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Pietro Galletto appartiene a famiglia vicentina di

Sandrigo.

Nato a Treviso nel 1929, passa a Padova nel 1938,

dove compie tutti i suoi studi.

Unitamente alla professione di medico, ha coltivato

l'amore per la nalTatlva. Dopo i due libri di carattere

autobiografico "Mio padre'! e "Il dono di Brunella"

(pubblicati dall'editrice Borla di Roma nel 1963 e

nel 1965) si è dedicato alla forma letteraria del

romanzo, calando i protagonisti nella realtà storica

della seconda metà dell'Ottocento e della prima

metà del Novecento.

Contemporaneamente ha scritto vari racconti e

biografie brevi di figure venete.

In questi ultimi dieci anni ha particolarmente

approfondito la conoscenza del periodo storico

1919-1945, pubblicando articoli sulla Resistenza.

La sua opera di narratore è stata studiata in sede

universitaria con una tesi Il La civiltà rurale veneta

nella narrativa di Pietro Galletto".

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© Copyright 1996 by Pietro Galletto Tutti i diritti sono riservati

Qualsiasi riproduzione, anche parziale; deve essere espressamente autorizzata

PIETRO GAlLETTO

La Resistenza in Italia e nel Veneto

- LINEAMENTI DI STORIA -

Pubblicazione a cura dei Comuni di Limena e di Vigonza nel cinquantenario della Liberazione

e della proclamazione della Repubblica

COMUNE DI LIMENA

PROVINCIA DI PADOVA

Con questo libro l'Amministrazione Comunale di Limena intende fornire ai Cittadini uno strumento adeguato per conoscere i fatti che hanno segnato la storia d'Italia ed in particolare del Veneto nel periodo che va dal 1919 al 1945,

Volevamo un libro che fosse di facile lettura, che raccontasse i fatti come realmente erano accaduti, completo nei riferimenti genera­li, ma focalizzato negli avvenimenti delle nostre province venete.

Crediamo di aver trovato in Pietro Galletto la persona adatta allo scopo: di lui conosciamo la passione civile, la scrupolosità e la chia­rezza espositiva che gli deriva dal!' essere autore di romanzi storici.

Il periodo qui affrontato è poco conosciuto soprattutto dai giova­ni; ma è necessario che essi sappiano delle lacerazioni della guerra civile e di come essa ha coinvolto le nostre famiglie, affinché evitino gli errori dei padri ed acquistino consapevolezza e maturità civile.

Riconfermiamo anche in questa occasione il nostro impegno per costruire una comunità che sia accogliente e sicura e che, memore del passato, generi in se stessa gli anticorpi contro ogni divisione.

Siamo grati al comune di Vigonza per essersi unito a noi in que­sta iniziativa che vuole lasciare, a ricordo della guerra di liberazione e nel cinquantesimo anniversario della Repubblica, qualche cosa che duri più delle cerimonie celebrative.

Limena, Aprile 1996

Il Sindaco

Marino Cavinato

s

COMUNE DI VIGONZA

PROVINCIA DI PADOVA

L'Amministrazione Comunale di Vigonza, nel pubblicare l'opera "La Resistenza in Italia e nel Veneto" di Pietro Galletto in sintonia di intenti con L'Amministrazione Comunale di Limena, si propone in primo luogo di rendere onore a quanti nel doloroso periodo della guerra di Liberazione hanno contribuito con la loro sofferta battaglia a restituire all'Italia i valori della libertà e della pace,

Ma noi desideriamo vivamente che questa opera, fondata nei documenti e al servizio alla verità, possa essere costruttiva delle cosciénze delle giovani generazioni,

La prima parte "Fascismo e antifascismo" mostra come si siano perdute le libertà democratiche che oggi possediamo, e di cui, per il loro uso quotidiano, a volte possiamo dimenticare lo spessore della loro preziosità insostituibik

Nella seconda parte, considerando il periodo di lutti e di sangue, di distruzioni materiali e morali che va dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, è narrato il doloroso cammino che è stato necessario compiere per riacquistare la libertà e la concordia civica, beni incommensurabili per gli individui e per la comunità,

Auspichiamo inoltre che la gioventù d'oggi, non certo priva di generosità specialmente nel campo sociale, si faccia trasmettitrice alle generazioni future, attraverso la memoria storica, del patrimonio patriottico, civico e morale acquistato con la guerra di Liberazione,

Vigonza, Aprile 1996

Il Sindaco

Mario Della Mea

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Nota dell'autore

"A rettamente giudicare degli uomini e degli avvenimenti è

necessaria la conoscenza dei tempi in cui vissero gli uni e maturarono

gli altri". Così ha scritto lo storico Cesare Balbo.

Spesso si parla a favore o contro la Resistenza, non raramente

spinti da motivi personali o di famiglia, senza una adeguata conoscen­

za storica del movimento patriottico, politico e militare, che va sotto

tale nome. Scopo dello scrivente è appunto quello di far conoscere i

fatti storici inerenti ad essa e i loro principali protagonisti.

Poiché la Resistenza è conseguenza e continuità di altri movi­

menti ideologici inseriti nella Storia, che crearono determinate menta­

lità e determinati costumi, ho ritenuto opportuno farne un richiamo.

Ho diviso la pubblicazione in due parti: la prima espone una

breve sintesi sul fascismo e antifascismo; la seconda è dedicata alla

Resistenza in Italia nei suoi punti essenziali, e nel Veneto in forma più

estesa: entrambe con i necessari riferimenti al decorso della seconda

guerra mondiale sul fronte meridionale, dallo sbarco angloamericano

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in Sicilia del 9 luglio 1943 alla capitolazione del 2 maggio 1945 del­

l'armata tedesca in Italia.

Per non generare confusioni ho preferito rispettare il succedersi

cronologico degli avvenimenti.

Fortunate vicende (a cominciare dal mio anno di nascita: la

classe del 1929, se la occupazione tedesca avesse durato ancora qual­

che mese, sarebbe stata soggetta al lavoro obbligatorio nella TODT) e

la mia indole ostile allo spirito di fazione mi hanno tenuto fuori dalle

opposte sponde, per cui spero d'aver espresso con imparzialità il dolo­

roso periodo della guerra di liberazione, che fu pur sempre una guerra

tra fratelli.

Mi sono proposto un servizio alla verità completa tralasciando il

processo alle intenzioni recondite delle azioni dei partiti, e soprattutto

degli individui. Ho voluto limitarmi all'esposizione dei fatti e delle

motivazioni ufficiali dichiarate, usando lo stile scarno, senza frasi ad

effetto, lasciando al lettore la massima libertà nel giudicare.

Grato per l'onore fattomi dai comuni di Limena e di Vigonza

affidandomi questo incarico, spero d'aver contribuito, sia pur molto

limitatamente, a rafforzare la difesa dei valori della libertà e della

pace civile.

lO

SIGLE DEL PERIODO STORICO

ACC = Allied Control Commission (commissione alleata di controllo

per l'applicazione dell"'armistizio lnngo", firmato da Badoglio ed

Eisenhower a Malta)

ACI = Advisory Council of Italy (organismo consultivo alleato e

sovietico per le direttive al governo italiano del Regno del Sud)

ACI = Azione Cattolica Italiana

AMG = Allied Military Government

ANPI = Associazione Nazionale Partigiani d'Italia

CCLN = Comitato Centrale di Liberazione Nazionale

CIL = Corpo Italiano di Liberazione, appartenente al Regno del Sud,

ma sotto l'alto comando alleato

CLN = Comitato di Liberazione Nazionale

CLNAI = Comitato di Liberazione Alta Italia

CLNP = Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale

CLNRV = Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Veneto

CMRV = Comando Militare Regionale Veneto

CVL = Corpo dei Volontari della Libertà

DC = Democrazia Cristiana

EIAR = Ente Italiano Audizioni Radiofoniche

FADP = Forze Armate della Patria

GAP = Gruppi Armati Patriottici

GIAC = Gioventù Italiana di Azione Cattolica

GIL = Gioventù Italiana del Littorio del ventennio fascista

GL = Giustizia e Libertà, le brigate partigiane del partito d'Azione

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GNR = Guardia Nazionale Repubblicana della RSI

GUF = Gioventù Universitaria Fascista

MUP = Movimento per l'Unità Proletaria

MVSN = Milizia Volontaria fascista per la Salvezza Nazionale

ONB = Opera Nazionale Balilla

OT oppure TODT = Organisation Todt (organizzazione del ministro

Todt Fritz) per il reclutamento di lavoratori stranieri da impiegare

nella costruzione di opere militari

OVRA = Opera Volontaria per la Repressione dell' Antifascismo

PCd'I = Partito Comunista d'Italia

PCI = Partito Comunista Italiano

Pd'A = Partito d'Azione

PFR = Partito Fascista Repubblicano

PLl = Partito Liberale Italiano

PNF = Partito Nazionale Fascista

PPI = Partito Popolare Italiano

PRI = Partito Repubblicano Italiano

PSI = Partito Socialista Italiano

PSIUP = Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria

RSI = Repubblica Sociale Italiana

SAP = Squadre di Azione Partigiana

SD = Sichereits Dients: polizia di sicurezza tedesca, usata soprattutto

contro gli oppositori del regime nazista

SS = Schutz Staffeln (squadre di protezione) truppe tedesche usate

particolarmente contro gli ebrei

UPI = Unione Proletaria Italiana

X MAS = Milizia volontaria autonoma di Junio Valerio Borghese

nelIaRSI

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PARTE PRIMA

FASCISMO E

ANTIFASCISMO

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CAPITOLO l

DEFINIZIONE DEL FASCISMO

Mussolini, come fece per la seconda edizione dei "Colloqui con

Mussolini" (intervista sul suo pensiero politico e sociale concessa ad Emil Ludwig) in cui, a seguito di proteste da parte cattolica, modificò

il contenuto di alcune pagine, così si comportò anche per la voce "fascismo", curata dal filosofo Giovanni Gentile, apparsa nel volume

XIV dell'Enciclopedia Italiana nel 1932. Per testimonianza di Emilio De Vecchi, ambasciatore presso la

Santa Sede, Mussolini, appena seppe da lui che la definizione aveva

suscitato le proteste di Pio Xl, si affrettò a sospendere la pubblicazio­ne del volume, e si dedicò alla revisione del testo.

Nella edizione corretta, di sua personale stesura è la seconda parte che incomincia con il capoverso: "Quando nell' ormai lontano

marzo 1919 ... ", mentrc la prima appartiene al filosofo Gentile, ehe dà una definizione del fascismo alla luce del suo pensiero filosofico.

A partire da quel capoverso, appare che la dottrina del fascismo si compone di molteplici idee, che si aggiunsero una dietro l'altra, a volte sopprimendo le precedenti, lungo il succedersi degli avvenimen­

ti storici, delle situazioni e intese politiche.

Dal programma pubblicato dopo la riunione del 23 marzo 1919 a Milano in piazza San Sepolcro, è scomparsa la pregiudiziale repub­blicana e l'anticlericalismo, come pure l'impostazione socialista al

problema sociale (la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, i consigli nazionali tecnici del lavoro, i minimi di paga).

Il fascismo, in questa definizione del 1932 compilata dal suo

stesso fondatore, risolve il problema economico-sociale con il corpo-

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rativismo, cioè con quel sistema che tende ad una collaborazione dei datori di lavoro da un lato e dei lavoratori dall'altro, evitando la lotta

di classe. Nel corporativismo fascista, però, i sindacati sono nominal­mente liberi e tutto il sistema poggia sul dispotico interventismo stata­

le. Negati il liberalismo, il socialismo e il concetto tradizionale di

democrazia, Mussolini definisce il fascismo "una democrazia organiz­

zata, centralizzata, autoritaria" e afferma che lo Stato fascista è "etico" in quanto ha una sua consapevolezza e una sua volontà. Pur dicendo che "Lo Stato fascista organizza la nazione, ma lascia poi agli indivi­

dui spazi sufficienti" si deduce che è uno Stato totalitario, come già Mussolini aveva fatto capire più volte.

In sostanza, in questa trattazione, egli ribadisce quanto aveva

dichiarato nel discorso del 26 maggio 1927 alla Camera (dagli sto rio­grafi chiamato il "discorso dell'Ascensione") e cioè che lo Stato fasci­

sta corporativo si fonda sulla formula: "Tutto nello Stato, niente con­tro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato".

E' uno Stato, quindi, che toglie la libertà di pensiero e di azione politica agli individui e non esclude l'uso della violenza. La tristemen­te nota attività squadristica, le "leggi eccezionali" del 1926, la capilla­

re azione del capo della polizia Arturo Bocchini per la eliminazione dell'antifascismo e l'attività dell'OVRA (Opera Volontaria per la

Repressione dell'Antifascismo) estesa anche fuori dei confini naziona­li, ne sono la dimostrazione.

Tuttavia, in questo periodo nell'ideologia del fascismo non entra la teoria del razzismo, per cui la razza pìù forte deve dominare le altre. Anzi, Mussolini la condanna apertamente; e riferendosi al com­

portamento antisemitico di Hitler, così si esprime nel discorso di Bari del 6 settembre 1934:

"Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà tal une dottrine di oltr'Alpe, sostenute dalla progenie di gente 'che

ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della pro-

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pria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto".

Dopo quattro anni, invece, nonostante la totale condanna del razzismo fatta da Pio XI il 14 marzo 1937 eon la enciclica "Mit bren­nender Sorge", vengono approvati i decreti antisemiti dell'I settembre

e del IO novembre 1938, firmati da Vittorio Emanuele III, in piena antitesi con lo Statuto albertino.

Ma sia per le molte eccezioni inserite nei decreti, sia per l'oppo­sizione civile e morale del popolo italiano, sia per l'omelia del cardi­nale Schuster di ulteriore condanna, apparsa nel quotidiano "L'Italia"

del 15 novembre 1938, il razzismo rimane moderato fino all'armisti­zio dell'8 settembre 1943.

Il fascismo repubblicano della Repubblica Sociale Italiana modifica la ideologia dominante nel ventennio; torna alle origini repubblicane e al socialismo giovanile di Mussolini con il "Manifesto

di Verona" del novembre 1943, alla cui stesura contribuisce anche il socialista Nicola Bombacci (socializzazione di aziende private, consi­

gli di gestione composti da operai nelle aziende socializzate, parteci­pazione degli operai agli utili delle imprese).

Vi manca, però, l'impostazione anticlericale, ma viene peggiora­to l'antisemitismo con l'articolo n. 7, che dichiara gli ebrei "stranieri e nemici!!.

NAZIONALISMO E FASCISMO

Subito dopo il capoverso menzionato, tra i pensatori e ideologi ai quali attinse il fascismo, Mussolini nomina anzitutto il teorico del sindacalismo rivoluzionario Giorgio Sorel (ammirato e dal liberale

Benedetto Croce come dal socialista Arturo Labriola), che esalta la forza rinnovatrice della violenza ed ha vivissimo il senso della nazio­

ne e della tradizione francese; poi Carlo Peguy, socialista, scrittore profondamente patriottico e di ispirazione cattolica; e quindi Paolo

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Orano ed Angiolo Olivetti, di minore importanza, che fondono in­sieme idee socialistiche e nazionalistiche.

Più oltre Mussolini così si esprime: "Dal 1870 al 1915 corre il

periodo in cui gli stessi sacerdoti del nuovo credo (liberalismo) accu­

sano il crepuscolo della loro religione: battuta in breccia dal deca­

dentismo nella letteratura, dall' attivismo nella pratica. Attivismo:

cioè nazionalismo, futurismo, fascismo. " Il futurismo ebbe influsso notevole nel fascismo, basti pensare

che il suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti fu candidato con Mussolini nella prima presentazione elettorale del fascismo e rimase fedele alla ideologia fascista anche nella Repubblica Sociale Italiana. Ma si trattò, essendo un fatto letterario, di un influsso più di forma, cioè di stile, che non di idee.

Considerando il brano appena citato e i personaggi precedente­mente nominati, appare che il nazionalismo, almeno in parte, costitui­sce un fondamento originario di grande importanza.

Infatti, sia i nazionalisti come i fascisti fecero sempre riferimen­to allo scrittore nazionalista Alfredo Oriani, quale loro precursore. Da qui la necessità di accennare alla ideologia di tale movimento e al suo sviluppo in Italia.

Sotto il termine" nazionalismo" si presentarono in Europa, nella seconda metà dell'Ottocento, vari movimenti che, pur nella diversità della formulazione, ebbero in comune i tre principi della "legge del più forte", dello "spazio vitale", dell"'imperialismo".

Nella formulazione di tali dottrine influirono concezioni filoso­fiche, di cui il principale esponente fu Federico Nietzsche, e letterarie, che in Italia videro in prima linea Alfredo Oriani, Gabriele D'Annunzio, Enrico Corradini e Filippo Tommaso Marinetti.

Pertanto i nazionalismi si opposero al principio di nazionalità, enunciato dallo stesso Mazzini e poi sostenuto in sede europea dal presidente americano Wilson, secondo il quale un insieme di g~nti legate da comunanza di tradizioni hanno diritto all'indipendenza.

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Esaltarono, invece, la supremazia della nazione più forte, teoria da cui è facile cadere nel razzismo.

Specialmente in Germania il nazionalismo si affermò con Bismark e Guglielmo II, mentre in Italia ebbe in campo politico un precursore in Francesco Crispi.

L'Associazione Nazionalista Italiana nacque nel 1910. L'ideologo fu il letterato Enrico Corradini, che nel 1902 con il dram­ma "Cesare" fece del grande romano il simbolo dell'antidemocrazia. Egli riduceva tutti i problemi della vita italiana a due soli: "un pro­blema di ordine e disciplina interna, e uno di guerra".

Personaggi di spicco come Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini e Alfredo Rocco divennero presto alfieri del nazionalismo, e attraverso la rivista "II Regno" accusarono la democrazia liberale di debolezza e spinsero alle conquiste coloniali in nome dell"'amore del pericolo e della violenza".

I nazionalisti furono sostenitori della conquista coloniale della Libia e più ancora dell'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale. Nonostante avessero appena sei deputati, la loro propaganda fu impo­nente, soprattutto per opera di D'Annunzio e di Mussolini, il quale da antilibico ad oltranza era divenuto uno dei più accaniti sostenitori della guerra contro l'Austria.

Il popolo, dalla cui parte si erano schierati socialisti e cattolici, era in maggioranza neutralista.

Anche il parlamento era in gran parte contrario alla guerra, tanto che il lO maggio 1915 ben 320 deputati e un centinaio di senatori lasciarono a casa di Giolitti il proprio biglietto da visita per sottolinea­re la loro adesione alla sua ferma posizione neutralista. Ma impressio­nato dalla stampa e dalle manifestazioni di piazza, quello stesso parla­mento dopo soli dieci giorni concederà al presidente del consiglio Antonio Salandra i pieni poteri, che porteranno l'Italia nel conflitto mondiale.

Durante gli anni in cui il fascismo andava sviluppandosi (1919-

19

1922),i nazionalisti si associarono ai fascisti, oltre che nelle manife­

stazioni di carattere patriottico, anche in alcune di violenza. L'Associazione Nazionalistica Italiana, pure in corsa verso il

potere, quando si considerò perdente, ritenne di dover fondersi con il partito fascista per comunanza di ideali; e ciò avvenne con solennità il

26 febbraio 1923, a nemmeno quattro mesi dalla "Marcia su Roma".

I nazionalisti ebbero cariche di governo fin dal primo ministero formato da Mussolini nel 1922; e continuarono ad averle anche nel

ventennio. Divennero ministri Luigi Federzoni, Pietro Lanza di Scalea, Alfredo Rocco e Dino Alfieri; mentre Forges Davanzati as­

sieme ad Ezio Maria Gray svolsero la funzione di propagandisti di primo ordine nel portare il popolo al consenso di massa verso il fasci­

smo.

20

CAPITOLO 2

NASCITA E AFFERMAZIONE DEL FASCISMO

DURANTE IL BIENNIO ROSSO

" Gli anni 1919 e 1920 sono chiamati dagli storici biennio rosso" per il notevole sviluppo delle forze socialiste e delle loro istituzioni.

Il 1919 è caratterizzato da continue ondate di malcontento per la

grave situazione economica da parte del popolo, deluso dalla classe dirigente borghese che ha voluto la guerra. Lo stato di scontento si esterna nel numero impressionante di scioperi, spinti anche psicolo­

gicamente dallo sciopero di marzo dei minatori inglesi. In tutto l'anno si effettuano 1.626 scioperi di categoria e frequenti assalti ai magazzi­ni pubblici e privati.

Il popolo si lamenta soprattutto per il crescente numero di

disoccupati, causato dalla smobilitazione militare; non tollera le pro­teste quotidiane per la "vittoria mutilata" dei nazionalisti, che preten­devano fosse annessa all'Italia la Dalmazia; e vede nell'occupazione di

Fiume da parte di D'Annunzio una volontà di guerra. I rancori del proletariato per quanti favorirono l'entrata

dell'Italia nella guerra mondiale si sfogano con insulti all'esercito e non raramente con inseguimenti e percosse agli ufficiali, sotto la spin­

ta di elementi anarchici o dell'ala rivoluzionaria estremista del partito socialista italiano.

Il 23 marzo, a Milano, in piazza San Sepolcro, nella sede del "Circolo per gli interessi industriali, agricoli e commerciali", Mussolini fonda il "Movimento dei Fasci italiani di combattimento"

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in difesa della "vittoria mutilata" e dei combattenti, in linea con il suo giornale "Il Popolo d'Italia", che dal lO agosto 1918 portava il sottoti­

tolo di "Quotidiano dei combattenti e dei produttori". Il 6 giugno viene pubblicato il "Programma dei Fasci italiani di

combattimento". Oltre alla rinnovata difesa dell'intervento italiano

nella guerra mondiale e delle richieste territoriali dell'Italia, è presen­

tato anche un programma sociale di sinistra. Si chiede il suffragio uni­versale per entrambi i sessi, la convocazione di una assemblea nazio­

nale costituente in vista della instaurazione della repubblica, i consigli nazionali tecnici del lavoro, la partecipazione dei lavoratori agli utili

della fabbrica, i minimi di paga, la giornata lavorativa di otto ore per

tutti, e varie previdenze sociali. Sul piano finanziario si esige una immediata imposta straordina­

ria sul capitale a carattere progressivo che sia così forte da realizzare

una espropriazione parziale di tutte le ricchezze. Accentuate sono anche le note anticlericali: si chiede perento­

riamente "il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'a­bolizione di tutte le mense vescovili, che costituiscono un'enorme pas­

sività per la nazione, e un privilegio di pochi". Per le elezioni del 16 novembre, Mussolini compila una lista

senza interpellare i candidati: il futurista Marinetti, l'anticlericale Podrecca, il direttore d'orchestra Toscanini sono i nomi più noti. La

lista raccoglie appena 4.000 voti e pertanto nemmeno un seggio. Mussolini deve constatare non solo il suo fallimento, ma anche

il trionfo delle forze antinterventiste: i socialisti ottengono 156 depu­

tati, i popolari 100, mentre per i liberali, quasi dimezzati perché ridotti a soli 178, c'è, come l'ha definita il giornale "Perseveranza", antico

foglio moderato, "Una vera e propria Caporetto elettorale per il li­

beralismo" . La sconfitta del nazionalismo e dell'interventismo è totale:

cadono figure prestigiose di sostenitori della guerra come i ministri Ferdinando Martini ed Ettore Sacchi; nessuno degli eroi della guerra,

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portati si candidati, riesce deputato, nemmeno Raffaele Rossetti e Luigi Rizzo, gli affondatori delle navi austriache. Colpo ancora più

grave è l'elezione del disertore Francesco Misiano con ben 26.000 voti di preferenza. Alla fine del 1919 il movimento dei "Fasci italiani

di combattimento" in tutto conta soltanto ottocentosettanta soci. Il 1920 è particolarmente segnato dagli scioperi agrari di prima­

vera in val padana e dalla occupazione delle fabbriche in settembre, proclamata di fronte alla serrata con cui gli industriali avevano rispo­

sto alle richieste salariali

Per Gaetano Salvemini nel biennio rosso si conterrebbero com­plessivamente 200 morti, in maggioranza di parte proletaria, e le vitti­me dovute alla violenza operaia non sarebbero più di 65; ma secondo

altri il numero sarebbe ben maggiore. Per Filippo Virgili dell'Università di Siena, nel solo mese di settembre del 1920, ci sareb­bero stati 41 morti e 215 feriti, come appare da un sno articolo su "Il

giornale d'Italia" del 17 ottobre 1920. Nell'estate del '20 il movimento fascista prende forza dall'ap­

poggio economico degli agrari, che intendono sfruttarlo per reagire alle intemperanze delle leghe rosse. Verrà poi finanziato dagli indu­

striali. Piero Gobetti, don Luigi Sturzo, Antonio Gramsci ed in partico­

lare lo storico Alatri atfermano che Giolitti e i suoi più stretti collabo­ratori (Ivanoe Bonomi e Camillo Corradini) avrebbero appoggiato e addirittura armato il fascismo in funzione antisocialista. De Felice,

invece, riduce la portata storica di tale collusione. li 13 luglio del '20 i fascisti incendiano l'hotel Balkan di Trieste,

sede delle organizzazioni slovene; il 21 novembre irrompono davanti al Palazzo d'Accursio, municipio di Bologna: viene ucciso un consi­

gliere fascista e tra i socialisti si hanno nove morti; il 20 dicembre a Ferrara nel tentativo di entrare al castello Estense, sede municipale,

per togliere le bandiere rosse si scontrano con i socialisti: rimangono nccisi tre fascisti e un socialista.

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NEL BIENNIO NERO

Gli anni 1921 e 1922, in contrapposto ai due precedenti, costi­tuiscono il "biennio nero" per il crescente prevalere, a mezzo della violenza, dei fascisti sui socialisti. Ancor più accanita e cruenta è la

lotta che il fascismo sferra contro il Partito Comunista d'Italia (PCd'I), istituito da Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Amadeo Bordiga all'inizio del '21 durante il congresso di Livorno.

Le violenze fasciste avvengono con il celato consenso del governo, il quale invece combatte duramente le violenze dell'organiz­

zazione di sinistra estrema degli "Arditi del popolo". L'eccidio più grave, però, non appartiene ai fascisti, ma agli

anarchici milanesi. La sera del 23 marzo 1920, mercoledì santo, all'in­

gresso del teatro Diana di Milano, scoppia un ordigno di alto poten­ziale: rimangono uccise 21 persone e ferite una ottantina. Si sostiene

che sia stato compiuto un errore di collocazione: l'obiettivo prescelto non era il teatro, ma l'adiacente albergo Diana dove alloggiava il que­

store che aveva fatto incarcerare Errico Malatesta, capo degli anarchi­ci italiani.

Appare chiaro chi siano i colpevoli. Tuttavia, i fascisti attaccano i socialisti, denunciandoli come responsabili. La sera stessa, uniti a nazionalisti ed arditi della guerra mondiale, assaltano e distruggono la

nuova sede dell"'Avanti" in via San Damiano. L'anno precedente era stata distrutta ad opera dei fascisti anche quella di via San Gregorio.

Nel Veneto, grave è la battaglia di Treviso, iniziata all'alba del 13 luglio e durata quattro ore. Un migliaio di fascisti di varie province assediano e saccheggiano il palazzo Filodrammatici in cui ha sede la

direzione del quotidiano "Il Piave" del Partito Popolare, e assaltano in via Manin la federazione del Partito Repubblicano, difesa dall'onore­

vole Guido Bergamo: un solo morto tra i fascisti e un numer~ non conosciuto tra i repubblicani.

24

Per protesta il direttorio fascista trevigiano, che si proclama estraneo all'iniziativa, si dimette in blocco.

Con le elezioni del '21 fanno il loro primo ingresso a

Montecitorio 35 deputati fascisti. Sono eletti inserendosi nei "blocchi nazionali" .

Con il suo primo discorso alla Camera Mussolini tenta di avvi­

cinarsi sia al PPI come al PSI. Inoltre rinuncia all'originario anticleri­calismo. Agganciandosi al pensiero di Teodoro Mommsen dichiara:

"Affermo che l'unica idea universale che oggi esiste a Roma, è quella che si irradia dal Vaticano".

Durante l'estate Mussolini, prima con la mediazione di Ivanoe Bonomi e poi di Enrico De Nicola, il 2 agosto firma il "patto di paci­ficazione" con i socialisti, che però rimane sulla carta perché respinto

dal congresso regionale dei fascisti emiliani e romagnoli. Nel congresso nazionale di novembre, al teatro Augusteo di

Roma, il movimento, forte di 217.000 iscritti tra ex combattenti, agra­ri, industriali e piccoli borghesi specialmente statali, di venIa Partito nazionale fascista (PNF). Il programma del 1919, antiborghese, anti­

monarchico e anticlericale ha fatto posto al culto dello Stato su base conservatrice.

Il '22 si apre con la morte di Benedetto XV, cui segue l'elezione il 6 febbraio di Pio XI. Subito Mussolini pubblica un a!1icolo di elo­gio per il nuovo pontefice ..

Il 3 marzo nazionalisti e fascisti assaltano il palazzo del governo di Fiume per accelerare l'annessione della città all'Italia.

Il 31 luglio l'Alleanza del lavoro, che raggruppa i sindacati della sinistra, proclama lo "sciopero legalitario", così definito da Filippo

Turati, perché teso ad ottenere l'azione della legge contro le violenze fasciste. Si conclude con un insuccesso per la mobilitazione, in senso contrario, delle squadre fasciste.

I fascisti passano alla controffensiva saccheggiando e incen­diando varie "Case del popolo" dei socialisti, specie a Genova e a

25

Milano, dove procedono all'occupazione di palazzo Marino, sede del

municipio. Gabriele D'Annunzio, di passaggio per la città, viene por­tato al balcone, dove improvvisa un discorso sulla pacificazione. Subito dopo le squadre compiono il terzo assalto della redazione del

quotidiano "L'Avanti".

LA MARCIA SU ROMA

Il 2 ottobre, quasi preludio della prossima spedizione su Roma per la conquista del potere governativo, squadre venete e lombarde al comando di Alberto De Stefani, economista veronese, marciano alla

volta di Bolzano e cacciano dal municipio il sindaco tedesco; il 3 impongono le dimissioni all'onorevole Luigi Credaro, governatore del

Trentino-Alto Adige. Queste azioni sono realizzate dal De Stefani senza alcuna vitti­

ma. Egli, come pure il veneziano Giovanni Giuriati, non usa i mezzi

violenti e tipici di ltalo Balbo, di Leandro Arpinati, di Renato Ricci e di altri protagonisti del fascismo di questo periodo; e dà del fascismo

una definizione sociale di impronta filosofica: "Il fascismo è l'impera­tivo categorico della coscienza collettiva individuale".

Il 24 ottobre si tiene il convegno nazionale fascista a Napoli.

Dopo il discorso al teatro San Carlo, improntato alla pacificazione, Mussolini, in uno più breve in piazza Plebiscito, esce nella frase: "O

ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma".

Nella notte e nel mattino seguente i 40.000 fascisti fanno ordi­

natamente ritorno alle loro sedi senza fermarsi a Roma. Il 26 a Perugia si insedia il quadrunvirato della rivoluzione,

composto da Michele Bianchi, Emilio De Bono, Italo Balbo, Cesare

De Vecchi. Per il 27 convergono attorno a Roma le squadre: a 'Santa

Marinella al comando di Dino Perrone Compagni e del generale Sante

26

Ceccherini; a Monterotondo, di Ulisse Igliori e del generale Gustavo

Fara; a Tivoli, di Giuseppe Bottai. Una colonna di riserva rimane a Foligno al comando del generale veronese Umberto Zamboni.

Il 28 vengono occupati dagli altri fascisti, non partecipanti alla

"marcia" e rimasti appositamente nelle loro sedi, i principali uffici amministrativi delle più importanti città dell'Italia settentrionale.

Secondo le fonti più attendibili per imparzialità, le colonne

fasciste raggiungono a mala pena i 25.000 uomini, pessimamente armati; a presidio di Roma vi sono 28.000 uomini delle forze armate.

I! rifiuto di Vittorio Emanuele III a firmare il decreto dello stato d'assedio, presentatogli da Luigi Facta, rende possibile l'entrata degli

squadristi in Roma il 30 ottobre, accompagnata da alcuni scontri con gli arditi del popolo nelle borgate operaie di San Lorenzo e Trionfale.

Nel frattempo Mussolini arriva in treno a Roma, proveniente da

Milano, dove gli è giunto per telegramma l'incarico del re a formare il

nuovo governo. AI pomeriggio del 31 ottobre Vittorio Emanuele III, con ai lati

Diaz e Tahon de Revel, assiste dal balcone del Quirinale alla sfilata

degli squadristi, che dura cinque ore per il loro aumento notevole

negli ultimi due giorni.

27

CAPITOLO 3

IL FASCISMO AL POTERE

STRATEGIA POLITICA DI MUSSOLINI

La composizione del primo governo Mussolini è giudicata equi­

lìbrata. Tenuti per sè i ministeri degli interni e degli esteri, distribuisce gli altri dicasteri a demosociali, nazionalisti, liberali e popolari, affi­

dandone soltanto tre ai fascisti, scelti nell'ala moderata: Alberto De Stefani alle finanze, Giovanni Giuriati alle terre lìberate, Aldo Oviglìo alla giustizia.

Prima di chiedere la fiducia, il nuovo governo il lO novembre attua l'abolìzione della nominatività dei titoli azionari, già approvata

da Giolìtti e poi sospesa da Bonomi; e inoltre provvede a ritirare il progetto di riforma agraria, già passato al vaglio della Camera.

n discorso del 16 novembre con cui Mussolini si presenta alla Camera, oggettivamente sprezzante, è ricordato dagli storici come il "discorso del bivacco" per il suo punto più pungente e provocatorio:

"Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipo­li. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusiva­

mente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto".

Ciò nonostante il parlamento, composto in larghissima maggio­

ranza da deputati non fascisti, vota la fiducia con 316 "sì" contro 116 "no". Soltanto sette sono gli astenuti. Votano a favore personaggi di

spicco: Giolitti, Bonomi, Salandra, Orlando, De Gasperi, Gronchi, Meda. '

28

Dopo soli otto giorni, Mussolìni ottiene anche i pieni poteri in materia economica e amministrati va fino al 31 dicembre 1923 dalla

Camera, che risulta in tal modo molto limitata nelle sue funzioni. Ad ulteriore sostegno politico del nuovo governo arrivano i

risultati delle elezioni amministrative di Milano del lO dicembre: il

"blocco costituzionale", composto da fascisti, liberali e popolari, con­

segue una larga vittoria sulle tre liste socialiste in contrapposizione.

Proseguono le violenze squadristiche. A Torino, in seguito al ferimento di due fascisti, il 18 dello stes­

so mese si scatena la reazione squadristica: è incendiata la Camera del

Lavoro e presa d'assalto la sede redazionale del giornale "Ordine Nuovo" di Antonio Gramsci. Alla fine delle violenze, il capo deglì squadristi rivendica di aver provocato 22 morti. Mussolini definisce

l'eccidio "un'onta della razza umana", destituisce il prefetto e il que­store della città. Il fascio di Torino viene sciolto.

Nella sua strategia di creare le basi per un successo elettorale, Mussolini vuole avere come alleati i liberali e i popolari; combatte,

invece, tramite la polìzia, le sinistre. Il fascismo dà grande importanza alla propaganda giornalìstica

e promuove la nascita di nuovi giornali e settimanalì.

Nello scorcio del 1922 nasce il quotidiano "L'Impero", che sarà da Mussolini privilegiato. Il foglìo "fascistissimo" è diretto dal futuri­

sta Mario Carli, ex capitano degli Arditi, e da Emilio SettimeUi, pure futurista. L'aggressività dei suoi direttori e redattori provocherà ben

sessantasette duelli in difesa delle loro posizioni, neglì anni tra il 1924 e il 1930. Il giornale cesserà nel 1933.

LA LEGGE ELETTORALE ACERBO

Nel 1923, istituita ufficialmente la Mì1ìzia Volontaria per la

Salvezza Nazionale (MVSN), oltre al già ricordato inserimento

29

dell'Associazione nazionalista nel Partito nazionale fascista, Mussolini ottienc un valido appoggio dall'ala destra del Partito popo­lare. Il 23 aprile i deputati del Partito popolare con cariche ministeriali

danno le dimissioni, ma il giorno successivo nasce il Partito nazionale popolare, di cui Egilberto Martire, uno dei fondatori, viene ricevuto nella stessa giornata da Mussolini. Gli aderenti al nuovo partito ven­

gono chiamati "cattolici nazionali". Molto osteggiata in questo periodo è la presentazione della

riforma elettorale del deputato fascista Giacomo Acerbo, protesa a rafforzare la stabilità di un secondo governo capeggiato da Mussolini. Prevede l'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio

unico nazionale, e introduce il premio di due terzi di seggi alla lista nazionale che ottenga la maggioranza relativa di almeno il 25% dei

voti. De Gasperi invece propone una maggioranza relativa del 40% e che il premio sia ridotto ai tre quinti in modo da alterare meno il rap­porto tra maggioranza e minoranza.

Nell'imminenza del dibattito alla Camera della legge Acerbo, un gruppo di "cattolici nazionali" il 3 luglio pubblica un manifesto di

adesione al governo e alla riforma elettorale. Don Sturzo il IO luglio, data di inizio del dibattito in parlamen­

to, si dimette da segretario del Partito popolare italiano in segno di

opposizione alla nuova legge elettorale, che non può essere approvata senza l'appoggio dei popolari. Egli, invece, è uno strenuo difensore

del sistema elettorale proporzionale. La legge Acerbo viene approvata il 21 dello stesso mese a scru­

tinio segreto con 223 voti favorevoli e 123 contrari. In questo periodo Mussolini cerca di ridurre le intemperanze dei

capi locali del fascismo detti "ras" per la loro antorità incontrastata

nella propria zona da far pensare ai signori feudali d'Etiopia e d'Eritrea. I più noti sono Italo Balbo a Ferrara; Renato Ricci a

Carrara; Carlo Scorza a Lucca; Roberto Farinacci a Cremona; Leandro Arpinati a Bologna.

30

Tuttavia anche nel '23, sia pur in forma ridotta rispetto al bien­nio nero, si hanno episodi gravi di violenza; l'aggressione del sociali­

sta Modigliani a Livorno il 3 febbraio; l'assassinio di don Minzoni ad Argenta il 24 agosto; le percosse a sangue a Giovanni Amendola a

Roma il 26 dicembre. Nella lotta agli antifascisti, è arrestato a Torino il 2 febbraio

Piero Gobetti, il giovane intellettuale che cerca di fondere le idee del

liberalismo con quelle del socialismo; ma dopo pochi giorni torna libero per l'intervento del filosofo Benedetto Croce che molto lo

stima. I! giorno successivo la polizia arresta a Roma Amadeo Bordiga,

uno dei fondatori del partito comunista, e a breve distanza, la quasi

totalità del comitato centrale del partito; l'uno marzo arresta a Milano Giacinto Menotti Serrati dell'ala massimalista del PSI, e il 31, dello

stesso mese e ugualmente a Milano, il dirigente comunista Ruggero

Grieco.

LE ELEZIONI DEL 1924

Il 28 gennaio Mussolini apre la campagna elettorale fascista con un discorso a Roma in piazza Venezia, in cui invita "tutti gli uomini del popolarismo, del liberalismo e della frazioni della democrazia

sociale" ad entrare nella grande lista nazionale di 356 candidati, alla cui compilazione presiedono cinque membri designati dal Gran consi­glio del fascismo: Giacomo Acerbo, Michele Bianchi, Cesare Rossi,

Aldo Finzi e Francesco Giunta. Influiscono positivamente sulle elezioni del 6 aprile le dichiara­

zioni a favore del fascismo, fatte alla vigilia, da Salandra a Milano e da Orlando a Palermo; e ancor più la loro entrata nella lista nazionale

fascista, detta "listone", assieme agli ex popolari Stefano Cavazzoni, Egilberto Martire e Paolo Mattei Gentili.

31

Ma vi contribuisce anche il manifesto, redatto dal marchese Filippo Crispolti e firmato da centocinquanta" fra le maggiori perso­nalità cattoliche d'Italia", invitante gli elettori cattolici a dare il loro voto di appoggio al governo fascista, il quale aveva dimostrato di rea­lizzare le più vive aspirazioni dei cattolici.

Infine ha il sno peso il clima di intimidazione in cui si svolgono in alcune zone.

In questo momento va inserito l'episodio di violenza avvenuto nella notte tra il 7 e 1'8 aprile per punire l'arciprete di Sandrigo (Vicenza) don Giuseppe Arena, esponente del sindacalismo cattolico. I fascisti, non trovandolo in canonica, riducono in gravissime condi­zioui i cappellani don Federico Mistrorigo e don Francesco Regretti. Il fatto provoea una reazione di protesta aperta e senza mezzi termini di monsignor Ferdinando Rodolfi, vescovo di Vicenza. Oltre ad invia­re un telegramma severo a Mussolini, ordina l'affissione della scomu­nica agli esecutori e ai fautori della criminosa spedizione sulle porte delle chiese dei vicariati di Sandrigo, Breganze, Marostica e Rosà.

I risultati elettorali danno al "listone", potenziato dalle liste filo­fasciste, il 64,9% e alle opposizioni il 35, l % dei voti validi. Ne conse­gue che scatta la legge Acerbo per cui 356 seggi sono assegnati al listone fascista; 19 a liste fiancheggiatrici; 161 agli schieramenti anti­fascisti.

Dall'analisi della distribuzione dei voti risulta che in Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto gli oppositori ottengono più voti dei fascisti: 1.317.117 voti contro 1.194.829.

Nonostante il clima intimidatorio in cui si sono svolte le vota­zioni, Piero Gobetti, appartenente all'area di sinistra del partito libera­le e ritenuto acerrimo antifascista, nel suo quotidiano "La Rivoluzione Liberale" del 14 aprile, dichiara che le elezioni del 6 aprile 1924 nel loro significato globale non si possono contestare.

32

CAPITOLO 4

L'ANTIFASCISMO DAL COMITATO DELLE OPPOSIZIONI

AGLI ATTENTATI A MUSSOLINI DEL 1926

Il lO giugno Giacomo Matteotti, che il 30 aprile ha denunciato alla Camera violenze e brogli nelle elezioni, è aggredito e rapito a Roma sul luugotevere Arnaldo da Brescia. Alla notizia, in tutta Italia si eleva un coro di indignazione.

Tre giorni dopo Mussolini garantisce in parlamento il massimo impegno per la ricerca dei colpevoli del sequestro dell'onorevole Giacomo Matteotti. Approvato l'esercizio provvisorio del bilancio, non essendovi altri argomenti presentati da discutere, i lavori della Camera vengono sospesi dal presidente Alfredo Rocco senza aggior­nare la seduta.

Nello stesso giorno si costituisce il "Comitato delle opposizioni" composto da popolari, demosociali, repubblicani, socialisti, comuni­sti. Con questa associazione inizia il movimento dell'antifascismo quale organizzazione di forze diverse sul piano politico, ma unite con­tro l'ideologia e il regime fascista.

Antonio Gramsci propone al Comitato delle opposizioni uno sciopero generale; la proposta non viene accettata, e il Partito comuni­sta d'Italia (PCd'I) ritira i suoi deputati dal Comitato.

Il 25 dello stesso mese Camera e Senato confermano la fiducia al governo Mussolini.

Per protesta nei confronti del Parlamento e come simbolo di

33

n Gazzettino

Il cadavere di Matteotti scoperto in una boscaglia Ila il petto da una lima -I la commozione, gli

, L'annuncio del ritrovamento del cadavere di Matteotti su "Il Gazzettino" con titolo a piena pagina.

34

difesa dei valori della democrazia, due giorui dopo il Comitato delle

opposizioni decide l'astensione dei suoi parlamentari dai lavori della

Camera fino a quando non venga costituito un nuovo goveruo ve­

ramente democratico.

Filippo Turati (che ha dovuto riconoscere l'astuzia di Alfredo

Rocco di sospendere i lavori della Camera) richiamandosi alla seces­

sione dei plebei sul colle Aventino nell'antica Roma, dirà che gli anti­

fascisti si sono ritirati sull'Aventino delle loro coscienze. Da allora i

parlamentari astensionisti saranno chiamati "aventiniani".

I ministri Oviglio, De Stefani e Gentile subito dopo il sequestro

di Matteotti hanno presentato le dimissioni, ma quelle di De Stefani

non sono accettate.

Nel rimpasto ministeri aIe entrano i liberali di destra: Antonio

Casati e Gino Sarrocchi, il nazionalista Pietro Lanza di Scalea, gli ex

popolari, ed ora "cattolici nazionali", Cesare Nava e Paolo Mattei.

Nell'immediato consiglio dei ministri viene approvato un decreto re­

strittivo della libertà di stampa.

I! 16 agosto il cada vere di Matteotti viene rinvenuto nella

boscaglia della Quartarella, sulla via Flaminia: l'indignazione cresce

in tutta Italia.

L'uno settembre il drammaturgo Sem BeneUi, nonostante fosse

stato candidato del listone, istituisce la "Lega ltalica", formazione

politica antifascista. Riprendono le azioni punitive di tipo squadristi­

co: Piero Gobetti subisce a Torino un'aggressione brutale con percosse

gravemente lesive da parte di fascisti.

A favore del fascismo, invece, arriva il 17 settembre la notizia

che Pirandello aderisce al fascismo con un telegramma per ottenere la

tessera in qualità di "umile e obbediente gregario". Egli aveva sempre

criticato la democrazia, e vede in Mussolini "un grande capitano".

Questa iscrizione viene sfruttata dalla stampa fascista perchè

può influire sulla opinione pubblica. E' la terza per prestigio tra gli

intellettuali. Un anno prima si erano iscritti al partito fascista il filo-

3S

sofo Giovanni Gentile, che diventerà l'ideologo del fascismo, e Guglielmo Marconi, che negli anni del regime ricoprirà varie cariche,

Il 15 ottobre gli aventiniani rifiutano la proposta del Partito

comunista d'Italia di costituire un antiparlamento; dieci giorni dopo don Sturzo, per consiglio del cardinale Gaspan·i, va in volontario esi­

lio a Londra.

Ai primi di novembre Giovanni Amendola istituisce 1"'Unione nazionale" in funzione antifascista. Vi aderiscono nomi prestigiosi come Corrado Alvaro, Piero Calamandrei, Luigi Einaudi, Carlo

Sforza. Alla riapertura del parlamento del 12 novembre, il comunista

Luigi Repossi legge in aula una dichiarazione antifascista; e il 26 tutti

i parlamentari comunisti riprenderanno a partecipare. Giolitti inizia la sua opposizione; e Salandra dà le dimissioni da

presidente della giunta del bilancio. Mentre le forze dell'antifascismo sembrano prevalere,' l'ultimo

giorno dell'anno, trentatré consoli della milizia fascista, capeggiati da Aldo Tarabella, si recano a palazzo Chigi e minacciano di ricorrere alla violenza se Mussolini non provvederà a reprimere le varie oppo­SIZIOni.

INIZIO DELLA DITTATURA FASCISTA: 3 GENNAIO 1925

Il 3 gennaio, con un discorso dal tono e dalle parole inaspettata­mente aggressivi, alla Camera così Mussolini si esprime:

"Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e di tutto il

popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica,

morale, storica di tutto quanto è avvenuto".

Dopo aver qualificato la posizione degli aventiniani come un "risveglio sovversivo", assicura che nelle quarantotto ore successive

la situazione sarà chiarita.

36

Dopo il discorso si dimettono i ministri Alessandro Casati e Gino Sarrocchi del Partito liberale, Aldo Oviglio e Alberto De Stefani deIl'ala moderata del Partito fascista per manifestare il loro dissenso nei confronti del contenuto e del tono del discorso. Ma ciò non im­

pedisce che Mussolini provveda ad un immediato invio di "riservate" ai prefetti per far sciogliere molte organizzazioni da lui ritenute peri­colose.

Il 21 aprile viene pubblicato il "Manifesto degli intellettuali fascisti" a Bologna, ideato dal filosofo Gentile.

In contrapposizione il filosofo Croce pubblica sul periodico "Mondo" l'uno maggio "Una risposta di scrittori, professori e pubbli­cisti al manifesto degli inteIlettuali fascisti".

Il 27 luglio la rivista clandestina "Non mollare", sorta per inizia­tiva di Gaetano Salvemini e di Carlo e Nello Rosselli, critica il com­portamento assenteista degli aventiniani.

In novembre vengono arrestati il socialista Tito Zaniboni e il generale Luigi Capello per trama di attentato a Mussolini.

Verso la fine dell'anno sono sospesi l' "Avanti", "L'Unità" e la rivista di Piero Gobetti "La Rivoluzione Liberale".

LE LEGGI "ECCEZIONALI"

Il 1926 è l'anno della sconfitta degli antifascisti.

Il 16 gennaio gli aventiniani vengono espulsi dai deputati fasci­sti alloro ritorno in parlamento.

Un mese dopo muore a Parigi il giovane Piero Gobetti per le conseguenze dell'aggressione subita a Torino due anni prima; e il 7 aprile muore a Cannes anche Giovanni Amendola per le stesse cause.

In questo anno il fascismo vuole far propria la gioventù e istituisce l'Opera Nazionale Ballila (ONB) che inquadra i ragazzi da otto a dodici anni, chiamati "balilla" e da 12 ai diciotto, chiamati "avanguardisti".

37

Durante l'anno Mussolini subisce tre attentati: quello di Gino Lucetti a Roma, di Violet Gibson pure a Roma; di Anteo Zamboni,

colpevole non accertato, a Bologna. Il presunto attentatore, un giova­ne anarchico, viene immediatamente linciato e ucciso sul luogo dai

fascisti. Quest'ultimo attentato, avvenuto a Bologna il 31 ottobre, scate­

na violenze di tipo squadristico. Specialmente nell'Italia settentrionale le devastazioni prendono

come bersaglio le organizzazioni cattoliche, tanto che Mussolini deve deplorarle in un telegramma all'avvocato Luigi Colombo, presidente

generale dell'Azione Cattolica Italiana (ACI). A Vicenza il quotidiano cattolico" Il Corriere Veneto" non uscirà

più: il direttore Giuseppe De Mori viene bastonato a sangue, e le mac­chine della tipografia saranno usate per il quotidiano "La Vedetta

Fascista". A Padova, dove l'anno precedente erano stati saccheggiati gli

uffici dell'Azione Cattolica diocesana, viene .incendiata e resa inservi­

bile la tipografia del settimanale diocesano "La difesa del popolo" con il conseguente notevole danno di 75.000 lire, che non impedirà la ripresa della pubblicazione a costo di pesanti sacrifici economici dei

cattolici. Nel fronte dell'antifascismo emergono due vescovi: monsignor

Celestino Endrici, arcivescovo di Trento, e monsignor Ferdinando Rodolfi, vescovo di Vicenza. Entrambi si trovano a Roma alla fine di

novembre per protestare personalmente davanti a Mussolini. Mentre altri ventiquattro vescovi hanno fatto inutilmente anticamera, essi

vengono ricevuti per la loro forte insistenza. Mussolini tenta di giustificare la difficoltà a frenare gli squadri­

sti di Trento e di Vicenza con la battuta: "Come si può fermare un

treno in piena corsa?", alla quale monsignor Endrici ribatte chiedendo provocatoriamente: "Chi lo ha messo in moto?", subito rinforZato dal

Rodolfi: "Chi lo ha messo in moto deve essere capace di fermarlo".

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In questi giorni sono devastate le case di antifascisti di nota ele­vatura culturale, quasi fossero responsabili dell'attentato: a Napoli

sono assaltate le abitazioni del filosofo Benedetto Croce e del sociolo­go Arturo Labriola; in Lunigiana è incendiata la villa del diplomatico Carlo Sforza, che emigrerà in Belgio.

Conseguenza degli attentati sono una serie di provvedimenti

approvati dal consiglio dei ministri il 5 novembre e che vanno sotto il

nome di "leggi eccezionali". Le più gravi in ordine decrescente sono: l'introduzione della

pena di morte per alcuni reati contro lo Stato ed in particolare per chiunque attenti alla vita del re, della regina, del principe ereditario e

del capo del governo; lo scioglimento di tutti i partiti; l'istituzione del confino di polizia e la revoca della gerenza di molti periodici.

Per proteggere maggiormente il capo del governo, il ministro

della giustizia Alfredo Rocco istituisce anche il "Tribnnale speciale per la difesa della Stato". Il compito di questo istitnto è di giudicare i

reati di spionaggio, di incitamento alla guerra civile, di ricostituzione dei partiti disciolti. Contro le sue sentenze non si può ricorrere perché

sono definitive. E' strutturato in modo da servire soprattutto a difesa del fascismo, essendo composto da un presidente scelto tra i generali

delle tre armi o della Milizia fascista, da cinque giudici scelti tra i consoli della Milizia e da un relatore scelto tra il personale della magistratura militare.

Molti antifascisti finiscono condannati al confino, come Gramsci che dal carcere di Regina Coeli viene condotto ad Ustica.

Altri riparano all'estero: Turati raggiunge la Corsica via mare, aiutato da Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini; Treves e Saragat si rifugiano in Svizzera.

l fuoriusciti sono colpiti con la confisca dei beni e la perdita della nazionalità.

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CAPITOLO 5

GLI ANNI DELLA "CONCENTRAZIONE ANTIFASCISTA"

ARTURO BOCCHINI E L'OVRA

Dopo gli attentati a Mussolini di Lucetti e della Gibson, il mini­

stro Federzoni sostituisce Crispo Moncada, capo della polizia, con Arturo Bocchini, il prefetto di Genova, che già a Bologna aveva

dimostrato doti eccezionali. Il nuovo capo della polizia diventa la mente direttiva della

repressione, al quale il governo concede forti mezzi. Ha quarantasei

anni, e la sua rapidissima carriera è dovuta alla notevole capacità di

intuizione e ad una straordinaria memoria. Anzitutto egli istituisce gli Ispettorati generali di pubblica sicu­

rezza e poi procede alla formazione di un casellario politico centrale,

che alla fine del 1927, nell'attività di poco più di un anno, raggiunge il numero di oltre centomila fascicoli nominativi di persone sospette di

antifascismo, schedate sotto il termine di "sovversivi". Nell'opera di annientamento dell'antifascismo, egli si serve

soprattutto di una organizzazione poliziesca denominata "OVRA",

che nasce segretamente nel 1927. Di essa mai sarà detta la data di isti­tnzione e mai si parlerà della sua funzione specifica. Dopo due anni verrà fatto un vago accenno su "Il Popolo d'Italia" in cui si dirà soltan­

to che Mussolini aveva ricevuto a palazzo Venezia anche "gli alti fun­

zionari dell'OVRA". , I termini delle iniziali della sigla, che si dice fosse di gradimen-

40

to a Mussolini per il suono simile a quello di "piovra", non sono noti con precisione (Opera Volontaria per la Repressione dell'Antifascismo oppure, secondo altra interpretazione della sigla, Organizzazione per

la Vigilanza e la Repressione dell'Antifascismo), ma ben presto è nota la sua attività.

Il suo compito consiste nel raccogliere il massimo numero pos­

sibile di nomi e di notizie di persone antifasciste od anche solo sospet­te di antifascismo. I delatori appartengono a tutte le categorie. Libera

dalle norme burocratiche della polizia, l'OVRA agisce rapidamente con perquisizioni e arresti, portando la sua azione anche all'estero, dove prende a suo servizio anche elementi locali.

Con il 1927 l'antifascismo diviene quasi completamente clande­stino e si rifugia all'estero, a causa dell'attività persecutoria della poli­

zia italiana, potenziata dall'OVRA. In Italia si stampa clandestinamente quasi unicamente il periodi­

co "Battaglie sindacali" di Paolo Ravazzoli; a Parigi il leader comuni­sta Palmiro Togliatti riprende a stampare "Lo Stato operaio".

Il 19 marzo De Gasperi viene arrestato a Firenze e condannato a quattro anni di reclusione. Per intervento del Vaticano dopo 16 mesi ritorna libero ed è assunto come impiegato nella Biblioteca vaticana.

LA "CONCENTRAZIONE D'AZIONE ANTIFASCISTA"

A Nerac, nella Francia occidentale, all'inizio dell'aprile 1927 nasce la "Concentrazione d'azione antifascista", chiamata poi sempli­cemente "Concentrazione antifascista". E' un'organizzazione com­

posta da socialisti e repubblicani, da esponenti della Confederazione generale del lavoro (CGdL), e da iscritti alla "Lega dei diritti dell'uo­

mo" (organizzazione fondata dal sindacalista Alceste De Ambris). Scopo precipuo della Concentrazione antifascista è di continua­

re in terra straniera l'opera del Comitato delle opposizioni che aveva

41

dato origine agli "aventiniani". Si prefigge di combattere il fascismo come nemico delle libertà democratiche ed espressione delle forze reazionarie e conservatrici, cioè dei padronali. Vuole combattere gli

istituti politici che lo hanno favorito lasciando che conculcasse le pub­

bliche libertà. Pertanto è antimonarchica. Il suo organo ufficiale è il settimanale "La libertà", diretto da

Claudio Treves, socialista riformista sulla linea di Matteotti e Turati. Si propone di informare anche gli europei sull'azione poliziesca del

fascismo e soprattutto sull'attività del Tribunale speciale, che in con­

creto è tribunale a servizio del partito fascista. Contemporaneamente esce il foglio antifascista "Il becco giallo"

diretto da Alberto Giannini e Alberto Cianca. Successivamente apparirà, sempre in Francia, il quindicinale

"Rinascita socialista". Mussolini il 26 maggio, festa dell'Ascensione, parla alla Camera

per oltre due ore e mezza. Nella lunga esposizione di avvenimenti e di conquiste del regime, che passò sotto il nome di "discorso dell'Ascensione" egli decreta la fine della democrazia in Italia dicen­

do: "Oggi, 26 maggio, noi seppelliamo solennemente la menzogna del suffragio universale democratico"; e definisce l'essenza dello stato

fascista: "Tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori

dello Stato". Il 4 giugno del '28 si conclude il processo contro Gramsci: 22

anni ad Umberto Terracini, 20 e quattro mesi ad Antonio Gramsci, a

Mauro Scoccimarro, a Giovanni Roveda.

LA CONCILIAZIONE

Il 1929 è l'anno della normalizzazione dei rapporti tra Chiesa e , Stato italiano, passata alla Storia con il nome di "Conciliazione"

Tale denominazione viene scelta per significare la fine del lungo

42

_____ :::..:::.c::.==-:::::::...=..::..::.=

LA RICONCILIAZIONE FRA LO CHIESa E LO STDTO L'accordo firmato il Roma questa mattina

I ' ',"c'-,,"'·.' ""'"."

I

L'edizione straordinaria de "Il Gazzettino" per la Conciliazione mette in particola H

re risalto i commenti della stampa estera.

43

periodo di incomprensione e di avversione, sorto dopo la riduzioe dello Stato Pontificio al solo Lazio (sconfitta dell'esercito pontificio a

Castelfidardo il 18 settembre 1860) e più ancora dopo l'entrata in Roma dei bersaglieri di Raffaele Cadorna attraverso la storica "brec­

cia di Porta Pia" il 20 settembre 1870 (festa nazionale abolita dal governo fascista e sostituita con quella dell'Il febbraio, giorno in cui

vengono firmati ufficialmente e annunciati sui giornali i "patti latera­nensi").

I "patti lateranensi" sono costituiti da un "trattato" ( rapporti tra

lo Stato sovrano della Città del Vaticano e lo Stato italiano), da un "concordato" ( rapporti tra competenze della Chiesa e quelle dello Stato italiano), e da una"convenzione finanziaria" ( la somma di lire

1.750.000.000 che lo Stato italiano si impegna a versare al Vaticano a titolo di risarcimento per la perdita dei proventi che al papato veniva­no dalla gestione dello Stato pontificio).

La Conciliazione, di cui il maggior mediatore è stato il cardinale Gasparri, favorisce un maggior consenso degli italiani al regime: l'e­

sultanza della quasi totalità dei cattolici è massima. Inoltre accresce il prestigio del fascismo all'estero.

I giornali cattolici e l'Azione cattolica invitano a votare a favore del fascismo nel vicino plebiscito del 24 marzo affinché torni alla

Camera lo stesso governo che aveva stipulato i patti lateranensi per poterli ratificare.

Tutto si svolge in tranquillità. In alcune sedi elettorali le buste

sono trasparenti, e ovunque la polizia controlla chi non vota: su quasi nove milioni e mezzo di aventi diritto al voto, poco meno di un milio­ne non si presenta ai seggi. Grande è il successo del fascismo nel ple­

biscito del 24 marzo, anche se non è stata una votazione democratica per i 411 unici candidati, tutti scelti dal partito fascista. I risultati sono: 8.517.838 "sì" e soltanto 135.773 "no". ,

La ratifica dei Patti lateranensi alla Camera avviene senza alcun ostacolo il lO maggio: 317 voti favorevoli contro 2.

44

Non così al Senato, dove Benedetto Croce considera gli accordi in contrasto con il principio "libera Chiesa in libero Stato". Tuttavia,

anche in questa sede vengono ugualmente ratificati a stragrande mag­gIOranza.

All'aumento del consenso contribuisce una serie di assistenze

sociali realizzate, quali l'Opera Nazionale per la Maternità e !'Infanzia (ONMI) i sanatori antitubercolari e le colonie, temporanee e perma­nenti, marine e montane per i figli del popolo. Pure notevole int1usso

morale ha la "battaglia del grano" e la "bonifica integrale". Sul fronte dell'antifascismo, in luglio Carlo Rosselli, Emilio

Lussu e Fausto Nitti fuggono dal confino di Lipari e approdano in

Tunisia. Arrivati a Parigi, Rosselli e Lussu danno vita al movimento

antifascista "Giustizia e Libertà", fondato su principi liberai-socialisti. In alternativa all'antifascismo comunista si costituisce nel luglio

del 1930, con idee liberali e conservatrici, la formazione antifascista "Alleanza nazionale". Sono a capo del movimento Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, leader dei demosociali, e Mario Vinciguerra, ex

direttore del "Mondo". Quest'ultimo in novembre sarà arrestato e pro­

cessato dal Tribunale speciale. In questo periodo vengono arrestati parecchi comunisti antifa­

scisti e componenti del movimento "Giustizia e Libertà", tra i quali

Umberto Ceva che si suicide in carcere. Le condanne vanno da dieci a

quindici anni di reclusione.

LA POLEMICA SUI DIRITTI DELL'AZIONE CATTOLICA

Il '31 è dominato dalla polemica su i diritti dell'Azione cattolica nel campo dell'educazione e dell'assistenza sociale, contrastati da Giovanni Giuriati, segretario del PNF.

45

Iniziata in marzo in seguito ad un articolo su "II lavoro fascista", porta allo scioglimento di tutte le associazioni cattoliche giovanili e ad atti di vandalismi alle loro sedi,

L'enciclica di Pio Xl "Non abbiamo bisogno", pubblicata il 5 luglio ma apparsa appositamente con la data significativa della festa

di San Pietro, mette in crisi il Concordato, il cui articolo n.43 tutela

l'Azione cattolica. Il pericolo si estende anche al Trattato in quanto Pio XI li ritiene inscindibili secondo la storica frase "simul stabuut, simul cadent": staranno insieme, cadranno insieme.

Giuriati, irritato, il 9 luglio spedisce a tutti i federali provinciali fascisti una circolare con cui viene revocata la compatibilità tra l'iscri­

zione al partito fascista e l'iscrizione alle organizzazioni dipendenti dall'azione cattolica.

Durante l'estate continuano le devastazioni alle sedi delle orga­nizzazioni cattoliche.

Come già si era comportato per i fatti di Sandrigo del '24 e di Vicenza del '26, il vescovo Ferdinando Rodolfi reagisce apertamente con una lettera spedita il 13 agosto al segretario federale vicentino,al

Ministero degli Interni, alla Segreteria di Stato del Vaticano, al Comando militare dclla Milizia. Diffusa clandestinamente, oltrepassa il Veneto e l'Italia per raggiungere l'estero. Sebbene il motivo della

protesta sia dovuto alla devastazione della sede diocesana di Vicenza di via San Marco, essa rappresenta l'espressione del sentimento comu­

ne di quei giorni. La lunga lettera diviene nota ancbe per i toni di bril­lante e accesa polemica:

"A voi i posti, a voi le paghe, a voi i guadagni, a voi l'Italia! Su

tutto questo d'accordo! A voi dunque tutto; agli altri la fame, le tasse ed il bastone.,,"

L'accordo del 2 settembre limita l'Azione cattolica alla sfera dell'apostolato entro i confini della diocesi.

Con il mese di luglio entrano in vigore i due nuovi codici 'penale e di procedura penale modificati dal ministro Alfredo Rocco, in cui

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sono inseriti i provvedimenti legislativi del 1926, denominati allora "Leggi eccezionali". Inoltre la pena di morte viene estesa anche ai

reati non politici. Lauro De Bosis, esponente di Alleanza nazionale, il 3 ottobre

parte con un piccolo aereo dalla Costa Azzurra e compie una audacis­sima trasvolata fino a Roma per lanciarvi migliaia di manifestini anti­

fascisti. Durante il ritorno per un guasto al motore precipita inabis­

sandosi nel mare. I! giuramento di fedeltà al regime viene imposto ai professori

universitari. Tredici su milleduecento lo rifiutano: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Antonio De Viti de Marco, Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida, Piero Martinetti, Bartolo Ni­

grisoli, Francesco Ruffini, Edoardo RutIini Avondo, Lionello Venturi, Vito Volterra, Giuseppe Antonio Borgese. Diversamente dai tredici,

Vittorio Emanuele Orlando chiede il collocamento a riposo. Un tentativo di attentato a Mussolini è scoperto: iI 17 giugno

1932 l'anarchico Angelo Sbardelloto viene fucilato. Nel '33 continua­

no gli arresti; tra gli altri, a Reggio Emilia è arrestato Gian Carlo Pajetta che sarà condannato a 21 anni di reclusione. Quest'anno muore

a Parigi Claudio Treves, uno dei ma,simi esponenti del partito sociali­sta. Nel '34 il secondo plebiscito del 25 marzo, nonostante l'atmosfera

per nulla democratica, nella globalità dei risultati, specie tenendo conto del minimo numero di astensioni, conferma il consenso al fasci­

smo: aventi diritto al voto: 10.433.536; votanti: 10.041.997; Sì =

10.026.513, No = 15.265, Voti nulli = 1.336. La "Concentrazione anti­fascista" per il cont1itto tra gli esponenti di "Giustizia e Libertà e del

PSI si scioglie il 5 maggio, e cessa il suo giornale "La Libertà". Sia per l'azione dell'OVRA che ha arrestato la maggior parte dei

principali antifascisti (tra gli ultimi anche l'israelita Leone Ginsburg, che diventerà un martire della Resistenza) sia per la discordia tra i

militanti di diversa estrazione sociale e politica, nel '34 l'antifascismo è quanto mai ridotto.

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CAPITOLO 6

L'ANTIFASCISMO DALLA GUERRA D'ETIOPIA FINO AL 25 LUGLIO 1943

Di fronte all'entnsiasmo degli italiani per l'impresa etiopica, sentita come guerra difensiva nei confronti della Francia e dell'Inghilterra che vogliono impedire alle nazioni giovani lo "spazio vitale", l'antifascismo appare fallito.

Nel maggio 1935 a Torino altri componenti del movimento "Giustizia e Libertà" vengono arrestati. Tra essi Norberto Bobbio, Cesare Pavese e Giulio Einaudi.

Ad ulteriormente indebolire l'antifascismo contribuiscono le adesioni alla guerra contro l'Abissinia (2 ottobre 1935 - 5 maggio 1936) di eminenti oppositori del regime fascista. Vittorio Emanuele Orlando esprime per primo la sua approvazione dell'impresa; il commediografo Sem Benelli chiede ed ottiene di essere arruolato tra i volontari; Arturo Labriola ritorna in Italia dall'esilio volontario di Bruxelles per dare sostegno alla guerra coloniale.

A favore della "giornata della fede" del 18 dicembre, in cui gli italiani offrono alla patria le fedi nuziali come contributo economico per le spese belliche, gli antifascisti Benedetto Croce e Alberto Albertini donano le loro medaglie di senatori.

L'antifascismo all'estero si rafforza, invece, con lo scoppio della guerra civile spagnola, che inizia il 17 luglio del '36 a seguito di una cospirazione militare contro il governo legittimo di sinistra del Fronte popolare.

Per combattere le forze reazionarie spagnole strette att~rno al

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generale Franco, gli antifascisti comunisti, socialisti e repubblicani creano la "Legione italiana" di circa tremila militi con il motto: "Oggi in Spagna, domani in Italia", ideato da Carlo Rosselli. Il "Battaglione Garibaldi", di oltre 500 uomini al comando del repubblicano Randolfo Pacciardi, contribuirà valorosamente alla vittoria di Guadalajara con­tro i volontari fascisti.

Ma per l'antifascismo in Italia continua l'impotenza anche nel 1937, anno in cui si spegne Antonio Gramsci in una clinica di Roma dopo la scarcerazione per le sue condizioni di salute.

L'assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli a Bagnoles-sur l'Orne eseguito da sicari fascisti, porta alla guida del movimento "Giustizia e Libertà" il sardo Emilio Lussu e il veneto Silvio Trentin, che non riescono ad ottenere alcuna ripresa dell'attività clandestina in territorio italiano.

Tuttavia, a vantaggio dell'antifascismo si prepara un nascosto dissenso in alcuni strati della borghesia verso il regime, per l'intensifi­carsi dei rapporti dell'Italia fascista di Mussolini con la Germania nazista di Hitler.

Mussolini nel discorso a Milano dell'I novembre 1936 aveva parlato di un "Asse Roma-Berlino", che non aveva destato eccessive preoccupazioni perché non costituiva un patto militare, ma era solo un accordo sulla politica da seguire nei confronti della Società delle Nazioni e del comunismo; come pure nell'anno successivo l'adesione del 6 novembre dell'Italia al Patto anti-Cominter in quanto collabora­zione nella lotta alle attività dell'Internazionale comunista. Infatti i contributi notevoli dei volontari italiani alla battaglia sul fiume Ebro e alla conquista di Madrid del generale Franco vengono esaltati come salvezza dal comunismo.

Ma il dissenso diventa consistente quando Hitler realizza l'Anschluss, cioè l'annessione dell'Austria alla Germania il 13 marzo del '38 senza la minima protesta di Mussolini, che tanto aveva difeso e protetto il precedente cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss.

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L'ORA DEL DESTINO IRREVOCABILE

"Vincere" è la consegna del Duce al Suo popolo

Da oggi l'Italia è in s:l:edo di guerra c~l<:[1:~~ia e la Gra~retagna

La parola d'ordine da 'Pala1ll.ie.o lIenf!1Il.ia

La dichiarazione di guerra dellO Giugno 1940 sul quotidiano "Il Piccolo" (jXJn

grande foto di Mussolini, come molti altri giornali, calcando sulla parola "Vincere".

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Ad accrescere il dissenso nascosto giungono anche le leggi antisemitiche dell'l settembre dello stesso anno.

Un rinnovato entusiasmo per Mussolini. specie nel popolo che tanto teme la guerra, sorge spontaneo per il suo intervento a favore della pace nel "Patto di Monaco" del 30 settembre. Ma a renderlo fra­

gile è il successivo decreto antisemita del lO novembre, visto come

servilismo ad Hitler; ed infine a renderlo ancor più debole arriva il "Patto d'Acciaio", che il 22 maggio del 1939 sancisce l'alleanza politi­

ca e militare tra la Germania e l'Italia. Il consenso nella maggioranza degli italiani termina con l'entra­

ta nel conflitto dell'Italia il lO giugno 1940. Nei primi mesi della guerra l'antifascismo sembra essere inatti­

vo, ma nel '41 riprende vigore e prepara le basi di quel lungo periodo

di attività armata che verrà chiamato "guerra di Resistenza". La ripre­sa è favorita dal dissenso aggravato dal malcontento sempre più diffu­

so non solo nel popolo ma anche nella borghesia, dovuto ai sacrifici e ai lutti portati da una guerra, sulla cui conclusione rapida e vittoriosa

si crede sempre meno. Alla fine di luglio da Radio Mosca, sotto il nome di Mario

Correnti, il leader comunista Palmiro Togliatti inizia i suoi "Discorsi

agli italiani". In ottobre a Tolosa si incontrano Emilio Sereni e Giuseppe

Dozza per il PCd'I; Pietro Nenni e Giuseppe Saragat per il PSI; Silvio Trentin e Fausto Nitti per il movimento "Giustizia e Libertà". Da que­

sta città lanciano un appello di unione a tutti gli antifascisti per contri­buire alla vittoria delle nazioni alleate contro la guerra dei nazifascisti.

Da tener presente, però, che con il termine "alleati" in genere verran­no identificati gli angloamericani perchè combatteranno fianco a fian­co sugli stessi fronti meridionale e occidentale, mentre l'esercito

sovietico terrà sempre da solo il proprio fronte orientale. Il primo giugno del '42 a Roma nella casa di Federico

Comandini viene costituito il Partito d'Azione (Pd'A).

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Nasce dalla unione di uomini del movimento "Giustizia e Libertà" (Riccardo Peretti Griva, Norberto Bobbio, Silvio Trentin), del Partito Repubblicano Italiano (U go La Malfa, Bruno Visentini,

Riccardo Lombardi) e di intellettuali di pensiero liberaI-socialista (Piero Calamandrei, Luigi Russo, Paolo Alatri). L'organizzatore mag­giore è Ferruccio Parri. Il programma è composto di "Sette Punti"

fondati sulla pregiudiziale repubblicana.

Nel mese successivo "L'Unità", l'organo del PCd'I, riprende la pubblicazione clandestina; quasi contemporaneamente I vanoe

Bonomi con alcuni esponenti del partito Liberale danno vita al giorna­le "Ricostruzione".

In agosto gli ex deputati popolari Alcide De Gasperi e Piero Malvestiti a Borgo Valsugana pongono le basi per un nuovo partito cattolico; e in ottobre a Milano nasce la "Democrazia Cristiana" (DC):

tra i fondatori vi sono Giovanni Gronchi, Stefano Jacini e e don Primo Mazzolari.

Mentre in Italia in seguito alle sconfitte in Russia e in Libia il malcontento del cosi detto "fronte interno" aumenta profondamente, in Francia gli antifascisti emigrati si radunano e si rafforzano. Dopo

nove anni dallo scioglimento della "Concentrazione antifascista", a Lione il 3 marzo 1943 si ricostituisce l'unione di lotta antifascista tra

le forze del PCd'l, del PS! e del Pd'A, rappresentati rispettivamente da Giorgio Amendola, Giuseppe Saragat ed Emilio Lussu.

Dopo due giorni a Torino gli operai della FIAT Mirafiori e di altre fabbriche del Piemonte entrano in sciopero. Il 23 dello stesso mese a Milano inizia lo sciopero la Pirelli per estendersi alle più

importanti fabbriche della Lombardia. La parola d'ordine è: "pace e pane". Queste azioni di protesta colpiscono le autorità fasciste perchè inaspettate, dopo vent'anni di assenza; e con la parola "pace" rivesto­

no un carattere politico in senso generico. Il regime corre ai ripari. Vengono concessi aumenti salariali, ma vengono anche arrest~te oltre duemila persone.

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Forte di questo sciopero, l'antifascismo organizzato a livello politico prosegue nello sforzo di unificazione dei vari partiti nella lotta comune. Il 2 luglio 1943, a distanza di diciannove anni dalla

nascita dei gruppi parlamentari di opposizione (13 giugno 1924), a Milano si ricostituisce il "Comitato delle opposizioni", composto dai rappresentanti di sei partiti. Il PCI (così si chiama il PCd'I dopo lo

scioglimento dell'Internazionale Comunista voluto da Stalin) è rap­presentato da Concetto Marchesi; il PSI da Roberto Veratti; il Movimento di Unità Proletaria (MUP) da Lelio Basso; il Pd'A da

Riccardo Lombardi; il PU da Leone Cattani; la DC da Giovanni

Gronchi.

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PARTE SECONDA

LA RESISTENZA IN ITALIA E NEL VENETO

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CAPITOLO 7

GLI AVVENIMENTI MILITARI E POLITICI ANTECEDENTI L'8 SETTEMBRE 1943

Con la denominazione "Guerra di Resistenza" o semplicemente la "Resistenza" si intende la opposizione civile e armata degli italiani al fascismo repubblicano e all'invasore tedesco. E' chiamata anche "Guerra di Liberazione" perché sorta e condotta per liberare l'Italia dalla dittatura e dall'occupante germanico.

Generalmente la si fa iniziare con l'armistizio tra gli Alleati e l'esercito italiano entrato in vigore 1'8 settembre 1943, anche se i primi scontri si ebbero soltanto il giorno succesivo. Ugualmente la si fa ter­minare il 25 aprile 1945, data fissata dal Comitato di liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) per l'insurrezione generale, anche se alcune città, già insorte in anticipo, siano state liberate prima, ed altre dopo; e sebbene la resa delle forze armate tedesche sia entrata in vigo­re il 2 maggio alle ore 14.

Perché il lettore possa liberamente giudicare le opposte scelte degli italiani dopo il tragico 8 settembre, motivate da diversi ideali e da differenti stati d'animo individuali, ho creduto opportuno far prece­dere il susseguirsi degli avvenimenti dalla vigilia del 25 luglio fino a quella data, ricordando anche quei protagonisti minori, a volte nem­meno nominati nei testi, che poi avranno maggior ruolo nelle opposte sponde del periodo storico 1943-45.

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LO SBARCO ALLEATO IN SICILIA E L'ULTIMA SEDUTA DEL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO

Nè la ritirata dell'annata italiana in Russia, disastrosa per vitti­me e sofferenze, nè la resa delle forze militari italo-tedesche in Tunisia, tanto depressero gli italiani quanto l'annuncio dello sbarco angloamericano del 9 luglio in Sicilia.

Vittorio Emanuele III, gli alti vertici dell'esercito e non pochi gerarchi fascisti vogliono accelerare la fine della partecipazione dell'Italia alla guerra, ritenuta irrimediabilmente perduta. L'ostacolo maggiore è rappresentato da Mussolini, fortemente deciso a rimanere a fianco della Germania fino alla conclusione del conflitto.

A dieci giorni dallo sbarco in Sicilia, il duce incontra Hitler nella villa del senatore Achille Gaggia, nel comune di Belluno e non a Feltre come fu detto (il secondo dell'anno a soli tre mesi dal preceden­te a Klessheim e il tredicesimo da pari a pari). Nonostante le sol­lecitazioni degli accompagnatori, il generale Vittorio Ambrosio e i gerarchi Giuseppe Bastianini e Dino Alfieri, non parla minimamente di un possibile ritiro dell'Italia dal conflitto.

In quello stesso giorno del 19 luglio, Roma viene bombardata dagli arerei alleati per la prima volta: si calcolano circa 1500 morti. L'immediata presenza di Pio XII tra le macerie e le vittime favorisce lo sforzo rivolto a troncare le nefaste conseguenze della guerra.

Dino Grandi il 22 luglio rende noto a Mussolini il contenuto dell'ordine del giorno che presenterà al Gran consiglio del fascismo, la cui richiesta di convocazione era stata rivolta una settimana prima da un gruppo di gerarchi, tra i quali i suoi fedelissimi della Marcia su Roma: Emilio De Bono, Cesare De Vecchi, Giovanni Giuriati, Giuseppe Bottai e Giacomo Acerbo. Durante il colloquio gli propone di dimettersi prima della riunione. Mussolini risponde negativamente sostenendo che la guerra non è ancora perduta e che le sorti saranno capovolte per l'imminente impiego delle armi segrete tedesche, come­gli ha assicurato Hitler.

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Badoglio Capo del Governo

DOPO I.E DIMISSIONI DI MlISSOI.INI ---~ ... - . __ .. _~--- -~-- ---'- -_.~~."-- - .-._--

PIENI POTERI A BADOGLIO Il Popolo d~ltalia

NELL:ORA SOLENNE CHE INCOMBIE SUI DESTINI OE~A PATRIA

Badoglio è nominato Capo del Governo Un proclamo figli l!a!i.an-i del Re Imperatore che /w nsslIll/o il comnndl) d! tutte le Forze Armale: "L'Italia ritr(Fvl!nì lo via della riscossa"

Governo militare del' Paese con pieni poteri

~0i~~~:!~~rr~_~~~~i,~~~.

Il grande rilievo della stampa alle "dimissioni di Musso/ini", e il nuovo quotidiano NIl25 Luglio N.

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Accanto al giubilo per la caduta di Mussolini, lafoto di "sette figli alle arlJd" ricorda che la guerra continua.

Sulla stampa le notizie della guerra si accompagna.no alla graduale soppressione delle organizzazione fasciste.

60

La riunione a palazzo Venezia inizia alle ore 17 del 24 luglio. Il discorso introduttivo di Mussolini dura quasi due ore, durante

le quali egli rifa la storia della sua assunzione del comando supremo dell'esercito, denuncia altrui errori militari quali la mancata fattibile occupazione di Gibilterra e di Malta, sminuisce Rommel definendolo

generale di capacità tattica ma non strategica, accusa di tradimento

l'ammiraglio Pavesi a Pantelleria, che praticamente si è arresa senza

opporre resistenza come la base fortificata di Augusta. Sottolinea che Hitler gli ha promesso immediati rinforzi.

Dopo vari e brevi interventi, Grandi presenta un ordine del gior­no, in cui il Gran consiglio del fascismo:

.. "invita il Capo del Governo a pregare la Maestà del Re, verso

la quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la nazione, affin­

ché Egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere con

l'effettivo comando delle Forze armate di terra, di mare e dell'aria,

secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa

di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono

sempre state, in tutta la storia nazionale, il retaggio glorioso della

nostra Augusta Dinastia di Savoia".

Terminata la lettura del suo ordine del giorno, espone una dura critica su l'operato di Mussolini addossandogli la responsabilità di aver portato l'Italia in una guerra disastrosa.

Alle ore 2 del 25 luglio su 28 gerarchi 19 VOlano a favore: Acerbo, Albini, Alfieri, Balella, Bastianini, Bignardi, Bottai, Cianetti,

Ciano, De Bono, De Marsico, De Stefani, De Vecchi, Federzoni, GOliardi, Grandi, Marinelli, Pareschi e Rossoni.

Votano contro: Biggini, Buffarini, Frattari, Galbiati, Polverelli,

Scorza, Tringali-Casanova. Suardo si astiene; Farinacci dichiara di votare il proprio ordine del giorno, che Mussolini ritiene inutile met­

tere in discussione, come pure uno di Scorza, dato l'esito di quello di Grandi. La seduta termina alle 2,40.

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Alle 4 dello stesso mattino Grandi informa il ministro della real

casa Pietro Acquarone del risultato della votazione. Alle ore 11 Badoglio riceve e controfirma il decreto di nomina a

capo del governo, e subito ricbiama al vertice della polizia Carmine

Senise, precedentemente allontanato per non aver represso con fer­mezza gli scioperi di marzo.

Alle ore 12 Mussolini cbiede udienza al re. Alle 17 in un breve colloquio a villa Savoia, Vittorio Emanuele

TII gli rende noto d'aver già provveduto alla nomina del suo successo­

re. All'uscita della villa, Mussolini viene obbligato dai carabinieri a salire in una autoambulanza militare e trasferito alla caserma di via

Legnano. Alle 22,45 la radio attraverso la voce del noto annunciatore

Giovanni Arista comunica:

"Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla

carica di Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato di

Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini ed ha nominato Capo

del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato il Cavaliere, Mare­

sciallo d'Italia, Pietro Badoglio".

Segue il proclama del nuovo capo del governo: "Per ordine di Sua Maestà il Re Imperatore assumo il Governo

militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua. L'Italia,

duramente colpita nelle sue province invase, nelle sue città distrutte,

mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie

tradizioni, Si serrino le fila attorno a Sua Maestà il Re e Imperatore,

immagine vivente della Patria, esempio per tutti. La consegna ricevu­

ta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita, e chiunque si

illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o tenti di turbare

l'ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito. Viva l'Italia! Viva il Re!",

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I QUARANTA CINQUE GIORNI DI BADOGLIO

Il mattino seguente, lunedì 26 luglio, tutti i giornali in prima

pagina mettono accanto ai rispettivi proclami i ritratti di Vittorio Emanuele III e di Pietro Badoglio. Il giubilo spontaneo, già imponen­te nelle grandi città subito dopo l'annuncio, pervade l'Italia.

Nè il partito fascista, nè la milizia reagiscono.

Nello stesso giorno a Roma nasce il "Comitato Nazionale delle opposizioni" allo scopo di coordinare l'azione degli altri comitati pro­

vinciali già sorti, primo tra tutti quello di Milano. Viene rifondato il Partito Liberale Italiano (PU), che annovera

subito i nomi prestigiosi di Benedetto Croce e di Luigi Einaudi. Contemporaneamente Ivanoe Bonomi e Meuccio Ruini trasfor­

mano il Partito della Democrazia Sociale in Partito della Democrazia del Lavoro. Tuttavia i partiti devono agire in condizioni quasi clande­stine e con notevoli disagi, essendo stati proibiti i pubblici discorsi e

qualsiasi adunanza associativa. Inizia, però, la liberazione dei prigio­nieri politici, in alcune città pretesa dalla richiesta corale del popolo.

Il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Mario Roatta, ordina di reprimere anche con le armi ogni manifestazione pubblica: nei soli cinque giorni dal 26 al 31 luglio i morti causati dall'azione

della forza pubblica secondo una fonte sono 83, i feriti 308, gli arresti più di 1500; secondo un'altra si sono avuti 93 morti, 536 feriti, 2276

arresti. Il 28 il governo Badoglio scioglie per decreto il PNF e le orga­

nizzazioni da esso dipendenti, il Gran consiglio del fascismo e il Tribunale Speciale. In quello stesso giorno Vittorio Emauuele III e Badoglio chiedono un incontro con Hitler, che viene respinto.

Il 2 agosto il Comitato delle opposizioni di Milano emana un docnmento di sfiducia verso il govemo Badoglio, di cui l'unico vero

antifascista è il ministro delle Corporazioni Leopoldo Piccardi. Il giorno successivo una delegazione del Comitato Nazionale

63

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L'Annuncio dell'Armistizio dell'8 settembre 1943, come in tutti i giornali, listato a lutto; i commenti sono vaghi e ridotti al minimo.

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delle opposizioni, composta da Ivanoe Bonomi, Alcide De Gasperi, Luigi Salvatorelli, Meuccio Ruini e Giorgio Amendola, chiede a

Badoglio la cessazione immediata della guerra. Iniziano i contatti tra i vertici italiani e tedeschi.

Il 6 il ministro Raffaele Guariglia e il capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio si incontrano a Tarvisio con il ministro

Joachim von Ribbentrop e il generale Wilheim Keitel. Chiedono di richiamare in Italia le divisioni stanziate in Croazia, in Grecia e in

Francia per difendere il suolo nazionale. Guariglia assicura che l'Italia

non sta trattando con il nemico. Il 15 a Bologna nella villa di Luigi Federzoni (uno dei votanti

l'ordine del giorno Grandi) si incontrano i generali Mario Roatta e

Francesco Rossi con il maresciallo Erwin Rommel e il generale Altred Jodl. Roatta rassicura sulla fedeltà al "Patto d'acciaio".

Iniziate il 2 agosto con l'invio a Lisbona del diplomatico Blasco

Lanza D'Ajeta, nel frattempo si svolgono trattative segrete per realiz­zare un armistizio con gli Alleati. Per preparare l'esercito a far fronte

alla inevitabilmente difficile situazione armistiziale. viene spedita a tutti i comandi militari la "Memoria 44 OP", contenente norme vaghe

e confusionarie da applicare in caso di attacco da parte delle divisioni tedesche presenti in Italia.

L'arcivescovo di Milano, il cardinale Ildefonso Schuster, pubbli­ca il "Catechismo sul Comunismo" con le norme da seguire per i cat­

tolici nei confronti del marxismo. Luigi Gedda, presidente nazionale della Gioventù di Azione Cattolica Italiana (GIAC), offre a Badoglio

la disponibilità dei quadri della istituzione per l'organizzazione giova­nile.

Il Comitato Nazionale delle opposizioni di Roma, dopo aver chiesto invano che il governo Badoglio sia sostituito con un governo tutto di antifascisti, chiede armi per la popolazione romana per l'inevi­

tabile difesa di Roma dai tedeschi che continuano ad affluire dal Brennero.

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Il 3 settembre gli Alleati sbarcano in Calabria Nello stesso giorno a Cassibile, in provincia di Siracusa, alla

presenza di Dwight Eisenhower il generale Giuseppe Castellano e il generale Walter Bedell Smith firmano l'armistizio con il quale l'Italia si impegna a cessare le ostilità contro le forze angloamericane e a por

fine alla collaborazione con i tedeschi. Da tener presente che solo in

questo giorno il generale Castellano, che aveva già avuto due lunghi

precedenti incontri con le autorità alleate si presenta munito delle cre­denziali per la firma. Il documento firmato a Cassibile sancisce quello che viene subito definito "armistizio corto" perché poi deve essere

seguito da uno più dettagliato. Nei suoi dodici punti, tra l'altro, si esige il trasferimento della flotta italiana a Malta e l'atterraggio degli aereoplani sulle basi alleate. Data e ora dell'annuncio ufficiale saranno

comunicate sei ore prima dello sbarco sulle coste italiane, la cui loca­lità non viene nominata.

Alla mattina dell'8 settembre Badoglio sconsiglia ad Eisenhower l'invio di una divisione aereotrasportata per l'impossibilità italiana di collaborare con mezzi di trasporto; e avverte di non poter

annunciare l'armistizio per le consistenti forze tedesche già dislocate attorno a Roma. Eisenhower rinuncia all'invio dei paracadutisti, ma non accetta di dilazionare l'entrata in vigore dell'armistizio. Alle ore

16,30 fa diffondere da radio New York la notizia. Alle 18,45 in una riunione dei vertici al Quirinale, presente

Vittorio Emanuele III, si apprende il passo compiuto da Eisenhower. Alle 19,45 la radio italiana trasmette il comunicato di Badoglio

inciso in un disco:

"Il Governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare

l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento

di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto

un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze

alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Esse però rea­

giranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza".

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Nella notte gli alleati sbarcano a Salerno. Alle ore 5, IO del mattino 9 settembre Vittorio Emanuele III, la

regina Elena, il principe ereditario Umberto, Badoglio e un gruppo di

alti ufficiali militari lasciano Roma diretti a Pescara, da cui per via mare arriveranno a Brindisi già occupata dagli alleati.

l giornali riportano l'annuncio di Badoglio, da quasi tutti più o

meno marcatamente listato a lutto.

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CAPITOLO 8

RESISTENZE MILITARI E SFASCIO DELL'ESERCITO ITALIANO

LA DIFESA DI ROMA

Mentre il capo dello Stato e il capo del governo sono in viaggio alla volta di Pescara, le forze militari dislocate attorno a Roma si

apprestano alla difesa della capitale. La confusione per mancanza di opportuni preparativi alla preve­

dibile reazione dei tedeschi, e la demoralizzazione soprattutto per l'as­

senza del Re, capo supremo dell'esercito, si diffondono, ma non sono tali da impedire combattimenti, sia pur limitati, di resistenza.

L'ordine inspiegabile del comando superiore di ripiegare su

Tivoli, porta a combattere in funzione difensiva soltanto una delle quattro divisioni disponibili: la "Divisione Granatieri". Nonostante

l'inferiorità d'armi e numerica, oppone una valorosa resistenza all'a­vanzata tedesca lungo la via Ostiense, dalla frazione Magliana a Porta San Paolo, al comando del generale Gioacchino Solinas (che poi ade­

rirà alla Repubblica Sociale Italiana). Il generale Raffaele Cadorna (futuro comandante in capo del

Corpo Volontari della Libertà nella guerra di Resistenza), sdegnato

per l'assurdità dell'ordine, impegna i tedeschi in una battaglia accanita con il grosso della sua divisione Ariete nel settore di Bracciano, men­

tre il generale U go Tabellini combatte a Monterotondo. Nel pomeriggio del lO settembre il comandante della piazza di ,

Roma conte Carlo Calvi di Bergamo (genero di Vittorio Emanuele III,

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di cui ha sposato la figlia Jolanda), tramite la mediazione del mare­sciallo d'Italia Enrico Caviglia (l'artefice della vittoria di Vittorio Veneto), tratta la resa della città con il generale Albert KesseJring, che promette di considerare Roma "città aperta".

La promessa non viene rispettata: il giorno successivo si insedia nella capitale un comando militare germanico.

LO SFASCIO DELL'ESERCITO

La maggior parte delle divisioni stanziate sul suolo nazionale, a causa della mancanza di ordini precisi da parte degli alti vertici mili­tari, che spesso sono introvabili, va incontro allo sfascio e alla prigio­

nia Di questa grave carenza di comandi, ne approfTittano i generali tedeschi e i loro soldati, adirati per l'armistizio, considerato un tradi­

mento del "patto d'acciaio", che escludeva la pace separata. Soltanto una parte dei militari in servizio all'8 settembre riesco­

no a fuggire alla cattura, subito iniziata dai tedeschi mettendo in atto soltanto in parte il "piano Attila", già predisposto da Hitler per annien­tare l'esercito italiano e punire gli italiani per l'alleanza tradita. I gene­

rali della Wehrmacht usando astuzie e intimidazioni fanno prigionieri oltre 600.000 soldati italiani, compresi i catturati in territorio stranie­

ro, che avviano ai campi di internamento in Germania. Tuttavia, anche in snolo italiano, non mancano episodi di digni­

tosa reazione combattiva. A Verona gli artiglieri del colonnello Eugenio Spiazzi difendono la caserma di Campofiore con 16 caduti in

combattimento. A Trento i soldati della guarnigione reagiscono di pro­pria spontanea volontà, ed hanno 49 morti e 200 feriti.

A La Spezia il generale Carlo Rossi respingendo l'ultimatum tedesco permette alla flotta di partire alla volta di Malta, mentre la divisione "Alpini Alpi Graie" resiste valorosamente per tre giorni. A

Piombino marinai, soldati e operai annientano il presidio tedesco: 600

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morti e 200 prigionieri.

Nel meridione a Bari il generale Nicola Bellomo (che successi­vamente verrà fucilato dagli Alleati perché ritenuto respousabile della morte di un prigioniero inglese) con pochi soldati, marinai, e operai

difende valorosamente il porto. A Salerno il generale Ferrante Gonzaga del Vodice, sorpreso con pochi uomini, viene trucidato dai

tedeschi nello scontro affrontato con estremo coraggio.

In nome dell'onore, alcuni ufficiali preferiscono il suicidio: a Cameri (Novara) il colonnello pilota Alberto Ferrario; ad Ivrea il

tenente colonnello dei bersaglieri Alessandro del Piano; a Udine il tenente colonnello degli alpini Davide Zannier si spara alla testa, ma, soccorso, sopravvive.

La maggioranza dei generali si accordano con gli alti ufficiali tedeschi lasciando nelle loro mani i soldati con patti e destino quanto

mai incerti, come nel caso del generale Gastone Gambara. Questi, affidate le sue tmppe al colonnello Volcher affinché "i soldati'italiani

potessero difendere Fiume dalle minacce slave", lascia la città. Dopo un mese diverrà capo di stato maggiore dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana.

In Sardegna dove le possibilità di annientare o far prigioniere le tmppe germaniche sono massime, viene stipulato un accordo per la loro evacuazione pacifica.

LA RESISTENZE FUORI DEL TERRITORIO NAZIONA­LE

Se l'aggressione italiana alla Francia del lO giugno 1940 nel­

l'imminenza del suo crollo militare ha costituito un disonore per gli italiani, le forze militari italiane stanziate in Corsica lo riscattano. Dal 9 settembre fino al 4 ottobre in cui vengono cacciati i tedeSchi da

Bastia, i reparti italiani combattono valorosamente in sintonia con gli

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ordini del generale francese Louchet con il sacrificio di circa tremila uomini tra morti e feriti.

Ma dove maggiormente rifulge l'eroismo dei soldati italiani è alle isole Egee.

11 presidio di Lero, l'isola del Dodecanneso fortificata, resiste per oltre cinquanta giorni al comando dell'ammiraglio Luigi

Mascherpa: su 12.000 comhattenti solo 1500 non periscono e vengo­no deportati in Germania.

Gli ammiragli Luigi Mascherpa e lnigo Campioni, comandante della base di Rodi, responsabili della resistenza armata, saranno pro­cessati e fucilati dal tribunale della Repubhlica Sociale Italiana, nono­

stante il ministro della Giustizia il friulano Piero Pisenti, come aveva fatto per i processati di Verona, avesse insistito presso Mussolini sulla mancanza di fondamento giuridico della sentenza.

A Corfù Il colonnello Luigi Lusignani resiste per alcuni giorni, subendo, appena catturato, la fucilazione con altri ufficiali sotto l'ac­cusa di "ribelli".

A Cefalonia la divisione Acqui, al comando del generale Antonio Gandin combatte strenuamente fino al 24 settembre. Su circa 10.000 soldati, tra caduti in combattimento, massacrati dopo la resa

per punizione (4.500 nel solo giorno del 24 settembre) e periti a se­guito dell'affondamento dei piroscafi per il trasporto dei risparmiati, ne muoiono complessivamente 9.646. Di essi 1.200 sono veronesi.

Nella penisola balcanica si effettua lo stesso sfacelo avvenuto sul territorio italiano.

Non mancano però casi di alti ufficiali che reagiscono al coman­do di consegnare le armi. Per la loro decisa opposizione, che provoca

scontri brevi ma con morti e feriti, muoiono fucilati dai tedeschi i generali Giuseppe Amico, Alfonso Cigala Fulgosi, Salvatore Pelligra, Raffaele Policardi.

Non tutte le divisioni disseminate nella penisola balcanica fini­scono totalmente nei campi di concentramento: alcuni reparti si uni-

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scono ai partigiani slavi c greci, oppure creano formazioni partigiane

composte soltanto da italiani. Nel Montenegro le divisioni "Taurinense" e "Venezia" combat­

tono a fianco del II corpo partigiano iugoslavo nella battaglia di

Jernisa GIava del 14 ottobre per espugnare dopo tre giorni di combat­timento il Passo del Ciakor. Contro queste due divisioni si accanisce

l'offensiva tedesca, che dopo tre mesi le riduce del 40%. Dai loro resti nasce la divisione partigiana "Garibaldi"; e da altri reparti si forma la divisione partigiana "Italia". Costituiranno la Resistenza dei partigiani

italiani all'estero.

RESISTENZA DELL'ESERCITO INTERNATO

Ma la Resistenza maggiore dell'esercito italiano viene scritta sui campi di internamento tedeschi.

Dei 615.000 internati (secondo altre fonti sarebbero 635.000) il 98% rifiutano la proposta di collaborazione con il fascismo della

Repubblica Sociale Italiana e il suo esercito in formazione. Preferiscono l'internamento, nonostante sia ben peggiore della

prigionia. Poiché nelle Convenzioni dell' Aia e di Ginevra non si pren­

de in considerazione questa forma di detenzione di reparti militari, gli internati non hanno diritto alle condizioni previste dagli accordi inter­nazionali. Pertanto non sono riconosciuti dalla Croce Rossa

Internazionale, che non può inviare i suoi rappresentanti a visitare i loro campi di concentramento.

Per loro il freddo, la fame, le percosse, le punizioni, le fucilazio­ni e qualunque altro atto di crudeltà dipendono dall'arbitrio dei custo­di. Ne sono fucilati nel campo di Nichel Treuenbrietzen centocinquan­

ta e in quello di Wellheiden settantanove; nel campo di Hildesheim le impiccagioni raggiungono il numero di centotrenta. Questi séicento­

mila "No" privano l'esercito in formazione della Repubblica Sociale

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Italiana di un notevole apporto di soldati, il fascismo di un appoggio morale, i tedeschi di un aiuto nel continuare la guerra.

E' una resistenza silenziosa, che non provoca rappresaglie nei civili. Gli internati resistono al proprio egoismo, alle lettere di non pochi parenti, desiderosi del loro rimpatrio, che fanno pressione per­

ché aderiscano alle proposte di adesione alla RSI. Il sentimento dell'o­

nore, del non venir meno al giuramento di fedeltà al capo legittimo dello Stato, Vittorio Emanuele IlI, è notevole specie negli ufficiali.

E' nna vittoria dello spirito, non delle armi.

Il suo costo: oltre trentamila internati periscono tra i reticolati, e quasi altrettanti al ritorno in Italia per malattie acquisite sui campi di deportazione.

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CAPITOLO 9

LA RESISTENZA DEI CIVILI A ROMA E NEL MERIDIONE

IL COMITATO CENTRALE DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Di froute alla tragica situazione causata dall'assenza di Vittorio

Emanuele III e di Badoglio nella capitale, e di fronte al rifiuto del Comando militare romano di dare armi ai civili in difesa della città,

alle ore 14,30 del 9 settembre il "Comitato nazionale delle opposi-zioni" approva la seguente mozione: .

"Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in

Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in

"Comitato di Liberazione Nazionale", per richiamare gli itqliani alla

lotta e alla resistenza e per riconquistare all' Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni".

Il primo comitato, che a Roma assume il grado gerarchico di Comitato Centrale di Liberazione Nazionale (CCLN), risulta così composto: Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola per il PCI; Pietro

Nenni e Giuseppe Romita per il PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nato da appena due settimane dalla fusione con il

PSI del Movimento per l'Unità Proletaria (MUP) e dell'Unione Proletaria Italiana (UPI)); Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea per il Pd'A; Meuccio RuÌni per Democrazia del lavoro; Alcide De Gasperi per la DC; Alessandro Casati per il PLI.

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LA RESISTENZA POPOLARE A ROMA

Subito si formano i primi gruppi di civili armati attorno al

comunista Luigi Longo, al socialista Sandro Pertini, all'azionista Emilio Lussu per accorrere in aiuto ai militari impegnati nel combatti­

mento. Queste piccole formazioni si portano quasi esclusivamente al

bivio delle vie Ardeatina e Ostiense, accanto alla piramide di Caio

Cestio, a Porta San Paolo. Anziani e ragazzi, professionisti e operai: non c'è distinzione di ceto, nè di età. A Porta San Paolo cade il giova­

ne studioso Raffaele Persichetti, il primo martire intellettuale della Resistenza.

Sparatorie isolate si hanno anche all'interno della città come a piazza dei Cinquecento o contro l'albergo Continentale occupato dai tedeschi. Si spara per un bisogno di opposizione all'invasore e per evi­

tare alla capitale l'umiliazione di essere conquistata senza combatti­

mento. Ma accanto a questa resistenza armata c'è anche una resistenza

non armata contro l'ingiustizia della rappresaglia, codificata, purtrop­

po, su piano internazionale. Alle porte di Roma, quando la città è già in pieno dominio tede­

sco, avviene un atto di eroismo tra i più sublimi del doloroso periodo

storico. A Polidoro, nei pressi di Torrimpietra, il carabiniere Salvo d'Acquisto offre la sua vita in cambio di quella di ventidue ostaggi,

che i tedeschi stavano per giustiziare come rappresaglia per le perdite subite a seguito dello scoppio di una bomba (un morto ed alcuni feri­

ti). A Salvo d'Acquisto sarà conferita la medaglia d'oro al Valor milita­re alla memoria, che idealmente può considerarsi estesa a quanti, e

non furono pochi anche i rimasti ignoti, diedero la loro vita a salvezza del popolo innocente.

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L'INSURREZIONE A NAPOLI E NEL MERIDIONE

E' a Napoli dove il popolo insorge compatto dando un esempio di eroismo collettivo.

Il colonnello tedesco Scholl, che il 12 settembre ha assunto il

"comando assoluto" della città, impone lo stato d'assedio, ordina la caccia ai soldati sbandati, esegue rastrellamenti per le vie per fucilare

quanti oppongono resistenza o sono trovati in possesso di armi. Quattordici carabinieri, dopo breve resistenza nel palazzo delle Poste,

vengono immediatamente fucilati. Rapidamente si forma una lunga colonna di deportati, diretta ad Aversa.

Nell'attuazione di questi provvedimenti, vengono incendiati vari edifici, tra i quali il palazzo dell'Università, dopo aver fatto assistere la folla alla fucilazione di un marinaio davanti al suo ingresso. Gli

incendi s'inseriscono negli ordini di Hitler di ridurre la città "irl fango e cenere!!,

Dopo la resistenza passiva al bando di servizio obbligatorio del lavoro emanato dal colonnello Scholl (si sono presentate soltanto cen­tocinquanta persone invece di trentamila), si hanno le quattro giornate

insurrezionali, che iniziano il 28 settembre per concludersi con la liberazione della città l'I ottobre.

La rivolta si muove da via Chi aia a piazza Nazionale per esten­dersi in poche ore a tutta la città.

I protagonisti principali sul campo sono i ragazzi: il dodicenne Gennaro Capnozzo cade sfracellato da una granata in via Santa Teresa mentre funge da servente ad una mitragliatrice; il tredicenne Filippo

Illuminato e il diciassettenne Pasquale Formisano, cadono nell'atto di scagliare le bombe a mano contro due autoblinde che da via Chiaia tentano di imboccare via Roma.

L'episodio più umiliante per i tedeschi è la capitolazione dcI presidio del maggiore Sakau al Campo Sportivo, audacemente attac-

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cato dagli insorti sotto la gnida di Vincenzo Stimolo: in cambio della garanzia di immunità ai militari del presidio, ottiene l'evacuazione da

quell'accampamento e la restituzione dei quarantasette ostaggi ivi

detenuti. Il popolo napoletano, armatosi con le armi di depositi militari

ritenuti dai tedeschi di scarsa importauza bellica, prosegue la rivolta

sotto la direzione del comandante Antonino Tarsia, che ha la base sul

colle del Vomero, costringendo, dopo una.lotta senza qnartiere, i tede­

schi ad abbandonare la città. IL contributo di sangue è il seguente: 152 combattenti caduti,

140 caduti civili, 162 feriti, 19 caduti ignoti. L'insurrezione di Napoli impressiona profondamente le autorità

militari tedesche, che traggono una lezione di strategia nel dominio dell'Italia: l'opportunità di minore e cauta azione di rappresaglie, da far eseguire il più possibile dai fascisti, nelle grandi città rispetto alle

piccole e ai paesi. A questa linea di comportamento forse si deve se, per azione personale di Kesselring, nella rappresaglia per l'attentato di

via Rasella le vittime sono state ridotte a dieci da cinquanta per ogni soldato tedesco ucciso, come invece aveva ordinato Hitler.

Dal punto di vista storico le "quattro giornate di Napoli" posso­no essere paragonate alle "cinque giornate di Milano" del

Risorgimento non solo per l'eroismo degli insorti, ma anche per una certa analogia della situazione del colonnello Scholl con quella in cui si trovò il generale Radetzky: una battaglia senza campo di battaglia

per truppe regolari con continuo indebolimento e panico per le impre­vedibili imboscate delle proprie guarnigioni. Presenta pure, per l'im­

ponente afflusso spontaneo di popolo, punti in comune con la insurre­zione di Genova dell'aprile del '45, con la differenza che a Napoli non

preesisteva nessun piano organico preparatorio. Anche in altre parti del meridione non mancano episodi insurre­

zionali che facilitano la conquista degli Alleati Ad Acerra, nella strada per Caserta il primo ottobre i contadini

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tentano di sbarrare il passaggio ai "panzer" tedeschi costruendo barricate con i carri agricoli: per rappresaglia duecento persone ven­gono trucidate.

Alle porte di Capua viene opposta una strenua resistenza il 5 ottobre. Tra i difensori viene catturato e impiccato il quindicenne Carlo Santagata.

A Teverola (Caserta) diciannove carabinieri, fedeli al giuramen­to al Re, vengono fucilati.

A Garzano per rappresaglia ad un'azione di partigiani sono tru­cidati sette civili, tra cui tre sacerdoti anziani.

Dovunque c'è resistenza, si manifesta una grande spontaneità nella rivolta all'invasore, spesso con tributo di sangue di giovani, come a Lanciano dove undici volontari non ancora ventenni cadono combattendo in uno scontro cbe costò cinquanta morti ai tedeschi.

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CAPITOLO lO

LE SCELTE POLITICHE DELL'ITALIA OCCUPATA DALL'ESERCITO TEDESCO

LE DUE ITALIE

Nello stesso giorno del 9 settembre in cui a Roma il CLN invita gli italiani a combattere contro l'invasore e il fascismo suo alleato, da radio Monaco, che si inserisce nella linea d'onda della radio italiana, viene diffuso un proclama da parte dei gerarchi fascisti Roberto Farinacci, Alessandro Pavolini, Guido Buffarini Guidi, ai quali si uni­sce Vittorio Mussolini, il figlio maggiore del duce. Si accusa Vittorio Emanuele III e Badoglio di alto tradimento e si annuncia la costituzio­ne di un nuovo governo fascista repubblicano.

La liberaziòne di Mussolini nel pomeriggio del 12 settembre a Campo Imperatore sul Gran Sasso d'Italia ad opera dei paracadutisti del capitano Otto Skorzeny convalida la formazione del governo repubblicano fascista.

La sera del 18 da radio Monaco nel suo discorso agIi italiani, dopo aver reso noto l'iter della sua prigionia dall'isola di Ponza (Latina) all'isola La Maddalena (Sassari) e infine al Gran Sasso d'Italia; e dopo aver accusato più il re che Badoglio di tradimento, an­nuncia la costituzione di uno Stato repubblicano fascista

Ritornato in Italia il 23, prende provvisoria sede alla Rocca delle Caminate (Forlì), il castello adattato a residenza estiva durante il ventennio. Qui, dopo quattro giorni, vi riunisce i ministri del suo nuovo governo, di cui la figura di spicco è il maresciallo d'Italia Ro­dolfo Graziani, che assume il ministero della Guerra.

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lmportonti delilurazioni del Consiglio dfi ministri . La bandiera e la formula del giuTomento per le tOl1fl armate ~ ImaioRe dei prezzi e aumento di rdribuzioni al ptrsolUlle delle pubbliche amministra~ zroni ~ UlIG serie di provvedimenti fiscali ~ Rico.stituzione del Tribunale ~_~~!esa dello Stato

, L'annuncio della denominazione" Repubblica Sociale Italiana" dopo l'incertezza tra l'aggettivo "socialista" e "sociale".

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Nei giorni successivi l'apparato governativo si insedia sulla riva

occidentale del lago di Garda con alcuni dei suoi uffici: il ministero degli Esteri e della Cultura popolare a Salò, il ministero dell'Interno a Maderno, il comando delle forze armate a Desenzano, la residenza di

Mussolini a Gargnano nella villa Feltrinelli. A Gardone, tra Salò e Maderno, hanno la loro abitazione e sede di comando il generale delle

SS Karl Wolff a villa Besana e l'ambasciatore Rudolf Rahn a villa

Bassetti. Il nuovo Stato, chiamato in senso dispregiativo "Repubblica di

Salò", comprende l'Italia settentrionale e centrale; ed è riconosciuto soltanto dalla Germania e dal Giappone e dalle nazioni a loro satelliti:

Bulgaria, Romania, Ungheria, Slovacchia, Manciuquo. L'l ottobre viene privato delle province di Trento, Bolzano e Belluno (annesse al

Reich per costituire la regione dell'Alpenvoriand sotto l'autorità del gauleiter Franz Hoferl e delle province di Fiume, Pola, Gorizia, Trieste e Udine (pure annesse al Reich con la denominazione di

Adriatisches Kusterland e sotto l'autorità del gauleiter Friedrichs Rainerl. Soltanto il 25 novembre la nuova repubblica assume il nome

di Repubblica Sociale Italiana (RSIl a dieci giorni dal congresso nazionale del partito repubblicano fascista (svoltosi a Verona dal 14 al 16 novembre l, che ha emanato un programma sociale di tipo sociali­

sta. Il ritardo si deve all'incertezza tra l'aggettivo "socialista" e "socia­le". Il nuovo Stato subisce gli oneri del regime d'occupazione tedesco, il continuo controllo del plenipotenziario germanico, l'ambasciatore

Rudolf Rahn, e del generale delle SS Karl WolfI Ma al di là del Garigliano, dopo la cacciata insurrezionale dei

tedeschi da Napoli, è nato il "Regno del Sud", con il Governo Badoglio dapprima a Bari e poi a Salerno. Il capo dello Stato conti­

nua ad essere Vittorio Emanuele III con dimora a Ravello nella villa

Sangro. Il Regno del Sud non è autonomo, perché deve sottostare alle

direttive di un organismo consultivo, J'Advisory Council of Italy

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(ACI), istituito a Mosca il 19 ottobre dai ministri degli esteri america­no, Cordell Hull, inglese Antony Eden, e sovietico Viaceslav Molotov.

Inoltre il governo italiano deve sottostare alla Allied Control Commission (ACC) per l'applicazione dell"'armistizio lungo" (com­

posto di 44 articoli, mentre il "corto" firmato a Cassibile era soltanto

di 12 articoli) firmato da Badoglio ed Eisenhower a Malta il 29 set­

tembre. Il testo dell'armistizio, che rimane segreto per esplicito volere di Badoglio, oltre ad esigere il controllo politico e militare alleato

sull'Italia, stabilisce che deve mettere a disposizione degli angloame­ricani mezzi finanziari, strutture logistiche e di comunicazione: ban­

che, radio, stampa, cinema ed altre istituzioni pubbliche. Mentre per gli italiani al di là del Garigliano la linea da seguire

è semplice in quanto lo Stato e il governo sono gli stessi che hanno

preceduto e concluso l'armistizio, non così avviene per quanti si tro­vano nell'Italia invasa dalle forze armate tedesche, fiancheggiate da

un governo imposto da Hitler e dove il capo del governo,' Benito Mussolini, non può muoversi dalla villa Feltrinelli di Gargnano se non scortato dalle SS tedesche.

NELL'ITALIA DELLA RSI E OCCUPATA DALLA WEHRMACHT

Di fronte alla grave situazione creatasi specialmente dopo 1'8 settembre e dopo il ritorno in Italia di Mussolini, liberato dai tedeschi e protetto dalle armi tedesche, si possono distinguere tre comporta­

menti.

Attesa passiva

Il più comune è quello di una attesa passiva. Appartiene'soprat­

tutto a coloro che, non essendo in età idonea al servizio militare, si

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adattano alla situazione con malcelata sofferenza, fatta di rassegnata

sopportazione, di collaborazione apparente o ridotta al minimo per evitare la punizione, e talvolta di nascosto piccolo e saltuario boicot­taggio burocratico alle leggi emanate dal governo. E' una attesa sor­

retta sempre dalla speranza in una prossima liberazione da parte degli

alleati.

Lotta di resistenza o "Resistenza"

Come in tutte le nazioni europee che durante la seconda guerra

mondiale sono cadute sotto l'occupazione tedesca sorgono movimenti di opposizione attiva o passiva, così avviene anche in Italia. Tale

opposizione prende il nome di lotta di resistenza o semplicemente di "Resistenza" adottando il termine usato per primo dal generale

Charles De Gaulle il 18 giugno 1940, quando inviò da Londra per radio ai francesi il primo appello di Resistenza, dopo aver appreso che Henri Philippe Petain, maresciallo di Francia, aveva costituito un

governo satellite della Germania di Hitler. Nella resistenza passiva degli italiani vengono inseriti quanti

non rispondono alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana (il cui bando per le classi di leva 1924 e 1925 appare il 9 novembre del '43) e denominati "sbandati" perché non raggruppati in formazioni di alcun tipo. Considerando che quel rifiuto comporta un notevole indebolimento dello Stato repubblicano fascista e un rischio personale di punizione, anche la risposta negativa degli "sbandati" può essere considerata resistenza attiva, specie quando, il 18 febbraio del '44, vengono comminate la pena di morte ai renitenti e pene seve­re ai familiari. Da allora la resistenza dei renitenti alla leva diventa un "No" sulla linea dei seicentomila "No" dei militari internati nella Gerruania.

Viene definita "resistenza attiva" l'opposizione allo Stato repub­

blicano fascista e all'invasore tedesco attuata da organizzazioni che si

costituiscono con tale esclusivo scopo.

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Se si svolge senza usare le armi e senza compiere atti di sabo­taggio bellico, va sotto il nome di "resistenza civile", Si organizza in forma programmata soprattutto nell'opposizione alle leggi razziali,

tutta impegnata nella protezione, nascondimento o trasferimento in Svizzera degli ebrei. Ma non meno è organizzata, sia pur per breve periodo, nel soccorso ai prigionieri inglesi facendoli arrivare al di là

del fronte, Deve, però, essere considerata resistenza civile anche l'aiu­to economico ; e più ancora l'offerta di un rifugio ai partigiani o ai perseguitati politici, braccati dalle varie polizie, Anche in quest'ultima

forma c'è il rischio personale e della propria famiglia: è la meno cono­sciuta e spesso la più disinteressata.

L'opposizione diventa "resistenza armata" quando vengono usate le armi o il sabotaggio bellico, e costituisce la "Guerra di Resistenza" o "Guerra partigiana" perché combattuta dalle formazioni

di tipo militare dei partigiani. E' anche chiamata "Guerra di Liberazione" perché contribuì a liberare l'Italia dal fascismo 'e dallo

straniero, inserendola con questa denominazione nel Risorgimento Italiano.

Adesione alla Repubblica Sociale Italiana

Il terzo comportamento è quello di adesione alla Repubblica Sociale Italiana, che si attua in vari modi.

Alcuni compiono l'iscrizione al Partito fascista repubblicano (di cui Alessandro Pavolini è il segretario) senza alcun impegno o con

soltanto funzioni amministrative burocratiche; altri invece diventano propagandisti e combattono gli oppositori al regime. Questo secondo

comportamento si acnisce e maggiormente si lega alla RSI special­mente a partire dal luglio del '44 quando il partito fascista repubblica­no formerà con i suoi iscritti più estremisti le "brigate nere".

Aderiscono al nuovo Stato repubblicano quanti entrano nella

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ricostituita milizia fascista denominata "Guardia Nazionale

Repubblicana" (la GNR sotto il comando di Renato Ricci); e quanti rispondono ai bandi di leva entrando a far parte dell'esercito delIa RSI (di cui il maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani è il comandante in

capo). Da notare che in questi secondi, per la maggior parte, non esi­ste lo spirito fascista di quanti, invece, si arruolano nella GNR.

Altra forma indiretta di adesione viene data dai volontari della X Mas, costituita da alcuni battaglioni di fanteria di marina al coman­do di Junio Valerio Borghese, sebbene essa sia dipendente dalle auto­rità militari tedesche.

Infine, aderiscono in forma più totale e incisiva quanti entrano

nelle SS italiane dipendenti dalle SS tedesche o in organizzazioni poliziesche italiane ma subordinate alla SD, la Polizia di sicurezza tedesca, quali la "banda Carità" del maggiore Mario Carità e la

"Banda Koch" di Pietro Koch, quest'ultimo sotto il diretto comando di Kappler".

LE MOTIVAZIONI IDEOLOGICHE DEI VOLONTARI DELLA RESISTENZA

Varie sono le motivazioni ideologiche che spingono ad entrare nella Resistenza e non raramente sono collegate all'ambiente e a situa­zioni particolari.

Per quanto rignarda l'opposizione contro la dittatura che aboli­

sce la libertà, gli intellettuali si richiamano al pensiero di Aristotele che afferma il diritto di resistere al tiranno; e in particolare i cattolici si ricollegano al filoso Tommaso D'Aquino che, a sua volta, riprende il pensiero di Aristotele.

La motivazione dominante è quella patriottica di accelerare la

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fine della occupazione tedesca perché l'Italia ritorni agli italiani: essa è viva soprattutto nei gregari delle formazioni armate, negli ufficiali

che hanno combattuto nella grande guerra e vedono la Resistenza come completamento del Risorgimento.

L'ideale patriottico si associa a quello sociale e politico nei "commissari politici" presso le brigate partigiane, gli incaricati di tra­

smettere l'ideologia e lo spirito del partito alle loro imprese belliche affinché abbiano non soltanto un valore patriottico.

Nei rappresentanti dei partiti in seno ai CLN provinciali e regio­nali la motivazione prima è la riconquista della libertà perdnta con il

fascismo; e se di destra, aspirano al ripristino del governo liberale ante fascismo; se di sinistra, ad una nnova democrazia più attenta ai diritti delle classi proletarie. Naturalmente anch'essi sono uniti nella

lotta all'occupante straniero senza la cui cacciata e sconfitta non può essere demolito il fascismo, che ha abolite le libertà democratiche, fondamento della vita dei partiti.

Sul piano della legittimità della guerra di Resistenza, nessuno

ha dubbi: Mussolini è stato destituito con un atto costituzionale, e Badoglio è stato nominato primo ministro e capo del governo con un atto ugnalmente costituzionale. Il governo legittimo, dunque, è quello

del Regno del Sud, non quello della Repubblica Sociale Italiana, che invece è illegittimo perché, anche se apparentemente creato da un

Mussolini senza alcuna autorità, è stato imposto dalla Germania nazi­sta. Pertanto considerano Mussolini, notoriamente sempre protetto e scortato dalle SS tedesche, un gauleiter di Hitler.

Inoltre, poiché il 13 ottobre del '43 il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania, la guerra partigiana è quanto mai legittima.

Essa non è altro che una forma particolare di guerra di liberazione della patria dal tradizionale nemico, basata prevalentemente sulla

guerriglia. Anche la guerra tra italiani, cioè tra fratelli, viene giustifi­cata: sia perché l'ideologia dei fascisti sostiene la dittatura, sia perché per combattere i tedeschi lo scontro con i fascisti fiancheggiatori è

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inevitabile. Non è, però, considerata "guerra civile", perché non vi è

dietro i gruppi dei fascisti repubblicani uno schieramento popolare e quindi non esiste una frattura della popolazione in due parti contrap­poste come avviene nelle guerre civili.

Per quanto riguarda il comportamento dell'Italia nei confronti

del Patto d'acciaio, lo trovano più che giusto trattandosi di una allean­

za iniqua e non voluta dal popolo: pertanto esiste il diritto e dovere, appena possibile, di abbandonare l'alleato iniquo.

Infine a quanti attribuiscono alla Resistenza la responsabilità di aggiunger altre vittime alle già tante dovute agli anni di guerra prece­denti, i sostenitori affermano che l'alternativa ad essa è soltanto la sot­

tomissione, che a sua volta avrebbe portato tanta gioventù a morire con i tedeschi o al fronte o nelle retrovie, non avrebbe distolto parte

delle truppe germaniche dalla linea di combattimento, e avrebbe reso ben peggiori i bombardamenti degli Alleati.

Nella lotta di resistenza si uniscono forze eterogenee elal punto di vista istituzionale. Accanto ai monarchici sono in numero maggiore i repubblicani; accanto agli antifascisti di antica data, vi sono quelli

divenuti tali per graduale comprensione della errata ideologia fascista o perché impressionati dal disastro in cui il partito fascista aveva por­

tato l'Italia. Si può dire che tutte le categorie sociali vi entrano, anche se quella rurale è più tardiva e meno consistente. Molti i giovani, ma molti anche i veterani della grande guerra.

Naturalmente, accanto a chi vi accorre in purezza di ideali si

associano, come in ogni guerra civile, gli opportunisti in previsione di interessi successivi alla vittoria; e trattandosi di lotta armata, anche chi vi trova la possibilità di mascherare istinti sanguinari sotto la veste delle idealità che sorreggono i puri.

87

LE MOTIVAZIONI IDEOLOGICHE DEGLI ADERENTI ALLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

La tesi di Mussolini, espressa nel discorso di Monaco del 18 settembre e poi diffusa e sviluppata dalla stampa, costituisce il fonda­

mento giuridico del nuovo stato repubblicano e della continuazione

della lotta a fianco della Germania contro le nazioni plutocratiche Essa è fondata sull'impossibilità di venir meno ai patti sanciti

per via legittima. Di conseguenza, Vittorio Emanuele III, come capo

dello Stato, e Badoglio come capo del governo, attuando l'armistizio all'insaputa della Germania alleata, hanno tradito il "patto d'acciaio",

che impegnava i contraenti "a non concordare armistizi o pace se non in pieno accordo tra loro". Tale patto era stato stipulato dal ministro Galeazzo Ciano non in nome di Benito Mussolini ma in nome di

Vittorio Emanuele III, capo dello Stato, tra la nazione germanica e la nazione italiana. Casa Savoia e il governo Badoglio, resisi traditori sul piano internazionale, hanno disonorato l'Italia, e come autorità sono delegittimati.

Ne consegue che i militari non sono più tenuti al giuramento fatto al re. Per riscattare l'Italia dal disonore non resta che riprendere le armi a fianco dell'alleato germanico. Il fascismo, non più legato alla

monarchia da motivi di salvezza dello Stato come avvenne nel 1922 , ritorna alle sue origini repubblicane e socialiste con l'istituzione della Repubblica Sociale Italiana.

Questa tesi fa presa in alcuni decorati di medaglia d'oro della recente guerra e in un certo numero di generali dell'esercito. La fanno

propria quei giovani che maggiormente furono figli dell'educazione ventennale. Così ha scritto Gabriele De Rosa sul suo volume di Storia Contemporanea: "Molti giovani credettero ad un ritorno di un

Mussolini repubblicano e populista, di un Mussolini rivoluzionario e . ' dagli antichi amori socialistici. Sentirono come un'onta il "tradimen-

to" della monarchia e la rottura dell'alleanza con la Germania".

88

Di più ditIicile comprensione appare che tale tesi possa essere accettata da alcuni intellettuali che aderiscono alla RSI, quali il filo­sofo Giovanni Gentile, il geologo Giotto Dainelli, l'artista Ardengo

Soffici. In loro, probabilmente, la spinta maggiore è quella di non voler rinnegare il proprio passato e di cercare di agire da moderatori nei confronti delle facilmente prevedi bili violenze.

Altri, e sono soprattutto gli squadristi della prima ora e messi in disparte nel ventenni o, aderiscono alla tesi mussoliniana non solo per il suo contenuto ideologico, ma anche per spirito di vendetta e per

rifarsi nei confronti dei favoriti del duce, quali Ciano, Bottai, Starace. In loro brucia il desiderio di punire i votanti dell'ordine del giorno

Grandi, causa prima della caduta del fascismo. Molti, infine, i facinorosi per i quali la tesi di Mussolini non ha

alcun significato. Attratti anche da vantaggi economici, s'infiltrano nei

reparti armati in numero maggiore rispetto agli stessi nelle file della Resistenza, facilitati dal bisogno della Repubblica Sociale Italiana di

ingrossare le sue formazioni poliziesche per contrastare i partigiani.

89

CAPITOLO Il

INIZIO ED EVOLUZIONE POLITICA DELLA RESISTENZA ARMATA

LE DUE TRAGEDIE DI BOVES E IGNAZIO VIAN

La guerra di resistenza armata in forma di bande permanenti ha il suo inizio il 12 settembre ad opera dell'avvocato piemontese Tancredi Galimberti (ucciso dai fascisti il 3 dicembre 1944, eroe

nazionale, medaglia d'oro al Y.M,) e di Dante Livio Bianco, che radu­nano un gruppo di antifascisti sulle montagne sovrastanti Cuneo, Entrambi del partito d'Azione, costituiscono la handa "Italia Libera",

Proprio nella provincia di Cuneo, a Boves, si hanno i primi scontri dei partigiani con i tedeschi, i quali compiono il primo feroce

eccidio per rappresaglia nell'Italia settentrionale venendo meno alla parola data.

Alle tragiche vicende di questo paese è legato il nome di Ignazio Vian, di Mogliano Veneto, medaglia d'oro al Valor militare, e passato alla storia partigiana come il "difensore di Boves".

Insegnante di lettere, della classe 1918, è tenente di complemen­to nella IV armata, dislocata in Francia. Suhito dopo l'armistizio rag­

giunge a San Giacomo di Boves altri ufficiali e soldati, fuggiti alla cattura e diventa con loro promotore della Resistenza apolitica e mili­tare.

Il mattino del 19 settemhre sulla piazza del paese senza colpo ferire vengono fatti prigionieri due militari tedeschi delle SS, inviati

da Cuneo in perlustrazione dal maggiore Joachim Peiper.

90

A mezzogiorno arrivano a Boves due autocarri delle SS diretti a San Giacomo, ma vengono respinti alla frazione di Castellar in un

brevissimo scontro in cui rimangono uccisi un ufficiale tedesco e il marinaio siciliano Domenico Burlando, il primo caduto della guerra

partigiana nell'Italia settentrionale Il maggiore Peiper immediatamente invia nel primo pomeriggio

il parroco don Giuseppe Bernardi e un industriale del luogo Antonio

Vassallo alla frazione di San Giacomo. Devono ottenere la restituzio­ne dei due prigionieri in cambio dell'assicurazione che le SS si ritire­

ranno da Boves senza recare alcuna offesa agli abitanti. Vassallo avverte i comandanti della banda che il maggiore

Peiper alla richiesta di una garanzia scritta era andato sulle furie

rispondendo: "Val più la parola di un tedesco che cento firme di un italiano". Ignazio Vian insiste presso gli altri partigiani perché la ri­

chiesta sia subito concessa. Avvenuto il rilascio immediato, alle 15,30 appare una colonna

di SS con autoblinde e cannoni diretta a San Giacomo. Sul ponte della

frazione di Castellar, Ignazio Vian e i suoi partigiani, molto inferiori per armi e per numero di armati, riescono a fermarla con il fuoco di

poche mitragliatrici. I tedeschi, forse credendo di essere di fronte ad un nemico

numeroso e bene armato, desistono dall'offensiva, ma si rifanno sugli inermi venendo meno alla parola data.

Nel ritirarsi incendiano ogni casa e uccidono venti sette persone,

tra cui don Giuseppe Bernardi e Antonio Vassallo, bruciati vivi dopo essere stati cosparsi di benzina. Secondo la più recente pubblicazione

in merito, quella di Y. E. Giuntella in "Civitas" del luglio 1982, oltre ai due arsi vivi, perirono in quell'eccidio cinquantacinque civili, uomi­

ni e donne di Boves. Passano quasi tre mesi e mezzo senza che a Boves le SS com­

piano atti di rastrellamento o di terrorismo. La mattina del 31 dicembre, dopo il recente insucesso al forte di

91

I

R' E"'" 'I o,.,., d; ,0,;',"1'

. plI(lsl, unII .. ", I \

1 Di~einbr. Alino JO • n. IL LAVORATO 1943

. ORGANO DELlE fEDERAZIONI VEtUm DEL ,PARIlTO COMUNISTA D: ITALIA

lOTTA Il nemico avrà la vita sempre piil dura - .Chi- collabora tradisce

. Si lotta conlro.1 tedescht t I I(}r~ I"A P~~OVÀ _:~, "",hi~i~ lUI dW;,II"', 'wr~ P A D,O V A, 1M p I E D-I .j ~gherr{ lascisti con le orm! in pUfIT/O, nel ..,14 dd/II ~iIIz~tJ. f~sr"M" $MU Mali, i"mrdiali. UpOIti di parfigialll C Ilei gruppi di ozio- ,ali .1".de~lj thll'"s.""t. m,dle, .m~lI~fi I1.d ne patriottica, ma si Iolla anche col saM ;(;;:;:lt~/~mo;;:~!,Udzt~~1 f",cim, ,I sl·S<ln6 L' U~iver~it. e il 'lavoro pe~

la libertà Et J' indipende:!1z~ ball/gglO, co/ fI/llllo di qualsiasi co[JulJ<r- '.' • - . , ••

razlonc,· Lo/tano w/oro che taglia!!/) i A ViHEZIA 'jd ~Ia/~ ,da,,~it:i(a/(}',* /"",,,,,,;. I Gli studenti' rispondono .af' vI.:. fili. telefollid, sabolana le automobili, ImMg jlli .,.~ .. U/nUMa /I m~ll)'" (,nl,sl~ dII _brOnht opp'ello del prof. Conc.ett~ asportano I cartelli il/dicalari, dor/110 .indi. 'm~I/,,~- SIIi.M d01# ", "av"'I/~ ma'flundl) .6000 Mert;he:s! (en,ore_ ~.II· Unlvorsit6 (a./alli sbagliate, lacerano I m(1I!If~Jfi del " .. i"/~1I ,di gf(m~ ptf I "dd,h'" , ncmico. Lo/lal1o l ferrovieri cM 30boiollO e .1«14 il"'rtdlal~ 'urta 68'"'''' d,,,,_ (t~ Sciopero gO!!.,!lrale eli!, Stanga, i trasparii, gli operui cile Jabotqno l! dn.hI " .... ""0 impi"nt"ID u~ IdofDIO'% Ci mandaI/O do Padova: macchille t, lo produ:;:tnllc dtslinata ai Ic- ,li sI"'a allarula/ti,f,.l.a,JI'm utili; 8,idl> Duo ovv.njm'ht! dj "rande lmp",j.n.a h."m; ,drselli, i contadini clte $ollroggono {,pr!)-- $"bllo '<l~p~ il.""" "lo' ",,/Id I~rg.nl' hdt$CfJ.. 'mt .. o In q~ .. lj 'g!o,~j P.dovi in' l'rimA Il,,.lÌ dolli aI1'ammasso, 11011 pagO/w le Il,''p03te, '-tLd'sçhi non ,.;';"611" ';" otltlltFe- ;'na'p;"'" ".11. !MIQ l'<r l. tkooqul.l. del!. Ilb.H'" MIlo

tI,,%;o"I·r4K~u."': Li ~""tr'''fJ.''''.~ZI,;'o·"mp,., !nlll""nd.nu iinl(m.t. «>nlfl> gllln,uorll'illò,' flforl/iseO/w i partigiani, Lotlano gli impie ~"'!'g~fJ.~1 rlftJ.Nli. ,e, - ' ,-' ',' ,', -, , ,i.,,1 • j loro obl<ri IAsciotl.

gufi e I funzionari che. illtralciano il di- U GLI AVVtNlMllHTI DnlA "STAHGA" sbrigo delle pratiche, sabotano i $er~izl e IN rUTTO Il'VlWUQ '. 'ii"U' klij""!t~4' ì~· le .arle forme'di mobilifazlol1e civile e mi- dOUM "'rll"U, t4rltU/ iridi<.rorl"~;pprliiil.'''A n I /I {' . d I I "l L Trtrilso • 8$1/~;',,_ I t,ibseh/ in-irio<i:t~lt" 'ai' iwiul I an; (/ 1//10 g I III 1/$ r al! c le pur saw,:: kirr u. """"fllzi"_'" pu II> g.,lIrJ/1I d.i jU;>~D

lando lo produzio/le per il lIemico, a3slcu- (fu' p~nhnb~t I Z~'4rdl~)<I? III ,ptJ.ncdr.lh~NJ.. ruM lavora e pane ai lo'ro operai, per md h gu"fdU $/'no Ziil &8mQlOd41. ma W ilibi--$oUrarll alla, vorace orgallÌ7:zaziOlle '(odi. t~!!gJ",(~nl;n,,~:, ',:

Lol/alll:, lull/ coloro che uiulallO gli tX prigioniai di 'guerra, i ricercati per ra­gioni pOliliclu . c, militari,

Ma wlaro cile lavorano per I tedeJclU ~f!(lIc 'fuIJiJrlche, nelle campagnf, "m'gli uf/lti, ncll'e:;ercUo,lIrilà polizia t,'gavullqu.c. - coloro che di buoll grado e con'_ zelo ;endle prestaI/O l~ loro collaborazione alle m!lorilti tedesche e-ai ioro sgkerri jQscbtl­IradiscoHo lu patria, la cou,~o della filurta e deMo/w :;apue cke Il(IlI tarderanno, a sC(mtare il/or? tradimento,

il PROVINtIE" ViNiTE '(#"'10 ',l ga,a' Per sosl,n""4 '''~II~''/l'parl,iianf c;U si b",llc~~ n.il. nÒ$tr(! /f'.".IUÌlIl4." CiU"dini d! t~ftt I. d~$,I1 ~J. f~IIQ ihn~rd'- .1.il1, mdu/tU",J, ~spl/alJld; m.n: di '""pcm,., L'unl,,~~ di trdif IL hr~L i l""'''~: kI~ di ville"". M,,~f~ ~t/l 6ppNs56ri ,11~S&h.i , f,;sci<11! Vi." f l/"Iili I ,

.per .. violentarne·la nuora

",: )1 ''29''no'~';''b;.' doPo -ma~;'aNcll~;' dUl ",ii/. A, ~ROnIO" ~ (Vi<tua) lo .i".dtl/"Ji"al~ I",J' ù,uiehl j(ù<tr~",l(~~"~, tJ., ÌJ=;gp~;"(Pa /a,«,la di VI"",,,, .• L(Chw .• lrnm.,t/~ dd/a,." ilo.a}. ~tl '''fIl f/./OiO'Yalmi C~lItr • l'i'la'"u~ I

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.011'1,. d.tli 'c:lJ<tr/ f~.d,li in.;al> da V'C'"'., J~ vecc"'.,. cM S. oppDM.a "U' itJf4m~ .g­i ""ali'/.Q",M .. ~liejM~ III,"", Ca" t'''tral~l. 1!~6$S'.1U~ u",Yafu.u",."t',fI«~PPl'fa d4' du. park&l<l "f/<odln', hMf1 ""C "-MO". più pl"O- h.lkrlan,. /MdQ l'od,~ p<lpolar< ~o~lr. / n,m;(/, Oli SE"., '.::-.-_---~-~-----ri paçh,,~~~., . QAL TORMIO olle MlTRAGUATRICE

NH tREHl1HO •• ". gr"pp~ Ii'/UiM< pdlrip!­",a l'' .~rpit.~, d; ~oll<, ""nt" Iltgliara l,II M'/,MI~i, <f4 u,,~ palluglia (.<1.><4. N~ ... l'fll 1M ~iv4" "'am';~ d. j~<i/M. ,}U durlJ ol/n ,''' qu~rI~ <f'.,~. I pAlti.li ~M /"In"" s~bif. p~rdlu,

O. di •• ". !o~.tH;' ~.uppi dI op."; h"~"n r.l(:!u~to j dl,l.ec.m."I; p.,l!i:l.~i, piullo.1o di l~,,<>,.« p" i t.<ksch!.

Il ,,;iJ.~, j~ 'o;diio~ di iI~t.~ ~'i! m~Jiln.nlo do~1l opc .. i d.n .. "Stoni''', <:<Ind~'''fl ~<>h '100 ,<:101'<'0 c<>mp.Ui .. ima, Oh QP<tAI ."mO da tempo ",.Iconle;,t{ .:per l. paghe di lame.'pu!l ! • .1t(> di dI'V" lavo, .... por f0Y'j,. m.ltllAle krroyj.,­rl<:> .1 l.duehi, V"gìl""IQno .ndO inten,lfk.ndoll nd gio,n! "'0 .. 1, !anlo ,clic I. dl,c.ip"., dopo ne' 'RIIUI .... nt. t.01.1I" dj I.' 101 .... nlr< :U q ;'ompononli d.II.' Commi .. i<m< 'laltraa, d,lu,~ lo "i!ern~to dci '!_~d'Sàll, ''''',d.ti " d.!I~ fo'.~ pub, blica. I __ dl,lg~nh, .ln~4""Ii.roft ~~~~'ìJ"io d,. i! di.p.eno degH op.i.i i 9"~!j '\""~'~'1 ot~,~; imp.· ralo ~ t<><o .pe~,·,~'l~le .i~:, la: IU~,~io"., dell. orp"iu",jo~i ! .. diJ<:,.',~ i~ ~i'Jl.OoI~ 1\1I~ ",.no­.. ~ d.lla d;,e.IQ~~, J~n,.d; Z9 n,,~.mb,,~,)<:.m •• ~ sllanze d.l!~·:SI'."Iç~, .. e~O!!,~ll~~.?I" .• ,~n,~OI ~JtI0 li .ono m ... ~,in',dop<,,~ per ~",~o'r' J'occdla' .jo,,~ dtlle' ',uo ICK;ul"'. rlvcndiC:uioni. Lo oula ~;t.i_ "'''0 .0''', ai ri;'~,; .do,lic"d~ 'i,I .Conl1rlio d'Anlmj~j.I,..jol1' deUo StongA • d."d.ndo una, ,e<tk.n!e ""f.llone, '<><IP",~U •• " dell. 01;11> .1 .... , M. gli ;'pe,.i no;' 'o~" di.po.H a lasci­O<li P''',>d .... 1 J.~d". ~ .. ; "'"IW·b.";~im" ,!l, so(l" il '"Rime Io~i,!., 'un •• 'l"p::ra_I!' .. domina lA d.ll. 11«e.lit. dd ... di!" • del ,p .... lo Mn può .bo o';'<r. un dluolr<1 per i l.vo .. l~rI, fd 0.,1 nO" v~g!lO"O .. 'ut., • .i I.d.,d,i col 10<0 I"· vo<o. l'Ag,t~,'on. co~Hnu ••

Bisog'" '''R" •• "j .he Il m.gni!ko ... mpj" degl' np~ •• '. qcUa ~lf.n". 01 • ..,iIt,~\to, .• pre,lo· ~. qu.J!i d.U. 'al~,t· fabb,ieho.

LI OIMJSSIOHI OEL PAOf_ r f IL URMINTO NEll' m'

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COli '~II~ la 10<0 I.d. t In

"Il Lavoratore" del I Dicembre 1943, organo clandestino del partito cornundta, duran.te la Resistenza (biblioteca civica di Padova).

92

Vinadio, i tedeschi muovono all'attacco di Boves con l'appoggio di artiglierie e mezzi corazzati,

La resistenza dei partigiani è strenua, Al tramonto di quell'ulti­

mo giorno dell'anno Ignazio Vian, profondamente religioso, fa suona­re le campane di San Giacomo, inno di fede più che di vittoria,

La battaglia dura quattro giorni con alterne vicende. Le SS

entrano nel paese soltanto il 3 gennaio, accolti dalle raffiche di mitra­glia dei partigiani e di abitanti che hanno fatto causa comune con loro.

Inizia la seconda tragedia con minor numero di morti (la cui

entità non appare nelle pubblicazioni di storia partigiana) perché la maggior parte della popolazione era già fuggita,

Bartolomeo Giuliano, testimone del secondo incendio, sulla rivista "Il movimento di Liberazione in Italia" del maggio 1953 così

SCrIve: "Giunti sui costoni di Rosbella la valle Cl apparve come un

immenso girone infernale, piena di fumo, di falò che indicavano le

case in preda alle fiamme: il vento ci portava un acuto odore di bru­ciato, misto al solito urlìo delle bestie affamate e abbandonate, Nei

giorni seguenti non fu che un andare e venire di pompieri e sanitari, per raccogliere i morti e rimettere le strade in efficienza",

Dopo un susseguirsi di atti di coraggio e colpi di mano rimasti

leggendari tra le montagne di Boves, il tenente Ignazio Vian, elevato al grado di capitano per i suoi meriti sul campo, fatto saltare il ponte di Castellar, ripara nella valle del Pesio.

Combatte suscitando continua ammirazione nella battaglia che investe Val Casotto il 13 marzo e dura sette giorni, in cui cadono quat­trocento partigiani,

Viene impiccato a Torino il 22 luglio.

Il suo ultimo messaggio è una pagnotta con mClse le parole: "Coraggio Mamma", ritrovata nella cella, ed ora conservata dai fami­gliari,

93

LE BANDE, LE BRIGATE, I GRUPPI ARMATI PATRIOTTICI (GAP)

Nel mese di ottobre, quasi concomitanti alla banda "Italia Libera" di Gallimberti, sorgono altre bande isolate di armati. Per la maggior parte sono apolitiche, e pertanto dette "autonome"; ma grada­tamente finiscono per prevalere quelle di aperta colorazione politica.

Nel Piemonte, a Borgo San Dalmazzo, inizia ad operare la banda comunista dei fratelli Barale; nel Biellese quella di Francesco Moranino, pure comunista. Anche il Pd'A, sempre nel Piemonte, è

attivo con una banda guidata da Vittorio Foa e Franco Moniglia. In Lombardia troviamo una banda di estrazione militare sul

monte San Martino (Varese) diretta dal colonnello Carlo Croce, Per trovare formazioni armate con dichiarato scopo antitedesco e

antifascista e legate tra loro da un comando centrale, bisogna attendere i primi di novembre. In questo mese viene costituito a Milano il 'primo comando delle "Brigate d'assalto Garibaldi", organizzate dal PCI.

Da tener presente che il termini "battaglione", "brigata", come pure "divisione", usati ben presto da tutte le formazioni partigiane abolendo quello di "banda", sono di gran lunga inferiori per numero di uomini ai corrispondenti reparti dell'esercito. In genere un batta­glione partigiano è formato da un centinaio di combattenti per cui spesso corrisponde soltanto ad una "compagnia" dell'esercito.

La denominazione dei termini dell'inquadramento militare è assunta dai comandanti partigiani per dare ai componenti delle forma­zioni il concetto di guerra militare contro l'invasore tedesco che si attua con la guerriglia a causa della particolare situazione storica.

In questo periodo il PCI istituisce inoltre i "Gruppi Armati Patriottici", denominati anche "Gruppi di Azione Patriottica", detti comunemente i GAP, composti ognuno da tre o quattro combattenti chiamati "gappisti". Mentre le brigate hanno come campo d'aziçme la montagna o la pianura, i GAP sono organizzati per svolgere azioni di guerriglia all'interno delle città.

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Successivamente vengono istituite dal PCI anche le "Squadre di Azione Partigiana", le SAP, analoghe ai GAP per gli scopi, ma più addestrate ad agire nelle campagne.

Già a due mesi appena dalla data dell'armistizio, il termine "par­tigiano" è nel linguaggio comune.

Assieme gli altri due "ribelle" e "bandito", viene dato in senso

di disprezzo dai tedeschi a quanti non si sottomettono nelle regioni da loro invase. Mentre sarebbe più appropriato il termine "patriota"

(come in alcuni documenti e nella stessa denominazione GAP appare) prevale quello di "partigiano" perché il disprezzo dato alle formazioni partigiane dai tedeschi e dai fascisti è assunto come vanto dai parti­

giani per maggiormente disprezzare il nemico. Anzi, la qualifica di "partigiano combattente" sul piano dei

meriti nei confronti dell'attività resistenziale, assume maggior valore rispetto a quella di "patriota", essendo la prima conferita soltanto a chi

è stato combattente armato per un periodo non inferiore a tre mesi, mentre la seconda a chi abbia svolto una partecipazione indiretta per un periodo inferiore.

Molti partigiani sostituiscono il proprio nome e cognome co un nome di battaglia, che serve per non essere riconosciuti nelle missive

inviate tra i comandanti dei vari reparti. A volte sono nomi creati dalla unione di parte del nome e cognome (Lanfranco Zancan = Lanza) altre volte sono di grandi personaggi storici (Giovanni Carli =

Ottaviano) Con il progredire della lotta alcuni vengono abbandonati per essere sostituiti da altri di partigiani caduti per la causa resisten­

ziale (Giacomo Chilesotti, che aveva scelto per sé il nome "Nettuno" prende in settembre prende quello di "Loris", appartenente a Rinaldo Amaldi, caduto combattendo a Granezza).

I latori delle missive dei partigiani, chiamate comunemente "staffette" sono spesso giovani donne, che quasi sempre corrono rischi

notevoli: molte finiscono nel carcere, alcune cadono espletando la loro attività come le sorelle Carozzani di San Donà di Piave.

95

L'ATTENDISMO, IL CLNAI E IL CVL

Nell'autunno del 1943 un motivo di dissenso alla linea di azione

unitaria delle formazioni partigiane è l'argomento scottante dell'attesi­

smo o "attendismo". Con questo termine si intende il concetto, fatto

proprio di alcuni comandanti del movimento resistenziale sull'oppor­

tunità di attendere lo svolgersi dell'avanzata degli Alleati prima di

passare all'azione. I motivi principali son due: per evitare inutili spargimenti di

sangue da parte delle stesse formazioni partigiane, che dovevano

mantenersi integre in attesa di una situazione della guerra più adatta

dal punto di vista strategico alle loro capacità militari; e per evitare le

atroci rappresaglie dei tedeschi sulle popolazioni, delle quali quella di

Boves era stata terribilmente significativa. Massimo sostenitore dell'attendismo appare il generale Pietro

Operti, destituito dal suo comando per tale motivo dal CLN piemonte­

se, che considera ambigua la sua presa di posizione. Prevale, invece, la tesi dell'azione immediata nella convinzione

che avrebbe abbreviato il periodo di occupazione tedesca. Inoltre si

sostiene che quanto prima e quanto più, a seguito delle azioni dei par­

tigiani, si coinvolge il popolo nella lotta di cacciata dei tedeschi e di

eliminazione del fascismo, tanto maggiormente durature sarebbero

state le conquiste dell'indipendenza e della libertà.

Il problema dell'attendismo non sarà mai definitivamente supe­

rato e di tanto in tanto riapparirà lungo lo svolgimento della lotta di

Resistenza,. Per una migliore azione concordata e per un armamento più

moderno dell'organizzazione militare delle formazioni partigiane si

ritiene opportuno un contatto diretto con le autorità alleate operanti

nella neutrale Svizzera. Il 3 novembre a Lugano Ferruccio Parri e Leo Valiani, nippre­

sentanti del Pd'A si incontrano con Allen Dulles e lohn Mc Caffery,

96

alti funzionari dei servizi segreti americano ed inglese. L'incontro è

deludente. La richiesta di armi e di materiale bellico da inviare alle

brigate partigiane attraverso aviolanci non è recepita. Per il momento

gli alleati preferiscono le azioni di piccoli gruppi di sabotatori a quelle

di reparti armati veri e propri. Il motivo nascosto di tale limitazione

sta nella diffidenza degli angloamericani verso i partiti italiani di sini­

stra.

Con il nuovo anno il movimento partigiano dell'Italia settentrio­

nale si fa più autonomo nei confronti del CCLN di Roma e rispetto

agli altri comitati di liberazione dell'Italia centrale per ovvie ragioni di

diversa strategia locale.

Già dal 7 ottobre il CLN di Milano si è autodenominato

CLNAI, cioè Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia con

funzione di guida su tutta l'Italia settentrionale; ma l'investitura uffi­

ciale avviene il 31 gennaio 1944, quando il CCLN decreta tale

trasformazione con la corrispondente autonomia e autorità al

Comitato di Milano.

Tuttavia, sia per i diversi colori politici delle brigate, sia per le

distanze e le difficoltà di comunicazione tra i comitati regionali e pro­

vinciali, le formazioni partigiane godranno di molta libertà di decisio­

ne e le azioni saranno spesso dovute alle iniziative dei loro capi.

In ordine cronologico, successivamente all'organizzazione

accentrata delle brigate comuniste, che vengono denominate "brigate

garibaldine", fa la sua comparsa nel febbraio del '44 quella del Pd'A,

che crea le "brigate Giustizia e Libertà". In un secondo tempo ap­

paiono le "brigate Matteotti" del PSIUP e poi le democristiane "briga­

te del popolo", in Carnia dette "Fiamme Verdi". Le "brigate Mazzini"

generalmente sono repubblicane, sebbene sotto tale nome appaiano

anche d'altra estrazione politica.

Un notevole miglioramento per armi e struttura organizzativa è raggiunto in primavera, soprattutto per gli aviolanci di materiale belli­

co che ora gli alleati effettuano, dopo averli inizialmente rifiutati.

97

Il 19 giugno rappresenta la data più importante nella evoluzione organizzativa: il CLNAI unisce tutte le brigate di qualunque colore polìtico neUa denominazione di "Corpo dei Volontari della Libertà"

(CVL) per poter sottoporle ad un comando militare unico. La stessa nuova denominazione unisce maggiormente i partigiani sul p.iano ideale ai combattenti del "Corpo di Liberazione Italiano" (CIL) del

regno del Sud. Dal governo di Roma, liberata il 4 giugno, viene designato

come consigliere militare il generale Raffaele Cadorna, che aveva combattuto valorosamente contro i tedeschi con la sua "divisione Ariete" sul settore di Bracciano nella vana speranza di impedirne l'ac­

cesso a Roma. Egli è figlio del maresciallo d'Italia Luigi e pronipote del generale omonimo, figure di primo piano nel Risorgimento italia­

no. Sostituendo al termine "partigiano" (che rimarrà sempre preva­

lente e darà luogo all'istituzione dell'ANPI, l'Associazione Nazionale

Partigiani d'Italia), quello di "volontario della libertà" e con la nomina a capo supremo di un generale prestigioso per stirpe e per la sua

immediata opposizione all'invasore tedesco, si vuole dare maggior valore morale alla lotta di Resistenza ed inserirla nel Risorgimento

Italiano. Raffaele Cadorna sarà paracadutato in Lombardia nel mese di

agosto e vorrà assumere il grado di comandante in capo, affiancato da

due vicecomandanti politici; e, pur con diverbi e incomprensioni, por­terà al 25 aprile 1945 i partigiani uniti nell'ideale patriottico, evitando

pericolose scissioni come avvenne nella Grecia. Nell'estate del 1944 i combattenti del CVL, inquadrati nelle bri­

gate, supereranno gli ottantamila.

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CAPITOLO 12

LE PRIME RESISTENZE CIVILI NEL VENETO

GENEROSITÀ DEI CIVILI PER I SOLDATI BRACCATI DALLA WEHRMACHT

In provincia il comportamento generale del popolo veneto la sera dell'otto settembre è di grande giubilo. In molti paesi i parroci

sono costretti a far suonare le campane, anche se molti di loro preve­dono un futuro denso di gravi incognite. Al mattino del giorno succes­sivo il giubilo lascia il posto alla preoccupazione perchè la gente si

rende amaramente consapevole con i propri occhi di quanto sia ben diverso l'armistizio di Badoglio da quello del 1918. La sera del 9 per chi ha figli sotto le armi la preoccupazione diventa angoscia.

Nelle città, invece, la voce dal tono basso e cadenzato del vec­chio generale, che incisa nel disco ha interrotto alle diciannove e qua­rantadue il canto di Nella Colombo, ha subito portato un senso di inquietante attesa. Quale sarà la reazione della Germania che ha già

dislocato alcune divisioni sul fronte italìano mentre altre stanno rag­giungendolo?

Il pensiero corre immediatamente a quell'alleanza politica e militare, a quel "patto d'acciaio", che ora, ben più che nel recente pas­

sato, ha un suono infausto. E quale sarà l'attuazione della parte finale del comunicato di Badoglio, in cui dice che le forze armate italiane" reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza"?

Al mattino le risposte agli interrogativi, che a molti hanno reso

la notte insonne, sono date: l'esercito si sfascia e i tedeschi deportano i soldati italiani in Germania.

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Subentra l'amara delusione per una pace invano sperata, unita all'angoscia per il destino dei soldati. Non sono pochi quanti cercano

di aiutarli per fuggire in tempo prima dell'arrivo dei carri armati tede­schi, a iniziare dai Padri benedettini dell'abbazia di Santa Giustina a Padova che creano una comunicazione con la confinante caserma:

oltre cinquecento evitano i campi di internamento.

Vengono accolti nelle canoniche, nelle case specialmente di campagna come fossero figli propri. A loro sono dati vestiti borghesi e

viveri per il viaggio di ritorno al proprio paese. Si tenta perfino di liberarne qualcuno, anche quando sono già nei carri bestiame diretti ai

lager della Germania, ma ci si deve accontentare di un foglietto con

una riga da inviare ai genitori. Questo aiuto spontaneo e generoso, non privo di rischi, verso

soldati quasi sempre sconosciuti e spesso di altre regioni, costituisce

la prima resistenza civile della gente veneta L'aspetto più caratteristico del Veneto nel settembre del '43 sta

uell'intensa azione del clero, divenuto corpo unico con il popolo nel­l'opera di soccorso ai soldati. Emblematico l'episodio del 12 settem­

bre, che unisce in comunione di solidarietà umana il vescovo di Pa­

dova monsigno~çç_arlo AgostiilÌì il parroco don Ettore Silvestri e i popolani dena{razi~~e-cii Chi~sanuova.

Il Vescovo, avvisato da quel sacerdote dell'arrivo con breve sosta verso le due pomeridiane a Campo di Marte di un treno di circa

diecimila soldati stipati nei carri del bestiame, vi accorre senza indugi. ; Con lo scatto che gli è tipico, a passo rapido supera le recinzio­

ni,seguito da don Silvestri. Con disprezzo per sentinelle ed ufficiali,

va ,diritto al convoglio, dal quale escono le invocazioni dei deportati. Fattosi dare un valido coltello, già pronto per lo scopo, apre con ener­

gia ad uno ad uno tutti i vagoni sigillati. I tedeschi rimangono sbalorditi. Mai visto, né mai udito che un

vescovo oltrepassi una loro barriera, che apra quanto loro hanno' chiu­

so, che agisca con le sue mani, senza nemmeno rivolgere la parola. E'

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un'azione inconcepibile. Abituati ad agire per programmazione, non sanno come comportarsi. Si limitano a gntturali aspre minacce di

mOlte per chi tentasse di fuggire, ma non osano avvicinarsi al presule. Esausti, affamati ed assetati, scendono sul marciapiede i soldati

di nn'Italia umiliata e calpestata da un esercito straniero: fanno immensa compassione'

Entrano nel Campo di Marte, preceduti da un sacerdote che li ha

tempestivamente avvisati, i popolani di Chiesanuova con carretti cari­chi di vivande e di bibite. Don Ettore Silvestri, munito di un bracciale della Croce Rossa, approfittando della ressa, fingendo di chiedere se

vi siano ammalati o feriti, passa lungo il convoglio. ESOlta i soldati ad approfittare di un viadotto per l'acqua che passa sotto i binari ed esce

.in mezzo ai campi. Il consiglio è seguito da più di un centinaio di sol­dati. Soltanto uno rimane ucciso nel tentativo della fuga.

Allontanatosi il vescovo, per tutta la sera e la notte i tedeschi, arrabbiati, cercano invano i fuggiaschi nella campagna circostante.

IL "PIANO ARTERO" E IL SOCCORSO AI PRIGIONIERI INGLESI.

Quasi concomitante sorge un'altra forma di resistenza civile: il soccorso agli ex prigionieri inglesi.

Anche in questa opera di salvataggio, più che per un ideale patriottico-politico si agisce per un senso di pietà verso i perseguitati, potenziato dall'invito del parroco: sotto questa duplice voce i contadi­

ni di Terranegra, alle porte di Padova, li accolgono nei loro casolari,

Dopo averli provvisoriamente sottratti alla caccia spietata dei nazisti, i promotori affrontano il problema di ricongiungerli all'eserci­to degli Alleati o di condurli clandestinamente a varcare la frontiera

svizzera operando in collegamento con il consolato inglese di Lugano ..

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Il principale organizzatore è il padre Domenico Artefo, missio­nario della Consolata, cappellano dei prigionieri inglesi dislocati nei dodici campi di lavoro dipendenti dal comando di Chiesanuova.

Con grande rischio attraversa il fronte e giunge al Comando inglese di Bari il 26 settembre. Chiede i mezzi per realizzare un suo complicato e ardito piano: portare gli ex prigionieri a gruppi in terra

pugliese via mare per mezzo di una motosilurante. L'impresa inizia il 2 novembre. Padre Artero sale eon dieci sol­

dati italiani su una motosilurante diretta alle coste venete. In pochi giorni riesce a ritrovare oltre mille prigionieri, e farli arrivare a gruppi di circa una ottantina nelle vicinanze della spiaggia di Porto Fossone in attesa della motosilurante. Ma il piano fallisce prima per la nebbia e l'avversità del mare e poi per l'infida azione di spie.

Padre Artero si prodiga, quindi, esclusivamente all'altra via di salvezza per gli ex prigionieri, quella del confine svizzero special­mente sfruttando il passaggio per Maslianico sul lago di Como,' attra­verso il quale egli stesso, braccato dalla polizia, si metterà in salvo.

In questo settore altamente umanitario della Resistenza civile, emergono altri due sacerdoti: Padre Placido Cortese, dei francescani conventuali della basilica del Santo di Padova, e il parroco di Ter­

ranegra don Giovanni Fortin. I! francescano, catturato a Padova e torturato a Trieste nella

Risiera di San Sabba, viene dato per disperso dopo il marzo 1945. Secondo una attendibile testimonianza si può ritenere che sia decedu­to sotto le torture, martire del silenzio.

Don Giovanni Fortin, dapprima subisce un lungo ed estenuante processo, durante il quale addossa tutta a sè la responsabilità di aver fatto ospitare i prigionieri nelle case dei suoi parrocchiani, senza fare il nome di alcuno nonostante le minacce. AI giudice che lo accusa del reato dicendogli: "Voi avete tradito la Patria" risponde senza esitare:" lo ho obbedito al Vangelo". Una risposta in cui c'è il fondamento primo di ogni partecipazione alla Resistenza dei preti veneti.

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Dopo settanta giorni nelle carceri di Santa Maria Maggiore di Venezia, don Giovanni Fortin viene deportato in Germania e conosce gli orrori di Dachau. Ritornerà a Terranegra il 24 giugno 1945, e qui edificherà il Tempio dell'Internato Ignoto.

Per l'aiuto prestato ai prigionieri inglesi finiscono in prigione don Giuseppe Dalle Fratte, parroco di Lozzo Atestino, e don Leonildo Berto, parroco di Cantarana, mentre don Mario Zanin, cappellano al Bassanello, riesce a sfuggire alla cattura riparando in Svizzera.

Tra i militanti nella Resistenza che si impegnarono in questa opera, va ricordato il medico Flavio Busonera, arrestato e successiva­mente impiccato per rappresaglia.

In queste azioni di soccorso e salvataggio dei prigionieri inglesi, parte notevole hanno le donne venete, alcune delle quali pagheranno di persona e molto duramente. Le sorelle Teresa, Liliana e Lidia Martini di Padova, Parisina Lazzari pure di Padova; Milena Zambon di Piove di Sacco; Delfina e Maria Borgato di Saonara; tutte faranno un'angosciante esperienza tra minacce, percosse ed umiliazioni nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia, accomunate alle delin­quenti recidive; e tutte verranno deportate nei campi di concentramen­to. Teresa e Liliana Martini, Delfina e Maria Borgato conosceranno le brutalità bestiali e le crudeltà inenarrabili di Mauthausen; Milena Zambon quelle di Ravensbruck; Lidia Martini e Parisina Lazzari, quelle dì Gries alla periferia di Bolzano. A guerra finita rivedranno il Veneto, considerandosi delle sopravissute miracolosamente. Soltanto Maria Borgato non farà ritorno, eliminata dopo pochi giorni dall'arri­vo a Mauthausen, non essendo valida al lavoro perchè anziana.

Churchill così ha riconosciuto l'opera svolta dagli italiani a favore degli ex prigionieri inglesi:

"Non fu certo tra le minori imprese della Resistenza italiana l'aiuto dato ai nostri prigionieri di guerra che l'armistizio aveva colti nei campi di concentramento dell'Italia settentrionale. Di quasi 85.000 uomini, che indossavano uniformi palesemente riconoscibili ed erano

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in complesso ignari della lingua e della geografia italiana, almeno die­cimila soccorsi in gran parte e rivestiti di abiti civili dalle popolazioni locali, furono condotti in salvo grazie ai rischi cui andavano incontro membri della Resistenza italiana e la semplice gente di campagna."

IL SOCCORSO AGLI EBREI

All'opera svolta in aiuto dei prigionieri inglesi fa seguito, quasi immediatamente, quella verso gli ebrei.

Già durante gli anni successivi all'emanazione delle leggi raz­ziali c'era stata una nascosta azione di sabotaggio per tali norme, quasi tutta a livello burocratico. Ben pochi avevano creduto al " Manifesto degli scienziati razzisti", apparso sul "Giornale d'Italia", nonostante vi fosse anche la firma dell'illustre clinico Nicola Pende.

Ma ora che le SS e la polizia della RSI danno la caccilt agli ebrei italiani, la volontà di proteggere gli ebrei assume altre dimensio­

lll.

In questa opera di salvataggio sacerdoti e frati, con le loro cano­niche e i loro conventi, agiscono nello spirito del vangelo. Secondo i più recenti studi, non meno di centosettanta furono assassinati nelle rappresaglie durante l'occupazione per aver aiutato gli antifascisti e gli ebrei. Statistiche specifiche per la prima o la seconda causa non appaiono, forse perché hanno spesso operato su entrambi i campi,

unico restando lo spirito che li animava. Si può, però, affermare che non c'è stata categoria della popola­

zione italiana che non abbia dato un contributo fattivo nel soccorso agli israeliti, anche se, come sottolinea lo studioso Furio Colombo, nessuna voce autorevole si alzò a protestare pubblicamente tra gli

intellettuali contro le leggi razziali. , Circa 1'83% degli ebrei italiani sopravvisse allo sterminio.

Questo dato statistico pone l'Italia, insieme alla Danimarca, al primo

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posto nella graduatoria delle nazioni che, occupate dai nazisti, diven­nero campo della persecuzione antisemitica dei nazisti.

Ma a maggior onore dell'Italia stanno due fatti. Mentre il gover­no italiano puniva quanti prestavano il soccorso agli ebrei, le autorità danesi esortavano al salvataggio degli israeliti. Inoltre, mentre i dane­si erano a conoscenza delle atrocità dei lager, gli italiani nella quasi totalità pensavano a comuni campi di internamento o di lavoro.

Nel Veneto l'opera di soccorso agli ebrei ha come figure emble­matica il polesano Torquato Fraccon, ragioniere della Banca cattolica a Vicenza, medaglia d'oro della Comunità Israelitica Italiana. Assieme al diciannovenne figlio Franco viene deportato a Mauthausen, dove entrambi si spengono alla vigilia dell'arrivo degli Alleati. Ad essi si può far seguire tra gli intelletuali il padovano docente universitario Ezio Franceschini e tra i partigiani combattenti il vicentino Rinaldo Arnaldi di Dueville, medaglia d'oro della Resistenza. Quest'ultimo suscita l'ammirazione delle guardie svizzere di frontiera e dei funzio­nari del servizio segreto alleato.

Uniti ai loro nomi, molti altri appaiono nella saggistica sulla Resistenza veneta; e forse in nessuna regione d'Italia furono così numerosI.

Lo comprova una considerazione. Susan Zuccotti, storica della Columbia University, nel suo volume "L'olocausto in Italia", nel ricor­dare che vi furono migliaia di italiani coraggiosi per nulla noti anche se rischiarono la vita per aiutare gli ebrei, porta sei esempi di scono­sciuti per la storia ufflciale, ma ricordati da alcuni ebrei sopravvissuti all'olocausto. Di questi sei, tre sono veneti:

"Un sopravvissuto anonimo parla di Giovanni e Lina Carli, di un piccolo centro presso Venezia. Giovanni era un invalido della prima guerra mondiale; Lina era una maestra di scuola elementare. Sebbene avessero cinque figli piccoli e fossero in una situazione finanziaria difficile, accolsero in casa loro tre ebrei e in diverse occa­sioni seppero tener testa alle perquisizioni delle brigate nere".

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"Alcuni degli episodi più commoventi riguardano il contributo di contadini italiani, uomini e donne alla base della piramide econo­mica, Per esempio Federico Sartori, che aveva una casetta presso Padova, grande appena quanto bastava per la sua famiglia di cinque persone, ospitò tredici ebrei che avevano bussato invano ad altre porte. Ida Granzotto Battistella, una contadina vedova con cinque figli, accolse una famiglia ebrea nella sua fattoria in provincia di Treviso per l'intera durata dell'occupazione nazista. I suoi protetti non avevano carte d'identità false, e la zona veniva rastrellata continua­mente in cerca di partigiani. La signora Battistella insegnò ai figli, che andavano dai cinque ai diciotto anni, a montare la guardia per vedere se si stavano avvicinando i nazifascisti e di avvertirla quando erano in

circolazione" . La stessa studiosa ricorda nel capitolo "Roma 1943: la razzia

d'ottobre" un altro episodio sul soccorso agli ebrei, quasi completa­mente ignorato, avvenuto nel Veneto. Appartiene alla tragedia dei 1.007 ebrei del ghetto di Roma, dei quali abbiamo già detto.

L'episodio si commenta da se stesso: "Finalmente a mezzogiorno di martedì il treno si fermò a

Padova per una tappa non prevista. Un vagone aveva problemi mec­

canici e doveva essere sostituito. Gli altri rimasero sigillati. I prigio­

nieri che non bevevano da due giorni, incominciarono ad invocare un

po' d'acqua. "Alcuni uomini della milizia ferroviaria italiana sentirono le

grida e chiesero perché i prigionieri non potevano bere alle numerose

fontanelle. - Sono ebrei - risposero le SS, come se questo spiegasse

tutto. - Ma sono anche esseri umani - ribatterono i militi. Ci fu una

discussione; e alla fine uno dei fascisti brandì il mitra e risolse il pro­

blema: minacciò di sparare se agli ebrei non fosse stato permesso di

scendere per bere". I nazisti acconsentirono".

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L'OLOCAUSTO IN ITALIA

Grande sgomento provoca a Roma e in Italia la deportazione dei 1.007 ebrei del ghetto di Roma, catturati dalle SS all'alba del sabato 16 ottobre, nonostante la garanzia di non deportazione avuta in set­tembre dal maggiore Herbert Kappler in cambio dei cinquanta chili

d'oro consegnati. Portati in Polonia ad Auschwitz, soltanto quindici furono i sopravvissuti di quel treno, passato alla storia come il "treno della morte"). Da quel 16 ottobre c'è chi fa iniziare l'olocausto degli ebrei in Italia, ma bisogna sottolineare che quel treno della morte fu opera esclusivamente dei nazisti

La polizia della RSI inizia la persecuzione in dicembre per attuare l'articolo 7 del "manifesto di Verona", che dichiara gli ebrei H stranieri e nemici H.

In forza di tale articolo il ministro degli interni Guido Buffarini Guidi invia ai prefetti l'ordine n.5 per la polizia, che stabilisce l'arresto e l'internamento di tutti gli ebrei, ma non la deportazione

Vengono rapidamente allestiti i campi di di concentramento, di cui i più importanti sono quellì di Fossoli nei pressi di Modena, di Gries nella provincia di Bolzano con le tristemente famose celle della morte, di Borgo San Dalmazzo nella provincia di Cuneo, e di Trieste nella Risiera del quartiere di San Saba.

Quest'ultimo campo, però, dopo l'otto febbraio 1944 viene occu­pato e gestito dai tedeschi e dura fino al luglio del '44 con un forno crematorio, capace di bruciare da 40 a 50 cadaveri al giorno. Vi ven­gono internati non soltanto ebrei, ma anche prigionieri politici, citta­dini iugoslavi e zingari ..

Anche nel Veneto, in provincia di Padova, a Vo' Euganeo, nel­l'antica vìlla Venier, viene allestito un campo di internamento. Nel libro "Da Este ad Auschwitz" di Francesco Selmin è documentata la generosità della popolazione di Vo'.

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Di una comunità composta da 47.252 ebrei ne vengono deporta­ti dall'Italia 8.369, dei quali 6.244 hanno la cittadinanza italiana: dai

campi nazisti ne ritorneranno soltanto 980. Nei campi di internamento italiani ne muoiono complessivac

mente 292, dei quali 50 nella Risiera di San Sabba

lO8

CAPITOLO 13

IL COMITATO DI LffiERAZIONE NAZIONALE REGIONALE VENETO DURANTE L'AUTUNNO 1943

L'ISTITUZIONE A PADOVA DEL COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE REGIONALE VENETO

(CLNRV)

Sul piano della resistenza organizzata si può considerare come data di inizio il lO settembre, giorno in cui a Padova viene costituito il

Comitato di Liberazione Regionale Veneto (CLNRV), uno dei primi nell'Italia settentrionale.

Nel palazzo Papafava, di via Marsala, si riuniscono i rappresen­tanti dei partiti agenti nella clandestinità. Si decide di costituire un direttorio di tre persone. Per il Pd'A è nominato il prof. Silvio Trentin,

per il PCI il rettore dell'università Concetto Marchesi, mentre per il PSIUP si rimane incerti. In una successiva riunione si procede a defi­

nitivamente stabilire la composizione del direttorio. portandola a cin­que elementi: Concetto Marchesi per il PCI; Silvio Trentin e il profes­sor Egidio Meneghetti, prorettore dell'università, per il Pd'A;

Alessandro Candido per il PSIUP; il commercialista Mario Saggin per

la DC. Va sottolineato che la Resistenza nel Veneto impegna il

Comitato regionale maggiormente che non nelle altre regioni

dell'Italia settentrionale, perché non pochi sono i ministeri della RSI insediati nelle sue città e soprattutto perché punto di confluenza delle

forzc armate tedesche provenienti dal Brennero e dal Tarvisio.

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Per assicurarsi la transitabilità le autorità militari germaniche vi disseminano numerose guarnigioni, specialmente all'imboccatura delle valli, allo scopo di evitare i sabotaggi.

Proprio perché all'inizio della Val d'Adige e nodo ferroviario di massima importanza, i tedeschi fanno di Verona la capitale militare del loro dominio in Italia per tutto il periodo settembre '43 - aprile '45. L'attività resistenziale sarà, di conseguenza, limitata nella città scali­gera, essendo ben più delle altre città venete controllata da presidii perfettamente armati e strategicamente collocati dal generale Wihelm Haster. Sarà soprattutto per la presenza del generale Haster, capo della Gestapo in Italia, che Verona sarà scelta sia per l'assemblea nazionale del partito repubblicano fascista, sia per il processo ai membri del Gran Consiglio Fascista che hanno votato l'Ordine del giorno Grandi.

I! CLNRV si preoccupa soprattutto di tenere i collegamenti con il CCLN di Roma, in vista di un organizzato movimento insurrez.iona­le nel Veneto appena saranno sbarcati gli angloamericani; e la rischio­sa operazione di accordi e contatti con gli esponenti del CCLN sarà chiamata "Missione Zancan", dal nome dell'inviato a Roma professor Lanfranco Zancan.

In questo periodo cerca di inviare messaggi agli alleati attraver­so volonterosi che tentino di superare il fronte. Più di uno perirà nella rischiosa impresa. Tra questi va ricordato lo studente di medicina vicentino Giorgio Mainardi, falciato da una raffica di mitraglia a 1400 metri di altitudine sulla Maiella: l'Università di Padova gli conferirà la laurea Honoris causa in medicina.

Dal punto di vista strategico studia il tipo di sabotaggio in appoggio allo sbarco degli alleati, previsto prima di natale, nella zona tra Chioggia e Adria

Sul piano finanziario si sforza, attraverso le cartelle del "Prestito della Liberazione d'Italia", di fornire aiuti economici alle bande dei , partigiani in fase di crescita per passare alla struttura di brigate con regolamento tipo militare.

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la' I T A li A li BER A ORGAI'IO DEL PARTITO D'AZIONE

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lo' ITALIA RIPRENDERA' IL SUO POSTO fra le libere democrazie

L'AVVENIRE DEL POPOLO ITALIANO ","",M I"",,,,, .,,'" H ,II,,,,,, lo "m,o""

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"L'Italia Libera" del 25 Settembre 1943, organo clandestino del Partito d'Azione durante fa Resistenza.

111

Non dimentica, però, il problema culturale e lo fa con la stampa propagandistica. I fogli "Fratelli d'Italia", curato da Meneghetti, e "La

Libertà", redatto da Ponti, Saggin e Marton, giungono perfino nei cen­tri minori del Veneto. Entrambi sono stampati in tipografie di Padova.

Per quanto riguarda la stampa clandestina, a Padova si stampa anche "Il Lavoratore " con il sottotitolo: "Organo delle Federazioni

Venete del Partito Comunista d'Italia". E'opera dei fratelli Leone,

Remo e Francesco Turra. Dopo la quasi distruzione della loro piccola tipografia, ubicata all'Arcella, colpita dal bombardamento del 16

dicembre, i fratelli Tun'a continueranno a stampare il foglio dapprima a Limena e successivamente ad Arsego.

I PRIMI PARTIGIANI E L'ISTITUZIONE DELLE "FORZE ARMATE DELLA PATRIA" (FADP) A BAVARIA

DI NERVESA

Nei primi due mesi, successivi all'armistizio, le formazioni par­tigiane nelle prealpi venete non hanno ancora una fisionomia precisa dal punto di vista politico perché, pur prevalendo gli iscritti al partito

comunista, essi sono spesso associati o almeno diretti da un ufficiale dell'esercito, che ha evitato la deportazione in Germania, ma non vuoI venir meno al giuramento di fedeltà al re.

Anzi qualcuno cerca subito di mettersi in contatto con quanto è rimasto del regio esercito nel sud, come tenta di fare il colonnello

degli alpini Giovanni Fincato. Il quale, dopo aver evitato con l'astuzia la cattura del suo reggimento stanziato in Provenza, lo scioglie a

Cuneo. Arrivato a Verona, ove risiede la sua famiglia, inizia un avven­turoso viaggio verso il fronte meridionale senza riuscire a superarlo, e poi si dedica alla organizzazione di bande partigiane nella Lessinia.

Anche nell'alto vicentino la resistenza armata va organizza~dosi gradatamente. Il raggruppamento di matrice comunista ha la sua sede

112

a Conco, sotto il comando di Giuseppe Crestani e di Tommaso

Pontarolo. I cattolici, molto forti in questa zona, hanno una base a Thiene e una ad Asiago: i loro organizzatori sono Giacomo Chilesotti,

Rinaldo Arnaldi e Giovanni Cadi. Lungo la pedemontana trevigiana, militari sbandati sono uniti in

gruppo da Arcangelo Bortolotto; nell'asolano Angelo Pasini raccoglie

in schiera i comunisti, Gino Sartor forma un gruppo tutto di cattolici. Sui monti sovrastanti Belluno i comunisti sono capeggiati da

Giuseppe Gaddi; attorno a Feltre hanno per comandante Antonio

Zancanaro. Passando alla pianura veneta orientale, nel veneziano tra

Campagnalupia e Camponogara opera il nucleo comunista di Igino Borin; ma nella contigua Saccisica il colonnello Luigi Marziano crea

una formazione tutta di estrazione militare. A Padova l'ingegnere Otello Pighin organizza gli azionisti, men­

tre il professor Lanfranco Zancan inizia a dar vita a gruppi di netta ispirazione cattolica.

In questo primo periodo l'attività partigiana è modesta dal punto di vista militare, mentre lo sforzo maggiore è quello dell'organizzazio­

ne. I veneti sono preoccupati di dare al movimento combattentistico

un unico indirizzo: quello patriottico. Vogliono superare le divergen­ze sul futuro sociale e sul problema istituzionale, evitando che le sin­

gole formazioni abbiano un colore politico. Questo scopo sarà rag­

giunto solo parzialmente. Fin dall'inizio appare la volontà di unificare le forze partigiane

in un unico corpo armato apartitico sotto nn comandante esclnsiva­mente di estrazione militare. Il 7 ottobre a Bavaria di Nervesa, nel tre­

vigiano, confluiscono i rappresentanti dei partiti e alcnni ufficiali del­l'esercito. La riunione, segreta e rischiosa, è tenuta nel granaio della

canonica.

La discussione è molto animata; verte su due tesi opposte: nna

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resistenza armata, composta da piccoli nuclei dipendenti dai partiti; oppure una resistenza armata costituita da un esercito, sia pur piccolo,

ma il più possibile simile all'esercito regolare e nella gerarchia e nei militi, totalmente apartitico, con la disciplina ferrea del codice milita­

re, Risulta vincente la seconda. L'incarico di organizzare il piccolo esercito disseminato special­

mente sulIe montagne è affidato al tenente di vascello Jerzy Sassi Ducceschi di origine polacca ( Jerzy Sas-Kulcziky). Le forze partigia­

ne venete, riunite in un'unica armata apartitica, si devono chiamare le FADP, cioè Forze Armate della Patria, dando quindi ai suoi militanti il

titolo di "patrioti". Si anticipa così quanto poi avverrà il 19 giugno da parte del

CLNAI, con l'istituzione del Corpo dei Volontari della Libertà (CVL).

Ma continua ugualmente a prevalere il termine "partigiano", coniato dai tedeschi a significare "venduto al nemico", e quindi traditore. con lo stesso significato di "badogliano". Il termine "partigiano'" viene

preferito, come già sottolineato, dai combattenti per onorario a dispet­

to dei tedeschi, e viene inserito anche nelle canzoni. Nonostante la decisione presa a Bavaria di Nervesa, successiva­

mente il CLNRV, per insistenza dei comunisti e degli azionisti, decide

di istituire una direzione militare composta dai seguenti rappresentanti dei partiti: Egidio Meneghetti per il Pd'A, Concetto Marchesi per il

PCI, Antonio Cavinato per il PSIUP, Bruno Marton per la DC; Bruno Buleghin per il PRI. Come presidente è nominato Silvio Trentin, intel­lettuale, antifascista d'antica data. A Sassi Ducceschi è assegnata uni­

camente la funzione di consulente militare

LE MISSIONI MILITARI ITALIANE E ALLEATE

Anche se indipendenti dalla direzione del CLNRV, nel Veneto

agiscono in concordanza di intenti le Missioni Militari (MM).

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Con tale denominazione sono organizzati piccoli gruppi di tre o al massimo cinque persone, generalmente ufficiali con uno o due

addetti alle radio riceventi e trasmittenti. Complessivamente, distribuite in varie parti dell'Italia occupata,

sono circa una ventina. Provengono dall'Italia liberata: alcune orga­

nizzate dagli Alleati, altre dallo Stato maggiore dell'esercito italiano in

ricostruzione nel regno del Sud. Superato il fronte meridionale e arrivate nelle zone attive della

resistenza armata, si mettono in contatto con le formazioni partigiane. Loro scopo precipuo, oltre a portare contributi economici e a dare

consigli di tattica militare, è soprattutto di favorire, con le radio, l'in­vio in determinati punti di aviolanci con materiale bellico e di tra­

smettere via radio ai comandi alleati ogni notizia utile sul nemico tedesco, sui suoi movimenti attraverso le ferrovie e i passaggi sui

ponti. I loro componenti arrivano nell'Italia settentrionale, a differenza

degli inviati nelle regioni centrali, o via mare per mezzo di sommergi­

bile e approdo con gommoni alle foci del Po; oppure sono paracaduta­

ti sulla pianura e sugli altopiani. In ottobre giunge nel Veneto la missione militare del regio eser­

cito, denominata MRS( M = Marini Renato, tenente; R = Rocco

Angelo, radiotelegrafista della Marina; S = Service). Sua zona di atti­vità sarà il triangolo Padova-Cittadella-Vicenza.

In dicembre, dopo un viaggio avventuroso con il sottomarino

"Nichel io" , che con gran pericolo riesce ad avvicinarsi alle foci del Po, si stabilisce nel veronese la missione militare italiana "RYE", al

comando del prof Carlo Perucci, già presidente della gioventù cattoli­

ca della diocesi di Verona. Sempre nel veronese, tra i fiumi Adige, Gua e Alpone nella pri­

mavera del '44 opera la missione militare italiana "Icaro".

All'inizio dell'estate 1944 viene paracadutata quella del maggio­re inglese John Wilkinson detto "Freccia", denominata "Missione

115

Fluvius" perché deve coordinare l'attività resistenziale nel Veneto dal fiume Adige al fiume Livenza.

Anche altre due missioni militari inglesi sono attive nel Veneto: La "Nelson", che ha come suo centro di base la campagna attorno a

San Donà di Piave a contatto con la grande formazione partigiana "Piave-Tagliamento"; e quella del maggiore Tilman, che allaccia "rap­

porti con la forte "brigata Nino Nannetti", operante nella zone di

Vittorio Veneto e di Oderzo e con le brigate "Italia libera" e "Matteotti", accampate sul massiccio del Grappa.

La più importante missione militare americana in terra veneta è la "Margot-Hollis", operante dal luglio 1944 fino alla fine del conflit­to, in cui svolge un importante ruolo l'industriale Pietro Ferraro di Venezia.

116

CAPITOLO 14

IL CONTRIBUTO DELL'UNIVERSITÀ DI PADOVA

IL PROCLAMA DI CONCETTO MARCHESI

Il giorno 9 novembre, preceduto dall'appello del generale Gastone Gambara, appare il bando di. chiamata alle armi delle classi

di leva 1924 e 1925. A quella stessa data viene fissata l'inaugurazione del nuovo

anno accademico dell'università patavina. E' preparata in tono antifa­scista dal professor Giuseppe Zwirner, uno dei doceuti più attivi del­

l'ateneo, appartenente al partito d'Azione. Al mattino vengono esposte sulla facciata del palazzo del Bò

quattro bandiere tricolori con lo stemma sabaudo, proibito dalla Repubblica Socialé Italiana

Nell'aula magna l'atmosfera è rovente per la presenza di alcuni

allievi ufficiali della milizia universitaria, arrivati al grido di "Viva la guerra!" e di "Imboscati!", rivolto agli altri studenti che gremiscono la

sala. Sono presenti in forma privata il ministro dell'Educazione nazio­nale Carlo Biggini e il prefetto Primo Fumei.

Concetto Marchesi, nominato rettore dell'università di Padova

con regio decreto durante i quarantacinque giorni di Badoglio, è stato

riconfermato nella carica. Appena entra, accompagnato dal pro-rettore Egidio Meneghetti, scoppia un battimani entusiasta. I due docenti non indugiano a buttar giù dal palco con la forza delle loro braccia due

allievi ufficiali della milizia, creando un momento di panico nei pre­

senti, essendo i fascisti universitari armati.

117

Concetto Marchesi inizia il discorso con accenti da tragedia greca:

"Se i rintocchi della torre del Bò non annunciano quest'anno alla città il rinnovarsi della consneta pompa accademica, c'è invece qual­

cosa di nuovo e di insolito, come una grande pena e una grande spe­

ranza che qui si aduna ad ascoltare più che la fuggevole parola di un uomo, la voce secolare di questa gloriosa Università."

Il discorso prosegue con espressioni di sentita retorica, carico di espressioni di aperto socialismo, quasi rivoluzionario:

" ... sotto il martellare di questo immane conflitto cadono per

sempre privilegi secolari e insaziabili j(Jrtune; cadono signorie,

reami, assemblee che assumevano il titolo della perennità; ma peren­

ne ed irrevocabile è solo la forza e la potestà del popolo che lavora e

della comunità che costituisce la gente invece della casta."

E come se non bastasse, dichiara aperto l'anno accademico 1943-1944 in forma insolita: "In nome dell'Italia dei lavoratori: degli

artisti, degli scienziati".

Terminata la cerimonia, scoppia un tafferuglio tra universitari e giovani fascisti. E' l'inizio di una rottura palese tra gli aderenti al

fascismo repubblicano e il mondo universitario, nella sua maggioran­za contrario all'oppressione tedesca e alla rinala dittatura alleata della germania.

Dal discorso di inaugurazione del Marchesi, riportato anche dai

giornali, già tutti completamente sotto controllo dei tedeschi, alcune frasi possono essere interpretate come rivolte agli anglo-americani, soprattutto perchè il termine "servitù" è senza specificazione.

Ma a non lasciar dubbi sulla appartenenza del Marchesi, giunge il.9 dicembre, ad un mese dalla inaugurazione dell'anno accademico, il suo proclama di rettore dimissionario.

Viene affisso clandestinamente sui muri dell'università e dei , palazzi delle principali vie della città, mentre sulla facciata del

Liviano, sede della facoltà di lettere cui appartiene il Marchesi, appare

118

a caratteri cubitali segnati dal catrame. la scritta: "Viva Marchesi e l'Italia libera".

Il proclama, per vie clandestine, ha grande diffusione in tutto il Veneto. Ora tutto è chiaro fin dalle prime righe: "Studenti

dell' Università di Padova! Sono stato a capo della vostra Università

perché speravo di mantenerla immune dalla offesa fascista e dalla

minaccia germanica ... "

Senza dubbio il punto più coraggioso ed entusiasmante è il seguente:

" ... Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende,

non lasciate che l'oppressore disponga ancora della vostra vita, fate

risorgere i vostri battaglioni, liberate l'Italia dalla ignominia, aggiun­

gete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova più

grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e la

pace del mondo".

E' un' aperta esortazione alla rivolta, non solo contro i fascisti ma più ancora contro i tedeschi.

Concetto Marchesi riesce ad evitare la cattura lasciando il Veneto il 29 novembre. Rifugiatosi a Milano, è costretto a varcare la

frontiera svizzera perchè accanitamente ricercato. In Svizzera, con la collaborazione delle autorità alleate ivi residenti, si associa al profes­sor Ezio Franceschini, chc istituisce l'organizzazione "Frama"

(Franceschini-Marchesi) con lo scopo precipuo di trasferire persegui­tati politici ed ebrei in territorio elvetico.

L'Istituto di Farmacologia, diretto da Egidio Meneghetti, e l'Istituto di Filosofia del Diritto, diretto da Norberto Bobbio, diventa­no centri di attività cospirativa.

Da ricordare il volantino diffuso 1'8 febbraio del '44, anniversa­rio della ribellione studentesca antiaustriaca, compilato con l'ausilio

del professor Meneghetti, rivolto non solo agli studenti ma anche ai cittadini. Questo volantino, detto anche "manifesto Meneghetti",in

polemica con gli universitari fascisti, presenta la paternità del

119

Comitato di Liberazione Nazionale Studentesco. L'appello alla lotta non è meno forte rispetto al manifesto di Marchesi:

" ... Chi ancora è qui (in Padova) prepari con loro (professori, assistenti e studenti incarcerati) nel dolore, nel sacrificio, nell'audacia,

la nuova classe degli italiani che sia veramente degna di vigilare la riconquistata libertà".

IL PENSIONATO UNIVERSITARIO ANTONIANUM

Strettamente legato alla Resistenza dell'università patavina è il ruolo sostenuto nella lotta di liberazione dal pensionato

"Antonianum" di via Donatello, retto dai padri gesuiti. Sono soprattut­to i giovani universitari ivi residenti a difIondere sia il "manifesto Marchesi" sia il "manifesto Meneghetti". Sono loro a tappezzare le

aule del palazzo del Bò con la scritta "Ricordiamo Matteotti" ed' altre.

Nella primavera del '44 il gesuita padre Carlo Messori Roncaglia tiene un corso di sociologia frequentato da studenti univer­sitari, nel quale sono esposte dottrine contrarie all'ideologia fascista.

Molti sono i docenti che si radunano per incontri clandestini o per trovarvi rifugio, da Meneghetti a Marchesi, da Bobbio a Franceschini.

Il 12 aprile 1944 Otello Pighin, fuggito dalla vicina caserma Mussolini, trova sicuro nascondiglio all' "Antonianum" e così pure Lanfranco Zancan, braccato dalla banda del maggiore Carità.

Meno Fortunato sarà un anno dopo Corrado Lubian: il 24 marzo 1945: inseguito dalla polizia fascista, entra nell'istituto, ma, scoperto poco dopo, viene ferito, trascinato fuori e ucciso davanti l'ingresso.

Fin dal maggio del '44 vi è installata la Missione militare ingle­se n. 1 Speciai Force CMg nella quale presta coraggiosa opera, come riconosciuto da un attestato di benemerenza degli Alleati, padre Carlo Messori Roncaglia.

120

Nell'estate del '44 vi fissano la loro sede i comandi delle briga­

te "Luigi Pierobon","Guido Negri", "Damiano Chiesa"; il gruppo"signorine" con il compito di prestare assistenza ai detenuti

politici dei tedeschi e dei fascisti. A fine settembre, a causa degli arresti del giorno 22 all'istituto

di Farmacologia, il Meneghetti , salvatosi fortunatamente, vi trova

rifugio e attende alla traduzione del libro "Confidenze di Hitler" di Herman Rauschning.

In questo periodo vengono nascosti armi ed espolsivi nei posti piu impensati ..

Perquisito minuziosamente l'istituto per la seconda volta nella

notte dal 7 all'8 gennaio 1945 da componenti della banda Carità, il

padre gesuita Sala sarà tratto in arresto e trattenuto a Palazzo Giusti per dieci giorni.

Il 15 aprile 1945 diventa sede del comando Militare Regionale Veneto, assumendo un ruolo di suprema importanza nei giorni dell'in­

surrezIOne.

LA STAMPA CLANDESTINA E IL LIBRO "CONFIDENZE DI HITLER"

DI HERMANN RAUSCHNING.

La propaganda antifascista e antitedesca annovera tra i suoi

autori un notevole numero di intellettuali dell'università patavina e trova negli studenti i migliori ditIusori.

Il foglio "Fratelli Bandiera" prima della Resistenza, e poi l'altro

"Fratelli d'Italia" sono opera di Egidio Meneghetti, già redattore del clandestino "Non mollare" negli anni 1923-1928.

Indirettamente collegato con il mondo universitario patavino è anche l'edizione del libro tragicamente profeti co "Confidenze di

Hitler" di Hermann Rauschning, già presidente del senato di Danzica.

121

Pubblicato nel 1939 in molte lingue, appare in italiano solo nell'ago­sto del 1944 per iniziativa di un gruppo di padovani coraggiosi, ed è

l'unica pubblicazione clandestina di un intero volume realizzata durante il periodo della cospirazione.

Il volumetto, realizzato dal tipografo Giovanni Zanocco nella

cripta della chiesa di San Prosdocimo a Padova, di cui è parroco il

coraggioso don Antonio Varotto, viene diffuso con la sovracoperta,

illustrata dallo scultore Amleto Sartori, sulla quale è scritto: " Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio".

I traduttori sono Paola Zancan ed Egidio Meneghetti, e gli orga­

nizzatori principali Lanfranco Zancan e Franco Flarer. Il titolo del celeberrimo libro è scelto sia per rendere meno faci­

le il sequesto , ma anche per alludere al progredire morale dell'uomo, il quale se non deve imitare nella loro perfidia il gatto e la volpe, ben raffigurati dal Sartori, non deve nemmeno essere un burattino in mano

dei dittatori. Ad Egidio Meneghetti si deve la penetrante introduzione, sotto

il nome di Antenore Foresta, tesa a far capire come dalla lettura del terribile libro più che i punti in comune tra fascismo e nazismo, scatu­

risca immediato il raffronto tra le due personalità di Mussolini e di Hitler:

"Sì, questa sembra la differenza fondamentale: Hitler è il genio

del male, è, come dice Rauschning, "la belva diabolica che sorge dagli abissi!!.

"Mussolini è il demagogo mediocre, fatuo, furbesco e vile, che manca di ogni grandezza: anche nel male."

Il costo di ogni copia è non meno di cento lire a totale beneficio delle famiglie degli impiccati e fucilati dai tedeschi o dai fascisti.

La caccia da parte delle polizie tedesca e fascista non si fa atten­

dere: chiunque è trovato in possesso di quel libro viene immediata-, mente arrestato.

122

Tra quanti hanno collaborato in questa opera, quattro finiscono torturati dalla "banda Carità" a palazzo Giusti: Giovanni Zanocco, Amleto Sartori, Ida d'Este, Egidio Meneghetti. Meno dura conseguen­

za hanno invece Vittoria Zara e Luisa Spagna, arrestate dalle brigate nere del gruppo rionale "Bonservizi".

Ida d'Este ed Egidio Meneghetti, dopo le torture, sono inviati

nel campo di concentramento di Gries, nei sobborghi di Bolzano.

123

CAPITOLO 15

I PRIMI RASTRELLAMENTI TEDESCHI

Dall'inizio di dicembre del '43 al febbraio del '44 si svolge la prima azione repressiva organizzata dai tedeschi per evitare le azioni

di sabotaggio in aumento. Si estende lungo tutto l'arco alpino dal

Piemonte alla Venezia Giulia. Il 31 dicembre nel Cuneese viene attaccato il paese di Boves, e

per la seconda volta emerge, come abbiamo già ricordato, Ignazio

Vian di Mogliano Veneto. La memoria di questo partigiano veneto resta viva in quei luo­

ghi per la sua umanità. Una notte, forzati i blocchi fascisti i~torno a

Cuneo, riesce a trovare un chirurgo per il suo attendente Donato Marino, rimasto gravemente ferito al ventre; e riesce perfino a portar­

gli la madre perché lo assista contribuendo in questo modo alla sua guangIOne.

Ai primi di gennaio vengono attaccate le formazioni delle Val

Gesso, Val Maira, Val Grana; il l () gennaio i garibaldini dell'alto novarese sono assai iti da forti reparti germanici.

In questi rastrellamenti la strategia dello sganciamento dei com­

ponenti il reparto per riunirsi successivamente si dimostra ben più valida della resistenza ad oltranza che porta alla sconfitta e all'annien­

tamento. I garibaldini di Cino Moscatelli possono in tal modo riunirsi e mantenere quasi intatta la formazione.

Non così per le bande composte in maggioranza da militari, che preferiscono sostenere una battaglia impari per forze in nome dell '0-, nore. E' questa la decisione presa dal comandante Filippo Beltrami,

124

che cade nella battaglia di Megolo assieme al monarchico Alfredo Di Dio. Uniti nella lotta al comune nemico, accanto a loro cadono anche i comunisti Gaspare Paietta e Gianni Citterio.

Alla fine di gennaio non sono pochi i caduti tra i primi organiz­zatori delle bande della Resistenza

l rastrellamenti si abbattono soprattutto nel Friuli.

L'II dicembre il battaglione garibaldino Mazzini della brigata "Garibaldi Friuli", resiste sul Collio, ma viene quasi totalmente

distrutto. 11 22 gennaio il comandate della brigata Giacinto Calligaris rimane ucciso in un agguato a Campeis di Campagnacco. Anche gli

altri due battaglioni "Pisacane" e "Garibaldi" sono duramente attacca­ti, ma ri/escono a sfuggire all'accerchiamento attraversando l'lsonzo.

Le perdite della brigata "Garibaldi Friuli" sono di ottantadue morti e trentaquattro dispersi; ciò nonostante in giugno sarà nuova­mente efficiente con ottocento combattenti.

LA REPRESSIONE SI ACCANISCE NEL VENETO

In ottobre i capi del rinato fascismo non prendono ancora in considerazione la formazione delle prime bande di "ribelli", come essi

chiamano i partigiani, ma cercano di colpire gli intellettuali antifasci­sti.

A Padova alla fine di questo mese sono incarcerati il filosofo Novello Papafava dei Carraresi, il professore universitario di ingegne­ria Francesco Marzolo, l'avvocato Umberto Merlin, il senatore

Giovanni Milani e Arrigo Negri, giovane esponente dell'Azione Cattolica patavina. Dopo alcuni giorni vengono tutti scarcerati per i buoni uffici del vescovo Carlo Agostini.

In novembre, aumentando il fenomeno del "ribe!lismo" anche nel Veneto, inizia la repressione delle bande armate.

I fascisti di Treviso arrestano Arcangelo Bortolotto e il suo aiu-

125

tante Arturo Mazzci, che morirà in carcere, mettendo in pericolo di

disfacimento l'organizzazione dei loro militari divenuti una formazio­

ne armata operante lungo la pedemontana trevigiana

Nel Bellunese la formazione comunista, che ha per comandante

il militare Raveane Rizzieri e commissario polìtico Manlio Silvestri,

viene aggredita il 30 novembre e costretta a riparare in Valcellina

nelle Dolomiti d'oltrepiave.

Un mese dopo un rastrellamento a Malganova distrugge il

nucleo comunista operante sui monti attorno a Conco: si salva soltan­

to il partigiano Orfeo Vangeli sta che assieme ad Alberto Boscagli ai

primi di gennaio formerà un nuovo nucleo a Malga Campetto.

Ma grave di conseguenze è soprattutto l'irruzione della polizia

tedesca nel palazzo Arrivabene a Venezia, dove ha sede il comando

militare delle FADP (Forze Armate della Patria) in fase di formazione.

Il Sassi Ducceschi riesce a fuggire a Milano, lasciando incompleto il

suo lavoro di organizzazione delle bande partigiane secondo le 'norme

militari.

Le FADP non saranno più realizzate per la successiva cattura

del Sassi in Liguria. Trasportato nel campo di concentramento italiano

per ebrei di Fossoli, in provincia di Modena, sarà fucilato come nemi­

co della patria.

L'AZIONE DEI GAP NELL'INVERNO '43·'44

Mentre le bande partigiane decimate dai primi rastrellamenti, e

quasi nulla aiutate dagli alleati, diminuiscono la loro azione armata,

appare più incisiva quella dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) su

tutta l'Italia occupata dai tedeschi, da Milano a Roma, da Torino a

Trieste.

Sono gruppi formati di norma da tre o al massimo cinque ele­

menti, ma in qualche raro caso anche di due soli, che agiscono con la

126

massima rapidità eseguendo ciecamente l'ordine di colpire in un

determinato luogo ad una determinata ora singoli ufficiali tedeschi e ~

della GNR, gerarchi fascisti, specialmente i federali provinciali, spie e

traditori. Altre volte effettuano colpi dinamitardi mettendo bombe nei

ritrovi di ufficiali oppure facendo saltare con dinamite linee fer­

roviarie o ponti sui quali devono transitare le truppe.

II terrorismo dei GAP del partito comunista è criticato da altri

partiti perché causa di feroci rappresaglie sugli ostaggi e anche

sugli abitanti delle città in vicinanza del luogo dell'agguato; e per­

tanto ci sono da considerare i riflessi negativi che tali azioni di guerriglia producono.

A queste critiche in un primo tempo i gappisti obiettano che il

loro terrorismo dovrebbe far diminuire quello dei tedeschi e dei fasci­

sti, mentre dovrehbe rinforzare lo spirito dei combattenti partigiani.

Successivamente sostengono la sua necessità per scavare più pro­

fondamente il solco di odio tra le due parti in lotta: tedeschi e fascisti da una parte, partigiani e popolo dall'altra.

Alcuni dei gappisti sono provenienti dalla Francia, dove hanno

fatto parte dei "franc-tauireur-partisan". A Torino si distinguono Ateo

Garemi ed Angelo Pesce; a Milano Ilio Barontini ed Egisto Rubini; A

Firenze Alessandro Sinigaglia e Bruno Fanciullacci.

In questo periodo aumentano le azioni di eliminazione di parec­

chi gerarchi fascisti con consegnenti rappresaglie, di cui la più spieta­

ta è quella per l'uccisione, effettuata il 15 novembre, di Igino

Ghisellini, federale provinciale di Ferrara.

La notizia suscita una reazione impetuosa al congresso naziona­

le fascista di Verona provocando la partenza per Ferrara di gruppi di

squadristi. Durante la notte sono uccise ben tredici persone, tra cui

anche il senatore Emilio Adotti, fascista moderato: i cadaveri sono

esposti accanto alle mura del Castello Estense, inorridendo al mattino

seguente gli scolaretti delle vicine scuole elementari.

Il 18 dicembre cade sotto il fuoco dei gappisti Mario Resega,

127

federale di Milano. Un tribunale speciale condanna a morte con bre­

vissimo processo nove prigionieri politici deteuuti nel carcere di San Vittore, fucilati all'Arena di Milano.

Il 27 dicembre rimane ucciso il federale di Reggio Emilia

Vincenzo Onfiani; e il giorno successivo sono fucilati a Campegine i sette fratelli Cervi, che avevano nascosto nella loro fattoria di

Praticello ex prigionieri inglesi e organizzato azioni di squadre per di­

sarmare presidii fascisti.

L'AZIONE DEI GAP A FIRENZE E LA "NOTIFICAZIONE"

DEL CARDINALE ELIA DALLA COSTA

Il lO dicembre i GAP uccidono a Firenze il colonnello Gino

Gobbi. Per rappresaglia sono fucilati al Poligono delle Cascine èinque

ostaggi. In così dolorosa circostanza, il cardinale veneto Elia Dalla

Costa pubblica una "notificazione" in cui, richiamandosi al quinto comandamento "Non ammazzare", afferma che non sono giustificabili

"le uccisioni di arbitrio privato o a tradimento". Inoltre raccomanda "umanità e rispetto verso soldati e comandanti germanici" e fa consi­

derare che "insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni, ma le aggravano indicibil­mente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo devono

essere provocate". A tali affermazioni e raccomandazioni il rappresentante dei

Pd'A nel Comitato di Liberazione Toscano, Enzo Enriques Agnoletti, reagisce con una "lettera aperta" pubblicata sul foglio clandestino "Libertà". Dopo aver ricordato l'attività criminale del colonnello

Gobbi e le atrocità nazifasciste, egli si oppone soprattutto al punto della "notificazione" da cui appare che la Resistenza attaccando tede-

128

schi e fascisti "aggravi le condizioni del paese" così scrivendo: "Se intende alludere alle nostre vite e ai nostri beni, se lei inten­

desse dire che non si deve rischiare di peggiorare le proprie condizio­

ni, qualunque sia il prezzo che si deve pagare per tale rinuncia, che non si deve rischiare libertà e vita (e non fu forse un rischio continuo la vita di quelle grandi figure per cui lui detiene l'autorità che eserci­

ta?) per lottare contro la tirannia, l'ingiustizia e l'intolleranza, noi, Eminenza, dovremmo deplorare ancor di più che in un momento tanto tragico e grave per la vita morale e fisica di noi italiani, Ella non

abbia preferito di tacere."

AZIONI DINAMITARDE A PADOVA

Nel Veneto l'attività dei gappisti è minore nei confronti delle altre regioni.

Nell'alto vicentino, a Marostica, una scarica d'arma da fuoco uccide il 21 novembre il commerciante di calzature Alfonso Caneva, zio del federale repubblicano di Vicenza Giovanni Caneva: stava recandosi al mercato di Lusiana. Sempre a Marostica il 26 dicembre, alle otto di sera, appena uscito di casa viene colpito mortalmente il colonnello Antonio Faggion. Le due uccisioni sono rivendicate dalla formazione partigiana di malga Covolin, operante a Nord di Conco.

A Padova vengono, invece, attuate alcune azioni dinamitarde, ma senza pericoli per i cittadini. Sono legate al nome dell'ingegnere Otello Pighin del Pd'A, assistente alla cattedra di macchine della facoltà di ingegneria.

La prima azione dinamitarda avviene nella tarda sera del 21 gennaio. Alcune bombe ad orologeria scoppiano davanti alla caserma di Santa Giustina: non ci sono vittime, ma nell'ambiente nazifascista si diffonde il terrore e un senso di costante di insicurezza. Ora anche in città, dove prima ci si poteva ritenere al sicuro dalla guerriglia,

129

bisogna stare all'erta. Il coprifuoco, quindi, è anticipato di quattro ore portandolo alle otto di sera.

Collaboratore del Pighin nelle azioni di terrorismo senza vitti­me, è la singolare figura di sacerdote padovano don Giovanni Apolloni, insegnante di matematica e fisica al liceo del collegio "Gregorio Barbarigo" e del seminario vescovile. Ad entrambi si deve l'ideazione del riuscito colpo dinamitardo all'università nella notte dal 6 al 7 febbraio.

Ne sono esecutori Corrado Lubian, futuro martire della Resistenza, Guido Billanovich e lo studente Gianfranco De Bosio con la collaborazione del bidello Danilo Volpato. Lo scoppio di una bomba ad orologeria nello studio del direttore del giornale fascista universitario" Il Bò", i volantini antifascisti inneggianti alla rivolta contro l'oppressore disseminati per corridoi e aule, il ritratto del retto­re fascista Carlo Anti deturpato hanno notevole effetto psicologico sul limitato gruppo di studenti appartenenti al GUF (Gioventù Universitaria Fascista).

,

Di un altro riuscito alto dinamitardo senza vittime, il merito va al Pighin e all'Apolloni. Alle 19,30 del 18 febbraio nell'aula giudizia­ria vuota del tribunale di Padova esplode una carica di dinamite, che tutta la devasta. L'atto di sabotaggio assume un alto significato morale perché avviene alla vigilia dell'inaugurazione del Tribunale speciale provinciale, che può comminare la pena di morte ai renitenti.

LA CRISI TRANSITORIA DEL CLNRV

Dalla Lombardia, dove ha riparato prima della comparsa del suo rivoluzionario appello, Marchesi si rifugia in Svizzera per avere poi parte organizzati va di primo piano nella repubblica partigiana dell'Ossola.

I! CLNRV, privo della sua figura più prestigiosa, avrebbe potuto reggere ugualmente se a metà novembre non fosse stato privato anche

130

Anno 48 N, 14 ma l'ld •• cha '" in ma non muofl

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tUIlii t COnlDOstulSa, le m.u- rlllo, B%gll.a, FinI/se, 5;;.. gli opcrai si recarono al la· gougnan, la Vibrni e<:c. era· le f~m;.iltrld dell'Bali .. stt~ 'Ì><>1I3, &rg<Jmt), ecc., du voro <:ome di COIISUCto, n<.." nO ch;u5e e quindi le mae·

tfllirilm<t/e ho!nno man/fesi .. lo h;lllllO stgf;lllo (o ScW~N1 COli l.a loro /rridr1cihife opposiJs/on. all'lnv;;.:;on fed~sco, il loro prt(iso d{sprtK,K,O ptr la n~

pubbllc... t ... n/ecelo, f... foro

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toria.

Qoando ['ora del $apre­

mO dm~nfo s ... "à solUta esse, compatte ( onlle anCQf',i ou <f)(l(t", ~ umpn, InPJrg<r-... nno t mardef'il.llIto conjf'O i nemici di dentro e di fuqrl per 1:.1 nalln.ll.ldont dc! [QrQ fd~;J1

di Ifbutà e di flluttl15' ....

Nts$ano ~qt,..i ;J;rWstan il luro s[ ... ndo e la turo mil1'dA.

Con lo saopero gener .. le di pt"Ofesia fu/è fitilto, e fi­nito In conformUil ddfe ptnn~ farle dfsposl1lJ1onI dtl Comlt .. to Se~to di Aflltuione t n"n rw 1'1 mlnaccle deUe Aotf1rltil, I l .. l>or.uOf'i del 'PltntQn!l1,

della lAJmbwlJl, dd/.. LfgrJ~

rlA, ddl'Em{(fil e ddia 'lo. .'IC0l1l4, holnno dtttntffl>Amente I.ftoflnJO fa COsl.dtftA Rtptlb­MirI! socl.alt fudd40 tttHftII)

<lputa simpatia, t .. tUlO che

pu quattro giorni lJl 'l>ii ... in· @strlale deI{~ '[""" dltà i rlt/WIdJ/. ctmlplciAnutth pYA'

l115u/a.

Latefamo pure Il gO<rJa­no ,lo ~iU'sI tk!1' Ilhssorl;a $tU

potenu. td a ripettre cofl'ln­

cort'eflglblle offlm/d.il P.iln­gloss: " trdio è andato ptr'

Il rruglfo t Mi mlffllo1'i ntQ.

di po$s/blll". dJ MI/niens' sa ed In dò d'~ con. Il Comit.ilto di L{~a151one

NuiOn.alt ptr' l' dUta Ilalla

che l " g#'11tt-tl1 e le PttbbU­dn opinioni del ~esJ ... lIeatl upplano cumprendere lo sto­rico slgnlfkilfo d({{;a m.r.nifc­stlurlone dn da tspre:s:n(Jllt $oltnne Jlll.il pt'Ofonda _Ion. fa. di trdtf glI. ItJlllAtil di con· trlbafrt 'Vl.lld.wttnle col [01'0

sl.crlfirio ed Il (_ SJlngue altI. CAo~a dtll,). flbc-amoltt

d'Europio e Il US«U. defi' nitkl4mtnlt AI duiinl del po­

poli JleP.tl; t $l.ppUtno In­lttukrt rl/ colUega"cnaa c/!e

tutti però poterono r~cal"Visi strauze non poterono asso"

perchè essendo stali faHi sal· cia,,,; ~I m(wimellto. Negli tare durante la notle. i binari ~tabi!imenli od attoulO al.! es­ddla ferrovia Ciriè-Lanzo t si, la lorZ3 pubblk:> durante

della tranvia Toriuo-Brus~ tutta la giornala brillò per

sco molti s(ollati si trovarono la Sua assenza.

nell'impossibilità di raggiun- Nel pumeriggio il sedi­gere la città. Comunqlle, in ct"ute (apo della proviucia

parecchi stabili .... enti gli op<'- fece Una mossa abilissima, nU raggiunti i lorO pùsti di quella cioè di far affigger<:' lavoro, rimasero subito inal' d'accordo col comando te.

t;vi. Ana Fiar-MiratlOri, dove desco un maoifesto nel quale si calcola le maestranze rag_ era detto çhe se gli operai

giungono la cifra di '5.000 nOn avessero ripr~ il lavo­circa ed in <Iuakhe altro sta- fO la mattina 5eguent<:',

bilim<:,nto,commissionidiope- I .. Tutti gli stabilimenti mi chiesero di conferire con 1>arebbero stati chilllli a temo la Direzione, ma la loro ri­chiesta non venne accolta.

Ciò provocò naturalment<:' un maggiore fermento e rafforzò

la volontà di lotta

Stancbi di sta«: con 1<:'

mani in mano, all'ora della refezione gli operai abbando· narono le officine senza bol­lar<:' la. cartolina di uscita;

ìnÌJ;iando così un vero e pro­

prio sciopero. Ciò si verifico

nei seguenti stabmm<:,nti,

po ;ndet<:'rminato;

2. ' Le maestranze sareb· bero state licen:tiate oon la perdita di quanto erano in cr<:'dilO ed Ull determinato nu_

mero dì l!"55e sarebbe stato

deportato;

J. - Agli esonerati ~b­

be SUto tolto l'esonero ed inviati ai corpi.

Botto e risposto

A qucsta prOVOOl.:tione di

Il giornale "Avan.ti/", organo clan.destino del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, sottolinea l'importanza e la riuscita dello sciopero del Marzo 1944,

131

di Silvio Trentin, che dopo pochi mesi perirà in carcere per le soffe­renze causate da lunghi anni di persecuzione.

Ma più ancora è la sciagura familiare del Meneghetti a mettere in una situazione grave il CLNRV. La morte della moglie e dell'unica

figlia sotto le macerie del terroristico bombardamento del 16 dicem­bre a Padova (settecento bombe e più di trecento morti accertati) da

lui stesso disseppellite dopo angosciante lavoro, lo colpì quasi mortal­mente.

Sia pure per poche settimane egli non partecipa all'attività dire­

zionale del comitato, che rimane inoperante per tutto dicembre, tanto più che il comando militare al palazzo Arrivabene è come annullato dopo la incursione della polizia tedesca in quella sede e la fuga del

Sassi Ducceschi. Alla fine di dicembre l'entusiasmo dei partigiani veneti sembra

venir meno per i rastrellamenti con le conseguenti condanne a morte e deportazioni; per il mancato sbarco degli alleati sulla costa adriatica in previsione del quale erano stati compiuti rischiosi atti di sabotag­

gio; per i centri direttivi in parte o totalmente decapitati come succe­de il 25 novembre a Verona, dove i membri del CLN provinciale sono

tutti arrestati.

132

CAPITOLO 16

LA RESISTENZA CIVILE DEGLI OPERAI E DEGLI INDUSTRIALI VENE TI.

LO SCIOPERO DEL MARZO 1944

Il partito repubblicano fascista, riunito a congresso nazionale,

chiamato "Rapporto Nazionale", nella sala maggiore dello scaligero

Castelvecchio di Verona il 14 novembre 1943, aveva tentato di aggan­ciare il popolo alla Repubblica Sociale Italiana con un manifesto pro­grammatico innovativo dal punto di vista sociale, detto il "Manifesto

di Verona".

{Edi~ion\l Lombarda)

L'ITALIA LIBERA ORGANO DEl PARTITO D'AZIONE

I lavoratori alla testa della guerra di liberazione SCIOPERO POLITICO

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"L'Italia Libera" organo clandestino del Partito d'Azione, mette in risalto il signifi~ cato politico dello sciopero del marzo 1944.

133

Come è già stato accennato, nella definizione di "fascismo" data da Mussolini nel volume XIV dell'Enciclopedia del 1932, il problema sociale veniva risolto attraverso il "corporativismo". Ora, invece, non si parla più di quella ideologia dominante nel ventennio, che aveva

trasformato la "Camera dei Deputati" in "Camera dei Fasci e delle Corporazioni"; ma si torna alle origini repubblicane e al socialismo

giovanile di Mussolini. Si sostituisce il motto precedente "andare incontro al popolo" con uno nuovo: "stare con il popolo".

A base, quindi, del nuovo Stato è posto "il lavoro, manuale, tec­nico, intellettuale, in ogni sua manifestazione". Il programma, aperta­mente di tipo socialista, alla cui stesura ha contribuito anche il sociali­

sta Nicola Bombacci, presenta due punti particolarmente riguardanti gli operai delle fabbriche e dell'agricoltura, e precisamente il 12° per i primi (socializzazione di aziende private, consigli di gestione compo­

sti da operai nelle aziende socializzate, partecipazione degli operai agli utili delle imprese), e il 13° per i secondi (ridistribuzione del 'ter­reno ma1coltivato o lasciato improduttivo).

I lavoratori della terra rimangono nella maggior parte ignari delle promesse di riforma agraria dell'articolo 13 °

Gli operai, diversamente presi in considerazione e più temuti, vengono ampiamente edotti da appositi propagandisti, che illustrano a

loro in assemblee aziendali i traguardi da raggiungere con l'articolo 12°. Ma essi non credono alle promesse della RSI.

Soprattutto per l'azione di cellule comuniste, operanti nell'inter­no delle fabbriche, gli operai passano all'opposizione. Usano l'arma dello sciopero non solo come forza di rivendicazione economica, ma

anche come mezzo di reazione allo stato di dipendenza dallo straniero e al regime fascista oppressore della libertà sindacale.

Dal novembre del '43 a tutto febbraio del '44, scioperi di mode­sta portata non erano mancati, specialmente a Genova e a Milano' e in , minore proporzione anche nel Veneto a Marghera.'

134

Ma è il grande sciopero generale della prima settimana di marzo 1944 ad impressionare il regime fascista repubblicano e le autorità germaniche. Calcoli piuttosto in difetto che in eccesso portano alla

cifra di oltre mezzo milione di scioperanti. Nell'Europa dominata dal nazismo non si era mai verificata una rivolta operaia di simili propor­

ZIOnI.

Lo sciopero viene promosso e organizzato dai comunisti, ma ha l'approvazione di tutti i partiti del CLN; e di conseguenza si inserisce

legittimamente nella Resistenza. Sorprende anche gli stessi vertici alleati, che ne seguono lo sviluppo con particolare interesse.

La reazione nazifascista in tutta l'Italia settentrionale scatta

subito violenta e crudele: fucilazioni, arresti di centinaia di operai ritenuti maggiormente responsabili, e rapido invio di gran parte di loro ai campi di lavoro nazisti.

FUCILAZIONE AD ARZIGNANO

Nel Veneto è proprio il CLNRV a lanciare il manifesto propa­gandistico, i cui punti più importanti sono i seguenti:

"Oggi, mentre riconsacrate il più solenne dei vostri diritti, il diritto di sciopero, per oltre vent'anni soffocato e schernito dal fasci­smo, importa dire chiaramente a tutti, ma soprattutto agli armati tiran­

ni stranieri e ai miserabili tirannelli nostrani, che il vostro gesto è imposto non solamente dalla imperiosa necessità di proteggere la vita

dei vostri figli, ma anche si ispira a piena consapevolezza politica e si illumina di una fede che si è temprata in anni di rischio, di persecuzio­ni, di soiferenza."

"Il vostro sciopero dice chiaramente che voi rifiutate con sdegno la sconcia offerta di una socializzazione artificiosa, non conquistata

ma largita per beffa crudele, o per trista furbizia, proprio quando le industrie rovinate dalla politica fascista, non danno utili; elargita da

chi, nei giorni della prosperità, ha banchettato con i maggiori pluto-

135

crati, coprendoli di cariche, di onori, di favoritismi, e ricevendone in cambio, per sé e i suoi, stipendi innumerevoli e rapinate ricchezze".

"Chiedete che cessino tutte le violenze nazifasciste contro i lavoratori e i famigliari dei lavoratori, contro gli arrestati. Chiedete il rilascio di tutti i carcerati politici. Chiedete che non si produca più per la guerra nazifascista, ma per i bisogni del nostro popolo. Si eviteran­

no i bombardamenti aerei. Manifestate fermamente la vostra decisio­ne di non permettere.il trasporto delle nostre industrie in Germania: non un uomo né una macchina in Germania".

Nel Veneto si sciopera soprattutto a Marghera: Vetrocoke, San Marco, Ilva, Termoelettrica, Breda, Sava, Azotati; a Padova: Stanga, Breda di Cadoneghe, Snia, Zuccherifici e Saffa di Este; a Schio(VI): Lanificio Rossi.

Non soltanto vengono inviati ai campi di lavoro dei lager tede­schi gli operai, ma anche le operaie, sospettate di aver contribuito a far sorgere lo sciopero .Della "Stanga" di Padova sette operai cbno­sceranno la triste avventura della deportazione; Maria Zonta della "Snia Viscosa" finirà tra gli orrori di Ravensbruck.

Purtroppo ad Arzignano (VI) lo sciopero delle otIicine Pellizzari si conclude tragicamente: 4 operai fucilati, 25 deportati in Germania. L'impressione è grande, e scava un solco tra i lavoratori e il regime nazifascista.

La responsabilità dello sciopero, specialmente nel Veneto, viene assunta dai CLN regionali dando ad essi la portata di una resistenza civile da inserirsi nella resistenza globale del popolo italiano. Infatti esso fu sostenuto all'esterno dalle formazioni partigiane con atti di sabotaggio.

136

IL CONTRIBUTO DEGLI INDUSTRIALI VENET!.

Per comprendere e inquadrare meglio il contributo notevole degli industriali veneti alla resistenza, bisogna riconsiderare il loro comportamento alla fine della prima guerra mondiale.

Successivamente agli agrari, anche molti industriali italiani, impressionati dall'occupazione operaia delle fabbriche nel settembre del 1920, avevano appoggiato economicamente il fascismo nel cosi­detto biennio nero (1921-1922).

Questo aiuto portò Mussolini, appena arrivato al potere, ad un'a­zione di tipo conservatrice. Prima di chiedere la fiducia, il suo gover­no il lO novembre attuò l'abolizione della nominatività dei titoli azio­nari, già approvata da Giolitti e poi sospesa da Bonomi; e inoltre fece ritirare il progetto di riforma agraria, già passato al vaglio della Camera.

Durante il ventennio gli industriali collaborarono per la realiz­zazione delle opere sociali del regime e per l'impresa etiopica. Figura emblematica di questa collaborazione fu Giovanni Agnelli, che morirà all'indomani della fine della guerra, il J6 dicembre 1945, pochi giorni prima che fosse prosciolto nel giudizio di epurazione nei suoi con­fronti.

Successivamente gli industriali si erano andati staccando grada­tamente verso il '37 quando lo Stato fascista pretendeva un indirizzo fondato sull'autarchia, cioè l'indipendenza totale del mercato naziona­le dai mercati esteri per la produzione delle materie prime e dei pro­dotti industriali. Oltre alla difficoltà notevole per il raggiungimento della autonomia economica eliminando d'importare le stesse materie prime, l'autarchia era tesa soprattutto a sviluppare il prodotto bellico dell'industria italiana con conseguente maggior controllo dello Stato sull'apparato industriale dei privati.

Da allora Mussolini attaccò nei suoi discorsi la media e alta bor­ghesia rinunciataria ed egoista, con punte di acrimonia nel ciclo di

137

· discorsi nel Veneto del settembre '38, iniziati a Trieste e conclusasi a Verona dopo l'adunata definita "oceanica" al Prato della Valle di Pa­

dova. Accusava la borghesia di restare fredda e indifferente al grande rinnovamento morale imposto alla nazione.

L'atteggiamento disfattista della borghesia in genere ed in parti­

colare quella degli industriali viene ad accentuarsi nella Repubblica Sociale Italiana, specialmente durante il processo a Castelvecchio di Verona, in cui nei diciannove imputati vede, in un certo senso, se stes­

sa, che si era staccata dal fascismo in opposizione alla guerra. Questa evoluzione dal consenso al dissenso porta il fascismo

repubblicano a perseguitare alcuni industriali veneti nonostante la pre­cedente adesione e collaborazione, anche di primo piano, nel ventennio.

Il veneziano Giuseppe Volpi, già ministro delle finanze e conte di Misurata per essere stato governatore di Libia, viene incarcerato, ma poi riesce a fuggire. Il suo contributo economico alla lotta di

Resistenza nel Veneto è di diciotto milioni, uniti a tutte le aziodi del Gazzettino. Terminata la guerra per tali benemerenze sarà assolto nel

processo per la sua militanza nel fascismo. Vittorio Cini, pure veneziano, che aveva aderito al fascismo nel

'26, ministro delle Comunicazioni, rompe nettamente con il regime

ancora nel giugno del '43. Pochi giorni dopo l'armistizio è arrestato a Roma e deportato nel lager di Dachau, da cui fugge per l'intervento

coraggioso del figlio Giorgio. Tornato nel Veneto, finanzia la Resistenza per circa un anno con cinque milioni al mese.

Non minore importanza ha Gaetano Marzotto. Gia staccatosi dal fascismo prima della caduta di Mussolini, è perseguito da mandato di cattura con l'accusa di compartecipazione al tradimento di Badoglio.

Finanza il CLNRV non solo con denaro ma anche con vestiario per i partigiani.

Pure l'industriale Achille Gaggia (nella cui villa di Socchiev,e in provincia di Belluno avvenne lo storico incontro tra Mussolini e

Hitler) aiuta il CLNRV con undici milioni.

138

CAPITOLO 17

LA RISPOSTA DEI RURALI

Più lenta e difficile appare la presa di coscienza dei valori resi­

stenziali e della opportunità della lotta contro i nazifascisti da parte

delle popolazioni rurali. Per comprendere la difficoltà di questo processo di maturazione,

non bisogna dimenticare che l'azione spontanea dopo 1'8 settembre di

protezione, a volte eroica, degli ex-prigionieri inglesi era sentita

essenzialmente come pietà verso i perseguitati. Ugualmente si comportò nei confronti della persecuzione anti­

semitica. L'ebreo, verso cui preesisteva una secolare diffidenza perché

uccisore di Cristo e simbolo dell'usuraio, era visto soltanto come una vittima del destino, verso il quale l'animo del contadino, all'apparenza

rude, sentiva compassione. Inoltre vi influiva il comportamento dei parroci che spesso tenevano nascosti sia gli ex prigionieri che gli

ebrei Forse anche per questi motivi il CLNRV si rivolge in grado

minore ai villici; ma certamente a dedicare meno sforzo per coinvol­

gerli nella lotta di resistenza, sono le divergenze in seno ai comitati in rapporto ai problemi del sindacalismo agrario. L'impostazione della riforma agraria è ben diversa anche tra gli stessi partiti di sinistra,

basti pensare che gli ex popolari di Don Sturzo volevano la piccola

proprietà agricola a conduzione familiare e non la grande azienda

socializzata dei socialisti e dei comunisti. Tuttavia non mancano i tentativi da parte di alcuni capi dei par­

tigiani di inserire il mondo rurale nella Resistenza sfruttando i senti-

139

menti atavici dei contadini verso la leva militare e soprattutto le requi­sizioni delle derrate Si realizza, quindi, un aggancio psicologico: i

contadini, non certo molti, vedendo nei partigiani il proprio figlio che sfugge alla leva e ritrovando nel sistema degli ammassi ripristinato dalla Repubblica Sociale Italiana il "nemico Stato", diventano antifa­

scisti e antitedeschi.

Chi si dà anima e corpo in questa opera è il partigiano Primo

Visentin con il suo battaglione "Mazzini", al quale ha voluto anche lui, come avvenne per altre formazioni partigiane, dare il nome dell'a­postolo del Risorgimento.

Primo Visentin. appartiene ad una famiglia contadina poverissi­ma di Poggiana di Riese. Per la sua intelligenza fervida e per la sua

tenace volontà, è arrivato a costo di enormi sacrifici alla laurea in let­tere. Cattolico fervente e orientato a riforme di tipo socialista, possie­de, unite insieme, cultura umanistica e cultura popolare.

Entra nella Resistenza con il nome di battaglia "Masaccio", il pittore fiorentino del Quattrocento al quale egli, appena laureato, ha

dedicato appassionati studi. La conoscenza delle reali condizioni del m,mdo contadino, spe­

cialmente della zona di Castelfranco, dove a tipi di onerosa mezzadria si alternano le dure compartecipazioni al terzo, lo spinge ad audaci azioni per la giustizia sociale. Con incursioni notturne e ricorrendo

alle minacce, interviene per modificare i contratti in singole ditte agri­cole, come appare dal diario del battaglione. Ne consegue la simpatia

per il movi mento resistenziale dei contadini della zona. Altra opera per coinvolgere il mondo rurale nella Resistenza dal

punto di vista sociale viene effettuata dal partigiano sui generis, comunista e cattolico, sostenitore dell'attesismo e contro la violenza, Antonio Adami, medaglia d'argento, la cui morte a Santo Stefano di

Valdobbiadene apparirà e appare ancor oggi misteriosa. Egli, in conti­nuo dialogo con i contadini della zona, dai quali è ben voluto, si sfor­

za di spiegare come marxismo e vangelo possano andar d'accordo e

140

preannuncia loro con la sconfitta del nazifascismo un avvenire di maggior giustizia sociale.

Nel bellunese l'aggancio dei contadini alla Resistenza si realizza soprattutto con la distruzione nei municipi degli uffici di leva c degli

accertamenti agricoli; e più ancora impedendo la consegna degli ani­mali alle requisizioni in nome della RSl. Si attua in forma clamorosa

il 9 febbraio a Cimolais, il 27 marzo a Puos d'Al pago, il 7 aprile a

Forno di Zoldo, il 20 aprile a Fusine e il 27 dello stesso mese a La Valle d'Agordo. Protagonisti di queste imprese sono i partigiani della brigata comunista" Nino Nannetti".

LA "NOTIFICAZIONE EPISCOPALE TRIVENETA"

Nel Veneto sono i parroci a contribuire indirettamente ad inseri­re i rurali nella resistenza civile, anche se il nascondere nelle proprie canoniche i renitenti alla leva e il soccorrere i partigiani viene effet­tuato al di sopra di ogni visione politica.

Grande effetto ha nel mondo -contadino la lettura nelle chiese

della "Notificazione episcopale tri veneta" del maggio 1944, fatta quasi all'improvviso, mettendo in ritardo la proibizione da parte delle

autorità fasciste e germaniche in alcune zone, oppure letta nonostante la proibizione del podestà locale.

Il documento dà la possibilità ai vescovi di attenuare la loro responsabilità e di scaricarla sul patriarca di Venezia, il cardinale Adeodato Piazza, perché era stata stampata a Venezia. Oltre a condan­

nare il settimanale politico "Crociata ltalica" (diretto da don Tullio Calcagno con la collaborazione di pochi altri sacerdoti sostenitori del

rinato fascismo) la lettera pastorale triveneta deplora coraggiosamente le uccisioni e le deportazioni nazifasciste. Ripete quanto aveva già

dichiarato a Firenze con la sua notificazione il cardinale Elia Della Costa, senza però richiamare al rispetto delle autorità tedesche per

141

La seconda guerra mondiale in Italia. Le linee/artij/cale tedesche (Gustav-Hitler­Gotica) e la difficoltosa avanzata degli Alleati in Italia.

142

evitare rappresaglie, e condanna contemporaneamente entrambe le parti quando si uccide in determinati modi e con determinati scopi

anche se si è in guerra. Ricorda che è "brutale assassinio uccidere pro­ditoriamente un altro uomo, sopprimere una vita umana per vendetta e iniziativa privata, sia personale o di partito".

Ma la "notificazione" dopo aver sottolineato che in ogni caso

occorre regolare processo, appare a maggior difesa delle popolazione

rurali là dove condanna i "forzati prelevamenti" di uomini e donne, "strappate dal loro ambiente di famiglia, di lavoro, di consuetudine religiosa e morale".

L'APPELLO DE "L'UNITÀ" DI TREVISO

Singolare l'appello de "L'Unità" n. l edizione di Treviso, in cui viene precisato anche nei particolari il metodo del boicottaggio:

"Contadini! non date il grano ai briganti nazisti, ai rapinatori dei

vostri figli ... Ritardate la trebbiatura. Fate che le trebbie non siano mai in condizioni di funzionare asportandone ora un pezzo ora un altro,

interrompendo la corrente, vuotando i serbatoi del carburante, ritarda­te la trebbiatura ora con un mezzo ora con un altro ... "

La risposta dei rurali veneti agli inviti dei partigiani è positiva per quanto riguarda il boicottaggio degli ammassi, ma modesta nei confronti dello sciopero e non certo paragonabile a quella dei contadi­

ni dell'Emilia, dove avrà forte ripercussione lo sciopero delle mon­dine, iniziato il 20 maggio a Molinella e a Medicina, poi diffusosi a

tutta la provincia, rinforzato da quello dei braccianti agricoli. Lo scio­pero delle mondine durerà un mese. e lungo tutta l'estate si susseguo­no altri scioperi sostenuti dalle forze partigiane locali

Notevole è, invece, l'apporto dei giovani contadini veneti alle brigate partigiane di matrice cattolica, di cui la figura più luminosa è

il martire Antonio Ceron di Villanova di Camposampiero, medaglia

143

d'oro al valor militare della Resistenza. Tuttavia la presenza dei rurali nelle formazioni partigiane rima­

ne sempre ben inferiore a quella degli operai. Un esempio tipico è quello del "battaglione Monte Zevio", appartenente alla "divisione

Monte Ortigara" di matrice cattolica. Su 62 partigiani gli operai sono 28 e i contadini 10; su 152 patrioti, 95 sono operai e 39 contadini.

144

CAPITOLO 18

I CONTRASTI POLITICI E LE PREGIÙDIZIALI ISTITUZIONALI NEL COMITATO CENTRALE DI LIBERAZIONE

NAZIONALE

Superato la fase in cui la lotta armata poteva diventare egemo­nia degli ufficiali del regio esercito esautorando il CLNAI e favoren­

do la monarchia e i partiti conservatori, e messi in minoranza quanti erano favorevoli all'attendismo, ai vertici dei partiti ci si preoccupa di

dare alla Guerra di Liberazione un contenuto di ribellione popolare non solo al fascismo ma anche alla monarchia, accusata di essere responsabile della sua affermazione e della entrata dell'Italia nel

secondo cont1itto mondiale. Per i tre partiti dominanti nel CCLN (PCI, PSIUP e Pd'A) il

compito prioritario è l'abbattimento immediato di Casa Savoia e della stessa istituzione monarchica. Con questo scopo si presentano al con­

gresso nazionale dei CLN e dei partiti antifascisti del Sud, indetto per il 28 gennaio 1944 a Bari (a sei giorni dallo sbarco alleato ad Anzio e

già dimostratosi una grande delusione). Da tener presente che tale congresso, precedentemente fissato

per il 20 dicembre 1943 a Napoli, era stato proibito dalle autorità

alleate, tutt'altro che favorevoli ad un governo democratico antimo­narchico, ma bensì ad uno conservatore e monarchico. Ciò era stato

possibile per il veto dell'Advisory Council of Italy (ACI), la commis­sione alleata che controlla ogni attività politica e di governo nel regno

del Sud.

145

Nel concitato congresso, tenuto solennemente nel teatro Nicolò

Piccinni azionisti, socialisti e comunisti si dichiarano nettamente per

l'istituzione della repubblica, mentre democristiani, liberali e demo­

cratici del lavoro non escludono a priori la possibilità della monarchia

come forma istituzionale.

Durante il dibattito Vittorio Emanuele III è accusato di plurime

violazioni dello Statuto dell'antenato Carlo Alberto. Aspre sono anche

le critiche di Benedetto Croce, ma l'accusa più impressionante provie­

ne dal conte Carlo Sforza, che, dopo essersi scagliato contro Ba­

doglio, così si esprime:

"Dinanzi alla catastrofe il Re è molto più responsabile di

Mussolini, perché io lo avevo avvisato mentre l'altro non ho avverti­to. H

Tuttavia la personalità dominante è quella del filosofo

Benedetto Croce, che, nell'intento di salvare la istituzione monarchica

più che la dinastia dei Savoia, porta ad una soluzione senza né vinti né

vincitori: richiesta di abdicazione di Vittorio Emanuele III e formazio­

ne di una giunta dei partiti come opposizione morale e simbolica al

governo Badoglio che non rappresenta il popolo nelle sue aspirazioni.

Inoltre la giunta deve far attuare la richiesta di abdicazione. Il con­

gresso si chiude con la presenza del rappresentante sovietico nell'ACI

(Advisory Council of Italy) Vysinskij Andrej Januarevic.

In una atmosfera di abbattimento morale per gli intellettuali

dovuta alla ingiustificabile distruzione del 15 febbraio da parte degli

Alleati dell'abbazia di Montecassino priva di militari tedeschi (che la

stampa per ordine di Kesselring aveva ampiamente reso nota riportan­

do le testimonianze scritte dell'abate Gregorio Diamare e di altri

monaci benedettini), a deprimere maggiormente arriva la netta presa

di posizione di Churchill alla Camera dei Comuni del 22 febbraio.

Lo statista britannico in un discorso che resterà memorabile fa , ben capire ai politici del CCLN come agli Alleati non piaccia la solu-

zione di compromesso del congresso di Bari, dichiarando di appog-

146

giare il governo di Badoglio e di volere il mantenimento della monar­

chia. Fu detto il "discorso della caffettiera" per il singolare paragone

con cui mise in luce la sua contrarietà all'inserimento dei partiti anti­

fascisti nella guida governativa d'Italia. Egli cosÌ lo espresse:

"Quando occorre tener in mano una caffettiera bollente, è

meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno

altrettanto comodo e pratico, o comunque finché non si abbia a porta­ta di mano uno strofinaccio".

Il discorso di Churchill e i dissensi all'interno del CCLN si

ripercuotono negativamente nella compagine della resistenza attiva,

dove, anche se la maggioranza dei giovani combattenti è per la forma

istituzionale repubblicana, tra i comandanti militari non mancano i monarchici.

Nel frattempo il giurista Enrico De Nicola, liberale e fortemente

monarchico, cerca di convincere Vittorio Emanuele III a salvare la

situazione precaria della dinastia ritirandosi a vita privata e nominan­

do un "luogotenente del regno" che assuma le sue funzioni.

Sotto tale pressione il 16 marzo Vittorio Emanuele III comunica

a Badoglio e al consiglio dei ministri di aver deciso di nominare come

suo luogotenente il figlio Umberto, non subito, ma appena Roma sarà liberata.

Questa soluzione non accontenta perché anche Umberto di

Savoia si era compromesso con il fascismo; e contribuisce a rafforza­

re l'antipatia verso il re e indirettamente la pregiudizi aie repubblica­na ..

Infatti il 18 marzo nella riunione del CCLN, socialisti e azionisti

chiedono addirittura l'incriminazione di Vittorio Emanuele III e la tra­

smissione di tutti i poteri del governo al CCLN. Si oppongono la

Democrazia Cristiana, la Democrazia del lavoro, il Partito liberale. Il

tentati vo di un compromesso da parte del comunista Mauro

Scoccimarro si scontra con l'opposizione dell'azionista U go La Malfa.

La spaccatura nel CCLN pare inevitabile.

147

L'ATTENTATO DI VIA RASELLA E IL CCLN

E' doveroso inquadrare l'attentato di via Rasella in quella atmo­

sfera di avvilimento che a Roma si era creata per la morte dei maggio­ri capi della resistenza romana (lo scrittore Giaime Pintor, valoroso combattente di Porta San Paolo del 9 settembre; e l'intellettuale Leone

Ginsburg, direttore del giornale clandestino "Italia Libera", organo del Partito d'Azione) e per la delusione per la prolungata sosta ad Anzio dello sbarco angloamericano. A proposito di tale delusione Churchil

scriverà: "Avevo sperato di lanciare sulla spiaggia un gatto selvatico,

mentre ci trovavamo con una balena arenata". Non a caso, quindi, viene scelto come giorno per l'attentato il 23

marzo, anniversario della fondazione del primo fascio di combatti­mento a Piazza San Sepolcro di Milano, per ridestare lo spirito resi­

stenziale. Ad opera dei gappisti romani alle due pomeridiane nel centro di

Roma, in via Rasella, una parallela della più movimentata via Tritone, viene fatto esplodere in un carrettino della spazzatura una cassetta

d'acciaio con due chilogrammi di esplosivo mentre transitava una colonna tedesca. Tra i militari si contano trentatré morti.

Hitler, avvisato al suo quartiere generale ordina che sia raso al

suolo l'intero quartiere e che siano passati per le armi cinquanta italia­ni per ogni tedesco ucciso. Kesselring riduce il numero delle vittime a

dieci. Il giorno seguente il colonnello Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma conduce 335 detenuti politici in una cava lungo la via Ardeatina e procede alla esecuzione. Quando a fine guerra sarà

processato, verrà condannato all'ergastolo per le cinqne vittime oltre

al numero stabilito. II 26 Giorgio Amendola chiede alla giunta militare del CLN

romano l'approvazione ufficiale dell'attacco di via Rasella, ma si J

scontra con l'opposizione di Giuseppe Spataro, rappresentante della Democrazia Cristiana.

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Il 30 marzo "L'Unità" clandestina esce con un comunicato in cui j comunisti si assumono da soli la responsabilità dell'azione.

Lo stesso giorno viene diffuso un comunicato del CCLN di con­danna dell'eccidio delle Fosse Ardeatine.

L'attentato di via Rasella e la strage delle Fosse Ardeatine ripro­pone il problema sulla legittimità degli attentati e delle rappresaglie, mai stabilmente superato durante la Resistenza.

LA "SVOLTA DI SALERNO"

Mentre ormai tutto fa pensare ad una spaccatura all'interno del CCLN per i vari dissensi, il 3 I marzo il consiglio nazionale del PCI si riunisce a Napoli sotto la direzione di Palmiro Togliatti, il quale fa prevalere la sua tesi: rinviare la questione istituzionale a guerra termi­

nata e attuare al presente un nuovo governo con l'adesione dei sei par­titi.

La tesi, chiamata la "svolta di Salerno", (perché il governo Badoglio già dall'I l febbraio si era trasferito da Bari a Salerno) viene

approvata ed anche accolta dagli Alleati, sollecitati dal passo diploma­tico della Russia che, prima tra le nazioni alleate, aveva riconosciuto il governo Badoglio già il 14 marzo inviando in Italia come suo "rap­presentante diretto" Michail Kostilev.

La crisi in seno al CCLN era stata seguita con apprensione tra­mite la stampa clandestina dagli antifascisti e dai combattenti parti­giani; e pertanto la "svolta di Salerno", dovuta a Togliatti, nonostante

le critiche all'interno dello stesso partito comunista e da parte dei par­titi di sinistra, è considerata positiva perchè contribuisce a mantener la unità della Resistenza sia civile che armata.

149

L'ASSASSINIO DI GIOVANNI GENTILE E LE CONTRA­STANTI REAZIONI

Giovanni Gentile, il filosofo che assieme a Benedetto Croce aveva contribuito alla rinascita dell'idealismo di inizio secolo, era stato il teorico del fascismo in quanto vi aveva visto l'attuazione della

sua filosofia dell'atto puro. Di venuto in tal modo l'interprete più elevato del regime, autore

di una riforma scolastica che aveva reso prestigiosa la scuola italiana, si era impegnato nell'organizzazione di importanti strutture culturali, ed in particolare della "Enciclopedia Italiana".

Aveva aderito al fascismo repubblicano più per un senso di con­tinuità psicologica che per condivisione di idee e tanto meno di meto­di violenti, da lui sempre detestati, accettando la carica di presidente dell'Accademia d'Italia, già tenuta da Marconi, che Badoglio aveva abolito perché creazione del regime. Nell'assumere la carica 'aveva detto queste parole, quasi fosse presago della sua fine:

"Per questa Italia noi ormai vecchi, siamo vissuti, di essa abbia­mo sempre parlato ai giovani acccrtandoli che essa c'è stata sempre nelle menti e nei cuori; e c'è, immortale. Per essa, se occorre, voglia­mo morire, perché senza di essa non sappiamo che farci del misera­

bile naufragio". Il 28 dicembre 1943 dalle colonne de "Il Corriere della Sera"

aveva esortato alla pacificazione e ad evitare la "lotta fratricida". Il 15 aprile i gappisti toscani lo uccidono a Firenze, nei pressi di

villa Montaldo, sua abitazione, mentre ritorna dalla sede dell'Accademia d'Italia.

La sua uccisione provoca un profondo cordoglio nel mondo intellettuale, che è presente ai solenni funerali nel tempio di Santa Croce

Il suo assassinio suscita anche all'interno del movimento ~ntifa­scista una viva emozione e contrastanti prese di posizione.

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Gli azionisti così scrivono nel loro foglio clandestino "L'Italia Libera":

"Deploriamo l'assassinio di Giovanni Gentile. La violenza, per quanto giustificata reazione ad altrui violenza, ha un limite oltre al quale si ritorce su se medesima; e la brutale eliminazione di Gentile

ha creato nelle coscienze un disagio che deve essere esaminato senza settarismi e con spregiudicata serenità"

L'autore dell'articolo, però, non nega che il Gentile avesse delle responsabilità nei confronti dell'affermazione del fascismo; ma a sostegno della deplorazione dell'omicidio afferma che si sarebbe dovuto chiedere conto a lui del suo operato "nella forma più alta e so­lenne" non solo per la sua grande personalità, ma anche "perché era a tutti nota l'opera di moderazione da lui frequentemente svolta, e si sapeva che il suo intervento personale era più volte valso a mitigare provvedimenti polizieschi, a rimuovere ingiustizie, ad evitare più gravi sventure".

Benedetto Croce, nemico in politica del Gentile, così ha scritto nel suo diario: " Radio Londra, che ha definito come giustizia la sua morte, ha fatto scoppiare in pianto l'Adelina che l'ascoltava e che ricordava lui, nei primi tempi del nostro matrimonio, bonario uomo ed amico, da noi accolto a festa quando veniva a Napoli nostro ospite".

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CAPITOLO 19

IL RAFFORZAMENTO DELLE FORZE PARTIGIANE NELLA PRIMAVERA 1944

Sotto il titolo "la grande stagione dei partigiani" gli storici rac­chiudono il periodo dal maggio all'ottobre del '44, in cui l'eroismo dei combattenti, unito a transitorie conquiste locali che danno luogo alle

"repubbliche partigiane", raggiunge i suoi più alti e significativi epi­sodi.

Nella primavera del '44 il numero dei volontari armati e inqua­drati in formazioni tipo militare, supera secondo la stima più accredi­tata, gli ottantamila. Lo eonferma anche la "Situazione Ribelli'; dello

Stato maggiore della RSI in data 15 giugno, in cui si denuncia nelle sole regioni del Nord la presenza di circa ottantaduemila partigiani in armi.

La spiegazione di questo aumento rapido e dello spirito combat­tivo va ricercata anzitutto nella radicata convinzione di una vicina fine

del conflitto per l'imminente offensiva preannunciata dagli angloame­ricani, come conseguenza logica del superamento del baluardo difen­

sivo tedesco a Montecassino, attuato l'II maggio con sfondamento della linea Gustav.

Inoltre l'unità delle multiformi formazioni, precaria dopo il con­gresso di Bari, si rinsalda con l'inaspettata "svolta di Salerno", operata da Togliatti che diminuisce le reciproche diffidenze tra partigiani appartenenti alle forze conservatrici e partigiani comunisti.

Anche il secondo governo Badoglio (a differenza del precegente questa volta totalmente privo di ministri compromessi con il fasci-

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smo), nel quale entrano tutti i rappresentanti del CCLN, accomuna i combattenti delle rispettive aree politiche. Significativa la presenza di Benedetto Croce, severo critico nei confronti di Vittorio Emanuele ma

monarchico; del conte Carlo Sforza antimonarchico acerrimo che non si dà tregua nel condannare come più colpevole il re che lo stesso

Mussolini per l'aver permesso l'entrata in guerra dell'Italia; ma

soprattutto è significativa la presenza di Palmiro Togliatti, capo cari­smatico del comunismo italiano, autore della "svolta di Salerno".

Altro fattore a favore dello spirito combattivo è il radiomessag­gio di Vittorio Emanuele trasmesso il 12 aprile (quasi costretto dagli

Alleati e dopo il ripetuto consiglio di Enrico De Nicola) in cui annun­cia pubblicamente la sua abdicazione appena fosse stata liberata Roma nominando come luogotenente il principe Umberto e assicuran­

do di ritirarsi a vita privata. Per i monarchici una speranza di salvezza dell'istituzione e della dinastia sabauda; per i repubblicani l'inizio

della fine della monarchia potendo facilmente accusare il principe di Piemonte di filofascismo.

A conferma che lo spirito della Resistenza conquista sempre più i giovani, sta il loro aumento nelle formazioni partigiane nonostante un nuovo bando di leva punisca anche i familiari dei renitenti; e nono­

stante venga promulgata un'amnistia ai disertori che spontaneamente si presentassero alle caserme della Repubblica Sociale Italiana.

Anche il popolo aderisce maggiormente alla Resistenza; ed è proprio la "Situazione Ribelli" della RSI del 30 giugno a confermarlo

pienamente con la frase: "La massa della popolazione segue con inte­resse e molta simpatia il movimento ribelle".

L'APPORTO NUMERICO E MORALE DEGLI EBREI

Se notevole fu il numero degli ebrei militanti nell'antifascismo

di primo piano (Carlo e Nello Rosselli, Eugenio Chiesa, Claudio

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Treves, Giuseppe Emanuele Modigliani, Umberto Terracini e altri) e

ben tre furono ebrei (Giorgio Levi della Vita, Vito Volterra e Giorgio Errera) sui tredici docenti universitari rifiutatisi di giurare fedeltà al regime fascista, ancor più numerosa è la schiera degli ebrei nella lotta

partigiana. Il numero massimo di italiani partecipanti alla resistenza armata

durante tutto il periodo della guerra di liberazione è di 230.000, pari allo 0,5% della popolazione (45.000.000). Almeno mille ebrei parteci­parono alla guerra di liberazione, cioè circa il 2% della comunità

ebraica italiana (45.000). Da considerare, però, che secondo altra sta­tistica gli ebrei partigiani raggiungono il numero di tremila.

La prima spiegazione sta nel fatto che dopo l'armistizio, cui

segue la rapida occupazione tedesca, la sopravvivenza per gli israeliti si era fatta quanto mai rischiosa. Ma è certo che molti tra gli ebrei che

partecipano alla lotta armata potevano avere sicuro rifugio in Svizzera o in territorio liberato dagli Alleati. Per unanime giudizio resero onore

alla loro comunità e all'Italia. Leone Ginsburg, studioso e giornalista, muore sotto le torture a

Roma nel carcere di Regina Coeli; Umberto Terracini combatte in Val

d'Ossola e diventa segretario generale di quella repubblica partigiana; Carlo Levi combatte con i partigiani fiorentini per le vie di Firenze;

Eugenio Calò, Mario Jacchia, Sergio Forti, Rita Rosani, Eugenio Curie! ed Eugenio Colorni sono stati tutti decorati di medaglia d'oro

della Resistenza alla memoria. Legata alla resistenza veneta è la giovane insegnante israelita

Rita Rosani di Trieste. Fuggita dalla sua città, si unisce ai partigiani

veronesi e partecipa a numerose azioni nella zona di Verona e special­mente nella Lessinia. Muore combattendo sul monte Comun in Valpantena. E' l'unica partigiana in Italia di cui si sàppia con certezza

che sia caduta in combattimento.

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LE FORZE PARTIGIANE NEL VENETO

La fisionomia delle brigate partigiane va sempre più definendo­si dal punto di vista politico, mentre le formazioni eterogenee e auto­nome vanno riducendosi.

Nel vicentino i partigiani comunisti del "battaglione Stella",

operante nella Val dell'Agno, e quelli del "battaglione Apolloni", ope­

rante ad Asiago, costituiscono in maggio la "brigata Ateo Garemi" in onore di Ateo Garemi, eroe dei GAP piemontesi.

Ad Asiago opera anche il battaglione Sette Comuni al comando di Piero Costa.

A Thiene il 20 aprile nasce la "brigata Mazzini" del cattolico Giacomo Chilesotti. Il nome di Mazzini viene sfruttato anche da altre formazioni partigiane: pure nel trevigiano opera una "brigata Mazzini" comunista.

Sul massiccio del Grappa troviamo la forte e numerosa "brigata Italia Libera" al comando del maggiore Edoardo Pierotti (maggiore

Sandrini), del tenente Luigi Toaldo (tenente Gigi) e del tenente Vico Todesco (tenente Giorgi) prevalentemente apolitica, e la socialista

"brigata Matteotti" del tenente Livio Morello (Neri) il cui nucleo più consistente proviene dalla "brigata Venezia".

Sull'altopiano del Cansiglio si trovano il distaccamento Ferdiani e il battaglione "Vittorio Veneto" cui si uniscono i comunisti trevigiani di Marino Zanella: sono forze partigiane di matrice comunista.

Nel Cadore Mario Prevedello e Alessandro Gallo costituiscono le Brigate Pietro Fortunato Calvi (difensore del Cadore dagli Austriaci

e uno dei martiri di Belfiore) a significare che la guerra di Liberazione si inserisce nel risorgimento italiano.

Nel feltrino sta formandosi la brigata comunista "Antonio Gramsci".

Singolare è il reparto costituito da Giuseppe Marozin (Vero), forte di oltre duecento uomini, operante nella zona dei monti Lessini e

155

nella pianura veronese attorno a San Bonifacio, che già il 19 aprile compie una aggressione alla casenna di Crespadoro. Tale formazione, che assume la denominazione di "battaglione Danton" nonostante il nome del rivoluzionario politico francese, è assolutamente apolitica. Tra le sue file numerosi sono anche gli stranieri. Non riconosce l'auto­rità del CLNRV e conduce una guerriglia totalmente dipendente dal

Marozin, che più tardi stringerà legami con il capitano Carlo Perucci, il capo della missione militare RYE.

Alla fine della primavera anche sulla pianura veneta si rafforza­no i nuclei di resistenza armata.

A Padova la "brigata Guastatori" del Pighin si fonderà poi nelIa "brigata Garibaldi-Padova" di matrice comunista. Nel padovano pre­valgono i partigiani cattolici: nella zona di Piove di Sacco dove for­meranno la "brigata Guido Negri"; numerosi sono pure nella zona di Este-Montagnana dove j vari nuclei daranno poi la "brigata Luigi Pierobon", dopo la sua fucilazione. Anche nel cittadellese i cattolici sono molto attivi e stanno fonnando le tre "brigate Damiano Chiesa".

Nel veneziano i comunisti Angelo Pancino, Gaetano Coppola e Lnciano Lucchetta organizzano la "brigata Ruspo".

Nel Polesine l'azionista Mario Ambrosi ha dato origine ad una "brigata Giustizia e Libertà".

I BOMBARDAMENTI AEREI E LA RESISTENZA

II primo bombardamento aereo nel Veneto ha luogo a Padova il 16 dicembre 1943. In pochi minuti, verso l'una di una giornata limpi­dissima, vengono sganciate settecento bombe nella zona dell stazione ferroviaria colpendo soprattutto il borgo dell'Arcella: i morti sono più di trecento.

Da allora le incursioni aere si abbattono su tutta la regione, e non c'è città che ne vada esente.

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Le proteste più aperte contro questo sistema di guerra si alzano dai vescovi, e particolarmente dal vescovo di Padova Carlo Agostini, i cui discorsi di forte deplorazione vengono strumentalizzati dalla stam­pa ad iniziare proprio da quello per le vittime del 16 dicembre (un quotidiano alla frase "deploriamo vivamente il gesto barbaro" aggiun­ge "del nemico" facendo cosÌ apparire monsignor Agostini dalla parte dei fascisti perchè ha definito "nemico"gli angloamericani.

Ma sono anche eminenti personalità della Resistenza a prote-stare.

Egidio Meneghetti su "Il Gazzettino" aveva annunciato la morte della moglie e dell'unica figlia nella prima incursione a con impressio­nante forza di credente usando le parole: "Che Dio perdoni ai colpe­voli". Ciò poteva far pensare ad una rassegnazione a quel tipo di azio­ne bellica come dovuto alla spietata logica della guerra; e in quei "col­pevoli" si potevano vedere quanti non avevano fatto il possibile per evitare la guerra o addirittura l'avevano voluta.

Ma dopo il bombardamento su Treviso del 7 aprile anch'egli deplora sul foglio clandestino del lO maggio "Fratelli d'Italia" i bom­bardamenti angloamericani perchè recano danni minimi ai tedeschi e e massimi agli italiani contribuendo all'esasperazione psicologica.

Con tale scopo messaggi in codice, e tra questi uno molto lungo e dettagliato di Pietro Nenni, vengono inviati agli alleati tramite le Missioni Militari.

Queste proteste contribuiscono ad indurre gli angloamericania mutare tattica nelle azione aeree in Italia. Dopo la primavera del 44 le incursioni diventano più frequenti ma più selettive cercando di evitare i popolosi quartieri. Sull'Italia, a differenza di quanto avviene per la Germania in cui i bommbardamenti a tappeto continuano, compaiono meno frequentemente le grandi formazioni di quadrimotori, mentre diventano quasi quotidiane quelle minori di caccia e di cacciabombar­dieri per colpire in picchiata ponti, svincoli ferroviari, aereoporti e centri di produzione industriale.

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CAPITOLO 20

IL PERFEZIONAMENTO GERARCHICO DEL CLNAI

LA LIBERAZIONE DI ROMA E LA RESISTENZA

Roma viene liberata esclusivamente dall'azione militare degli Alleati.

La sera del 4 giugno tra l'entusiasmo del popolo arrivano le prime camionette americane a Piazza Venezia.

Mentre Mussolini ordina quattro giorni di lutto nazionale, il popolo romano non solo festeggia i liberatori, ma accorre al mattino del 5 anche in piazza San Pietro ad acclamare Pio XII quale "defensor

civitatis". Il pontefice, che aveva già trattato l'argomento con il gene­rale Wolff, nel suo radiomessaggio del 12 marzo aveva invocato ener­

gicamente che la città fosse risparmiata sia dai tedeschi che dagli alleati:

"Come potremmo credere che alcuno possa mai osare di tramu­tare questa alma città in un campo di battaglia, in un teatro di guerra perpetrando così un atto militarmente inglorioso, quanto abominevole

agli occhi di Dio e di una umanità cosciente dei più alti e intangibili valori spirituali e morali?".

In quel "alcuno" di questa domanda coraggiosa, si può facil­mente leggere l'allusione ad Hitler, intenzionato a fare di Roma una seconda Stalingrado.

Il fatto negativo sul piano resistenziale che Roma sia stata libe­rata senza il contributo dei partigiani è argomento ancor oggi di discussione.

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l'Br~ente e salutare parola Di Pio XII oinanzi a sterminata mollitudine ~i popolo accorso n'ogni parte dell'elerna ~ittà a fennefe oma~~io al Papa per /a sa/vezza uBII'Ur~e

Nostre Informillionl

Il discorso di Pio XII del 6 giugno 1944, dopo la liberazione di Roma. un invito a "frenare gli istinti del rancore".

Il motivo plausibile e più accettato sembra sia da ricercare nella

forte depressione morale causata dall'eccidio delle fosse Ardeatine e nella perdita delle menti direttive della resistenza romana. In quella

strage periscono, infatti, l'operaio Valerio Fiorentini, l'organizzatore comunista della lotta nelle borgate, e l'intellettuale, pure comunista, Gioacchino Gesmundo, che lascia scritto, quasi presago della sua

fine: "Se dovessi pur morire, che farei di straordinario? Non altro che il mio dovere."

Vi sono trucidati anche molti ufficiali, tra cui il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, il massimo organizzatore militare, il generale Simone Simoni, eroe della prima guerra mondia­

le, e il generale Dardano Fenulli, accorso a difendere Roma nella resi­stenza a Porta San Paolo del 9 settembre 1943.

La tragedia della rappresaglia conseguente all'attentato di via Rasella ha trovato un degno posto anche nella letteratura contempo­

ranea. Il profondo strazio per l'immane eccidio ha suscitato nel poeta

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Corrado Govoni, che alle Fosse Ardeatine ha perduto il figlio Aladino, versi di appassionata partecipazione storica nella visione di un cosmi­co dolore.

Nonostante nessuna azione partigiana e tanto meno insurrezione popolare vi siano state alla vigilia del 4 giugno, la Resistenza ha ugualmente i suoi martiri dell'ultimo giorno di occupazione tedesca

senza che vi sia alcun motivo di rappresaglia. Quattordici detenuti politici della prigione tedesca di via Torquato Tasso vengono trucidati in località "La Storta": tra essi il sindacalista di grande valore Bruno Buozzi e il generale Pietro Dodi.

IL GOVERNO BONOMI E IL PERFEZIONAMENTO MILITARE

DELLE FORMAZIONI PARTIGIANE

Con il mese di giugno l'armamento dei partigiani migliora note­volmente in seguito all'intensificarsi degli aviolanci degli Alleati.

L'organizzazione gerarchica subisce un progresso in senso unitario, favorito dalla caduta del secondo governo Badoglio (con vivo disappunto di Churchill in una lettera a Stalin e in una a Roosevelt) e dalla nascita del governo Bonomi (18 giugno) in cui, oltre ai precedenti ministri Togliatti Sforza e Croce, compaiono anche De Gasperi e Saragat a dare un maggior significato di netta rottura con il passato fascista.

Infatti il giorno successivo all'entrata in funzione del nuovo governo, in seno al CLNAI viene costituito il Corpo dei Volontari per la Liberà (CV L) con un comando generale politico così composto: Mario Argenton per il Partito liberale italiano; Enrico Mattei per la Democrazia cristiana; Luigi Longo per il Partito comunista italiano; Guido Mosna per il Partito socialista italiano di unità proletaria; Ferruccio Parri per il Partito d'azione.

160

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l\Io!!.e , .. <tifionz!onl· lan. g" la c."la 'rane ... """ n" st.l~ oOnq"i.mle " In lin.a di dlto.n • stala in.

Il "Corriere di Roma", quotidiano di informazioni, del 6 giugno 1944 con l'annun­cio dello sbarco degli Alleati sulla costa settentrionale francese. Il nuovo fronte farà passare in secondo ordine ilfronte italiano.

161

LA VOCE REPUBB!J/CANA Por Iillibol'il ilei Paese la Monarchia

QI10T'~D~.4NO D.1.

'," "

"La l!rJce Repubblicana" del 14 Giugno 1944 propone nell'articolo difondo l'al­lontanamento del Re e del Luogotenente in attesa della Costituente, che dovrà sce­gliere tra monarchia e repubblica.

Ma sostanzialmente più che il comando generale sono i rispetti­vi consigli di partito a dirigere le proprie brigate, che ormai si distin­gnono con una denominazione comune a seconda della propria appar­tenenza ad un partito. Le comuniste sono dette "brigate Garibaldi"; le

azioniste, "brigate Giustizia e Libertà"; le socialiste, "brigate Matteotti"; le democristiane, "brigate del popolo" (nella Carnia chia­mate anche "Fiamme verdi" per distinguerle dalle comuniste "Fiamme rosse"), le repubblicane, "brigate Mazzini". Spesso in ogni brigata, oltre a uno o più comandanti militari, c'è il commissario politico, che ha la funzione di trasmettere ai combattenti l'ideologia del partito affinché l'Italia che verrà costruita non sia ripetitiva della precedente.

Non mancano le formazioni dette "autonome" in quanto non sono legate ad alcun partito e agiscono indipendentemente dal CLNAI. Sono composte in maggioranza da ufficiali e militari, quasi sempre moderati sul piano sociale e di diverso pensiero politico.'

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Completamente a sè stante è la brigata di Giuseppe Marozin operante nella Lessinia e nelle montagne di confine tra la provincia di Vicenza e di Verona. In maggio ingaggia contro i nazifascisti una vera battaglia nella zona di Durlo, Crespadoro, Marana, Altissimo; attacca con successo le caserme di Vestenanuova e di Illasi provocando le

conseguenti rappresaglie. La liberazione di Roma; lo sbarco in Normandia due giorni

dopo; e l'offensiva dell'esercito sovietico che snpera i confini della Russia, portano a pensare imminente la fine del conflitto; e spingono il CLNAI ad intensificare la sua opera di esortazione alla guerra di resistenza che vuole far culminare e terminare in una insurrezione con partecipazione e sostegno morale da parte del popolo.

Infatti il 14 giugno il CLNAI emana un "Proclama per l'insurre­zione nazionale", intesa come liberazione delle città prima dell'arrivo degli Alleati. Per poter meglio agire in questo senso, il CLNAI il 24 giugno esige ed ottiene una formale sanzione dei suoi poteri da parte del governo Bonomi, anche se di fatto riteneva di averla già.

Per rafforzare questo diritto ai pieni poteri chiede alle autorità alleate e al governo dell'Italia liberata un consigliere militare. Ma gli Alleati e il governo Bonomi vogliono dare ben più di un consigliere, vogliono imporre un comandante supremo, e vi designano il generale Raffaele Cadorna, che verrà paracadntato a metà agosto in val Cavallina nel Bergamasco.

Dopo molte controversie in seno al direttorio, il 3 novembre il CLNAI ratifica la nomina a comandante supremo del generale Raffa­ele Cadorna. Questi viene affiancato da due vicecomandanti (Luigi Longa, comunista, e Ferruccio Parri, azionista), da un capo di Stato maggiore (il socialista Guido Mosna, poi sostituito da Sandra Pertini) e da due membri del comando pure espressioni di partito (Mario Argenton liberale ed Enrico Mattei democristiano).

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CAPITOLO 21

I SUCCESSI PARTIGIANI DELL'ESTATE 1944

Oltre alle vittorie degli angloamericani e dei russi e all'appena

iniziata rivolta di Varsavia, a far scattare l'offensiva delle formazioni partigiane dipendenti dal CLNAI nell'estate del '44 sono le contempo­ranee azioni militari dei partigiani dell'Italia centrale e in particolare

del CTLN (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale).

LA LIBERAZIONE DI FIRENZE

Il 27 giugno il generale Kesselring assume personalmente la lotta antipartigiana, deciso a stroncarla. A tale scopo fa pubblicare un

bando in cui si sancisce la pena di morte per ogni combattente o favo­reggiatore catturato, e le più spietate rappresaglie sugli abitanti dei

luoghi dove si verificassero atti ostili alle truppe germaniche. Nonostante la crudeltà degli eccidi ordinati da Kesselring per

spianare la strada alla ritirata tedesca in vista di una strenua difesa

sulla "linea gotica" (basti considerare che da Gubbio a Figline di Prato circa cinqnecento civili vengono fucilati o impiccati), la divisione garibaldina e le brigate autonome ostacolano pesantemente l'armata

tedesca e riescono mediante un'azione convergente con le avangnardie

alleate ad occupare i sobborghi di Firenze. Il 4 agosto i partigiani entrano assieme agli alleati da Porta ,

Romana, ma qui si arrestano, mentre i tedeschi, che hanno già fatto

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saltare tutti i ponti sull'Arno ad eccezione del Ponte Vecchio, procla­

mano lo stato di emergenza e iniziano la difesa ad oltranza assieme alle forze militari repubblicane.

L' 11 agosto nella città di Firenze il CTLN dà l'ordine di insurre­zione generale e assume il governo della città nominando sindaco il socialista Gaetano Pieraccini.

La battaglia della insurrezione si protrae fino al 2 settembre combattendo soprattutto nei quartieri della parte settentrionale della

città, dove si sono asserragliati i fascisti e oltre un migliaio di tedeschi decisi ad una resistenza che permetta al grosso delle loro forze armate di raggiungere più facilmente la linea gotica.

Dal 3 agosto al 2 settembre i partigiani della città conteranno 205 morti, 18 dispersi e oltre 400 feriti. I fiorentini con tanto sacrifi­

cio di vittime possono consegnare agli alleati la loro città, già libera e con insediati nelle cariche pubbliche uomini della Resistenza, evitan­

do così il personale di carriera che della Resistenza non ha gli ideali e spesso conserva l'ideologia del regime.

Inoltre, liberando Firenze dall'interno con i combattimenti per le vie della città, si sono resi benemeriti di fronte al mondo culturale di aver evitato il bombardamento da parte degli alleati, che avrebbe cau­

sato irreparabili danni al patrimonio artistico dell'Atene d'Italia.

L'nFFENSIVA NELL'ITALIA SETTENTRIONALE

Nel Piemonte, i garibaldini di Cino Moscatelli occupano

Borgosesia e tutta la Val Sesia, mentre gli autonomi di Maggiorino Marcellin prendono possesso della Val Pellice e della Val Chisone.

In Lombardia, i partigiani della Val Camonica e della Val Cavallina, dove viene paracadutato il generale Cadorna, sono attivis­simi e danneggiano tutti gli aereoporti lombardi. Accanto alle forma­

zioni comuniste va formandosi, specie nella pianura lombarda, una

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consistente presenza di partigiani cattolici sotto la guida di Enrico Mattei.

Non minore azione di sabotaggio effettuano le forze partigiane, in maggioranza garibaldine, nella Liguria, riuscendo a liberare l'Appennino ligure dalla Val Scrivia alla Val Trebbia.

Più forte ancora è l'offensiva in Emilia dove i contadini fanno

corpo nnico con i volontari della libertà. Il comando delle brigate garibaldine si insedia a Montefiorino: il contadino rivoluzionario modenese Armando Ricci, figura emblematica, prospetta la possibilità di una insurrezione popolare di tutta la provincia di Modena.

LE REPUBBLICHE PARTIGIANE E "IL VENTO DEL NORD"

Il 22 giugno a Montefiorino (Modena) nasce la prima repubbli­ca partigiana, che resisterà fino al 3 agosto.

In questo periodo sorgono circa una quindicina di "zone libere" nell'Italia settentrionale, cioè staccate dalla RSI e senza presidii tede­schi, cacciati dai partigiani o ritiratisi spontaneamente. Occupate da reparti armati partigiani e sotto il pieno controllo dei partiti, sono denominate anche "repubbliche partigiane".

Ad eccezione del Veneto, non c'è regione in cui non ve ne sia quaIcuna. In Emilia, la già nominata di Montefiorino; in Liguria si afferma la piccolissima di Torriglia; in Piemonte quella di Alba che si estende nella zona delle Langhe, e la ben più vasta dell'Ossola; in Lombardia quella dell'Oltrepò Pavese; ed infine nel Friuli la più dura­tura di tutte: la "Carnia Libera".

Il periodo delle repubbliche partigiane, secondo il pensiero degli storici, inf1uisce certamente, assieme alla stessa RSI, sul popolo per il passaggio dalla istituzione monarchica, che per alcune categorie di cittadini appariva insostituibile, a quella repubblicana. Queste piccole forme di Stato e di governo autonomo ovunque respingono la facile tentazione della "dittatura militare".

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L'aspetto più singolare sta nel fatto che esse assumono non solo una struttura militare a scopo difensivo, ma anche una amministrativa e sociale dimostrando la forte esigenza di rinnovamento delle popola­zioni settentrionali, chiamata dalle forze di sinistra "il vento del Nord". Quanto mai significativa sotto tale aspetto è l'ultima repubbli­ca partigiana in ordine cronologico, quella di Alba (Cuneo), che pur

durando soltanto dal IO ottobre al 2 novembre, tra i primi provvedi­menti del suo governo attuerà la ricostituzione dei sindacati liberi.

Espressione di questo "vento del Nord" è anche il congresso nazionale del Partito d'Azione, di spiccata tendenza riformatrice nei riguardi di una maggior giustizia sociale (le sue brigate partigiane si sono denominate "brigate Giustizia e Libertà" per evidenziare tale istanza) che si tiene a Cosenza dal 4 al 7 agosto. Di questo bisogno di rinnovamento si fanno portavoce nei quattro giorni di dibattiti U go La Malfa per la corrente liberaI-democratica, ed Emilio Lussu per la cor­rente socialista.

Tra le repubbliche partigiane le più importanti sono quelle dell'Ossola e della Carnia, non solo per la loro maggiore estensione geografica, ma anche per le loro iniziative democratiche.

LA REPUBBLICA DELL'OSSOLA

La repubblica dell'Ossola, in Piemoute, che si estende lungo la valle del Toce, dura dal lO settembre al 21 ottobre. Nasce per una improvvisa fortunata azione dei partigiani che liberano il centro mag­giore della vallata, Domodossola, e creano il panico nel nemico, che ritiene opportuno abbandonare l'intero settore.

Umberto Terracini e Concetto Marchesi ne sono gli animatori: il primo come segretario generale, il secondo come educatore alla vita democratica. Infatti l'illustre letterato tiene in piazza corsi di democra­zia in un'atmosfera morale in cui, come scrive Adriana Burdese, ognu­no voleva essere uguale nei diritti e migliore nei doveri.

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Anzitutto, questo piccolo Stato stringe rapporti con la confinan­

te Svizzera come fosse una vera e propria nazione; e la Svizzera ne ratifica un trattato commerciale. In questa repubblica ci si preoccupa dell'attività giudiziaria, ed in particolare che gli ordini di carcerazione

siano sempre emessi dall'autorità di polizia ordinaria. Si dà inoltre

grande importanza ad una corretta istruttoria per i reati politici per

non cadere negli abusi del fascismo. Vengono elette le "delegazioni civili", tenute distinte dalla sfera

di attività dei commissari politici. I delegati civili devono dedicarsi

esclusivamente a preparare la vita democratica. Le giunte comunali sono costituite a volte con regolari elezioni,

ma più spesso, date le situazioni transitorie e precarie delle zone libe­re, la votazione è quella "per alzata di mano". Si affrontano i problemi più impellenti come quello dei generi alimentari cercando di conci­

liare gli interessi dei contadini produttori con quelli dei consumatori. Si affronta anche la delicata questione delle tasse, che non potrà

essere portata a termine.

LA REPUBBLICA DELLA CARNIA

E' la repubblica partigiana che perdura più a lungo di tutte: dal 26 settembre, dopo aver sgominato la roccaforte nazista di Sappada,

fino ai primi di dicembre. Massima importanza viene data alla legislatura in campo fisca­

le. All'articolo I si dichiarano "soppresse tutte le imposte dirette e indirette"; all'articolo 2 si stabilisce una imposta progressiva sul patri­

momo. Nella. Carnia domina il desiderio di una giustizia penale senza

l'ombra della vendetta, improntato ad un senso di umanità. J

Si sancisce, pertanto, l'abolizione della pena di morte; si stabili-

sce che il difensore deve essere una persona di fiducia dell'imputato.

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Si attua il ripristino della giuria, abolito dal fascismo, e si preci­sa che i giurati devono essere tratti dalle organizzazioni di massa ade­

renti al CLN. Si affronta anche la riforma in campo scolastico, e per le ele­

mentari si ritorna alla lettura del libro "Cuore", cioè alla "educazione

dei sentimenti" come reazione alla precedente educazione marziale

del regime.

LE AZIONI MILITARI DEI PARTIGIANI NEL VENETO OCCIDENTALE

Nella città di Verona un GAP di sei uomini il 17 luglio libera dalla prigione degli Scalzi il sindacalista Giovanni Roveda. L'impresa estremamente audace (quasi impensabile nella città scaligera, disse­minata di guarnigioni tedesche sapientemente collocate dal generale Haster) riesce a duro prezzo. Rimangono uccisi i partigiani Lorenzo Fava e Danilo Pretto, mentre gli altri quattro, sebbene feriti, riescono a fuggire.

UN DISCORSO 01 HITlER DOPO l'ATTENTATO COMPIUTO DA UN GRUPPO DI TRADITORI

"Nell'essere scampolo vedo un segno de' dovere che m'incombe di con'inuare lo mia opercv,

llfallito attentato ad Hitler del 20 luglio 1944 viene sfruttato dalla propaganda nazista come un segno di appoggio della Provvidenza alla guerra dell'Asse.

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A Verona, dove le spie dei nazifascisti sono numerose, ai primi

di luglio vengono arrestati tutti i componenti del secondo CLN pro­vinciale (il primo era stato pure completamente arrestato già il 25

novembre 1943). Il presidente del CLN veronese, il professor Francesco Vi viani,

l'intellettuale antifascista più rappresentativo di Verona, viene arresta­

to mentre suona il pianoforte nella sua casa di via Cappello, sempre incurante della propria incolumità. Dopo aver subito per quindici giorni le torture più crudeli nella prigione di Montorio e successiva­

mente in quelle degli Scalzi, finirà nel lager di Buchenwald. Sopporterà il suo calvario con ammirevole dignità. Morirà il 9 aprile

1945 ricordando la luce della sua Verona, come sarà testimoniato da

Giovanni Longhetto, reduce dallo stesso lager. Di fronte alla grave situazione, il capitano Carlo Perucci, capo

della missione militare RYE operante nella provincia di Verona con . ' '

lo scopo dl salvare la precaria resistenza veronese priva del CLN, cerca di stringere un accordo con Giuseppe Marozin per unità d'azioni

antitedesche. Intanto per diretto intervento nella città scaligera ,di Egidio

Meneghetti, figlio di Verona, a fine luglio viene costituito un terzo

CLN provinciale con Gianfranco De Bosio della DC, Renato Tisato

del Pd'A e Carlo Melloni del PCr. Nel veronese il comandante Giuseppe Marozin con i suoi parti­

giani combatte a Vestenanova, a Campofontana e nella Valle del Chiampo. Successivamente con la sua "brigata Pasubio" attacca il lO

agosto il grosso presidio di Monteforte d'Alpone. A rafforzare le forze partigiane, a render più valido il nuovo

CLN veronese, la "brigata Garemi" invia un nucleo di sette uomini sul monte Baldo, che costituiscono la prima formazione comunista ope­rante nella provincia di Verona. Cresciuta rapidamente e djvenuta

"brigata Avesani", il 7 settembre conquisterà e presidierà temporanea­

mente il paese di Ferrara di Monte Baldo

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ASSALTI E SABOTAGGI NEL VENETO CENTRO-ORIENTALE

Nella provincia di Belluno, a ridosso della quale esiste la repub­

blica della "Carnia libera", le formazioni bellunesi non danno tregua

con assalti ai presidi nazifascisti.

Il più clamoroso è senza dubbio quello che va sotto il nome di "Beffa di Baldenich", dal nome di quel sobborgo bellunese. Trenta

partigiani della brigata comunista "Nannetti", e precisamente del "distaccamento Ferdiani", al comando di Mariano Mandolesi, il 15 giugno scendono di notte da Bolzano Bellunese e si presentano al car­

cere di Belluno. Sette sono vestiti da tedeschi e vi fanno entrare gli altri come fossero partigiani catturati. Appena entrati,di fronte alle

guardie carcerarie sbigottite, liberano settantatrè prigionieri politici tra i quali Eliseo dal Pont, organizzatore del pcr bellunese, e Francesco

Pesce, figura di primo piano della Resistenza comunista. I Tedeschi si vendicano con l'arresto in provincia di trecento

ostaggi, poi quasi tutti rilasciati, e la fucilazione del comandante dei

partigiani feltrini, il colonnello Angelo Zancanaro insieme al figlio e

ad altri cinque partigiani. La brillante operazione suscita entusiasmo e porta alle brigate partigiane garibaldine circa altri cinquecento uomini

decisi a combattere. Attorno al Grappa, la brigata socialista "Matteotti" il 25 giugno

assalta la caserma tedesca di Fonzaso, il 27 la stazione ferroviaria di

Fener, il 7 luglio combatte contro i tedeschi per le vie di Feltre. Il 13 luglio la divisione comunista "Garibaldi-Nanetti" con la

"Brigata Vittorio Veneto" occupa il Cansiglio e con la "Brigata Mazzini" tiene sotto controllo la pedemontana trevigiana da Guia a Follina.

Mentre il Mussolini della RSI per la seconda volta (il primo incontro era avvenuto il 21 aprile in Austria a Klessheim presso

Salisburgo) va a conferire in Germania con Hitler in coincidenza con

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il fallito attentato di Klaus von Stauffenberg del 20 luglio, le azioni armate dei partigiani veneti si intensificano,

Il 16 agosto la "brigata Matteotti" assalta la villa Volpi di Maser: qui i carabinieri di guardia passano alla Resistenza e costituiscono un

gruppo autonomo al comando di Luigi Guarnieri, eroico martire nella difesa del Monte Grappa in settembre,

La "brigata Italia libera", con l'appOito del gruppo di ispirazione azionista di Ludovico Todesco (il cui cugino prof. Mario, cattolico, militante nelle file del partito d'Azione, era stato trucidato a Padova il

29 giugno), assale ripetutamente il presidio fascista di Possagno. Sull'Altopiano di Asiago la vicentina "brigata Mazzini", al

comando del cattolico Giacomo Chilesotti, attacca la caserma di Lusiana il 20 giugno. Il "battaglione Sette Comuni", scioltosi dopo il

rastrellamento del 5 giugno, si ricompone rapidamente per impulso di Giuseppe Dal Sasso, che stabilisce il comando della formazione sul monte Kaberlaba.

Il 5 agosto i partigiani compiono una sfilata dimostrativa sull'al­topiano tra Canove e Roana.

Questi reparti di combattenti sono in stretto collegamento con la missione alleata "Fluvius" del maggiore inglese WilKinson, ed

hanno lo scopo di liberare tutta la zona in previsione di un aviosbarco alleato sull'altopiano.

Nonostante la rappresaglia nazifascista dell'8 agosto, che ha portato alla distruzione di settantaquattro case a Camporovere, le due brigate, unite insieme, nei giorni 26 e 27 agosto ingaggiano una batta­

glia contro la caserma fascista di S. Caterina di Lusiana. La ripetono il 29, ma non riescono ad espugnarla. Solo il 30 mattina riescono ad ottenere la resa dei fascisti appartenenti alla "squadra Ettore Muti".

Particolarmente attiva è la "brigata Ateo Garemi" nel vicentino,

che cattura due generali giapponcsi dell'ambasciata nipponica a Salò e un ingegnere tedesco a servizio di Kesselring per le linee di fortifica­zione. Attacca inoltre la caserma di Valli del Pasubio, quella di

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Tonezza e la sede della Marina Repubblicana di Montecchio Maggiore.

La "Garemi" viene attaccata dai tedeschi]'] l agosto in Val Posina. Il comandante Nello Boscagli avverte la necessità che i reparti si sgancino rapidamente per evitare la distruzione. A malga Zonta, per

salvare la maggior parte dei componenti la brigata, Bruno Viola si

sacrifica assieme ai suoi diretti gregari.

Nel veneziano il 26 maggio i partigiani della brigata "Guido Negri" di Caltana con la collaborazione del cappellano don Antonio Pegoraro ordiscono una trama a danno di tre caserme di Dolo. Sarà

detta la "beffa di Dolo". Agendo di sorpresa durante la notte, ottengo­no, senza colpo ferire, un grosso bottino di armi con un assalto che sarà creduto un'incursione di partigiani slavi.

Don Antonio Pegoraro, ormai continuamente sospettato, ripara sul Monte Grappa, e diventa il capellano delle formazioni partigiane

accampate sulle cime di quel baluardo alla vigilia del tragico rastrella­mento.

A Venezia un commando di GAP distrugge il palazzo Ca' Giustinian, sede della federazione fascista, con conseguente fucilazio­

ne, il 28 luglio sulle macerie dell'edificio, di tredici ostaggi per rap­presaglia, di cui undici sono cittadini di San Donà di Piave.

Nel vicentino il 28 aprile viene giustiziato il farmacista Mario Dal Zotto, commissario repubblicano del comune di Thiene.

Anche a Padova e nel padovano entrano in azione alcuni gappi­sti. Il 25 maggio, approffitando di un allarme aereo, uccidono il tenen­te colonnello Luigi De ViIla, comandante del distretto militare di

Padova. Nello stesso giorno viene ucciso a Cadoneghe il fascista Cesare Besana.

L'8 giugno a Valsanzibio è ucciso, mentre ritorna in famiglia ,il milite Paolo Montini; due giorni dopo Giuseppe Begon, segretario

politico del fascio repubblicano di Vigonza, cade colpito mortalmente mentre percorre in bicicletta la strada di Perarolo.

173

I partigiani della brigata "Guido Negri" dalla zona di Dolo

estendono la loro azione al Piovese. E' loro costante preoccupazione

di evitare vittime tra i civili non solo per rappresaglia ma anche come

conseguenza della pericolosità dei sabotaggi stessi.

Esemplare, sotto quest'ultimo aspetto, è la distruzione dei due

ponti di Pontelongo, ferroviario e stradale a seguito dell'ordine ricevu­

to, tramite la missione MRS, dal comando dell'Ottava armata. Se

entro tre giorni i due ponti non fossero stati resi inservibili, sarebbero

entrati in azione i caccia-bombardieri.

Il movente primo della distruzione per i partigiani della "Guido

Negri" diventa, quindi, quello di impedire il bombardamento aereo

alleato dei ponti, situati nel centro del paese con prevedibili centinaia

di vittime.

L'impresa è realizzata nella notte tra il 3 e il 4 settembre, nono­

stante il rischio di essere scoperti facilmente, essendovi a soli cinque­

cento metri di distanza un accampamento di militari della Werlnacht.

Guidati da Antonio Ranzato, tenente paracadutista, ne sono

principali autori i giovani Sergio Cardin, Ubaldo Ferin, Fernando

Milani, Antonio Noventa, Brunello Rutoli, Antonio Ceron e Alfio

Spagna. Divenuti per l'occasione "uomini rana", realizzano l'impresa

lavorando fino all'alba nelle acque del Bacchiglione attorno ai pilastri

dei ponti. La successione delle potenti esplosioni non provoca alcuna

vittima, essendo stato predisposto un adeguato servizio di vigilanza al passaggio.

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CAPITOLO 22

LA REAZIONE NAZIFASCISTA

LE SPERANZE DEL CLNAI E IL REALISMO DI KESSELRING

L'ottimismo pervade i partigiani nell'estate del '44: lo sbarco

degli alleati in Provenza con la liberazione di Tolone il 26 e di

Marsiglia il 28 agosto fa sperare in un arrivo degli alleati dalla parte

della Liguria. A fine agosto, mentre gli alleati entrano in Firenze già liberata

dai partigiani e con sindaco e prefetto nominati dal CTLN, a Milano i

componenti il direttorio del CLNAI sono convinti che la fine del con­

flitto europeo sia vicina, o, almeno, sia vicina la liberazione dell'Italia

dallo straniero e dal ripristinato fascismo in veste repubblicana. Si

ritiene che quel complesso di fortificazioni stese tra La Spezia e

Rimini, detto "linea gotica", non possa ostacolare molto l'avanzata

della Ottava armata inglese e delle Quinta americana, contemporanea­

mente prementi ai due estremi del sistema difensivo tedesco. In previsione di tale avvenimento tanto atteso, il CLNAI elabora

i piani per l'insurrezione generale e il 20 settembre dirama un procla­

ma. Al contrario, il generale Kesselring, dimostrando spiccato intui­

to militare, ritiene possibile un arresto prolungato degli angloamerica­

ni sulla "linea gotica" per vari motivi. Anzitutto per la riduzione delle

forze nemiche in seguito all'impiego di parte di esse allo sbarco in

Provenza del 15 agosto; in secondo luogo per la maggior importanza

17S

data dagli alleati al nuovo fronte aperto in Normandia, chiamato

appunto "Overlord", cioè sovrano (a dirigere il quale era stato chia­mato Eisenhower, togliendolo dallo scacchiere del Mediterraneo e sostituendolo con il generale Harold Rupert Alexander, ritenuto infe­

riore come stratega, portato a temporeggiare). In secondo luogo per le asperità e l'impervietà delle zone montuose; infine per l'avvicinarsi

delle piogge autunnali con le relative piene dei fiumi.

Ma per opporre una resistenza forte e tranquilla alle truppe di Alexander, egli ritiene assolutamente necessario liberare la linea goti­

ca da ogni possibile attacco locale dei pattigiani, da lui definiti "belli­geranti illegittimi", e dalle popolazioni loro fiancheggiatrici.

LE STRAGI DI WALTER REDER

Il maggiore Walter Reder, con un battaglione speciali~zato di SS, diventa l'attuatore più crudele del "piano Kesselring". A lui gene­ralmente nei libri di storia viene attribuito l'eccidio del 12 agosto di 560 civili a Sant'Anna di Stazzema in Versilia, sebbene due sentenze

lo abbiano scagionato. In questo periodo compie l'uccisione di cento­sette innocenti a Valla e di 53 ostaggi a San Terenzio, al di là dell'Appennino lucchese.

Devastato il paese di Bergiola, arriva alla fine di settembre nella provincia di Bologna.

Il 28 settembre a Marzabotto, nei pressi di Bologna, inizia e attua il maggiore eccidio di tutta la guerra di Resistenza. Dal 28 set­

tembre all' l ottobre vengono trucidate 1.830 persone, di cui almeno un centinaio bambini, due suore e cinque preti.

Scri ve lo storico Roberto Battaglia:

"Le 55 si divertivano a gettar bambini vivi tra le fiamme, a

decapitare neonati nel seno delle mamme, a scempiare i cadav;ri."

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I GRANDI RASTRELLAMENTI TEDESCHI SULLE MONTAGNE VENETE DEL SETTEMBRE 1944

Fortemente convinti dell'imminente arrivo degli alleati sulla pia­

nura padana sono i pattigiani veneti, tanto più che in previsione di tale

avvenimento è stata inviata iu precedenza la missione alleata del mag­giore John Wilkinson, che ha assunto il nome di battaglia "Freccia".

Lo scopo precipuo di questa missione è di coordinare la resistenza dal fiume Adige fino al Livenza, per cui è denominata "Fluvius".

Alla luce di questa convinzione si possono spiegare le azioni

audaci di giugno, di luglio e di agosto dei partigiani veneti e la difesa ad oltranza delle loro basi militari dai massicci rastrellamenti tedeschi

di settembre. L'operazione sistematica dei grandi rastrellamenti incomincia il

3 settembre 1944. I tedeschi investono a Montecchia di Crosara (VR) una parte

della "brigata Pasubio" di Marozin. A causa di questo iniziale scontro

sette civili vengono fucilati per rappresaglia. Il Marozin salva gran parte dei suoi partigiani con il sistema

dello sganciamento; ma perseguitati nella zona delle valli tra il vero­nese e il vicentino finiscono per essere dispersi. Lui, rifugiatosi nella

zona Crachi-Rama, accetta il consiglio di Carlo Perucci della Missione militare RYE di unire il resto della sua brigata ai partigiani di Umberto Ricca per costruire la divisione Pasubio. La nuova forma­

zione finirà annientata alla fine di settembre, mentre Marozin con

pochi fedeli riesce a passare in Lombardia. Il 6 settembre la divisione comunista "Nannetti", abbandonata

Caviola (Belluno), dove vengono uccisi dai tedeschi per rappresaglia

sedici civili, si ritira sul Cansiglio. Considerata impossibile e dannosa la resistenza ad oltranza, nella· notte del 9 viene dato l'ordine di sgan-

177

ciamento dei vari reparti. Con questa tattica, sempre usata dalle briga­te comuniste, anche se dispersi, i partigiani della divisione Nannetti si salvano nella quasi totalità permettendo una prossima ricostituzione della fOlmazione partigiana.

I nazifascisti, trovando l'altopiano abbandonato e non potendo quindi annientare i "ribelli", diventano perdenti.

LA BATTAGLIA SULL'ALTOPIANO DI ASIAGO

Contemporaneamente al rastrellamento sull'altopiano del Cansiglio, il 6 e il 7 settembre uno di non minore forza aggressiva investe l'altopiano di Asiago nella zona del Bosco Nero e di Granezza, dove la "brigata Mazzini" e quella "Sette Comuni" decidono di resi­stere al nemico di gran lunga superiore.

Rinaldo Arnaldi (Loris), vicentino di Dneville, cade nell'eroica difesa della sua posizione in cui ha voluto rimanere da solo per pro­teggere i compagni di combattimento che tentano la sal vezza estrema riparandosi nel Bosco Nero.

Arnaldi assieme a Giacomo Chilesotti (Nettuno) e a Giovanni Carli (Ottaviano) costituivano una specie di triunvirato di matrice cat­tolica, impegnato ad organizzare e a rendere efficente il movimento partigiano su tutto l'altopiano e lungo la pedemontana vicentina. Di Arnaldi, particolarmente amato dai montanari, la motivazione della medaglia d'oro al valor militare dice: "Si accasciava sull'arma arro­

ventata, leggendario eroe, uno contro mille".

Sopraffatta con notevole superiorità di uomini e di armi la "bri­gata Sette Comuni", i nazifascisti si accaniscono sui prigionieri: quat­tordici vengono seviziati e uccisi, e altri sedici finiti a colpi di pietra a Mazze di Granezza.

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LA BATTAGLIA SUL MASSICCIO DEL GRAPPA

Annientati i partigiani nelle zone laterali del Veneto, rimane al centro il baluardo del massiccio del Grappa.

Dal punto di vista numerico le forze partigiane, concentrate sulle cime del vasto complesso montuoso, dalla primavera all'estate si

sono notevolmente accresciute. Vi affluiscono molti giovani soggetti alla leva, il cui bando

commina pene draconiane ai renitenti, compresa la capitale ; gli ex prigionieri inglesi, che ormai sono impossibilitati a raggiungere gli alleati; e anche alcuni transfughi delle forze armate della RSI, quali i carabinieri di Maser.

L'entusiasmo patrio deriva dal ricordo dell'eroica difesa militare nella prima guerra mondiale, sancito dal suggestivo inno "Monte Grappa" (il cui testo era stato dettato - quasi ironia del destino - dal generale De Bono, gerarca fascista condannato a morte dal processo di Verona e fucilato al forte di San Procolo). Il legame con la Storia, infatti, aveva influito nella scelta di questo monte come baluardo per una seconda resistenza armata al secolare nemico tedesco.

La stessa missione alleata "Harold Tilman", lasciandovi come consulente militare il capitano Paul Newton Brietsche, contribuice a dare un significato morale all'insediamento dei partigiani su quel complesso montuoso che domina la pianura veneta. Sarà proprio il capitano inglese durante il rastrellamento, ad incitare all'impari batta­glia ripetendo più volte: "Faremo del Grappa una seconda Verdun",

esortazione destinata a diventare storica. Tre sono le formazioni partigiane occupanti il massiccio alla

vigilia dell'imponente rastrellamento. La maggiore è la "brigata Matteotti" del PSIUP. Dislocata tra la

Val dei Lebi, Cima Grappa e il monte Fredina, ha come comandante in capo Angelo Pasini (Dodici o Longo). Si è formata dall'unione della "brigata Venezia" dell'avvocato socialista Giovanni Giavi (Nani

179

Sabbadin) con i partigiani di Livio Morello (Neri), staccati si dalla comunista "brigata Mazzini".

L'altra formazione è la "brigata Italia Libera dell'Archeson" al comando del maggiore Edoardo Pierotti (maggiore Sandrini), già valoroso combattente in Francia con Peppino Garibaldi alle Argonne

nella prima guerra mondiale. Contrario alla scelta del Grappa perché

ne paventa il pericolo di probabile tragica "trappola", vi sale per amor

patrio. Controlla la zona dell'Archeson, del Tomba e del Monfenera. Sul piano politico è eterogenea.

La terza è la "brigata Italia Libera di Campo Croce", composta

del gruppo di Luigi Toaldo (tenente Gigi) e di quello di Vico Todesco (tenente Giorgi). Questi due ufficiali si sono staccati dall'iniziale unica brigata perché venuti in polemica con il maggiore Pierotti, pro­

penso ad una tattica di attendismo, preoccupato per la vita di tanti gio­vani. La formazione, che ha come comandante in capo Vico Todesco,

domina la zona di Col Serrai, di Campo Croce, dei Colli Alti e di monte Oretto.

Una formazione minore, pure presente sul massiccio nei pressi del Forcelletto alla vigilia della battaglia è il battaglione comunista "Montegrappa" .

Poiché l'umanitario maggiore Pierotti alla notizia del rastrella­mento in preparazione rimanda ai propri paesi molti giovani inesperti

o non armati, i partigiani validi per il combattimento sono poco più di un migliaio, mentre le forze tedesche e della RSI impiegate per il rastrellamento superano abbondantemente i diecimila.

Il 19 settembre i nazifascisti schierano ai piedi del massiccio una fitta rete di posti di blocco affidata alle Brigate Nere di Vicenza e di Treviso.

Il 20 i tedeschi sferrano l'attacco.

La battaglia ha fine alla sera del 23, quando più di un terzo dei partigiani sono caduti con le armi in pugno. Ricordiamo solo alcuni

tra i molti: Vico Todesco caduto sul monte Oro, cui verrà conferita la

180

medaglia d'oro al valor militare; il tenente inglese Hillary e quasi tutto il suo reparto di ex prigionieri difensori del monte Legnarola; e il

tenente Vincenzo Dalle Mule con i combattenti del I battaglione della "Matteotti", massacrati o arsi vivi con il lanciafiamme in Val dei Pezzi. Il tenente Angelo Valle è fucilato assieme alla moglie in attesa

di un bambino e salita sul Grappa per sfuggire alla rappresaglia.

Il rastrellamento, invece, continua e termina soltanto il 28 set­

tembre. Le dimensioni della tragedia sono date dalle cifre: 307 i parti­

giani caduti sul campo. Tra i prigionieri e i civili, vittime della rappre­

saglia: 171 impiccati, 603 fucilati, 800 deportati. Spesso non sono concessi i conforti religiosi; alcuni vengono uccisi davanti alle proprie

case e ai propri genitori. Agli alberi dei viali di Bassano sono impiccati trentadue parti­

giani, confortati dal coraggio di padre Oddone Niccolini che, sfidando

divieti e minacce, sale sull'autocarro dei condannati. Secondo i maggiori storici della guerra partigiana le cause del­

l'esito disastroso della battaglia del Grappa furono molteplici. Anzitutto, dal punto di vista strategico, la scelta della zona mon­

tuosa era stata sbagliata. Privo di corsi d'acqua, povero di boschi, facilmente circondabile, il massiccio del Grappa male s.i prestava alla

guerriglia. Inoltre le varie formazioni di partigiani presenti erano sostenute

da ideali politici spesso contrastanti e divisi. Di quest'ultimo lato

negati vo si era reso conto il CLNRV che tenne una riunione il 7 set­tembre per creare un comando unico militare con la presenza dei com­

ponenti il Comitato militare regionale: Luigi Zonta, Giovanni Tonetti, Giuseppe Calore ed Attilio Gombia. Ma il rimedio non fece in tempo

a raggiungere le formazioni attestate sul massiccio. Infine i capi partigiani, fiduciosi in un imminente arrivo delle

truppe alleate e spinti dalla suggestiva esortazione del capitano ingle­

se Brietsche, decisero la difesa rigida, causa prima dell'annientamento

18t

di tutte le formazioni ad eccezione del battaglione socialista "Buozzi", il cui comandante Livio Morello, usando la difesa manovrata con sganciamento tattico, riuscì a salvare gran parte dei suoi uomini.

RASTRELLAMENTI ED ECCIDI MINORI NELL'ALTO VENETO

A Grancona, nel cuore dei colli Berici, 1'8 giugno, festa del Corpus Domini con un tranello i fascisti uccidono sette renitenti alla leva.

A Fongara, nella Valle dell'Agno, in contrada Borga dove in uno scontro tra partigiani era rimasto ucciso un tedesco, la domenica Il giugno vengono trucidati, in mezzo alle case date alle fiamme, dicias­sette abitanti della contrada, tra cui anche ragazzi.

Il 17 giugno a Valli del Pasubio sono fucilati cinque civili inno­centi a seguito di uno scontro in cui i tedeschi avevano avuti in Vallortigara tre soldati morti. A Crespadoro il 22 dello stesso mese altri cinque morti. Nella vallata del Chiampo il rastrellamento dal 5 al 12 luglio porta l'uccisione di sei civili a San Pietro Mussolino, tra cui il parroco Don Luigi Bevilacqua, trucidato davanti alla madre.

Nell'alto Veronese, in Val d'Alpone, il 3 settembre tre partigiani sono fucilati a San Giovanni Ilarione, e nello stesso giorno a Montecchia di Crosara sono fucilati per rappresaglia cinque civili.

A Piana di Valdagno, a metà settembre, vengono trucidati trenta partigiani ed alcuni giovani non partigiani.

Il 31 ottobre, a Mason Vicentino, per rappresaglia all'uccisione di tre repubblicani, sono fucilati cinque giovani, tutti in regola nei confronti del servizio militare e per nulla partigiani.

Il 27 settembre, a Priabona di Malo, è trovato ucciso il capitano della polizia ausiliaria di Vicenza, Giovanni Polga. QuattrO giorni dopo sullo stesso luogo sono fucilati quattro ostaggi.

182

Il 30 novembre, a Sant'Ulderico di Tretto (Vicenza), cinque civi­li di quella frazione cadono mitragliati dai tedeschi per vendicare un

commilitone ucciso nei pressi delle loro abitazioni.

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CAPITOLO 23

LA REPRESSIONE NAZIFASCISTA NELLE CITTÀ E IN PIANURA

A PADOVA

In via Emanuele Filiberto, davanti al bar Borsa, nel centro della città, il professor Mario Todesco, cattolico militante nel Pd'A e in col­

legamento con la "brigata Silvio Trentin", viene assassinato nella notte tra il 28 e il 29 giugno, dopo essere stato assolto dal processo

del giudice tedesco August Kaiser. Nella stessa notte, a poche centinaia di metri, in piazz~ Cavour,

davanti al bar Racca uguale efferato delitto vien compiuto su Alfio

Marangoni, cassiere di banca. Il cadavere del Todesco, docente stimato nel mondo intellettuale

patavino e molto amato dagli studenti, è così tumefatto e sfigurato che il padre professor Venanzio alla prima vista non lo riconosce.

I! duplice assassinio suscita indignazione nella gente padovana e nel mondo universitario che partecipa numeroso ai funerali assieme al CLNRV, capeggiato dallo stesso Egidio Meneghetti, incurante del

rischio di essere facilmente catturato. Per un paio di settimane la repressione sembra tacere; ma

riprende a seguito dell'uccisione del colonnello Bartolomeo Fronteddu, avvenuta il 16 agosto in via Santa Lucia; il giorno succes­

sivo nello stesso luogo vengono impiccati verso le ore 16 i partigiani Flavio Busonera e Pino Lampioni, assieme ad un comune m,alfattore

della banda Bedin.

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Alle 19 di quell'infausto 17 agosto vengono fucilati sette dete­nuti politici tra i quali il cattolico Luigi Pierobon, comandante del

"battaglione Stella". Giovane studente di lettere di Cittadella sarà , decorato di medaglia d'oro.

Una seconda e ben maggiore attività repressiva è attuata in

novembre dalla squadra di polizia politica del maggiore Malio Carità,

tristemente famosa con la denominazione di "banda Carità". Proveniente da Firenze, dopo breve permanenza a Vicenza, adibisce il

vasto palazzo Giusti di via San Francesco a prigione e casa di tortura. In pochi giorni dal suo arrivo, egli riesce a compiere quanto non

aveva conseguito in un anno il maggiore Friedrich Robert Bosshammer, capo della polizia di sicurezza tedesca SD (Sichereits Dients). Il risultato è dovuto alla esposizione a volte temeraria degli

aderenti al CLNRV e alla collaborazione di un traditore. Il maggiore Mario Carità riesce ad arrestare gran parte del CLN

provinciale, e precisamente Adolfo Zamboni del Pd'A, Giovanni Banchieri del PCI, Sebastiano Giacomelli del PU e Giuseppe Berio

del PSIUP. Soltanto Lanfranco Zancan (Lanza) della DC, braccio destro di Egidio Meneghetti pur nella diversità di ideologia politica,

riesce a sottrarsi e a raggiungere in bicicletta Milano per passare al comando generale delle Brigate del Popolo di matrice cattolica.

Il secondo CLN provinciale viene immediatamente ricostituito

con Luigi Carraro per la DC, Enrico Longobardi per il PCI, Ugo Morin per il Pd'A, Giuseppe Rossi per il PSIUP.

Il CMP (Comando militare provinciale) viene ricostituito con il colonnello Giuseppe Langella, il comunista Virgilio Benetti, il demo­

cristiano Marcello Olivi e l'azionista Dino Fiorol. Otello Pighin prende il comando della brigata azionista "Silvio

Trentin" che porta il nome dell'illustre partigiano deceduto in marzo

per le sofferenze della prigionia; Franco Sabatucci comanda la comu­nista "brigata Garibaldi". Ma nei primi giorni del 1945 viene sferrata

un'ulteriore azione poliziesca.

185

Il 7 gennaio la banda "Carità" arresta al completo il CLNRV e il CMR (Comitato militare regionale): Egidio Meneghetti, Attilio

Canilli, Giovanni Ponti, Angiolo Tursi, Luigi Martignoni. L'azionista Otello Pighin che tenta di resistere, viene gravemente ferito e muore.

Ciò nonostante la Resistenza padovana non cede: il giovane Corrado Lubian (Corrado) assume il comando della "brigata Silvio

Trentin" e il CLNRV viene ricostituito con Aldo Damo del PCI,

Antonio Cavinato del PSIUP, Ugo Morin del Pd'A, Gavino Sabadin della DC.

NEL PADOVANO

Anche nella provincia è un susseguirsi di omicidi.

Per vendicare l'uccisione di Giuseppe Begon, segretario del par­tito fascista di Vigonza, viene aggredito nella sua casa e trùcidato al mattino dell' Il giugno l'antifascista Enrico Zanella, segretario del

locale caseificio. Sostenitore delle libertà democratiche durante tutto il ventennio, mai aveva compiuto atti di violenza: è il primo martire

della libertà in terra padovana, conseguenza dell' iniquo sistema della rappresaglia.

Nella stesse ore viene prelevato e ucciso il socialista Silvio Barbato di Ponte di Brenta.

Il 28 dello stesso mese, un giorno prima dell'assassinio di Mario

Todesco e di Alfio Marangoni, sul ponte di Cagnola di Cartura vengo­no gettati i cadaveri dell'avvocato Italo Cavalli e di Gino Luisari, dopo essere stati torturati e pugnalati.

La repressione si intensifica in settembre, contemporaneamente ai grandi rastrellamenti sulle montagne.

Il 6 settembre vengono uccisi sul campo di aviolanci della fatto­ria Cattelan a Piacenza d'Adige sei partigiani, tra cui i due' studenti liceali Benedetto De Besi e Guido Puchetti.

186

Per rappresaglia alla distruzione del ponte di Salboro, il 2 otto­bre vengono fucilati e appesi presso lo stesso ponte quattro partigiani,

prelevati dalle prigioni di Este. L'Il ottobre nei pressi di Battaglia Terme viene assassinato

Agostino Sartori Borotto, animatore della resistenza locale. I! 13 dello stesso mese sei giovani di Megliadino San Vitale

vengono fucilati, nonostante avessero reso noto il nascondiglio delle

armi in cambio della vita. Il terribile capitano Willy Lembke di Este li fa fucilare in contrada Vampadore, dove un anno prima era stato tro­

vato il cadavere di un soldato della RSl. Il 16 novembre sono trucidati a Vallerega sette detenuti politici

della zona dei Colli Euganei.

A VICENZA E NEL BASSO VICENTINO

Anche a Vicenza si ha l'annientamento del CLN provinciale con

l'arresto e prigionia di Luigi Faccio, Giacomo Rumor, Ettore Gallo e della famiglia di Torquato fraccon, il quale assieme al figlio Franco

perirà nellager di Mauthausen. Il 15 ottobre a Poiana Maggiore sono fucilati sei giovani di

Noventa Vicentina. Giacomo Prandina di San Pietro in Gu, organizzatore della bri­

gata vicentina di estrazione cattolica, viene arrestato il 31 ottobre mentre si trova al capezzale della mamma ammalata. Dopo cinquanta­

cinque giorni di sevizie al carcere San Biagio di Vicenza, viene depor­tato in Germania con destinazione Mauthausen, dove morirà nel sotto­

campo di lavoro di Gusen.

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NEL TREVIGIANO

Forse perchè il tragico bombardamento del venerdì santo su Treviso con oltre mille morti, abilmente sfruttato dalla locale propa­

ganda fascista, ha diminuito l'attività resistenziale, la repressione

risulta minore sia nella città che nella provincia.

Collegato con la reazione nazifascista, troviamo in questa tragi­ca estate del 1944 un episodio poco noto di generosità eroica, non certo inferiore a quello di Salvo D'Acquisto. Così ricorda Mario

Altarui, lo storico della resistenza trevigiana: "Accadde a Valdobbiadene che due giovani collaboratori di for­

mazioni partigiane - Luigi Boschiero e Antonio Bonelli - vennero cat­turati dalle Brigate nere il 4 agosto 1944, con un odioso tranello, e condotti nella piazza del paese, la frazione di Ron, dove cominciarono

a bastonarli selvaggiamente dopo di aver radunato la popolazione ad assistervi. Era palese che li avrebbero ammazzati, e fu allòra che il

cinquantenne Luigi Forbice da Valdobiadene - veneziano di origine -sposato e con figli piccoli, funzionario di un'organizzazione sindacale fascista - e un certo Antonio Piccolo, della stessa età circa, sfollato da

Padova - si fecero avanti chiedendo di venire uccisi purchè fosse salva la vita dei due giovani. Forbice e Piccolo vennero condotti appe­

na fuori dell'abitato, sulla strada che porta a Colderove e fucilati con tanta frettolosa imperizia, da dover sopportare una lunga pietosa ago­

nia ll•

Nella notte tra il 7 e 1'8 settembre cade combattendo a Fontane, nei pressi di Treviso, Piero Gobbato, organizzatore delle brigate

"Giustizia e Libertà" del trevigiano; e il 12 viene impiccato a Motta di Livenza Giovanni Girardini del partito repubblicano.

li 17 ottobre a Motta di Livenza, viene impiccato anche Antonio Furlan a uno dei primi organizzatori del movimento partigiano trevi-

J

glano.

188

NEL POLESINE

Forte è la repressione nel Polesine che culmina il 14 ottobre con

la fucilazione di undici partigiani garibaldini di Castelguglielmo, e il giorno successivo di quarantatré ostaggi a Villamarzana per rappresa­glia all'uccisione di quattro spie fasciste. Tra le vittime il maestro

Giovanni Tasso, proverbi aIe per la sua bontà e mitezza d'animo, e per­sino un ragazzo di quindici anni: Bruno Zanella.

Il 26 ottobre con l'impiego di una divisione tedesca in marcia verso la linea gotica, vien rastrellata la zona tra Occhiobello, Fiesso

Umbertiano, Runzi e Gaiba per poi concentrarsi su Stienta, dove assieme a due soldati russi cade combattendo il comandante parti­giano di Lendinara Bellino Valiero (Capitano Tito).

Complessivamente sono fermate duemila persone, delle quali alcune vengono deportate nel campo di sterminio di Dachau.

A VERONA E NEL VERONESE

Alla fine di settembre vengono arrestati ì componenti dei CLN di Soave e di Isola della Scala; il 29 è arrestato il colonnello Giovanni

Fincato, che perirà sotto le torture e verrà gettato nell'Adige a Pescantina: ma non sarà più possibile ritrovarne la salma.

In complesso tra ottobre e dicembre sono circa trecento gli arre­stati nella provincia di Verona. Tra i deportati in Germania a Flossenburg, e là periti, i due giovani fratelli Flavio e Gedeone Corà di Isola della Scala.

NEL VENEZIANO

Tre partigiani sono impiccati a Portogruaro il l8 ottobre; e il lO dicembre a Mirano sette partigiani, già fucilati, vengono esposti sulla piazza nel giorno del mercato.

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LA "PIANURIZZAZIONE DELLA RESISTENZA"

Il movimento partigiano, dopo i rastrellamenti sulle montagne, adotta la nuova tecnica detta di "Pianurizzazione della Resistenza". I partigiani, dispersi sulle montagne per evitare la cattura, successiva­mente arrivano al fondo valle e passano in pianura attraverso le maglie dello schieramento nazifascista. In pianura, che l'avversario non può controllare totalmente per la vastità, rafforzano le brigate locali.

Questa "pianurizzazione" si attua in forma notevole nella pro­vincia di Padova. Il precedente lungo lavoro di Lanfranco Zancan porta in questo periodo alla formazione di cinque "brigate del popolo" democristiane: la "Damiano Chiesa l'' al comando di Giuseppe Armano (Leopoldo), con zona d'azione il cittadellese; la "Damiano Chiesa II" di Graziano Verzotto (Giusto) nel contiguo mandamento di Camposampiero; la "Guido Negri" di Antonio Ranzato (Toni) per la zona tra Conselve e Cavarzere; la "Luigi Pierobon" di Giuseppe Bussolin per l'estense e zona collinare euganea; la "Brunello Rutoli" tra l'Adige e il Gorzone al comando di Marino Munari.

L'ODIO ANTITEDESCO DOPO GLI ECCIDI IN ITALIA E L'OLOCAUSTO DI VARSAVIA

I grandi rastrellamenti, nonostante l'annientamento di alcune for­mazioni partigiane, si dimostrano sostanzialmente fallimentari sul piano bellico e sul morale del popolo, chiamato anche "fronte interno".

Innanzitutto hanno tolto dalla linea di combattimento una note­vole quantità di soldati con consumo di armi e munizioni indebolendo la forza bellica delle truppe nazifasciste; e, pur avendo decimate e disperse le brigate della montagna, hanno indirettamente rinforzate quelle della pianura.

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Sul piano psicologico, dopo i giorni del terrore per la strage di tanti innocenti attuata dai nazifascisti (che crea pure ostilità nei rap­porti locali della gente con i partigiani, visti quale causa indiretta di tanta barbarie) il popolo nella sua globalità odia maggiormente gli oppressori, perché nessuna giustificazione anche di ragione militare regge di fronte al numero delle vittime e alla efferatezza con cui sono statc eseguite le pene capitali e le deportazioni.

La crudeltà favorisce la nascita di nuove formazioni partigiane in odio allo straniero tedesco e ai suoi fiancheggiatori italiani.

Ad aumentare l'avversione nei confronti dell'oppressore germa­nico contribuisce anche la rivolta di Varsavia, che si conclude in un immane olocausto, dai giornali italiani presentato come un meritato castigo.

La rivolta di Varsavia, iniziata l'I agosto e proseguita contempo­raneamente ai grandi rastrellamenti in Italia, si conclude dopo sessan­tatré giorni di lotta senza quartiere.

Totalmente distrutta la Varsavia antica, monumento di sei secoli di storia, vengono chiesti con urgenza soccorsi agli inglesi e ai russi dal generale Bor Komorwsky, organizzatore della rivolta.

Soltanto il lO settembre l'artiglieria sovietica si fa viva, e soltan­to il 18 i bombardieri alleati lanciano i soccorsi, che per la troppa altezza vanno im gran parte perduti.

Il generale Tadeusz Bor Komorowsky firma la capitolazione il 2 ottobre. Le cifre sono impressionanti e spiegano l'impossibilità di ulteriore resistenza: quindicimila morti tra i difensori e duecentomila vittime tra gli abitanti.

Durante la rivolta le donne polacche avevano inviato per radio a Pio XII la seguente implorazione, subito fatta conoscere elal Vaticano al Foreign Office:

"Dio solo è con noi, Santo Padre. Se potete ascoltarci, benedite

noi donne polacche che combattiamo per la Chiesa e la Libertà."

191

Uno degli ultimi radiomessaggi .inviati da Varsavia a Londra

diceva:

"Questa è la dura verità. Siamo trattati peggio che i satelliti di Hitler. Possa Iddio giudicare della terribile ingiustizia e possa Egli

giudicare adeguatamente tutti i colpevoli." Più tardi Churchi Il scriverà:

"Quando i russi fecero il loro ingresso tre mesi dopo, non trova­

rono quasi altro che strade sconvolte e morti insepolti".

LA CULTURA SOCIALE COME RESISTENZA CIVILE

Dopo che nel febbraio del '44 il gesuita padre Carlo Messori

Roncaglia aveva tenuto un corso di sociologia frequentato da studenti

universitari, in cui erano state esposte dottrine differenti dall'ideologia

fascista, appare chiaro che tale forma di cultura bene si presta ad una

opposizione civile al regime fascista repubblicano. Infatti, il neo fascismo repubblicano, sfruttando alcuni articoli

del "manifesto di Verona" cerca ancora di ottenere, specie nei giovani

e negli operai, qualche adesione alla RSI.

Ad avvalorare l'importanza dello studio dei problemi sociali nel

particolare momento storico è la presenza del vescovo Carlo Agostini

di Padova al corso dello stesso Messori, ripetuto ad Este per i laici

cattolici nel mese di aprile. Durante l'estate il venticinquenne don Guido Beltrame prepara

in brevissimo tempo il "Catechismo sociale", quale testo di studio per

gli iscritti della diocesi patavina all'Azione cattolica nella gara di cul­

tura religiosa 1944-1945.

Adottato da quasi tutte le altre diocesi venete, suscita ben presto

i sospetti delle varie polizie fasciste, che ne ostacolano la diffusione

ne sequestrano le copie dove le trovano.

192

Nonostante sia pubblicato anonimo, i dirigenti della "banda

Carità" ne individuano l'autore. Don Guido Beltrame, direttore del

Patronato giovanile contiguo alla chiesa di San Tommaso, viene arre­

stato il pomeriggio del 30 marzo, venerdì santo dell'anno 1945: e a

palazzo Giusti per due ore ininterrotte subisce uno stressante interro­

gatorio da un aggressivo inquisitore. Soltanto l'accorta difesa da parte

di don Antonio Michieli, che lo aveva accompagnato per ordine del

vescovo, riesce a stento a salvarlo.

Il "Catechismo sociale" si pone, sia pure in forma moderata,

nell'ambito di quel "Vento del Nord" con il quale i movimenti politici

di sinistra hanno voluto denominare le istanze sociali della Resistenza.

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CAPITOLO 24

LA CRISI DEL GOVERNO BONOMI

Il ministro De Courten il 14 novembre, dopo essersi scontrato con Scoccimarro per l'epurazione delle amministrazioni statali dagli elementi compromessi con il fascismo, presenta le sue dimissioni.

Inizia così la crisi del governo Bonomi, dovuta, più ancora che alle divergenze nel metodo delle epurazioni, alla questione istituzio­nale.

E' proprio il principe Umberto, luogotenente del regno, a scate­nare la polemica. Egli il 31 ottobre, in una intervista al "New York

Times", propone di risolvere la questione istituzionale attràverso un referendum, in contrasto con quanto è stabilito dal decreto del 25 giu­gno (decreto luogotenenziale n. 151, considerato come una specie di

costituzione provvisoria), secondo il quale la soluzione doveva essere affidata alla costituente.

Di fronte a tale presa di posizione di cbi, per la carica di cui era investito, doveva stare "super partes", i partiti di sinistra reagiscono:

non vogliono il referendum perché temono che il popolo subisca la suggestione di una propaganda a favore della monarchia, facile alla retorica e ai motivi sentimentali.

Ivanoe Bonomi si dimette da capo del governo il 25 novembre presentando le dimissioni non al CLN, come avrebbero desiderato i

partiti di sinistra, ma al principe Umberto, luogotenente del regno: un atto che acuisce la crisi.

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IL "DIBATTITO DELLE CINQUE LETTERE" NEL CCLN

Il 30 novembre, a soli cinque giorni dalle dimissioni di Bonomi,

"L'Italia libera", organo del Pd'A, pubblica una "Lettera aperta" iu cui

viene chiarito il programma del partito, fondato sulla esclusioue cate­gorica del ripristino dello Stato liberale prefascista, e si propone di

attribuire ai CLN un effettivo ruolo di governo. Con questa presa di posizione si apre il dibattito delle "Cinque

lettere" . La successiva "Lettera aperta" è quella del PCI del 15 dicembre,

in cui si dà grande importanza ai partiti come interpreti delle rivendi­cazioni popolari, mentre ai CLN si affida come compito prioritario la

lotta armata di liberazione. La terza giunge dalla Democrazia Cristiana in data 12 gennaio

1945. Sostiene che i CLN, raggiunto lo scopo di liberare l'Italia dallo straniero e dal fascismo, non hanno motivo di continuare ad esistere: la costruzione della nuova Italia doveva avvenire attraverso il "libero

ed opposto gioco dei partiti". Il 20 gennaio appare la quarta lettera in forma di articolo, firma­

to da Rodolfo Morandi, sull'''Avanti''', organo del PSIUP, in cui si ribadisce l'adesione alla pregiudiziale repubblicana, si accusa la

monarchia di non rispettare la tregua istituzionale e si auspica un

rafforzamento del potere dei CLN. Infine, in febbraio, il partito liberale italiano chiude il dibattito

delle cinque lettere, sostenendo senza riserve la rifondazione dello Stato liberale prefascista e la totale fedeltà del partito alla monarchia.

Ma ben prima del chiarimento istituzionale e programmatico dei cinque partiti, non in tutti completamente chiaro, le necessità del

momento portano alla soluzione della crisi governativa. Fallisce la proposta del CCLN di dare l'incarico di formare un

nuovo governo a Carlo Sforza, a causa del veto degli inglesi per la sua

ben nota ostilità contro la monarchia sabauda.

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Viene accettata la ricandidatura, voluta dagli inglesi, di Ivanoe Bonomi, il quale, con l'appoggio dei moderati e dello stesso Togliatti, il 12 dicembre compone il nuovo consiglio dei ministri, nel quale il

PSIUP e il Pd'A rifiutano di partecipare con propri rappresentanti.

LE DIFFIDENZE DEGLI ALLEATI PER IL CCLN E PER IL CLNAI

Gli alleati ebbero sempre diffidenza verso il CCLN e il movi­mento della Resistenza, perché non desideravano che l'Italia diventas­se uno stato repubblicano, governato da partiti di sinistra. A tale scopo avevano proibito il congresso dci CLN a Napoli, stabilito per il 20 dicembre 1943, per concederlo poi di malavoglia a Bari, spinti dal fatto che la Unione Sovietica avviava rapporti diplomatici con l'Italia.

Dimostrarono questa diffidenza ancor più nei confronti del CLNAI, sia nel lesinare aiuti ai partigiani nell'incontro a Lugano di Allen Dulles e John Mc Cafferly con Ferruccio Parri e Leo Valiani, come pure negli incontri di Roma del generale Maitland Wilson con i suoi rappresentanti provenienti da Milano.

il fronte italiano nel! 'inverno 1944-45 lungo la linea gotica (segnata a tratteggio).

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In particolare sospettoso fu Churchill, in un primo tempo ammi­

ratore di Mussolini. Fu egli a volere il governo Badoglio contro il desiderio del CCLN, che non lo riteneva idoneo per i notevoli legami

con il fascismo. Memorabile, anche per la pungente ironia, fu il suo già ricordato "discorso della caffettiera" del 22 febbraio 1944 a favore della continuazione del governo Badoglio e della monarchia.

Caduto il secondo governo Badoglio nel giugno del '44, Winston Churchill, nella lettera dell' 11 giugno a Stalin, esprimeva il suo dispiacere per l'avvenimento, definendo Badoglio come "l'unico

uomo competente" incontrato dagli Alleati e giudicava i nuovi uomini del governo proposti da Bonomi un "gruppo di politicanti avidi e

decrepiti". Una lettera sullo stesso tono e contenuto scrisse anche a Roosevelt.

Quando si formò il primo governo Bonomi, gli alleati posero subito come condizione obbligatoria per la sua sopravvivenza l'accet­

tazione del secondo armistizio, detto "armistizio lungo", già firmato da Badoglio a Malta con Eisenhower, ma non reso pubblico per timo­

re di reazioni popolari. J quarantaquattro articoli penalizzavano l'Italia: banche, cambi, relazioni commerciali e finanziarie e le stesse

funzioni del governo italiano dovevano essere approvate dal Governo Militare Alleato (AMG) e dall'Advisory Council of ltaly (ACl). Inoltre posero come condizione anche il rinvio della questione istitu­

zionale a guerra terminata.

II. PROCLAMA DI ALEXANDER, L'ACCORDO DEL CLNAI CON MAITLAND WILSON E IL II GOVERNO BONOMI

Il 13 novembre del '44 il generale inglese Harold Rupert Alexander invia per radio il suo proclama ai partigiani, consistente nel comando di "cessare le operazioni organizzate su vasta scala" mante­

nendo attive solo piccole squadre armate in attesa della primavera quando sarebbe iniziata l'offensiva alleata.

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Per i partigiani quel messaggio ha una forte azione depressiva, fatta più pesante dalle dimissioni del governo Bonomi e dalla boccia­

tura da parte degli alleati della proposta del CCLN di formare un nuovo governo con il conte Sforza Il veto è dovuto alla nota inimici­zia di Churchill verso l'illustre diplomatico italiano, divenuto acerri­

mo nemico di re Vittorio Emanuele III. Lo Sforza attribuiva gravissi­

me responsabilità al re nei confronti del fascismo e lo riteneva mag­

giormente colpevole dello stesso Mussolini di fronte alla guerra, come

aveva affermato apertamente nel congresso di Bari. Ma un avvenimento storico, riguardante esclusivamente la guer­

ra partigiana e gli alleati, ridona energia allo spirito combattivo dei Volontari della Libertà. Una missione del CLNAI, partita da Milano il

14 novembre composta da Ferruccio Parri, Gian Carlo Pajetta, Alfredo Pizzoni e da Edgardo Sogno (quest'ultimo in rappresentanza

delle formazioni partigiane apartitiche e autonome) sigla il 7 dicem­bre a Roma un accordo con il generale Maitland Wilson, comandante

in capo delle forze del Mediterraneo.

Il Popolo di Alessandria '~~,~~~"'-=-,,',~~ , ,,,,,.,-l~ "",",U """-IO

""''"'00' _ """"''''' •• ""'''''''''''''''''''". llUeltiRlBl!ale ddI<I fùenzlene dei futl,Republl"cani di (OjIIbaHim&Rto ,_................ f"'~! ,,-.. , Ll'ITl)"" _ T,kr.". N. "'" 1'.'_ 'l _~~.~ O"""' L. '" "'"".,~" """"'.!. ".

DEDICATO AI RIBELLI, PARTI6IANI, BANDITI E C. (e soecialmenle a coloro che . _ selaUDraU . sono ancora in b. lede)

"Il Popolo di Alessandria", settimanale Repubblicano fascista, attacca i partigiani sul piano ideologico.

198

L'accordo sancisce da parte angloamericana un notevole aiuto militare ed economico alla Resistenza, e da parte partigiana l'assicura­zioue dello smantellamento delle formazioni resistenziali armate

appena terminata la guerra di liberazione. Detto accordo, chiamato anche "Patto di Roma", porta a risana­

re le finanze della Resistenza: vengono assicurati al CLNAI 160

milioni al mese, che devono essere così ripartiti: 60 milioni al Piemonte, 20 alla Liguria, 25 alla Lombardia, 35 al Veneto, 20

all'Emilia. Secondo i calcoli di Ferruccio Parri i partigiani nel marzo del '45 sono 30.000 nel Piemonte, 7.000 in Liguria, 9.000 in

Lombardia, 12.000 nel Veneto (con incluso il Friuli allora non consi­derato regione a se stante) e 12.000 in Emilia. In proporzione al numero di partigiani, specie nei confronti dell'Emilia, il Veneto appare

privilegiato. Il 12 dicembre il governo viene ricostituito per la seconda volta

attorno a Bonomi, riproposto dagli alleati. A realizzarlo contribuisce l'intervento di Togliatti che lo accetta entrandovi come vicepresidente,

unito ai comunisti Mauro Scoccimarro e Fausto Gullo che vanno rispettivamente ai ministeri delle finanze e dell'agricoltura.

Palmiro Togliatti, nonostante pareri contrari anche all'interno del suo partito, rimane sempre fedele alla sua tesi politica di rimanda­

re tutta la questione istituzionale a guerra finita in coerenza con la sua presa di posizione al congresso nazionale comunista di Napoli, passa­ta alla storia come la "Svolta di Salerno".

Ad eliminare ogni altro elemento di disgregazione nella lotta partigiana, il 26 dicembre tra il governo Bonomi e il CLNAI, rappre­

sentato da Gian Carlo Pajetta, viene firmato a Roma un accordo in cui il governo italiano riconosce il CLNAI come "organo dei partiti anti­

fascisti nelle terre occupate dal nemico", al quale è affidato l'incarico della lotta contro la Repubblica Sociale Italiana e le forze armate tede­sche occupanti l'Italia.

199

I DISSENSI INTERNI E L'ECCIDIO DI PORZUS

Il PSIUP e il Pd'A rifiutano la loro partecipazione al nuovo governo Bonomi, fatto questo che dimostra quanto forti siano i dis­

sensi all'interno dello stesso CLNAI. l vari accomodamenti della crisi politica, che in pratica limitano

l'azione del CLNAI alla sola guerra di liberazione, vengono accettati dalle sinistre per evitare una situazione simile a quella della Grecia,

dove ben tre organizzazioni partigiane puntavano alla conquista del potere combattendosi tra di loro, e diminuendo così la loro forza nella

lotta di liberazione. Tuttavia non mancano in seno ad alcune formazioni partigiane,

diversamente politicizzate, acuti contrasti, in parte conseguenti a que­

sti accordi. Per loro, specialmente il patto con il generale Maitland Wilson, è visto come una sconfitta della sinistra, che vuole affidare la

ricostruzione della nuova Italia totalmente ai CLN e alle forze armate

partigiane. In questo periodo e in questa atmosfera nascosta anti-alleata,

avviene anche il tragico eccidio di Porzus. Il 7 febbraio 1945 venti partigiani della "11:\ brigata Osoppo", fra

cui il comandante Francesco De Gregori (Bolla) e il commissario politico Gastone Valente sono catturati e fucilati dai gappisti garibal­dini. Il motivo fondamentale, secondo alcune testimonianze sembra

stesse nell'opposizione dei primi alle formazioni partigiane slave, che

volevano portare i confini della Iugoslavia al Tagliamento.

200

CAPlTOL025

I PREPARATIVI PER L'INSURREZIONE FINO ALLA "MISSIONE MEDICI TORNAQUINCI"

SUL PIANO GENERALE

Il 1945 si apre con l'arresto a Milano da parte dei tedeschi di Ferruccio Parri, vicecomandante "politico" del Corpo Volontari della Libertà (CVL).

Nonostante questo inizio poco favorevole, la ripresa della guer­

ra di resistenza viene attuata celermente dallo sforzo di unire in divi­sioni o grnppi, composti anche di nuclei di diverso colore politico,

tutte le formazioni partigiane affinché la forza militare sia maggiore e prevalga lo spirito patriottico su quello partitico.

A creare un momentaneo intralcio all'opera di unificazione delle forze partigiane ci sono le dimissioni del generale Raffaele Cadorna,

comandante in capo dei Volontari della Libertà, presentate il 22 feb­braio motivando di ritenersi ostacolato nella sua ampiezza di comando.

Il dissidio tra il generale Cadorna e il CLNAI dura poco perché

il CLNAI, con la sola opposizione dei socialisti, è disposto a ricono­scergli la piena responsabilità della "condotta militare della guerra". A

questi patti, egli ritira le dimissioni il 27 dello stesso mese. La lotta di Resistenza subisce un'altra perdita tra i suoi maggiori

protagonisti. Eugenio Curiel, l'organizzatore del "Fronte della gio­ventù", formazione partigiana giovanile per ideologia vicina al partito

comunista, viene scoperto e ucciso a Milano il 24 febbraio dai fa­scisti.

201

Ma in compenso c'è il ritorno in libertà di Ferruccio Parri, assie­me al maggiore Antonio Usmiani dei Servizi Segreti Italiani. La

richiesta della loro liberazione è stata fatta dagli Alleati agli emissari delle SS tedesche, nell'incontro a Lugano del 3 marzo (arrivate in Svizzera per parlare di una possibile capitolazione delle forze armate

tedesche in Italia) come prova di serietà della loro iniziativa.

Marzo è il mese dei contatti di tipo esplorativo sulle intenzioni reciproche di porre fine alla guerra. Successivamente a quella dimo­strazione di buona volontà tedesca, il generale Karl Wolff, comandan­te delle SS in Italia incontra 1'8 marzo in Svizzera, a Zurigo, Allen

Dulles e compie i primi passi per la resa delle armate tedesche sul fronte meridionale al comando del generale Heinrich von Vietinghoff.

Dato il buono avvio, vi ritorna il 19 per trattare con i generali Terence Airey, inglese, e Lyman Lemnitzer, americano, la resa anche delle armate tedesche del fronte occidentale, ora sotto il comando di

Kesselring. Le trattative, suscitano la reazione della Russia 'che vuole esservi ammessa, ma la polemica si spegne quasi subito perché vengo­

no presto interrotte per ordine di Hitler. Tutti questi passi diplomatici in vista della resa sono fatti senza avvertire il governo della RSI.

Anche Mussolini, tramite l'arcivescovo di Milano il cardinale , lldefonso Schuster, fa arrivare ai comandi alleati di Roma una proposta di capitolazione, che però non viene nemmeno presa in considerazione.

Nonostante gli incontri di Roma, i dubbi del governo Bonomi e più ancora degli alleati nei confronti dei partigiani non sono ancora

cessati. Alla base di essi c'è il timore che l'esperienza resistenziale, dai partiti di sinistra denominata "il vento del Nord", sia portatrice di

insubordinazione agli ordini angloamericani, di innovazioni sociali pericolose o addirittura di una secessione del CLNAI dal governo di Roma.

Per togliere definitivamente questi sospetti Bono,mi invia nell'Italia settentrionale il liberale Aldobrando Medici Tornaquinci,

sottosegretario del ministero dell'Italia occupata.

202

Paracadutato in Piemonte alla fine di marzo, egli stabilisce il 29 marzo un terzo accordo (dopo i precedenti del 7 novembre tra il gene­rale Maitland Wilson e Paietta, Parri, Pizzoni e Sogno; e del 26

dicembre tra Bonomi e Pajetta), che conferma sostanzialmente quanto era già stato pattuito dagli altri due, cioè: insurrezione secondo gli ordini e le istruzioni degli alleati, difesa degli impianti industriali, tra­

smissione all'AMO non appena possibile dei poteri assunti provviso­riamente nelle zone occupate con consegna di tutte le armi.

In quello stesso giorno il CLNAI, cosciente del suo relativo potere, limitato anche dalle difficoltà di far pervenire i comandi, decreta ulteriormente l'nnificazione di tutte le formazioni partigiane e

nomina un comitato insurrezionale, composto da Leo Valiani per il Pd'A, da Sandro Pertini per il PSIUP e da Emilio Sereni per il PCI.

Presidente del CLNAI viene nominato il socialista Rodolfo Morandi. Ma quanti sono i partigiani sufficientemente armati all'iniz.io

della primavera del 1945 ?

Come abbiamo già ricordato a proposito del contributo econo­mico dell'accordo CLNAI-Maitland Wilson, il calcolo fatto da

Ferruccio Parri in marzo presenta le cifre seguenti: in totale circa set­tantamila partigiani bene armati, suddivisi in trentamila nel Piemonte,

settemila in Liguria, novemila in Lombardia, dodicimila nel Veneto comprendente il Friuli, e dodicimila anche in Emilia. Si tratta di un

calcolo numerieo, sicuramente fatto più per difetto che per eccesso e certamente attendibile tenendo conto della personalità estremamente rigorosa del Parri.

Secondo una valutazione del PCI, in data 15 aprile, la cifra complessiva sarebbe di centomila. Secondo altra statistica, alle soglie

della liberazione la massa dei combattenti si compone di oltre duecen­tomila unità.

203

NEL VENETO

Anzitutto viene affrontato lo scabroso problema della costitu­zione di un Comando militare unico per tutta la regione, contro i cui

ordini non devono opporsi i colori politici delle brigate o divisioni. Dopo le resistenze opposte in febbraio dal partito comunista e

dal partito d'azione, il lO marzo a Venezia nella canonica di San

Nicola dei Tolentini, si radunano tutti i rappresentanti politici del CLNRY. Viene nominato, su proposta del democristiano Gavino Sab­

badin, quale Comandante Unico del Corpo dei Volontari della Libertà, il colonnello Sabatino Galli (che prenderà come nome di battaglia "Pizzoni" a ricordo del presidente del CLNAI Alfredo Pizzoni).

Altro compito in questo periodo del CLNRV è quello del finan­ziamento delle formazioni partigiane in forza anche degli aiuti dell'ac­

cordo CLNAI-Maitland Wilson e dei finanziamenti degli industriali veneti. Si affronta anche il delicato problema del salvataggio dei pri­

gionieri in mano ai fascisti di Padova, rinchiusi nella casa di tortura Palazzo Giusti, diretta dal maggiore Mario Carità. Nella seduta del CLNRV del 9 febbraio, dopo aver consultato il maggiore Wilkinson

(Freccia) capo della missione alleata nel Veneto, si stabilisce un elen­co di dieci nomi con il seguente ordine di priorità: Meneghetti, Ponti,

Martignoni, Gombia, Canilli, Banchieri, Tonetti, Roiatti (Spartaco), Berion, Palmieri.

Laboriose e vane trattative, per lo scambio con prigionieri nazi­

fascisti in mano dei partigiani tramite l'ambasciata inglese in Svizzera (che vedono attivi l'avvocato Gavino Sabbadin, Elio Rocco e il pro­

fessor Ezio Franceschini), portano alla soluzione di un colpo di mano partigiano, d'accordo con la Roial Air Force (RAF) per il lO aprile. A

tale scopo quaranta combattenti della "brigata Luigi Pierobon" si por­tano in città per far saltare il portone di Palazzo Giusti in via San

J Francesco, ma tutto risulta inutile per l'assenza dell'intervento dell'a-

viazione inglese.

204

L'ultimo tentativo viene fatto dal commissario comunista Giuseppe Schiavon, che fa pervenire, tramite don U go Orso, al mag­

giore Carità, un elenco di brigatisti neri prigionieri da dare in cambio. Il maggiore Carità lo ritiene inadeguato. rispondendo con una lettera del 23 aprile. Nella testimonianza rilasciata allo storico Giorgio

Erminio FanteIli, Don U go Orso afferma di aver poi saputo che i pri­

gionieri proposti per lo scambio erano già stati precedentemente fnci­lati. Nei primi mesi del '45 grande è lo sforzo di riorganizzazione

delle formazioni partigiane. Partendo dalle montagne veronesi, vi troviamo, già all'inizio di

febbraio, sul monte Baldo la brigata comunista "Avesani" divenuta divisione con Giampiero Marini comandante, e Romano Marchi com­missario politico. In pianura il comandante Achille Pellegrini dirige le

brigate "Verona", "Stella rossa", "Anita Garibaldi", "Italia" e HMontanari Il •

Nella provincia di Vicenza, alla fine di febbraio si costituisce, nella canonica di Povolaro (frazione di Dueville), offerta dal parroco

don Luigi Pascoli, la divisione "Monte Ortigara" in seguito all'unione del gruppo "brigate Sette Comuni", del gruppo "brigate Mazzini" e della "brigata Giovane Italia": ne diventa comandante Giacomo

Chilesotti (Nettuno o Loris), commissario il democristiano Giovanni Carli (Ottaviano) e cappellano don Luigi Pascoli.

Negli stessi giorni il gruppo delle brigate comuniste" Ateo

Garemi" diventa divisione. Sia la divisione "Monte Orti gara" sia la divisione "Ateo

Garemi" hanno come zona operativa l'alto vicentino. Il 2 aprile si forma la "divisione Vicenza" che riunisce sette bri­

gate al comando di Gaetano Bressan ed ha commissario politico il

democristiano Ermes Farina. Attorno al massiccio del Grappa già in febbraio opera la inter­

partitica "divisione Monte Grappa", comandata dal colonnello

Sahatino Galli (Pizzoni).

205

N el padovano il massimo organizzatore delle brigate del popo­

lo, di matrice cattolica, è il nuovo capo di stato maggiore del CLNRV, il partigiano Marcello Olivi (Ronco), nominato a tale ruolo da Lanfranco Zancan (Lanza) prima del suo trasferimento in Lombardia,

perché ricercato con condanna a morte dalla banda Carità. Di queste brigate del popolo, la "Pierobon", al comando dell'in­

gegnere Giuseppe Bussolin (Marcello) agisce già in marzo con azioni di sabotaggio nella zona dei colli Euganei. Nella Saccisica opera la "brigata Guido Negri", ricostruita da Antonio Ranzato (Toni) e da

Evangelista Groppo (Matteo). Tra il canale Gorzone e la foce dell' Adige si forma ad opera di Marino Munari (Ferrari o Marino) la

brigata "Brunello Rutoli" che agisce spesso in collegamento con altre formazioni partitiche.

A Cittadella già in gennaio è costituito il "Comando Gruppo

Brigate Damiano Chiesa", sotto la direzione di Giuseppe Armano (Leopoldo).Gli organizzatori sono Sebastiano Bordignon (Ne'i) e l'av­

vocato Gavino Sabadin (Serena o Rinaldi). A Padova in marzo è riorganizzata la "brigata Silvio Trentin"

del partito d'azione. Il suo giovane comandante Corrado Lubian il 22

marzo si trova insegnito per le vie cittadine dai fascisti, decisi ad eli­minarlo. il Lubian si rifugia invano tra le mura dell'Antonianum dei

gesuiti: gli inseguitori vi fanno irruzione e lo aggrediscono ferendolo gravemente. Trascinatolo fuori dell'atrio, lo ammazzano in via Donatello, davanti all'ingresso dell'istituto.

Nella pianura trevigiana è attiva la comunista "divisione Franco Sabatucci", anch'essa formatasi in febbraio con Attilio Scarpa coman­

dante e Piero Dal Pozzo commissario. Nel Polesine vi troviamo un comando "Zona-Rovigo" che ritmi­

sce tre brigate comuniste e una del partito d'azione.

206

CAPITOLO 26

DALI., 'OFFENSIVA ALLEATA ALLA VIGILIA DELLA INSURREZIONE

GENERALE

Il 5 aprile 1945 inizia nel settore tirrenico l'offensiva alleata della Quinta armata americana, mentre a ridosso della linea gotica

agiscono i partigiani. Quattro giorni dopo l'Ottava armata inglese sfonda il fronte appenninico e avanza dalla parte adriatica.

Prevedendo una avanzata rapida, Luigi Longo del PCI invia il

lO aprile ai comandi partigiani le "Direttive n. 16" per l'imminente

sollevazione generale. Tre giorni dopo il generale Mark Clark, successore di Harold

Rupert Alexander, invita i partigiani a rimandare qualsiasi azione

insurrezionale. Ma i comunisti italiani non sono del medesimo parere. Nello

stesso giorno, 13 aprile, Togliatti scrive a Longo di procedere nella preparazione. In opposizione a Clark egli mette in primo ordine "che l'armata nazionale e il popolo si sollevino in un'unica lotta per la di­

struzione dei nazifascisti prima della venuta degli Alleati, specialmen­

te nelle grandi città". Di conseguenza a Torino, dove le formazioni partigiane comu­

niste sono particolarmente forti, viene attuato il 18 uno sciopero gene­

rale che si estende a tutto il Piemonte. Anche in Emilia i partigiani attaccano prima dell'arrivo degli

alleati. L'offensiva alleata procede piuttosto lenta.

207

Quando il 21 entrano a Bologna i primi reparti italiani della

"Legnano" e i polacchi del generale Anders (l'espugnatore di Monte­cassino), la città è già occupata dai partigiani. Nella illusione di una rapida avanzata degli alleati, la lotta in vista della liberazione era ini­

ziata fin da novembre con sanguinosi scontri a Porta Lame e nel quar­tier della Bolognina. I caduti a Porta Lame erano stati 216 tra i fasci­

sti bolognesi, soltanto 12 tra i partigiani. Il 23 Genova è in piena sollevazione. Il 24 insorge Cuneo.

Il 25 entrano in combattimento contemporaneamente le forma­zioni pattigiane cittadine di Torino e delle valli circostanti costringen­

do i tedeschi ad abbandonare la città.

NEL VENETO

Il4 aprile il comando della "divisione Ateo Garemi" diffonde un

proclama dal titolo "Arrendersi o perire'" in cui è fissato il trattamen­to riservato ai nemici della Resistenza a seconda del loro comporta­

mento: "Sia ben chiaro per tutti che chi non s'arrende sarà sterminato,

chi sarà colto con le armi in mano sarà fucilato. Solo chi abbandona

volontariamente le file del tradimento, cònsegna le armi - quante più armi può - ai patrioti, avrà la vita salva, se non si sarà macchiato per­

sonalmente di gravi dclitti contro il movimento di Liberazione nazio­nale. Quanti s'arrendono dovranno essere liberati, se appartenenti alle forze coscritte repubblicane; custoditi in campi di concentramento, se

tedeschi o fascisti, per essere consegnati, i primi agli anglo-americani e i secondi tenuti in condizione di non nuocere, fin tanto che ciò sarà

necessario per le esigenze della guerra e dell'ordine pubblico." Sull'alto vicentino, lungo le vie della imminente ritirata tedesca,

J

la "divisione Garemi" a metà aprile è in piena attività di sabotaggi.

208

Sull'altopiano di Asiago (dove già erano stati fatti sabotaggi alla linea ferroviaria Rocchette-Asiago e fatti saltare i ponti sul torrente Ghelpack), il 6 aprile in località Termine vengono distrutti i camion

della TodI. Nello stesso giorno è assalito e disarmato il presidio ger­manico in contrada Buscar.

Il 24 aprile i tedeschi fuggono da Rubbio e si rifugiano a Gallio, dove riparano anche quelli di Storner e di Lazzaretti.

All'imboccatura della Val d'Astico, a Caltrano, i tedeschi e i militi della Decima Mas, per meglio difendersi in previsione di attac­chi, il 24 si ritirano a Chiuppano. l partigiani il giorno successivo arrestano il segretario del partito repubblicano Romolo Mancini e lo uccidono.

A Padova c'è forte tensione tra gli stessi nazifascisti: aumentano le diserzioni, tutte punite con la fucilazione sia da parte tedesca che italiana. Si cerca di infondere nei cittadini il terrore. La sera del 21

aprile chi dice che Bologna era stata conquistata dagli alleati finisce in prigione. In questo giorno viene ostentatamente festeggiato il natale

di Roma con cortei. Per ordine delle autorità è esposto nelle vetrine dei negozi il ritratto di Hitler.

Nell'alto padovano tra Camposampiero e Villanova, i militi repubblicani e i tedèschi di stanza a Campodarsego sono alla caccia dei partigiani della "brigata Guido Negri" in possesso di una radio ricetrasmittente in continuo contatto con il comando alleato.

Dopo aver ucciso il 7 aprile il diciottenne Gianni Berto, il IO piombano nella fattoria Bassi di Murelle e catturano il partigiano Antonio Ceron (Tonino), che ne è il custode. Torturato con bruciature,

trafitta la lingua con un chiodo rovente, non vuole rivelare alcun nome dei capi e gregari della "brigata Guido Negri". Straziato, è ucci­so a Campodarsego il 13 aprile.

Due giorni dopo, alla caserma di Chiesanuova, frazione di Padova, sono fucilati i gappisti Bruno Lazzaretto, Guido Franco e Nerone Nalesso.

209

Attorno al 20 iniziano i combattimenti delle forze partigiane venete, che si svolgono dapprima prevalentemente nel Polesine e

nella pianura veronese, territori più vicini all'avanzata delle armate alleate.

Le brigate polesane ingaggiano scontri cruenti con reparti tede­

schi e della Decima Mas nella zona del delta del Po e dell'Isola di

Ariano, salvando i traghetti utili al passaggio delle truppe inglesi.

Intanto a Villadose e a Granzette i tedeschi compiono gli ultimi eccidi per rappresaglia.

Mentre gli alleati il 23 attraversano il Po, Chioggia viene libera­

ta dai partigiani. La notizia che in quello stesso giorno gli americani della Quinta

armata sono entrati in Parma accelera l'insurrezione anche nel verone­

se. Il 23 sono in piena azione le formazioni operanti nella Lessinia

e sul monte Baldo nel tentativo di impedire alle forze armate'tedesche le comunicazioni con la Germania attraverso la Val d'Adige.

I partigiani veronesi della zona di Isola della Scala e vicina al mantovano combattono già alla periferia di Verona, in attesa che da Mantova arrivino gli americani della Quinta armata.

210

CAPITOLO 27

DALL'INSURREZIONE GENERALE ALLA RESA DEI TEDESCHI A CASERTA

IL PROCLAMA INSURREZIONALE DEL 25 APRILE 1945 E L'INCONTRO NELL'ARCIVESCOVADO DI MILANO

Il 25 aprile il CLNAI, "in nome del Popolo italiano", lancia il

proclama insurrczionale a tutti i CLN regionali; ed il 26 pubblica il manifesto con il quale assume tutti i poteri in forza dell'autorità confe­ritagli di "delegato del Governo Italiano".

E' un ordine categorico, quasi superfluo, perché nella maggior parte dell'Italia settentrionale la rivolta è già in atto.

L'influsso psicologico del manifesto è notevole: ordina quanto i precedenti accordi con gli alleati e con lo stesso governo Bonomi ten­

devano ad esautorare o almeno a sminuire di importanza: l'assunzione dei poteri "civili e militari" da parte dei CLN regionali e provinciali.

Per l'amministrazione della giustizia vengono istituiti i tribunali di guerra e viene stabilita la pena di morte per i gerarchi del fascismo. Sono abolite tutte le leggi sociali della Repubblica Sociale Italiana,

all'infuori dei consigli di gestione delle aziende, volendo in questo

modo esaltare lo spirito di rinnovamento politico e sociale della Resistenza, contraria al ritorno del precedente Stato italiano liberale

prefascista. Il 25 aprile, a Milano, ha inizio lo sciopero generale. Nel pomeriggio si svolge nell'arcivescovado alla presenza del

cardinale Ildefonso Schuster un incontro tra Benito Mussolini,

211

Rodolfo Graziani e i ministri della RSI Francesco Maria Barracn e

Paolo Zerbino (entrambi poi fucilati sulla piazza di Dongo l da una

parte e i capi del CLNAI Cadorna, Lombardi, Marazza e Arpesani

dall'altra. In attesa di questi ultimi, arrivati all'appuntamento con gran

ritardo, Mussolini rimane per ben tre ore da solo a colloquio con

Schuster, che gli prospetta la possibilità di tenerlo suo ospite nell'epi­

scopio per consegnarlo agli alleati.

Di fronte alla proposta di resa incondizionata e alla notizia di

trattative in corso con il generale WoltI, Mussolini e Graziani lascia­

no l'arcivescovado con la concessione di due ore per la decisione.

Pertini giunge mentre Mussolini scende lo scalone della Curia, ma

non lo riconosce.

Mussolini non dà alcuna risposta, convinto di una estrema per­

sonale difesa con pochi fedeli in Valtellina.

Scritta una lettera a Churchill, alle ore venti, protetto dalla scor­

ta tedesca del tenente Birzer e dai più fedeli gerarchi, parte' alla volta

di Como, dove spera di essere raggiunto dalla colonna armata di

Pavolini.

LE BATTAGLIE INSURREZIONALI

Mentre Mussolini si avvia alla sua tragica fine, il Piemonte e la

Liguria, per opera dei partigiani, sono in piena rivolta contro i tede­

schi.

Il 26 è pubblicato il manifesto con il quale il CLNAI assume

tutti i poteri:

"Il Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia, delegato

del solo governo legale italiano, in nome del Popolo e dei Volontari

della Libertà assume tutti i poteri di amministrazione e di governo per

la continuazione della guerra di liberazione a fianco delle Nazioni , Unite, per l'eliminazione degli ultimi resti del fascismo e per la tutela

dei diritti democratici. Gli italiani devono dargli pieno appoggio. Tutti

212

i fascisti devono fare atto di resa alle Autorità del CLN e consegnare

le armi. Coloro che resisteranno saranno trattati come nemici della Patria e come tali sterminati."

Genova, insorta il 23, arriva in meno di tre giorni alla liberazio­

ne. I partigiani catturano oltre seimila tedeschi. Nella stessa sera della

partenza dei gerarchi fascisti e del loro capo per Como, il generale

tedesco Gunther Meinhold firma a Genova la resa nelle mani dell'ope­

raio Remo Scappini, presidente del CLN genovese: gli alleati vi entre­ranno cinque giorni dopo.

Aosta è liberata il 26.

A Cnneo i partigiani fin dal 24 hanno ingaggiato una cruenta battaglia che si protrarrà fino al 29.

Il 28 a Torino, dove sono arrivati i partigiani della montagna, tra

i quali anche gli autonomi al comando di Giovanni Latilla, i tedeschi

rinunciano alla difesa e abbandonano la città. Gli alleati vi arriveran­no soltanto l' l maggio.

r tedeschi in Piemonte, con le stragi lungo i paesi e particolar­

mente a Grugliasco e a Collegno, si aprono la via della ritirata.

A Milano il27 entrano i garibaldini dell'oltrepò pavese, mentre i

partigiani dell'Ossola arrivano a Busto Arsizio. Nello stesso giorno a

Musso, nei pressi di Dongo, viene bloccata dai partigiani l'antocolon­

na di Mussolini.

Il 28 l'inviato del comando generale dei Volontari della Libertà,

colonnello Valerio (Walter Andisio l, in base ad un rapidissimo proces­

so e secondo le disposizioni del CLNAI esegue personalmente la sen­

tenza di morte nei confronti di Mussolini, cui si unisce Clara Petacci,

a Giulino di Mezzegra; e dirige la fucilazione degli altri gerarchi sulla piazza di Dongo.

Il 29 i cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi

sono esposti alla visione del pubblico a Milano a piazzale Loreto,

appesi per i piedi ad un distributore di carburante. In questo stesso

luogo il 15 agosto dell'anno precedente erano stati fucilati 15 parti-

213

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L'ITALIA E' LIBERA L'ITALIA RISORGERA' ,

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"Il Popolo" del 26 aprile 1945, organo della Democrazia Cristiana, con il messag' gio del!' arcivescovo Ildefanso Schuster.

Il quotidiano "Avanti' " del 28 aprile 1945, organo del PSIUp, con un discorso di Sandra Pertini ai lavoratori.

214

giani. Vengono poi tolti dal piazzale anche per l'insistenza del cm'dina­le Schuster, deciso di farlo personalmente se continuava l'esposizione.

A Trieste il 29 il CLN ordina la sollevazione dei partigiani, i quali insorgono sotto la guida dell'autonomo Antonio Fonda Savio e di Ercole Miani del partito d'azione. Il primo maggio penetrano i par­

tigiani iugoslavi che si scontrano con gli italiani; e il 2 maggio oecn­pano militarmente la città e disarmano i pattigiani italiani. Ma nello stesso giorno entrano a Trieste gli alleati, che si erano fermati a Monfalcone in attesa di ordini.

Nel Friuli la lotta dei partigiani, specialmente nella valle del But, si prolunga fino al 7 maggio.

Il 29 nel quartiere alleato di Caserta viene firmata la resa delle armate tedesche, che entrerà in vigore alle ore 14 del 2 maggio.

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"La Libertà" del 28 Aprile 1945, quotidiano del partito liberale. Nell'articolo di fondo ricorda che per le vie di Milano i cecchiniJascisti continuano a sparare.

215

LA DICHIARAZIONE CONCLUSIVA DEL CLNAI

A conclusione dell'insurrezione del 25 aprile, il 30 appare sui

giornali un comunicato del CLNAI: "Il CLNAI dichiara che la fucilazione di Mussolini e dei suoi

complici, da esso ordinata, è la conclusione necessaria di una fase sto­rica che lascia il nostro Paese ancora coperto di macerie materiali e morali, è la conclusione di una lotta insurrezionale, che segna per la

Patria la premessa della rinascita e della ricostruzione. Il popolo ita­liano non potrebbe iniziare una vita libera e normale - che il fascismo

per venti anni gli ha negata - se il CLNAI non avesse tempestivamen­te dimostrata la sua ferma decisione di fare suo un giudizio già pro­nunciato dalla storia."

"Solo a prezzo di questo taglio netto con un passato di vergogna e delitti, il popolo italiano poteva avere la assicurazione che V CLNAI

è deciso a proseguire con fermezza il rinnovamento democratico del Paese. Solo a questo prezzo la necessaria epurazione dei residui fasci­

sti può e deve avvenire con la conclusione della fase insurrezionale, nelle forme della più stretta legalità."

"Dell'esplosione di odio popolare - che è trascesa in quest'unica

occasione ad eccessi comprensibili soltanto nel clima voluto e creato da Mussolini unico responsabile è il fascismo."

"Il CLNAI come ba saputo condurre un'insurrezione mirabile per disciplina democratica, trasfondendo in tutti gli insorti il senso

della responsabilità di questa grande ora storica e come ha saputo fare, senza esitazioni, giustizia dei responsabili della rovina della Patria, intende che nella nuova epoca che si apre al libero popolo ita­

liano non debbano più ripetersi tali eccessi. Nulla potrebbe giustificar­li nel nuovo clima di libertà e di stretta legalità democratica che il

CLNAI è deciso a ristabilire, conclusa ormai la lotta insurrezi'lnale."

216

ALLA SVOLTA DELLA STOFn.a --_._."--------._-----

L'Italia riprende il nuovo cammino per ricostruire sulle rovine della guerra

llndoma!1-i migliore aL~uoi figli Uniti ne!l' amore alla Palr~a i cattolici impegnano cuori ed opere per la suar."!urrezione

"OlU,'NZJ.t ,LlllEm'~'"

-

Trionfali accoglienze di Milano libera alle truppe alleate che restituiscono vita e dignit~~I'ltalia_e alr Europa Il COl. pOlelti assume la carica di UnVuDatore dellaJIDllbardl~ -~- ~- ----'"-------,-----'''--~------------------

1 cadaveri di Mussolini e dei suoi gerarchi nella piazza che videU sacrificio dei 15 Martiri

-~ -Germania cnimleli-- ----- -- -----:caloroso omaggio I l' popolo ~:I~~~~~~

"La Settimana de L 'ila/ia", giornale cattolico, e "L'Italia Libera" del partito d'Azione, entrambi del 29 aprile 1945.

217

l' U III l''' È 1/ l' Maggio. I soldati

~~nUJW·uaL.' deipopolil,beei ,'in-eon/ranb con un popolo che si è conquistala

la sua libertà,

VIVA IL PRIMO MAGGI

"L'Unità" organo del Partito Comunista Italiano, celebra il r Maggio del 1945, festività aholita nel 1923 dal primo governo Mussolini.

218

CAPITOLO 28

L'INSURREZIONE GENERALE NEL VENETO

I partigiani veneti caduti in combattimento nei giorni della Liberazione si calcola siano stati oltre duemila, ai quali vanno ag­

giunti almeno milletrecento civili uccisi per vendetta o per rappresa­glia. Questo alto contributo di sangue può essere spiegato solo se si tiene presente:

- la rapidità imprevedibile del succedersi degli avvenimenti; - l'importanza territoriale del Veneto per le truppe tedesche in

ritirata;

- la particolare atmosfera emotiva di quei giorni;

- l'entrata in piena azione di molte brigate o gruppi già alcuni giorni prima del 27 sera, quando da Padova verrà diffuso l'ordine della insurrezione generale.

La veloce avanzata della Quinta armata americana (Parma cade il 23 aprile) e dell'Ottava armata inglese (il 24 supera Ferrara e alla

sera le avanguardie sono alle porte di Rovigo) costringono i tedeschi a concentrarsi al di là dell' Adige.

L'unica via di ritorno in Germania appare, quindi, quella del Veneto per raggiungere i valichi alpini del Brennero e del Tarvisio.

Ciò era stato previsto dal generale Kesselring, passato al comando delle armate tedesche combattenti sul fronte occidentale. A tale scopo aveva predisposto un piano per cui doveva essere fatto il

deserto per una fascia di cinquanta chilometri a partire dall'Adige verso le Alpi venete, trasformando le città di Padova, Treviso e

Venezia in roccaforti per favorire la ritirata, che doveva far giungere

219

in Germania il maggior numero possibile di soldati, in buone condi­zioni di armamento per continuare a combattere in difesa del Reich.

Per evitare la realizzazione del piano Kesselring erano arrivate, tramite la missione militare italiana MRS, in data 27 marzo alcune direttive del Quartiere Generale Alleato e del Comando Supremo

Italiano, di cui le più importanti, per giudicare il comportamento dei

partigiani durante gli ultimi giorni di aprile, sono la terza e la quarta: 3) - Le azioni su vasta scala non dovranno essere iniziate finchè

non verrà dato l'ordine dal Quartiere Generale Alleato. Nel frattempo continuare le azioni di sabotaggio alle vie di comunicazione e di con­

trosabotaggio per la protezione degli impianti industriali e in special

modo delle centrali elettriche. 4) Appena verrà l'ora, il compito specifico di tutte le formazioni

sarà di impedire al massimo la ritirata dci tedeschi, di uccidere i tede­schi e di impedire sabotaggi del patrimonio italiano da parte di questi.

Pertanto i compiti che si assumono i partigiani veneti, hra riuniti tutti sotto l'unico comando del Corpo dei Volontari della Libertà, sono

così elencati dai principali organizzatori della Resistenza Veneta: - Impedire le distruzioni territoriali e dei manufatti previste dal

piano di Kesselring. - Evitare che i tedeschi si accampino in terra veneta per iniziare

una difesa protettrice per le truppe in ritirata perché, in tal caso, le vit­

time civili, essendo le popolazioni prese tra due fuochi, sarebbero

state innumerevoli. - Affrettare il crollo morale delle divisioni tedesche con continui

assalti per non lasciare a loro illusioni. Disarmare il più possibile le truppe tedesche perché non ritor­

nino in patria in condizioni efficienti per combattere contro gli alleati in marcia verso Berlino, la cui caduta significa la fine della guerra.

I partigiani veneti sono entusiasmati, più che dai loro coman­danti, dai comunicati di radio Londra e di radio America, dai quali

apprendono le notizie delle avanzate sugli altri fronti: gli angloameri-

220

cani sono già entrati vittoriosi ad Ulma e ad Augusta (Augsburg), i

russi premono alle porte di Berlino. Questo stato d'animo, già esasperato da due anni di lotta spesso

disumana, non concede loro di attendere l'ordine insurrezionale del

Comando Militare Regionale Veneto (CMRV) dipendente dal CLNRV, che a sua volta deve agire in armonia con la volontà degli

alleati. Pertanto varie brigate o addirittura piccoli reparti agiscono anticipatamente e di iniziativa propria.

Ciò non è esente da conseguenze a volte funeste per i civili, ma

è anche una sgradita sorpresa per i tedeschi. Questi, ignari della modesta forza reale delle brigate partigiane e ingannati dall'audacia

che la maschera, in alcuni casi si lasciano disarmare pur essendo in forze notevolmente maggiori.

E' una sorpresa anche per gli alleati, che vedono modificati i

loro piani concepiti per affidare al movimento insurrezionale una parte più ridotta nella liberazione dell'Italia occupata dalla Wermacht.

Tale atteggiamento dipende dalla ben nota loro preoccupazione nei confronti delle formazioni partigiane politicizzate dai partiti di sini­

stra. L'anticipata insurrezione in molte zone del Veneto (come in

altre parti dell'Italia settentrionale, specialmente in Liguria e

Piemonte) è dovuta, quindi, anche agli indugi del comando alleato, che ai partigiani non appaiono sufficientemente motivati dal punto di

vista della strategia militare.

221

CAPITOLO 29

L'INSURREZIONE NEL VENETO SUD-OCCIDENTALE

NEL POLESINE

Come è già stato detto nel capitolo sulla vigilia insurrezionale,

le brigate polesane (quattro comuniste: "Garibaldina", "Giovanni

Tasso", "Maurizio Martello", "Antonio Bonatti"; una azionista: la "IV

brigata Giustizia e Libertà"; e i gruppi minori autonomi: "Isola di

Ariano", "Libertà" di Canaro e "Silvio Trentin" di Taglio del Po) si

impegnano anzitutto per salvare i traghetti utili agli alleati nella zona

del delta del Po e dell'Isola di Ariano.

Il 23 aprile vengono liberati i paesi di Castelmassa e di Stienta.

A Rovigo nel pomeriggio del 24 sono scarcerati i prigionieri

politici; alle ore 21 il comandante Lino Rizzieri (Sibelius) dà l'ordine

di insurrezione generale. A mezzanotte la città di Rovigo è tutta sotto

controllo dei partigiani.

Vinte rapidamente le ultime difese dei fascisti tra il 24 e il 25,

tutti i paesi del Polesine sono liberati.

Purtroppo in questo giorno le SS naziste consumano l'ultima

atroce rappresaglia: rastrellate ventitré persone tra Lama e Sassi di

Ceregnano, vengono freddate senza alcuna ragione il 25 aprile davanti

al cimitero di Villadose.

In rapporto alla popolazione e al numero dei partigiani, il tributo

di sangue alla resistenza polesana appare notevole: su 1.053 partigiani

e 658 patrioti regolarmente riconosciuti, i caduti sono 183 e { feriti 96.

222

NELLA PROVINCIA DI VERONA

Provenienti dalla Valpolicella, i partigiani si congiungono con gli americani alla periferia della città scaligera il 25 aprile.

Il comando partigiano della città, rappresentato da Vincenzo

Casati, accetta l'impegno del vescovo Girolamo Cardinale di garantire

al Quartiere generale germanico residente a Verona l'evacnazione

indisturbata in cambio del rispetto della popolazione e degli edifici.

Sfortunatamente, incertezze e disorganizzazione dei comandi

partigiani non impediscono che i tedeschi, nonostante la promessa

fatta al vescovo, facciano saltare tutti i ponti, compresi il ponte Pietra,

di costruzione romana, e il ponte Scaligero, splendida opera medieva­

le. Ma se non si è riusciti a salvare il patrimonio artistico dei ponti, un grande numero di persone deve la vita al coraggio di un prete.

Don Giuseppe Graziani, cappellano delle Brigate Nere, dopo diverse trattative con le autorità germaniche, ottiene la sera del 25

aprile di svuotare almeno in parte la polveriera di Avesa, la più grande d'Italia, che deve essere fatta saltare il 26 mattina.

Alle 21, con la collaborazione di don Giuseppe Zerbini, parroco di Avesa, frazione di Verona, più di un migliaio di volontari sono

davanti all'imboccatura della polveriera. Il lavoro affannoso di tra­

sporto delle casse di tritolo, di dinamite e di proiettili in luoghi suffi­

cientemente lontani cessa obbligatoriamente alle tre del mattino, ora

in cui iniziano le operazioni per far saltare la polveriera ormai com­pletamente svuotata.

Alle 6 si ode un boato immane, seguito da una nube densa che

avvolge il monte Ongarine e Avesa. Molte case della frazione crolla­

no, ma solo sei persone periscono, avendo le altre ascoltato la esorta­

zione a fuggire. Se la polveriera fosse saltata in aria con le sue 40.000

casse di dinamite e di tritolo e le innumerevoli altre casse di proiettili

di artiglieria, avrebbe provocato distruzioni e vittime almeno a metà Verona.

223

Gli americani entrano a Verona il 26.

Tra il 25 e il 27 tutte le formazioni della pianura veronese sono in combattimento contro le guarnigioni tedesche locali, e gli scontri si protraggono fino al 30.

Nella Valle d'Alpone e nella zona tra San Bonifacio e Cologna Veneta agiscono le brigate organizzate in "Movimento Armato di

Liberazione" da Carlo Perucci. Entrambi i due grossi centri sono in

mano dei partigiani già il 27 sera. I! 28 Soave e Roncà tributano a Luciano Dal Cero (comandante

Paolo) e alla sua brigata "Manara" calorosa riconoscenza per aver evi­tato vittime civili. La mattina dopo arriva la notizia che un reparto di tedeschi, proveniente da Montecchio Maggiore, sono in marcia per

liberare i commilitoni fatti prigionieri a Roncà. Il comandante Paolo non li attende in difesa, ma vuole fermarli fuori del paese. Appena

viene avvistato, una scarica di mitra lo abbatte. Il comando della bri­gata "Manara" viene subito assunto dalla sorella Lisetta.

Tra le varie rappresaglie va ricordata quella compiuta dalle SS in ritirata nella val d'Illasi.

Il parroco di Giazza, don Domenico Mercante, offertosi in

ostaggio per salvare i parrocchiani, viene trucidato la sera del 27 a San Martino d'Ala assieme ad un ignoto soldato dello stesso reparto

delle SS, rifiutatosi di eseguire la fucilazione del sacerdote.

NELLA PROVINCIA DI VICENZA

Nella città di Vicenza la liberazione avviene senza vittime civili. Il 26 aprile il vescovo Carlo Zinato ha un lungo colloquio con i

membri del CLN vicentino e li convince ad evitare azioni pericolose per gli abitanti; e convince pure gli ufficiali della GNR dell~ RSI alla resa pacifica.

224

Alle nove del mattino del 28 aprile entra a Vicenza il primo carro armato degli alleati.

Purtroppo in quello stesso giorno nel suburbio sono uccise una cinquantina di persone dai tedeschi in fuga. Nel rione di Campedello

sono saccheggiate alcune case e uccise persone inermi; in quello di

Maddalene sono massacrate con bombe a mano e raffiche di mitra­

gliaaltre, che si erano rifugiate in una caverna, .

Lungo la pedemontana

Sulle montagne vicentine combattono le divisioni" Ateo Garemi" e "Monte Ortigara".

Dall'inizio della Val d'Astico fino a Bassano, da parte nazifasci­sta è tutto un susseguirsi di abbandoni di posizioni deboli per asserra­

gliarsi in altre maggiormente fortificate, sotto la paura di assalti improvvisi dei partigiani, supposti quasi sempre in numero assai supe­riore alla realtà.

Il 25 la soldatesca russa (ex prigionieri russi al servizio del nazi­smo) passa dai presidi di Zanè e di Cogollo ad Arsiero. Nello stesso

giorno vengono cacciati da Zugliano i nazifascisti: nello scontro muore il noto partigiano Luigi Simioni.

Anche a Crosara San Bortolo i tedeschi abbandonano il loro presidio.

I! 26 Calvene è liberata con un'azione temeraria: a tarda sera viene occupato il municipio con grande terrore della popolazione.

Altre formazioni partigiane nelle stesse ore attaccano il reparto della Decima Mas stanziato a Lugo e lo costringono alla resa.

A Fara, dopo un'ora di aspro combattimento, anche la brigata nera "Capanni" accetta la resa incondizionata.

Nell'insurrezione di Thiene muoiono Pietro Saccardo e Alfredo Talin, quest'ultimo appena arrivato dopo la fuga rischiosa dal campo

di concentramento di Gries presso Bolzano; ma muoiono anche due

225

studenti universitari meridionali sfollati a Thiene: Lo Russo e

Novielli. La rivolta viene funestata dall'uccisione del comandante

Giacomo Chilesotti (Nettuno) e del commissario politico Giovanni Cadi (Ottaviano) della divisione "Ortigara". Partiti assieme ad Attilio Andreetto (Sergio) il mattino del 27 e diretti a Longa, frazione di

Schia von Vicentino, dove si trova il comando della Decima Mas per trattarne la resa, appena superato il paese di Sandrigo vengono fermati

dai tedeschi e tutti e tre immediatamente fucilati. Angelo Fracasso assume il comando della brigata "Monte

Ortigara" e prosegue la lotta: il 29 Thiene è completamente liberata.

Uno scontro sfortunato si ha nel tardo pomeriggio del 27 a con­trada Pontare di Zanè che si conclude con la resa di cinque partigiani

e di uno catturato: sono condotti ad Arsiero e subito ammazzati. Il giorno successivo nei pressi di Mosson, poco oltre Caltrano, i

partigiani attaccano un reparto di tedeschi, che reagisce e si v,endica

dando alle fiamme le case della famiglia Toniolo, dopo aver ucciso Teresiano Rossi, Bruno Dal Prà e Giovanni Zenari.

In quella sera stessa arrivano a Cogollo numerose autoblinde

tedesche con cannoni. I soldati decidono di fermarsi per la notte. La canonica deve dare alloggio ad un generale e ad un colonnello ed

accogliere due feriti. Gli abitanti passano la domenica nel terrore, ri­manendo rintanati in casa. Verso sera la colonna blindata si dirige ad

Arsiero. Il lunedì 30 aprile Pedescala subisce quello che può essere con­

siderato il maggior eccidio in terra vicentina, se si esclude quello

seguito al rastrellamento del Grappa nel settembre del '44. Dopo la partenza all'alba dei soldati russi, verso le dieci il paese viene invaso da tedeschi armati che iniziano un sistematico incendio delle case

usando il lanciafiamme e gettando contemporaneamente bombe a mano sulle abitazioni. Uccidono quanti tentano di fuggire. Tra le vitti­

me anche il parroco don Fortunato Carlassare con il vecchio padre. Le

226

donne vengono ammassate dai tedeschi nel cimitero e poi costrette a fuggire nella vicina Val d'Assa.

Secondo le cronistorie dei parroci dei paesi limitrofi, la causa indiretta dell'eccidio fu dovuta in parte a provocazioni isolate di parti­

giani. Secondo altra versione, invece, la provocazione sarebbe partita da qualche attacco alle truppe tedesche fatto da giovani non ap­

partenenti alle brigate partigiane, impossessatisi delle armi abbando­nate dai soldati russi.

Temendo uguale sorte per i suoi parrocchiani, Don Aldo Bordin

del confinante paese di San Pietro Valdastico fngge con il suo popolo sotto una pioggia torrenziale e sale verso le contrade Valeri e Baisse. Il 2 maggio quando si recherà a Pedescala, lo definirà "un autentico

forno crematorio". Le vittime sono sessantaquattro: cinquantacinque

uomini e nove donne. Nel primo tratto della Val Brenta i partigiani, divenuti cecchini,

colpiscono i reparti tedeschi in transito, che spesso reagiscono sparan­

do a caso e colpendo innocenti civili. Alla sera del 25 il presidio fascista di Campese viene costretto

alla consegna delle armi; e con un violento scontro, durato tre ore, è

bloccato un reparto tedesco in transito. Anche la strada Bassano-Campese-Valstagna viene bloccata e

resa inutilizzabile dagli automezzi tedeschi. Bassano è liberata il 28 aprile.

Sull'altopiano d'Asiago

Più rapida è la liberazione dell'altopiano di Asiago. Con vari assalti ai presidi sparsi da Enego a Treschè-Conca, da Gallio a Lusiana (alcuni dei quali cruenti e con vittime di civili), e la mediazione dei

sacerdoti e parroci locali (decisive quelle di monsignor Bartolomeo Fortunato e don Domenico Rigoni per Asiago, di don Angelo Zanella

per Lusiana) tutto l'altopiano viene liberato per il 28 aprile.

227

Una vera battaglia si accende a Conco il 27 dalle Il alle 15 con la resa dei tedeschi: sette morti tra i tedeschi e due tra i partigiani, una

ventina di feriti, di cui alcuni muoiono dissanguati. Ma il lutto mag­giore si abbatte sui civili di Treschè-Conca: il 27 dopo uno scontro tra una colonna di tedeschi e alcuni partigiani della "Garemi", i primi

lasciano al snolo nove morti. Per rappresaglia i tedeschi prendono

dieci uomini della contrada Lughetti e li fucilano. Dopo la liberazione dei Sette Comuni di Asiago dai locali presi­

dii, s.i profila il pericolo di attacchi da parte delle truppe tedesche in ritirata provenienti dalla pianura.

II 28 sera l'altopiano sembra preso di mira da 1.500 tedeschi che

da Marostica marciano verso Crosara San Luca; ma poi, timorosi dei partigiani, si disperdono lungo la pedemontana; il lunedì però gli abi­

tanti di Crosara vivono ulteriori ore di angoscia: cadono combattendo

altri tre partigiani. Alla domenica, verso l'una pomeridiana, gruppi isolati di tede­

schi ingaggiano uno scontro a Valle San Floriano contro i partigiani che vogliono disarmarli. Oltre a tre partigiani che soccombono nella

sparatoria, viene distrutta la famiglia di Antonio Tasca, ucciso sull'u­scio di casa, cui segue immediata l'uccisione della moglie Anna Crestani, della figlia Bianca con la neonata Antonia di cinque mesi.

Anche il tentativo dei tedeschi di raggiungere l'altopiano il 30 aprile salendo la strada che porta a Rubbio viene sventato. Nello scon­

tro a metà costa, nella contrada Brombe, periscono in combattimento quattro partigiani, altri due muoiono combattendo in contrada Erta.

Sulla pianura vicentina e nei Colli Berici

Da Noventa Vicentina a Camisano e in quasi tutti i comuni del

Basso vicentino opera la divisione "Vicenza", che complessivamente cattura circa undicimila prigionieri tedeschi.

Noventa è liberata dai partigiani all'alba del 28 mattina, ma

228

poco dopo un forte nucleo tedesco entra nel paese spingendo avanti una decina di ostaggi. Per non uccidere i paesani resistendo di fronte,

i partigiani tentano un'azione di aggiramento che si conclude dopo mezz'ora con la ritirata dei tedeschi e la liberazione degli ostaggi. Quattro partigiani cadono con l'arma in pugno: Italo Aldefonsi, Attilio

Bellin, U go Splendore, Rino Todesco.

Tra i colli Berici e Lonigo opera soprattutto la brigata garibaldi­na "Martiri di Grancona", che il 26 ottiene ad Orgiano la resa del

comando della brigata nera "Ettore Muti" di Ravenna. Nello stesso giorno libera dai nazifascisti tutta la zona di Orgiano e di Sossano.

Lonigo viene liberata il 28 sera dagli americani, provenienti da Cologna Veneta ed entrati dalla strada di Bagnolo con l'aiuto del capi­

tano Mario Fiandini ed .i suoi partigiani, che perdono undici combat­

tenti. Prima di arrendersi alcuni reparti compiono brutali eccidi tra i

civili: cinque a Creazzo, diciassette a Montecrocetta e undici nelle fra­zioni di Lonigo: tre a Santa Marina, tre a San Tomà e cinque a Villa

Rosa.

NELLA PROVINCIA DI PADOVA

Nell'alto padovano

Anche nel padovano, nonostante a Padova ci sia il CLNRV, non

si attende l'ordine ufficiale dell'insurrezione. L'inizio della rivolta avviene martedì 24 con la capitolazione di

alcuni presidii nel mandamento di Cittadella. Nello stesso giorno è attuata la proficua aggressione al presidio

di Fontaniva che porta alla cattura di molte armi e delle batterie con­

traeree. Positiva anche la liberazione di Pieve di Curtarolo ad opera dei

partigiani del III battaglione della brigata cattolica "Damiano Chiesa

229

III", operante a Nord di Padova al comando di Graziano Verzotto (Bartali) conclusasi provvisoriamente il 26 con la resa della locale bri­gata nera e del suo comandante Eugenio Rizzato,

Dopo poco arrivano a Curtarolo i partigiani garibaldini del bat­taglione "Stella", che prendono possesso della caserma della brigata nera e ottengono anche la resa incondizionata dei tedeschi accampati nella fattoria di Pasquale Poli e a villa Breda di Campo San Martino: sono fatti prigionieri 350 tedeschi, che vengono concentrati nella sala parrocchiale di Pieve, I fascisti locali, il cui comandante Eugenio Rizzato riesce a fuggire, sono condotti nelle risaie di Curtarolo, Complessivamente, tutta la fortunata azione costa soltanto cinque morti: tre tedeschi, un partigiano e un anziano civile,

Le impreviste aggressioni dei partigiani impressionano i coman­danti di altri presidii tedeschi della zona,

Il comandante del reparto tedesco, stanziato nel vicino paese di Villafranca, convoca il parroco Don Settimo Levorato e lo avvisa di pesanti rappresaglie sulla popolazione in caso di sabotaggi, Ma il mat­tino del 26 tutti gli operai addetti ai lavori di fortificazione non si pre­sentano; e solo le implorazioni di don Levorato impediscono la rap­presaglia del comandante irato,

Vani, invece, risultano i tentativi di conquistare il presidio forti­ficato di Tavo di Vigodarzere, dove si asserragliano anche i tedeschi di Vigodarzere e un reparto di SS provenienti da Pordenone,

Mentre a Pieve di Curtarolo tutto pare terminato con la blillante azione che ha indotto i 350 tedeschi ad arrendersi, il 28 una colonna blindata sgomina il nucleo dei partigiani a Capitelbello: cadono in combattimento tre tedeschi e il partigiano Luigi Faccio di Marsango,

Successivamente, nell'attacco dei mezzi blindati agli altri appo­stamenti partigiani di Pieve di Curtarolo, perdono la vita i giovani Bruno Cortese, Dante Marangon, Severino Cabrele e Gino Pinton,

Catturano, quindi, il vecchio arciprete, presto rilasciato, mentre tengono prigionieri i due cappellani,

230

Dopo aver incendiato le case del centro del paese, si dirigono verso Marsango con i due cappellani e altri tredici ostaggi. Vengono intercettati dai caccia americani e devono fermarsi, Ricordando la bontà del vecchio arciprete che aveva loro procurato il rancio durante la prigionia nella sala parrocchiale, lasciano liberi i cappellani e gli altri tredici ostaggi,

Distrutti il ponte di Curtarolo e di Pontevigodarzere, l'unico pas­saggio del Brenta rimasto è costituito dal traghetto a Limena, quanto mai inadatto per il transito dei numerosi automezzi e dei soldati, e per di più bruciato dai partigiani.

Attraverso il ponte provvisorio, costruito nello stesso luogo dai tedeschi con dodici barconi, passano le colonne militari rimaste al di là dell'argine di sinistra, mentre l'aviazione alleata intensifica i bom­bardamenti nella zona,

La domenica 29 gli abitanti di Limena trascorrono un giorno di terrore: inizia la battaglia tra le truppe tedesche che tentano l'attraver­samento alle Bocche e i reparti delle avanguardie alleate, appostate sull'argine destro, Verso le sei di sera i tedeschi ripiegano lasciando sul campo molti caduti e una gran quantità di materiale bellico,

Soltanto il lunedì mattina i limenesi possono considerarsi liberi. Negli scontri periscono i partigiani locali Riccardo Tosetto e Giorgio Tonello, oltre al romagnolo Lionello Cantarelli di Forlì, appena ritor­nato dalla Germania, Inoltre, dopo pochi giorni, a Limena suscita profonda impressione l'uccisione proditoria di Emilio Bertorelle e di Antonio Lazzarotto,

Alle tre pomeridiane di quel sabato 28 tanto cruento, alla porta meridionale di Cittadella, si presenta una colonna blindata con l'inten­zione di bivaccare nel centro storico,

Giuseppe Armano (Leopoldo), il comandante dei partigiani della brigata "Damiano Chiesa l'', per evitare gravi conseguenze ai civili, incarica padre Oddone Nicolini e il partigiano Carmelio Conz di avviare trattative, Queste si concludono con il passaggio indistur-

231

bato della colonna alle prime ore della notte di domenica 29 aprile,

lungo la circonvallazione fiancheggiante le mura. Ma se fondato sulla prudenza è il comportamento dei partigiani

di Cittadella, non così in quella domenica si comporta il vicino nucleo di Sant'Anna Morosina nel comune di San Giorgio in Bosco, apparte­

nente al II battaglione della brigata "Damiano Chiesa III". Di fronte ad una lunga colonna delle SS che voleva superare il

fiume Tergola sul ponte Sauro, credono di poterla fermare sparando

dalle finestre del massiccio palazzo del conte Andrea Vigodarzere nella contrada San Nicolò. Per comprendere il succedersi dell'azione, bisogna ricordare che tre giorni prima i soldati tedeschi, addetti alle

riparazioni degli autocarri militari nel palazzo adibito a tale uso, erano stati disarmati e poi lasciati liberi. Senza dubbio questi avevano avvi­

sato il grosso reparto delle SS, perché alcuni di loro furono poi rico­

nosciuti al passaggio della colonna per Sant'Anna Morosina. La reazione delle SS, inferocite dalla morte di commilitoni, è

immediata. Circondato il palazzo, massacrano un partigiano che non riesce a fuggire con gli altri; risparmiano la famiglia del conte Andrea

Vigodarzere e uccidono, invece, due innocenti delle case vicine: Luigi

Pegorin e Giovanni Bottazzo. Continuando a catturare ostaggi, minacciato di morte il parroco

di Sant'Anna, don Albino Todesco, arrivano ad Abbazia Pisani, dove, essendo stati nuovamente attaccati da partigiani cecchini, fucilano sei

abitanti del luogo e due di Sant'Anna Morosina. Prendono, quindi, la strada per San Martino di Lupari, facendo

togliere con percosse agli ostaggi le numerose piante tagliate e rove­

sciate lungo il tragitto. Arrivati al paese, proseguono per Castello di Godego, ma dopo

breve tratto, lungo la strada denominata "Cazzadora" allineano sul

ciglio gli ostaggi, circa un centinaio, ed iniziano la strage: son~ le ore 16 del 29 aprile. L'eccidio cominciato al palazzo di San Nicolò si con­clude con un totale di 158 morti: il massimo avvenuto nel Veneto

232

escluso quello del rastrellamento sul Grappa.

Nel contiguo mandamento di Camposampiero, alla mattina del 26, viene attaccato e disarmato il reparto tedesco di Santa Giustina in

Colle, cui segue il tentativo di ottenere la resa anche dai tedeschi di Villa Custozza: ma il comandante dà una minacciosa risposta ne­

gativa.

Effimera è anche la liberazione di Camposampiero, durata poche ore, nonostante il suono della sirena della torre civica e delle

campane del Santuario Antoniano, per l'arrivo in massa di altre truppe tedesche da Castelfranco Veneto.

La mattina di venerdì 27, dopo che la sera precedente era stato ucciso un tedesco, duecento armati della SS con autoblinde muovono da Camposampiero per punire il nucleo dei partigiani di Santa

Giustina in Colle che avevano dato l'inizio dell'insurrezione, diffusasi poi nei dintorni. Viene compiuto uno degli eccidi più brutali tra quanti

insanguinarono la provincia. Alle 13,30 un solo milite delle SS uccide ad uno ad uno ventitré civili fumando sigarette tra una esecuzione e

l'altra: tra i martiri anche il parroco don Giuseppe Lago e il cappellano don Giuseppe Giacomelli, perché trovati in canonica mentre assiste­

vano il giovane partigiano Fausto Rosso gravemente ferito. A Villanova di Camposampiero i partigiani tentano inutilmente

di imporre la resa ai locali presidii, come pure nel vicino paese di

Caltana. Riescono invece a disarmare e imprigionare molti soldati in ritirata. Per ritorsione il tenente colonnello della compagnia

Veterinaria, accantonata da quasi un anno a Villanova, compie alle 15 del 27 un rastrellamento al comando di ottocento uomini, operando il

fermo di trecento persone compresi vecchi e bambini. Negli scontri cadono due giovani e una donna di Sant'Eufemia di Borgoricco. Le

trattative per il rilascio dei prigionieri e la restituzione delle armi si svolgono attraverso ben nove incontri con il parroco don Mario Merlo

e si concludono nel pomeriggio del giorno seguente: a scaglioni sono rilasciati tutti gli ostaggi.

233

Nella bassa padovana

La parte meridionale della provincia, a ridosso dell'argine di

sinistra dell'Adige, comincia già dal martedì 24 aprile ad essere inve­stita dai soldati della Wermacht in rotta, mentre nella zona di Boara

Pisani già dal 21 (liberazione di Bologna) erano comparsi i primi sol­

dati tedeschi in fuga, dopo aver attraversato a nuoto il fiume: alcuni si presentano nudi nelle case, chiedono un vestito, un pane e scappano.

Le truppe in rotta uccidono anche indipendentemente dall'azio­ne dei partigiani: basta un minimo sospetto, una reazione di rifiuto alle loro richieste minacciose (viveri, vestiario, biciclette, animali da

traino, specialmente cavalli) per essere ammazzati. Vittima di questa reazione istintiva, non sempre controllabile, ad Urbana è Antonio

Cerigato. Una strage viene compiuta a Santa Margherita d'Adige. Qui, al ,

rifiuto di consegnare un cavallo, due tedeschi uccidono Augusto Bogoni, e a loro volta vengono uccisi dal fratello Ottavio, che con il

fucile ne ferisce altri sei. Per rappresaglia tutta la famiglia Bogoni viene massacrata ed ugualmente la famiglia Costantini nell'attigua

casa: complessivamente i morti civili sono undici. A Monselice vi sono tre morti e sette feriti per il rifiuto di cede­

re biciclette. Casi analoghi avvengono a Conselve, a Maserà e a San

Pietro Viminario. Ma è soprattutto nelle azioni di rappresaglia che vengono com­

messi i maggiori eccidi. A Boara Pisani il 27 mattina l'arciprete don Sebastiano Perin

ottiene la libertà di oltre un centinaio di ostaggi, catturati nella contra­

da Selvadega e destinati alla fucilazione qualora i partigiani locali ten­

tassero di attaccare le SS del presidio. Dopo un concitato colloquio con il comandante, che lo jlccusa

di essere un nemico peggiore degli inglesi, il Perin offre la propria

vita perché siano rimessi in libertà gli ostaggi. Il comandante, forse

234

colpito dalla personalità impavida e generosa del saderdote, accetta a

condizione che egli si impegni con dichiarazione scritta di assoluta garanzia che nulla verrà tentato contro il presidio germanico. Ed è quanto provvidenzialmente avviene.

Nei giorni di giovedì e di venerdì lo sforzo dei parroci è massi­mo nell'intento di salvare i parrocchiani destinati alla fucilazione o a seguire le truppe in ritirata.

A Carrara San Giorgio don Gaetano Torresin ne salva cinque; a Lozzo Atestino don Tarcisio Mazzarotto ben settantadue, anch'egli offrendosi come ostaggio e vittima al posto dei parrocchiani.

Anche in questa parte della provincia, audacia, temerarietà e disorganizzazione caratterizzano gli assalti dei partigiani ai presidii tedeschi.

Il 26 aprile al ponte della Sorgaglia, presso Arre i partigiani uccidono un soldato tedesco. Scatta immediatamente la rappresaglia:

due giovani partigiani di Conselve vengono seviziati e fucilati; un civile di Arre, Gelserico Lazzarin, di trentasei anni viene fucilato. In uno scontro, il barcaiolo Gastone Sultano di Bovolenta viene ferito

gravemente e gettato nel canale. Altre due vittime, completamente estranee alle azioni dei partigiani, sono il giovane Sante Marana di

Carrara Santo Stefano ucciso presso il ponte di Riva, e Ottorino Borile a San Bortolo di Monselice.

Il 27 alle 2,30 del mattino l'Ottava armata passa l'Adige attra­versando il ponte di Badia Polesine. Alle lO le prime autoblinde sono a Castelbaldo per giungere alla sera a Merlara.

Alle lO del 28 mattina le avanguardie neozelandesi si congiun­gono a Montagnana con le avanguardie americane provenienti da Mantova e appena entrate nel capoluogo della zona.

Alle 4,30 di quello stesso sabato l'Ottava armata attraversa l'Adige anche a Boara Pisani, e l'arciprete don Sebastiano Peri n fa suonare l'unica campana rimasta nel campanile.

Ma ad Anguillara, a qualche chilometro di distanza, le granate

235

degli angloamericani continuano a cadere sulle abitazioni sebbene i tedeschi siano tutti fuggiti. La popolazione terrorizzata commuove il cappellano don Antonio Zorzo, che sale sul campanile già colpito in

più punti ed agita la bandiera bianca. Il fuoco delle granate cessa

immediatamente. Intanto le colonne degli alleati, soprattutto per l'avanzata rapida

dei neozelandesi, entrano ad Este, Monselice e a Conselve.

Nel Piovese

A Sant'Angelo di Piove di Sacco le locali brigate nere lasciano il

paese il giorno 26, dirette a difendere Mussolini nell'ipotetica resisten­za in Valtellina. La situazione si presenta favorevole, ma il movimen­

to insurrezionale fallisce ugualmente. I partigiani permettono impru­dentemente a gruppi di soldati tedeschi di proseguire nella ritirata , limitandosi a disarmarli di volta in volta.

I tedeschi si portano al vicino comando di Saonara, numeroso e fortemente armato, e vi ritornano minacciosi e con rinforzi. Recatisi

in canonica, pretendendo la restituzione delle armi da parte dell'arci­prete e del cappellano, riconosciuti quali uniche autorità del paese. Il

cappellano don Giuseppe De Zuanni si affretta nella ricerca, e conse­gna una trentina di fucili su centoventi, assicurando di non averne tro­

vati altri. A Sant' Angelo viene ucciso dal piombo tedesco una delle figu­

re più pure della Resistenza padovana:il laureando in medicina Evangelista Groppo (Matteo), recatosi il giorno 27 da Padova per por­

tare l'ordine di insurrezione. In quel venerdì così denso di alterne vicende spesso cruente, a

Piove di Sacco vengono fatti prigionieri circa trecento tedeschi e rin­

chiusi nelle scuole elementari, ma poi, avvicinandosi unità motoJizza­te, sono lasciati liberi per consiglio dell'arciprete. Un consistente

reparto di SS occupa la piazza ed effetua una rapida perlustrazione nei

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dintorni, durante la quale rimane gravemente il ferito il giovane Marcato Vittorio, che muore dissanguato.

Purtroppo anche in terra piovese, a Villatora di Saonara, viene perpetrata nna terrificante rappresaglia: il numero di vittime innocenti

è doppio lispetto a quello della più nota strage di Santa Giustina in

Colle.

I partigiani di Camin avevano ottenuto la resa dei brigatisti neri di Ponte di Brenta e di Camin, e per di più disarmati complessivamen­te circa quattrocento tedeschi.

Nonostante avessero perduto nello scontro lungo la strada Olmo Vecchio i due compagni d'arme Antonio Zago e Nereo Menegazzo,

puntano su Saonara, decisi a disarmare e a far prigionieri anche i sol­dati della Wermacht accampati a villa Pimpinato e le SS insediate a villa Bauce.

Verso le 15 di sabato 28 aprile, si presentano ai cancelli di villa Pimpinato: sono circa una trentina, ma soltanto i due capi entrano per

trattare, coadiuvati dal geuerale dei carabinieri in pensione Giuseppe Dezio, marito della signora Teresa Pimpinato.

Nel frattempo due tedeschi iu bicicletta vanno a chiedere aiuto alle SS di villa Bauce.

I partigiani, intuendone le intenzioni, entrano nel giardino e ini­

ziano a sparare, ferendo tre tedeschi, di cui uno gravemente. l soldati della Wermacht, aiutati dalle SS, hanno il sopravvento;

e, mentre i partigiani si disperdono per la campagna, rinchiudono nella villa quanti trovano all'interno della fattoria.

Inferociti, compiono immediatamente un rastrellamento nelle strade vicine, uccidendo a vista e causando ben nove morti soltanto

lungo la via XI febbraio: tra questi ultimi Agostino Rigato di cinque anni, ucciso in braccio a Riccardo, suo padre, il quale rimane ferito ad una gamba.

Non si spara a tutti: alcuni sono catturati lungo il percorso, ai quali vengono uniti quanti si sono nascosti invano nella cantina dell'o-

237

steria "Da Manfrin". Ritornati alla villa Pimpinato, le SS trasportano tutti i prigionie­

ri a villa Bauce, dove il comandante delle SS decide la loro fucilazio­ne. Da parte italiana intervengono a salvezza degli innocenti il dottor Antonio Bauce e il tenente della locale brigata nera, da parte tedesca il tenente medico e un maresciallo. Qnesti ultimi due sostengono la

loro tesi con tale energia che ne deriva una breve sparatoria tra i tede­schi. Ma il comandante delle SS è irremovibile nella sua decisione.

Di fronte alla imminente tragedia, il generale Giuseppe Dezio, portato con gli ostaggi a villa Bauce, otfre la propria vita purché ven­gano risparmiate le altre. Si finge di accettare. L'anziano generale viene condotto al cancello, freddato con un colpo di pistola alla nuca, gettato nel fossato: è la prima vittima dell'eccidio.

Il massacro, iniziato alle 19,15, termina verso le 21. Dopo mezz'ora i tedeschi lasciano il paese asportando quanto

più possono. Complessivamente, con gli uccisi durante il rastrellamento, le

vittime sono quarantasei.

Nella zona dei colli Euganei

Il 26 aprile insorge Este e la zona collinare, dove il capitano Willy Lembke aveva seminato il terrore. Ma i tedeschi reagiscono ovunque.

Ad Este in quello stesso giorno ammazzano in via Roma due partigiani; e nei pressi di Baone il quarantunenne Rino Trevisan, tro­vato in possesso di un'arma e di una bomba a mano.

A Cinto Euganeo è trucidato il trentacinquenne Leone Turetta che sparava assieme a pochi altri partigiani dalla Crosara su di una colonna in transito. Ucciso il Turetta, mentre i suoi compagni di com-

)

battimento ricscono a fuggire, i tedeschi prelevano dalle case vicine degli uomini, che poi rilasciano ad esclusione del giovane Mario

238

Mercurio, che sarà ritrovato cadavere nel greto del torrente tra Crosara e Lozzo Atestino.

A Valle San Giorgio viene distrutta nna famiglia. Secondo una ricostruzione dei fatti, il 25 aprile i partigiani fanno prigioniero un tedesco di stanza a Galzignano e lo portano nella casa dei Cerchiaro. Costoro, dopo qualche giorno, impietositi, avrebbero pregato i capi partigiani di lasciarlo libero. Il tedesco, una volta libero, avrebbe avvisato i suoi superiori, i quali organizzano la rappresaglia: il 27 aprile vengono uccisi Pietro Cerchiaro, i figli Angelo e Bruno e il nipote Armando.

A Torreglia i tedeschi uccidono in uno scontro il giovane parti­giano Guido Povoleri; il giorno successivo dopo essere stati presi di mira da un cecchino, catturano una ventina di ostaggi, che a Luvigliano poi lasciano liberi.

Ma a San Benedetto alle Selve, nel comune di Teolo presso Praglia, i tedeschi, dopo un violento scontro con i partigiani, per ven­dicare la morte di tre soldati compiono una sanguinosa rappresaglia: uccidono quattordici civili, tra cui una bambina di sei anni.

Più fortunati sono i partigiani di Montemerlo e di Selvazzano, che alla domenica mattina possono liberamente sventolare il tricolore.

A Faedo, nel cuore dei colli, alle tre pomeridiane di domenica arriva una statIetta inglese.

239

CAPITOLO 30

TRATTATIVE DI RESA E COMBATTIMENTI A PADOVA DAL 25 AL 29 APRILE 1945

Dal 25 al 29 aprile 1945 il numero e l'importanza degli avveni­menti è tale che, per evitare una facile confusione, è preferibile

seguirli giorno per giorno come in un diario.

MERCOLEDÌ 25

, Giornata di grande delusione per i partigiani residenti a Padova,

non essendo arrivato l'ordine di insurrezione da parte del CLNRV. In questo stesso giorno però avvengono tre fatti importanti.

Il primo di carattere militare-strategico: il comandante unico delle forze partigiane, il colonnello Sabatino Galli (Alfredo Pizzoni),

che già dal 15 dello stesso mese aveva fissato il suo quartiere generale nel pensionato universitario Antonianum, ammassa uomini ed armi, mentre nella vicina caserma di Santa Giustina i monaci dell'attigua

abbazia riescono a prelevare ulteriore materiale bellico. Il secondo è di carattere umanitario: vengono riprese le trattati­

ve di scambio di prigionieri nella speranza di salvare i detenuti politi­ci di Palazzo Giusti in via San Francesco.

I protagonisti di questa vicenda sono il detenuto don Giovanni Apolloni (autorizzato dall'avvocato Sebastiano GiacomeIli del partito liberale, pure incarcerato a Palazzo Giusti) e don Ugo Orso da una

J

parte, e il tenente Giovanni Castaldelli con l'aiutante Gentili dall'altra.

240

Le trattative si arenano verso sera perché, oltre ad un salvacon­dotto per tutti i membri della banda e la certezza di incolumità per le loro famiglie, il Casteldelli pretende nove ostaggi a garanzia del buon esito del salvacondotto.

Don Apolloni non ha esitazioni: "O tutti liberi o nessuno".

GIOVEDÌ 26

AHe ore 9,30 il Casteldelli e il Gentili si presentano nella cella di don ApoHoni e fanno capire chiaramente che più che uno scambio vogliono una garanzia di incolumità per loro e le loro famiglie.

Richiesti quattro ostaggi volontari, al posto di nove, da condurre

con loro a maggior sicurezza, si offrono soltanto don Apolloni e il professor Palmieri.

Il vescovo Agostini, chiamato da don Orso accorre a mezzogior­no Palazzo Giusti, vi rimane fino alle due pomeridiane ma non riesce a risolvere la grave situazione, tanto più che arri va il maggiore

Friedrich Bosshammer delle SS con l'ordine di fucilare tutti i detenuti. In questo stato di angoscia si arriva nel cuore della notte senza

ottenere nulla, mentre le famiglie dei componenti la banda vengono messi in salvo.

Quasi contemporaneamente a queste trattative, il CLNRV inizia una serie di sondaggi per arrivare alla resa delle forze militari e politi­che della RSI nel Veneto con il minor spargimento di sangue.

A tale scopo incarica una commissione composta da Don Girolamo Tessarolo, don Francesco Dalla Zuanna e padre Carlo

Messori di prendere contatti con il generale Giuseppe Pizzirani, alto commissario della Repubblica Sociale Italiana e con il prefetto

Federigo Menna per chiedere la capitolazione delle forze armate repubblicane e il trapasso dei poteri; ma si arriva a sera senza alcuna

conclusione. Come pure non approda a risultati positivi l'incontro di

241

don Mario Zanchin con il comandante delle brigate nere Alfredo Allegro.

VENERDÌ 27

AI mattino inizia una sparatoria tra i partigiani del pensionato,

dislocati nella parte del Prato della Valle vicina alla basilica di Santa Giustina, e i tedeschi asserragliati nel Platz Kommandantur a pochi passi dall'inizio di corso Vittorio Emanuele, nel palazzo dove ora si trova il circolo Ufficiali.

Mentre continua il combattimento, il colonnello Basse Korf

chiede telefonicamente al CMRV che venga inviato un parlamentare per esporre le condizioni di una eventuale resa.

Su proposta del dottor Mario Saggin si decide di inviare don , Francesco Dalla Zuanna, che già tanto si era prodigato per i prigionie-ri inglesi e per gli ebrei. Per evitare i pericoli della sparatoria si porta

alla casa di cura Morgagni e da lì, camminando a ridosso della basili­ca di Santa Giustina e della omonima caserma, giunge a pochi passi

dal Foro Boario; ma nonostante la veste tal are e il fazzoletto bianco agitato come bandiera, è colpito da una pallottola di moschetto che gli trapassa il polmone. Riesce a riparare nel Foro Boario, dove si trova

un gruppo di partigiani. Medicato alla meglio, viene trasportato all'o­spedale.

Nel frattempo il prefetto Menna e il generale Pizzirani tramite il professor Angelo Lorenzi hanno ottenuto un incontro con i rappresen­tati del CLNAI per le ore 13 nel convento della basilica del Santo, ter­

ritorio neutrale perchè appartenente alla Città del Vaticano. La notizia che il prefetto Menna e il generale Pizzirani stanno

trattando la capitolazione della forze armate fasciste del Veneto, , aggravata dalla fuga da Padova per conto proprio del maggiore Mario

Carità, convince il tenente Casteldelli e il suo aiutante Gentili ad

242

accettare una dichiarazione scritta dal professor Giovanni Ponti. In quel documento si stabilisce di dare, in cambio della liberazione di tutti i prigionieri, un salvacondotto ai componenti della squadra poli­

ziesca di Palazzo Giusti per lasciare la città di Padova senza essere arrestati dalle forze insurrezionali.

L'operazione di rilascio dei prigionieri avviene ordinatamente e

con la restituzione di quanto a loro era stato tolto all'arrivo: ultimo ad uscire è don Apolloni alle 16,30. Alcuni componenti della banda pre­

feriscono rimanere a Padova e passare nel convento San Francesco a pochi passi dal Palazzo Giusti, mettendosi sotto la protezione di padre Mariano Girotto, il partigiano "Fra Savonarola".

Come è stato stabilito, alle 13 i tre esponenti del CLNRV Gavino Sabbadin, Mario Prevedello e Attilio Canilli si incontrano con

il Pizzirani e il Menna nel convento del Santo .. Le trattative si svolgo­no nella "sala bianca" del chiostro del noviziato e si concludono alle

20,30 con la firma della resa di tutte le truppe fasciste del Veneto.

I rappresentanti del CLNAI firmano coi loro nomi di partigiani per onorare la lotta armata resistenziale: Rinaldo Rinaldi (avvocato Gavino Sabadin della Democrazia Cristiana), Martino Vecellio (pro­

fessor Mario Prevedello del Partito Comunista Italiano), Domenico Pari (professor Attilio Canilli del Partito d'Azione).

Subito dopo la storica firma de 27 aprile, il CLNAI decreta e ditfonde l'ordine di insurrezione generale per il Veneto.

Durante la notte dal 27 al 28 il colonnello Basse Korf, non vedendo arrivare nessun altro parlamentare, decide di recarsi perso­nalmente all'Antonianum in via Donatello, assieme ad altri tre ufficia­

li. Non si arriva ad un accordo, per cui tutto viene rimandato a un altro eventuale incontro.

243

SABATO 28

Poco prima delle ore nove, i reparti della Platz - Kommandantur

sferrano un assalto all' Antonianum con un continuo fuoco di armi di medio calibro che dura oltre un'ora.

Ma a modificare l'atteggiamento di resistenza ad oltranza dei tedeschi avvengono due fatti d'arme fortunati. Il generale von Alten, con il suo stato maggiore, comandante la Piazza di Ferrara è catturato

dai partigiani mentre attraversa il centro della città assieme al genera­le von Schering; e con un colpo di mano audace viene prelevato alla

Platz Kommandantur anche il generale Jurgen von Arnim. Condotti tutti e tre prigionieri all'Antonianum, essi firmano la resa alle ore 12,20. L'accordo (composto di sei punti di cui il primo esige il disar­

mo delle truppe stanziate a Padova e il secondo vieta il passaggio di truppe in ritirata per la Piazza di Padova) porta la firma del dottor , Mario Saggin e del tenente colonnello Basse Korf.

Tra le varie staffette partite dall'Antonianum in questo giorno per portare ordini ai nuclei dei partigiani, muoiono in uno scontro con

i tedeschi a Peraga di Vigonza i due studenti Giovanni Vi centini e Giuseppe Smania.

Poiché continuano a giungere al CMRV notizie di scontri acca­niti con i tcdeschi nel centro di Padova, specialmente in via Mugnai, via Altinate e in piazza Spalato (attuale piazza Insurrezione), il profes­

sor Mario Mosconi (il partigiano "Egisto" della brigata Luigi Pierobon, fuggito da pochi giorni dalla Casa di Pena di piazza

Castello) con un generale tedesco e due partigiani, muniti di un len­zuolo in funzione di bandiera bianca, si portano nella zona dei com­

battimenti e riescono a persuadere il comandante del presidio germa­nico ad incolonnare i suoi soldati per raggiungere il Platz Kommandantur di Prato della Valle.

Nel pomeriggio dalla statale n. 6, proveniente da Montagnana, una divisione corazzata germanica sembra diretta ad entrare in Padova

244

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in forza Ilei 1II11hdatO ~ollierito', dal.' Governo, dem-ocrntleo It.,linllo "I Comillllo di Liberazione NIlo:d{)-unle per, l'Altn 1t~\Un (C.I_N.A.'.) l'apprl:irelll,ante Il:gittimo ,del Oovtiruu -slC:>110 Il come, tale rit,cwo­sciuto dalle Autltrltà 'AII-eatc., ":

IISSUnti tllUi I Ill1ter!di GOWeFIIII l! di Alillillnlstra" . 1110l1li nel territorio.delln l'rollim:ln Ili Velll!zln

dichiara inIziata ,da qlll"~"!~ mo,mento 1.!~I~he -ntJl~ provincia di Venc7Ja la lnsum~iolle lIaziolllllt; per' la !ilxmiiione del j'aest: dal giogo degli iuvlISOri tedeoohì Il del Lraditorl fmreiijtJ"

Invita la popolazione Itd illl"f)rll~re, cn:rnjHItta II ,dpelliA N\Ufr6 '" rnne mu'.I·f,'!'wi~t\l <!d u',lln!Stllre ogni uP!lOggio alte tUl'luudu-ni- vulvlt'a~ rìe dtJi cumllaHeuLi Iler la Iioorl.à;

011" d i n a.. ai ,Iavorntori di ogni categoria lo l!Ciolrero geucfllto iilsurrezionale;

. d·elega. tuftl I poteri ai- COMANDi -VOI.ONT . .\'lU I>f~i.1,A. ,URF.ftTA\ di Plll-ZZ!' e _di, ZoiiH, ~f)-mpclcl~ti per I.crriloril.l ~er tutta lu. 1.iW·oltu del ~riQl.lo' IUl>urre'.t.HiulIle. .

Vell~ia. 21 April~ i94S ,. o-re 23

[OJInlllll UB1RIllillf HmWlll1 1M 'iIlIllI!~ . ~ Il P'rliI.,\IzI'"rIUIGI PAsml e~ Il Panlto eo."iSlil r. .... PIEfRG',8EMEDml,~ J.'U Parlllll DemocraIiCH:rl_sliallo I. an. E6GEMU) GAITO - p. il Parhto Llberal61. ~rol. fUI MAl.G.A.Rmu .. JI. il Pulil&

. SlIciaJfSIa lIafialltl di Ullità fraietnia r, ano SA1HE USATO r~~~ v~I~ ________ ~ ______________________ ~ ______ J

A iniziare dal 28 aprile 1945, il quotidiano "Il Gazzettino" assume il nome e i com· piti del giornale clandestino "Fratelli d'Italia'.

245

attraverso il ponte del Bassanello, alla cui difesa sono rimasti pochi giovani partigiani, essendo i più, affamati e stanchi, ritirati si per un

breve riposo. Fortunatamente la grossa formazione corazzata devia

verso Albignasego. Sull'imbrunire, al di là del Bassanello, nella campagna tra le fra­

zioni della Guizza e di Salboro si accampa la X MAS, i cui coman­

danti inviano per due volte dei parlamentari per ottenere il passaggio

per la città. Ogni volta vengono trattenuti e fatti prigionieri. Quasi alla stessa ora presso la Porta Pontecorvo e lungo la cir­

convallazione a ridosso dell'ospedale civile, i partigiani combattono

contro una colonna tedesca e la riducono alla resa cansando soltanto tre morti tra le truppe, mentre rimane ucciso un medico e ferite alcune

suore. Per meglio far eseguire il patto di resa firmato all'Antonianum

dai tedschi,il generale von Alten viene inviato al ponte del Bassanello sul canale Scaricatore e il colonnello Basse Korf a quell'o delle

Brentelle di Sotto. Verso l'imbrunire arriva da Tencarola al ponte delle Brentelle

una forte unità tedesca, che dal Basse Korf viene invitata a proseguire

la ritirata verso le vie esterne alla città. Il comandante, che voleva entrare in Padova con le sue truppe, saputo della resa, pone immedia­

tamente il Basse Korf agli arresti, lo sottopone subito ad un tribunale di guerra, che lo condanna alla pena capitale per tradimento. La fuci­

lazione viene eseguita sul posto la sera stessa. La medesima unità, dopo aver evitato la città proseguendo per

vie di circonvallazione, al mattino seguente arriverà a Sant'Anna

Morosina e sarà l'esecutrice della strage già ricordata. Poco dopo le 22 arrivano al Bassanello i primi carri armati delle

truppe neozelandesi; alle 23 suonano le sirene e le campane della

città.

246

DOMENICA 29

Nel buio della notte, circa all'una e mezza, una colonna tedesca proveniente dalla strada dei colli, tenta di entrare a Padova, ma trova il ponte sul Bacchiglione fatto saltare dai partigiani Vittorio

Mazzuccato e Ferruccio Barbiero.

Alle otto del mattino, un'altra colonna tedesca in prossimità di Voltabarozzo tenta di entrare ugualmente in città e bombarda alcuni

quartieri cittadini. AI bombardamento dei tedeschi si unisce anche quello dei cannoni della X MAS, accampata a Salboro.

Alle 10,30 il comandante deIIa Platz Kommandantur di Padova ed altri ufficiali, già condotti al Bassanello, incontrano il comandante

dei neozelandesi. Il generale Von Alten dal poggiolo di palazzo Braghetta invita i soldati che arrivano dalle strade di Conselve e di Battaglia a deporre le armi.

A mezzogiorno i padovani corrono al Prato della Valle per applaudire agli alleati.

Il CLNRV nomina prefetto della provincia di Padova l'avvocato Gavino Sabadin, della Democrazia Cristiana; e sindaco della città l'ar­

tigiano Giuseppe Schiavon, del Partito Comunista. Il movimento partigiano di Padova e provincia è stato uno dei

maggiori d'Italia. Complessivamente i partigiani hanno raggiunto il nunero di 4741, e i patrioti di 2706. I caduti tra partigiani e patrioti sono 573 , e i feriti 274.

I morti per bombardamenti aerei vengono calcolati attorno ai duemila.

247

CAPITOLO 31

L'INSURREZIONE NEL VENETO ORIENTALE

NELLA PROVINCIA DI VENEZIA

I primi scontri dell'insurrezione avvengono il 25 aprile, in cui

sono liberati i prigionieri politici nelle carceri e nell'ospedale civile. Alle undici di sera del 27 aprile, il CLN esorta la popolazione

veneziana ad insorgere. AI mattino del 28 la Prefettura, la Questura, la Ferrovia, le Poste

sono in mano dei partigiani, mentre si combatte ancora all'Arse~ale. Nel pomeriggio dello stesso giorno un sanguinoso combatti­

mento si verifica ai Magazzini Generali. Alle quattro del mattino del 29 aprile all'albergo Regina i rap-

presentanti del CLN ottengono dai tedeschi la resa. . In questi giorni nella città i partigiani perdono 21 combattenti,

mentre i nazifascisti hanno 133 morti. Vengono catturati circa tremila

prigionieri. Gli alleati arrivano a Venezia il 2 maggio. Chioggia è liberata il 27 dalla brigata "Vittorino Boscolo", che

passa a Pellestrina per conquistare i forti Manin, Barbarigo e

Dandolo. Il 29 gli inglesi entrano a Chioggia, accompagnatl dalla bn­

gata garibaldina "Mario Gordini". A Mestre le forze partigiane attaccano i tedeschi posti a difesa

della ferrovia il 26 aprile, e li costringono alla ritirata. Passano quindi ad attaccare il distaccamento tedesco d~ Villa

Revedini dove risiede il comando. Alla sera le forze partigiane accer­chiano le fabbriche per impedire ai tedeschi di farle saltare, e al matti-

248

no, con l'aiuto degli operai che operano all'interno, riescono a disin­nescare le mine.

Si conclude così il 27 aprile la liberazione di Mestre che conta 11 O morti tra i combattenti dell'insurrezione, di cui 63 mestrini, men­tre gli altri sono reduci o sbandati che si trovavano in quei giorni a

Mestre e che avevano aderito alla rivolta. I morti tra i nazifascisti,

invece, sono 433. Complessivamente vengono catturati 7.11 I tede­schi.

San Donà di Pia ve, nel cui circondario sono presenti ben seimila tedeschi, è liberata dai partigiani dopo tre giorni di combattimenti, il

25 aprile. Gli scontri più sanguinosi avvengono a Passerella di Sopra e a Caposile. Gli alleati arrivano il 28 e trovano catturati 3.500 tede­schi.

A Mira, notevole è il bottino di guerra, che gli inglesi trovano, arrivando un giorno dopo la liberazione, avvenuta il 27.

Nel portogruarese oltre una ventina sono i suoi partigiani fucila­ti o impiccati nei mesi precedenti. Altri sono già deceduti nei lager

tedeschi, ma la vittima più eloquente è Mamma De Bortoli, un caso analogo a quello di Papà Cervi, ma poco conosciuto. La sua famiglia

di nove componenti è stata distrutta nel rastrellamento di Torlano nel Friuli, dove si era trasferita per lavoro. Dopo la tragedia lei è venuta a terminare la sua vita nella terra di origine.

La liberazione di Portogruaro avviene il 27 aprile, due giorni prima che arrivino i neozelandesi.

A Caltana, frazione di Santa Maria di Sala, il 26, per l'intervento del cappellano militare don Gino Patron, che "sfidando la morte si

fece intermediario presso i tedeschi", vengono liberati una sessantina di ostaggi. Il giorno dopo a Boion di Campolongo Maggiore il capo

dei locali partigiani Gino Cappellari chiede la resa ad un maggiore tedesco che ha al suo comando quattro carri armati.

Come risposta, c'è solo la minaccia di morte.

249

Le trattative passano al parroco don Durighello che insieme al dottor Reisner, fintosi altoatesino, tenta di persuaderlo e riesce ad

ottenere una tregua di tre ore, che non è rispettata perché dopo un'ora inizia lo scontro. I carri armati riescono a fuggire. Rimangono sul posto, attorno ad un camion di proiettili, cinque soldati che subito si

arrendono.

Il 27 anche a Campagnalupia i partigiani attaccano i tedeschi causando loro morti e feriti, ma senza riuscire ad avere la meglio: pro­

vocano, invece, per reazione un rastrellamento. Il parroco, don Domenico Valente, accorre a supplicare per gli

innocenti appena sa che sono stati presi una quarantina di ostaggi. Insultato e percosso, viene messo al muro per essere fucilato.

In un disperato tentativo di salvataggio in extremis, don Antonio

Miazzi, il parroco del vicino paese di Prozzolo, riesce ad ottenere dal comando germanico, insediato a Sambruson, una soluzione di salvez­

za nell'interesse anche dei tedeschi. Il parroco di Campagnalupia e i parrocchiani rastrellati saranno messi in libertà solo dopo che don Valente avrà accompagnato, quale protettore nel tragitto, i feriti tede­

schi all'ospedale di Mirano. E così avviene.

NELLA PROVINCIA DI TREVISO

Già nel mese di marzo erano state effettuate azioni di sabotag­gio, che avevano comportato tra caduti e soppressi per rappresaglia

una quarantina di morti. Tra le più gravi bisogna rieordare quella del 22 marzo. Nella frazione di Zapparè del comune di Trevignano, erano stati

sorpresi dai tedeschi alcuni partigiani della brigata"Garibaldi", nasco­sti nei fienili. Il combattimento si scatenò immediatamente causando

qualche morto e qualche ferito da entrambe le pmti, senza che i' pmti­giani fossero catturati, riuscendo a sganciarsi e a riparare altrove.

250

I tedeschi per rappresaglia incendiarono le case della frazione, dopo aver prelevato un numero imprecisato di uomini. Condotti gli

ostaggi al campo sportivo di Montebelluna, ne furono subito uccisi dieci con ratfiche di mitragliatrice.

A Treviso e nel trevigiano alla vigilia dell'insurrezione sono sul

piede di guerra le brigate delle divisioni comuniste" Nino Nannetti" e

"Franco Sabatucci", la divisione "Monte Grappa", alcune brigate "Giustizia e Libertà" e altre autonome.

Tra il 24 e il 25 entrano in azione tutte le formazioni partigiane in anticipo rispetto all'ordine del CLN provinciale.

Il 26 è liberata Asolo dalla brigata "Matteotti".

Nello stesso giorno i partigiani di Castelfranco non reggono alle preponderanti forze nazifasciste; e il capoluogo dopo poche ore deve

essere abbandonato. Soltanto il giorno 30 i partigiani della brigata "Cesare Battisti", riescono a liberare definitivamente la cittadina con

l'aiuto di una esigua avanguardia americana. Nello scontro cadono anche due americani, che si sono battuti con eroismo.

A Treviso, il vescovo Antonio Mantiero si reca personalmente al comando fascista della città nella speranza di ottenere la resa del pre­

sidio senza spargimento di sangue; ma il tentativo si dimostra inutile. Il CLN provinciale la sera del sabato 28 dà ai Volontari della

Libertà l'ordine della insurrezione.

Per i comandanti delle formazioni partigiane trevigiane scopo preminente delle loro azioni è quello di evitare che i tedeschi trasfor­

mino la città in una fortezza sfruttando il vallo che cinge le sne mura conservate intatte. Non dubitano che se ciò si avverasse, gli americani

che stanno avvicinandosi non esiterebbero ad attaccare con mtiglierie e bombardamenti aerei, distruggendo quanto non era stato demolito dalIe precedenti incursioni. Con questa preoccupazione lo stesso

CLN, lasciato il paese di Ponzano Veneto dove aveva la sua sede, rie­sce ad insediarsi il giorno successivo nella prefettura di Treviso, men­tre si combatte alla periferia.

251

Cadono nella domenica 29 gli ultimi partigiani della Marca, combattendo a Santa Maria del Rovere, alle Corti, e nel contiguo

comune di Silea. Il lunedì pomeriggio del 30 aprile una colonna corazzata della

Quinta armata americana trova la città completamente liberata. In questi giorni in cui, nonostante gli accorati appelli al perdono

dei vescovi, cominciano già in tante parti d'Italia le vendette, la pro­vincia trevigiana offre due esempi confortanti.

A Crespano del Grappa vengono individuati, dopo la resa della locale brigata nera, coloro che avevano ammazzato il partigiano Antonio Colombana. Sono portati dalla madre della vittima perchè decida della loro sorte. La risposta non si fa attendere: "Abbiate pietà di loro: hanno anch'essi una madre".

A Nervesa della Battaglia viene ucciso Egidio De Sordi mentre sta per recarsi a vegliare la salma di un amico ammazzato dai nazisti. I due tedeschi autori dell'uccisione vengono catturati e condotti dalla madre di Egidio. Il suo volto, affranto dall'improvvisa perdita del figlio, si illumina della luce del perdono.

I partigiani della Marca, in cui hanno operato diciassette brigate con un numero complessivo di 4.700 aderenti, contano alla fine 248

caduti in combattimento. Dei suoi 10.261 internati in Germania, 1.175 non ritornano,

mentre 843 finiscono nei sanatori antitubercolari. Treviso, rispetto ai suoi abitanti (poco più di cinquantamila) è la

città più colpita del Veneto per bombardamenti: 1.600 i morti, 350 famiglie colpite, 3.800 case distrutte. Nessun bombardamento fu tanto luttuoso nel Veneto come quello del 7 aprile 1944 (venerdì santo) a Treviso: oltre mille morti accertati, senza considerare quelli dei tede­schi e di quanti transitavano nella stazione ferroviaria.

252

NELLA PROVINCIA DI BELLUNO

Lo storico Roberto Battaglia afferma che il gran numero dei partigiani bellunesi è dovuto "alla fertilità di un terreno resistenziale in cui basta gettare un seme o attendere una breve pioggia per vedere nascere alberi e frutti".

A rafforzare questo spirito resistenziale della gente bellunese, giunge un episodio di religiosa pietà un mese prima dei giorni insurre­zionali.

Il cappuccino fra Girolamo Bortignon, uomo prudente e corag­gioso, da appena un anno vescovo, ha già scritto decine di lettere al gauleiter Franz Hofer per protestare contro le crudeli rappresaglie; ha organizzato viaggi di camion per portare viveri e vestiario ai detenuti del campo di concentramento di Gries; ha ottenuto, dopo la sua visita a quel campo, di far aggiungere all'unico cappellano anche il cappuc­cino Germano da Lion; e dopo laboriose trattative è riuscito a visitare i prigionieri del carcere di Belluno.

Ma il 17 marzo 1945 supera ogni possibile previsione. Appena viene a sapere che stanno per essere impiccati quattro partigiani senza che possano avere l'assistenza di un sacerdote, vi accorre così in fret­ta da perdere per strada il mantello. Davanti ai tedeschi increduli e incapaci di reagire per l'inaspettato ardimento, egli con una scala sulle spalle, si presenta a piazza Campitello.

Sfidando la proibizione del comandante tedesco con le parole: "Uecidetemi pure", se ne serve per salire ai quattro lampioni e dare a quei visi contratti nell'agonia i conforti religiosi e il suo bacio.

Anche nella luce di questo gesto, che per alcuni partigiani assu­me un significato politico, si matura l'insurrezione.

Il 25 aprile monsignor Bortignon invia una proposta formale di trattative al Generalmaior Scholl, ma il generale la rifiuta dicendo di non aver ordini precisi in merito.

253

A seguito di questa risposta negati va, il vescovo il giorno suc­cessivo lancia ai patrioti, già tutti pronti a scendere dalle montagne, un accorato appello in cui "scongiura chiunque prenderà le sorti del­

l'ordine pubblico di reggersi con principii di giustizia, umanità e magnanimità" .

Il 27 aprile viene liberata la Val Zoldana.

Nel Cadore, lo stesso giorno, le forze partigiane scatenano attac­chi concentrici sulla truppa tedesca che viene intrappolata nel fondo­

valle. Il generale Kohlermann si presenta al comando dei partigiani e accetta le condizioni di resa.

Il 28 il Generalmaior Scholl manda alla curia vescovile un inter­

prete per assicurare che, se il vescovo avesse persuaso i partigiani a non attaccare le truppe tedesche, nemmeno lui avrebbe attaccato la

città. In quello stesso giorno comincia l'azione insurrezionale a Belluno. Alle IO di sera il capitano Bertold BiUdt e il tenente Ernst Reald firmano la resa incondizionata, ma è una resa apparente, perchè

il generale Scholl pretende che i partigiani non attacchino i suoi solda­ti, che non devono essere fatti prigionieri, ma lasciati evacuare la città.

Il vescovo invia monsignor Rizzardini per persuadere il CLN, che declina le sue responsabilità, essendo impossibilitato ad avvisare i

singoli nuclei di partigiani. Il 29 viene accettata da entrambe le parti una tregua per le insi­

stenze del vescovo e del clero.

Il 30 il CLN si raduna in episcopio, e vi rimane fino a tarda sera, quando i tedeschi lasciano la città, dopo aver ucciso per rappre­

saglia cinque ostaggi a seguito della scoperta in casa Mai di un comi­tato partigiano. Nella sera stessa fra Girolamo Bortignon va a Borgo Piave a consolare i parenti delle vittime.

Al mattino seguente, primo giorno di maggio, la città è ancora in pericolo: una divisione tedesca pretende di avere via libera, ma i partigiani non la concedono.Per tutta risposta, il comandante fa avan­

zare contro la città i carri armati dalla strada di Ponte nelle Alpi.

254

La colonna, investita dal fuoco dci partigiani da ogni lato, fini­sce per essere smembrata. Alla sera i soldati si ribellano ai loro uftì­dali e si danno prigionieri.

Nel frattempo anche la Val Cordevole è sgombrata da ogni pre­sidio tedesco.

Con l'offensiva finale dei partigiani a Pieve del mattino 2 mag­gio, tutto il Cadore è liberato.

255

APPENDICE

ALCUNI DATI STATISTICI E DOCUMENTI

257

STATISTICHE SULLA RESISTENZA ITALIANA

Sentenze emesse dal tribnnale speciale fascista nei 17 anni di attività nei confronti di oppositori del regime: 29 condanne a morte 7 condanne all'ergastolo 8.000 internati 105 donne condannate 160.000 vigilati speciali 5.319 antifascisti giudicati.

Ex militari combattenti contro i tedeschi in Italia e in nei Balcani morti e dispersi 56.964.

Militari italiani deportati in Germania nel 1943 circa 635.000, dei quali circa 35.000 morirono di stenti e di malattie.

Condannati politici ed Ebrei italiani deportati in Germania durante la Resistenza circa 43.000, dei quali 40.000 morirono di stenti e di torture.

Partigiani e civili fucilati o impiccati dalla Repubblica Sociale Italiana dall'ottobre 1944 all'aprile 1945: totale esecuzioni capitali 11.687.

Partigiani e patrioti italiani caduti durante la Resistenza circa 55.000, feriti circa 33.000.

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258

DECORAZIONI

279 MEDAGLIE D'ORO 750 MEDAGLIE D'ARGENTO 500 MEDAGLIE DI BRONZO 500 CROCI AL VALOR MILITARE Medaglia d'oro al Y.M. alla bandiera del Corpo volontari della Libertà. Medaglia d'oro al gonfalone dell'Università di Padova. Medaglia d'oro al Y.M. a 26 città e paesi d'Italia. Medaglia d'argento al Y.M. a 8 città e paesi d'Italia. Medaglia di bronzo al Y.M. a 8 città e paesi d'Italia.

CADUTI VENETI E INVALIDI DELLA RESISTENZA

Partigiani caduti: Patrioti caduti:

n.6.006 n. 1.328

Mutilati e invalidi: n. 1.677

I caduti in combattimento nei giorni della Liberazione sono' 2.035, ai quali vanno aggiunti 1.300 civili uccisi per vendetta o per rappresaglia. Quasi metà delle venti sette divisioni tedesche che si trovavano in Italia sono passate per il Veneto. Circa 155.000 soldati germanici sono catturati.

DECORAZIONI AL VALOR MILITARE PER LA RESISTENZA A COMBATTENTI DEL VENETO

MEDAGLIE D'ORO alla memoria n. 45 - a viventi n. 4 MEDAGLIE D'ARGENTO alla memoria n. 124 - a viventi n. 91 MEDAGLIE DI BRONZO alla memoria n. 89 - a viventi n. 92

259

CITTÀ VENETE DECORATE PER LA RESISTENZA

Con medaglia d'oro: Bassano del Grappa Belluno Gorizia Treviso Trieste Udine Vittorio Veneto Padova - Università

Con medaglia d'argento: Asiago Cittadella Feltre Monfalcone S. Donà di Piave

ALBO D'ORO DELL'UNIVERSITÀ DI PADOVA NELLA RESISTENZA

Studenti caduti 116 Bidelli Medaglie d'oro a studenti 15 Medaglie d'argento a studenti 7

Medaglia d'oro al gonfalone dell'Università dei Veneti - Padova

260

RICONOSCIMENTO UFFICIALE ALLA RESISTENZA VENETA

Maìn Headquarter Eighth Army - C.M.F. 11 june 1945

Al Colonnello Pizzoni Comandante Militare Regionale, Veneto

Caro Colonnello, Mi è grato esprimere a Lei, agli ufficiali ed a

tutti i bravi patrioti delle Tre Venezie, il mio vivo encomio per l'ap­porto appassionato e considerevole che le formazioni volontarie hanno dato alla vittoria sul nemico.

L'Ottava Armata non può dimenticare i vostri 2.200 caduti, le vostre gesta. coronate dalla cattura di molte decine di migliaia di pri­gionieri, dalla soppressione di 15.000 soldati tedeschi, e del salva­mento di tanti impianti vitali che ha agevolato molto l'avanzata allea­ta.

Sono certo che i patrioti del Veneto che hanno guadagnato tante benemerenze durante la lotta passata, ne sapranno guadagnare altret­tante nelle opere di pace per il bene dell'Italia.

F.to R.L. Mc Creery Tenente Generale, Comandante dell'Ottava Armata.

261

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266

INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Acerbo Giacomo 30-31,58,61 Acquarone Pietro 62 Adami Antonio 140 Agnelli Giovanni 137 Agnoletti Enriques Enzo 128 Agostini Carlo 100, 157, 192,241 Airey Terence 202 Alatri Paolo 23, 52 Albertini Alberto 48 Alexander Harold Rupert 176, 197 Altieri Dino 20, 58 Allegro Alfredo Altarui Mario 188 Alten von, generale 244 Alvaro Corrado 36 Ambrosi Mario I 56 Ambrosio Vittorio 58, 65 Amendola Giorgio 52, 65, 74,148 Amendola Giovanni 31, 36-37 Amico Giuseppe 71 Anders Wladislaw 208 Andreetto Attilio 226 Anti Carlo 130 Apolloni Giovanni 130, 240, 243 Arena Giuseppe 32 Argenton Mario 160, 163 Arista Giovanni Battista 162 Arlotti Emilio 127 Armano Giuseppe 190, 231 Arnaldi Rinaldo 95, 105, 113, 178 Amim Jurgen von 244 Arpesani Giustino 212 Arpinati Leandro 26, 30 Artero Domenico 102 Audisio Walter 213

Badoglio Pietro 62-63, 65-67, 74, 79, 82, 86,88,98,147, ISO, 152,160 Balbo Cesare 9 Balbo ltalo 26, 30 Balella Giovanni 61 Banchieri Giovanni 185 Barale, fratelli 94 Barbiera Ferruccio 247 Barontini 11io 127 Barracu Francesco 211 Basse Korf Obeisthl 242 Basso Lelio 53 Bastianini Giuseppe 58, 61 Battaglia Roberto 176 Bauce Antonio 238 Begon Giuseppe 173, 186 Bellomo Nicola 70 Beltrami Filippo 124 Beltrame Guido 192-193 Benedetto XV 25 Benelli Sem 35, 48 Benetti Virginio 185 Bemardi Giuseppe 91 Bergamo Guido 24 Berio Alberto 185 Berto Gianni 209 Bertorelle Emilio 231 Besana Cesare 173 Bevilacqua Luigi 182 Bianchi Michele 26, 31 Bianco Livio Dante 90 Biggini Carlo Alberto 61, 117 Billanovich Guido 130 BilIdt Bertold 254 Birzer,tenente 212 Bismark Schonhausen Otto 19

267

Bobbio Norberto 48, 52, 119 Bocchini Arturo 16, 40 Bogoni Augusto 234 Bombacci Nicola 17, 134 Bonaiutì Ernesto 47 Bonelli Antonio 188 Bonollii Ivanoe 23,25,28,63,65, 194, 196,198-199 BordigaAmadeo 24,31 Bordin Aldo 227 Borgata Delfina 103 Borgata Maria 105 Borgese Giuseppe Antonio 47 Borghese Junio Valerio 85 BOlile Ottorino 235 Borin Igino 113 Bortignon Gerolamo 253-254 Bortolotto Arcangelo 1I3, 125 Boscagl i Albelto 126 Boschiero Luigi 188 Bosshammer Friedrich 185, 241 Bottai Giuseppe 27, 58, 61, 89 Bottazzo Giovanni 232 Bressan Gaetano 205 Brietsche Paul Newton 179 Buffarini Guidi Guido 61, 79, 107 Buozzi Bruno 160 Busonera Flavio 103, 184 Bussolin Giuseppe 190

Cabrele Severino 230 Cadoma Luigi, 98, Cadorna Raffaele 68, 98,163,165 Calamandrei Piero 36, 52 Calcagno Tullio 141 Calligaris Giacinto 125 Calò Eugenio 154 Calore Giuseppe 181 Calvi di Bergamo CarIo 68 Campioni Inigo 71 Candido Alessandro 109 Caneva Alfonso 129 Caneva Giovanni 129

268

Canilli Attilio 186,243 Cantarelli Lionello 231 Capello Luigi 37 Cappellari Gino 249 Capuozzo Gennaro 76 Cardin Sergio 174 Cardinale Girolamo 223 Carità Mario 85, 185 Carlassare Fortunato 226 CarIi Giovanni 95, 113, 178,205,226 Carli Lina 105 Carli Mario 29 Carozzani, sorelle 95 Carrara Mario 47 Carrara Luigi 185 Casati Antonio 35, 37, 74 Castaldelli Giovanni 240 Castellano Giuseppe 66 Cavalli Italo 186 Cavazzoni Stefano 31 Caviglia Enrico 69 Cavi nato Antonio 114, 186 Ceccherini Sante 27 Cerigato Antonio 234 CeronAntonio 143, 174,209 Cervi, Ifatelli 128 Ceva Umberto 45 Chiesa Eugenio 153 Chilesotti Giacomo 95, 113, 155, 172, 178,205,226 Churchill Winston 103, 146, 160, 192 Cianca Alberto 42 Cianetli Tullio 61 Ciano Galeazzo 61, 88-89 Cigala Fulgosi Alfonso 7l Cini Vittorio 138 Citterio Giarmi 125 Clark Mark 207 Colombara Antonio 252 Colombo Furio 104 Colombo Luigi 38 Colombo Nella 98 Colonna di Cesarò Giovanni 45

Colami Eugenio 154 Comandini Federico 51 Conz Carmelio 231 Coppola Gaetano 156 Corà Flavio e Gedeone 189 Correnti Mario 51 Corradini Enrico 18-19 Cortese Bruno 230 Cortese Placido 102 Credaro Luigi 26 Crestani Giuseppe 113 Crispo Moncada Francesco 40 Crispolti Filippo 32 Croce Benedetto 17, 31,37,39,45,63, 146,151 Croce Carlo 94 Curiel Eugenio 154, 201

D'Annunzio Gabriele 18-19,21,26 D'Este Ida 123 D'Acquisto Salvo 75, 188 Dainelli Giotto 89 Dal Cero Lisetta 224 Dal Cero Luciano 224 Dal Pont Eliseo 171 Dal Pozzo Piero 206 Dal Prà Bruno 226 Dal Sasso Giuseppe J 72 Dal Zotto Mario 173 Dalla Costa Elia 128, 141 Dalla Zuanna Francesco 241 Dalle Mule Vincenzo 181 Dalmo Aldo 186 De Ambris Alceste 41 De Besi Benedetto 186 De Bono Emilio 26, 58, 61 De Bosio Gianfranco 130 De Bosis Lauro 47 De Courten Raffaele 194 De Felice Renzo 23 De Gasperi Alcide 28,30,41,52,65,74, 160 De Gaulle Charles 83

De Gregori Francesco 200 De Marsico Alfredo 61 De Mori Giuseppe 38 De Nicola Enrico 25, 147,153 De Rosa Gabriele 88 De Sanctis Gaetano 47 De Stefani Alberto 26,28,35,37,61 De Vecchi Cesare 15,26,58,61 De Villa Luigi 173 De Viti De Marco Antonio 47 De Zuanni Giuseppe 236 Dezio Giuseppe 237-238 Di Dio Alfredo 125 Diamare Gregorio 146 Diaz Armando 27 Dodi Pietro 160 Dollfuss Engelbert 49 Dozza Giuseppe 51 DuUes Allen 96, 196 Durighello Martino 250

Eden Anthony 82 Einaudi Luigi 36, 63 Eisenhowcr Dwight David 66, 82, 197 Endrici Celestino 38 Errera Giorgio 47, 154

Faccio Luigi 187, 230 Facta Luigi 27 Faggion Antonio 129 Fanciullacci Bruno 127 Fantelli Erminio 205 Fara Gustavo 27 Farina Ermes 205 Farinacci Roberto 30, 79 Fava Lorenzo 169 Federzoni Luigi 20, 61, 65 Fenulli Dardano 159 Ferin Ubaldo 174 Ferrario Alberto 70 Fiandini Mario 229 Fincato Giovanni 112 189 Finzi Aldo 31

269

Fiorentini Valeria 159 Fiorot Dino 185 Flarer Franco 122 Foa Vittorio 94 Fonda Savio Antonio 213 Forbice Luigi 188 Forges Davanzati Roberto 20 Fonnisano Pasquale 76 Forti Sergio 154 Fortin Giovanni 102-1O3 Fortunato Bartolomeo 227 Fracasso Angelo 226 Fraccon Torquato e Franco I 05, 187 Franceschini Ezio 105, 119 Franco Francisco 49 Franco Guido 209 Frattari Gino 61 Fronteddu Bartolomeo 184 Fumei Primo 117 Furlan Antonio 188

Gaddi Giuseppe 113 Gaggia Achille 58, 138 Galbiati Enzo 61 Galimberti Tancredi 90, 94 Galli Sabatino 204 Gallo Ettore 187 Gambara Gastone 70, 117 Gandin Antonio 71 Garemi Ateo 127 Garibaldi Peppino 180 Gasparri Pietro 36, 44 Gastadelli Giovanni 240, 241 Gedda Luigi 65 Gentile Giovanni 15,35-36-37,89, 150 Gesmundo Gioacchino 159 Ghisellini Igino 127 Giacomelli Giuseppe 233 Giacomelli Sebastiano 185, 240 Giannini Alberto 42 Giavi Giovanni 179 Gibson Violet 38, 40 Ginsburg Leone 148

270

Giolitti Giov,mni 19,23,28 Girardini Giovanni 188 Girotto Mariano 243 Giuliano Bartolomeo 93 Giunta Francesco 31 Giuntella V.E. 91 Giuriati Giovanni 26, 28, 45, 58, Gobbato Piero 188 Gobbi Gino 127 Gobetti Piero 23,31-32,35-37 Gambia Attilio 181 Gonzaga del Vodice Ferrante 70 Gottardi Luciano 61 Govoni Corrado e Aladino 60 Gramsci Antonio 23-24, 29, 33, 39,42,49 Grandi Dino 58, 61-62 Granzotto Battistella Ida 106 Gray Ezio Maria 20 Graziani Giuseppe 223 Graziani Rodolfo 79, 85 Grieco Ruggero 31 Gronchi Giovanni 28, 53 Groppo Evangelista 236 Guariglia Raffaele 65 Guamieri Luigi 172 Gullo Fausto 199

Harster Wilhelm 11 O, 169 Hillary, tenente 181 Hitler Adolfo 16, 49, 51, 61, 63, 69, 82, 86, 171 Hofer Franz 81, 253 Hull Cordell 82

Igliori Ulisse 27 llluminato Filippo 76

Jacchia Mario 154 Jerzy Ducceschi 114, 126 Jodl Alfred 65

Kaiser August 184 Kappler Herbert 107, 148

Keitel Wilhelm 65 KesselringAlhert69,77, 148, 164, 172, 175,202 Kock Pietro 85 Kohlerrnann, generale 254 Komorowski Bor Tadeusz 191 Kostilev Miehail 149

LabriolaArturo 39, 48 Lago Giuseppe 233 La Malfa Ugo 52, 147 Lampioni Pino 184 Lanza d'Ajeta Blasco 65 Lanza di Montezemolo Giuseppe 159 Lanza di Scalea Pietro 20, 35 Latilla Giovanni 213 Lazzaretto Bruno 209 Lazzari Parisina 103 Lazzarin Gelserico 235 Lazzarotto Antonio 231 Lembke Willy 187 Lemnitzer Lyman 202 Levi della Vida Giorgio 47 Levorato Settimo 230 Lombardi Riccardo 52-53, 185 Longhetto Giovanni 170 Longo Luigi 75,160, 163,207 Lorenzi Angelo 242 Lo Russo, studente 226 Louchet, generale 71 Lubian Corrado 120, 130,206 Lucetti Gino 38, 40 Lucchetta Giuliano 156 Ludwig Emil 15 Luisari Gino 186 Lusignani Luigi 71 Lussu Emilio 45, 49, 52, 75

Mainardi Giorgio 110 Malatesta Errico 24 Malvestiti Piero 52 Mandolesi Mariano 171 Mantiero Antonio 251

Marana Sante 235 Marangon Dante 230 Manmgoni Alfio 184, 186 MarazzaAchille 212 Marcellin Maggiorino 165 Marchesi Concetto 53,109,114,117-118,130 Marchi Romano 205 Marconi Guglielmo 36, 150 Marinelli Giovanni 61 Marinetti Filippo Tommaso 18, 22 Marini Gianpiero 205 Marozin Giuseppe 155, 163, 170, 177 Martignon Luigi l86 Martinettj Piero 47 Martini De Muri Carla Liliana 103 Martini Ferdinando 22 Martini Redetti Teresa 103 Martini Sabbadin Lidia 103 Martire Egilberto 30-31 Marton Bruno 112, 114 Marzolo Francesco 125 Marziano Luigi 113 Marzotto Gaetano 138 Mascherpa Luigi 71 Mattei Enrico 160, 163, 166 Mattei Gentili Paolo 31, 35 Matteotti Giacomo 33, 35, 42 Mazzarotto Tarcisio 235 Mazzei Arturo 126 Mazzini Giuseppe 18 Mazzolari Primo 52 Mazzuccato Vittorio 244 MeCaffery John 96, 196 Meda Filippo 28 Meinhold Gunther 213 Melloni Carlo 170 Menegazzo Nereo 237 Meneghetti Egidio 109, 112, 1l4, 117, 119,121, 132, 157, 184-185 Menna Federigo 241 Mercante Domenico 224 Merlin Umherto 125

271

Messori Roncaglia Carlo 120, 192, 24 I Miani Ercole 215 Miazzi Antonio 250 Michieli Antonio 193 Milani Fernando 174 Milani Giovanni 125 Minzoni Giovanni 31 Misiano Francesco 23 Mistrorigo Federico 32 Modigliani Giuseppe 31,154 Molotov Vjaceslav 82 Momrnsen Teodoro 25 Maniglia Franco 94 Montini Paolo 173 Morandi Rodolfo 195,203 Moranino Francesco 94 Marello Livio 155, 180, 182 Morin Ugo 185-186 Moscatelli Cino 124, 165 Mosconi Mario 244 Mosna Guido 160 Munari Marino 190 Mussolini Benito 15-22,25,28-31,33, 36-38,40,49,51,58,61-62,79,82,86, 88-89,171,202,211,213 Mussolini Vittorio 79

Nalesso Nerone 209 Nava Cesare 35 Negri Arrigo 125 Nenni Pietro 51, 74, 157 Niccolini Oddone 181,231 Nigrisoli Bartolo 47 Nitti Fausto 45, 51 Noventa Antonio 174 Novielli, studente 226

Olivetti Angiolo 18 Olivi Marcello 185,206 Onfiani Vincenzo 128 Operti Pietro 96 Orano Paolo 18 Oriani Alfredo 18

272

Orlando Vittorio Emanuele 28, 31, 47, 48 Orso Ugo240 Oviglio Aldo 28,35,37

Pacciardi Randolfo 49 Papafava Novello 125 Pajetta Giancarlo 125, 198-199 Palmieli Luigi 241 Pancino Angelo 156 Papini Giovanni 19 Pareschi Carlo 61 Parri Ferruccio 39, 52, 96,160,163,196, 198 Pascoli Luigi 205 Pasini Angelo 113 Patron Gino 249 Pavese Cesare 48 Pavesi Gino 61 Pavolini Alessandro 79,84 Pegoraro Antonio 173 Pegorin Luigi 292 Peguy Carlo 17 Peiper loachim 90, 91 Pellegrini Achille 205 Pelligra Salvatore 71 Pende Nicola 104 Peretti Griva Riccardo 52 Perin Sebastiano 234-235 Perrone Dino Compagni 26 Persichetti Raffaele 75 Pertini Sandra 39, 75,163 Perncci Carlo 115, 156, 177 Pesce Angelo 127 Petacci Clara 213 Petain Philippe 83 Piazza Adeodato 141 Piccardi Leopoldo 63 Piccolo Antonio 188 Pieraccini Gaetano 165 Pierobon Luigi 185 Pierotti Edoardo 155, 180 Pighin Otello 113, 120, 129-130, 185 } Pimpinato Teresa 237

Pinton Gino 230 Pintor Giaime 148 Pio XI 15, 17,25,46 Pio XII 58, 158 Pirandello Luigi, 35 Pisenti Piero 71 Pizzirani Giuseppe 241 Pizzoni Alfredo 198 Podrecca Guido 22 Poli Pasquale 230 Palicardi RafIaele 71 Polverelli Gaetano 61 Pontarolo Tommaso 113 Ponti Giovanni 186 Prandina Giacomo 187 Pretto Giuseppe 169 Prevedello Mario 155, 243 Prezzolini Giuseppe 19 Puchetti Guido 186

Rahn Rudolf von 81 Rainer Friedrichs 81 RanzatoAntonio 174, 190 Rauschning Herrnann 121 Ravazzoli Paolo 41 Reald Ernst 176, 254 Reder Walter 176 Regretti Francesco 32 Repossi Luigi 36 Resega Aldo 127 Ribbentrop loachim von 65 Ricca Umberto 177 Ricci Armando 166 Ricci Renato 26, 30, 85 Rigato Agostino e Riccardo, 237 Rigoni Domenico 227 Rizzieri Lino 222 Rizzieri Raveane 126 Rizzo Luigi 23 Roatta Mario 63, 65 Rocco Alfredo 19,20,33,35,39,46 Rodolti Ferdinando 32, 38, 46 Rommel Erwin 61

Roosevelt Franklin Delano, 197 Rosani Rita 154 Rosselli Carlo 37, 39, 49 Rosselli Nello 37,49 Rossetti RafIaele 23 Rossi Carlo 69 Rossi Francesco 65 Rossi Giuseppe 185 Rossi Teresiano 226 Rosso Fausto 233 Rossoni Edmondo 61 Roveda Giovanni 42, 169 Rubini Egisto 127 Ruffini Avondo Edoardo 47 Ruffini Francesco 47 Ruini Meuccio 63, 65, 74 Rumor Giacomo 187 Rutoli Brunello 174

Sabadin Gavino 186, 204, 243 Sabatucci Franco 185 Sacchi Ettore 22 Saggin Mario 109, 112 Sakau, maggiore 76 Salandra Antonio 19,28,31 Salvatorelli Luigi 65 Salvemini Gaetano 23, 37 Santagata Carlo 78 Saragat Giuseppe 39, 51, 52, 160 Sarocchi Gino 35, 37 Sartor Gino 113 Sartori Amleto 122 Sartori Borotto Guido 187 Sartoli Federico 106 Savoia Elena di 67 Sbardellotto Angelo 47 Scappini Remo 213 Scarpa Attilio 206 Schiavon Giuseppe 247 Scholl, colanello 76, 77 Schuster lldefonso 17, 65, 202, 211 Scoccimarro Mauro, 74,147,194 Scorza Carlo 30, 61

273

Selmin Francesco 107 Senise Carmine 62 Sereni Emilio 51, 203 Settimelli Emilio 29 Sforza Carlo 36, 39, 146, 195 Silvestri Giuseppe 100-101 Silvestri Manlio 126 Simioni Luigi 225 Sinigaglia Alessandro 127 Skorzeny Ollo 79 Smania Giuseppe 244 Smith Walter Bede1l66 Soffici Ardengo 89 Sogno Edgardo 198 Sohnas Gioacchino 68 Sorel Giorgio 17 Spagna Alfio .174 Spagna Luisa 123 Spataro Giuseppe 148 Spiazzi Eugenio 69 Splendore Ugo 229 Stalin Giuseppe 160 Starace Achille 89 StaufIenberg Klaus von 171 Sturzo Luigi 23, 30, 36 Suardo Giacomo 6 I Sultano Gastone 235

Tabellini Ugo 68 Tahon De Revel Paolo 27 Talin Alfredo 225 Tarabella Aldo 36 Tarsa Antonino 77 Tasso Giovanni 189 Terracini Umberto 24, 42, 154 Tessarolo Gerolamo 24 I Tilman Harold W. n 6 Tisato Renato 170 Toaldo Luigi 155, 180 Todesco Mario 172, 184 Todesco Vico 155, 172, 180 Togliatti Palmiro41, 51,149,199 10ne110 Giorgio 231

274

Tonetti Giovanni 181 Tomaquinci Medici Aldobrando 202 Toscanini Arturo 22 Tosetto Riccardo 231 Trentin Silvio 49,51-52,109, 114 Treves Claudio 39, 42 Tringali Casanova Antonino 61 Turati Filippo 25, 35, 42 Turella Leone 238 Turra Francesco, Leone e Remo 112 Tursi Angiolo 186

Umberto Il di Savoia 67,147, 153, 194 Usmiani Antonio 202

Valente Domenico 250 Valente Gastone 200 Valiani Leo 96, 196,203 Valiero Bellino 189 Valle Angelo 181 Vangelista Orfeo 126 Varolto Antonio 122 Vassallo Antonio 91 Venturi Lione11o 47 Veratti Roberto 53 Verzotto Graziano 190, 230 Vian Ignazio 90-91,93, 124 Vicentini Giovanni 244 Vigodarzere Andrea 232 Vinci guerra Vincenzo 45 Virgili Filippo 23 Visentin Primo 140 Visentini Bruno 52 Vittorio Emanuele III di Savoia 17,27, 62-63,67,73-74,79,81,88,146-147, 153, Viviani Francesco 170 Volcher, colonnello 70 Volpato Danilo 130 Volpi di Misurata Giuseppe 138 Volterra Vito 47, 154 Vyszinskij Andrei 146

Wllkinson John 172, 177,204 Wilson Hemy Maitland n5, 196, 198 Wilson Tomas Woodrow 18 Woltf Karl 81, 202, 212

Zago Antonio 237 Zambon Milena 103 Zamboni Adolfo 185 Zamboni Anteo 38 Zamboni Umberto 27 Zancan Lanfranco 95, 110, 113, 120, 122,185,190 Zancan Paola 122 Zancanaro Antonio 113 Zanchin Mario 242 Zanella Angelo 227 Zanella Bruno 189 Zanella Enrico 186 Zane11a Marino 155 Zaniboni Tito 37 Zannier Davide 70 Zanocco Giovanni 122-123 Zara Vittoria 123 Zenari Giovanni 226 Zinato Carlo 224 Zonta Maria 136 Zonta Luigi 181 Zorzo Antonio 236 Zwimer Giuseppe 117

275

INDICE DEI NOMI DELLE LOCALITA' PARTICOLARMENTE INERENTI

ALLA RESISTENZA

Abbazia Pisani (PD) 232 Acerra (NA) 77 Adige, tìume 115: 177, 190,219 Adria (RO) 110 Adriatisches Kusterland 81 Agordo (BL) 141 Alba (CN) 166-167 Alpenvorland 81 Alpone, fiume 115 Altissimo (VI) 163 Anguillara (PD) 235 Anzio (Roma) 148 Aosta 213 Arre (PD) 235 Arsego (PD) 235 Arsiero (VI) Arzignano (VI) 136 Asiago (VI) 113, 227 Asiago, altopiano di

Bosco nero 178 Buscar, contrada 209 Campetto, malga 126 Covolin, malga 129 Ghelpack, torrente 209 Granezza 95, 178 Kaberlaba, monte 172 Tennine, local.ità 209

Asolo (TV) 250 Augusta (SR) 61 Augusta (Augusburg, Baviera) 221 Auschwitz (Polonia) 107 Aversa (CE) 76

Bacchiglione, fiume 247 Badia Polesine (RO) 235 Bagnoles-sur-I'Ome (Normandia) Baldo, monte 210

276

Baone (PD) 238 Bari 16, 70, 198 Bassano del Grappa (VI) 181,225 Battaglia Tenne (PD) 187,247 Bavariadi Nervesa (TV) 113-114 Belgio 39 Belluno 58, 81

Baldenich, frazione 171 Campitello, piazza 253 Carcere 171 Gaggia, villa 58 Piave, borgo 253 Socchieve, frazione 138

Bergiola (CN) 176 Berici, colli 182 Berlino 220, 229 Boara Pisani (PD) 235

Selvadega, contrada 234 Boion di Campolongo M,(VE) 249 Bologna 65,208 Accursio, palazzo da 23 Bolognina, quartiere 208 Lame, porta 208

Bolzano 26, 81,103 Bolzano Bellunese 171 Borga, contrada di Fongara (VI) 182 Borgo San D,ùmazzo (CN) 94, 107 Borgo Valsugana (TN) 52 Borgoricco (PD) 233 Borgosesia (VC) 165 Boves (CN) 90) Bracciano (Roma) 98 Brennero, passo del 65, 219 Brindisi 67 Brombe, contrada di Fontanelle di Conco (VI) 228 Buchenwald (Turingia, Gennania) 170

Busto Arsizio (VA) 213

Cadoneghe (PD) 173 Cadore 155, 254, 255 Calabria 66 Caltana di Santa Maria di Sala (VE) 249 Caltrano (VI) 209, 226 Calvene (VI) 225 Camisano (VI) 228 Campagnalupia (VE) 113, 250 Campegine (RE) 128 Campese di Bassano del Grappa 227 Campo San Mmtino (PD) 230 Campodarsego (PD) 209 Campofontana (VR) 170 Camponogm'a (VE) 113 Camporovere di Roana (VI) 172 Camposampiero (PD) 190,209 Canaro (RO) 222 Cannes (Francia) 37 Canove di Roana 172 Cansiglio, altopiano del 155, 171, 177 Capua (CE) 78 Carnia 166, 168 Carrara San Giorgio (PD) 23 Carrara Santo Stefano 235 Cartura (PD) 186 Caserta 77, 215 Cassi bile (SR) 66 Castelbaldo (PD) 235 Castelfranco (TV) 140, 250 Castelguglielmo (RO) 189 Castellar (CN) 90 Castello di Godego (TV) 232 Castelmassa (RO) 222 Cavarzere (VE) 190 Caviola (BL) 177 Cefalonia, isola (Grecia) 71 Chioggia (VE) 11 O, 210, 248 Chiuppano (VI) 209 Ciakor, passo del (Montenegro) 72 Cimolais (PN) 141 Cinto Euganeo (PD) 238

Cittadella (PD) 190,229,231-232 Cogollo (VI) 225-226 Cologna Veneta (VR) 224, 229 Collego (TO) 213 Collio, zona del (GO-Slovenia) 125 Como 102,212-213 Comun, monte (Lessinia) 154 Conco (VI) 113, 126,228 Conselve (PD) 190, 234, 236, 247 Corfù, isola (Grecia) 71 Corsica 39, 70 Cosenza 167 Costa Azzurra (Francia) 47 Crachi-Rama (Lessinia) 177 Creazzo (VI) 229 Crespadoro (VI) 156, 163 Crespano del Grappa (TV) 252 Cuneo 90, 112, 208, 213 Curtarolo (PD) 229-230

Dacllau (Baviera) 103, 138, 189 Dalmazia 21 Desenzano (BS) 81 Dodecanneso, isole (Grecia) 71 Dolo (VE) 173 Domodossola (NO) 167 Dongo (CO) 212-213 Dueville (VI) 105, 205 Durlo di Crespadoro (VI) 163

Ebro, fiume 49 Egee, isole 71 Emilia 143, 199,203,207,227 Este (PD) 156,236,238

Faedo di Cinto Euganeo (PD) 239 Fm'a (VI) 225 Feltre (BL) 58 Fener (BL) 171 Ferrara 23, 127,219 Ferrara di Monte Baldo (VR) 170 Fiesso Umbertiano (RO) 189 Figline di Prato 164

277

Firenze Accademia d'Italia, sede 150 Amo, ponti sull' 165 Montaldo, villa ISO Poligono delle Cascine 128 Romana, Porta 164 Santa Croce, tempio di 150 Vecchio, ponte 165

Fiume (Croazia) 81 Flossenburg (Germania) 189 Foligno (PG) 27 Follina (TV) 171 Fongara di Schio (VI) 182 Fonzaso (BL) 171 Fossoli (MO) 107 Fossone (MS) 102 Friuli 125,203,215

Gaiba (RO) 189 Gallio (VI) 227 Galzignano (PD) 239 Gardone (BS) 81 Gargnano (BS), 81 Gatigliano, fiume 81 Garzano (CE) 78 Genova 208 Germania 210 Giazza, frazione di Selva di Progno (VR) 224 Giulino di Mezzegra (CO) 213 Gorizia 81 Gorzone, canale 190 Gran Sasso, monte (AQ) 79 Grancona (VI) 182 Granzette (RO) 210 Grappa, massiccio del 155 Areheson, totTente 180 Campo Croce 180 Col Serrai 180 Colli Alti 180 Forcelletto, località 180 Grappa, cima 180 Legnarola, monte 181

278

Monfenera, monte 180 Oretto, monte 180 Oro, monte 180 Tomba, monte 180 Val dei Pezzi 181

Grecia 98 Gries, sobborgo (BZ) 103, 123,225 Grugliasco (TO) 213 Gua, fiume J 15 Gubbio (PG) 164 Guia San Giacomo (TV) 171

Hildeshein (Germania) 72

Illasi (VR) 163 Isola della Scala (VR) 189 Isola di Ariano 210, 222 Isonzo, fiume 125

Jemisa Giava (Montenegro) 72 Jugoslavia 71

Klessheim (Salisburgo) 58, 171

Lama Polesine di Ceregnano 222 Lanciano 78 Langhe, Le (Piemonte) 166 La Spezia 175 Lendinara (RO) 189 Lero, isola (Grecia) 7l Lessinia (VR) ]]2, 163 Liguria 166, 199,203,212 Limena (PD) 112,231 Lipari, isole 45 Livenza, fiume 116, 177 Livorno 24 Lombardia 177, 199, 203 Longa, frazione di Schiavon (VI) 226 Lonigo (VI) 229 Lozzo Atestino (PD) 235 Lugano (Svizzera) 96,101,196,202 Lugo (VI) 225 Lunigiana (Toscana) 39

Lusiana (VI) 172, 227

Maddalena, isola della (5S) 79 Maderno (BS) 81 Madrid 49 Malganova, fraz. di Conco 126 Malta, isola 69,197 Mantova 210 Marana, fraz. di Crespadoro 163 Marghera (VE) 136 Marostica (VI) 129,225,228 Marsango di Campo San Martino (PD) 231 Marzabotto (BO) 176 Maser (TV) 172 Maserà (PD) 234 Maslianico (CO) 102 Mason (VI) 182 Mauthausen (Austria) 103 Gusen, sottocampo 187 Medicina (BO) 143 Megliadino San Vitale (PD) 187 Megolo (NO) 125 Merlara (PD) 235 Mestre (VE) 248, 249 Milano Arcivescovado 211 Arena 128 Diana, teatro 24 Loreto, piazzale 213 Marino, palazzo 26 San Damiano, via 24 San Gregorio, via 24 San Sepolcro. piazza 15,21 San Vittore, carcere 128

Mira (VE) 248 Mirano (VE) 189, 250 Modena 107, 166 Mogliano Veneto (TV) 124 Molinella (BO) 143 Monfalcone (TS) 215 Monselice (PD) 234-236 Montagnana(PD) 156

Montebelluna (TV) 250 Montecassino (FR) 146, 152 Montecchia di Crosara (VR) 177 Montefiorino (MO) 166 Monteforte d'Alpone (VR) 170 Montemerlo di Cervarese (PD) ++ Monterotondo (Roma) 27 Motta di Livenza (TV) 188 Murelle di Villanova (PD) 209 Musso eli Dongo (CO) 213

Napoli Campo Sportivo 76 Chiaia, via 76 Nazionale, piazza 76 Plebiscito, piazza del 26 Poste, palazzo delle 76 Roma, via 76 San Carlo, teatro 26 Santa Teresa, via 76 Università, palazzo dell' 76 Vomero, colle del 77

Nerac (Francia) 41 Nervesa della Battaglia (TV) 257, Nichel Treuenbrietzen (Germania) 72 Normandia (Francia) 163, 176 Noventa (VI) 187, 228

Occhiobello (RO) 189 Oderzo (TV) 116 Oltrepò Pavese 166 Orgiano (VI) 229 Ossola, valle dell' (Piemonte) 166,213

Padova Altinate, via 244 Antonianum, collegio 120, 206, 240,

243-244 Arcella, quartiere 112, 156 Barbariga, collegio 130 Bassanello, sobborgo 246-247 Bò, palazzo del 117, 130 Bonservizi, caserma 123

279

Borsa, palazzo della 184 Braghetta, palazzo 247 Brentelle di Sotto 246 Camin, frazione 236 Campo di Mmte 100 Castello, piazza 244 Cavour, piazza 184 Chiesanuova, frazione 100, 209 Donatello, via 120, 206 Emanuele Filiberto, via 184 Foro Boario 242 Giusti, palazzo 121,123,185,193,204,

240-241,243 Guizza, frazione 246 Internato Ignoto, tempio 103 Liviano, ist. univ. 118 Marsala, via 109 Morgagni, clinica 242 Mugnai, via 244 Ospedale Civile 246 Papalava, palazzo 109 Pena, casa di 244 Ponte di Brenta, frazione 186 Pontecorvo, porta 246 Pontevigodarz,ere, frazione 231 Prato della Valle, piazza 138, 242, 244,

247 Racca, bar 184 Salboro, frazione 187,246-247 San Francesco, convento 243 San Francesco, via 185, 204, 240 San Prosdocimo, chiesa 122 Sant'Antonio, basilica 242 Sant' Antonio, convento 243 Santa Giustina, caserma 129,240 Santa Lucia, via 184 San Tommaso, chiesa 193 Spalato, piazza 244 Terranegra, frazione 103 Tribunale 130 Voltabarozzo, frazione 247

Pantelleria, isola 61 Parigi 37

280

Parma 210,219 Pedescala di Valdastico (VI) 226 Pellestrina (VE) 248 Peraga di Vigonza (PD) 244 Perugia 26 Pescantina (VR) 189 Pescara 67 Pesio, torrente (Piemonte) 93 Piacenza d'Adige (PD) 186 Piana di Valdagno (VI) 182 Piemonte 199,203,212 Pieve di Cadore (BL) 255 Piove di Sacco (PD) 236 Piovese (PD) 174 Poggiana di Riese PioX (TV) 140 Poiana Maggiore (VI) 187 Pola (Istria, Croazia) 81 Polesine 156, 189,222 Polidoro di Torrimpietra (Roma) 75 Pontelongo (PD) 174 Ponte nelle Alpi (BL) 254 Ponza, isola (LT) n Ponzano Veneto (TV) 251 Portogruaro (VE) 189 Porzus malga (UD) 200 Povolaro di Dueville (VI) 205 Praglia di Teolo (PD) 239 Provenza (Francia) 112, 175 Prozzolo di Camponogara (VE) 250 Puos d'Alpago (BL) 141

Ravello (SA) 81 Ravensbruck (Germania) 103 Reggio Emilia 128 Riese Pio X (TV) 140 Roana (VI) 172 Rocca delle Caminate (Fa) 79 Rodi, isola (Grecia) 71 Roma 198-199 Ardeatina, via 75,148-149 Ardeatine, fosse 148-149, 160 Arnaldo da Brescia, 1ungotevere 33 Augusteo, teatro 25

Caio Cestio, piramide di 75 Cinquecento, piazza dei 75 Continentale, albergo 75 Ebrei, ghetto degli 107 Flaminia, via 35 La Storta, località 160 Legnano, via 62 Magliana, via 68 Ostiense, via 68, 75 Quartarella, boscaglia della 35 Quirinale 27 Rasella, via 148 Regina Coeli, prigione 39, 154 San Lorenzo, rione 27 San Paolo, porta 68, 75, 159 Savoia, villa 61 Torquato Tasso, via 160 Trionfale, rione 27 Tritone, via 148 Venezia, palazzo 61

Roncà (VR) 224 Rosbella, costoni di (Cl\1) 93 Rovigo 219, 222 Rubbio (VI) 228 Runzi di Bagnolo di Po (RO) 189

Salerno 67, 70, 81, 149 Salò (BS) 81 San Bonilacio (VR) 156, 224 San Donà di Piave (VE) 95

Passarella e Caposile, località 249 San Giacomo di Boves (CN) 90 San Giorgio in Bosco (PD) 232 San Giovanni Ilarione (VR) 182 San Martino d'Ala (TN) 224 San Martino di Lupari (PD) 232 San Martino, monte (VA) 94 San Pietro in Gù (PD) 187 San Pietro in Viminario (PD) 234 San Pietro Mussolino (VI) 182 San Pietro Valdastico (VI) 227 San Terenzio (LU) 176 Sandrigo (VI) 32, 46, 226

Sant'Angelo di Piove di Sacco (PD) 236 Sant' Anna di Stazzema (LU) 176 Sant' Anna Morosina (PD) 232, 246 Sant'Ulderico di Tretto (VI) 183 Santa Caterina di Lusiana (VI) In Santa Eufemia di Borgoricco (PD) 233 Santa Giustina in Colle (PD) 236

Custozza villa 233 Santa Maria d'Adige (PD) 234 Santa Marinella (Roma) 26 Saonara (PD) 236

Bauce, villa 237 Da Manfrin, osteria 238 Pimpinato, villa 237 Villatora, frazione 237, 238 XI febbraio, via 237

Sassi di Ceregnano (RO) 222 Schiavon Vicentino (VI) 226 Schio (VI) j 36 Silea (TV) 252 Soave (VR) 189 Sossano (VI) 229 Stienta (RO) 222 Storner di Enego (VI) 209 Svizzera 96, 101, 102, 119

Tarvisio, passo di 65, 219 Tavo di Vigodarzere (PD) 230 Tencarola di Selvazzano (PD) 246 Teolo (PD) 239 Tergola, fiume 232 Teverola (CE) 78 Thiene (VI) 113, 155, 173,225-226 Tivoli (Roma) 27, 68 Tonezza (VI) 173 Torino 207 Torlano (UD) 249 Torreglia (PD) 239 Torriglia (GE) 166 Trento 81 Treschè-Conca (VI) 227 -228 Trevignano (TV) 250 Treviso 157, 250

281

Filodrammatici, palazzo 24 Fontane, località 188 Le COlti 252 Manin, via 24 Prefettura 251 Santa Maria del Rovere 252

Trieste 81, 215 Balkan, hotel 23 Risiera di San Sabba 102, 108

Tunisia 45

Udine 81 Ulma (Wurttemberg, Germania) 221 Urbana (PD) 234 Ustica (PA) 39

Val Brenta (Valsugana) 227 Val Camonica (BS) 165 Val Cavallina (BG) 163,.165 Val Chisone (TO) 165 Val Cordevo1e (BL) 255 Val d'Adige 11 0,210 Val d'Assa (VI-TN) 227 Val Gesso (CN) 124 Val Maira (CN) 124 Val Pellice (TO) 167 Val Posina (VI) 173 Val Sesia (VC) 165 Val Zoldana (BL) 254 Val d'Astico (VI) 225 Valdobbiadene (TV) 140, 188 Valla (LU) 176 Valle del But (UD) 215 Valle del Chiampo (VI) 170 Valle del Toce (NO) 167 Valle dell' Agna (VI) 182 Valle San Floriano di Marostica (VI) 228 Valle San Giorgio di Lozzo Atestino (PD) 239 Valle Scrivia 166 Valle Trebbia 166 Vallarega di Teolo (PD) 187 Valli del Pasubio (VI) 172

282

Valsanzibio (PD) 173 Valtellina (SO) 212 Varsavia (Polonia) 191-192 Veneto 199,203,219 Venezia 248 Arrivabene, palazzo] 32 Giustinian, palazzo 173 Regina, albergo 248 Santa Maria Maggiore, carcere 103

Verdun (Francia) 179 Verona 210, 223-224 Avesa, frazione 223 Campofiore, caserma 69 Cappello, via 170 Castelvecchio 133, 138 Montorio, frazione 170 Ongarine, monte 223 Pietra, ponte 223 Scaligero, ponte 223 Scalzi, carcere degli 169-170

Versilia (Toscana) 176 Vestenanuova (VR) 163, 170 Vicenza 38, 224 Campedello, rione 225 Maddalene, rione 225 San Biagio, carcere di 187 San Marco, via 46

Vigodarzere (PD) 230 Vigonza (PD) 173, 186,244 Villadose (RO) 210, 222 Villafranca (PD) 230 Villamarzana (RO) 189 Villanova di Camposampiero (PD) 143, 209,233 Vittorio Veneto (TV) 116 Vo' Euganeo (PD) 107

Wellheiden (Germania) 72

Zanè (VO 225 Pontarè contrada 226

Zoldo (BL) 141

INDICE

Presentazione ..................................................... ....................... Pag. 5 Nota dell'autore ............................................................ ............ Pag. 9 Sigle del periodo storico .......................................................... .Pag. 11

PARTE PRIMA

FASCISMO E ANTIFASCISMO

CAP. I DEFINIZIONE DEL FASCISMO .......................................... Pag. 15 Nazionalismo e fascismo

CAP. 2 - NASCITA E AFFERMAZIONE DEL FASCISMO ..................... Pag. 21 Durante il biennio rosso - Nel biennio uero - La marcia su Roma

CAP. 3 - IL FASCISMO AL l'OTERE ................................................ Pag. 28 Strategia politica di Mussolini - La legge Acerbo - Le elezioni del 1924

CAP. 4 - L'ANTIFASCISMO DAL COMITATO DELLE OPPOSIZIONI AGLI

ATTENTATI A MUSSOLINI DEL 1926 ............................................ .Pag. 33 Inizio della dittatura fascista: 3 gennaio 1925 - Le leggi "eccezionali"

CAP. 5 - GLI ANNI DELLA "CONCENTRAZIONE ANTIFASCISTA" ..... Pag. 40 Arturo Bocchini e l'OVRA - La Concentrazione d'azione antifascista - La

polemica sui diritti dell' Azione Cattolica

CAP. 6 - DALLA GUERRA D'ETIOPIA FINO AL 25 LUGLIO l 943 ... Pag. 48

283

PARTE SECONDA

LA RESISTENZA IN ITALIA E NEL VENETO

CAP. 7 - GLI AVVENIMENTI ANTECEDENTI 1:8 SETTEMBRE 1943 ... Pag. 57 Lo sbarco alleato in Sicilia e l'ultima seduta del Gran consiglio del fascismo l quarantacinque giorni di Badoglio

CAP. 8 - RESISTENZE MILITARI E SFASCIO DELL'ESERCITO ............ Pag. 68 La difesa di Roma - Lo sfascio dell'esercito - Le resistenze fuori del territo­rio nazionale - Resistenza dell' esercito internato

CAP. 9 - LA RESISTENZA DEI CIVILI A ROMA E NEL MERIDIONE .... Pag. 74 Il Comitatato Centrale di Liberazione Nazionale - La resistenza popolare a Roma - L'insurrezione a Napoli e nel meridione

CAP. 10- LE SCELTE POLITICHE NELL'ITALIA OCCUPATA DALL'ESERCITO

TEDESCO .............................................................. .................... .Pag. 79 Le due ltalie - Nell'Italia dalla RSI e occupata dalla Wehrmacht - Le moti­vazioni ideologiche dei volontari della Resistenza - Le motivazioni ideologi­che degli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana

CAP. Il - INIZIO ED EVOLUZIONE DELLA RESISTENZA ARMATA ... Pag. 90 Le due tragedie di Boves e Ignazio Vian - Le bande, le brigate, i Gruppi Armati Patriottici (GAP) - L'attendismo, il CLNAI e il CVL

CAP. 12 - LE PRIME RESISTENZE CIVILI NEL VENETO ................. .Pag. 99 Generosità per i soldati braccati dalla Wehrmacht - Il "Piano Artero" e il soccorso ai prigionieri inglesi - Il soccorso agli Ebrei - L'olocausto in Italia

CAP. 13 - IL CLNRV DURANTE L'AUTUNNO 1943 .................... .Pag. 109 L'istituzione a Padova del CLNRV - I primi partigiani e ]' istituzione delle FADP a Bavaria di Nervesa - Le missioni militari italiane e alleate

284

CAP. 14 - IL CONTRIBUTO DELL'UNIVERSITÀ DI PADOVA ............ .Pag. 117 Il proclama di Concetto Marchesi - Il Pensionato universitario Antonianum La stampa clandestina e il mondo universitario

CAP. 15 - I PRIMI RASTRELLAMENTI TEDESCHl... ........................ .Pag. 124 La repressione nel Veneto - L'azione dei GAP nell'inverno '43-'44 L'azione dei GAP a Firenze e la notificazione del cardinale Elia Dalla Costa Azioni dinamitarde a Padova - La crisi transitoria del CLNRV

CAP. 16 LA RESISTENZA CIVILE DEGLI OPERAI E DEGLI INDUSTRIALI

VENETI. .................................................................. ................... .Pag. 133 Lo sciopero del marzo 1944 - Fucilazione ad Arzignano - Il contributo degli industriali veneti

CAP. 17 - LA RISPOSTA DEI RURALI... .......................................... Pag. 139 La Notificazione episcopale triveneta - L'appello de "L'Unità" di Treviso

CAP. 18 - I CONTRASTI POLITICI NEL CCLN ............................... Pag. 145 L'attentato di via Rasella e i CCLN - La "Svolta di Salerno" L'assassinio di Giovanni Gentile e le contrastanti reazioni

CAP. 19 -LE FORZE PARflGIANE NELLA PRIMAVERA 1944 ............ Pag. 152 L'apporto numerico e morale degli Ebrei - Le forze partigiane nel Veneto I bombardamenti aerei e la resistenza

CAP. 20 - IL PERFEZIONAMENTO GERARCHICO DEL CLNAI... ..Pag. 158 La liberazione di Roma e la Resistenza - Il governo Bonomi e il perfeziona­mento militare delle formazioni partigiane

CAP. 21 - l SUCCESSI DEI PARTIGIANI NELL'ESTATE DEL 1944 ..... Pag. 154 La liberazione di Firenze - L'offensiva nell'Italia settentrionale Le repubbliche partigiane e "il vento del Nord" - La repubblica dell'Ossola La repubblica della Carnia Le azioni militari dei partigiani nel Veneto orientale Assalti e sabotaggi nel Veneto centro-orientale

285

CAP. 22 - LA REAZIONE NAZIFASCISTA ....................................... .Pag. 175 Le speranze del CLNAI e il realismo di Kesselring - Le stragi di Walter Reder - I grandi rastrellamenti tedeschi sulle montagne venete del settembre 1944 - La battaglia sull' Altopiano di Asiago - La battaglia sul Massiccio del Grappa - Rastrellamenti ed eccidi minori nell' alto Veneto

CAP. 23 - LA REPRESSIONE NELLE CITTÀ E IN PIANURA ............... Pag. 184 A Padova - Nel Padovano A Vicenza e nel basso Vicentino - A Treviso Nel Polesine - A Verona e nel Veronese - Nel Veneziano - La "pianurizzazio­ne" della Resistenza - L'odio antitedesco dopo gli cecidi in Italia e l'olocau­sto di Varsavia - La cultura sociale come Resistenza civile

CAP. 24 - LA CRISI DEL GOVERNO BONOMI... .............................. Pag. 194 Il "dibattito delle cinque lettere" nel CCLN - Le diffidenze degli Alleati Il proclama di Alexander, l'accordo del CLNAI con Maitland Wilson e il secondo governo Bonomi - I dissensi interni e l'eccidio di Porzus

CAP. 25 - I PREPARATIVI PER L'INSURREZIONE FINO ALLA "MISSIONE

MEDICI TORNAQUINCI" ........................................... ................... Pag. 201 Sul piano generale - Nel Veneto

CAP. 26 - ALLA VIGILIA DELL'INSURREZIONE GENERALE ............. Pag. 207 In Italia - Nel Veneto

CAP. 27 - DALL'INSURREZIONE GENERALE ALLA RESA DEI TEDESCHI A

CASERTA ............................................... ..................................... Pag. 211 11 proclama insurrezionale del 25 aprile 1945 e l'incontro nell' arcivescovado di Milano - Le battaglie insurrezionali - La dichiarazione del CLNAI

CAP',28 - L'INSURREZIONE GENERALE NEL VENETO ................... .Pag. 219

CAP. 29 - L'INSURREZIONE NEL VENETO SUD-OCCIDENTALE ....... .Pag. 222 Nel Polesine - Nella provincia di Verona - Nella provincia di Vicenza Lungo la pedemontana - Sull' Altopiano di Asiago - Sulla pianura vicentina e nei colli Berici - Nella provincia di Padova - Nell'alto padovano - Nella ' bassa padovana - Nel Piovese -Nella zona dei colli Euganei

286

CAP. 30 - COMBATTIMENTI E TRATTATIVE DI RESA A PADOVA DAL 25 AL

29 APRILE ................................................ .................................. Pag. 240 Mercoledì 25 - Giovcdì 26 - Venerdì 27 -Sabato 28 - Domenica 29

CAP. 31 L'INSURREZIONE NEL VENETO NORD-ORlENTALE ......... Pag. 248 Nella provincia di Venezia - Nella provincia di Treviso - Nella provincia di Belluno

ApPENDICE .............................................. ................................. .Pag.257

BIBLIOGRAFIA ............................................. .............................. Pag. 262

INDICE DEI NOMI DI PERSONA ............................................... ..... Pag. 267

INDICE DEI NOMI DELLE LOCALITÀ PARTICOLARMENTE INERENTI ALLA

RESISTENZA ...................................................... ....................... Pag. 276

287

Finito di Stampare nel mese di Aprile 1996 Con i tipi della Tipolitografia Battagin S.n.c.

31020 - San Zenone degli Ezzelini (Tv)

DELLO STESSO AUTORE

"La firma 'I - una famiglia veneta tra due secoli -

(Ed. BorIa-Roma 1977) romanzo storico e di

costume, naffa le vicende eli una famiglia

sandrighese tra l'Ouocento c il Novecento,

dando spazio notevole alle istanze sociali del

tempo e alla prima guerra mondiale.

1/ La ruota fI _ cesuranti ed esposti _

(Ed. Boda-Roma 1984) romanzo storico-sociale,

i cui protagonisti sono gli "esposti", i figli non

riconosciuti da entrambi i genitori, accolti nel

brefotrofio attraverso il congegno della "ruota",

Le loro vkende si svolgono nel padovano dalla

seconda metà dell'Ottocento fino al 1955. anno

in cui viene abolita la paternità e maternità nelle

carte di identità. Vince il premio nazionale

"Vittoria Quarenghi - 1986, ex aequo con

"La città della gioia" di Dominiquc La Pierre.

"Soldi () acquasanta?" - Un parroco veneto nella guerra civile

e nella ricostruzione -

(Gregoriana cd. - Padova 1989)

Vincitore del "Premio nazionale dci giovani

Costantino Pavan 1992"

"Galantuomini padovani dell'Ottocento"

(Libreria ed. Draghi-Randi di Padova, 1992),

ricostruzione di quarantadue personaggi padovani,

alcuni dci quali di fama nazionale.

"Come lo scricciolo" - racconti brevi-

(Ed. Circolo culturale "E. Medi" di Verona, 1994),

raccolta di settanta racconti brevi.

"l due ritorni" - romanzo storico 1919 - 1945-

(Ed. Circolo culturale "E. Medi" di Verona, 1995).

L-c vicende dei protagonisti si intrecciano con gli

avvenimenti politici c storici del fascismo, della

seconda guerra mondiale e della Resistenza.