celle mo­nacali. Non regge invece alla critica la pur suggestiva ipo­tesi del Gallimberti che vorrebbe assegnata ad Agostino Righetti - cioè a colui che divideva con Andrea da Valle le mansioni di prato della Cattedrale - la paternità di una parte almeno degli edifici . Il documento su cui poggia l'as­sunto dell'architetto di recente scomparso - tratto anche questo dall' opera della Rigoni e che risulta basato su una perizia del Moroni - si riferisce al pagamento da parte dei monaci del modello de legno denominando marangonus il Righetti; esso pertanto deve ritenersi relativo al semplice lavoro di falegnameria del modello, pratica comune già a quell'epoca come testimonia anche un documento analogo del 1517 a proposito di un modello di santa Giustina per mano del marangonus Ziliolo.

Fu mai compiuta la Certosa? Risulterebbe di sì da un censimento dell'Ordine Cer­

tosino compreso nella monumentale monografia edita a Parkminster nel 1916. Ma un attento esame della pianta diseJ',nata nel 1792 dal certosino Benedetto Fiandrini mo­nachus a Bononia et Academicus Clementinus, permette di constatare la sua piena concordanza con l'altra pianta pervenutaci, quella disegnata dall' architetto Fossati tren­tadue anni prima e pertanto antecedente alla soppressione del 1768, relativa cioè ad un periodo di consacrazione e di officiatura. In entrambe le piante viene usata una dop­pia designazione delle celle monacali, distinte in presente­mente fabbricate e in disegnate dall'Autore ma non per an­che edificate. Dunque i lati meridionale e occidentale del peristilio maggiore non furono mai eretti, mentre delle cin­que celle edificate sul lato settentrionale la prima (quella del padre Priore, con giardino) fu incorporata nell' edificio ottocentesco dei de' Zigno e la quinta non esiste più.

Allo stato attuale la Chiesa del Moroni ha intatta solo la facciata; sono invece scomparse la cupola ottagona, l'ab­side, il campanile e le sei cappelle. Abbattuto il refettorio che sorreggeva il lato settentrionale del peristilio «tosca­no», questo risulta di due soli lati e forma un'unica area scoperta, sul lato occidentale della chiesa, insieme a quelle che furono la corte della foresteria e la corte della cucina (in pianta adiacenti al lato meridionale della foresteria). Scomparse le arcate, scomparsi gli edifici limitanti, oggi solo un muro di cinta resta a delimitare verso l'esterno la corte famigliare con forno sul lato settentrionale della fo­resteria. Anche il chiostro d'ingresso, che attualmente ospi­ta le vasche in cemento dell' azienda agricola, risulta, rispet­to alla pianta, incompleto delle arcate. La sola parte comple­ta e finora intatta - anche se su di essa sono pesanti i se­gni del tempo - resta il quadriportico «corinzio» antistan­te la chiesa.

Rimane però da chiarire il mistero dell' esistenza della tredicesima cella (all' angolo sudorientale del chiostro mag­giore); sulle piante settecentesche essa è compresa fra le parti non per anche edificate. Lapsus del Fossati ripreso poi pedissequamente anche da padre Fiandrini?

Mutila, disabitata e in parte trasformata in azienda agricola, la Certosa di Vigodarzere mostra evidenti, al visitatore di oggi, i segni dell'abbandono e degli insulti dei due ultimi periodi bellici: cornicioni sfaldati, crepe nei muri non più stabili, intonaco in disfacimento, pellicola di lichene sulle decorazioni del quadriportico, mentre dei grandi alberi del parco restano solo le ceppaie.

Pochi mesi fa, nel lasciare l'insegnamento universita­rio, in un'intervista che sembra un testamento spirituale, Sergio Bettini aveva incluso il ripristino della Certosa fra i problemi che i padovani dovevano urgentemente risol­vere. Sapremo raccoglierne l'invito?

ANDREA MORONI (circa 1500 - 1560)

Andrea d'Albino bergamasco del quondam ser Barto­lomaio di Moroni è «architetto in que' tempi di chiaro no­me» e fu per ventotto anni (1532 - 1560) architetto e proto di S. Giustina nonché per quasi un ventennio proto del Palazzo del Podestà. Nonostante che egli figuri men­zionato dal Cavacio come «multinominis» e dal Rossetti, Andrea Moroni viene proposto all'attenzione degli stu­diosi solo dopo la pubblicazione (1939) di una magistra­le monografia della Rigoni; sconosciuta ne resta tuttavia la data di nascita mentre ne è ora nota quella della morte (28 aprile 1560).

Solo a Padova risultano opere sue. Si devono certamen­te a lui l'impostazione generale della Basilica di S. Giu­stina, il Palazzo del Podestà, il Palazzo Zacco in Prato del­la Valle e l'Orto Botanico. Gli vengono ora attribuiti an­che Cortile e Facciata del Palazzo dell'Università, il rifa­cimento della Sala dei Giganti, la Loggia del Capitanio, il Palazzetto dei Pesi in Corte Capitaniato e la facciata del­la Casa di Antonio da Vigonza nell'ex contrada S. Giorgio.

Sono invece classificate come «moroniane» queste al­tre architetture padovane: la Casa Scapin in via Rudena, il Cortile di Palazzo Rodella (oggi visibile da via Milano) e il Palazzo Sambonifacio di via Andreini.

ANDREA DA VALLE (circa 1500 - 1578?)

Nipote di quel Matteo da Valle che era stato proto di S. Giustina dal 1521 al 1532 e, come lui, proveniente dal castello di Valle d'Istria, presso Dignano, famoso per le sue cave di pietra pregiata, Andrea da Valle è conosciu­to dapprima come lapicida. Nel 1533, sotto la direzione del Falconetto, lavora nella Cappella del Taumaturgo al Santo; nel 1539 tiene bottega in borgo Rogati con Tizia­no Minio. Succede al Falconetto nella direzione dei lavori (di completamento e di finitura) della Villa Cornaro di Luvigliano e al Moroni nell'incarico di proto di S. Giu­stina, ufficio che tiene fino al 1577. Nel 1547 il suo pro­getto per la Cattedrale di Padova viene preferito a quello del Sansovino; nel 1552, insieme ad Agostino Righetti, è nominato proto della fabbrica della Cattedrale. Nel 1550 risulta prato della fabbrica del palazzetto dei Sant'Uliana in via S. Francesco e fino allo stesso anno risulta altresÌ impegnato nella costruzione del Lazzaretto alle Brentelle (ora rovinato).

Sono attribuiti a lui anche il Cortile del Palazzo ex Collalto in via S. Francesco, il progetto per la casa Sca­pin (realizzata successivamente dallo Scamozzi ventenne), nonché la chiesa di S. Leonardo a Pontecasale.

Fuori di Padova Andrea da Valle risulta aver lavora­to a Treviso (Palazzo Pretori o ), a Bologna (Chiostri di S. Gregorio) e a Ravenna (Chiostro Principale e Dormi­torio del Convento di San Vitale).

Nel 1578, in collaborazione col vicentino Paolo del Ponte. su invito della Signoria di Venezia, presenta una relazione per il restauro del Palazzo Ducale di Venezia, danneggiato dagli incendi del 1574 e del 1577.

AGOSTINO RIGHETTI (notizie dal 1540 al 1563)

Agostino Righetti del fu Giacomo di Valdagno fu dap­prima conosciuto come carpentarius o marangonus, poi come proto ed architetto.

Scarsissime notizie abbiamo di lui: nel 1540 lavora alla casa di Antonio Mocenigo (poi Querini) in via Santa Eufemia; del 1543 è la sua controversia con i monaci del­la Certosa circa un modello in legno; dal 1548 al 1551 compie alcuni lavori per la villa Cornaro di Luvigliano; nel 1552 è nominato, insieme con Andrea da Valle, pro­to della fabbrica della Cattedrale di Padova; nel 1555 è a Brescia per ispezionare i lavori della meravigliosa volta di legno che sosteneva tetto e soffitto della gran Sala Pub­blica di quella città e che era stata da lui modellata.

Del 1556 è l'opera sua più nota: progetto e fabbrica del palazzetto che l'umanista Giulio Fedele volle «ad u­sum amicorumque commodum et urbis ornamentum».

Nel 1563 subentra a Francesco Lurano nell'incarico di «proto delle fabbriche pubbliche» di Padova, incarico che fino alla sua morte aveva occupato il Moroni. Il fat­to che un atto rogato a Padova il 23 marzo dello stesso anno attribuisca al Righetti il titolo di Cavaliere della Mae­stà Cesarea fa avanzare alla Rigoni l'ipotesi che egli possa aver lavorato, se non alla Corte, almeno negli Stati del­l'imperatore Ferdinando I.

CRONOLOGIA

1447 Un codicillo aggiunto al testamento ( 14 settembre 1445) del Vescovo di Pado­va Pietro Donato (Donà) dispone che, se agli esecutori testamentari sembri cosa migliore, in luogo del disposto collegio «La Sapienza» per venti stu­denti di diritto canonico, si eriga un monastero per Certosini o altro con­vento per regolari osservanti. Il lascito a tal fine istituito consta di ventidue­mila ducati d'oro e di alcuni terreni, uno dei quali «apud Vicum aggeris».

lO Marzo 1448 Morto il Vescovo, gli esecutori testa­mentari deliberano di fondare a Pado­va, In suo onore, un cenobio di Cer­tosini.

29 Marzo 1451 I Certosini si stabiliscono a Padova nel monastero di san Bernardo «in vico Porcilio», essendo stata soppressa la comunità femminile che l'abitava. Ha cos1 origine la «Cartusia SS. Hieronjmi et Bernardi» che i Certosini ingrandi­rono ed abitarono per poco più di mez­zo secolo.

1509 Nel corso della guerra fra Venezia e la Lega di Cambray vengono demoliti per motivi strategici tutti gli edifici costruiti fuori delle mura di Padova ((Spianata,». Al posto della Certosa di Padova resta solo una colonna; i Certosini, dopo una parentesi trascor­sa in una casa entro le mura, si tra­sferiscono in una dipendenza agricola di Campo San Martino dove rimarran­no fino al 1554.

1510 Il Capitolo Generale dell'Ordine Cer­tosino prescrive di «edificare nuova­mente, al più presto, un nuovo mo­nastero a Padova,>.

7 Marzo 1534 Iacopo Rota, Vicario del Cardinale Pi­sani, Vescovo di Padova, pone la pri­ma pietra della nuova Certosa in una località detta Croce nel contesto del terreno del lascito Donà nel territorio di Vigodarzere. In questa data Andrea Moroni è già da due anni architetto e proto di S. Giustina. Alle ingenti spese della costruzione con­tribuiscono le dieci Certose della Pro­vincia di Tuscia, impegnate da una di­sposizione del Padre Generale ad una offerta annua da proseguire fino a che la Certosa di Padova (che continua ad essere cos1 denominata anche nella nuo­ve sede di Vigodarzere) non raggiunga la rendita annua di almeno trecento scudi d'oro. La rispettiva cifra annua è cos1 fissata: Maggiano 5 scudi d'oro, Pontignano e Vedana 5, Belriguardo 4, Firenze 13, Pisa 12, Lucca 8, Bologna 12, Ferrara 16, Venezia 18 e Montel­lo 8.

2 Novembre 1534 Il «priarollus,> m. Zannino de' Bello­ni si obbliga a fornire per la fabbrica della Certosa 250 migliaia lapidum, te­gularum et cupporum.

6 Marzo 1536 Andrea Moroni è arbitro in una con­troversia fra mastro Varisco «taiapie­tra,> e i monaci della Certosa.

16 Luglio 1543 Andrea Moroni è arbitro in una con­troversia fra mastro Agostino (Righet­ti) «marangon» e i monaci della Cer­tosa.

9 Febbraio 1544 Andrea Moroni è nuovamente arbitro in una controversia; vi sono implica­ti mastro Franco «iapiscida» e padre Pellegrino da Milano, preposito della Certosa. Dal documento risulta che di­segno e sagoma delle porte della chie­sa sono opera dello stesso Moroni .

1554 Anche se i lavori non risultano ancora ultimati, i Certosini entrano nel nuo­vo convento.

1560 Mentre continua la costruzione del mo­nastero, viene consacrata la Chiesa del­la Certosa; la data è incisa sopra l'ac­quasantiera dell' ingresso. Muore An­drea Moroni. Andrea da Valle, vinci­tore con Agostino Righetti (nel 1547) del concorso per la Cattedrale di Pa­dova, è impegnato nella fabbrica della stessa come architetto e proto e succe­de al Moroni nell'incarico di proto nel­la fabbrica di Santa Giustina. Secondo il Temanza in quest'anno An­drea da Valle sarebbe proto anche nel­la fabbrica della Certosa; ciò risulte­rebbe da sue diligenti ricerche nell'ar­chivio dei padri Certosini, ma a tutt'og­gi il relativo documento non è stato ri­trovato.

1605 Risiedono alla Certosa 9 monaCi da coro.

1623 La Certosa è «compiuta e funzionan­te».

1741 Risulta dalle Visite Pastorali che sono presenti nella Certosa 7 monaci da co­ro.

17 Settembre 1768 La Repubblica Veneta dichiara sop­presse le comunità religiose aventi me­no di 12 soggetti; il decreto colpisce anche la Certosa di Vigodarzere che non contava allora più di 5 monaci da coro. La proprietà dell'immobile Vie­ne avocata dalla Repubblica.

sec. XVIII La Certosa è in stato di abbandono. Se­guono profanazioni e vandalismi.

sec. XIX Dopo un breve periodo in cui fu pro­prietà dei marchesi Maruzzi (che e­spressero anche il desiderio di demo­lirla) la Certosa passa ai baroni De Zigno che già possedevano dei poderi nel territorio di Vigodarzere. Viene trasformata in luogo di villeggiatura e circondata da un vasto parco. Vi sog­giornarono, fra gli altri, Ippolito Pin­demonte e lord Byron.

1915-1918 Viene trasformata in caserma.

1940-1945 Nuova occupazione militare. Serve da Dolveriera durante gli eventi bellici. Nel dopoguerra vi vengono sistemate famiglie di senzatetto.

APPARATI STORICI

ARCH. NOTARILE DI PADOVA, L. 2 Compromessi notaio Gasparo Villan, c. 37:

1536 die 6 marzo. Visto et bene considerato diligentemente guanto merita m.ro Varisco taiapie­

ra per aver fato li capitelli ali R.di monaci de la Certosa più longi et largi in ta­vola de guello era in el suo acordo fato per avanti et per mercede de gueli capi­telli che se trova esta fati più longi de pie tre e mezzo in tavola debia aver da li soprascritti R.i monaci lire tre et soldi dese per chadauno capitello chi se retrova­ra più longo ut supra et non altro.

Jo Andrea di Mori bergamasco protto de s. Justina de Padua arbitro et iudi­ce electo de tute doy le parte ho scrito de mia man propria.

ARCH. NOTARILE DI PADOVA, L. 5 Instr. noto Alessandro Baldini, c. 32l:

1543 adi 16 lugio. Essendo in diferencia li R.i monachi de la Certosa con m.ro Agustino maran­

gon per causa de uno modello de legno fato per el dito m.ro Agustin per la fa­bricha del suo monasterio che al presente se fabricha in Vigodarzere et alcuni viazi luy di se aver fati a una sua fabricha in vila a beneficio de lor monachi over mona­sterio, di la guai cosa loro R.i monachi dise de averlo satisfato de tuti li sui fati­che. Pur come boni religiosi voleno sia iudicato per consienza et sono venuti in compromeso cottentando tuti doy le parte che io Andrea protto de Santa Iustina abia a iudicare et sentenciar tanto guanto importa li loro diferencia.

Havendo io Andrea protto soprascritto visto et sentito tute doy le parte cosÌ del modelo come del resto per mia consencia sentencio et termino che li diti R.i monaci debia dare al dito m.ro Agustin al suplemento de ducati dese da lire sey et soldi 4 per ducato et guesti per compito pagamento de tutti li lavori lui ha fa­to in el modello et inoltre viazi o fatiche over designo.

ARCH. NOTARILE DI PADOVA, L. 14 Extens., noto Gasparo Villan, c. 186 v.:

die ultrascripta [1544 die sabbati IX februarij J M.r. Franchus brissiensis lapiscida g.m Lazari habitator in contrata prati val­

lis convenit cum R.d. domino Pelegrino de Mediolano syndaco Cartusiae ad sibi faciendum portam de lapide de Montegalda ecclesie dicti monasterij iuxta dessi­gnum sibi ostensum et secundum sagomas sibi datas per ser Andream protum ec­clesiae S. Justinae Padue laudandum per eum. Et teneatur ipse Franchus eam la­borare et conducere omnibus suis expensis et periculis et eam facere aut Padue aut ad monasterium in optione dominorum fratrum et debeat asistere onerationi et condutioni lapidum cum suis operarijs et si opus esset sobventione operariorum fiat per d. fratres. Et hoc fiat ad festa pascalia pretio ducatorum 45 a l. 6 s. 4.

Et abinde supra se remissit ad discretionem dicti R.di d. prioris sibi dandos dictos ut opus erit et pro ut d. Andreas predictus voluerit. Qui R.d. procurator ad bo­num computum re vera exbursavit dicto m". Francho libras duodecim parvorum.

ser Andreas filius q.m d. Bartholomei Moro de Albino bergomensis protus de contrata prati vallis.

CRONICo CARTHUS. [cito da J. Salomoniol IN TEMPLO s.s. HIERONYMI, ET BERNARDI P.P. CARHUS .

Cùm Petrus Donatus Episc. Patav . anno 1447. extremis tabulis ducatorum XXII. millia legasset, ut , aut Collegium Scholar. erigeretur, aut Monasterium. Fautinus Dandulus ejus successor, primusq. , Comissarius una cum aliis , Coeno­bium Carthusianorum erigere ea pecunia decrevere; Verùm , cùm ex decr. Nico­lai V. Moniales S. Bernardi Ordinis S. Benedicti, quae non admodùm religiose extra muros agebant, in Coenobia Patavina dispensae fuissent, Coenobium ipsarum Carthusianis concessum est, quod cùm bellico mox furrore anno 1509 dirutum fuisset, hoc aliud Coenobium cum tempIo sub invocatione S.S. Hieronymi et Ber­nardi erigi ano 1554. 7 . Mar. primum lapidem jacente Jacobo Rota Vic. Gener. Aloysii Pisani S.R.E. Card. Episc. Pat. An. vero 1555 . 7 . Mar. Templum, Coe­meteriumq. sacratum est a Callisto Episc. Liuconiens. Suffraganeo.

APPARATI FILOLOGICI

Ad tertium milliare à Septentrione extra partam caudam longam ultra Brentam, hac ae­tate aedificatum est amplum coenobium Carthusiensium monachorurn, titulo S. Bernardi: quod olim sub moenib. iuxta eandero portam stabat amplissimum: sed post bellurn Maxlmiliani Cae­saris M.D.IX. in devastatione pomerij ad Vicum aggeris ultra amnem translatum est, et ibi quoq magnmcentissime constructum, Donduro [affien ad plenam operis consummationem per­ductum.

B. SCARDEONlUS, De Antiquitate Vrbis Patavii, 1560

.... appresso la Brenta tre chiostri e Chies1, ave non entrano donne, col bel pavimento a quadri e cupola, lunga m 86 e larga innanzi il coro ID 36, essendo il coro lungo 50 e largo 38. Ha quattro cappelle, in tutto sette altari, otto calici, tre campane coperte di piombo e nel sacrato dell'orto una bella sepoltura, oltre le particolari terre al dlscoperto al modo ebrai­co. Celebrano S. Bernardo, del quale avevano la chiesa dentro la città, prima che si facesse questa e il Santo fondatore S. Brunone.

G. CITTADELLA, Descrittione di Padova ... , ms. 1605

.... Per questa camminandosi un miglio e mezo in circa si passa la Brenta per il ponte a Vicodargere, dalla qual villa prese il nome una famiglia nobile Padovana, dove anca era un castello. Vedesi in quel contorno lungi dalla città tre miglia oltre la Brenta il nuovo monaste­ro della Certosa edificato in vece di quello, che nell'anno 1509 fu spianato.

A. PORTENARI, Della felicità di Padova, 1623

.... ai nostri occhi, appare veramente quello angolo verde e silenzioso della fiorente cam­pagna padovana, ricco di ombre nei viali solitari, ricco di messi e di frutta nell'ampiezza dei suoi orti inondati di sole e irrigati dalla lenta onda del Brenta.

A. MAUROCENI, Opuscolorum pars prima, 1625

Tra le Opere tutte insigni di Andrea Palladio, le quali ho riserbate per collocare in que· sto Volume, quella della Certosa, che si vede nelle vicinanze della Città di Padova, ha ella tutto il merito, non solamente per la bellezza del Disegno, e della invenzione; ma anche per la finezza del lavoro. Vi si scorge ugualmente la maestria, e la diligenza dell'Autore, e la som­ma industria, ed accuratezza degli Artefici da' quali è stata posta in esecuzione, poiché le pie­tre, e li mattoni sono così bene tra loro connessi, e adattati, che lavoro più uguale parrebbe per così dire, che non potesse essere o potesse farsi di un'Opera di metallo fonduta.

Per rendere tutta la dovuta giustizia ad una Fabbrica tanto cospicua, ho voluto delinear­ne tutte le parti in cinque Tavole, cosicché si vedano con chiarezza le più ragguardevoli ed essenziali, acciò li Professori, e li Dilettanti possano trarre ottimi documenti quando avessero ad architettare cose dl tanta magnificenza.

G. FOSSATI, Opere inedite di Andrea Palladio, 1760

.... Circa l'anno 1560 si murava la Certosa di Vigo d'Arzere, non lungi dalla città di Pa­dova. Molti tengono~ che il Peristilio di cotesta (del quale però non furono rizzati che due lati , di 15 archi per cadauno) ed il Vestibulo o sia Cortile dinanzi alla Chiesa, siena opera del nostro Architetto [il Palladio]. Altri tengono, che sia pure di lui l'altro minore Peristi li o sul lato sinistro della Chiesa medesima. Dirò francamente di questo, che non è opera palla­diana: ma non saprei qual sentenza profferire degli altri due. Amendue sono opere elegantis­sime; e singolarmente il Vestibulo della Chiesa ha tutte le grazie palladiana. Ho fatto le più diligenti ricerche nell'archivio di codesti Padri i quali con somma gentilezza mi hanno favo­rito, né rinvenni mai veruna notizia del Palladio. Ritrovai bensl come il prato di quelle fab­briche fu Andrea della Valle ....

... Il carattere del Vestibulo è però talmente palladiano, toltone i capitelli, che io non sa­prei ingenuamente negarlo; piacemi per ciò rimettere le decisioni a' dotti architetti.

T. TEMANZA, Vita di Andrea Palladio vicentino, 1762

.... Questo bel monastero scomparso per fataI soppressione dell'Ordine Certosino in que­sto Dominio, insieme coi beni fu venduto ai Marchesi Moruzzi e poi rivenduto da loro con piccola porzione di campi ad Antonio Zigno, finanziere padovano, il quale demolì buona par­te della chiesa e fece altri guastamenti in quelle fabbriche, che erano oggetto di ammirazione ai dotti viaggiatori stranieri. Che peccato da non perdonarsi!

G. GENNARI, Notizie storiche ... , ros., ultimi anni del sec. XVIII

Due miglia in circa fuori deUa porta di Codalonga, al di là deUa Brenta, nel luogo detto la Croce, evvi la Certosa, la quale fu eretta negli anni 1560-1572-1574 e 1575, sul disegno, come vien volgarmente creduto, di Andrea Palladio. Essa è certamente degna di essere ve­duta per le bellezze dell'Architettura, per la squisitezza degli adornati, per la dilicatezza del lavoro, che sembra, per cosi dire, di getto, benché tutta sia di mattoni. Se ne prende soven­te il disegno da' forestieri intendenti e spezialmente dagl'Inglesi, giusti estimatori delle bel­le arti.

Questa Certosa va alle stampe nel sopra allegato torno delle Opere inedite di Andrea Palladio ....

.... Sin qui l'eruditissimo signor Temanza. Abbiamo ancora in Padova questa famiglia della Valle (sic!), onde può argomentarsi che l'accennato Andrea fosse nostro.

Vedevasi in una Cappella a lato della Chiesa una bella tavola di Battolomeo Vivarini, con questa epigrafe: opus lactum Venetiis per Bartholomaeum Vivarinum de Murano 1475. Ora è stata trasportata a Venezia. In questa Cappella è sepolto il Ch. Flavio Querengo, Ca­nonico Padovano, P.P. e Scrittore di molte opere.

La tavola dell'altar maggiore è di Pietro Damini, come pure altro quadretto con Cristo, che comparisce alla Maddalena, posto sopra la porta laterale, che mette in Convento.

Questa Certosa è uno di que' preziosi monumenti che fanno onore alle provincie dove esistono e molto più a coloro che hanno la fortuna di possederli, poiché sono celebrati in que' libri, che ne fanno la descrizione, e perciò li rendono noti in tutta Europa per lo meno , ed attraggono ad ammirarli i più intelligenti stranieri.

G. B. ROSSETTI, Descrizione delle pitture .. . , 1795

Or dunque che la storia c'invita ad osservare gli edifici che in Padova sorsero contem­poranei o di poco posteriori al vicentino Vitruvio, non gittiamo su d'essi sdegnoso sguardo perché talvolta quel tal modello seguitarono servilmente; ma porgiamo invece grazie alla sor­te se concesso di annoverarne in questa città parecchi, e fra questi uno che a buon diritto può collocarsi fra le architetture che più onorano in questo secolo la veneta contrada.

E' desso la Certosa che vicino a Vigodarzere sorge, la quale conservata un tempo ad ac­cogliere austeri cenobiti, ora è rivolta ad uso di ridente villeggiatura. Quel buon Fossati che in tutte maniere adoperossi per far dono a Padova di qualche gemma del Palladio, pubblicò quest'edifizio fra gli inediti di quell'ingegno bellissimo. E a dir vero in questo caso non fece torto al grand'uomo perché la fabbrica di cui parlo và ricca di tutte le veneri palladiane.

La pianta non offre quella euritmica regolarità la quale fa palese il concetto di un solo essere stato condotto a fine senza tramutamento, o interruzioni. Le monacali cellette stanno da un lato; a poca distanza ma senza legame veruno, vedesi peristilio non compiuro, il quale consta di sedici arcate per ogni laro, sorrette da piè dritti poggianti su un continuato basa­mento. Da presso sorge altro elegante peristilio di toscane colonne bugnate, su' cui capitelli impongono archi emisferici. A questo si congiunge la chiesetta dinanzi alla quale apresi cor­tiletto di leggiadrissime proporzioni. Distendesi poi tutto il resto d.i quell'ampio edifizio nudo d'ogni ornamento che arrestar possa il riguardante. Non è dunque nella distribuzione e nelle interne proporzioni che devonsi ricercare i pregi di esso j ma sibbene nelle parti ornamentali quasi tutte molto leggiadre.

E per parlare dapprima del peristilio che sta al lato sinistro della chiesa, il quale, come dissi, consta di colonne toscane, presenta rapporti all'osservatore gradevolissimi. Senonché e quagli che si fa puntello, e del paro chi va tenero dal filosofare in architettura, vorrà censu­rati quegli archi immediatamente involtati sul capitello delle colonne. E di vero pugnano con­tro ogni ragione, perché poggiano coi peduci angolati in falso sopra i fusti rotondi delle co­lonne. Ma riguardati rispetto all'utile, ed al commodo, si meritano anzi che altro un encomio, imperoché giovano a procurare al portico maggior luce che in rutta altra maniera, e di più, danno alle arcate certa sveltezza di proporzioni, che non è facile in altra guisa ad ottenere. Le chiese di S. Spirito, e di S. Lorenzo in Firenze, non devono forse alle arcate immedia~

tamente sovrapposte alle colonne la leggiadra loro sveltezza e quel variato movimento di li­nee che tanto sorprende chi si fa a riguardarle? E non è forse da questo partito medesimo che risulta elegante leggerezza del portico di S. Giacomo in Bologna, ornato di tante grazie dal suo architetto Gaspare Nardi. Perché tanta luce si diffonde sotto i grandiosi portici di quella magnifica città, perché appaiono sÌ luminosi tanti chiostri lunghissimi di conventi? Ciò si dee solo agli archi involtati sulle colonne isolate, le quali poco spazio occupando, lasciano libero campo alla lucej né affaticano l'occhio di troppo grevi masse. In luogo di quelle gen­tili colonne si suppongano larghi piedritti sorreggenti archi ed in mezzo a quei piedritti po­ste mezze colonne su cui il cornicione ricorra. Ne andranno vaghi coloro che domandano nel­le architetture la ragione e l'esempio, ma non quelli che, fatti accesi dall'alto nume del bel­lo, vi ricercano invece lo effetto prospettico.

Da queste brevi osservazioni parmi dunque si possa concludere che se l'uso degli archi girati sulle colonne può talvolta portare bellezza e commodo, non è poi da proscriversi sì fie­ramente come finora si fece. lo porto speranza che se verrà giorno in cui non più si voglia farneticare a cercar le origini dell'architettura nelle grotte e nelle capanne, ma si derivi jnve­ce - come pensò assennatamente il Durand - dalle necessarie maniere di costruire con pietre, anche il sistema di cui finora parlai, avrà degno posto fra quelli che fanno varia e bellissima quell'arte consecrata ad esser teatro delle nostre costumanze ed a farci più bello e più caro il vivere civile.

Il maggior pregio dell'altro cortile a piedritti sta piuttosto nella costruzione che nella de· corazione. Tutti i mattoni di cui va composto san diligentemente levigati per tutte le lor fac­ce e poscia insieme connessi con poco cemento di calcestruzzo. Forse in esso si volle imitare la non mai troppo lodata costruzione del Convento della Carità di Venezia in cui Palladio, per unire alla solidità la bellezza, credesi facesse lisciar con pomice e olio ogni mattone e poi lo facesse aderente con poca calce.

E' di già tempo che qualche parola si tenga sulla parte veramente pregevole di quest'e­difizio, che è il portichetto il quale sta dinanzi la chiesa, in cui il Temanza tutte ravvisò le leggiadrie palladiane. Va ornato di archi sui piedritti de' quali stanno addossati gentili pila­stri corinti che riposano su piedistalli e sorreggono la cornice che ricorre per tutto il cortile. Il portico gira per t're lati e nel quarto è murato a comporre la facciata della chiesa. Quivi l'arcata di centro in luogo di essere fiancheggiata da piedistalli, lo è da due mezze colonne canellate ed aggettando un poco del resto della fronte, sorregge un leggiadro frontespizio.

Chi si farà ad esaminare il cortile di cui è discorso, vorrà certamente lodata assai la gen· tilezza cosÌ del pensiero come delle parti. E nel vedere quella corintia sveltezza nelle arcate, que' pilastrini esili, ma elegantissimi, quei capitelli, quel timpano, quelle imposte, quelle cor· nici tutte cospiranti ad accrescere grazie e venustà all'insieme, sentirà ispirata l'anima da quel­la cara impressione che sempre ingenera la unità del carattere nei prodotti della natura e del· l'arre. Tanto è vero che una fra le precipue fonti del bello scaturisce sempre non tanto dal­le bellezze delle forme quanto dall'accordo delle forme col concetto.

Anche quelli che pur vorrebbero in quest'edifizio ravvisare la testa di Palladio, sono for­zati a concedere che i corintii capitelli di questo cortile per nulla somigliano quelli che usati vennero dal sommo Vicentino. In questo nostro avvi fra l'ordine inferiore di foglie ed il ton­dino dello sommo scapo del pilastro, un ornamento simile ai nodi di fettuccia, che insieme si avviluppano. Non solo il Palladio non usò mai nel corintio sì fatto ornamento, ma neppu­re l'usarono, ch'io mi sappia, altri architetti di chiaro nome. Ne perciò si dee frodare di lode, che l'autorità dei sommi non è sempre giusta ragione di merito. Sia pure senza esempio, non è però men leggiadro quel capitello.

P. SELVATICO, Continuazione e fine ... , m5. (approssimativamente 1832-1836)

Passato il ponte di Vigodarzere dopo un miglio circa verso ponente è la villeggiatura del· la nobile famiglia de Zigno, che si chiama Certosa, perocché abitata prima dai monaci Certo· sini. Sorgono da un canto le celle monacali, ed a poca distanza un peristilio non compiuto di sedici arcate per ogni lato, sorretto da piedritti poggiati su basamento continuato. Presso a questo se ne eleva un altro di colonne toscane bugnate , su' cui capitelli s'involtano archi emi­sferici, e gli si congiunge la chiesetta, dinnanzi alla quale apresi un cortiletto di leggiadrissime forme. E' vero che in sl fatta fabbrica la distribuzione delle parti e le interne proporzioni pos­sono destare un desiderio del meglio, ma gli ornamenti sono condotti con gusto si finito, da non lasciar farsi tempo a quel desiderio. Fu creduto per molti esserne stato architetto il Pal· ladio; un documento trovato nell'archivio di que' cenobiti chiarl falso l'avviso, asserendo der versene la costruzione al padovano Andrea della Valle, che la murava l'anno 1560, nome ti· putatissimo e posto fra i primi fratelli d'arte di quella età. Vaste praterie si distendono al10 intorno di questo edificio; carpini a filari, macchie d'acacie, di platani, di roveri ed un bosco di piappe lo circondano d'una maestà religiosa; la grave onda del Brenta Iambendone le spon­de accresce quella pace solenne; !'intelletto vi s'inalza a trovarvi meditazioni sublimi, il cuore vi si riposa come nella calma d'una coscenza tranquilla.

B. GAMBA, Guida di Padova, 1842

.... Vi trovi viali di carpani secolari e fra ridenti prati un bell'ingresso che prospetta ver­so il Brenta: due lati del maggior periscilio ciascuno a 16 arcate sorrette da piedritti; due la­ti del peristilio minore a colonne toscane bugnate; un cortiletto di forme leggiadre dinanzi al­la chiesa e alcune celle. La quantità dei mattoni ivi accatastata con rottami di cornici, di sta­tue e busti e teste e travature, mostrano la primitiva vastità e magnificenza dell'edificio.

A. MENEGHINI, Padova e Provincia, 1859

Con brevissima gita pervieni a Certosa in riva al Brenta, ora villeggiatura del sunnomato barone de Zigno, soggetta all'arcipretale di Vigodarzere. I certosini, venuti da noi per lo co­dicillo di Pietro Donà vescovo di Padova, ebbero il 1448 a loro sede il mentovato monaste­ro di S, Bernardo, essendo state trasferite le monache di esso per la vita loro licenziosa in al­tri monasteri della città,

CadutO poscia il monastero di S, Bernardo per la spianata, i Certosini piantarono sulle rovine una colonna e recaronsi al loro ospizio in Campo S. Martino, ave stettero sin verso il 1554, tempo nel quale passarono al predetto nuovo ed ameno romitaggio presso Vigodarze­re, architettato da Andrea della Valle padovano e nel 1560 non ancora finito, Il Fossati lo attribuÌ erroneamente al Palladio, e ce ne diede la descrizione con parecchie tavole incise.

Vi trovi ancora la selvetta, alla quale furono aggiunti ombrosi viali di carpani, e ridenti praterie, Vi trovi il bell'ingresso al cenobio, che guarda il fiume, e dentro il cenobio i due lati del maggiore interno peristilio, ciascuno a sedici arc~lte sorrette da piedritti, due altri lati d'un peristilio minore a colonne toscane bugnate, un cortiletto di forme leggiadre dinanzi alla chie­sa titolata a S, Brunone, parecchie celle, altre stanze e fabbriche adjacenti.

Ebbero qui dolcissimo riposo quei monaci sino verso il 1770, nel qual'anno la veneziana Repubblica li disperse.

Erano nove il 1605 e sette il 1741. A. GLORIA, Il territorio padovallo ... , 1861

.... A lui [Andrea da Valle] si attribuisce il convento di San Gregorio fuori Porta San Fe­lice a Bologna, e, con ogni probabilità, il grazioso cortile corinzio della Certosa di Vigodar­zere presso Padova, che si sarebbe murato circa il 1560 e che fu creduto del Palladio,

E. LOVARINI, Le Ville edificate ... , 1899

.", Bene scelto fu, dunque, il luogo in cui, nelle vicinanze di Padova e presso il paese di Vigodarzere - il Vicus aggeris dei latini, così chiamato per gli argini del Brenta che gli scor~

re accanto - ebbero un giorno stanza i monaci certosini. In una posizione detta Croce, che è salubre fra tutte a monte della città, sorgeva ivi l'e­

remo raccogliendosi dietro un'ansa dolcissima della sinistra riva del Brenta, Solingo asilo di pace e di preghiera vi si accoglieva per un magnifico gruppo di edifizi

dei quali ora non rimangono che gli avanzi, e pur quesri, da parecchi anni, obliati, in un de­plorevole abbandono .

.... Ma ecco, mi si affaccia il bosco che protegge il cenobio e ricopre anche l'argine in una sinuosa galleria di verzura.

Entriamovi, Due alberi colossali vi stanno all'ingresso: sono l'avanguardia di un popolo di giganti che formano la breve selva e fra i quali vedo emergere, dal seno di molli praterie varcare da isole d'ombra, un lungo e merlato muro di cinta con il gruppo principale degli e­difizi dell'eremo ...

.... le meravigliose edere che rivestivano ogni gigante del bosco. In perennità di fede, di amore e di memorie vedo, in esse, il secolare spirito della badia e come trasfusa l'anima di quei monaci, che un tempo, nella quiete del bosco, attingevano alle più sublimi contempla. zioni. Il passato riviveva prodigiosamente tenace nei ricordi, così, come le iperboliche rampi· canti si avvinghiavano a quegli alberi con una stretta di rami tanto grossi e fronzuti, quale mai non ne vidi, e per cui l'eremo fu da me battezzato col nome di Certosa delle Edere ..

.... Ma ora lasciamo dietro di noi l'argine, procedendo per una navata di platani. Ecco, in fondo a questa; il bell'atrio donde si passa al chiostro maggiore della Certosa. E' di stile classico·barocco: due leoni in pietra tenera ne fiancheggiano il prospetto che è sormontato da una balaustrata. Il chiostro è costituito da due bracci i quali accolgono un piccolo giardino che ci colpisce nel più pittoresco disordine. Il tempo e l'incuria lo avevano inselvatichito: un groviglio di arbusti e di sterpi, delle statue mozze ricoperte da muscose patine, delle marmo­ree panchette rovesciate e dei vasi ornamentali che recavano gli irreparabili segni. Lungo il chiostro che mi si offre deliziosamente mascherato dai drappeggi di glicine s'aprono sul giar· dina dei deliziosi cancelli in ferro battuto alla veneziana. Dall'opposto lato, delle ferriate del­l'istessa fattura inquadrano le prospettive del bosco che lascia intravvedere la retrostante cam­pagna.

Il chiostro venne attribuito al Palladio: ed invero si presenta in una così ariosa, elegan­te ed armonica semplicità, che si può perdonare al Fossati se nel suo volume illustrato «Ope­re inedite del Palladio» sostiene l'errata affermazione.

Non cosÌ ci si apre il peristilio minore, a colonne bugnate di ordine toscano, che pur venne attribuito al sommo architetto. Non ha la correttezza di linee, non la elegante e pur austera semplicità onde il Palladio si distingue negli edifici di un tal genere. E' di una leg­giadra ... povertà.

Dal peristilio minore si passa al cortiletto. E' recinto per tre lati, da un bel portico: un gioiello del Rinascimento, cui fa degno riscontro l'unita chiesa del cenobio. Vago di ornati l'e· sterno di questa, spoglio, anzi nudo, l'interno dalle bianche pareti che, in un punto, recano delle ghirlande funebri. Sul modesto altare è una suggestiva figurazione di Crisro, del pitto­re Paietta ...

.... Alle ingiurie del tempo e dell'abbandono gli si erano aggiunte quelle che aveva dovu­to subire in causa dell'occupazione militare, durante il periodo bellico, e quelle di un uragano che lo colpiva con una eccezionale violenza.

Dei giganetschi alberi secolari che qua e là s'aggruppavano nel già brutalmente devasta­to parco, sol pochi ne erano rimasti e mutilati in uno alle superbe edere che sÌ tenacemente li abbracciava~o.

I due leoni che stavano ai lati dell'ingresso principale della Certosa: abbattuti, spezzati; cosÌ ridotta in rovina la balaustrata sovrastante all'ingresso medesimo. Il chiostro maggiore tutto sommosso nel pavimento e spoglio delle rampicanti che temperavano la sua compostez­za nei loro drappeggi di grazia. Il peristilio minore e il cortiletto recinto dal mirabile portico cinquecentesco, ridotti ad una concimaia. E furono contorti, o divelti, i leggiadri cancelli in ferro battuto.

Nel giardino: il suolo dovunque calpesto: un predominio di erbacce di sterpi e di pattu­me fra cui le statue, i sedili infranti: una desolazione ch'emergeva anche nelle celle fratesche , prive di porte e sconciamente deturpate anche dai villici dei dintorni.

E mi si disse pure di fucilazioni eseguite nel più tetro angolo del romitaggio, forse là dove esiste il piccolo cimitero dei monaci: dietro la chiesa dI S. Brunone ov'essi s'accoglieva­no in fervide preci al Dio d'amore e di pace.

Non lungi dal giardino, alcuni carri; e su questi, degli enormi ceppi di rovere; altrove si stava attendendo al taglio di uno dei giganti del bosco. Le ultime sue mutilazioni in una completa rovina ... quella di certe anime!. ..

Ora, dall'eremo, così miseramente ridotto, rifuggono anche i pochi visitatori di un tem­po: solo qualche desolato spirito può trovarvi un'eco alla sua tristezza.

Ma nelle fredde e silenziose mura l'anima dei secoli prepondera definitivamente: la Cer­tosa trionfa contro le avverse intrusioni.

P. Z. - 1922

.... al1a Chiesa di Vigodarzere. Di qui, o per il bivio a d. dietro la Chiesa - bivio a s. -per l'argine a d. - all'inizio del bosco scendere a d.; o per la via maestra - al capitello a s. -primo bivio a s. - quadrivio a d. - al capitello a s.: alla Certosa (ora Villa De Zigno), avan­zo di un ameno romitaggio di Certosini (1554-1770); archit. Andr. da Valle (1554-'60 circa).

Si giri all'esterno da d. a s.; lato settentrionale caratteristica porta con pilastri a cuspi­di; sul lato meridionale il bell'ingresso fra due leoni di pietra. - Restano due lati (32 arca­te) del peristilio magg. (bei cancelli di ferro batt.) e due di un peristilio min. a colonne bu­gnate; un cortiletto di forme leggiadre dinanzi alla chiesa. - Il tutto, in mattoni, di bella ar­chitettura, di delicato lavoro; onde, a ragione, attrib. a Palladio.

O. RONCHI, Guida storico-artistica ... , n.e., 1922

L'arte del Moroni non si basa, d'altra parte, sulla severa conseguenza; è un'arte speri­mentale, ricca di movenze, ma difficile da definire. Quello che sempre affiora, come accento inestinguibile, è quel gusto veneziano, da cui era nato il suo primo capolavoro. E' con Ve­nezia che si spiegano i timpanetti rotondi e rettangolari e le guglie a coronamento del Pa­lazzo Zacco in Prato della Valle e, nel progetto deUa Certosa di Vigodarzere, in più dell'ac­cento falconettesco, evidente nel pacatissimo bugnato del Chiostro e nelle musicali archegia­ture del Cortile, le particolarità della chiesa, purtroppo rimaneggiata, ad occhi e a finestre al­lungate, adorne dei particolari riquadri notati a S. Giustina.

G. FIOCCO, prefazione a "L'Architetto Andrea Moroni» di E. Rigoni, 1939

E' logico dedurne che il Moroni era nel 1544 alla direzione della fabbrica della Cettosa, ma è presumibile che vi fosse anche negli anni precedenti, altrimenti non si spiegherebbe la sua ingerenza nelle questioni che sorgevano fra i monaci committenti e gli artisti incaricati dei lavori.

Il Temanza trovò che nel 1560 era proto della Certosa Andrea da Valle, ma in quell'an­no il Moroni morì e ben si comprende come il da Valle, che gli successe nella carica di pra­to di S. Giustina, gli sia successo anche in quello di prato della Certosa. E' da escludersi pe­rò che egli occupasse quel posto negli anni in cui fu iniziata la costruzione delIa Certosa, con­siderato anche che in quel tempo il da Valle, che abbiamo visto provenire dall'arte del taglia­pietra, que1l'arte esclusivamente esercitava.

E. RIGONI, L'Architetto Andrea Moroni, 1939

La facciata della Chiesa di quella Certosa ha carattere di sobrietà, ma non è priva di quella svelta eleganza che si nota anche in altre semplici costruzioni cinquecentesche. La por­ta è sormontata da una lunetta, fiancheggiata da due colonne a sostegno di una trabeazione con timpano triangolare. Ai lati deIle colonne emergono dalle pareti come decorazione archi­tettonica i contorni di due porte finte con lesene ed archivolti. Superiormente la facciata mo-

stra verso i fianchi due finestre centinate ed agli estremi laterali due .finestre rotonde con con· torno sagomato. L'edificio è coronato alla sommità da un timpano triangolare con una finestra rotonda al suo centro. La chiesa è preceduta da un sagrato circondato da portici, che 'ricor· dano nel loro insieme quelli a noi più noti della Certosa di Garegnano presso Milano,

D. CUGINI, L'Archi/elio Andrea d'Albino, 1941

Altra opera che attesta la genialità del Nostro [Andrea da Valle] è la Certosa di Vigo­darzere. Distrutta nel 1509 per necessità militari la prima Certosa di S. Gerolamo e Bernar­do «in vico Porcilio», essa cominciò a risorgere nel 1534 più discosta dalla città, sulla riva sinistra del Brenta, in un luogo tranquillo allietato dall'ombra di platani e di pioppi. Il va­sto complesso di edifici riuscì splendido specialmente per merito del priore Pellegrino de Li­tis, abile e sagace, tanto che lo Scardonio e il Morotius dissero il monastero «magnificentissi­me constructum) e floride le condizioni della comunità, I Certosini si trasferirono nella nuo­va sede nel 1550, anche se i lavori non vennero ultimati che molto più tardi, verso il '70, Attualmente delle belle costruzioni e dei giardini, la cui delicata struttura fece pensare al Pal­ladio (Fossati) e che il Temanza riconobbe invece opera di Andrea da Valle, rimangono le vestigia solenni, deturpate da trasformazioni e dall'uso di azienda agricola cui sono adibite. Infatti la comunità fu soppressa nel 1773, e fu distrutta quindi una parte dei chiostri, il cam­panile, le cappelle e la cupola della chiesa con parte delle celle monacali, mentre furono aspor­tati pregevoli dipinti. Si possono ammirare oggi il quadriportico dinanzi alla chiesa, due lati del primo e due del secondo chiostro più ampio, su cui si aprono ancora tre celle a due pia­ni, separate sul retro da un duplice porticato di tre archi al primo e al secondo piano. I chio­stri, costruiti di conci di cotto di varia forma sagomati apposta, sono elegantissimi, a rocchi bugnati il minore, aereo e snello il secondo, pieno di limpida grazia. Classicamente solenne il quadriportico, corinzio, pure di cotto, che precede la chiesa ornata d'un bel portale di pie­tra, la quale conserva nell'interno, sopra l'acquasantiera dell' ingresso, un bel tondo con la Madonna e il Bambino di modi sansoviniani e la scritta + 1560 +, E' l'anno della consacra­zione della chiesa, il primo edificio costruito che è forse opera del Moroni, mentre il porti­cato antistante e i chiostri sono di poco posteriori, fatica e vanto del nostro Andrea che al­meno dal '60 in poi ne fu «prato».

S. CELLA, Due architetti istrioni ... , 1952

.... Non lungi dalla Chiesa: la Certosa di Vigodarzete: altro insigne episodio di architet­tura cinquecentesca padovana. Una chiesa e due chiostri, uno maggiore e uno minore, di cui restano due lati ciascuno, formano il complesso di questo cenobio di cui i Certosini posero la prima pietra nel 1534 su terreno loro lasciato dal Vescovo di Padova «apud Vicum Ag· geris». Documenti recenti hanno restituito ad Andrea Moroni questa Certosa già attribuita ad Agostino Righetti di Valdagno e successivamente ad Andrea da Valle. In realtà dal 1534 fino al 1560, cioè fino alla sua morte, il Moroni fu presente ai lavori della fabbrica; e soltanto do­po il '60 fu nominato architetto e proto della Certosa Andrea da Valle.

La chiesa ha un bel portale di sobrie linee che si richiamano al gusto del Falconetto. Am­mirevole nel chiostro maggiore l'ariosa eleganza delle arcate su pilastri innalzati su parapetto ornato all'esterno da una teoria di quadrelli; e nel chiostro minore, le colonne doriche ad anelli sovrapposti. In corrispondenza delle arcate le bugne si dispongono a raggera sul muro esterno, limitato da un cornicione aggettante per una teoria di robuste mensole. L'uso del cotto accentua il carattere rustico di questa architettura forte ed elegante insieme e profon­damente suggestiva, di cui è deplorevole l'abbandono nel quale è caduta. Per W. Arslan l'e-

same stilistico di questa architettura non consente di attribuirla al Moroni, ad onta dei docu­menti pubblicati da E, Rigoni, ritenuti, anche in questo caso, non bastevoli a suffragare la presenza dell'architetto bergamasco quale ideatore della Certosa,

M. CHECCHI, L. GAUDENZIO, L. GROSSATO, Padova, 1961

Altro lavoro discusso per la paternità è la Certosa di Vigodarzere, iniziata nel 1534 e continuata per parecchi anni su un modello stilato dal Righetti, che ne condusse i lavori si­no al 1544, anno in cui per una vertenza sorta fra lui e i committenti fu chiamato il Mo­roni a dare il modello della porta della chiesa, da far eseguire al lapicida bresciano Franco del fu Lazzaro, di seguirne la lavorazione e di esserne il collaudatore. Alla morte del Moro­ni è successo Andrea da Valle, come era successo per la chiesa di S, Giustina,

La Certosa trovò meritorio apprezzamento presso gli storici, di cui qualcuno pensò addi­rittura al Palladio, Certo è opera degna e meriterebbe un sapiente restauro per un recupero funzionale che garantisse la manutenzione e la conservazione,

N. GALLIMBERTI, Il volto di Padova, 1968

... Del pari, la sua [di Andrea da Valle] assunzione ai lavori per la Certosa di Vigodar­zere è decisamente tardiva se va collocata, in accordo col Temanza ripreso dal Pietrucci, in­torno al 1560, dal momento che il Michelotto e la Rigoni hanno provato che la costruzione ebbe inizio nel 1534 e non già nel 1554 avanzato dal Salomonio, e accettato dal Dondi Oro­logio, dal Gloria, dal Sartori: e benché lo Scardeone, proprio nel 1560, avverta che il ceno­bio fosse «nondum ... ad plenum operis consummationem perductum», siamo informati non solo che tra il 1534 e 1536 il cantiere era in piena attività (nel 1543, del resto, si andava trascinando una causa per il saldo delle prestazioni al marangone Agostino Righetti che aveva approntato «el modello»), ma che nel febbraio 1544 era in costruzione la «portam, .. ecelesie dicti Monasterji... iuxta designum ... et secundum sagomas» curati da Andrea Moroni, onde la Rigoni traeva la conclusione - contestata dall'Arslan, non però a vantaggio del da Val­le - che sia da assegnare a costui l'integrale progettazione della certosa ...

... Conviene al proposito dichiarare, con l'Arslan, il nostro dissenso sulle conclusioni del­la Rigoni circa un integrale riferimento di quel complesso edilizio a un'idea del Moroni: le documentate apparizioni di costui nel cantiere del cenobio sono, infatti, limitate a un paio di arbitrati in vertenze tra i monaci ed esecutori di varia responsabilità e alla preparazione del disegno della porta della chiesa, tra 1536 e 1544. Ora, mi sembra che già la designazione del Moroni ad arbitro in diatribe che vedevano protagonisti nel ruolo di una delle parti in causa i certosini, ne escluda evidentemente un legame di qualsivoglia natura (e di lavoro, dun­que) con costoro; mentre, nella carta, ave s'allude al «dessignum della porta fornito per se Andream » l'architetto è qualificato « protum ecelesie S. Justinae Padue » e non del monaste­ro. E' mia convinzione, allora, che l'intervento del Moroni sia stato eccezionale, e modesto: che, insomma, si sia risolto, proprio e soltanto, nella elaborazione del disegno della « portam ... ecelesie ». Il problema della paternità della certosa resta aperto, ma bisogna, almeno, avver­tire che si tratta, quando lo si imposti in vista dell'individuazione di «un» autore, di un falso problema: il cenobio si presenta come un agglomerato - la fabbrica non fu completata; e si trova per di più in uno stato pauroso di abbandono e di rovina, che in quest'occasione si de~ nunda fermamente; se ne vedano, comunque, la pianta del Fossati e quella del Fiandrini, che integrano idealmente l'opera - sul piano formale d'una complessità pari alla sua disorganicità; in altri termini, come un insieme edilizio che è difficilmente riducibile a un momento unitario di progettazione. Perciò, la chiesa - e il disegno della facciata, segnatamente - scaturisce da

una matrice stilistica, che non interessa qui tentar di designare, d'impronta plttonClStlCa fal­conettesca, così come il delizioso atrio porticato su cui s'apre, che spetta molto probabilmen­te allo stesso inventore e cui potrebbe collegarsi il modello del Righetti: il riferimento cro­nologico dovrebbe riguardare il decennio 1540 - 1550, talché potremmo pensare che il blocco chiesa - atrio abbia veduto anche l'impegno, marginale, del Moroni. Tuttavia, il chiostro gran­de e quello attiguo, cresciuti da quel nocciolo, manifestano nel ritmo largo e allentato delle ar­cate e nella nuda secchezza di colonnine e capitelli, il segno di una personalità diversa, e trop­po vicina, di contro, per non indurre a una identificazione, al da Valle così quale vien fuori dal discorso che ci siamo provati ad imbastire. D'altronde, limitata la congettura moroniana della Rigoni, resta rimosso ogni ostacolo a una retrodatazione dell'intervento alla certosa di Andrea che, archivisticamente riscontrata fino a questo punto degli studi nel 1560, potrebbe ben essere stato assunto in precedenza.

L. PUPPI, Un'opera sconosciuta di Andrea da Valle - 1969

Già al tempo di Dante gli argini del Brenta stupivano per la la loro grandezza e il poe­ta li ricorda in versi che traducono la sua profonda impressione. Il fiume scorre sotto i loro verdi pendii come se ormai la pianura l'avesse domato, viaggia verso il mare senza sussulti snodando pigre curve tra i campi coltivati, come se non avesse fretta di arrivare al suo ri­poso azzurro. Ma l'uomo lo tiene a distanza, non si lascia tradire dalla sua mansuetudine, lo sorveglia senza perderlo d'occhio un istante lungo tutto il percorso. E i grandi argini seguo­no la sonnacchiosa corrente e camminano essi pure assieme al loro prigioniero verso il mare lontano. In una delle grandi curve del fiume, tra le più prossime a Padova, nel Cinquecento sorse una Certosa, completa, con chiostri, celle, chiesa ora abitata da contadini. Il luogo è an­cora solitario anche se la città, dalla sommità degli argini, si scorge vicina. La difende il fiu­me con la sua corrente incassata dalle alte rive. E' facile scendere fino al pelo dell'acqua, sul­la sabbia che si deposita ai margini delle sponde, e sentire un poco il respiro vivo del fiume e vedere l'imbuto del cielo che stenta ad aprirsi per l'altezza delle pareti.

Attorno al luogo dove la Certosa disegna i suoi limpidi spazi, sono cresciuti antichi al­tissimi alberi che si specchiano sul fiume ed insieme coprono gli edifici d'ombra, come una verde nube, viva di canti di vento. Una parte della Certosa resta aperta, senza recinzione, verso la campagna e sembra che gli archi con i filari di viti ed i colori delle piante e della terra cerchino di accordarsi agli intonaci , chiari, delle pareti.

La preghiera dei monaci doveva essere cominciata già quando si cominciarono a posare i primi mattoni, perché la comunione degli elementi e la religiosità della vita sono qui di una straordinaria evidenza. L'acqua con cui si mescolava la calce era la stessa che nutriva le pian­te e il sole che asciugava le nuove mura ancora bagnate faceva intanto maturare le spighe e la frutta e gli ortaggi e il vento che piegava le erbe e scuoteva gli alberi trascorreva i corridoi e le finestre. Bastava un passo per uscire dal chiostro nel campo e incontrare la zolla tenera e gli steli odorosi.

Laggiù passava il fiume, simbolo del movimento e dell'eterno fluire. Quassù pareva che l'infinito della creazione fosse ad ogni istante ricondotto all'unità di un imperscrutabile ma meraviglioso disegno.

Autore del complesso monastico fu l'architetto Andrea Moroni che dominava nell'am­biente padovano verso la metà del secolo. I lavori iniziarono nel 1534 e continuarono per diversi anni. Nel 1560, quando il Moroni moriva, gli successe Andrea da Valle ... , il quale completò la costruzione.

G. SEMENZATO, Immagini della Provincia ... , 1973

.... Gli poniamo ora un'ultima domanda, in questo nostro vagheggiare di azioni di vita civile diversa, in questo inseguire proustianamente, un «tempo perduto» e un dempo futu­ro» improbabile. La domanda, al limite dell'assurdo, è questa: «Se le chiedessero di compor~ re un programma per una "politica dei beni culturali di Padova" quali punti essenziali indi­cherebbe?». Bettini sorride appena, e tanto basta per rendere la domanda anche un p~co pro-vocatoria.

A settant'anni, con un bagaglio di esperienze e di conoscenze eccezionali, si può rispon­dere anche a domande siftatte. «Fatta salva - dice - l'inderogabile necessità di conservare e di difendere i beni culturali di Padova - che è comune per ogni città che ne possegga - biso­gna, ovviamente, fare in modo che essi non restino un tesoro chiuso in un forziere, ma siano goduti da cittadini e da ospiti (in ciò consiste la "politica"). E vi sono i soliti mezzi: mostre d'arte antica - quella da Giotto a Mantegna è stata solo un promettente inizio - o d'arte mo­derna (c'è appena stata la mostra del bronzetto); festivals cinematografici: c'è quello del film scientifico e didattico, diverso dagli altri e forse più utile che giova potenziare; cicli di confe­renze, convegni, premi letterari e artistici, concerti da camera e sinfonici, ecc. In quest'ordi­ne è importante - per non uscire dal Veneto - che Padova si qualifìchi per manifestazioni proprie, almeno quanto Vicenza col Palladio e il Teatro Olimpico, o Verona con l'Arena. E, per esempio, allarghi la sua bella mostra dei fiori alla Fiera, magari approfittando dell'esem­pio parigino di PIace de la Concorde; o restauri, possibilmente con l'aiuto finanziario di un augurabile mecenate, la Certosa di Vigodarzere: monumento ammirevole, specie per quanto ci mise di suo Andrea Moroni; e che potrebbe diventare insieme college per studenti, specie della facoltà di agraria, e la sera, sede favorita per concerti dei Solisti Veneti o di altri grup­pi strumentali o di solisti...

w. TUZZATO, A colloquio con Sergio Bettini, 1975

Si denunciano condizioni di desolante abbandono e di rovina, del Cenobio dei Certosini presso Vigodarzere, alla periferia di Padova. Tali condizioni rendono assai difficoltosa - qua­si disperante -, la possibilità di leggere l'edificio originario e di intenderlo nel suo valore di singolate evento monumentalc.

Col soccorso delle piante settecentesche del Fossati (1760, tav. X) e del Fiondrini (ben ragionata ultimamente da E. Zorzi, 1956, pp. 22), è tuttavia consentito di procedere - nella comparazione con i pochi documenti acquisiti (e restando ancora inagibile il fondo, scarno, dei Certosini presso l'Archivio di Stato di Venezia) - ad una discriminazione abbastanza soddisfa­cente della vicenda costruttiva.

Accertiamo così, che il 2 novembre 1534 un maistro Zannino de' Belloni, «priarollus» si impegnava di date 250.000 <dapidum, tegolarum et cupporum» alla fabbrica (E. Rigoni, 1939, p. 47) molto probabilmente della chiesa e degli spazi (il chiostrino antistante, le costtuzioni di refettorio e di foresteria a definire la doppia corte laterale al chiostrino) immediatamente ad essa riducibili: vale a dire, del nucleo originario di una struttura edilizia destinata ad ac­crescersi rapidamente per aggregazione di nuove strutture. L'avvio dei lavori, così, sarà stato di pochi mesi avanti, sull'inizio del 1534 (D. C. Michelotto, 1923, pp. 16 e 6-15, per le cir­costanze che portarono alla costruzione); e sollecitamente procederà se, nel marzo 1536, dob­biamo prender atto di una vertenza sul costo di capitelli già scolpiti. In quest'occasione, ap­pare, nel ruolo di arbitro, Andrea Moroni che, otto anni dopo, nel febbraio 1544, risulta aver consegnato all'esecutore Franco di Lazzaro il disegno della porta della chiesa (E. Rigoni, 1939, p. 47 e doc. XXXI-XXXII): su tale indizio, la Rigoni (ibidem, pp. 47-48) arguiva che l'atchi­tetto non solo doveva trovarsi alla direzione della fabbrica, ma che siffatto compito doveva aver assunto da principio per mantenerlo sino alla morte, nel 1560, incontriamo - giusta un

documento utilizzato dal Temanza (1778, pago 305: ma cfr. anche E. Lovarini, 1899, p. 204) - nel ruolo di ptoto della fabbrica, Andrea da Valle.

In realtà par difficile ammettere che il Moroni dirigesse i lavori nel 1536, giacché le responsabilità d'arbitrio in controversia che coinvolgeva la fabbriceria, richiedeva la designazio­ne di personalità non compromessa con una delle parti (L. Puppi, 1971, II, p. 328); inoltre, la stessa documentazzione relativa all'intervento del 1544 designa il Moroni «protum ecclesie sancte Justine Paduc» - qual di fatto era - e non del monastero dove la sua presenza s'av­verte eccezionale (ibidem).

A riprova, quando si analizzino le forme architettoniche della chiesa (attestata nel 1572 dalla visita del Vescovo N. Ormaneto: ACV Visite Pastorali - reg. VIII, cc. 116 r-117 r) e chiostrino, s'avvertono le ragioni di una matrice stilistica d'impronta falconettesca che l'Arslan (1950 ) identifica in Tiziano Minio e che sembra lontana dai modi del Morani.

Quanto al Da Valle (cui resta poco agevole attribuire il progetto di chiesa e chiostrino), è probabile che la sua assunzione preceda - magari di parecchio - il 1560 della carta che lo testimonia proto a Vigodarzere, benché in quello stesso anno, lo Scaradeone (1560, p. 78) di­chiarasse il cenobio «nondum ... ad plenum operis consummationem perductum) ma, però, la­sciando intendere uno stadio costrunivo avanzato: ci si chiede quindi, se l'arrivo di quell'ar­chitetto non sia, per avventura, da ancorare intorno al 1554 che, erroneamente, il pur preciso Salomonio (1696, p. 262) sfoderava come la data d'inizio dei lavori.

Restano i pensieri che presiedono al progetto del bellissimo chiostro grande e di quello attiguo che si spinge sino alla parete destra della chiesa (ma anche dello stesso chiostro del­l'originario ingresso al monastero) - vale a dire, al progetto delle aggregazioni più cospicue al fuoco di chiesa col suo chiostrino, nelle quali s'assesta la forma complessa e definitiva del monumento - e che conducono alla disposizione del Da Valle, quali gli studi più recenti han posto in luce (cfr., per quel che riguarda chi scrive, L. Puppi, 1971, II; in parto pp. 328-329).

La soppressione del monastero, per decisione delle autorità deUa Serenissima, è del 1768: che vale l'identificazione cronologica dell'inarrestabile, né arrestato, processo di degradazione e di lunga rovina.

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Chiostro Maggiore

Loggia fra cella del Priore (rifacimento ottocentesco dei de' Zigno) e seconda cella

Il corridoio d'ingresso con i ferri ottocenteschi dei de' ZiRno

Doppia loggia fra seconda e terza cella

Il chiostro bugnato; sullo sfondo il corpo della chiesa e i resti del campanile

La Certosa

di Vigodarzere

.. ' Mutila, disabitata e in parte trasformata in azienda agricola, la Certosa di ViJ!,odarzere mostra evidenti, al visitatore di oggi, i seJ!,nl dell'abbandono e degli insulti dei due ultimi periodi bellici: cornicioni sfaldati, crepe nei muri non più stabili , intonaco in disfacimento, pellicola di lichene sulle decorazioni del quadriportico, mentre dei grandi alberi del parco restano solo le ceppaie . ...