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Judith B. Baldo Gentile n. matricola 1353347 Corso di Laurea in “Scienze del testo”, II anno, A.A. 2013/2014 “Poetiche del Sublime”, prof. Giuseppe Massara “Der Sandmann” Indice - S. Freud, “Il Perturbante”…………………………………………………………………….. p.1 - E.T.A. Hoffmann, “Der Sandmann”…………………………………………………………...p.2 - L’Uomo della Sabbia nel folklore……………………………………………………………....p.9 - Hans Chistian Andersen, Ole Lukøje …………………………………………………………p.9 - La “Donna della Sabbia”: Santa Lucia – Il Sandman nella tradizione cristiana ……………………....p.11 - L’Uomo della Sabbia nella mitologia greca e latina: Morfeo…………………………………..p.12 - Conclusioni……………………………………………………………………………………...p.12 - Bibliografia e sitografia…………………….…………………………………………………...p.13 0

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Judith B. Baldo Gentile

n. matricola 1353347

Corso di Laurea in “Scienze del testo”, II anno, A.A. 2013/2014

“Poetiche del Sublime”, prof. Giuseppe Massara

“Der Sandmann”

Indice

- S. Freud, “Il Perturbante”…………………………………………………………………….. p.1

- E.T.A. Hoffmann, “Der Sandmann”…………………………………………………………...p.2

- L’Uomo della Sabbia nel folklore……………………………………………………………....p.9

- Hans Chistian Andersen, “Ole Lukøje”…………………………………………………………p.9

- La “Donna della Sabbia”: Santa Lucia – Il Sandman nella tradizione cristiana……………………....p.11

- L’Uomo della Sabbia nella mitologia greca e latina: Morfeo…………………………………..p.12

- Conclusioni……………………………………………………………………………………...p.12

- Bibliografia e sitografia…………………….…………………………………………………...p.13

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S. Freud, “Il Perturbante”

Nel saggio Il perturbante1 del 1909, Sigmund Freud definisce il perturbante (‘Das Unheimliche’) come “qualcosa di spaventoso che si riferisce a qualcosa di noto da tempo, familiare da molto”.

Lo psicanalista austriaco indaga poi gli aspetti semantici della parola Unheimliche: la radice è Heim, ‘casa’, mentre Heimlich è un termine non univoco che si riferisce, a seconda dei casi, a “due sfere di rappresentazione estranee tra loro”.

Un primo significato di Heimlich è, infatti, ‘familiare, domestico’; l’altro significato è invece ‘nascosto, tenuto celato’. Unheimlich (‘un’ è la particella che in tedesco indica la negazione) è correntemente utilizzato per indicare il contrario di “familiare”.

Freud cita poi la definizione di ‘perturbante’ di Schelling2: l’Unheimliche, per il filosofo tedesco, sarebbe ‘tutto ciò che sarebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che invece è affiorato’.

Sulla base di queste considerazioni, Freud suggerisce che il sentimento del perturbante sia connesso con la nostra vita inconscia: esso sarebbe legato, in sostanza, al riaffiorare di traumi, paure o complessi infantili o primordiali dell’uomo.

Nel secondo capitolo del saggio Freud offre una “rassegna di persone, cose, impressioni, eventi e situazioni che riescono a risvegliare in noi il senso del perturbante”. Egli prende ad esempio il racconto di E.T.A. Hoffmann “Der Sandmann”3 (‘L’uomo della sabbia’), ponendosi in aperta polemica con E. Jentsch che nel saggio “Sulla psicologia del perturbante”4, pubblicato tre anni prima del più celebre saggio freudiano, aveva affermato, riferendosi al racconto di Hoffmann, che: “uno degli artifici più sicuri per evocare effetti perturbanti consiste nel tenere il lettore nel dubbio se una data figura che gli viene rappresentata sia una persona o un automa”, considerando che una delle situazioni che desta in noi il sentimento del perturbante è: “il caso del dubbio che un essere apparentemente vivente sia davvero animato e viceversa il dubbio se un oggetto senza vita non sia per caso animato”.

Per Freud non la bambola Olimpia bensì l’Uomo della Sabbia che strappa gli occhi ai bambini è il principale responsabile del ‘perturbante’ all’interno del racconto.

“Il senso del perturbante è direttamente legato alla figura dell’uomo della sabbia, dunque all’idea di essere derubato degli occhi, e non ha niente a che vedere con questo effetto, l’insicurezza intellettuale, nel senso voluto da Jentsch.”

“È in gioco una spaventosa angoscia infantile, quella di avere danneggiati gli occhi o di perderli. In molti adulti questa apprensione è presente ed essi non temono nessun’altra lesione organica quanto quella agli occhi.”

1 Freud, S. – Das Unheimliche (Il perturbante), 19092 Schelling, F.W.J. – Filosofia della mitologia, 18463 Hoffmann, E.T.A. – Der Sandmann, 18154 Jentsch, E. – Sulla psicologia del perturbante, 1906

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Freud riconduce poi questa angoscia connessa ai propri occhi, l’angoscia di perdere la vista, al “complesso di castrazione”, del quale essa sarebbe un sostituto, citando a titolo di esempio anche l’auto-accecamento finale di Edipo nel mito greco: esso sarebbe “una forma attenuata della pena di castrazione, l’unica adeguata in questo caso secondo la legge del taglione”.

Riferendosi poi, ancora, al racconto di Hoffmann, Freud scrive:

“Perché infatti in questo racconto la paura per gli occhi è in strettissima relazione con la morte del padre? Perché l’uomo della sabbia compare ogni volta a disturbare un rapporto d’amore? Egli divide l’infelice studente dalla fidanzata e dal fratello di lei, che è il suo migliore amico, egli annienta il suo secondo oggetto d’amore, la bella bambola Olimpia, e costringe il giovane stesso al suicidio proprio quando stava per realizzare una felice unione con Clara, che aveva riconquistato […] Oseremmo dunque ricondurre il sentimento del perturbante suscitato dall’uomo della sabbia all’angoscia del complesso di castrazione infantile”.

E.T.A. Hoffmann, “Der Sandmann”

Il racconto si apre con uno scambio epistolare: tre lettere, la prima indirizzata dal protagonista, lo studente Nathaniel, a Lotario, suo compagno di vita sin dall’infanzia.

La prima lettera di Nathaniel

Nella lettera Nathaniel ci informa che nella città di G., dove si è recentemente trasferito per studiare, ha incontrato una figura misteriosa: il venditore di barometri Giuseppe Coppola, di origini italiane, il quale suscita in lui un senso di forte inquietudine data la sua somiglianza con l’avvocato Coppelius, losco personaggio della sua infanzia. Comincia dunque una digressione sull’infanzia di Nathaniel, raccontata in prima persona nella lettera, secondo il punto di visto di Nathaniel stesso.

Lo studente ricorda che in famiglia, quand’era piccolo, alla sera il padre aveva l’abitudine di raccontare delle storie ai bambini prima di mandarli a letto. Alle nove in punto i bambini dovevano dormire: la mamma diceva che a quell’ora sarebbe arrivato l’Uomo della Sabbia e che se li avesse trovati ancora in piedi avrebbe scagliato della sabbia nei loro occhi, accecandoli. L’impressione che questa figura misteriosa suscita in Nathaniel è forte; ogni sera nel suo letto il piccolo sente degli inquietanti passi sulle scale, uno scricchiolio delle porte e del pavimento, e si convince che si tratti proprio dell’Uomo della Sabbia. Un giorno, tuttavia, la madre gli confessa che non esiste alcun Uomo della Sabbia, ma ormai la fede nella sua esistenza, e la paura, si sono talmente radicate nel piccolo che egli si convince che la madre gli abbia in questo momento mentito soltanto per non spaventarlo.

Il primo passo in cui, a mio avviso, il racconto delinea un’immagine davvero perturbante, è la descrizione che la vecchia bambinaia fa dell’Uomo della Sabbia, rispondendo a Nathaniel che le aveva chiesto notizie sull’esistenza e sulla natura di quest’uomo:

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“O sciocchino! È un uomo cattivo che viene dai bambini che non vogliono andare a letto e getta loro negli occhi manate di sabbia, finché questi non schizzano fuori sanguinanti dalla testa: allora butta gli occhi in un sacco e li porta, quando la luna splende a metà, da mangiare ai suoi piccoli; loro stanno là in un nido e hanno becchi adunchi come gufi e beccano dal sacco gli occhietti dei bambini che non sono stati saggi”

Nathaniel cova nell’animo quest’immagine così forte e un giorno, nell’intento di vedere l’Uomo della Sabbia, che ogni sera alle nove in punto viene a far visita nella sua casa, si apposta nello studio del padre, nascondendosi dietro una tenda. L’Uomo della Sabbia, annunciato dai soliti inquietanti rumori di passi, si avvicina alla porta, la spalanca, ed ecco che Nathaniel vede entrare l’avvocato Coppelius, un omaccione del tutto simile ad un orco, dalle mani pelose, odiato e temuto dai bambini, il quale suole far visita in casa anche durante il giorno. In Nathaniel si radica la profonda convinzione che l’Uomo della Sabbia non possa che essere l’avvocato Coppelius.

Quando dunque io vidi questo Coppelius, si fece strada nella mia anima la convinzione raccapricciante e spaventosa che nessun altro in verità, all’infuori di lui, poteva essere l’uomo della sabbia.

Rimasi impietrito in una specie di rigido incantamento. Mio padre accolse festosamente Coppelius: “Su, a lavoro!”, gridò costui con voce rauca e stridente, e scagliò lontano il soprabito. […] Mio padre aprì il battente dell’armadio a muro e io vidi allora che quello che per tanto tempo avevo pensato che fosse tale, non era un armadio a muro, ma più che altro una cavità nera in cui stava un piccolo focolare. Coppelius vi si avvicinò ed una fiamma azzurra si levò scoppiettando dal fornello. Mio Dio! Quando il vecchio babbo si chinò a sua volta sul fuoco, egli apparve completamente trasformato! Lo spasimo di un crudele dolore sembrava aver trasformato i suoi tratti onesti e miti in un’odiosa immagine diabolica. Assomigliava a Coppelius.

L’ultima affermazione del passo succitato, in cui Nathaniel riferisce che il padre, figura benevola, aveva tutt’a un tratto assunto sembianze diaboliche finendo per assomigliare a Coppelius, riporta ad un altro motivo che Freud addita come tra i principali in grado di suscitare il ‘perturbante’: il motivo del doppio. Esso ricorre più volte nel racconto. Nel caso del padre di Nathaniel e dell’avvocato Coppelius Freud parla di “imago paterna scissa”:

“Nella storia infantile il padre e Coppelius rappresentano l’imago paterna scissa, a causa dell’ambivalenza, in due figure opposte; una minaccia con l’accecamento, l’altra, il padre buono, supplica che gli occhi del figlio siano risparmiati. A questa coppia di padri fa riscontro, nel prosieguo della storia di Nathaniel studente, il professor Spallanzani e l’ottico Coppola; Coppola viene identificato con l’avvocato Coppelius. Come nella prima parte i due personaggi paterni avevano lavorato assieme attorno al braciere misterioso, così ora hanno creato la bambola Olimpia; tanto il meccanico quanto l’ottico sono il padre sia di Olimpia che di Nathaniel”

Torniamo adesso al racconto di Hoffmann: Nathaniel, rannicchiato nel suo nascondiglio, osserva Coppelius e il padre effettuare misteriosi esperimenti:

Coppelius brandì la tenaglia incandescente e sollevò, togliendole dal denso fumo, masse rosseggianti, che cominciò poi a martellare con ogni cura. A me sembrava che

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tutt’intorno diventassero visibili volti umani, ma privi degli occhi; profonde, orride cavità nei visi invece degli occhi.

“Qui, datemi gli occhi, datemi gli occhi!”, gridò Coppelius. Io me ne uscii in un grido e precipitai fuori dal mio nascondiglio, cadendo sul pavimento. Allora Coppelius mi afferrò: “Piccolo animale! Piccolo animale!”, belò digrignando i denti: mi tirò su e mi gettò nel fornello, così che già le fiamme cominciavano a lambire i miei capelli. “Adesso sì che abbiamo gli occhi, un bel paio di occhi di bambino!”. Così soffiava Coppelius, prendendo dal fuoco un pugno di granelli infocati per seminarmeli negli occhi.”

A questo punto il padre supplica Coppelius di lasciar stare gli occhi del figlio, e la risposta è una sorta di terribile profezia:

“Tenga pure il giovanotto i suoi occhi per lacrimare nel mondo quanto gli è stato assegnato”.

Dopo questo episodio, Nathaniel si ammala di febbre nervosa e rimane infermo per settimane. Al momento della guarigione chiede soltanto se l’Uomo della Sabbia se ne sia andato.

Nella parte finale della lettera, Nathaniel riferisce l’ultimo decisivo episodio della sua infanzia: a circa un anno di distanza dai fatti precedentemente narrati, Coppelius viene a fare la sua ultima visita a casa della famiglia. Come di consueto, l’avvocato ed il padre di Nathaniel si chiudono nel loro studio all’ora stabilita. Tutt’a un tratto si ode il fragore di una violenta esplosione; tutti i membri della famiglia si precipitano nello studio e vi trovano il padre riverso sul pavimento, morto. Coppelius è sparito senza lasciare tracce.

Ora Nathaniel, che è ormai un giovane studente, crede di ravvisare il terribile avvocato nella figura del meccanico piemontese Giuseppe Coppola, che egli ha incontrato più volte nella città di G., dove adesso vive e studia.

La risposta di Clara

La prima lettera di Nathaniel si conclude, e di seguito troviamo la risposta della fidanzata Clara, a cui il protagonista per un disguido aveva indirizzato la sua missiva, che nelle sue intenzioni era destinata a Lotario. Clara rappresenta in un certo senso la mente razionale: ella crede che, se esiste un ‘potere oscuro’, esso è solo dentro di noi, non ha alcuna realtà oggettiva riscontrabile nel mondo esterno. La ragazza scrive a Nathaniel che le cose che egli racconta non accadono che all’interno del suo animo, esse non esistono realmente. Clara si dimostra preoccupata, chiede insistentemente a Nathaniel di non alimentare tali pensieri, altrimenti il ‘potere oscuro’ del suo inconscio prenderà il sopravvento su di lui, e potrà rivelarsi molto pericoloso.

La seconda lettera di Nathaniel

Nella sua seconda lettera, Nathaniel comunica di essersi definitivamente convinto che Coppola non sia Coppelius: il professore di fisica Spallanzani, con cui egli è entrato in contatto, conosce Coppola da molti anni ed è certo che questi abbia origini italiane, mentre l’avvocato Coppelius era

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certamente tedesco. In questa lettera Nathaniel accenna per la prima volta alla figlia di Spallanzani, Olimpia, che il padre tiene rinchiusa in casa: nessuno la conosce; circolano voci che la ragazza sia tenuta lontana dalla società perché affetta da un qualche tipo di handicap mentale.

A questo punto il narratore prende la parola, sottraendola ai personaggi. Si narra che dopo la morte del padre di Nathaniel, Lotario e Clara, orfani, discendenti di un lontano parente, siano andati a vivere con Nathaniel e sua madre. Tra Clara e Nathaniel è presto nata una complicità particolare, culminata in un fidanzamento ufficiale. Nathaniel si è da poco trasferito, per studiare, nella città di G.

I fatti, raccontati al presente, prendono avvio dal ritorno di Nathaniel alla casa paterna per un breve soggiorno, una sorta di piccola vacanza. I suoi familiari notano che c’è qualcosa di diverso in lui rispetto al solito: è più cupo, più chiuso, come se fosse costantemente immerso nei propri imperscrutabili pensieri. Dimostra una inedita passione per la mistica e legge libri su questo argomento persino a colazione, provocando in più occasioni l’irritazione della razionale Clara la quale, infuriata, dice a Nathaniel che la sua ossessione per Coppelius è ‘il principio del male’, ed i suoi effetti saranno devastanti se egli permetterà a questi pensieri di agire in sé: “la tua fede nell’esistenza di Coppelius è la sua forza”, afferma Clara.

Per dar conto del tipo di ossessione che tormenta Nathaniel, Hoffmann riferisce di una sua visione che egli traduce in poesia:

Nathaniel volle infine un giorno esprimere in poesia il presentimento che Coppelius dovesse distruggere il suo felice amore. Rappresentò se stesso e Clara legati dal più profondo affetto, ma di tanto in tanto nella loro vita entrava una nera manaccia e afferrava e ne strappava via una gioia. Finalmente, quando già stavano davanti all’altare nuziale, ecco che appare spaventoso Coppelius e tocca i puri occhi di Clara ed essi balzano sul petto di Nathaniel simili a scintille sanguinose annerendo e bruciando. E Coppelius lo afferra, lo getta in un ardente cerchio di fiamme, che si avvolge a spirale con la rapidità di un turbine, lo trascina via in un infocato risucchio. […] Nathaniel sente allora la voce di Clara: “Ma non li riconosci? Coppelius ti ha ingannato, non erano i miei occhi che bruciavano così sul tuo petto, erano gocce di sangue scaturite dal tuo stesso cuore; io li ho ancora i miei occhi, ma guardami ti prego!

Queste visioni, che Clara apprende attraverso la lettura ad alta voce della poesia da parte di Nathaniel, provocano ancora l’ira e la preoccupazione della ragazza: “Getta quella folle, quella assurda, quella delirante fiaba nel fuoco!”. A queste parole Nathaniel risponde con un insulto emblematico: “Ma vattene, dannato automa senza vita!”, parole che pongono Clara in stretta relazione con il vero automa della storia: la bambola Olimpia, che incontreremo in seguito, delineando così ancora una volta il motivo del ‘doppio’.

Giunge per Nathaniel il momento di far ritorno alla città di G. Egli scopre che la sua casa è stata distrutta da un incendio, ed è costretto dunque a mutare abitazione. Casualmente, si trasferisce di fronte all’appartamento del prof. Spallanzani. Dalla finestra della sua camera Nathaniel osserva Olimpia: la ragazza passa ore ed ore, ogni giorno, seduta al tavolo, sempre nella stessa posizione, con uno sguardo strano.

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Un pomeriggio, mentre Nathaniel è intento a scrivere una lettera per Clara, bussa alla porta il misterioso Coppola. In questo passo l’autore, confondendo il proprio punto di vista con quello del protagonista, chiama il meccanico dapprima ‘Coppola’ e poi ‘Coppelius’. Questa ambiguità crea un senso del perturbante: non è chiaro al lettore se ci si trovi nel momento della definitiva reale identificazione di Coppola con Coppelius, o se si tratti dell’ennesima visione di delirio dello studente. In questo passo, come in molti altri del racconto, si calca insistentemente sull’immagine degli occhi e su quella del fuoco, le quali si intrecciano spesso, perché l’idea del bruciare gli occhi, del fuoco o della sabbia che bruciano gli occhi, sono il leitmotiv dell’intero racconto.

“Bussarono piano alla porta: aprirono e fece capolino il sinistro Coppola. Nathaniel si sentì tremare internamente. […

] “Non compro nessun barometro, amico mio, vada pure!” Ma a questo punto Coppelius entrò completamente nella stanza e cominciò a parlare con voce rauca, contraendo la brutta e larga bocca in un odioso riso, mentre i piccoli occhi brillavano. “Eh! Non barometri, non barometri! Ho anche belli occhi, belli occhi!”. Terrorizzato Nathaniel gridò “Ma siete pazzo! Ma come potete avere occhi? Occhi?... Occhi?...”. E intanto Coppola aveva messo da parte i suoi barometri e frugava nelle tasche del suo vestito togliendone occhiali e occhialini. “Ecco, ecco occhiali da mettere sul naso, questi sono miei occhi, belli occhi…”. E così dicendo andava estraendo un numero sempre maggiore di occhiali: ci fu allora sul tavolo uno strano, mai visto scintillio. Mille occhi guardavano in su e accennavano tormentosi e lancinanti, fissandosi poi rigidi e freddi su Nathaniel. E lui non poteva distogliere lo sguardo dalla tavola e Coppola continuava a disporvi nuovi numerosi occhiali e sempre più selvaggi balzavano da essi e si incrociavano gli sguardi fiammeggianti. Vinto da un terrore selvaggio Nathaniel gridò: “Fermati, fermati ti dico, uomo terribile!”

Nathaniel riesce fermare Coppola, che ripone gli occhiali nelle tasche. Lo studente decide, alla fine, di acquistare un piccolo binocolo tascabile, con il quale comincerà ad osservare Olimpia dalla finestra sempre più di frequente, rapito dalla sua bellezza. Nathaniel se ne innamora perdutamente, sino a dimenticare completamente Clara.

Un giorno Sigismondo, un collega universitario di Nathaniel, lo informa che il professor Spallanzani ha deciso di organizzare nella propria abitazione una festa da ballo: si dice che il professore presenterà per la prima volta la figlia in pubblico.

In occasione della festa da ballo, il lettore vede finalmente Olimpia agire. Secondo Jentsch, sarebbe questo il vero personaggio ‘perturbante’ all’interno del racconto, in virtù dell’”incertezza intellettuale” che la sua figura genera nel lettore: il dubbio che Olimpia non sia un vero essere vivente, ma solo un automa, o viceversa che non sia un semplice automa ma che sia in qualche modo in grado di assumere tratti tipicamente umani, sarebbe la vera causa, per Jentsch, del generarsi del sentimento del ‘perturbante’. A mio avviso, come già aveva notato Freud, la figura di Olimpia è sì misteriosa, ma mai capace di suscitare un’inquietudine paragonabile a quella che desta in noi la figura di Coppelius/Coppola/Uomo della Sabbia. In ogni caso, “l’incertezza intellettuale” è ottenuta mediante la descrizione dei caratteri che assimilerebbero Olimpia ad un automa, seguiti dalla loro costante smentita. Ad esempio: Olimpia ha un passo eccessivamente misurato, movenze rigide, ma subito Hoffmann ci dice che questi tratti vengono attribuiti dagli astanti alla timidezza della ragazza, che per la prima volta si trova a fare il suo ingresso nella società. Oppure, quando

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Olimpia si esibisce nel canto di un’Aria, si dice che la sua voce è melodiosa, limpida, ma che essa ricorda il suono di una campanella di vetro. Abbiamo ancora una costante ambiguità quando Nathaniel durante le danze entra finalmente in contatto con lei, un contatto verbale e fisico: egli le prende la mano e nota che è fredda, ed avverte un “raccapricciante gelido brivido di morte”, ma poco dopo lo studente avverte il calore della sua pelle, pare che il polso cominci improvvisamente a batterle. Durante lo scambio verbale, mentre Nathaniel parla abbondantemente, tessendo le lodi di lei, Olimpia risponde con dei semplici “Ahimé! Ah! Ahimé” e quando, alla fine, prima di separarsi i due si scambiano un bacio, Nathaniel sente le labbra fredde di lei, e ancora prova un “brivido di morte”, ma nel contatto del bacio, le labbra di Olimpia subito si scaldano.

Dopo la festa, gli amici di Nathaniel commentano l’atteggiamento di Olimpia, e nell’ammonimento che Sigismondo rivolge al suo amico troviamo la prima chiara assimilazione di Olimpia ad una bambola, una ‘pupattola di legno’, seguita dall’affermazione che Olimpia sembra non essere davvero una creatura vivente:

“Come hai fatto a perdere il tuo tempo a guardare quella pupattola di legno? […] È rigida, senz’anima, il suo sguardo pare ‘privo del raggio vitale, direi quasi privo della vista. […] Insomma ci è proprio antipatica e di lei abbiamo l’impressione che agisca soltanto all’apparenza come una creatura vivente e che in lei si nasconda un insieme particolarissimo di cose”

Nathaniel, tuttavia, ignora gli ammonimenti degli amici e comincia a frequentare assiduamente la casa di Spallanzani, passando ore ed ore con Olimpia, giungendo a chiederne la mano al padre, il quale acconsente senza opporre resistenza.

Ma un giorno, preannunciato dai consueti rumori sulle scale che sempre segnalano l’ingresso dell’Uomo della Sabbia (“un pestare, uno scricchiolare, un dar di colpi, un battere la porta frammisto a imprecazioni e bestemmie”), torna fatalmente sulla scena Coppola/Coppelius. Nathaniel si precipita nello studio di Spallanzani ed assiste ad una furiosa lite tra il professore e il meccanico Coppola:

Nathaniel si precipitò impetuosamente nella stanza. Il professore si era impadronito, stringendola per le spalle, di una figura femminile, mentre l’italiano Coppola la teneva fortemente per i piedi, e l’uno e l’altro la tiravano e la strascinavano qua e là, contendendosene al colmo dell’ira il possesso. Pieno di profondo terrore Nathaniel fece un salto indietro e vide che la figura di donna era Olimpia.

Da questa contesa Coppola esce vincitore, e riesce a scappare con la bambola.

Muto, irrigidito se ne stava in piedi Nathaniel: troppo bene aveva visto che il viso di cera di Olimpia era diventato pallido come quello di un cadavere e non aveva più occhi: al loro posto due nere cavità. Essa era una bambola senza vita.

Il professore esorta il giovane a rincorrere Coppola (chiamato stavolta ‘Coppelius’ dallo stesso Spallanzani):

“Coppelius mi ha rubato il mio più bell’automa!... Vent’anni ci ho lavorato, ci ho messo anima e corpo… il congegno d’orologeria… la parola… il movimento… mio…

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gli occhi, gli occhi li ha rubati a te… Dannato, scellerato… corrigli dietro! Vammi a prendere Olimpia: qui!... Eccoti gli occhi”

Allora Nathaniel si accorse che sul pavimento giacevano due occhi sanguinolenti, che lo fissavano. Spallanzani li afferrò con la mano ferita e glieli gettò addosso ed essi lo colpirono al petto. Ed ecco che il delirio lo afferrò con crampi infuocati e penetrò in lui sconvolgendo intelligenza e sensi. “Oh! Oh! Oh! Cerchio di fuoco, cerchio di fuoco, muoviti in tondo, allegro, allegro! Su, pupa di legno, gira, gira pupa di legno!”.

A questo punto Nathaniel, si getta furiosamente sul professore, intenzionato ad ucciderlo. A causa del trambusto accorrono alcuni studenti: Nathaniel, in preda ad un vero e proprio raptus di follia, viene legato e portato in manicomio. Di Coppola, ovviamente, nessuna traccia.

Ci accingiamo adesso a dare uno sguardo alla scena finale del racconto: Nathaniel, rinsavito e riconciliatosi con Clara, è in procinto di sposarla. I due, accompagnati da Lotario, decidono un giorno di fare una passeggiata in città. Mentre stanno passando sulla piazza del mercato, Clara propone di salire sulla torre del municipio per osservare il paesaggio dall’alto. Lotario sceglie di rimanere sulla piazza, mentre Nathaniel e Clara salgono sulla torre. Arrivati in cima Clara fa notare qualcosa di non ben identificato nel paesaggio al fidanzato, ed egli è preso ancora una volta da un incontrollabile delirio:

“Ma guarda dunque quel piccolo cespuglio dalla forma così strana, che sembra muovere incontro a noi a passo di marcia!, disse Clara. Nathaniel con gesto meccanico prese dal taschino di Coppelius. Guardò di lato. Qualcosa, come un opprimente stringimento, lo prese ai polsi e si arrestò nelle vene: pallido, livido come un morto sbarrò gli occhi fissi sul viso di Clara, ma di colpo gli rotearono gli occhi e mandarono fiamme e piovvero correnti di fuoco, ruggì spaventevolmente, e fu il raccapricciante grido di una bestia che ha avvertito vicino a sé il fuoco. Saltò alto nell’aria, ridendo intanto orrendamente e gridando con voce tagliente: “Gira, gira, pupa di legno!”, afferrò con forza strapotente Clara e volle scagliarla di sotto. Ma Clara in disperata ansia di morte si aggrappò saldamente al parapetto”.

Lotario sale precipitosamente le scale della torre e riesce a salvare la ragazza, riportandola a terra, e lasciando Nathaniel, solo, sulla sommità della torre. Assistiamo da ultimo alla catastrofe finale:

Ora Nathaniel smaniava solo nella galleria e faceva salti alti e gridava “Gira, cerchio di fuoco!”. Accorsero gli uomini, chiamati dal selvaggio urlìo: tra loro spiccava la gigantesca figura dell’avvocato Coppelius, che proprio in quel momento era giunto in città, e si era trovato a passare sulla piazza del mercato.

La gente voleva salire per riportare alla calma il forsennato, ma Coppelius rise e disse: “Ah! Ah!, ma aspettate solo un momento: verrà giù da solo!”. E come gli altri guardò in su.

Nathaniel si fermò impietrito, si chinò verso la piazza, si accorse della presenza di Coppelius, e incominciò a gridare, che ne rimbombava l’aria tutt’intorno: “Eh! Belli occhi, belli occhi”, e saltò al di là del parapetto.

Quando Nathaniel, con la testa fracassata giacque sul selciato, Coppelius era sparito tra la folla.

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L’Uomo della Sabbia nel folklore

L'Omino del Sonno è un personaggio mitico del folklore del Nord Europa che porta sogni felici cospargendo di sabbia magica gli occhi dei bambini mentre stanno dormendo.

Tradizionalmente è un personaggio in molte storie per bambini. Si dice che cosparga sabbia o polvere sugli occhi dei bambini di notte per portargli sogni e sonno. Da qui deriva il suo nome in lingua inglese, Sandman (Sand=sabbia, man=uomo).5

Il Sandman è il protagonista della fiaba Ole Lukøje dello scrittore danese Hans Christian Andersen, celebre soprattutto, appunto, per le sue fiabe.

Hans Chistian Andersen, “Ole Lukøje”

Ole Lukøje (tradotto in italiano come ‘Ole Chiudigliocchi’) è una fiaba di Hans Christian Andersen, pubblicata per la prima volta nel 1841.

Ole Chiudigliocchi è un personaggio buono che concilia il sonno dei bambini, dapprima spruzzando con la sua siringa magica negli occhi di questi un po' di latte e, dopo, soffiando loro sul collo. Una volta che i bambini si sono addormentati, Ole Chiudigliocchi si siede ai piedi dei loro letti e inizia, finalmente, a raccontare le sue storie.

Porta sempre con sé, oltre la siringa magica, due ombrelli: uno tutto disegnato che apre sulla testa dei bambini che sono stati buoni, in modo che questi facciano sogni bellissimi, un altro senza disegni che, invece, apre sui bambini che sono stati cattivi, in modo che questi dormano di un sonno privo di sogni. Illustrazione di Vilhelm Pedersen per Ole Lukøje

Ole Chiudigliocchi si reca da un bambino di nome Hjalmar per una settimana e, sera dopo sera, dal lunedì alla domenica, non appena questi si addormenta, racconta lui sette storie, una per ogni giorno della settimana.6

« In tutto il mondo non c'è nessuno che sappia tante storie quante ne sa Ole Chiudigliocchi. E come le sa raccontare! »

(Ole Lukøje, incipit)

5 http://it.wikipedia.org/wiki/Omino_del_sonno6 http://it.wikipedia.org/wiki/Ole_Chiudigliocchi

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Nel ‘Perturbante’, Freud aveva dedicato un breve spazio della trattazione proprio alla letteratura per l’infanzia, citando espressamente il nome di Andersen. Per Freud nel mondo delle fiabe non si dà alcuna possibilità del destarsi del sentimento del perturbante. Egli chiarisce i motivi di ciò nel brano che cito di seguito:

“Abbiamo visto che un grado elevatissimo di perturbante si ha quando cose inanimate, immagine, bambole, si animano. Ma nelle favole di Andersen vivono gli oggetti di casa, i mobili, il soldatino di piombo, e nulla forse è più lontano dal perturbante. Il perturbante nella vita reale si verifica quando complessi infantili rimossi vengono nuovamente richiamati in vita da un’impressione, oppure quando convinzioni primitive superate sembrano trovare una nuova conferma […] Il regno della fantasia ha come presupposto della sua validità che il suo contenuto sia sottratto alla prova di realtà […] Per il sorgere del sentimento del perturbante è necessario il dubbio se sia possibile che convinzioni superate e non più degne di fede non siano tuttavia reali: questione, questa, che viene completamente esclusa dai presupposti del mondo delle fiabe: nel regno della finzione non sono perturbanti molte cose che avrebbero un effetto perturbante se accadessero nella vita reale.”

In Ole Lukøje, l’Omino del Sonno racconta alcune storie al piccolo Hjalmar, le quali hanno generalmente per protagonisti animali od oggetti inanimati dotati di facoltà tipicamente umane come la parola e/o, nel caso degli oggetti inanimati (bambole, mobili, ecc.), di movimento.

Invero queste storie non sono affatto perturbanti, per i motivi delineati da Freud.

Tuttavia, se con uno sforzo immaginativo proviamo ad entrare nella mente di un bambino, l’ultima storia raccontata da Ole Chiudigliocchi ha un aspetto quanto meno inquietante, sia perché vi si parla della morte, sia perché il finale contiene, da quello che possiamo immaginare essere il punto di vista di un bambino, una morale piuttosto severa e, in un certo grado, spaventosa:

[Parla Ole Chiudigliocchi]: "(Stasera) preferisco mostrarti qualcosa, e precisamente mio fratello, che pure si chiama Ole Chiudigliocchi, ma che non va mai dalle persone più di una volta, e quando ci va le porta via con sé sul suo cavallo e racconta loro delle storie; ne conosce soltanto due: una è così straordinariamente bella che nessuno al mondo se la può immaginare, e l'altra è così orribile e spaventosa da non poterla raccontare!" e Ole Chiudigliocchi sollevò il piccolo Hjalmar fino alla finestra e gli disse: "Da qui vedrai mio fratello, l'altro Ole Chiudigliocchi; lo chiamano anche Morte; ma vedrai che non è affatto brutto come compare sui libri di figure dove è solo uno scheletro. In realtà ha un abito tutto ricamato d'argento, una bellissima uniforme da ussaro! Un mantello di velluto nero vola nel vento, dietro il cavallo; guarda come va al galoppo!."E Hjalmar vide come quell'Ole Chiudigliocchi cavalcava via, prendendo sul cavallo giovani e vecchi. Alcuni li metteva davanti, altri dietro, ma prima chiedeva sempre: "Che voti hai preso sulla pagella?" "Buono" rispondevano tutti, ma lui diceva: "Fatemi vedere!" e così gli mostravano la pagella, e quelli che avevano "buono" e "ottimo" erano messi davanti a ascoltare la bella storia, quelli che invece avevano meritato

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"sufficiente" o "scarso" si sedevano dietro a ascoltare la storia spaventosa; allora tremavano e piangevano, volevano saltare giù dal cavallo, ma non potevano farlo: erano come inchiodati. "La Morte allora è un Ole Chiudigliocchi straordinario!" esclamò Hjalmar "io non ho affatto paura di lui!" "Infatti non ne devi avere!" gli rispose Ole Chiudi gliocchi. "Basta che tu abbia una bella pagella!"7

La “Donna della Sabbia”: Santa Lucia

Il ‘Sandman’ nella tradizione cristiana

Anche nella cultura cristiana esiste una sorta di “Uomo della Sabbia”; si tratta curiosamente di una donna: Santa Lucia. In questa figura si incarna la tipica ambivalenza del Sandman: essa è sì una figura benevola (nei luoghi in cui la Santa viene festeggiata ella fa le veci di Babbo Natale), ma presenta l’aspetto tipicamente perturbante di cui parla Freud e che si ritrova nel racconto di Hoffmann, ovvero il legame con il motivo dell’accecamento.

Santa Lucia è una martire cristiana del IV secolo. La leggenda narra che la giovane Lucia abbia fatto innamorare un ragazzo il quale, abbagliato dalla bellezza dei suoi occhi, glieli chiese in dono. Lucia acconsentì, ma gli occhi miracolosamente le ricrebbero, ancora più belli di prima. Il ragazzo chiese in regalo anche questi, ma la giovane rifiutò, così venne da lui uccisa con una coltellata al cuore. 

In alcuni paesi del Nord Europa (Svezia, Danimarca), ed in certe regioni del Nord Italia, come il Trentino, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, l'Emilia e il Veneto, esiste una tradizione legata alla Santa, la cui ricorrenza si celebra il 13 dicembre, giorno della sua morte. I bambini le scrivono una letterina in cui dicono di essere stati buoni e chiedono dei doni. Preparano del cibo da disporre sui davanzali delle finestre, per attirare la Santa e il suo asinello, e poi vanno a letto perché se al momento del suo arrivo la Santa li trovasse ancora svegli, scaglierebbe della cenere o della sabbia nei loro occhi, accecandoli.8

Nell’iconografia tradizionale tra gli attributi di Santa Lucia si trova spesso un piatto contenente, appunto, due occhi.

L’Uomo della Sabbia nella mitologia greca e latina: Morfeo7 http://www.andersenstories.com/it/andersen_fiabe/ole_chiudigliocchi8 http://www.amando.it/natale/santa-lucia.htm

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Nella fiaba di Andersen Ole Lukøje, l’Omino del Sonno, discutendo con il ritratto del bisnonno di Hjalmar che lo accusa di raccontare al piccolo storie poco istruttive, dice:

“Grazie, vecchio bisnonno!" rispose Ole Chiudigliocchi "Grazie mille! Tu sei la zucca della famiglia, la zucca più antica! Ma io sono molto più vecchio di te. Sono un vecchio pagano, i greci e i latini mi chiamavano Dio dei Sogni. Sono entrato nelle case più signorili e le frequento ancora adesso, so stare con i piccoli e con i grandi.”

Il ‘Dio dei Sogni’ a cui Ole si riferisce è certamente Morfeo. Secondo la mitologia greca e latina Morfeo provoca i sogni sfiorando un mazzo di papaveri sulle palpebre di chi dorme, e possiede grandi e possenti ali che lo portano rapidamente da una parte all'altra della terra. Spesso è accompagnato da una cerchia di folletti che rappresentano le illusioni.

Il dio era raffigurato con grandi ali di farfalla che battevano senza far rumore, e con in mano un mazzo di papaveri, o nell'atto di abbracciare il padre, il Sonno, in mezzo ad uno stuolo di folletti che gli volteggiavano intorno.9

Nella fiaba di Andersen, come si è visto, Ole Chiudigliocchi dice di essere fratello della Morte. Nella mitologia greco-romana Morfeo, dio dei Sogni, è figlio di Ipno (in greco: Hýpnos) e della Notte. Hýpnos, dio del Sonno, è fratello gemello di Thanatos, personificazione della Morte, ed entrambi sono figli di Erebo, dio delle Tenebre.10

Conclusioni

Il sonno è certamente una delle esperienze della vita umana che maggiormente si avvicina alla morte, o alla idea che abbiamo di essa. Non a caso nel folklore e nella mitologia troviamo che il Sandman e i vari dei del Sonno e dei Sogni, sono strettamente imparentati con la Morte, o Thanatos.

Freud afferma che la ‘fobia’ dell’accecamento, l’apprensione particolare che abbiamo verso l’organo della vista (accecamento che sarebbe all’origine del senso del ‘perturbante’ che avvertiamo durante la lettura del racconto di Hoffmann) sia da ricondursi “complesso di castrazione”.

Sulla base della mia analisi, mi sento di suggerire che anche la privazione della vista, dunque la perdita della possibilità di vedere la luce e dunque il mondo stesso, l’idea di un buio perpetuo, è quanto di più vicino alla morte possiamo immaginare, forse ancora più vicino alla morte dell’esperienza stessa del sonno. Ritengo dunque che il ‘perturbante’ legato al pensiero dell’accecamento sia strettamente connesso all’idea della Morte stessa, che si annida in esso.

9 http://www.ire-land.it/mitologia/divinita/morfeo.html10 http://it.wikipedia.org/wiki/Hýpnos

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Suggerisco infine che la stessa ‘castrazione’ di cui parla Freud come dell’origine profonda del senso del ‘perturbante’ generato dal motivo dell’accecamento, si lega all’idea della negazione della capacità di procreare: questa è l’unica facoltà che permette all’uomo di perpetuare se stesso, e dunque di sconfiggere in certa misura la Morte, attraverso la generazione di nuova Vita.

Bibliografia e sitografia

S. Freud – Das Unheimliche (Il perturbante), 1909

F.W. J. Schelling – Filosofia della mitologia, 1846 (citato in Freud, S. – Das Unheimliche)

E.T.A. Hoffmann – Der Sandmann, 1815

E. Jentsch – Sulla psicologia del perturbante, 1906 (citato in Freud, S. – Das Unheimliche)

http://it.wikipedia.org/wiki/Omino_del_sonno

http://it.wikipedia.org/wiki/Ole_Chiudigliocchi

http://www.andersenstories.com/it/andersen_fiabe/ole_chiudigliocchi

http://www.amando.it/natale/santa-lucia.htm

http://www.ire-land.it/mitologia/divinita/morfeo.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Hýpnos

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