La Bussola n°08

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“in questo povero paese in cui la politica, a destra e a sinistra, sembra aver perso la bussola democratica...” (Gianni Barbacetto) N° 8 Luglio 2011 Rivista bimestrale dell’ Associazione Culturale LiberaMente distribuzione gratuita LA NORMALITÀ DELLO STUPRO Democrazia diretta pag. 9 Chi rimetterà i nostri debiti? pag. 7 Dei diritti e dei doveri pag. 8 Notti bianche con classico spirito edonistico pag. 4 Un giorno in carcere con un presunto innocente pag. 6 Tempo d’estate pag. 3 pag. 2 Il Fiume. Natura che resiste pag. 10 Eco-Fatto pag. 12 DisUguali pag. 13 Bio-casa pag. 14 Libri pagg. 14-15

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Titolo di copertina: La normalità dello stupro Articoli: La normalità dello stupro di Luigi Iannotta Tempo d’estate: notti bianche e non solo di Fiorenzo Martini Notti bianche con classico spirito edonistico di Giancarlo Iacchini Un giorno in carcere con un presunto innocente di Rodolfo Santini Chi rimetterà i nostri debiti? di Simone Santini ei diritti e dei doveri di Angelo D’Agostino Democrazia Diretta di Italo Campagnoli Il fiume. Natura che resiste di Ilaria Biagioli, Mimmo Carbone e Mirko Renzoni Eco-Fatto di Massimiliano Martini A ciclo concluso – Disuguali. Donne, diritti, violenza negli anni zero di Ilaria Biagioli, Agnes Hecz, Caterina Magarelli, Claudia Romeo RUBRICA. BioCasa: sbiancanti per la lavatrice di Claudia Romeo L’APPELLO di Cristian Bellucci

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“in questo povero paese in cui la politica, a destra e a sinistra, sembra aver perso la bussola democratica...” (Gianni Barbacetto)

N° 8Luglio 2011

Rivista bimestrale dell’ AssociazioneCulturaleLiberaMente

distribuzione gratuita

LA NORMALITÀ DELLO STUPRO

Democrazia direttapag. 9

Chi rimetterà i nostri debiti?pag. 7

Dei diritti e dei doveripag. 8

Notti bianche con classico spirito edonistico pag. 4

Un giorno in carcere con un presunto innocente pag. 6

Tempo d’estatepag. 3

pag. 2

Il Fiume. Natura che resiste pag. 10

Eco-Fattopag. 12

DisUgualipag. 13

Bio-casapag. 14

Libri pagg. 14-15

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La Bussola periodico culturale

Registrato presso il tribunale di Pesaro il 14.01.2010 registrazione n. 568

------n. 8 chiuso il 27 Luglio 2011

Direttore responsabileFelice Massaro

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RedazioneMonteMaggiore al Metauro (PU)

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Grafica e impaginazionePaola Bacchiocchi

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facebookassociazione LiberaMente

Gli autori si assumono la responsabilità dei propri scritti

Gianni Rodari Storia Universale

In principio la Terra era tutta sbagliata , renderla più abitabile fu una bella fatica. Per passare i fiumi non c’erano ponti. Non c’erano sentieri per salire sui

monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un

panchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, nè scarpe nè stivali.Mancava la pentola e il

fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava

anche la pasta. Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta.

C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e gli errori

più grossi si potè rimediare.Da correggere, però,

ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c’è

lavoro per tutti quanti!

LA NORMALITÀ DELLO STUPRO

di Luigi Iannotta

La notizia, riportata dalla quasi tota-lità dei quotidiani nazionali, secondo la quale nel corso della tanto attesa e apprezzata Notte Bianca di Fano (PU) una ragazzina quindicenne veniva vio-lentata da un branco composto da tre minorenni ubriachi ma di buona fa-miglia, provenienti da Città di Castello (PG) e in vacanza con i parenti nella cit-tà marchigiana, sicuramente indigna la coscienza collettiva e, contestualmen-te, contribuisce a rendere sempre più chiara la rotta intrapresa dalla società nella quale viviamo.Da un punto di vista sociologico le fe-ste, i raduni, i concerti, lo stare insieme ad altri giovani o tra altri giovani, anche sconosciuti, sembra rappresentino le occasioni più ghiotte ove mostrar-si ispirati a modelli devianti, tanto di moda, facendo abuso di alcool o sbal-landosi con qualche pasticca di sostan-za stupefacente.Il divertimento è trasgressione e fuga dai canoni ordinari poiché le tradizio-nali agenzie di socializzazione, come la famiglia e la scuola, non rispondono più alle esigenze dei giovani intenti a reinventarsi valori e ideali originali ed edonistici: non conta il futuro, non con-ta il passato, quello che conta è l’og-gi! Le tipologie familiari ed educative della società postmoderna appaiono sempre più carenti dell’autorevolez-za e parvenza di fiducia nel futuro che fornivano sicurezza alle generazioni emergenti nelle quali, oggi, si accentua la divaricazione tra chi può fregarsene e chi no. E, allora, ci si potrebbe chiede-re cosa vuol dire essere di buona fami-glia. Forse essere in condizioni econo-mico–sociali vantaggiose e trovarsi in tali condizioni di disagio che qualunque comportamento, anche quello lesivo delle libertà altrui, come quella sessua-le, possa essere giustificato e, in qual-che modo, normalizzato?Da un punto di vista giuridico, l’episodio in questione configurerebbe il delitto di Violenza sessuale di gruppo, reato pu-nito con la pena della reclusione da sei a dodici anni, poiché gli autori, anche abusando delle condizioni di inferiorità fisica della persona offesa, l’avrebbero costretta a subire atti sessuali, così come pare emergere dagli immediati

accertamenti clinico-diagnostici. A meno che, essendo la differenza di età tra la minore vittima e i minori au-tori non superiore a tre anni, non vi fos-se stato il consenso al compimento dei suddetti atti sessuali da parte della ra-gazzina, i partecipanti risponderebbero del crimine singolarmente. Inoltre, data per acquisita la crimino-dinamica dell’evento che si sarebbe consumato dopo che gli autori aveva-no trascinato la vittima alle spalle di alcune cabine, con tale reato concor-rerebbe, altresì, il delitto di sequestro di persona, che prevede la pena della reclusione da sei mesi a otto anni. Infine, non bisogna dimenticare nep-pure che l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude l’imputabilità.Poiché il fatto delittuoso è stato con-sumato in danno di una minorenne, il procuratore della Repubblica è tenuto a darne notizia al Tribunale per i mino-renni; quest’ultimo, quindi, è l’organo giudiziario competente ad assumere provvedimenti sia nei confronti degli autori del reato che nei confronti del-la vittima. A questo punto, è appena il caso di accennare al fatto che il pro-cedimento penale minorile italiano è sostanzialmente ispirato dal principio di recupero del minore deviante, qua-lunque reato questi abbia commesso essendo, altresì, escluso l’esercizio del diritto alla costituzione di parte civile per il risarcimento del danno.Ci sarebbe da chiedersi esclusivamen-te quanto un’eventuale mediazione tra autore e vittima di reato, esercitata dal giudice minorile, possa, in questa specifica tipologia delittuosa, risultare di giovamento a quest’ultima, la qua-le ha sperimentato sulla propria pelle una delle più aberranti violazioni della libertà personale che, si spera, riesca a superare, anche se con molta difficoltà, emotivamente e cognitivamente.Attualmente, gli studiosi parlano di vulnerabilità della vittima di reato con riferimento a quel complesso di fattori, personali e ambientali, che rendono un soggetto maggiormente appetibile per chi ritenga di trarne un qualunque pro-fitto o vantaggio, non necessariamente di natura patrimoniale.

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T E M P O D ’ E S TAT E

Tale circostanza, se valutata alla luce delle più recenti analisi psicologiche sul comportamento degli adolescenti, non può che costituire un elemento funzionale per la commissione del de-litto. In confronto ai giovani di un tem-po, quelli di oggi hanno a disposizione maggiori informazioni e strumenti per crescere, ma non sono più maturi; in-fatti, il processo di maturazione non è né unitario né sincrono, racchiudendo diverse componenti: cognitiva, affetti-va, relazionale, sociale, etica; alcune di esse hanno subito negli ultimi decenni una forte accelerazione, ad esempio lo sviluppo della sfera cognitiva, in quanto la famiglia e la società stimolano l’intel-ligenza del bambino, l’apprendimento e la competitività; nello stesso tempo, però, altre componenti hanno subi-to un forte rallentamento: l’affettività, il mondo non razionale che riguarda emozioni e sentimenti, è particolar-mente ritardata; quindi, gli adolescenti attuali sono meno in grado di domi-nare le emozioni, di gestire le relazioni affettive e di vincere le frustrazioni; se intellettualmente sanno tenere testa

ai genitori, emotivamente non riescono a staccarsene, innescando così legami conflittuali e nevrotici. In ritardo appare anche la maturità so-ciale, ovvero la capacità di un giovane di assumersi responsabilità nei propri e altrui confronti.La necessità di sentirsi e apparire vi-sibili, in un contesto che tende altri-menti a ignorarli, spinge molti ragazzi a ricorrere alla violenza, pur di divenire in qualche modo protagonisti sul pal-coscenico della vita sociale.Gli adolescenti di oggi, che spesso vi-vono in ambienti carenti dal punto di vista formativo e affettivo, si trovano ad avere un alto livello di sviluppo co-gnitivo e intellettuale, a fronte di un vuoto affettivo spaventoso e dell’as-soluta impossibilità di individuare una cornice di valori riconosciuti, che la so-cietà stessa è sempre meno in grado di proporre. Il delitto consumato dall’adolescente risponde ad istanze talvolta naturali: è possibile percepire la sproporzione fra l’enormità del delitto e le motivazioni che ne sono alla base. Tale spropor-

zione evidenzia la fluidità del limite tra comportamento normale e patologico tanto da ipotizzare una continuità tra esse, piuttosto che un salto qualitati-vo, inducendo alcuni studiosi a conia-re un nuovo termine, normoide, per definire questi soggetti borderline; il riferimento a una definizione che, per la sua assonanza con il termine uma-noide, sembra indicare un automa che ha sembianze e reazioni assai simili a quelle dell’uomo ma non lo è, forse per-ché manca di un’anima.È notizia quotidiana quella che vede coinvolti, piuttosto che soggetti affetti da parafilie, adolescenti stupratori, ita-liani o stranieri, in pregiudizio di ragaz-zine o giovani donne italiane o stranie-re, tanto da cominciare a ritenere che stia diventando normale aspettarsi che ciò accada, sebbene qualunque atteg-giamento femminile, anche quello più spinto, non debba mai essere conside-rato un invito all’atto se mancante del dovuto consenso.

TEMPO D’ESTATE NOTTI BIANCHE E NON SOLO

di Fiorenzo Martini

Premetto che non ho nessuna inten-zione di unirmi al coro di coloro che, prendendo spunto dal recente tristis-simo episodio di violenza capitato a Fano durante la notte bianca, vogliono in modo manicheo mettere l’accento sulla bontà delle manifestazioni estive che si basano su eventi culturali (cine-ma, conferenze, concerti), contrappo-ste a quelle che vengono considerate di pura evasione. Quello che vorrei dibat-tere è su come vengono spese le sem-pre più scarse finanze che gli enti locali hanno a disposizione per promuovere il proprio territorio offrendo spettaco-li ad un ipotetico turista e, perché no, anche ad un cittadino qualsiasi. Non mi occuperò dunque di “notti bianche” perché non le frequento essendo uno che ama dormire la notte (una sola do-manda: ma non erano nate con lo sco-po di aprire i musei della città?).Veniamo dunque alle altre manifesta-zioni che io conosco e frequento. Per conflitto di interesse non voglio parlare di quelle che si tengono nel mio comu-

ne (Sant’Ippolito) ma le nominerò sol-tanto: una di filosofia, Pero Melo (priva-ta nel finanziamento) e una che inizierà tra poco, Scolpire in Piazza. Mi voglio un attimo soffermare su quella che ritengo più intelligente e riuscita (d’altronde la sua carta d’iden-tità lo dimostra): Ville e Castella. Que-sta manifestazione ha avuto il grandis-simo merito di far conoscere il nostro bellissimo entroterra ad un pubblico che altrimenti non si sarebbe spostato alla ricerca di case, ville e palazzi sparsi nel territorio. Ha contribuito, in alcuni meno esperti in musica, a scoprire che non esiste solo il liscio romagnolo. Da quest’anno alcune delle conferenze del programma registrano una presenza superiore persino a quella dei concerti.Tutto bene dunque? Ci troviamo forsdi fronte a un ottimo esempio di come si spende il denaro pubblico? Tutto som-mato direi di sì. Ma dal momento che (come specie) siamo incontentabili vorrei comunque dire alcune cose agli organizzatori con la benevolenza di un

vecchio ammiratore. Le conferenze di Odifreddi e di Cardini, tanto per citarne solo due, hanno avu-to un contorno di pubblico che si addice più a delle star della musica che a dei professori universitari, e questo è sen-za dubbio un bene. Questi autori han-no sciorinato tutto il loro repertorio per quasi due ore senza dare al pubblico la possibilità di argomentare delle ob-biezioni, di chiedere spiegazioni, in una parola di interagire. Per la verità un pic-colo spazio è stato dato, ma mentre la gente si avviava a far la fila per la cena. Allora, secondo me, si tratta di

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un’occasione colta solo a metà. Da Socrate in poi la vera cultura è quel-la che si costruisce insieme, non quella che viene calata dall’alto. Questo aiuterebbe anche i relatori i quali, ben pagati, forse troppo (ma è il mercato), avrebbero occasione di varia-re il loro repertorio che è un po’ sempre lo stesso da anni. Noi dovremo abi-

T E M P O D ’ E S T A T E

NOTTI BIANCHE CON CLASSICO SPIRITO EDONISTICO

di Giancarlo Iacchini

«Era una notte meravigliosa, una notte come forse ce ne possono essere sol-tanto quando siamo giovani. Il cielo era così pieno di stelle, così lu-minoso che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a do-mandare a se stessi: è mai possibile che sotto un cielo simile possa vivere ogni sorta di gente collerica e capric-ciosa? Anche questa è una domanda da giovani, molto da giovani, ma voglia il Signore mandarvela il più sovente possibile nell’anima! E parlando d’ogni sorta di ragazzi alterati e irascibili, non ho potuto fare a meno di rammentare anche la mia saggia condotta in tutta quella giornata».E’ l’incipit delle Notti bianche, romanzo giovanile di Fedor Dostoevskij, lo stes-so scrittore dalla cui penna è uscita quella frase che tanto piace a qualche amministratore fanese: La bellezza salverà il mondo.Ma a giudicare dal passo appena citato, più che la bellezza potrebbe essere la saggezza a salvare il mondo; e magari anche la città della Fortuna.L’espressione “notte bianca”, usata per la prima volta in riferimento al chiarore che in un determinato periodo dell’an-no permane a lungo nel cielo di San Pietroburgo dopo il tramonto del sole (e Dostoevskij si riferiva proprio a que-sto fenomeno).É stata ripresa alla fine del Novecento quando la città di Berlino (nel ‘97) deci-se di concentrare in una sola notte una

serie di concerti e spettacoli teatrali, unitamente all’apertura prolungata dei principali musei cittadini: un modo per festeggiare anche il successo della riu-nificazione sociale ed urbanistica della capitale tedesca, a 8 anni dalla caduta del Muro e a 7 dalla fine della DDR con la conseguente riunificazione politica della Germania.Un’intuizione a suo modo geniale, che riscosse un’accoglienza entusiastica presso la popolazione, stimolando la fantasia di intellettuali ed artisti. E pro-prio all’arte fu dedicata nel 2002 la pri-ma “notte bianca” parigina, poi imitata da Roma che nel 2003 inaugurò la 24 ore della cultura, mobilitando persino i migliori registi di Cinecittà che firma-rono a più mani un documentario dal titolo “Notte bianca: tutto in una not-te”. Già, davvero tutto; compreso un improvviso nubifragio ed il successivo lunghissimo black-out elettrico che si abbatterono sulla capitale alle 3,30, quando ancora mezzo milione di per-sone girava “elettrizzata” per le stori-che vie di Roma.Un sinistro presagio, forse, dell’involu-zione e del progressivo black-out cul-turale a cui erano destinate le notti bianche, ormai sempre più clonate e imitate da numerose città italiane (si ricordano i concerti di Claudio Baglioni e Pino Daniele nella Notte napoletana del 2005), ma anche sempre più travi-sate e stravolte rispetto al loro significato originario.

Premessa lunga ma doverosa per arrivare alla “notte bianca” fanese di questi ultimi anni, dedicata non più alla cultura, agli eventi e alla musica di qua-lità, bensì al barbaro nichilismo dello sballo e dei superalcolici: triste dege-nerazione – da un lato – di una politica amministrativa che fu capace di sosti-tuire Dario Fo con… Loredana Lecciso al Carnevale cittadino; e – dall’altro – di un’idea che puntava inizialmente a ben altro: cioè a tenere acceso il sole 24 ore su 24 nel cielo delle manifestazioni più prestigiose che una città orgogliosa della propria offerta culturale ed arti-stica sia capace di consegnare a resi-denti e visitatori. Ma in questi anni, in riva all’Adriatico (e sicuramente anche altrove), tutti av-vertono che quel sole è stato spento. Lo sballo collettivo e simultaneo de-ciso dall’alto (dai “grandi” e per di più dai “saggi” che ci amministrano), con-centrato in una notte in cui pare lecito “insanire” ed agire al di là del bene e del male per dirla con Friedrich Nietzsche, costituisce un micidiale e terrificante accumulatore di potenziali effetti negativi. Qualcuno è in grado di spiegare per qua-le dannatissima ragione una “ridente cittadina” come Fano, meta da decen-ni di un turismo familiare tranquillo e pacione (e fors’anche un po’ noioso), dovrebbe forzatamente riconvertirsi ad una stupefacente (in tutti i sensi) offerta “turistica” estiva che esalta gli

tuarci ad ascoltare non solo quelli che ci rassicurano, ma soprattutto quelli che ci mettono in crisi. Questo avrei volu-to dire a Odifreddi così granitico nelle sue certezze di ateo. Altre cose anche a Cardini.Concludendo, diversi relatori sicura-mente meno pagati, hanno dato molto di più dal punto di vista di crescita cul-

turale di quelli più celebrati. Se Villa e Castella si orienterà in que-sta direzione avrà anche un altro me-rito: far calare le pretese economiche di certi personaggi che hanno (avevano) qualcosa da dire, ma avendolo detto è inutile che lo ripetano ossessivamente come un mantra.

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eccessi, la maleducazione e l’inciviltà di tanti scalmanati? (La maggior parte dei giovani, sia chiaro, si comporta benissi-mo, ma la comune normalità non serve a compensare i “fattacci”). Si dice (e si dirà): il problema è a monte, riconduci-bile ad una generale crisi dei valori che diventa crisi della formazione culturale e della trasmissione di norme etiche e comportamentali tra generazioni. Cer-to, il problema è sempre “a monte”, e intanto qui ed ora, “a valle”, si fa di tutto per incoraggiare ed accentuare la rotta anziché provare a invertirla, arrestan-do il degrado morale e intellettuale. Quest’ultimo è indubbiamente compito troppo grande per una amministrazio-ne comunale, che tuttavia dovrebbe remare in direzione contraria rispetto al degrado, e non assecondare inve-ce la perniciosa corrente che trascina un’intera generazione ormai senza più speranze di scalata sociale rispetto a quella dei padri.Disoccupazione e precarizzazione del lavoro creano già di per sé un humus sociale e psicologico alienante, che sle-ga le menti dal senso della realtà (di una realtà sempre più ostile e meno tollerabile) e prepara le condizioni per qualsiasi tipo di fuga e di evasione.La tranquilla passeggiata notturna di centinaia di famiglie tra il Lido e la spiaggia di “Sassonia”, che natural-mente permane come piacevole e ras-sicurante realtà, non può bilanciare il drammatico bollettino emanato dal pronto soccorso fanese, con lo scarso personale medico mobilitato a pieno regime per soccorrere decine e decine di ragazzi in coma etilico, spesso tro-vati privi di conoscenza o in stato di temporanea amnesia sulle spiagge o negli anfratti del lungomare, divenuti in quella notte il bruttissimo ricettacolo di ogni genere di immondizia, unitamen-te agli effetti fisiologici della miriade di sbronze indotte dal “sistema”. E poi risse, comportamenti irrazionali e vio-lenti, ragazzi feriti e malconci che evi-tano di farsi medicare all’ospedale, an-che quando ce ne sarebbe bisogno, per paura di essere inquisiti (anche come vittime delle violenze dei loro “amici”) da parte di poliziotti e carabinieri. E questi ultimi, anch’essi col personale ridotto all’osso per via dei ripetuti ta-gli di risorse economiche da parte di un governo che poi per ragioni propa-gandistiche si fa spudoratamente pa-ladino della “sicurezza”, sono chiamati a sparpagliarsi lungo sette-otto chilo-

metri di litorale, nella speranza di limi-tare fenomeni negativi che purtroppo in gran parte sfuggono alle maglie della prevenzione, e vedono le loro forze col-pevolmente distolte dalle quotidiane mansioni di sorveglianza e repressio-ne. Ci fossero almeno degli eventi clou, concentrati e più facilmente controlla-bili in chiave di ordine pubblico, sarebbe tutta un’altra notte («Il sentimento non si frantuma ma si concentra», suggeri-sce ancora Dostoevskij nelle sue Not-ti bianche), invece dell’attuale… carta bianca sull’intero territorio comunale, senza un focus o un epicentro della fe-sta (si fa per dire).Cui prodest? Chiediamoci a chi possa servire questa interminabile nottata di follia e “divertimento” – nel senso let-terale di deviazione dalla via della “nor-malità” e della razionalità (e si sa che il sonno della ragione genera mostri) – se non a chi vende bevande alcoliche (bar e locali fino all’ora consentita per la mescita indifferenziata, e supermer-cati dove ci si rifornisce comodamente di pomeriggio per eludere il proibizioni-smo notturno)! Quanto tutto ciò può giovare a Fano nel suo complesso, al suo “bene comune” ed alla stessa im-magine turistica della città?Come quantificare il colpo alla credibili-tà di un luogo che nei decenni ha fatto di tutto per dimostrarsi prima di tutto

tranquillo e accogliente (caratteristica assai ambita da tanti turisti non più giovanissimi, in una fascia anagrafi-ca peraltro sempre più folta ed anche in grado di spendere, a differenza dei tanti ragazzini squattrinati a quali si fa l’occhiolino con malinteso camerati-smo giovanilistico)?Perché non organizzare su questo tema un bell’esperimento di “town meeting”, uno degli strumenti più nuovi della democrazia diretta? Facciamo riu-nire i cittadini nella piazza-agorà, come insegnano i teorici della cittadinanza attiva quali Rinco, Michelotto o Bene-dikter, ed allestiamo seduta stante un grande concorso di idee su cosa fare dal prossimo anno! Comunque sia, per favore, si operi fin da subito una saluta-re svolta politica: basta puntare sull’ef-fimero e sullo sballo, da parte dell’ente pubblico. Si torni a investire sulla cultu-ra, sulla civiltà, sulla ragione, sul cuore… Perché perfino lo spirito dionisiaco de-gli antichi greci era soprattutto vitalità, spontaneità, innocenza, energia e salu-te; non stordimento, annichilimento e alienazione. Mai disgiunto dallo spirito apollineo della saggezza, dell’equilibrio e dell’autocontrollo.Ed è semmai questa la duplice bellezza che “salverà il mondo”. E magari anche Fano!

da Repubblica

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C R O N A C H E D E L L ’ A L T R O M O N D O

di Rodolfo Santini

UN GIORNO IN CARCERE CON UN PRESUNTO INNOCENTE

Un’esperienza di vita indelebile, a con-tatto con i detenuti, a fianco di tanti sventurati e dei loro parenti, di cui mi è rimasto vivo e sento ancora nel-le orecchie il tonfo delle porte carraie che si chiudono dietro ad ogni passag-gio, nonché il rumore sordo delle porte blindate, che si aprono con chiavi color rame, che si chiudono pesantemente, con lo spioncino saldato, per evitare che si guardi; un mondo irreale, dove il tempo si è fermato, dove le volontà vengono piegate e sacrificate al su-periore valore della giustizia. Regola-menti borbonici scandiscono le visite dei parenti, afflitti, oltre che dal dolore di vedere un loro congiunto incarcerato, anche da norme antidiluviane, che pre-vedono il divieto di portare alimenti in-saccati, oppure torte che non siano af-fettate in maniera sottile, per un peso non superiore a 20 chili al mese in tut-to, comprensivo dei libri, riviste, panni di ricambio, ecc. per non oltre quattro pacchi al mese. Un uomo privato del-la libertà, cioè del bene più prezioso che può vantare e di cui può godere, si vede incarcerato per decisione di un altro uomo, suo simile, soggetto egli stesso a tutti i condizionamenti che provengono dalla società, dal costu-me, dal momento storico, dalle proprie esperienze di vita, con tutti i limiti e le imperfezioni che tutti gli uomini si por-tano dietro e con tutti gli errori a cui si è inevitabilmente esposti; errori che pos-sono condizionare la stessa decisione, con traumatiche ripercussioni nell’e-quilibrio psicologico del malcapitato, detenuto ingiustamente. Si consideri che l’arresto in molti casi è facoltativo e la misura cautelare della custodia in carcere è legata a motivi che attengono il libero convincimento del magistrato: quindi soggetto a discrezionalità, che può sfociare nell’arbitrio, tenuto conto che gli organismi di garanzia dell’in-dagato (GIP e Tribunale della Libertà) si basano sulle sole indagini, con uno sbilanciamento eclatante nei confronti della difesa, non disponendo dei mezzi e strumenti riconosciuti all’accusa.Credo che questo aspetto meriti una

approfondimento, infatti uno dei più gravi fattori capaci di provocare l’erro-re giudiziario, è la presenza nel nostro ordinamento, del principio del libero convincimento del magistrato, sancito dall’art. 192 del codice di procedura pe-nale. In sostanza l’esistenza di un fatto può essere desunto non soltanto dal-la prova, ma anche, in via eccezionale, dagli indizi, purché siano gravi, precisi e concordanti; la cui gravità, precisio-ne e concordanza viene valutate dallo stesso soggetto! Si consideri che oggi, la maggior parte dei processi è esclusi-vamente indiziaria. Le condizioni inumane della vita car-ceraria, ovvero la consapevolezza di essere innocente, spinge chi spesso è un povero cristo senza sponsor e sen-za idonea difesa, a scegliere la via più breve verso la libertà: il suicidio. Nume-ri da brivido segnano questo modo di “evadere” definitivamente, fenomeno che ritroviamo anche fra gli addetti alla sorveglianza. Ovviamente questi dati non fanno rumore e nessuno se ne oc-cupa. Tornando al carcere, la sala d’attesa è angusta e con pochi sedili per i visita-tori, cinque metri per cinque, spesso affollata, (le visite per alcune ore e in alcuni giorni feriali) in cui ci si muove a malapena; vi è pure una latrina, (non ho il coraggio di chiamarla toilette); una parete è occupata da una vetrata con degli agenti che provvedono a filtra-re i visitatori; ognuno deve spogliarsi di tutto ciò che non costituisce abbi-gliamento, dagli orecchini ai cellulari. Passano alcune derrate alimentari e indumenti per i detenuti; libri senza co-pertina rigida; niente giornali.Si accede alla sala colloqui, (previa per-quisizione e controllo elettronico), in cui si trovano diversi piccoli sedili in mar-mo, con tavoli al centro, ben saldati al pavimento; la parete di fondo è di vetro riflettente, che lascia intravedere om-bre che si muovono; sono le guardie carcerarie (polizia penitenziaria) che vi-gilano; la stanza è monitorata su tutti i lati da rilevatori visivi e acustici.Iniziano i colloqui, che si svolgono

sull’assurdo principio di chi urla di più, nel senso che per farsi sentire si è co-stretti a urlare; nulla può essere detto sottovoce, perché è impossibile sentire la voce dell’interlocutore. Dopo un’ora di questo supplizio, fanno male i tim-pani e la gola; nell’uscire, rifacendo il percorso a ritroso, pare di rinascere nel silenzio delle alte mura di cinta.I detenuti vivono in ambiti ristretti, angusti, in stanze (tre metri quadra-ti sono definiti la misura della tortura) con una piccola finestra con le sbarre, e benché predisposte per una persona, ci vivono in tre, con letti a castello a triplo piano; l’ultimo, in alto, dorme a mezzo metro dal soffitto; i materassi intrisi di umidità e infossati nella parte centrale; le giornate scandite dalla televisione, perennemente accesa con funzione di narcotizzante, tant’è che la maggior parte dei detenuti, ripete anticipandolo, lo spot pubblicitario, avendolo impres-so nella mente, come una litania che estranea da quell’anticamera dell’in-ferno; il tavolo è unico ed è impossibile mangiare contemporaneamente.I detenuti non abbandonati dalle fa-miglie hanno a disposizione un fondo spese da utilizzare per sigarette e der-rate alimentari fornite dall’interno.Alcuni possiedono un fornellino da campeggio, per cuocere eventuali cibi, comperati o portati dai parenti.Chi non ha nessuno (la maggior parte), deve accontentarsi di quello che passa il convento, oppure sperare nel buon cuore dei più fortunati. In questo am-biente irreale, è stato rispristinato il baratto, un foglio con busta per lette-re, in cambio di qualche sigaretta. Chi possiede un’aspirina la baratta per un pezzo di cioccolato.Qualsiasi richiesta va presentata per iscritto, dalla visita medica, all’esigenza di telefonare o di avere libri da leggere, soddisfatta il giorno dopo; vige chiara-mente il silenzio-rifiuto, per cui le do-mande vanno reiterate all’infinito.È prevista anche l’ora d’aria, a cui spes-so i detenuti rinunciano in quanto i cortili esterni sono talmente a ridosso delle mura perimetrali, che non ven-

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di Simone Santini

CHI RIMETTERÀ I NOSTRI DEBITI?

Debito pubblico. Quando uno Stato ha più uscite che entrate si trova in una fase di deficit. Quando questi deficit si sommano ne-gli anni, il debito pubblico si consolida e diviene, sovente, una malattia cronica. Da quanti anni l’Italia si trova in una situazione di allarme per il debito pub-blico? Da quanti anni sentiamo che, per ri-pianare il debito, ai cittadini vengono richiesti sacrifici? Un ritornello snervante.I casi, dunque, sono due: o il popolo italiano e la sua classe dirigente sono irrimediabilmente incapaci di poter at-tuare un’armonica e virtuosa politica

economica, oppure vi sono ragioni di fondo, strutturali, che impediscono al nostro paese di attuare un risanamen-to definitivo.Ciclicamente, più o meno ogni dieci anni, il nostro Paese sembra arrivare al capolinea. Le ultime grandi ristrutturazioni eco-nomiche si sono infatti avute agli inizi degli anni ’90, con la grande operazio-ne di privatizzazione di asset strategici (l’Iri) per consentire l’afflusso di denaro nelle casse dello Stato, e poi all’inizio di questo secolo con la grande azione di risanamento che ci ha permesso di rispettare i parametri necessari per en-trare nell’euro. A dieci anni di distanza,

siamo di nuovo al punto di partenza.Da qui al 2014 lo Stato italiano dovrà incamerare almeno cinquanta mi-liardi di euro per non sforare i limi-ti imposti dall’Europa. Saranno cin-quanta miliardi di “lacrime e sangue”. L’attuale governo sembra intenzionato a “tirare a campare”, predisponendo un piano che prevede per quest’anno e il prossimo manovre assolutamente leg-gere, lasciando di fatto, al governo che verrà, il macigno di un’operazione dolo-rosissima. Che sia oggi o domani, chi pagherà? Su questo, almeno, non paiono esserci dubbi. Tagli alla spesa (si noti, non agli sprechi, ma ai servizi pubblici); allunga-

gono scaldati dal sole e, in particolare d’inverno, fa un freddo cane.L’affollamento è tale che 205 istituti di pena italiani, progettati per ospitare 44.000 detenuti, in realtà ne contengo-no circa 69.000; il dato allarmante è che solo il 48,5% di questi ha subito condan-na; il resto, si badi bene, è costituito da presunti innocenti, di cui la metà sarà assolta (la stima è dell’associazione-Ristretti Orizzonti). Il 33% di detenuti è straniero; il 27% è costituito da tossico-dipendenti. Le persone in carcere per droga, sono il 15%, quelle per reati contro il patrimo-nio sono il 31%; quelle contro la persona il 15%. Marginali sono i delitti come l’as-sociazione mafiosa (3%) e infinitesima-li quelli per i reati dei “colletti bianchi”, come la corruzione, la bancarotta , la frode fiscale, ecc., a fronte di una cor-ruzione nazionale che assume livelli da primato in Europa (60-70 miliardi l’an-no, secondo la Corte dei Conti).Uno Stato di diritto a elevata civiltà giuridica deve pretendere “pena cer-ta e riabilitativa in giusto processo”. Purtroppo così non è, ma questo è un argomento che non interessa nessu-no, neanche gli attuali riformatori della Giustizia (o presunti tali).I detenuti normalmente non votano, essendo completamente estranei al mondo civile che li rifiuta.Da più parti, infatti, le carceri vengono definite “discariche sociali”, anche se, in tutta onestà, viene da domandarsi se “la feccia sociale” sia dentro o fuori dai luoghi di detenzione. Il nostro parlamento è frequentato da ben 24 pregiudicati, anche per reati gravissimi, come la banda armata, op-pure con affinità con la mafia, che sa-rebbero sicuramente ospiti delle patrie galere, se non venissero protetti dalla casta che ne vieta l’ arresto (Cosentino

docet). Non a caso, un centinaio di par-lamentari sono indagati e/o condan-nati in via non definitiva e concorrono, con il loro voto, a riformare la giustizia o a presentare proposte di legge! È come se il conte Dracula fosse iscritto all’A-VIS.Un dato eclatante emerge inequivoca-bilmente da questa ricerca: 4 detenuti su 10 non hanno precedenti penali e si contraddistinguono nell’essere “pesci piccoli”, rendendo le carceri simili a una tonnara nei giorni della mattanza. Uomini e donne, con famiglie, con af-fetti, che vengono presi e perquisi-ti, spogliati, che ricevono dalla polizia penitenziaria gli “effetti letterecci” per dormire sulle brande.Vengono infilati in celle già affollatis-sime e ci restano con le nuove scono-sciute e obbligatorie compagnie, non si sa quanto gradevoli, per alcuni giorni, o forse alcuni mesi; dipende dalle esi-genze legate alle indagini in corso…È il cosiddetto “carcere breve” e non è ben chiaro a cosa serva; si calcola che in Lombardia in una settimana esca il 50-60% di persone e così in tutta Ita-lia. Coloro che hanno la fedina penale pulita, che se la possono cavare con una denuncia a piede libero, incontra-no il sistema penale italiano; meglio, ci sbattono contro.Una parte cospicua di questo “entra-esci” riguarda i cosiddetti “reati appa-renti”, reati in cui manca la vittima. Si pensi al reato di clandestinità, non ot-temperando al decreto di espulsione, oggi fortunatamente annullato dalla Corte Europea. Risponde, però, ad esigenze apparenti, esigenze televisive richieste dalla opi-nione pubblica ben guidata dalle TV che propagandano un messaggio pilotato.“Il governo che più ha combattuto la mafia”, questo è il messaggio che è

passato, quando in verità, questi nu-meri lo smentiscono, considerato che gli arresti li eseguono le forze dell’or-dine, coordinate dai magistrati, su cui il governo ancora non ha potere (almeno finché non viene approvata la riforma all’esame del Parlamento, condivisa sia da destra che da sinistra).Eppure questo governo ha tagliato i finanziamenti sia alle forze dell’ordine che al sistema giudiziario in generale, costringendo a ridurre la lotta alla vera criminalità che avvelena il sistema Ita-lia. Si perseguono i reati di strada, lega-ti al piccolo spacciatore, al nordafricano che vende i CD taroccati, ai furti nelle case, ben messi in evidenza dai media in ogni particolare, tralasciando reati ben più dannosi e gravi per la società, che impoveriscono tutti i cittadini e avvelenano il paese e di cui l’opinione pubblica non parla, né conosce, a causa anche di fonti di informazione non in-dipendenti.Intere fette del territorio nazionale sono in mano ai clan mafiosi eppure non arrivano ai 6.000 detenuti, di cui una sparuta minoranza detenuti al carcere duro ( 550 persone circa al c.d. 41 bis) grazie anche a leggi fatte dai go-verni di sinistra.Gli istituti di pena italiani sono vera-mente da terzo mondo e brutalizzano circa 70 mila persone, con il record dei suicidi. Sarebbe il caso di modifica-re l’art. 27 della Costituzione italiana, quello secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso dell’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

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mento dell’età lavorativa (e quindi tagli delle pensioni); ancora più precarietà nel mondo del lavoro e flessibilità sa-lariale (ovvero meno diritti e soldi per i lavoratori); ancora più privatizzazioni. Sarà la popolazione a pagare il debito, a partire dalle fasce sociali più basse e concentrandosi sul ceto medio. In definitiva, coloro che hanno già paga-to il debito negli ultimi trent’anni. Con il rischio tangibile che stavolta la cura da cavallo finisca per ammazzare il pa-ziente, cioè minare definitivamente la coesione sociale, addirittura l’unità del-la nazione. Potremmo attenderci autentiche ri-volte sociali perché il fondo del barile è già stato grattato e stavolta si rischia di gettare intere fasce di popolazione nella disperazione. Potremmo attenderci che le aree pro-duttive del nord attuino davvero quella minaccia che è stata più volte ventilata nel corso di questi decenni. In caso di rottura sociale, la secessione potrebbe smettere di essere solo una battuta da campagna elettorale leghista. Come siamo arrivati fin qui? Ora ci sentiamo dire, ad esempio, che i greci hanno fatto le cicale, hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità, hanno truccato i conti pubblici ed ora pagano con il fallimento statale. Anche gli irlandesi hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi? E i portoghesi? E gli spagnoli? Noi italiani? Ciò che ci nascondono è che neanche la Gran Bretagna riuscirà a pagare il suo debito. E nemmeno gli Stati Uniti riu-sciranno mai a pagare il loro debito. La “comunità internazionale” può co-stringere i greci a pagaret ma non gli americani.Ma esiste un’alternativa? Cerchiamo di capire quali sono le cau-se di fondo del debito italiano e perché esso torni ciclicamente a bussare alle nostre porte. Studi economici dimostrano chiara-mente come il peso di gran parte delle manovre economiche non ottenga l’ef-fetto di diminuire il debito ma al mas-simo di pagarne gli interessi! tAndrea Ricci, professore di Economia internazionale all’Università di Urbino, ha calcolato che il pagamento degli in-teressi sul debito pregresso influisce per quasi il 50% sul rapporto debito/PIL, uno dei parametri fondamentali che l’UE chiede di tenere sotto controllo. Andiamo oltre. In Italia c’è una grande creazione di “ric-

Sono passate soltanto alcune setti-mane dalle più osteggiate, silenziate e monocromatiche consultazioni refe-rendarie che il paese abbia mai cono-sciuto dalla data d’istituzione di questo fondamentale strumento di democra-zia diretta e di esercizio della sovranità popolare. Uno strumento importante poiché rappresenta l’unico modo per il cittadino elettore di poter esprimere il proprio parere o la propria decisione su

di Angelo d’Agostino

Dei diritti e dei doveri

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

(Art. 48 della Costituzione della Repubblica Italiana)

chezza” illegale. Le stime sui proventi delle varie mafie ci dicono che la cri-minalità organizzata è l’unico motore economicamente efficiente nel nostro paese. Parliamo di centinaia, forse mi-gliaia, di miliardi di euro l’anno che fi-niscono riciclati nel sistema finanziario e bancario internazionale, che tolgono sangue al tessuto sociale del paese e sono accumulati e protetti nei paradisi fiscali. A questi si devono aggiungere l’evasione fiscale e il sommerso. Si può anche ritenere che nel corso del tempo si sia instaurato un meccani-smo perverso: poiché la ricchezza del sud era assorbita dai sistemi criminali e attraverso questi foraggiava i siste-mi di potere finanziari internazionali, le attività produttive del nord abbiano “dovuto”, per reggere il peso fiscale cre-scente, affidarsi sempre più a mecca-nismi per evadere le tasse. Un circolo diabolico di causa-effetto inarrestabile.A tutto ciò si deve affiancare uno sce-nario complessivo da “fine della civiltà”, almeno per come noi la conosciamo. Il sistema produttivo basato sulla cresci-ta infinita e sul consumo indefinito del-le risorse e dell’ambiente è giunto alla sua fine. La crescita infinita non è più sostenibile. Si dovrà semmai riflettere su cosa questo comporterà. È auspica-bile, infatti, che una diminuzione della

crescita non si traduca in perdita di valore, ma al, al contrario, che produrre minor quantità di merci significhi mi-gliorare la qualità delle nostre esisten-ze. Del resto, se coloro che governeran-no la “transizione” saranno gli stessi che ci hanno spinto verso il baratro, ciò sarà estremamente difficile.Come si può ben capire, le cause pro-fonde del debito italiano, e più in ge-nerale della crisi economica, affonda-no le radici in un ben definito modello di società e in un sistema di potere e interessi globali che vanno ben aldilà dell’Italia, ma di cui il nostro paese rap-presenta un perfetto paradigma.Se non si rivoluzioneranno i modelli fi-nanziari e monetari internazionali, se non si modificheranno i sistemi pro-duttivi e le linee economiche, se non si tornerà a rivendicare la sovranità dei popoli contro i “padroni” del pianeta, qualunque manovra economica por-tata avanti da qualunque governo non potrà che rinviare, nel migliore dei casi, it problemi. Abbiamo tuttavia una speranza. Che questa ennesima crisi epocale pon-ga l’umanità davanti all’opportunità di trovare la forza di sfuggire definitiva-mente al cappio di modelli di vita alie-nanti e fallimentari. Non paghiamo più questo debito. Non più.

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un tema specifico, senza dover delega-re intermediari politici (i partiti). Degli oltre 50 milioni di elettori chiamati al voto, tra residenti in Italia e all’estero, oltre 27 milioni (il 54.8%) ha fortunata-mente risposto all’appello civico di re-carsi alle urne, acconsentendo così al superamento del quorum minimo pre-visto e alla plebiscitaria vittoria dei “sì ” su tutti e quattro i quesiti presenta-ti. Un risultato all’apparenza scontato,

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C R O N A C H E D E L L’A LT R O M O N D O

Democrazia diretta. Due parole che sentiremo sempre più spesso, che esprimono un concetto molto chia-ro, una conoscenza atavica che ci era sfuggita, un’esigenza che riemerge prepotentemente.Quando pensiamo alla democrazia ci viene in mente il sistema migliore che conosciamo per garantire a tutti la li-bertà di esprimersi e allo stesso tempo ci evoca la fregatura, colossale e oppri-mente, che ci sentiamo addosso come una camicia di forza imposta dalla poli-tica dei partiti.Questo perché ci fermiamo alla parola democrazia e così limitiamo il nostro pensiero sull’argomento.Invece la democrazia ha tanti aspetti e tante forme; quella che oggi è più che mai in crisi è la Democrazia rapprenta-tiva, cioè quella formula che regola la nostra società, dove ogni singolo indi-viduo vota un partito delegato a rap-presentarlo.È appunto quel sistema che non fun-ziona più, perché abbiamo visto nel

DEMOCRAZIA DIRETTAdi Italo Campagnoli

tempo quanta distanza oggettiva ci sia tra l’eletto e l’elettore.Negli ultimi anni questa distanza è sta-ta volutamente aumentata e protetta da ulteriori regole limitative, come l’a-bolizione della preferenza che, invocata per motivi opposti, ha portato i parti-ti ad avere il potere di nominare loro stessi i rappresentanti dei cittadini.Ora che anche il centro-destra parla di

primarie, non oso pensare cosa si in-venteranno per ottenere esattamente il contrario di quello che significano e cioè elezioni per far scegliere agli elet-tori i propri candidati…Nemmeno la democrazia partecipativa ci garantisce maggior intervento nelle scelte, perché anche in questo campo sono stati inventati metodi e regole che giocano solo a favore di chi gesti-

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giacché in fondo si trattava di decidere su banalità quali: l’acqua come bene primario comune; l’applicazione della legge, un tempo uguale per tutti; la fol-le e rischiosa idea di produrre energia nucleare nel paese degli inceneritori brucia tutto, delle speculazioni che ini-ziano prima ancora che la terra finisca di tremare, delle eterne grandi opere incompiute, del ‘no nel mio giardino’. Ma nonostante queste premesse, il quorum è stato superato per poco più di 2 milioni di voti. Tecnicamente? La vittoria dei comita-ti promotori, dei movimenti, della rete; la sconfitta sonora dell’informazione, dell’esecutivo, della partitocrazia. Rea-

listicamente? La sensazione di vivere in un paese con oltre 23 milioni di con-cittadini, ‘degnamente’ rappresentati dalla peggior classe politica degli ultimi 150 anni, che ritiene di avere molti di-ritti ma poco o punto doveri. Come, ma non solo, quello sancito dall’articolo 48 della nostra Costituzione: il diritto di voto inteso come esercizio di dovere civico.Essere cittadini liberi di questo nostro paese ci consente di godere le prezio-sissime libertà di una moderna demo-crazia occidentale e di utilizzarne le molte e preziose risorse ma non ci sot-trae al dovere di concorrere a stabilire come, tali risorse, dovranno essere ge-stite. Un buon cittadino non si procla-ma estraneo alle regole democratiche e al confronto politico, ma sa che è anche sua la responsabilità di garantire liber-tà, benessere e istruzione per il solo fatto di essere cittadino.L’adempimento consapevole dei propri doveri è, pertanto, la vera garanzia alla possibilità di far valere i propri diritti. In altri termini, il dovere non è altro che il prezzo da pagare per il godimento dei propri diritti. Quando la nostra Costi-tuzione ci richiama al dovere civico del

voto, non fa altro che richiamarci all’ob-bligatorietà di questa nobile forma di pagamento.L’astenersi, preferendo la gita al mare piuttosto che in montagna, non è né un diritto, né una facoltà del cittadino, ma rappresenta senza dubbio un mancato pagamento al quale, a rigore di logica, dovrebbe seguire il legittimo recupero di quanto non pagato, cioè, il ritiro del diritto di voto.E invece si è assistito all’indecoroso spettacolo di coloro che, agendo con vera e propria spregiudicatezza civica persino dall’interno delle istituzioni, proclamavano l’astensione referen-daria al fine di sabotare un prevedibile esito a loro assai sfavorevole. Mentre i cittadini che, consapevolmen-te, hanno seguito tale indirizzo incosti-tuzionale non solo sono venuti meno a un loro fondamentale dovere democra-tico (cioè di partecipazione), ma hanno anche perso l’occasione di riaffermare un semplice e desueto concetto di rap-presentanza democratica: e cioè che sono i governanti a essere al servizio dei governati, non viceversa.

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di Ilaria Biagioli, Mimmo Carbone, Mirko Renzoni

IL FIUME. NATURA CHE RESISTE Un progetto per ripensare il territorio

Nel suo Viaggio in Italia (1957), Piovene scri-ve che “se si volesse stabilire qual è il pae-saggio italiano più tipico, bisognerebbe indi-care le Marche […]. L’Italia, nel suo insieme, è una specie di prisma, nel quale sembrano riflettersi tutti i paesaggi della terra […]. L’I-talia, con i suoi paesaggi è un distillato del mondo, le Marche dell’Italia”.Il fiume. Natura che resiste nasce da una riflessione sul paesaggio e sull’antropiz-zazione del territorio, cioè sull’azione che l’uomo compie sul paesaggio naturale e sul significato culturale che assume nel tempo. Riflessione che si è incrociata con un pro-getto d’Ambito sociale sulla valorizzazione

P R O G E T T I

sce il potere e non di coloro in nome dei quali viene gestito.L’esempio più clamoroso è il referen-dum, dove la validità è legata al quo-rum, e con questo giochetto si cerca di limitare la portata e l’efficacia dell’isti-tuto referendario. Quando riusciremo ad imporre l’abolizione del quorum i referendum saranno molto più par-tecipati perché chi vuole o non vuole una certa cosa non potrà andarsene al mare, ma sarà costretto ad esprimersi.La democrazia è tale se c’è uguaglianza politica tra i soggetti e per essere ga-rantita ha bisogno di partecipazione effettiva, parità di voto, diritto all’infor-mazione, controllo dell’ordine del gior-no, suffragio universale.In Svizzera, come in altri paesi, si ri-corre spessissimo ai referendum, si è arrivati a sistemi informativi e di voto molto avanzati che consentono a tut-ti l’informazione sugli argomenti e la partecipazione al voto, ma soprattutto sono senza quorum e di diverso tipo: obbligatorio, se il governo vuole modi-ficare un articolo della costituzione; fa-coltativo se 50.000 cittadini raccolgono le firme per modificare una legge; pro-positivo se 100.000 cittadini raccolgono le firme per proporre una nuova legge.

Questo sistema ha tolto tantissimo potere ai partiti perché vengono co-stretti ad ascoltare i cittadini. Tutti gli indicatori sociali confermano la positi-vità di questa maggior partecipazione alle decisioni.AMMINISTRAZIONI LOCALIL’importanza degli strumenti di de-mocrazia diretta è ben visibile a livello locale dove le decisioni sono molto par-tecipate e sentite.Oltre all’uso dei referendum locali, solo negli Stati Uniti oltre 10.000 all’anno, ci sono tantissimi casi di bilancio parte-cipato o di assemblee pubbliche come nell’85% dei municipi svizzeri e in alcune città tedesche.REVOCA DEGLI ELETTIÈ lo strumento democratico che per-mette agli elettori di allontanare e so-stituire un amministratore eletto. E’ adottato negli USA, Svizzera, Canada, Bolivia, Venezuela, Argentina, federa-zione Russa.FORMULA MAGICAÈ il nome della legge che impone alla coalizione di governo svizzera di acco-gliere al suo interno il 38% di rappre-sentanti dell’opposizione. Cito questa norma non tanto come strumento di democrazia diretta, ma

come indice di quanta strada sia stata fatta in un paese che confina con l’Ita-lia, così vicino geograficamente e così lontano culturalmente e politicamente. In Italia la recente vittoria referendaria e soprattutto il deprimente spettacoli-no di tutti quelli che hanno voluto sa-lire sul carro solo dopo il risultato, ci fa capire quanto sia necessario togliere ai partiti i sistemi di controllo sugli eletto-ri e ridare a questi gli strumenti diretti per decidere.Il dibattito è aperto, molte persone sono impegnate su questo tema; si è appena svolta, con conferenze in diver-se città, la settimana nazionale della democrazia diretta; a Rovereto, Bolza-no, Vicenza e Jesolo si sono già avuti risultati significativi per i regolamen-ti municipali; non mancano fughe in avanti di chi insegue utopici progetti di liste partecipate, strutturate con estre-ma libertà di partecipazione e chi parla di democrazia diretta, ma si fa coman-dare da insindacabili leader.Se volete saperne di più ci sono alme-no due libri fondamentali che potrete acquistare anche online: Democrazia diretta più potere ai cittadini di Thomas Benedikter e Democrazia dei cittadini di Paolo Michelotto.

del fiume, che ha portato a un appunta-mento realizzato con la partecipazione di altre associazioni, La Lupus in Fabula, Ar-chivi, il Gruppo giovani della parrocchia di Villanova, e tante persone che hanno mes-so a disposizione le foto necessarie a una parte del progetto, che si è declinato in un happening con diverse forme artistiche sul-le rive del Metauro, sabato 18 giugno: foto-grafia, musica, poesia. Aperto da una con-versazione a passeggio, curata da La Lupus in Fabula, che ha introdotto ai segreti della vita del fiume, delle piante che vi crescono e lo popolano, sottolineando come l’azione dell’uomo sia sempre meno attenta ai ritmi e alle necessità della natura. Infatti, l’altera-zione del corso del fiume, causata dai lavori di “manutenzione” dell’alveo fatti negli ul-timi anni, porta ora all’erosione degli argi-ni e agli smottamenti con strade in frana. L’installazione fotografica, curata da Libe-raMente, con una novantina di foto tratte da album di famiglia e da archivi privati, ha mostrato come il fiume sia anche paesag-gio sociale attraverso l’evoluzione sia del suo uso, che della sua percezione, negli ul-timi settant’anni. Hanno chiuso la serata le

contaminazioni di musica e poesia con let-ture e concerto del gruppo giovani e l’aperi-cena, con prodotti di esclusiva produzione artigianale locale, biologici e convenzionali, che è stato possibile realizzare a costi con-tenuti grazie alla disponibilità di produttori, panificatori e ristoratori della zona. Come è consuetudine per LiberaMente, particola-re attenzione è stata prestata all’impatto ambientale. Tutti gli allestimenti, infatti, sono stati progettati e i materiali anche dell’apericena sono stati scelti rispettando il concetto di uso, riuso, riciclo e di ecocom-patibilità. Storia e futuro. Sostenibilità come qualità di vita.Per LiberaMente è sempre stato importan-te promuovere il concetto di sostenibilità intesa come qualità di vita. Sostenibilità non è, in effetti, soltanto la scelta di con-sumare esclusivamente quello che il nostro pianeta può ricostruire, ma riguarda anche i diritti, la legalità e il senso di responsabi-lità di ogni cittadino. Per questo pensiamo che sia necessario contribuire a trasmette-re valori e ideali che nascono dal desiderio di una società possibile, per la quale im-

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pegnarsi, lottare o ribellarsi. Allora, offrire visibilità a pratiche virtuose, spesso rele-gate a esperienze di nicchia o poco cono-sciute, è un modo per perseguire tali fina-lità, in modo che queste pratiche possano diventare un sapere collettivo che spinga a impegnarsi e ad agire in prima persona, valorizzando sempre le risorse umane lo-cali. Con il progetto Il fiume, siamo partiti volutamente da lontano, ripercorrendo, at-traverso gli scatti fotografici d’antan, tratti da album e archivi privati, la vita che si è intrecciata con questo ambiente natura-le, per portare in superficie un concetto di cultura minore, sciolta, come neve al sole, con la fine della civiltà mezzadrile, negli anni ‘50 del Novecento. Da questo è nata l’idea di un’istallazione fotografica sulle rive del fiu-me Metauro. Muto spettatore del cambia-mento, è sempre stato culla per ogni civiltà, asse storico della sedentarizzazione, della costruzione di attività umane, di sviluppo dei traffici e del commercio. Attraversato da eserciti, briganti, compagnie di ventura, resta custode di tradizioni, di storia e me-moria. Crocevia bio-geopolitico, corridoio ecologico di importanza essenziale, a lungo è stato anche segno di identità per le valla-te lambite dalle sue acque.Non è un caso se Montemaggiore al Me-tauro, non soltanto custodisce il fiume nel nome, ma ha costituito un piccolo museo storico, che vuole connotare il fiume come risorsa ambientale e come occasione di identificazione sociale. Gli organizzatori mettono l’editing dell’installazione a di-sposizione dell’amministrazione comunale, che, se vorrà, potrà utilizzarlo per arricchire il museo, che ricorda che fiume è ambiente fisico e paesaggio sociale.Memoria e futuro. Un equilibrio instabile.Reinterpretando la cultura locale e i segni che ha lasciato sul territorio, si scoprono nuove possibilità di attribuzione di signi-ficati ai luoghi. Per questo, negli ultimi de-cenni, l’elemento di identità è stato consi-derato prioritario nelle politiche soprattutto delle città fluviali, individuando nel “pro-getto nascosto”, come già insito nei luo-ghi, una serie di azioni tese all’elezione del fiume come simbolo di una collettività che possa riscoprirlo e riappropriarsene in un rinnovato rapporto di convivenza. Il fiume, cioè, diventa da elemento invisibile a ele-mento visibile. Viene tutelato e valorizzato, favorendo la rinaturazione dell’ambiente acquatico e delle sponde e il legame con gli abitanti mediante la realizzazione di luoghi per la fruizione sostenibile. Così diventa elemento e luogo della rappresentazione della persona, testimone della storia e della cultura del luogo e delle tracce che la comu-nità ha lasciato – e lascia – nel tempo.Le immagini e la raccolta di storie locali hanno permesso di indagare nel fiume del tempo attraverso un percorso di riflessio-ne che ha restituito, senza soluzione di continuità, visibilità all’ambiente naturale,

al paesaggio vegetale, sempre più terra di nessuno, e a un mondo, paesaggio umano, fatto di immagini che mostrano, nei volti, la miseria e la precarietà ardua del mestiere di vivere. Le foto, confezionate sottovuoto e appese a fragili fili fluttuanti nell’aria, hanno voluto ricordare la precarietà della memoria e la necessità di strapparla all’oblio del tem-po. Parte di esse sono state raccolte in un album che ne rispetta le sezioni: il fiume e la sua gente, il fiume e la guerra, ferite, sguardi e miraggi.Il potere di suggestione dell’immagine, crea differenti letture del fiume. La qualità dello sguardo risiede, non nella qualità fotografi-ca, assai disuguale, quanto, piuttosto, nella semplicità e grazia con la quale affiora la coscienza della relatività delle cose, della fluttuazione delle realtà che costituiscono il quotidiano.Nelle immagini sembra quasi che persone e fatti abbiano perduto ogni consistenza e

gravità. L’acqua e il fluire e rifluire dei suoi movimenti ci indica un mondo fluido in cui il tempo si contrae e chiede, insistente, la necessità dell’equilibrio.Come l’asprezza della vita quotidiana, testi-moniata dalle fotografie, è segno da custo-dire di un passato che non c’è più, bisogna far memoria dell’altrettanto perduto paesaggio marchigiano, a lungo segnato da un mosaico di piccoli appezzamenti di ter-reno regolarmente chiusi da siepi, filari o steccati.Questa iniziativa è un piccolissimo segno, che speriamo possa essere colto anche dalle i per iniziare a ripensare il fiume come patrimonio culturale e risorsa sociale, e a progettare spazi e percorsi socializzanti e di mobilità lenta.Questo progetto è dedicato all’anno inter-nazionale delle foreste.

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Il nostro attuale modello di sviluppo economico e sociale ci mette di fronte a fenomeni “collaterali” del benessere e del consumo quali la produzione di rifiuti, l’abuso delle risorse ambientali disponibili, lo spreco di energia, l’au-mento dell’inquinamento e degli agen-ti inquinanti. La consapevolezza che l’ambiente non possa essere conside-rato uno spazio illimitato e le risorse del pianeta non siano infinite, fa nasce-re una serie di necessità, tra cui anche quella di tipo educativo. Bisogna creare, far conoscere e pro-muovere le così dette buone pratiche, basate su comportamenti eco-soste-nibili e soprattutto rafforzare lo spirito di collaborazione tra cittadini e ammi-nistrazione perché solo così si potrà raggiungere l’obiettivo comune di tute-la dell’intero ecosistema. L’educazione ambientale è un investi-mento di energie che aiutano a com-prendere la complessità del reale e al contempo a prendere coscienza della necessità di modificare la relazione uomo-natura passando da una visione del mondo che vede l’uomo dominante sulla natura a una visione che vede un futuro in cui l’uomo diventa parte inte-grante della natura stessa. Con questo obiettivo è nata recente-mente la associazione Eco-Fatto, com-posta principalmente da giovani con meno di 25 anni di età, fondamentale fonte di energia e idee innovative.L’associazione ha deciso di perseguire gli obiettivi di educazione ambienta-le, attraverso incontri e soprattutto spettacoli teatrali, in cui vengono for-nite semplici e pratiche informazioni, facilmente ripetibili nella quotidianità, attraverso però il veicolo della satira, dell’ironia, della musica, della magia, della scienza.Riteniamo che questi strumenti pos-sano rendere più attraente la discus-sione di tematiche ambientali che altri-menti sarebbero trattate in conferenze dedicate agli esperti del settore o agli interessati.Durante gli spettacoli o incontri, si fon-dono in pratica tematiche ambientali e sorriso, insomma due dei principali ingredienti attraverso i quali formulare per noi e le generazioni future una vita davvero di qualità.

Tutti gli incontri e spettacoli partono da alcuni quesiti. È possibile creare at-tenzione e consapevolezza attorno alla questione della sostenibilità ambien-tale, sociale, economica?È possibile sviluppare processi sempre più ampi di responsabilizzazione nei confronti della gestione delle risorse e dei consumi?Ci siamo mai chiesti quale impatto sull’ambiente (uomo, animali, natura) possa avere l’acquisto di un prodotto?Per dare risposta a queste domande ci siamo inventati una simulazione di spesa in cui verranno allestiti due diversi scaffali, uno con prodotti con-venzionali ed uno con analoghi prodotti biologici ed ecologici, commercializzati e possibilmente realizzati localmente. A partire dalla lettura delle etichette delle due tipologie di prodotti, illustra-no le differenze, in termini di impatto sull’ecosistema, che hanno nel loro in-tero ciclo di vita.Ne emerge un inno alla sobrietà ed all’acquisto di prodotti che permettano di raggiungere le finalità del proget-to attraverso i seguenti obiettivi: una maggior tutela della salute di uomini e animali; una riduzione degli inquina-menti derivanti dall’intero ciclo di vita del prodotto; una limitazione dell’in-quinamento da trasporto (prodotti a Km 0); un minor impiego di risorse non

ECO-FATTOdi Massimiliano Martini

rinnovabili; una riduzione del rifiuto alla fonte (prodotti disimballati); lo svilup-po di economie locali per nuove op-portunità di occupazione; il ritorno ad un rapporto diretto con il produttore; il rispetto delle stagionalità dei prodotti, favorendo lo sviluppo di prodotti au-toctoni.Al termine di questa simulazione di spesa, si potrà avere maggiore consa-pevolezza di quanti rifiuti in più si pos-sono produrre, facendo scelte sbagliate in fase di acquisto dei prodotti. Se l’errore è stato commesso, non re-sta che cercare, quantomeno, di ricicla-re questi materiali di scarto, effettuan-do una corretta raccolta differenziata. Saranno a questo punto coinvolti al-cuni spettatori ed insieme daremo istruzioni su come differenziare i rifiuti prodotti durante la simulazione di spe-sa, illustrando i vantaggi ambientali ed economici della raccolta differenziata.Lo spettacolo può diventare un punto di partenza per sensibilizzare la co-munità locale su tali tematiche e, non meno importante, incoraggiare mo-menti di incontro tra amministratori e cittadini, nonché di crescita collettiva ed individuale nell’ambito ambientale e produttivo del territorio.Tutto questo anche attraverso spazi aperti a: amministratori per la presen-tazione di eventuali proposte di raccol-ta differenziata sul proprio territorio; aziende che si occupano di tale servizio in accordo con le amministrazioni; as-sociazioni locali (es.: gruppi di acquisto); autori di libri aventi per tema la tutela ambientale e/o lo sviluppo sostenibile; artisti locali che realizzano opere (foto-grafi, scultori, ecc.) inerenti la tematica ambientale.

P R O G E T T I

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DisUguali. Donne, diritti, violenza negli anni zero

La rassegna su donne, diritti e violen-za, iniziata il 13 marzo a San Giorgio di Pesaro, per toccare, poi, Villanova di Montemaggiore, Orciano di Pesaro, Barchi, Fermignano, Isola del Piano, si è conclusa in questi giorni a Saltara. Il bi-lancio può dirsi positivo, per la passione e la competenza dei relatori invitati e l’interesse suscitato, per la fedeltà del pubblico, per la collaborazione di enti, associazioni, privati e, soprattutto, per le tante persone incontrate e con le quali abbiamo scambiato informazioni, opinioni e punti di vista.Anche sotto l’aspetto organizzativo, si sono rivelate felici sia la scelta del taglio culturale di decostruzione degli stereotipi della cultura patriarcale e maschilista, attraverso diverse disci-pline e differenti linguaggi, sia quella di scommettere sui comuni della prima fascia collinare, privilegiandoli rispetto alle città più importanti per numero di

A CICLO CONCLUSO

abitanti, per un progetto che ha previ-sto quindici appuntamenti.La sensibilità degli amministratori, al-cuni in particolare, ha dato luogo di a momenti nei quali anche la convivia-lità è diventata parte della riflessione e si è caratterizzata per una diversa prospettiva organizzativa, che, forse, potremmo chiamare di genere. Come, ad esempio, è stato per il servizio di animazione per i bambini, che ha per-messo ai genitori di partecipare sere-namente alle conversazioni previste di pomeriggio.Molti relatori hanno notato la parte-cipazione quasi paritetica di uomini e donne e questo può significare che le tematiche affrontate iniziano a far par-te di una cultura che non è di un solo genere, ma del genere umano. E sol-tanto con l’apporto di ciascuno, senza distinzione di sesso, potremo vivere in una società fatta di persone migliori.

Le coordinatrici ringraziano tutti gli ospiti e le persone che hanno parte-cipato, gli 800 amici su facebook, gli sponsor pubblici e privati, tutti coloro che ci hanno sostenuto, consigliato, aiutato perché DisUguali fosse realiz-zata nel migliore dei modi.

Vernissage Orciano. Agnes Hecz, Jeannette Fluglister, Claudia Romeo, Ilaria Biagioli, Ramona Battistelli

Vernissage Isola del Piano

.Mounya Allali e Anna Vanzan

di Ilaria BIagioli, Agnes Hecz, Caterina Magarelli, Claudia Romeo

attis

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idea e coordinamento

patrocinio e compartecipazione

partner

patrocinio

Assemblea legislativa MarcheComune di BarchiComune di FermignanoComune di Isola del PianoComune di Montemaggiore al M.Comune di Orciano di PesaroComune di SaltaraComune di San Giorgio di Pesaro

Museo della scienza del Balì SaltaraAss.ne La GinestraLabirinto Coop. Soc.CGIL PesaroCISL Scuola PesaroAmbito terr.le soc.le 6 Fano Ambito terr.le soc.le 7 Fossombrone

Res Publica FanoMovimento Radical Socialista FanoAccademia delle arti e Parrocchia S.Maria Orciano

Circolo AUSER OrcianoHarissa e Fragole BarchiLe Manine Compagnia di Piacere Isola del P.Donne contro la guerra SpoletoLUTVA OrcianoConsulta per la laicità delle istituzioni PesaroPercorso donna Pesaro

provinciapesaro urbino

istituto storia marche ‘900

fondazioneROMOLO MURRI

collaborazione

Montemaggiore al Metauro PU

adesione

Osteria della Mina San GiorgioRistorante il Castagno OrcianoValle del Metauro Country House VillanovaOsteria Segnaladr Barchi

ristorazione

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I N B R E V E

BioCasa di Claudia Romeo

I prodotti convenzionali venduti per rendere più bianchi i capi, contengono tensioattivi, enzimi e sbiancanti ottici e sono, ovviamente, un carico onero-so per l’ambiente.Gli sbiancanti ottici, in particolare, sono sostanze che agiscono sull’oc-chio e non sui tessuti o sulle macchie. Essi producono un’illusione ottica in questo modo: ogni volta che la luce colpisce un capo di abbigliamento ri-flette verso il nostro occhio una parte di radiazione visibile e una parte in-visibile (ultravioletto). Gli sbiancanti ottici modificano la lunghezza d’on-da della radiazione ultravioletta ren-dendola visibile; quindi, aumentando artificialmente la luce riflessa, il capo diventa “illuminato” di un bianco az-zurrognolo. Inoltre le macchie spari-scono, nascoste e coperte dalla patina dello sbiancante ottico. Ma esiste in natura una sostanza biodegradabile e che sbianca: il percarbonato di sodio.

Questo composto a temperature fra i 40 e i 60°C si scompone in carbonato di sodio ed ossigeno. Quindi, grazie al solo calore e senza aggiunta di attivatori chimici, si forma il cosiddetto “ossigeno attivo” che scompone le macchie, le eli-mina ed igienizza gli indumenti.Ne basta un cucchiaio da tavola ag-giunto in lavatrice nella vaschetta del detersivo.Il percarbonato di sodio è facilmente reperibile su internet o in negozi in cui si trovano prodotti biologici.Questa sostanza è anche facile e pra-tica da utilizzare per pulire le fughe tra le piastrelle: basta aggiungere poca ac-qua fredda a del percarbonato fino a formare una pappetta. A questo punto la si dispone sulle fughe e si lascia agire per tutta la notte. Al mattino si lava e... risultato garantito!

SBIANCANTI PER LA LAVATRICE

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M. Severini (ed.), Le Marche e l’Unità d’Italia, Milano, Codex, 2010

Con i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia da un lato si è riacceso il dibattito sul significato di quest’anniversario, dall’altro si è assistito a una fioritura di studi sulla storia recente del nostro paese. Le insidie dell’uso pubblico della storia non è stato mai sotto gli occhi di tutti come in questa occasione, con le mere strumentalizzazioni di cui è stato oggetto lo stesso comitato nazionale preposto alle celebrazioni. Mentre, nella cornice generale della riscoperta delle radici storiche della nazione e nel tentativo di rendere più consapevoli gli italiani della propria storia comune, nuovo impulso è stato dato agli studi

regionali. È questo il caso del volume a più voci Le Marche e l’Unità d’Italia, che, anche attraverso documentazione d’archivio inedita, ricostruisce sul piano politico, civile e socio-economico gli avvenimenti che portarono la regione rapidamente, nell’autunno 1860, dallo Stato Pontificio nel Regno d’Italia. Le diverse sezioni approfondiscono i diversi aspetti partendo dalle Questioni, che analizzano i problemi generali che ha comportato passare al nuovo regime, per arrivare a Peculiarità, con alcuni affondi su aspetti delle realtà locali, dai protagonisti del Risorgimento eroico alla ricostituzione di una rete di notabili che governerà a lungo le città marchigiane.

Dalla conquista piemontese all’amministrazione del regio commissario straordinario Valerio, dal plebiscito del 4-5 novembre 1860 alle prime libere elezioni dei rappresentanti locali e nazionali, il volume esamina i problemi e le vicende di una svolta storica, considerata come epocale dagli stessi testimoni del tempo:

“Quando il commissario Lorenzo Valerio il 30 settembre 1860 raggiunge Ancona per insediarsi nel Palazzo Apostolico, abbandonato da poche ore dal governatore pontificio monsignor Lorenzo Randi, al suo seguito ci sono i dipendenti della nuova amministrazione sabauda che nelle settimane precedenti avevano lavorato al suo fianco nella sede provvisoria di Senigallia per emanare i primi provvedimenti di governo con i quali intendeva dare, da subito, un netto segno del passaggio da un vecchio ad un nuovo sistema nei rapporti tra governati e governanti.

Valerio si trova di fronte a una città e a una popolazione stremate, non tanto a causa delle ultime vicende legate all’assedio militare, ai cannoneggiamenti da terra e da mare e agli scontri armati, piuttosto per una decennale condizione di assoggettamento alla legge marziale imposta dagli occupanti austriaci, dopo la fine traumatica dell’esperienza repubblicana del 1849 (p. 37)”.

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I N B R E V E

L’autrice pone l’attenzione sullenumerose domande che sollecitano quotidianamente l’attenzione degli educatori. È possibile educare all’a-zione razionale e alla criticità le nuove generazioni influenzate pesantemen-te dai contrasti, dallo smarrimento, dalla precarietà e dai modelli di vita consumistici della realtà quotidiana? Gli educatori e gli adulti di riferimento sono ancora in grado oggi di esorta-re bambini e adolescenti all’esercizio del pensiero problematico e all’ac-quisizione della dialettica in vista di prospettive di vita consapevoli e soddisfacenti? Come si coniuga, nella contemporaneità, la ricerca pedago-gica con le nuove forme comunicative giovanili? Il disagio, la fragilità, il sen-so di solitudine e di assenza di futuro nei giovani, vengono compresi dalla complessità del vivere contempora-neo? La morale, l’etica, l’arte e il sape-re hanno un qualche valore di verità nella società post-moderna?Attualmente le principali istituzioni educative, la famiglia e la scuola, sono un sistema incoerente ed insicuro che manifesta non poche difficoltà

M. Montanari, Dall’infanziaall’adolescenza. Educazione alla criticità, Urbino, QuattroVenti, 2011

G. Bongiovanni e L. Baldo, Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino. Dalla strage di Capaci a via D’Amelio, Reggio Emilia,Aliberti, 2011

ad individuare criticamente un fon-damento nella propria azione e nella propria esperienza. I genitori, i do-centi e gli adulti in genere dovrebbero acquisire maggiore consapevolezza relativamente ai nessi problematici della realtà, avendo ben presente che è impossibile conoscere le cose in sé e fruire di risposte ad hoc. In questo senso, è compito dell’educatore valo-rizzare adeguatamente la soggettività umana e promuovere una conoscen-za critica degli oggetti e dei fatti per coglierne l’essenza, per imparare ad osservare e prendere coscienza di ciò che il mondo infantile ed adolescen-ziale rappresenta, svela e nega. All’a-dulto è richiesto un impegno educa-tivo che comprenda profondamente, sia a livello conoscitivo che culturale, i fenomeni della modernità e le disto-nie che attraversano, influenzano e destabilizzano i bambini e i ragazzi. Il punto di vista educativo contribuisce, in questo modo, ad una produttiva attività di pensiero che permette di conoscere e scoprire le rappresenta-zioni del reale, di creare una prospet-tiva problematizzante ed un efficace criterio di lettura dello spazio-tempo attuali da parte di educatori respon-sabili ed interessati alle “magnifiche sorti e progressive.” Sfide difficili, se si considera che la realtà quotidia-na viene continuamente sconvolta da dinamiche comunicative sempre più accelerate, tanto che si crea un cortocircuito fra le stesse e i più lenti processi educativi in capo a famiglia e scuola. Siamo di fronte ad una esca-lation di problemi derivati da nuovi e diversi comportamenti adolescenziali e nuove forme di apprendimento non

Chiudiamo questo numero pochi giorni dopo il 19° anniversario dell’attentato di via D’Amelio a Paler-mo, nel quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la scorta che lo proteggeva: Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina.Su quella strage si è fatto ciò che si doveva per accertare chi fossero gli esecutori materiali, arrivando anche, di recente, alla riapertura del processo Borsellino-bis, ma ancora nulla di certo è emerso sui mandanti. Auspichiamo che al posto di lapidi, corone di fiori e recentissime proposte di beatificazione di Borsellino, tutti si adoperino per l’accertamento delle responsabilità di coloro che, ricoprendo un incarico istituzionale, si siano resi responsabili di quella strage o che, quantomeno, con il loro silenzio interessato abbiano favorito la trattativa tra parti deviati dello Stato e la mafia.Cristian Belluccipresidente di LiberaMente

Un lungo viaggio negli ultimi cinquan-tasette giorni di vita di Paolo Borsel-lino. La sua corsa contro il tempo per individuare gli assassini di Giovanni Falcone. La consapevolezza del giudi-ce della “trattativa” in corso tra mafia e Stato e la sua lotta incondizionata per opporvisi. Il dolore e la solitudine di un uomo fino all’estremo sacrificio. Un’agghiacciante verità, che lenta ma inesorabile, sta emergendo a distan-za di anni e che potrebbe riscrivere la storia del nostro Paese

sempre interpretabili con gli strumen-ti abituali delle generazioni adulte dei genitori e dei docenti. Necessitano oggi ecosistemi di apprendimento cognitivo e relazionale innovativi e più dinamici, che possano adeguatamente rappor-tarsi ai cambiamenti propri dei proces-si esperienziali delle nuove generazioni, sempre più attratte da forme virtuali e tecnologiche di apprendimento; di qui la necessaria “rivoluzione digitale” per tutti gli attori di processi cognitivi e re-lazioni comunicative efficaci.

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