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Servizio civile Si riparte, ma con un bando ridotto. Occorre investire… Diritto al cibo È compito nostro: al via la campagna italiana Sud Sudan Sete di potere: il male più antico dilania il paese più giovane Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLVII - NUMERO 2- WWW.CARITASITALIANA.IT marzo 2014 disagıo La crisi acuisce la vulnerabilità abitativa in Italia. Molti hanno fame di case. Bene Ma chi ne abita una, fatica a sostenerne i costi. Al via ricerca Caritas-Sicet

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Servizio civile Si riparte, ma con un bando ridotto. Occorre investire… Diritto al cibo È compito nostro: al via la campagna italianaSud Sudan Sete di potere: il male più antico dilania il paese più giovane

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MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLVII - NUMERO 2 - WWW.CARITASITALIANA.IT

marzo 2014

disagıoLa crisi acuisce la vulnerabilitàabitativa in Italia. Molti hanno fame di case.

BeneMa chi ne abita una, fatica a sostenerne i costi. Al via ricerca Caritas-Sicet

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Mensile della Caritas Italiana

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Italia CaritasdirettoreFrancesco Soddudirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneUgo Battaglia, Paolo Beccegato, Salvatore Ferdinandi,Renato Marinaro, Francesco Marsico, SergioPierantoni, Domenico Rosati, Francesco Spagnolohanno collaboratoDanilo Angelelli, Francesco Carloni,Francesco Dragonetti, Roberta Dragonettiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona CorvaiastampaMediagraf Spaviale della Navigazione Interna 89,35027 Noventa Padovana (Pd),tel. 049 8991511, e-mail: [email protected] legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177215-249inserimenti e modifiche nominativi richiesta copie [email protected] abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 21/02/2014

Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Si ringrazia Asal (www.asalong.org - [email protected])per l’utilizzo gratuito della Carta di Peters

LA POVERTÀCHE RENDERICCHI

editoriali

Convegno di Cagliari – proseguendonell’atteggiamento di ascolto reci-proco e di lettura dei segni dei tempi– si propone dunque come momentodi un percorso che origina dalle ri-flessioni del Convegno 2013 a Pesca-ra, le consolida e le inquadra in uninterrogarsi insieme che proseguirànel nuovo anno pastorale.

Cosa cambiare?Tale impegno di revisione riguarda lostile di ogni Caritas nel suo territorio,ma anche il lavoro comune delle Cari-tas negli organi istituzionali, con l’at-tenzione somma alle persone che siamo chiamati a servire nella Chiesa e me-diante la Chiesa. Accettando la sfida di incarnare il Vangelo della carità in tempidi crisi e accogliendo la responsabilità di essere portatori della profezia, in gradodi leggere il tempo presente e di rintracciare in esso i segni di Dio e di futuro, sia-mo chiamati a metterci in viaggio da un centro verso le molteplici periferie esi-stenziali e geografiche dell’umanità.

Dunque, partendo dalle novità riscontrate, forti delle indicazioni del Magiste-ro, coscienti delle fragilità delle nostre Caritas, chiediamoci: cosa possiamo ag-giungere, cambiare o abbandonare nella nostra azione? Infatti non tutte le ca-ratteristiche che nel tempo hanno organizzato le nostre risposte appaiono oggiconsone a farci prossimi ai poveri e animatori delle comunità cristiane.

Se un convegno Caritas non dovrebbe mai chiudersi con le conclusioni, tantopiù deve essere così in una situazione delicata quale l’attuale. Occorre trovare alivello locale, in ogni Caritas diocesana, un tempo favorevole in cui portare e de-clinare i frutti, dal locale al nazionale e viceversa, di un processo di ridefinizionedel nostro stare quotidianamente, come Caritas, nelle periferie esistenziali.

a Quaresima è un tempo fortedella liturgia: ci prepara alla ce-lebrazione della Pasqua, dellaMorte e Resurrezione del Si-

gnore per la nostra salvezza.Una salvezza, che passa attraverso

l’amore ai poveri e agli ultimi. Lo ricor-da papa Francesco nel Messaggio perla Quaresima, in cui richiama san Pao-lo: «Si è fatto povero per arricchirci conla sua povertà».

Si chiede il Santo Padre: «Cos’è allo-ra questa povertà con cui Gesù ci liberae ci rende ricchi?». E subito risponde:«È proprio il suo modo di amarci, il suofarsi prossimo a noi come il Buon Sa-maritano». Come Cristo, anche noi cri-stiani siamo chiamati a guardare le mi-serie dei fratelli, a toccarle, a farcenecarico e a operare concretamente peralleviarle; il che vuol dire anche – ag-giunge il pontefice – «fare in modo checessino nel mondo le violazioni delladignità umana, le discriminazioni e isoprusi, che, in tanti casi, sono all’ori-gine della miseria». Ecco perché sonoinseparabili l’attenzione verso il pove-ro, la pratica dell’accoglienza, l’uso re-sponsabile dei beni, la giustizia sociale,sia locale che planetaria.

Un po’ meno zavorraLa Quaresima – sottolinea il Papa – è untempo adatto per la spogliazione; e cifarà bene chiederci «di quali cose pos-siamo privarci al fine di aiutare e arric-chire altri con la nostra povertà». Tuttinoi abbiamo qualcosa da dare e da fareperché chi è povero – a vario titolo – siaun po’ meno povero, con un po’ più disperanza. E i ricchi – noi ricchi – si siaun po’ meno ricchi, con un po’ menozavorra. Quella che impedisce alla fa-miglia umana di condividere fraterna-mente la mensa della creazione.

A Cagliari, dal 31 marzoal 3 aprile, si svolge il 37°

Convegno nazionaledelle Caritas diocesane.

Il titolo rimanda al magistero di papa

Francesco. Che sprona a ricercare Cristo nella carne viva

delle persone, uscendoverso gli altri:

anzitutto, i poveri

Ldi Francesco Soddu di Giuseppe Merisi

IN PERIFERIA,RIVEDIAMOIL NOSTRO SERVIZIO

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l titolo del 37° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, Con ilVangelo nelle periferie esistenziali, si collega in modo diretto al ma-gistero di papa Francesco, esplicito nelle parole e implicito nei gesti,

collocando in modo inequivocabile il tema della povertà, anzi dei po-veri, al centro della riflessione ecclesiale. Papa Francesco infatti, mentreci esorta a scoprire la ricchezza del messaggio evangelico, ossia ad ap-profondire sempre e meglio la conoscenza di Cristo, ci sprona a ricer-carlo nella carne viva delle persone, attraverso un’uscita da noi stessi,nell’incontro, nell’accoglienza fraterna, nella solidarietà e nel servizio.

Per le Caritas tutto ciò rappresenta un costante stimolo di verifica. Il

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disagıoBene

Ancora più attualifedeli a una

lunga storia

Italia CaritasUNANNOCON

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sommario

rubriche3 editoriali

di Francesco Soddue Giuseppe Merisi

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

10 dall’altro mondodi Oliviero Forti

19 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia LE FAMIGLIE SI AIUTANO

24 poster TEMPO DI QUARESIMA

29 mercati di guerradi Paolo Beccegato

34 zero povertydi Laura Stopponi

39 contrappuntodi Giulio Albanese

40 panoramamondo VENTI DI PACE IN SIRIA,GEMELLAGGI IN GRECIA

46 villaggio zoomBAMBINI SOLDATO,LA COALIZIONE HA UN SITO

47 a tu per tuGIACOMO CAMPIOTTI:«NON È MAI TROPPO TARDIPER SCOMMETTERESU UNA TV CHERACCONTI IL PAESE»di Danilo Angelelli

nazionale

6 CASE E POVERTÀ:UN DISAGIOSOPRA LA TESTAservizi di Walter Nannie Alberto Rizzardi

11 MIGRAZIONI:LAMPA-LAMPA,PIÙ VICINI ALL’ISOLAdi Giuseppe La Rocca

14 SERVIZIO CIVILE,SI RIPARTE. PERÒBISOGNA INVESTIRE…di Diego Cipriani

17 CARITAS A CONVEGNO:IN USCITA.E IN CAMBIAMENTOdi Pierluigi Dovis e Marco Lai

internazionale26 CAMPAGNA CARITAS:

CIBO PER TUTTI,È COMPITO NOSTROdi Massimo Pallottino

30 SUD SUDAN: IL MALE PIÙ ANTICONEL PAESE PIÙ GIOVANEdi Angelo Pittaluga

35 POVERTÀ IN BULGARIA:,LA SECONDA PELLEDEGLI ETERNI ULTIMIdi Francesco Martino

anno XLVII numero 2

IN COPERTINAProtesta control’impossibilità ad avereun alloggio popolarein una periferia di Milano:il disagio abitativo in Italiaassume volti differenti

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tocca i cuori di chi si trova a giacere là, incarcerato e recluso.Così quella notte condannati, emarginati dalla società, uo-mini feriti che a loro volta hanno ferito, gli ultimi degli ulti-mi sentono un canto e non restano indifferenti: al contra-rio, “i prigionieri stavano ad ascoltarli” (16,25).

È un Vangelo di speranza quello che si è fatto strada finlì, per raggiungere gente dimenticata; è un Vangelo di no-vità quello che risuona e si espande nella notte di un car-cere, dove improvvisamente “venne un terremoto cosìforte che furono scosse le fondamenta della prigione”(16,26); è un Vangelo che libera, tanto che “subito si apri-rono tutte le porte e caddero le catene di tutti” (16,26). Èun Vangelo che salva, perché in questa notte la salvezza,proveniente da una cella e dalla bocca di due prigionieriferiti, entrerà nella casa del carceriere, un’altra periferiadove la buona notizia non si stanca di giungere.

l’apostolo fin qui. Sembra quasi chel’annuncio – più che essere portato –voglia esso stesso raggiungere le pe-riferie del mondo, infilandosi in per-tugi inaccessibili per i benpensanti egli osservanti della legge, entrandoladdove puoi stare solo se sei ricono-sciuto colpevole. Sembra quasi che ilVangelo voglia toccare il fondo delladisperazione, spingendosi fino allaparte più interna di una prigione, la-sciandosi persino incatenare pur diraggiungere chi in questo buio è rin-chiuso, e non certo per i meriti di unavita virtuosa o irreprensibile.

Per entrare in questa ultima perife-ria, la buona notizia si lega agli uomi-ni, imprimendosi nella persona e nelcorpo di chi, come Paolo, ad essa siconsegna perdutamente. Così nel buiodella prigione, caricati di percosse eincatenati, “verso mezzanotte Paolo eSila, in preghiera, cantavano inni”(16,25). Dove avrebbe potuto prevale-re la percezione amara del fallimentoe la rabbia legittima per un’ingiustiziasubita, risuona invece un canto: il Van-gelo prende la forma di una lode che,innalzata dall’oscurità di una prigione,

parolaeparoledi Benedetta Rossi

on Paolo l’annuncio del Vangelo viaggia veloce e non schiva le“periferie esistenziali”, quei luoghi ai margini in cui l’Apostolospesso si muove. Così accade anche a Filippi, la porta attraverso

cui il Vangelo entra in Europa. In cerca di uno spazio propizio perl’annuncio, Paolo e Sila escono “fuori dalla porta lungo il fiume dovepensavamo che si tenesse la preghiera. Ci mettemmo a sedere e par-lammo alle donne che vi erano radunate” (Atti 16,13). È un luogo dipreghiera non ufficiale, marginale, perché esterno alla città, precarioperché a cielo aperto, privo di qualsiasi struttura organizzativa: soloalcune donne che pregano insieme. Qui Paolo e Sila si fermano, si

DI MARGINE IN MARGINE,IL VANGELO NON SI FERMA

siedono e rivolgono “la parola alledonne là riunite” (16,13). In questocontesto di marginalità accade il mi-racolo dell’ascolto: Lidia “stava inascolto e il Signore le aprì il cuore,perché potesse prestare attenzionealle parole dette da Paolo” (vv. 13-14).

Le espressioni usate dal narratorelasciano intendere un’esperienzaprofonda, prodotta dalla grazia. Unevento coinvolgente, che lascia trac-cia nell’esistenza di questa donna: ilkerigma risuona in una periferia, fa-cendo sì che una vita possa aprirsi al-la novità dell’annuncio.

Il fondo della disperazioneA Filippi il Vangelo non si ferma, giungendo persino nelleprofondità di un carcere. Tutto ha inizio con la parola po-tente dell’Apostolo, capace di liberare una schiava (16,16-18) e provocare al contempo il disappunto dei suoi pa-droni. Trascinati in tribunale, e accusati di turbare l’ordi-ne pubblico, Paolo e Sila vengono spogliati delle vesti ebastonati, finché “dopo averli caricati di colpi li gettaronoin carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guar-dia” (16,23), un incarico che egli esegue con solerzia, tan-to che “li gettò nella parte più interna della prigione e as-sicurò i loro piedi ai ceppi” (16,24).

Con gli evangelizzatori, anche il Vangelo entra nel fon-do di un carcere, in un abisso dove risuonano solo dispe-razione e solitudine; anzi è lo stesso Vangelo che conduce

Paolo a Filippi, portadell’annuncio cristiano

all’Europa: parlaalle donne fuori città,raggiunge e anima

il luogo più reconditodel carcere, entra nella

casa del carceriere.La notizia impressa

in lui, che libera e salva,viaggia veloce nelleperiferie esistenziali

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da un posto all’altro, in cerca di nuoveopportunità. Da tale pendolarismoeconomico derivano anche gravi pro-blemi abitativi.

La crisi economica, ma non solo,sta determinando però una grande fa-tica delle famiglie nel sostenere l’oneredell’abitazione, anche quando essac’è: in caso di affanno economico, lespese relative ai costi accessori per l’al-loggio sono tra le prime a essere rin-viate. Si riscontrano ritardi nel rimbor-so dei mutui, difficoltà nel pagare gliaffitti, mancati pagamenti delle spesecondominiali, ecc. Da tali situazioniderivano casi sempre più numerosi disfratto, di pignoramento giudiziario e

difficoltà con gli enti gestori delleutenze. Secondo i dati dell’Ufficio cen-trale di statistica del ministero dell’in-terno, raccolti in collaborazione congli uffici giudiziari e delle prefetture, iprovvedimenti esecutivi di “rilascio diimmobili ad uso abitativo” emessi nel2012 ammontavano a 67.790, di cuisolo 1.152 per necessità del locatore(1,7%) e 6.394 per finita locazione(9,4%), ma ben 60.244 per morosità ealtra causa (88,9%). E rispetto al 2011,i provvedimenti di sfratto emessi era-no cresciuti del +6,2%.

L’impoverimento determina an-che un progressivo decadimento del-le condizioni igienico-sanitarie delleabitazioni e del livello di manuten-zione degli edifici: con il venire menodelle disponibilità economiche dimolti nuclei, gli interventi di manu-tenzione esterna e interna degli edi-fici tendono a essere rinviati, deter-

Il disagio abitativo? Questione annosa in Italia. La crisi in atto ha solo acuito proble-mi che, in realtà, esistono da decenni. A monte un approccio sbagliato: assenza di interventi strutturali e risposte emergenziali ai problemi. Oltre all’assenza di inve-stimenti in politiche abitative da parte statale, con la patata bollente girata a regio-ni, province e comuni, peraltro alle prese con bilanci sempre più risicati.

Responsabilità forte, quella della politica. Lo conferma Guido Piran, segretariogenerale del Sicet, il sindacato Cisl deputato alla questione casa, partner di CaritasItaliana nella ricerca sul disagio abitativo. «La situazione attuale è frutto di anni di politiche sbagliate e di assenza di politiche, cui va aggiunto il nefasto connubiocon finanza e costruttori – commenta Piran –. Dal dopoguerra, in Italia si è privilegiata la proprietà della casa rispetto alla locazione per la classe media, come avviene nelresto d’Europa. La liberalizzazione degli affitti (legge 431) ha poi alzato i canoni di lo-cazione senza alcuna protezione sociale, se non il fondo sostegno affitti. Così oggi cisi trova nel mezzo della crisi con le famiglie in affitto che rappresentano la parte piùpovera della popolazione. La liberalizzazione sommata alla crisi ha generato questasituazione. Ma i problemi esistono da tempo e la politica non li ha voluti risolvere».

Per provare a uscire dal guado, secondo Piran «è fondamentale che le istituzioni capiscano che bisogna fare una politica abitativa di ampio respiro. E finanziarla. Servein primis una riforma della legge sui canoni di locazione, che io farei ruotare attorno al canone concordato per le abitazioni principali, alla cedolare secca per i costruttori e alla detraibilità come per i mutui. Servono poi strumenti per abbassare gli affitti e mi-sure per allargare l’offerta pubblica. Intanto recuperando tutto il recuperabile dal patri-monio abitativo nazionale non assegnato, senza consumare ulteriore suolo ma interve-nendo con grandi progetti che ridisegnino i quartieri, risanino le questioni irrisolte e in-tervengano sull’efficientamento energetico, riducendo così anche i costi di gestione».

Un’altra idea sarebbe quella della cosiddetta“edilizia sostitutiva”, ovvero l’abbattimento del-le strutture vecchie e fatiscenti da ricostruiresecondo parametri diversi e moderni: «Una co-sa che si fa in tutto il mondo, tranne che in Ita-lia, e che consentirebbe, tra l’altro, di poter ac-cedere a fondi europei. È una battaglia grossa– conclude Piran –: per vincerla serve una poli-tica attenta, che la sappia sostenere». [a.r.]

Sicet: «Decenni di assenza di politiche,ora si torni a investire. Su idee nuove»

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TRA STASI E SOFFERENZECartello segnala un alloggio

in vendita: il comparto immobiliareattraversa una fase di forte difficoltà

l’indagine erano stimate in 47.648.Per diversi anni, nei centri di ascol-

to Caritas, la presenza di persone to-talmente prive di abitazione si era an-data sostanzialmente riducendo, siadal punto di vista numerico che dalpunto di vista dell’incidenza sul totaledegli ascolti effettuati. Ma con la crisieconomica, le situazioni di esclusio-ne abitativa sono andate crescendo:aumentano coloro che dichiarano dinon avere un domicilio stabile e si ap-poggiano da amici, dormono in rifugidi fortuna, in macchina o in strada.Alcuni di coloro che faticano a pagarel’affitto finiscono in strada e, non tro-vando lavoro, finiscono per spostarsi

In caso di affanno economico, le speseper l’alloggio sono tra le prime a essererinviate. Si riscontrano ritardi nel rimborso

dei mutui, difficoltà nel pagare gli affitti,mancati pagamenti di spese condominiali…

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nazionale fame di case

La crisi ha acuito la vulnerabilità abitativain Italia. A diversilivelli.C’è fame di case, da parte dei moltiesclusi da un alloggio.Ma chi ne possiede o abita uno, fa semprepiù fatica a sostenernei costi. Caritas e Sicet-Cisl indagano il fenomeno

elle storie di ordinaria po-vertà registrate dalle Caritasin Italia, è sempre più fre-quente incontrare situazio-ni in cui è chiamata in cau-

sa la dimensione abitativa. Le quat-tro mura diventano sinonimo didisagio e povertà. Acuiti dalla crisi. Adiversi livelli.

I problemi non riguardano sola-mente persone senza dimora o privedi alloggio. Vi sono anche situazioni didisagio abitativo sperimentate da per-sone e famiglie che vivono in regolarialloggi, ma che incontrano difficoltàdi vario genere: aumentano le situa-zioni di coabitazione forzata e sovraf-follamento, i casi di vera e propriaesclusione abitativa, le situazioni incui non si riesce a far fronte alle speseabitative, il peggioramento della qua-lità degli alloggi, la difficoltà ad acce-dere al mercato immobiliare, ecc.

Il problema abitativo in Italia ri-guarda quindi un’ampia gamma di si-tuazioni intermedie. Anche perchésiamo terzultimi, in Europa, in termi-ni di peso delle abitazioni sociali sulpatrimonio abitativo; peggio di noisolo Portogallo e Spagna. In Italia il 6%del patrimonio immobiliare è di edi-lizia residenziale pubblica: in Franciasi arriva al 18%, in Germania al 21%.

Esclusione e affannoL’esclusione abitativa è il gradino piùbasso di disagio, e coincide con le piùgravi situazioni di deprivazione allog-giativa. In base a una rilevazione con-dotta da Istat e Fio.psd, e finanziatada Caitas e ministero del welfare, lepersone senza dimora che, nei mesidi novembre-dicembre 2011, hannoutilizzato almeno un servizio di men-sa o accoglienza notturna nei 158 co-muni italiani in cui è stata condotta

di Walter Nanni

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fondo anti-sfratti, sostenuto dallaFondazione Cassa di risparmio diAsti, nato per cercare d’intercettare esostenere chi inizia ad avere difficoltàa pagare l’affitto. A fine dicembre lerichieste di contributo erano 186, dicui 145 finanziate per 192 mila euro.Tra i richiedenti molti stranieri, ma lamaggior parte sono italiani.

Il parcheggio e l’incuriaA Grosseto, 400 chilometri più a sud,la situazione non è tanto diversa. Dapoco più di un anno Coeso – Societàdella Salute (consorzio tra sei comunie l’Asl locale) gestisce per conto del co-mune capoluogo la questione casa.Gestisce anche gli alloggi dell’ex resi-dence turistico “Il Poggio”, in localitàRoselle, struttura acquistata dal comu-ne di Grosseto nel 2001, che accoglie,

in una novantina di mono e bilocali,nuclei familiari in condizioni di emer-genza abitativa: un cuscinetto tra laperdita della casa e l’assegnazione diun alloggio popolare. Ma non è tuttorose e fiori: «Inizialmente – spiega Sa-brina Morandi, responsabile dell’Os-servatorio delle povertà e delle risorsedella Caritas diocesana – gli apparta-menti erano destinati all’emergenzaabitativa per brevi periodi. Ma moltefamiglie sono state abbandonate a lo-ro stesse e parcheggiate lì. Alcunestanno bene, perché di fatto paganopoco o quasi nulla, ma tante altre vi-vono questa situazione con disagio». Ela struttura manifesta sintomi di vec-chiaia e incuria, oltre a dover fare iconti con problemi di sovrappopola-zione, di violenza e di droga.

«Come tendenza generale – spiega

Caritas Italiana e Cisl-Sicethanno siglato un’intesa per realizzare un’indaginecongiunta, con lo scopo di rilevare e approfondire la presenza di vecchi e nuo-vi fenomeni di disagio abi-tativo nell’universo dei loroservizi di ascolto e di assi-stenza, alla luce dell’attualeperiodo di crisi.

Verranno condotte inter-viste a un campione rappre-sentativo di utenti Caritas e associati Sicet, in 15 cittàmetropolitane (Torino, Ge-nova, Trieste, Venezia, Mila-no, Bologna, Firenze, Roma,Napoli, Cagliari, Bari, Reg-gio Calabria, Catania, Mes-sina e Palermo). La raccoltadei dati partirà a marzo e si concluderà a maggio: i primi risultati verranno divulgati all’inizio dell’esta-te, mentre la pubblicazionedel report finale è previstaper l’autunno 2014.

Caritas e Sicet,Indagine da marzoin 15 città

Morandi –, fino a qualche anno gliutenti che si rivolgevano a noi per lacasa erano in maggioranza stranieri,oggi la metà sono italiani. Da tempostiamo cercando di creare nel territo-rio un centro d’accoglienza. Ma ab-biamo incontrato tante difficoltàconcrete, sebbene non nel dialogocon le istituzioni».

Si è così optato per soluzioni alter-native: il progetto “Famiglie per la fa-miglia” si occupa di nuclei alle presecon situazioni di disagio e un accor-do con l’azienda locale di edilizia re-sidenziale pubblica consente alla Ca-ritas di farsi garante e pagare affitti,attingendo a un fondo dedicato, perevitare sfratti, a fronte dell’impegnodelle famiglie a pagare le rate succes-sive. Si tamponano le emergenze, inattesa di tempi migliori.

ESTREMI RIMEDIStriscioni pendono dai terrazzidi un palazzo occupato a Roma: le occupazioni sono pratica diffusa nella capitale

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nazionale fame di case

Il disagio abitativo incide anche in provincia. Tra i soggetti del privatosociale attivi per chi ha problemi con la casa, molte Caritas diocesane

Asti punta su azioni di rete,Grosseto previene gli sfratti

di Alberto Rizzardi

n Italia la sofferenza abitativanon riguarda solo le grandi cit-tà. Se è vero, analizzando i datisugli sfratti del ministero del-l’interno, che Roma, Milano e

Torino guidano la classifica 2012 intermini assoluti, sino invece Prato, Lo-di e Novara le città con il maggior nu-mero di sfratti in relazione al numerodi residenti con un canone di locazio-ne, seguite da Pavia, Rimini, Pistoia,Vercelli, Terni, Cosenza, Varese, Avel-lino, Cremona e Lucca, solo per citar-ne alcune. Non certo metropoli.

In attesa di un piano nazionale

strutturale per la casa che manca dadecenni, tante sono le iniziative percercare di rispondere ai crescenti bi-sogni abitativi. Da nord a sud. AdAsti, per esempio (318 sfratti emessinel 2012 , appena 6 per finita locazio-ne e una famiglia interessata ogni 307residenti), i progetti sono molteplici:«Abbiamo iniziato da un coordina-mento, anche tecnico, tra i vari centrid’ascolto della città – spiega BeppeAmico, direttore della Caritas dioce-sana – per dare risposte unificate. Nel2010 avvertimmo che ci sarebbe sta-to un incremento del problema.

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Nella provincia piemontese, la Caritasgestisce un fondo anti-sfratti: trai richiedenti la maggior parte sono italiani.

In Maremma, un progetto attiva le famiglie.E intanto Caritas garantisce gli affitti

L’evoluzione è stata piuttosto sempli-ce: crisi vuol dire perdita del lavoro,risorse finite, impossibilità di pagareun affitto. I soggetti senza rete fami-liare alle spalle si sono rivelati i piùdeboli e a maggior rischio di perditadella casa. Le istituzioni locali, maanche il privato sociale, non riesconoa garantire una casa a tutti. C’è biso-gno di risposte abitative a monte, chetengano conto dei cambiamenti so-ciali. Occorrono idee, risorse e capa-cità di fare rete. L’incrocio tra bisognoe offerta deve essere regolato, anchetramite un accompagnamento dellesingole persone e famiglie. Ci vorreb-be un percorso che unisca le logichedei proprietari d’immobili e le neces-sità di chi ha bisogno. Altrimenti la si-tuazione non può che peggiorare».

La Caritas diocesana gestisce un

1,4 milioni nel 2001 e si è ridotta pro-gressivamente fino alle 925 mila del2011, ma per il 2013 si prevedevascendesse sotto quota 900 mila. Ed èbasso anche il tasso di realizzazione:tra tutte le famiglie che nel 2012 han-no espresso una domanda di abita-zione, sono riuscite a effettuare l’ac-quisto il 47% (erano il 57% nel 2011).

Il problema, si diceva, è aggravatodalla carenza di offerta residenzialesociale pubblica: in Italia ci sono trai 30 e i 40 mila alloggi popolari sfitti,a causa della confusione ammini-strativa e del rinvio dei lavori di ri-strutturazione da parte delle agenzieche si occupano di gestire le case po-polari. E tutto questo mentre in filaper riceverne una ci sono 650 milapersone. A Milano, a fronte di una ri-chiesta stabile sulle 20 mila doman-de, riescono a entrare in un alloggiopopolare 700 famiglie ogni anno.L’avanzata della vulnerabilità abitati-va non conosce crisi…

gessature del mercato immobiliare:la scarsa offerta di abitazioni in loca-zione a prezzi accessibili, l’elevatocosto medio delle abitazioni in com-pravendita e le sempre più elevatebarriere di accesso al credito deter-minano, nel loro complesso, ulteriorielementi di disagio abitativo, ampia-mente rintracciabili nelle statistiche.

Secondo i dati Nomisma, il calodel settore immobiliare, rispetto alperiodo pre-crisi, è stato molto forte:in soli cinque anni, dal 2008 al 2012,il numero complessivo di transazionieconomiche immobiliari in Italia si èridimensionato del 40-50%. Sempremeno persone sono disposte a com-prare un’abitazione: il 79% delle 25milioni di famiglie italiane vive inun’abitazione in proprietà, ma talequota non sembra destinata a cre-scere ulteriormente. La domandaespressa di abitazione ha fatto regi-strare un progressivo ridimensiona-mento: secondo il Censis, era pari a

minando situazioni di oggettivo ri-schio per l’incolumità pubblica.

Convivenze e scarsa offertaPer ovviare a queste situazioni, anchea causa della carenza delle politicheabitative pubbliche, sia quelle diemergenza che quelle di più ampiorespiro, appaiono sempre più diffusepratiche fai-da-te e soluzioni di ripie-go, di carattere provvisorio. Nell’atte-sa dell’assegnazione di una casa po-polare o di interventi di sostegno de-gli enti pubblici, una delle possibilitàè richiedere ospitalità ad amici o pa-renti. Il fenomeno della coabitazione,una volta limitato ai soli stranieri, sista cominciando a diffondere conuna certa velocità anche tra gli italia-ni, evidenziando inaspettate capacitàdi adattamento alla crisi economica.Si riscopre l’ospitalità provvisoria.

D’altro canto, una componente didifficoltà che caratterizza l’Italia, ri-spetto ad altri paesi, risiede nelle in-

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ottobre, il naufragio piùdrammatico. E per 366 vol-te, al molo Favarolo, si è do-vuto assistitere al rito del ri-conoscimento di uomini,

donne, bambini che nel mare diLampedusa hanno trovato la morte,invece di approdare alla speranza diuna vita migliore. Una prassi pietosae dolorosa, che nemmeno sempre èpossibile assicurare ai troppi mortinel Mediterraneo (ventimila gli ac-certati, e chissà quanti sono quelli dicui non si ha notizia), vittime di rottemigratorie insicure, dello sfrutta-mento da parte di trafficanti di uomi-ni, di politiche che sostituiscono il re-spingimento all’accoglienza.

Immobilità invernaleA cinque mesi di distanza, la situazio-ne a Lampedusa è alquanto mutata.Le strade sono vuote e l’isola è strettanel suo riposo invernale, che per molticoincide con giorni di difficoltà eco-nomica, a causa del rallentamento del

comparto turistico, unica fonte di so-stentamento dei lampedusani. Im-mobilità: non ci sono i turisti. E nem-meno i migranti eritrei, che partecipa-vano alla messa delle 8,30 lasciando lescarpe, per rispetto, fuori dalla porta.

Il centro di accoglienza dell’isola,finito sotto i riflettori dei media na-zionali, a gennaio, a causa delle im-magini choc sui trattamenti antiscab-bia impartiti ai richiedenti asilo, èchiuso per ristrutturazione: i migrantisoccorsi in mare vengono portati di-rettamente in Sicilia. È l’ennesima di-mostrazione che i flussi migratorinon possono essere più affrontati co-me fenomeno emergenziale. La reteCaritas ripete questa cantilena datempo e in tutti i luoghi, compresiquelli istituzionali. Ma Lampedusaper anni è rimasta in balìa degli even-ti: da un lato vedeva consumarsi tra-gedie, dall’altro assisteva al dibattitotra difensori della sicurezza della po-polazione e fautori dell’accoglienzadei migranti.

nazionale immigrazione

LampaLampa

di Giuseppe La Rocca

Progetto di Caritas e Migrantes per Lampedusa: due strutture e varieazioni, per manifestareattenzione ai bisognidella popolazionelocale e dei migrantiche vi approdano.Volontari da tuttaItalia. Per ribadire che l’immigrazionenon è un’emergenza

APiù vicini all’isola

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PENSIERO AI FRATELLIImmigrati africani durante

le manifestazioni in ricordodelle centinaia di morti

durante i tragici naufragidell’autunno 2013

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componente irregolare della popola-zione immigrata presente in Italia,che vive in alloggi che per loro naturae caratteristiche (caravan, container,baracche, garage, soffitte e cantine)non possono essere classificati comeabitazioni. Ciò vale anche per gli im-migrati regolari che, con le norme in-trodotte dalla legge Bossi-Fini, pos-sono trovarsi in situazioni di irrego-larità, anzitutto a causa della perditadel posto di lavoro: è una condizionedi vulnerabilità, che comporta il ri-schio di rimanere senza alloggio esenza appoggio di reti amicali e pa-rentali. Ed è una condizione tipica del lavoro in agricol-tura, soprattutto nelle regioni meridionali d’Italia, che co-stringe gli immigrati a vivere in alloggi di fortuna (occu-pazione abusive, baracche) o a non avere fissa dimora.

Strategia anti-ostacoliIn generale, le abitazioni delle famiglie con stranieri pre-sentano, rispetto a quelle italiane, maggiori problemi disovraffollamento, dovute alle convivenze nella stessa abi-tazione di parenti, amici e connazionali, ciò che permettedi ridurre le spese per l’affitto, oltre ovviamente alla pos-sibilità di sostegno reciproco. A questo si associa la scarsaqualità dell’abitazione rispetto alle famiglie italiane. Vasegnalata una maggiore percentuale di immigrati, rispet-to agli italiani, che vivono in condizioni di precarietà abi-tativa, anche a causa del loro adattamento a vivere sia instrutture di accoglienza sia in alloggi la cui destinazione

miglie e dei lavoratori in agricoltura).I dati relativi all’affitto indipendente (come detto,

50,4%) e alla proprietà della casa (11,8%), fanno riferi-mento a un’immigrazione in qualche modo “privilegiata”,comunque caratterizzata da un certo successo nel pro-cesso d’inserimento sociale. L’acquisto della casa è unastrategia attivata dagli immigrati per far fronte agli osta-coli che si presentano loro nella ricerca di alloggio, soprat-tutto quando si trovano in una fase “matura” del percorsomigratorio, che li orienta alla stabilizzazione insediativa.

Tra quelle che vivono in affitto, oltre una famiglia suquattro (26,3%) ha però dichiarato di essere stata almenouna volta in arretrato con il pagamento del canone (con-tro il 10,5% delle italiane). Analogamente, è circa doppiala frequenza dei casi in cui le famiglie non si sono potutepermettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione(18,1% contro 10,1%).

UN TETTO, MA PRECARIOSTABILIZZARSI È UN’IMPRESA

dall’altromondodi Oliviero Forti

non sarebbe propriamente abitativa.Dai primi dati dell’ultimo censimen-to generale della popolazione, sem-bra inoltre confermato l’aumento difamiglie straniere che hanno dichia-rato di abitare in baracche, roulotte,tende o abitazioni simili.

In base ai dati delle ricerche em-piriche, si può dunque affermare chele condizioni abitative rappresenta-no uno dei fattori di disagio socialedegli immigrati, anche se questi di-spongono di un regolare permessodi soggiorno e di un lavoro stabile.Indagini approfondite su questo tipodi disagio abitativo sono state con-dotte riguardo albanesi, marocchinie romeni.

Un passo ulteriore per analizzarela condizione abitativa degli immi-grati è esaminare il titolo di godi-mento dell’abitazione in cui essi vi-vono. La maggior parte degli immi-grati vive in affitto, da solo o conparenti (50,4%). È importante ancheil dato relativo all’affitto condivisocon altri e presso il datore di lavoro(26,2%: è il caso, cui si è già accenna-to, delle donne che lavorano nelle fa-

L a necessità, da parte degli immigrati in Italia, di trovareun’abitazione adeguata ai loro bisogni, soprattutto familiari,incontra spesso numerosi ostacoli di natura sia sociale, sia

economica, sia politico-istituzionale. Questo percorso accidentato,aspetto centrale dell’esclusione sociale degli migranti, trova le sueragioni nel fatto che essi subiscono sia i comportamenti discrimi-natori e le rappresentazioni xenofobiche da parte degli italiani, siaun’inadeguata disponibilità di edilizia residenziale pubblica.

Il quadro delle reali condizioni abitative degli immigrati sfuggealle rilevazioni statistiche: non censita, ovviamente, è la significativa

I migranti in cerca di casa trovano ostacoli

ancora più numerosidegli italiani. Si adattano

meglio a condizioni di vita precarie. E devonoaccontentarsi di alloggiinadeguati, convivenze

forzate, stanzesovraffollate. Meno

del 12% ha un’abitazionedi proprietà

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tura polifunzionale ospiterà invece laludoteca per i bambini migranti euno “spazio donne”, pensato per con-durre attività di accompagnamentodelle donne migranti vittime di vio-lenza e di promozione socio-lavorati-va per donne sia migranti che isolane.L’idea è avviare laboratori che coin-volgano migranti e lampedusane, pervalorizzare attività artigianali e cultu-

nordafricane, chiamano l’isola, estre-mo lembo meridionale d’Italia. Il pro-getto prevede l’installazione di duestrutture: il centro operativo nei pressidella chiesa di San Gerlando e un pre-fabbricato polifunzionale di due mo-duli presso la “Casa della Fraternità”.

Il centro operativo (attualmente inun immobile in affitto) avrà la sededefinitiva nei locali della ex radio,messi a disposizione dallaparrocchia. Qui un’équipeformata da operatori e vo-lontari (circa sei, per turnidi dodici giorni) di tutte leCaritas e le Migrantes dio-cesane d’Italia garantirà unservizio di sostegno ai mi-granti e di supporto volon-tario alla macchina istitu-zionale dell’accoglienza, ol-treché di contrasto dellepovertà e marginalità socialipresenti nell’isola. La strut-

rali isolane e iniziare forme di coope-razione che potrebbero diventare, infuturo, fonti di reddito. Nel secondomodulo del prefabbricato troveràspazio il centro di accoglienza dei vo-lontari delle Caritas e Migrantes dio-cesane, provenienti a Lampedusa datutta Italia. Mentre il centro operativoè già attivo, i due moduli lo saranno,ottenuti le autorizzazioni del comu-

ne, entro fine estate. La rete Caritas e la Fon-

dazione Migrantes hannointeso rispondere con que-sta iniziativa all’appello dipapa Francesco che, chie-dendo di gestire in modonuovo, equo ed efficace lemigrazioni, indica comestrumenti fondamentali lacooperazione e la solidarie-tà. Con “LampaLampa” vie-ne rilanciata con forza lanecessità di un approccioglobale al tema dell’immi-

grazione e dell’asilo, auspicando an-che una revisione normativa radicalee richiamando le istituzioni al lororuolo di garanti dell’applicazionedella legalità e dei diritti umani.

Papa Francesco ha voluto iniziare la sua esperienza di pastore lontano da Roma proprioda Lampedusa, isola alla periferia dell’Europa. «Abbiamo perso il senso della responsabi-lità fraterna. La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere – dis-se il papa in occasione di quella visita, a luglio, in uno dei passaggi più toccanti della suaomelia –. La cultura del benessere rende insensibili alle grida degli altri, fa vivere in bolledi sapone. È una situazione che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globa-lizzazione dell’indifferenza e all’anestesia del cuore».

Da quella visita, improvvisata e informale, si è poi avviato un reale processo di cambia-mento. L’attenzione del papa prima, e del suo elemosiniere apostolico monsignor KonradKrajewski poi, in occasione dei tragici naufragi di ottobre, ha consentito di portare l’atten-zione dei media sul Centro di primo soccorso ed accoglienza (Cpsa) dell’isola, non ade-guato a garantire l’accoglienza di numeri consistenti di migranti, nel rispetto degli stan-dard minimi richiesti all’Italia dall’Europa per il rispetto dei diritti e della dignità umana.

Grazie alla visita papale si è dunque innescato un meccanismo di attenzione euro-pea nei confronti del sistema di accoglienza italiano, che ha implicato anche un’audi-zione al parlamento europeo di monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agri-gento e presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni e della FondazioneMigrantes della Chiesa italiana: tutto ciò ha condotto alla chiusura temporanea delCpsa per lavori di ristrutturazione, alla sospensione dell’incarico all’ente gestore e al-l’avvio dell’operazione navale “Mare Nostrum”.

Tra gli altri effetti della visita papale, anche il contributo al varo del progetto “Lam-paLampa” e del Centro operativo Caritas-Migrantes, in parte realizzato con il contributoche il papa ha lasciato alla Caritas diocesana di Agrigento; importante anche un con-tributo della Fondazione Giovanni Paolo II. «Non volevamo che le parole del papa ca-dessero nel vuoto – hanno commentato monsignor Montenegro e Valerio Landri, diret-tore della Caritas diocesana di Agrigento –. Il suo aiuto ci consente di realizzare opereche saranno riferimento concreto per migranti e lampedusani».

Parole e opere: tutti i fruttidella visita di papa Francesco

“LampaLampa” rilancia la necessitàdi un approccio globale a immigrazione e asilo, auspicando una revisione normativa

e richiamando le istituzioni al loro ruolodi garanti della legalità e dei diritti umani

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to 1 febbraio il centro operativo Cari-tas-Migrantes e il progetto per l’isola,alla presenza di molte autorità eccle-siali e civili, nazionali e locali, inclusidon Mimmo Zambito e Giusi Nicoli-ni, parroco e sindaco di Lampedusa.

Quello elaborato per Lam-pedusa è un progetto integratoe complesso, rivolto alla co-munità lampedusana (che vivemolteplici difficoltà) e ai mi-granti (che approdano sull’iso-la con il loro carico di speranzee il loro progetto migratorio).Operatori e volontari che ver-ranno da tutte le diocesi italia-ne testimonieranno con il loroimpegno che Lampedusa, pe-riferia geografica d’Europa,non è solo un “problema” deisuoi abitanti e al più della chie-sa di Agrigento, diocesi in cui èinserita, ma della Chiesa na-zionale e universale.

Per Lampedusa, Caritas eMigrantes hanno varato unprogetto integrato, denominato“LampaLampa”, riprendendol’espressione con cui i migrati,in attesa di partire dalle coste

Oggi, forse spinte dal fragore emo-tivo delle morti del naufragio d’otto-bre, sembra che le istituzioni stianoprendendo consapevolezza della ne-cessità di intervenire. Sul fronte del-l’accoglienza l’Europa – dopo i fatti diottobre – ha reso disponibili ingenti ri-sorse: la sfida deve essere il ripensa-mento del sistema in una prospettivaorganica, più rispettosa dei diritti deimigranti, più efficace nel monitorarel’impiego di fondi da parte di enti, or-ganizzazioni e associazioni (anche delterzo settore) che gestiscono appalti econvenzioni per realizzare i servizi.

Anche sull’asse normativo-giuridi-co servono profondi cambiamenti,mentre occorre consolidare le funzio-ni di coordinamento e monitoraggio:solo così le risorse stanziate sarannodavvero impiegate e non disperse.

Non è solo un problemaIn questa prospettiva, la presenza diCaritas e Migrantes a Lampedusa,con il progetto “LampaLampa”, vuoleessere garanzia di vicinanza alla co-munità lampedusana e a tutti coloroche, a vario titolo, arrivano sull’isola,a partire dai migranti. «La chiesa ita-liana, anche a seguito degli appelli dipapa Francesco, fa sentire la sua vocea sostegno e a tutela dei fratelli più

sfortunati, attraverso azioni concreteche sono espressione di quella solida-rietà che deve innervare la nostra te-stimonianza evangelica», ha dichia-rato don Francesco Soddu, direttoredi Caritas Italiana, inaugurando saba-

nazionale immigrazione

Dieci proposte concrete. Un decalogo di intervento urgente per far fronte alladifficile situazione di Lampedusa, e alle esigenze di accoglienza delle personemigranti che vi sbarcano. Il 12 febbraio una delegazione di Caritas Italiana eFondazione Migrantes, guidata dal presidente della Commissione Cei per le mi-grazioni, presidente di Migrantes e arcivescovo di Agrigento, monsignor France-sco Montenegro, e dal sottosegretario Cei, don Bassiano Uggè, è stata ricevutaa Palazzo Chigi dall’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio, FilippoPatroni Griffi, e da alcuni funzionari.

Oggetto dell’incontro, la presentazione di un position paper (documento di posi-zione), firmato da monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, e mon-signor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes: contieneuna breve analisi del contesto lampedusano e articola dieci proposizioni, che pro-pongono al governo altrettante azioni. Si va da richieste politiche più ampie (revi-sione delle politiche di accesso al territorio italiano: proposizione 1) a indicazionilocali e di dettaglio (ristrutturazione urgente e ampliamento del presidio scolasticodell’isola: preposizione 10): un pacchetto concreto e documentato di proposte diintervento, per fare dell’accoglienza una prassi di civilt, ripristinando nel contempouna clima di serenità nell’isola, anche a vantaggio della popolazione locale.PER LEGGERE IL “DECALOGO” www.caritas.it

Decalogo presentato al governoper migliorare l’accoglienza

DOPO LA TRAVERSATALa tenda per i minori sbarcati,aperta da Caritas e Save the

children: anteprima del piùampio programma di interventi

Caritas-Migrantes sull’isola.Sotto, relitti di barche dietro

il campo sportivo dell’isola

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Le buone notizieAltre due buone notizie sono arrivatecon la legge di stabilità per il 2014, cheil parlamento ha approvato a fine 2013.Il Fondo nazionale per il servizio civilepotrà contare, quest’anno, su 105 mi-lioni di euro. È vero che la ministra Cé-cile Kyenge, che ha la delega sul servi-zio civile, ne aveva chiesti «almeno 120milioni per ciascuno dei prossimi treanni», tuttavia lo stanziamento appro-vato è un segno di inversione di ten-denza, rispetto ai 71 milioni di euro di-sponibili nel 2013. Certamente siamoancora lontani da un finanziamentoche consenta a 40-50 mila giovani diprestare servizio civile, numero appe-na significativo per un’esperienza chetutti, all’estero, ci invidiano...

La legge di stabilità per il 2014 haanche deciso di finanziare con 3 milio-

ni di euro, per ciascuno degli anni2014, 2015 e 2016, l’istituzione di un“contingente di corpi civili di pace, de-stinati alla formazione e alla sperimen-tazione della presenza di 500 giovanivolontari da impegnare in azioni di pa-ce non governative nelle aree di con-flitto o a rischio di conflitto o nelle areedi emergenza ambientale”. Questocontingente verrà organizzato secon-do quanto previsto dalla legge sul ser-vizio civile nazionale, ulteriore ricono-scimento della funzione di costruzionepositiva della pace propria del serviziocivile, anche in situazioni di conflitto oemergenza. Finora su questo tema si èaccumulata una notevole base teoricae si è avviata una prima sperimenta-zione, con l’invio di sei volontari in Al-bania per tentare di arginare il triste fe-nomeno delle “vendette di sangue”

Il servizio civile (se fatto bene) serve anchedopo i dodici mesi dell’esperienza, poiché arricchisce un bagaglio dal quale

estrarre ciò che risulta più utile a vivere con responsabilità in una comunità allargata

(Italia Caritas, gennaio 2013). Ora sitratta di ampliare tale sperimentazionee realizzare veramente il sogno di un“esercito di pace”, prefigurato da donTonino Bello con la famosa marcia dei500 a Sarajevo nel 1992.

Cattedra di fraternitàIl 2013 si è infine chiuso con una de-cisione importante nel quadro delrapporto tra giovani, lavoro e serviziocivile. Quest’anno infatti vedrà l’av-vio la Youth Guarantee (GaranziaGiovani), programma comunitarioprevisto dalla raccomandazione delConsiglio dell’Unione europea del 22aprile 2013, volto a favorire l’occupa-bilità e l’avvicinamento dei giovani almercato del lavoro. Il percorso preve-de misure, a livello nazionale e terri-toriale, per offrire a giovani tra 15 e 25anni (ma per alcune si arriva anche a29) opportunità di orientamento, for-mazione e inserimento al lavoro.

Ma cosa c’entra con questo il servi-zio civile? Chiarito che non è una for-ma di lavoro, la storia di questi anni hadimostrato che i giovani che lo svol-gono acquisiscono capacità relazio-nali spesso sono molto utili proprionel mercato del lavoro. Insomma, ilservizio civile (se fatto bene) servenon solo durante i dodici mesi del-l’esperienza, ma anche dopo, poichéarricchisce un bagaglio personale dalquale estrarre, all’occorrenza, ciò cherisulta più utile a vivere con responsa-bilità in una comunità allargata.

Per questo la Garanzia Giovani hainserito il servizio civile in quei percorsidi formazione non formale che posso-no essere utili ai giovani, proprio in vi-

Sarà Genova a ospitare, il 12 marzo, il decimo incontro nazionale dei giovani in servi-zio civile, promosso dal Tavolo ecclesiale sul servizio civile nel giorno in cui si celebrala memoria di San Massimiliano di Tebessa, martire nel 295 per il suo rifiuto di servi-re nell’esercito romano in nome della fedeltà al Vangelo. Il tema sul quale ruoteràl’incontro è "Fraternità, fondamento e via per la pace", scelto da papa Francesco per la Giornata mondiale della pace dello scorso 1 gennaio. Come il servizio civilepuò costruire fraternità? Quale contributo può dare alla pace? A queste domande risponderanno alcuni volontari in servizio, in Italia e all’estero, ai quali seguiranno due testimoni di fraternità vissuta con gli ultimi: don Luigi Ciotti e suor Giuliana Galli.Non mancherà una visita per i caruggi, le vie del centro storico, in un itinerario oltre le ferite, alla ricerca di segni di pace e fraternità. A concludere il meeting, la messa in cattedrale, presieduta dal cardinal Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova.

L’APPUNTAMENTOSan Massimiliano a Genovacon Ciotti, Galli e Bagnasco

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dieci giorni, a giovani cittadini nonitaliani. Dopo la sentenza del Tribu-nale di Milano, che a novembre ave-va dato ragione a quattro aspirantivolontari che si erano visti respinge-re la domanda di servizio civile per-ché non italiani, il Dipartimento hadeciso di consentire anche agli “stra-nieri” la possibilità di presentareistanza per prestare il servizio, anchein assenza di una esplicita modificadella legge.

Pur restando convinti che nonpuò bastare una sentenza a modifi-care una legge, cosa per la quale ènecessario che il parlamento inter-venga in maniera inequivocabile,tuttavia è innegabile il significatostorico che l’apertura di questo ban-do ha per l’intero servizio civile, checosì vede completata la sua tradizio-nale funzione di difesa civile e nonarmata della patria con la funzionedi integrazione e di non esclusioneverso tutti coloro che vivono nel no-stro paese e intendono, col propriocontributo, farlo progredire.

l 3 febbraio scorso, 525 volon-tari hanno iniziato il loro servi-zio civile, in Italia e all’estero,nei progetti realizzati da Cari-tas. Con loro, altri 5 mila giova-

ni hanno cominciato la stessa espe-rienza in altri 200 enti. Non sembre-rebbe una notizia, ma in realtà lo è. Igiovani che hanno cominciato il ser-vizio, infatti, hanno partecipato albando pubblicato il 4 ottobre 2013,che prevedeva circa 15 mila posti (dicui 502 all’estero): il numero più bas-so negli ultimi dieci anni. Non solo. Ilbando è arrivato a due anni di distan-za dal precedente, emanato a settem-bre 2011 per poco più di 20 mila posti.Nel 2012, infatti, il Dipartimento dellagioventù e del servizio civile naziona-le non aveva pubblicato alcun bando.

Ma quella del bando ordinario fi-nalmente emanato, dopo un anno di“fermo biologico”, non è l’unica noti-zia del 2013. Anzitutto c’è da ricorda-re che questo bando è stato il primodella storia del servizio civile italianoad essere aperto, anche se solo per

Idi Diego Cipriani

Dopo un anno di stop,il servizio civile tornaa funzionare: bandoper un numero ridottodi giovani. Il governoracimola fondi e inserisce il servizionella “Garanziagiovani” europea. Ma in futuro servirannoidee chiare e risorsecerte. Soprattuttose si vuole estenderel’esperienza a tutti

nazionale giovani

ripartePerò bisogna investire…

siServiziocıvıle,

RECLUTAMENTO E SERVIZIOUn manifesto per incoraggiarei giovani a svolgere il Servizio civilenazionale. A destra, giovanevolontario all’Aquila dopo il sisma

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ino a pochi mesi orsono, iltermine “periferia” sembra-va appannaggio solo dei so-ciologi, oppure di soggettioperanti nelle grandi città.

Poi il “ciclone Francesco” – l’insiemedel pensiero, della simbologia e del-l’azione del Papa venuto dai confinidel mondo – ha cambiato le cose, an-che in ambito ecclesiale.

Parlare di periferie è riferirsi, co-me dice l’etimologia del termine, allacirconferenza che racchiude unospazio, che cinge, che fa da confine,che protegge, ma che fa anche daluogo di transizione e contaminazio-ne. Temi, questi, che chi offre servi-zio alle nuove e vecchie vulnerabilitàsociali ben conosce. Perché non sitratta solo di luoghi geografici ma,sempre più, di luoghi dell’anima edel cuore, modi particolari di rela-zione e modi di sentirsi e definirsi.Luoghi che attengono alla vita dellepersone e delle comunità e, dunque,ambiti in cui viene cercato e vissuto

il Vangelo. Luoghi che però rischianodi rimanere disabitati dall’attenzio-ne pastorale delle nostre Chiese, per-ché difficili da contattare e ancor piùdifficili da educare.

Triplice rischioDi tali ambiti le Caritas diocesaned’Italia hanno tracciato un’ampia fo-tografia in occasione del Convegnonazionale celebrato nella primavera2013 a Pescara. Tratti desunti dal-l’esperienza dei centri di ascolto edall’approfondimento degli osserva-tori delle povertà. Fotografia nitidanella descrizione, che ha sottolineatoi volti su cui si intravvedono povertàe marginalità, colorate con tinte inparte antiche e in parte nuove: fami-glie percorse dalle crisi, difficoltà pro-venienti dalla carenza di senso e si-gnificati, vulnerabilità che si trasfor-mano in dipendenza o in fragilitàinteriore, persone diventate soggettisingolari per le divisioni e le sconfittepsicologiche e sociali, stranieri alla ri-cerca di identità...

A questo punto i rischi possonoessere per lo meno tre. Anzitutto fer-marsi o insistere sulla descrizione deifenomeni, con la possibilità di caderein forme più o meno sterili di lamen-

di Pierluigi Dovis

A Cagliari, dal 31 marzo, il 37° Convegno nazionale delle Caritasdiocesane, sul tema “Con il Vangelo nelle periferie esistenziali”. Attesi 500 delegati. Chiamati, come chiede il Papa, non solo ad analizzare i margini sociali. Ma a trasformarli, trasformandosi

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E in cambiamentoIn uscita

nazionale convegno caritas

Periferie. Luoghi dell’anima e del cuore.Luoghi che però rischiano di rimaneredisabitati dall’attenzione pastorale

delle nostre Chiese, perché difficili da contattare. E ancor più difficili da educare

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Col bando 2013, Caritas Italiana ha visti finanziati 61 progetti in Italia,per 470 posti, e 9 progetti all’estero per 55 posti. I progetti (che vedonocoinvolte 41 Caritas diocesane) avrebbero potuto essere molti di più. A Caritas Italiana, infatti, erano stati approvati 186 progetti, per 1.295volontari, ma i fondi disponibili hanno permesso al Dipartimento di finan-ziare solo i progetti con un punteggio pari o superiore a 66 nella gradua-toria degli enti nazionali. Se si pensa che i soli enti nazionali, come Cari-tas, hanno visto approvati progetti per un totale di 23.153 volontari e che a fronte di questa “offerta” sono stati posti a bando solo 8.116 posti, è evidente l’enorme sproporzione tra il potenziale d’impiego da parte degli enti (quasi tutti del privato sociale) e le ristrettezze degli investimenti statali. Senza contare che i progetti sono stati “pensa-ti” nel 2012, approvati e finanziati nel 2013, avviati nel 2014 per termi-nare nel 2015: una concezione del tempo un po’ dilatata…

Per i suoi 525 posti, la Caritas ha ricevuto ben 2.123 domande: quasiquattro aspiranti per ciascun posto (ma per alcuni progetti la proporzioneè maggiore). Insomma, i giovani vogliono più servizio civile.

I NUMERICon Caritas 525 giovani,ma le richieste erano molte di più

gennaio, dal cardinale Angelo Bagna-sco nella prolusione al Consiglio per-manente della Cei. Parlando della dia-lettica tra l’”io” e il “noi”, tra individua-lismo e partecipazione responsabile,

nazionale giovani

sta del loro inserimento nel mondo la-vorativo. Recita infatti il documento go-vernativo: “Essa offre la possibilità diacquisire conoscenze sui settori di in-tervento del Servizio civile nazionale(assistenza alle persone, protezione ci-vile, ambiente, beni culturali, educazio-ne e promozione culturale), nonchécompetenze trasversali utili a facilitarel’ingresso nel mercato del lavoro deisoggetti interessati.” Speriamo chequello dichiarato sia un impegno che lostato prende nei confronti dei giovaniche chiedono di fare servizio civile (esono molti di più di quanti riescono poia farlo) anche incrementando i fondinecessari: solo così si potrà dimostrareche “l’Italia intende investire sui giova-ni”. In particolare, potrebbero vedere laluce specifici progetti volti a proporre ilservizio civile ai cosiddetti Neet, queigiovani cioè in cerca di lavoro o inattivi,e senza percorsi educativi in atto.

Indubbiamente si tratta di unanuova sfida per l’intero sistema delservizio civile, chiamato da un lato anon perdere le proprie radici e dall’al-tro ad adeguarsi alle mutate condizio-ni sociali e ai cambiamenti generazio-nali. E che il servizio civile debba“cambiar pelle” è forse il messaggiosottinteso al passaggio dedicato al te-ma del servizio civile, lo scorso 27

presidente della Conferenza episco-pale ha detto: «Forse sono da ripensa-re seriamente anche forme organichedi servizio civile, che siano tappe di vi-ta e dei tirocini del “noi”, “cattedre pra-tiche” di fraternità, di giustizia e di pa-ce, dove si respira il gusto di vivere e dioperare insieme per il bene di tutti».

Qualcuno, in questo passaggio, havoluto ritrovare gli echi di un dibattitoche negli ultimi mesi è riemerso nelnostro paese sull’idea di un serviziocivile per tutti i giovani. In proposito,ormai si registrano una serie quasi in-finita di opzioni: volontario-obbliga-torio, un anno o 3-6 mesi, nazionale-europeo, dentro-post il percorso sco-lastico… Non sappiamo quanto ilmondo politico farà nei prossimi mesiper passare dalle parole ai fatti, dalleidee ai progetti: un certo pessimismoè comprensibile, visto il disinteresseverso questi temi mostrato negli ulti-mi anni. Chi continua a credere nelservizio civile e a lottare contro ognidifficoltà per dare un’opportunità aigiovani, è da sempre convinto che in-vestire su di esso è uno dei rimedi piùefficaci per arrestare, per dirla con Ba-gnasco, la deriva dell’“io ipertrofico” edel “noi impoverito”, e costruire unacomunità più giusta e fraterna.

GENERAZIONE “I CARE”Volontari Caritas durante un incontronazionale dei giovani in servizio

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Page 10: Italia Caritas€¦ · Francesco Soddu direttore responsabile Ferruccio Ferrante coordinatore di redazione Paolo Brivio in redazione Ugo Battaglia, Paolo Beccegato, Salvatore Ferdinandi,

IL “FATTORE UMANO” CHEGOVERNA L’ITALIA DEI DISASTRI

contrappuntodi Domenico Rosati

lucro economico senza tener contodei doveri stabiliti a tutela del benepubblico e dei diritti dei cittadini.Come dire: anche nei disastri am-bientali è presente e va individuatoun “fattore umano”, non però comeinventario degli errori che l’uomopuò commettere nell’esercizio diun’attività a lui affidata, ma come de-scrizione di una precisa patologia inambito etico-sociale.

Qui funziona infatti il meccani-smo del primato dell’io, inteso comeutilità immediata da conseguire inogni ambito senza tener conto nédelle prescrizioni, né delle conse-guenze. Si comincia con i gesti bana-li: buttare un pezzo di carta per stra-da o non raccogliere la deiezione ca-nina. E si finisce con l’ammassoselvaggio degli scarti, specie quandose ne può ricavare un utile immedia-to. Poi, quando ci si accorge chel’operazione rende in moneta, sipassa dalla sfera privata del fai da tea quella organizzata delle conniven-ze pubbliche, sicché lo spirito d’im-presa si coniuga con la disponibilitàdi politici e amministratori a chiude-

re un occhio, agevolare una concessione edilizia, con-sentire un cambio di destinazione d’uso. Nascono cosìle complicità che fanno cordata e si manifestano nellaprotezione delle tante… chiocce messe a covare le uovad’oro nei pollai del sottogoverno.

Papa Francesco ha denunciato il dominio del “dio de-naro” e l’adorazione della “dea tangente”. È la via giustaper studiare il ruolo del “fattore umano” nei circuiti dellacorruzione. Non prendersela con il fato avverso ma conla distrazione etica, sembra essere la contromisura ade-guata. E chiedersi se, anche nei comportamenti minuti,si tenga conto sia dei principi da rispettare, sia delle con-seguenze da evitare. C’è da contrastare, restando in tema,sia il dissesto idrogeologico che il dissesto antropologico.È materia impegnativa, da non delegare agli “altri”, o dasommergere nella strategia dell’indifferenza: investe laresponsabilità di tutti e di ciascuno. La coscienza politicasi forma qui.

S e conoscere vuol dire trovare il perché delle cose e dei fatti (sci-re per causas, dicevano gli scolastici), sarebbe utile analizzarequel che accade cercando sempre di capirne l’origine. Sapen-

do che quella prossima in genere è visibile, mentre per quella re-mota bisogna sempre indagare.

Primo fatto. In Liguria una collina frana su un treno e lo travolge.La causa prossima è la pioggia che allenta il terreno e lo fa smotta-re. Ma guardando meglio si scopre che la scarpata sotto cui passa-no i binari si è indebolita perché a monte si è scavato per costruiredei fabbricati. E allora bisogna chiedersi se sia stato giusto farlo,se non si sia commesso un abuso, senon si siano rispettate, per omissio-ne o dolo, elementari norme di pre-venzione.

Secondo fatto. In Campania un in-tero territorio è contaminato dall’in-terramento di rifiuti tossici con con-seguenze incalcolabili per le condi-zioni di salute di chi lo frequenta; inpiù c’è l’abitudine di bruciare i cu-muli d’immondizia, diffondendo fu-mi e gas nocivi. La causa prossima èl’interramento abusivo con l’accen-sione intenzionale dei materiali discarto, quella remota è nel fatto checon certe operazioni si riducono i costi di smaltimento acarico di chi li produce.

Terzo fatto. A Roma un grande appaltatore ha tenutoper decenni il monopolio della raccolta e del trattamentodei rifiuti solidi urbani: ultimamente, indagato per mal-versazioni di varia indole, ha chiamato in causa tutte leamministrazioni che gli hanno consentito di arricchirsi,pretendendo anzi la riconoscenza per il servizio reso allacittà. Anche qui c’è una superficie – il fenomeno specu-lativo –, ma la profondità rivela una trama di rapportimalsani tra un’impresa senza scrupoli e settori importan-ti della pubblica amministrazione.

Non delegare agli “altri”La sequenza potrebbe continuare. Ma c’è quanto bastaper rendersi conto che in tutti i casi evocati, e negli altrisimili che quotidianamente popolano le cronache, c’è undenominatore comune: la ricerca e il perseguimento del

C’è il dissestoidrogeologico. E c’è il

dissesto antropologico.Alla radice di tanti fatti

negativi che bersaglianoterritori e comunità,

c’è un atteggiamento di irresponsabilità

verso le leggi e verso il prossimo. Che

alberga nel quotidiano di tutti noi

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nazionale convegno caritas

Il Convegno nazionale delle Caritas diocesane, a Cagliari dal 31 mar-zo al 3 aprile, costituisce un’occasione di confronto e crescita per la Chiesa sarda e un’opportunità per sentirsi parte attiva della Chiesaitaliana. Anzitutto, offre la possibilità di potenziare il percorso eccle-siale e pastorale avviato dalla Chiesa locale, in termini di “pastoraleintegrata”, con l’attivazione di una rete tra uffici e, soprattutto, trami-te il recupero del senso più profondo della “carità”, intesa come “inti-ma essenza della Chiesa”, da cui la pastorale ordinaria non può pre-scindere. Troppo spesso, infatti, la “caritas” viene relegata a un assi-stenzialismo emergenziale: occorre invece recuperarne il pesospecifico, in forma teologica.

Queste riflessioni vanno inquadrate nella specificità del contestosardo: una “periferia esistenziale” – in linea con il titolo del convegno –con le sue molteplici problematiche, dal rischio di spopolamento alladisoccupazione giovanile e alle criticità figlia della continuità territoria-le, dalla difficoltà di accesso al credito e dall’insufficiente cooperazio-ne alla necessità di salvaguardare le produzioni locali e la dimensioneagro-pastorale.

Uscire da una condizione di “marginalità” geopolitica e assumereun ruolo centrale nel Mediterraneo: possibile, anche a partire dalle Caritas sarde, che hanno mostrato, negli anni, una presenza costanteaccanto agli ultimi. Confermata durante la recente alluvione, con lapiena fiducia accordata dall’intera società civile, per la capacità di col-laborazione, sussidiarietà, e per il contributo nell’analisi dei bisogni.

L’attenzione rivolta al Mediterraneo si concretizza nell’idea di fissa-re la sede stabile di MigraMed proprio in Sardegna, a Cuglieri, grazie al progetto della Conferenza episcopale sarda (Ces) e della Caritas re-gionale definito “Un’isola per il Mediterraneo”, con la creazione di uncentro studi e di un campus, finalizzati a formazione, ricerca e servizi.

[Marco Lai]

Confronto sulla marginalità.In un contesto “specifico”

tazione, di allontanamento dalla pro-pria responsabilità, di rilancio delladelega. Oppure tuffarsi nel mare del-le periferie senza un progetto e construmenti adatti al nuoto in acque ditutt’altra specie. E ancora, diventareattori aggravanti dei già gravi proble-mi delle varie periferie, pensandoche siano gli altri a dover cambiare,che siano le periferie a doversi spo-stare verso il centro in cui noi starem-mo ben saldi, ombelicus urbis in virtùdella nostra esperienza e della storiache ci sta alle spalle.

Metodo e stradaLo stile di Oltretevere spinge a noncadere in queste trappole ma – comescrive la Evangelii Gaudium – a di-ventare “chiesa in uscita”. Per questoil Convegno nazionale delle Caritas,in programma a Quartu Sant’Elena(Cagliari) dal 31 marzo al 3 aprile (ve-di programma a pagina 48), vuole fa-re un passo in avanti. Dai volti alleazioni, per rendere ai volti la compa-gnia evangelica della misericordiaaccogliente, maturante, educativa.

La fase di disorientamento che ciattraversa pare aver donato alle Cari-tas una passione nuova per il cam-biamento di sé. Perché è solo parten-do dalla conversione che possiamosperare di convertire le situazioni cheincontriamo in occasioni di crescita.I convegnisti, ma dietro loro tutte leCaritas del paese, sono interpellati acompiere un percorso di discerni-mento che aiuti a scoprire la qualitàeducativa dello stare nelle periferieesistenziali come testimoni del-l’amore e del Vangelo, senza cedi-menti né arroccamenti. Serve stabi-lire cosa sia possibile aggiungere allanostra azione educativa, per esseresignificativi abitatori delle periferie, ecosa sia meritevole di trasformazionein quello che facciamo: nei modi, ne-gli obiettivi, nelle strutture, nei pen-sieri. Ma anche occorrerà rifletterecon coraggio su cosa dobbiamo la-

L’attuale fase di disorientamento pare averdonato alle Caritas una passione nuova peril cambiamento di sé. Solo partendo dalla

conversione, possiamo sperare di convertirele realtà incontrate in occasioni di crescita

anche un’ampia disanima di naturapastorale su cosa significhi oggi, perla nostra chiesa, stare con il Vangelonelle periferie dell’esistenza. Serve larilettura dei volti e dei dati delle nuo-ve e vecchie povertà, non per farnesolo sintesi, ma soprattutto per sco-prirne i tratti a cui agganciarsi, perinnescare cammini di cambiamento.Che è poi l’azione propria di una Ca-ritas: “funzione prevalentemente pe-dagogica”.

Tutto questo non è possibile vengafatto da un semplice convegno. Maun convegno lo può tematizzare, svi-scerare, irradiare, potenziare e pro-porre. La vera sfida? Assumere ilcambiamento e l’attenzione alle pe-riferie del vivere come metodo, stra-da, strumento. E contenuto del no-stro essere testimoni del Vangelo.

sciare di quanto fatto finora, per po-tere, liberi da zavorre, far volare piùin alto il nostro sogno.

È un percorso che implica prepa-razione nei vari territori e restituzio-ne in essi dei risultati ottenuti. Ma

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panoramaitalia

realtà di volontariato emiliane,impegnate ad aiutare chi sta sof-frendo a causa della crisi econo-mica, che a Parma ha bruciatooltre 14 mila posti di lavoro. Per sostenere queste situazionidi fragilità, è partita una grandestaffetta di solidarietà, apertadai giocatori del Parma Calcio degli anni Novanta, e arricchitasinel tempo di altre 24 “squadre”di cittadini, che ci hanno “messola faccia”, realizzando altrettantofoto di gruppo come cartoline

per contagiare i propri vicini, invi-tandoli a contribuire all’acquistodi generi alimentari per chi ognigiorno chiede aiuto ai market solidali e alle mense di Parma e provincia. Il progetto ha con-sentito la raccolta di oltre 248mila euro, consegnati a EmporioParma, Emporio Valtaro, Caritasdiocesana di Parma e Caritas Fi-denza: sarà possibile acquistareuna quantità di beni alimentaripari a una quindicina di tir, soste-nendo 2.500 famiglie.

in difficoltà pagando loro unabolletta, mentre 9.300 euro,stanziati dalla provincia, saran-no destinati a iniziative di emer-genza sociale, riguardanti lapresenza nel territorio di perso-ne senza dimora.

TRIESTESocial point“Betlemme”,ascolto e aiuto perfamiglie in difficoltà

Lontano dalla periferia cit-tadina, vicino ai tanti pro-

blemi della gente. A Trieste, in via Matteotti, a pochi passidal quartiere di Barriera, è statoinaugurato il 3 febbraio il “So-cial Point Betlemme”, centro di ascolto promosso dalla Cari-tas diocesana, dalla Caritasparrocchiale di Santa Teresa,dalla commissione diocesanaper i problemi sociali e il lavoroe dal centro di aiuto alla vita“Marisa”. Il Social Point saràpunto di riferimento per giovani,adulti e famiglie in difficoltà a causa della crisi. Simbolico e non casuale il nome scelto:Betlemme, dove è nato Gesù, in ebraico (Betlehem) significainfatti “casa del pane”. Non so-lo pane materiale, negli intentidei promotori del nuovo servi-zio, ma anche simbolo di rela-zione, di capacità di dare e rice-vere ascolto, di camminareinsieme ed essere accompa-gnati. Nel Centro vengono offer-ti anche servizi di ascolto per la mediazione familiare e l’aiutoin ambito psicologico.www.socialpointbetlemme.it

PARMA-FIDENZAL’intera cittàha fatto squadraper fronteggiaregli effetti della crisi

Si è concluso il progetto“Parma facciamo squa-

dra”, organizzato dall’associazio-ne Forum Solidarietà e da tante

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levocingiro ((()))

Suor Raffaella Spiezio (Caritas Livorno). «Sorgenti di carità vuole essere un luogopolifunzionale, con un centro diurno per i senza dimora, un centro di accoglienzanotturno e un centro per la famiglia. E poi una scuola di mestieri, un internetpoint e una biblioteca. Soprattutto in un momento in cui la perdita del lavoro e la perdita della casa costituiscono un problema diffuso, cerchiamo di sostenerela promozione delle persone, contrastando la povertà con un atteggiamento chenon sia assistenzialistico, guardando alla persona nella sua totalità, nella sua in-tegrità. Vogliamo infatti che Sorgenti di carità riesca ad accompagnare tante per-sone, a reinserirsi nel mondo del lavoro, a costituire una cooperativa che le aiutia ritrovare uno spazio dignitoso dove possano sostenersi».Francesco Delfino (Caritas Andria). «Abbiamo costruito il percorso Green Life –cinque incontri da dicembre 2013 a giugno 2014, rispettivamente su cibo, rifiuti,acqua, abitare ed energia – per offrire alla comunità non solo un’occasione di riflessione su temi fondamentali, ma anche per darle la possibilità di realizzarequalcosa di concreto, adottando nuovi stili di vita improntati alla sostenibilità am-bientale. Per questo promuoviamo, tra le altre, l’idea dell’orto sociale, per favorireil lavoro, investire nelle risorse del territorio, educare al consumo alimentare salu-bre e alla custodia del creato, creare socialità e condividere i frutti della terra coni più deboli. E infatti abbiamo sostenuto la cooperativa sociale Sant’Agostino nel-la gestione di un terreno ad Andria confiscato alla mafia».Don Luciano Di Silvestro (direttore Caritas Caltagirone). «La struttura Alì-Mantel-li della parrocchia San Pietro a Caltagirone è una casa per esercizi spirituali esti-va. Eppure lì siamo riusciti ad accogliere i minori sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre scorso. Bambini e ragazzi dagli 8 ai 16 anni, in tutto37, di nazionalità eritrea. Con la buona volontà di tante persone, quella casa nel giro di qualche ora è stata sistemata e attrezzata per l’accoglienza. Ricordo il giorno in cui sono arrivati questi giovanissimi,stanchi e impauriti. La prima cosa che tutti desi-deravamo era farli sentire al sicuro, accolti dauna grande famiglia, creare delle relazioni vere,improntate sulla fiducia. Poi, grazie alla collabora-zione con alcuni istituti scolastici e associazionisportive, abbiamo fatto sì che i ragazzi frequen-tassero la scuola e svolgessero attività sportive».

La “vita verde” tradotta nell’orto,una grande famiglia post-naufragio

6di Danilo Angelelli

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e diplomati (fino ai 24 anni) diistituti tecnici e licei. I 28 giova-ni selezionati potranno prende-re parte a un tirocinio formativodi cinque mesi, con retribuzionemensile di 530 euro. «L’azioneCaritas – ha dichiarato don Dino Campiotti, direttore dell’or-ganismo diocesano – è rivoltaai poveri e tra loro ci sono an-che i giovani che non riescono a trovare lavoro. Per questo motivo abbiamo pensato di promuovere azioni a favoredell’occupazione giovanile ».www.provincia.novara.it

MILANOLaboratoriodi ricerca attivadel lavoro per utentidei centri d’ascolto

È partito il 3 febbraio il primo laboratorio di ri-

cerca attiva del lavoro promos-so dalla provincia di Lecco per13 disoccupati, provenienti daicentri d’ascolto Caritas della zo-na pastorale terza della diocesidi Milano. L’iniziativa prevedepercorsi formativi e di orienta-mento progettati secondo unalogica laboratoriale, anche gra-

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20 I TA L I A C A R I TA S | M A R Z O 2 0 1 4

zie alla disponibilità di un’aulainformatica attrezzata resa disponibile dalla provincia conrisorse stanziate dalla regioneLombardia. Anche se le maggio-ri criticità continuano a riguarda-re gli stranieri, cresce il numerodi italiani che si rivolgono allaCaritas zonale lecchese.

GORIZIA“Adottauna bolletta”,insieme alle Aclisostegno al famiglie

Oltre 20 mila euro. È laraccolta di fondi realizzata

per l’iniziativa “Adotta una bol-letta”, lanciata nel periodo nata-lizio dalle Acli provinciali di Gori-zia con il sostegno della Caritasdiocesana isontina. L’appelloera stato lanciato a tutte le per-sone che non stanno vivendoun momento di difficoltà econo-mica, perché rinunciassero a una parte delle proprie risor-se economiche donandole a chiha bisogno e si trova in difficol-tà anche nel pagare le bollettedi luce, acqua e gas. Dei fondiraccolti, 11.375 euro sarannoutilizzati per aiutare le famiglie

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NOVARALavoro ai giovani:contributo Caritasall’iniziativadelle istituzioni

Torna anche nel 2014 il bando “Ridare Speran-

za”, promosso dall’assessoratoalle politiche giovanili della pro-vincia di Novara, nell’ambito delprogetto “Mestieri/Lavoro” del-la regione Piemonte, realizzatoin collaborazione con l’associa-zione “Novaresi Per” e l’Asso-ciazione Industriali di Novara.Novità del bando provinciale è l’entrata in scena della Cari-tas diocesana di Novara, con un contributo di 50 mila euro ricavati da una mostra beneficaorganizzata con la collaborazio-ne di artisti locali; fondi che sa-ranno impiegati per finanziare leborse lavoro previste dal bando.Al bando possono candidarsi,per quanto riguarda il progettoclassico, giovani diplomati diistituti tecnici e commerciali (fi-no ai 24 anni) e laureati in eco-nomia o ingegneria under 29.Per il filone dell’internazionaliz-zazione, invece, possono candi-darsi laureati (fino ai 29 anni)

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Famiglie. Non solo oggetto d’aiuto. Ma soggetto di soli-darietà. Se si mettono in rete. Una famiglia con una fa-miglia è un’iniziativa avviata da Caritas Italiana a novem-bre, per offrire un supporto formativo agli operatoridiocesani interessati a potenziare le esperienze di aiutoalle famiglie in difficoltà. Il percorso formativo, realizzatoin collaborazione con la Fondazione Paideia di Torino, è rivolto alle Caritas diocesane e agli uffici diocesani di pastorale familiare che hanno esperienze in corso o progettazioni in fase di avvio in questo settore. Dopo i moduli di novembre (“Chi e come aiuta le famiglie?”) e febbraio (“Chi e come aiuta chi si cura delle famiglie?”),il terzo modulo formativo si svolgerà a Roma l’8 e 9 apri-le, sul tema “La relazione e il progetto di aiuto tra fami-glie”: al centro dell’attenzione e del confronto ci saràl’esperienza concreta di famiglie che aiutano altre fami-

glie in modo informale e in contesti di forte prossimità. I partecipanti potranno condividere esperienze, per

analizzarne gli elementi di maggiore successo e quellipiù complessi e delicati, inerenti sia il contenuto delprogetto di aiuto – come lo si costruisce e lo si svilup-pa? – sia la dimensione relazionale dell’aiuto. Il percor-so sarà coordinato da Roberto Maurizio, psicologo e pe-dagogista, con esperienza pluriennale nell’ambito dellaprogettazione sociale e di percorsi di sviluppo di comu-nità e di coinvolgimento e sostegno delle famiglie.

L’incontro sarà occasione anche per fare il bilanciodi alcune esperienze (“Rifugiato a casa mia”, gemellag-gio con famiglie segnalate da Caritas Grecia) che punta-no a creare legami solidali tra famiglie e persone e nuclei in stato di bisogno.www.caritas.it

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FORMAZIONERelazioni di aiuto tra le famiglie,formazione per far crescere i progetti

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colato in due filoni: il primo ha lo scopo di com-prendere il gioco legato all’uso delle slot machine, attraverso un approccio qualitati-vo, mirato a investigare il fenomeno dal punto di vista sociale, non sanitario;il secondo riguarda il comportamento di gioco nei giovani dai 14 ai 20 anni e prevede la distribuzione di questionari attraverso il coinvolgi-mento diretto dei ragazzi, in collaborazione con alcu-ni istituti scolastici della provincia e i gestori della sale da gioco. Lo scopo è capire più a fondo come il fenome-no del gioco d’azzardo si declini nel territorio, per pensarepoi una campagna d’informazione e sensibilizzazione dicarattere preventivo su scala regionale. L’iniziativa si inse-risce in un momento di forte attenzione locale al fenome-no, confermata dall’adesione del comune di Udine al ma-nifesto dei sindaci per la legalità contro il gioco d’azzardo,che riunisce oltre duecento enti locali italiani, e dalla re-cente approvazione da parte del consiglio regionale friula-no della legge 30 per la prevenzione, il trattamento e ilcontrasto della dipendenza da gioco d’azzardo patologico.

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care”, rete territoriale per facilita-re l’accesso alla prevenzione e alla cura dei tumori femminili.Partito in dicembre, con l’apertu-ra del primo punto di accoglien-za all’ospedale Fatebenefratellidell’Isola Tiberina, il programmadi prevenzione vede la collabora-zione di vari soggetti, tra cui la Cooperativa Roma Solidarietà(Crs), promossa dalla Caritas di Roma, in collaborazione e conil patrocinio del Centro per la pa-storale della salute del Vicariatodi Roma. Secondo un’indaginepresentata da Crs, il 71% delledonne straniere intervistate non sa dove rivolgersi in caso di disturbi ginecologici, il 36%non ha mai fatto un pap test e il 54% delle donne cinesi nonsa cosa sia una mammografia.

CAGLIARI“Tutti con Caritas”: aziende isolanesostengono la retedi aiuti alimentari

Si chiama “Tutti con Cari-tas” il progetto ideato

in Sardegna da uno studio di co-municazione di Olbia, Media Tris,

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Si intitola “Il gioco d’azzardo: rischio, speranza e illusione” il progetto di ricerca promosso dalla Ca-

ritas diocesana di Udine e finanziato dalla federazionedelle Banche di Credito cooperativo del Friuli-Venezia Giu-lia. Si stima che nella regione siano centomila i giocatoripatologici, per una media di spesa di 15 mila euro a te-sta e un totale di quasi 1,5 miliardi di euro di spesa an-nua complessiva. Numeri da capogiro, nei quali la Caritasudinese vuole addentrarsi con un progetto specifico, arti-

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TRAPANI“Prestito della Speranza”:in diocesi generate46 piccole attività

Uno strumento finanziarioa sostegno delle famiglie

in difficoltà che non hanno accesso al credito bancario. Il “Prestito della Speranza”, promosso dalla Cei attraverso le Caritas diocesane, in due anni,a Trapani e provincia, si è rivelatoun dinamico fattore di sviluppo,portando alla nascita di ben 46piccole attività economiche. Piùin generale, ha agito come stru-mento di aiuto concreto in moltesituazioni in cui la perdita del la-voro, una separazione o una ma-lattia rischiano di aumentare e rendere insostenibili situazionidebitorie, impedendo la normalevita familiare o, per le aziende,l’accesso a mutui agevolati. Del-le 265 richieste pervenute allosportello della Caritas diocesa-na, 106 sono state accolte; numero incrementatosi in tempirecenti, sia per l’aumento del bisogno sia per il passaparola. www.prestitodellasperanza.it

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per creare un collegamento trala grande produzione alimentareisolana e le realtà del terzo set-tore. L’obiettivo del progetto è costruire una filiera per la forni-tura ai centri e ai servizi Caritasdi vari generi alimentari, in partedonati da aziende e in parte a prezzi di convenzione. L’annoscorso iniziò la Generale Conser-ve di Olbia, donando alla Caritas66 mila scatolette di tonno.Quest’anno la Alb Spa di TempioPausania ha fatto dono di 33 mi-la bottiglie di acqua da 1,5 litri,impegnandosi anche ad assicu-rare per un anno (rinnovabile) alle Caritas diocesane dell’isolauna fornitura di acqua mineralea prezzo di costo (15 centesimianziché i 27 di vendita al pubbli-co). L’acqua andrà a soggetti indifficoltà, a mense, case-famigliae comunità d’accoglienza.

Nel 2012 le dieci Caritas sar-de hanno distribuito 880 milapasti: 440 mila nelle mense, più440 mila pacchi viveri. Nel 2013si è registrato un incremento del37% degli assistiti. Ora la con-venzione consolida un’iniziativache punta anche a valorizzareaziende e marchi locali.

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UDINERicerca per capire più a fondogli effetti sociali dell’azzardoe il coinvolgimento dei minori

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PERUGIAAperto il “Villaggiodella Carità”:accoglienzae altri servizi

Dopo appena sei mesi di lavori, è stato inaugura-

to a Perugia a fine gennaio il “Vil-laggio della Carità – Sorella Prov-videnza”. La struttura è frutto diuna convenzione tra i Frati mino-ri cappuccini dell’Umbria e l’arci-diocesi di Perugia – Città dellaPieve, che ha dato in comodatod’uso gratuito per vent’anni allaCaritas diocesana lo stabile. Inesso sono realizzati una struttu-ra di ascolto, servizi di accoglien-za e socio-caritativi dedicati allepersone in difficoltà. Il costo deilavori è stato coperto con fondiotto per mille e della FondazioneCassa di Risparmio di Perugia. Il Villaggio della Carità accoglierà48 persone per periodi di medialunghezza in sei ampi apparta-menti. È attivo anche un centrod’ascolto diocesano, affiancatodalla sede dell’associazione pe-rugina di volontariato (Apv), pro-mossa dalla Caritas diocesana,che opera in ambito ospedalieroe carcerario. Tra i servizi offertianche il consultorio medico, l’as-sistenza legale e di patronato e l’Emporio per la distribuzionedi generi alimentari a breve e lunga conservazione. A vigilaresul Villaggio un apposito comita-to d’accoglienza e due famigliedi volontari, presenti 24 ore su 24.

ROMAAccoglienzae screeninganti-tumoriper donne migranti

È nato a Roma un punto di accoglienza e orienta-

mento allo screening e alla curadei tumori femminili per le don-ne migranti. È stato aperto negliIstituti Ifo – Regina Elena e SanGallicano. L’iniziativa rientra nelprogetto “Foreign women cancer

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LUCCALavoro, inclusionee sviluppo locale:alleanza perridare speranza

Si intitola “Lavoro, inclu-sione, sviluppo locale”

il nuovo progetto di contrastoalla disoccupazione, realizzatoda comune, provincia e Caritasdiocesana di Lucca, utilizzandoun finanziamento di 160 mila

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euro, reso disponibile dalla Fondazione Cassa di Risparmiodi Lucca. Il percorso, finalizzatoall’inserimento lavorativo deigiovani e degli adulti che vivonosituazioni di disagio, prevede tirocini formativi retribuiti e azioni di supporto per le per-sone over 40 inoccupate, inte-grati da voucher e da percorsidi accompagnamento alla riqualificazione personale (training occupazionale).

ottopermille/Acireale

Il progetto “Speranza e solidarietà”, promosso dalla Caritas diocesana di Acireale(Catania) e realizzato in collaborazione con la cooperativa sociale Luoghi Comuni,svolge la sua azione su due piani collegati: l’attenzione nei confronti di persone in difficoltà (per cui opera) e il coinvolgimento della comunità (con la quale dialoga).

Il fulcro del progetto è il centro di ascolto (servizio a bassa soglia rivolto a tuttele persone adulte e a nuclei familiari in difficoltà), spazio in cui l’ascolto attivo rap-presenta il principale strumento di rilevazione e interpretazione dei bisogni; da esso nasce la presa in carico di chi si trova in situazioni di disagio e la definizionedei percorsi di accompagnamento. Il centro di ascolto è concepito come luogo di relazione, spazio strutturato per l’incontro e il confronto non pregiudizievole, attraverso cui è possibile restituire dignità e identità alle persone.

Nel 2013 circa 1.800 sono state le richieste di aiuto, che si sono tradotte in azioni di sostegno al reddito (40% circa), aiuto nella ricerca di un lavoro (35%) e della casa (20%). Il centro di ascolto, in collaborazione con le parrocchie della dio-cesi (nella foto, l’équipe di progetto), ha esteso il proprio aiuto economico a circa50 nuclei famigliari in difficoltà, seguiti anche tramite visite domiciliari. Come stru-mento di supporto economico, il progetto “Speranza e solidarietà” ha dato vita a diverse borse lavoro annuali, tramite la rete delle cooperative sociali del territorio.

Strada e appartamentoStrettamente legato al centro di ascolto, e parte inscindibile del progetto, è il servi-zio di strada notturno, cioè un servizio di ascolto mobile di persone in grave difficoltàche vivono in strada. L’offerta di ascolto e di beni di prima necessità (coperte, vesti-ti, pasti caldi), non è il fine ultimo dell’intervento, ma il mezzo per instaurare una relazione di aiuto che si concretizza in percorsi finalizzati al reinserimento sociale.

Infine, parte sperimentale del progetto è il Gruppo appartamento, realizzato con la parrocchia Maria Vergine: prevede l’accoglienza di persone che, pur avendoun reddito minimo, a seguito di sfratto o altre cause traumatiche, si ritrovano senzacasa. Gli ospiti del gruppo, non avendo piùle capacità per una piena autonomia, hannobisogno di un accompagnamento condivisocon gli operatori della Caritas diocesana e della parrocchia, la quale diventa punto di riferimento e spazio comunitario aperto.

Speranza e solidarietà, dall’ascoltoconcreti percorsi di sostegno

8di Orazio Micalizzi

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presenti e attivi in ogni contesto spe-cifico. La mappatura delle iniziative edegli strumenti utilizzati a livello loca-le, si concretizzerà in uno spazio webdove raccogliere i materiali in modoordinato e fruibile, e rappresenterà illivello della strumentazione concreta,elaborata nei diversi territori, imme-diatamente utilizzabile nel lavoro conle associazioni, le classi scolastiche, gliinsegnanti, le équipe dei formatori edegli animatori.

Dialogo esigenteIl lancio della campagna italiana haavuto luogo il 28 febbraio, in occasio-ne dell’incontro dei Gruppi nazionaliCaritas. A questo seminario inizialeseguiranno due eventi seminariali,promossi da Focsiv-Volontari nelMondo al nord e al sud d’Italia, attra-verso cui la dimensione territorialedella campagna si svilupperà in mo-do visibile. A questi eventi già previsti,si aggiungeranno quelli promossi daidiversi enti ed organismi ecclesialiche aderiscono alla mobilitazione,che potranno inoltre veicolare i con-

tivo del ramo italiano della campagnaè stato l’elaborazione di un kit forma-tivo, articolato sui tre temi chiave del-l’iniziativa (diritto al cibo; buona fi-nanza; relazioni di pace) destinato atradurre il manifesto pastorale e poli-tico della campagna in suggerimentipratici per la formazione e l’impegnodi cittadinanza di ognuno: uno stru-mento che guarda in particolare a unpubblico di giovani, nelle scuole, negliorganismi ecclesiali e nel mondo del-l’impresa, per stimolarli a cercare unachiave di impegno e di responsabilità.

Il kit formativo è stato realizzato daCaritas Italiana, con l’aiuto di molti

degli organismi ecclesiali che hannoaderito alla campagna: Focsiv, Comu-nità Papa Giovanni XXIII, Aimc, Azio-ne Cattolica, Coldiretti - CampagnaAmica. Si tratta di uno strumento de-stinato a stimolare l’impegno in tutti iterritori, i quali, secondo l’imposta-zione scelta sin dalla primissima fasedi studio dell’iniziativa, dovrebberocostituire il vero cuore pulsante dellacampagna italiana. A questo fine, inmolte diocesi e località si sono già at-tivati riferimenti e legami di rete tra idiversi organismi che aderiscono al-l’iniziativa, al fine di valorizzare la par-tecipazione dei soggetti che sono più

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paesi poveri, e suggerisce di sviluppa-re la riflessione su un nuovo “modellodi sviluppo”, che deve essere perse-guito nel nord come nel sud del mon-do: un modello che ponga al centro lapersona e le relazioni tra le persone;che utilizzi in modo attento le risorsedisponibili, evitando dispersioni esprechi; che sia in grado di suggerireregole condivise per il perseguimentodel bene comune.

Kit e mappaturaQuesto impegno deve essere stimola-to da una forte azione educativa. Ed èper questa ragione che il primo obiet-

compito nostro”. È questo ilmessaggio che Caritas Italia-na, insieme a un ampio car-tello di associazioni, intendediffondere per dare maggior

forza, nel nostro paese, alla campagnaglobale “Una sola famiglia umana. Ci-bo per tutti”, promossa da Caritas In-ternationalis e lanciata da papa Fran-cesco il 10 dicembre. La vergogna del-la fame, lo scandalo del mancatoaccesso al cibo per centinaia di milio-ni di persone: a tutti sono richiesti unaforte mobilitazione e un impegno dicittadinanza attiva, per vincere le sfidedel nostro tempo.

Superare la vergogna della fameimplica, anzitutto, che si metta la fi-nanza a servizio dell’uomo, nel co-struire un mondo fondato su relazio-ni di pace. Sembra un obiettivo lon-tano dall’esperienza comune disingoli cittadini e comunità. Ma lacampagna evidenzia la necessità e lapraticabilità di un impegno attivo daparte di tutti. La situazione di crisiche scuote il pianeta non rispetta piùi tradizionali confini tra paesi ricchi e

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campagna contro la fame

Presentata la diramazione italianadella campagnaplanetaria Caritascontro la fame “One human family”.Ha un forte intentoeducativo, si rivolge ai giovani. Vuolecontribuire allariflessione sul dopoObiettivi del Millennio.Stimolando la partecipazione di ognuno…

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di Massimo Pallottino

perUNA SOLA FAMIGLIACibo per un piccolo profugo dellaRepubblica Centrafricana. Sotto,il segretario generale di CaritasInternationalis, Michel Roix, cingepapa Francesco con la sciarpadella campagna

GLI STRUMENTILa mobilitazione nasce dal basso

La campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro” è incentrata sul tema del diritto al cibo,e vuole promuovere una mobilitazione sui temi della fame,della buona finanza, di un mondo incentrato su relazioni di pace. L’obiettivo è primariamente educativo, ed è princi-palmente rivolto ai giovani dei movimenti ecclesiali, dellascuola e del mondo produttivo. Il kit formativo, elaboratosulla base del documento portante della campagna, artico-la i temi, fornendo spunti metodologici per adattarli ai trepubblici cui essa si rivolge. Il kit contiene anche elementidi bibliografia e sitografia, sulla cui base possono essereelaborati e condivisi strumenti di intervento concreti.

Il kit è stato presentato a fine febbraio. Intanto è in fasedi sviluppo una mappatura delle azioni che si sviluppanonei singoli territori, che ha l’obiettivo di facilitare la condivi-sione e la valorizzazione di occasioni e strumenti, in primoluogo a livello locale, ma anche sul piano nazionale.

La campagna ha anche una dimensione di advocacy, e si propone di promuovere azioni di cittadinanza, in vistadi una maggiore consapeolezza dell’opinione pubblica e dei decisori politici.

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tenuti della campagna all’interno del-le proprie realtà associative.

Il percorso intrapreso dalla campa-gna è, si diceva, parte di in un impegnodi più ampio respiro, all’interno dellamobilitazione internazionale in vistadel 2015, quando un nuovo consensointernazionale dovrà prendere il postodegli Obiettivi di sviluppo del Millen-nio. Si tratta di un percorso ancora tor-tuoso, che si svolge in un contesto assaipiù complesso di quella che caratteriz-zò l’elaborazione degli Obiettivi stessi:il diffuso ottimismo che si avvertiva allavigilia dell’ingresso nel ventunesimosecolo e la forte mobilitazione dell’opi-nione pubblica (in particolare sui temidella cancellazione del debito dei paesipoveri) hanno ceduto il passo alla crisieconomica, finanziaria, ambientalepiù profonda dalla fine della seconda

campagna contro la fame

Dal 1 maggio al 31 ottobre 2015, nella zona fieristi-ca di Milano, si svolgerà Expo 2015, l’Esposizione uni-versale che si tiene ogni cinque anni e che ha lo sco-po di interpretare le sfide collettive cui l’umanità è chiamata a rispondere. Il tema delle’edizione affidata all’Italia è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”: esso invita i paesi, le organizzazioni interna-zionali, le aziende e le organizzazioni della società civile a riflettere e a proporre esperienze, prodotti e progetti per assicurare alla popolazione dell’interopianeta il diritto a un’alimentazione sana, sicura e sufficiente, per garantire la sostenibilità ambienta-le, sociale ed economica della filiera agroalimentaree per salvaguardare il gusto e la cultura del cibo.

La rete Caritas sarà presente a Expo 2015, grazie a un coordinamento tra Caritas Internationalis, CaritasItaliana e Caritas Ambrosiana: in quel contesto si porràcome interprete della voce dei poveri e dei dimenticatidi tutto il mondo, proponendo una serie di azioni voltea sensibilizzare e informare i visitatori, e tutti i cittadini,sui temi dei diritti umani, della giustizia, della parteci-pazione e della cittadinanza attiva, soprattutto in mate-ria di accesso e distribuzione equa delle risorse.

Il lavoro prepararatorio di Expo è già cominciato. La rete Caritas, insieme all’arcidiocesi di Milano e allaFondazione San Fedele dei Gesuiti, ha lanciato unacall for paper destinata a chi vuol dare il proprio contri-buto alla riflessione sui temi di Expo 2015. Entro gen-naio occorreva inviare una sintesi del saggio (paper,appunto) con il quale si vuole partecipare al dibattito,che si svolgerà tramite alcuni incontri di approfondi-mento. I temi dei paper (la cui accettazione verrà co-municata entro il 30 marzo e che dovranno essereprodotti entro il 31 luglio) saranno tre: “Cibo, ambientee stili di vita”; “Diritto al cibo, cibo e diritti”; “Cibo, cul-ture e religioni”. I contributi dovranno avere un tagliorigoroso ma divulgativo e potranno essere presentatida tutti coloro (anche soggetti collettivi) che a vario titolo – nel mondo accademico, nell’associazionismo,nell’impresa profit e non profit – fanno ricerca sulle tematiche proposte. Una squadra di esperti selezione-rà i lavori più significativi, che saranno presentati dagli autori all’interno dei seminari proposti (tra otto-bre e novembre). I contributi più meritevoli verrannoraccolti in una pubblicazione, che sarà presentata in una tavola rotonda durante Expo.

Riflessione e sensibilizzazione,la rete Caritas verso l’Expo

guerra mondiale. Il rischio di un com-promesso al ribasso è dunque partico-larmente alto. Proprio a fronte di un ri-schio del genere, è ancora più impor-tante sviluppare un forte senso diconsapevolezza e corresponsabilità, eun dialogo esigente con gli ambiti isti-tuzionali: solo in questo modo è possi-bile rovesciare l’impressione di un per-corso ancora una volta pilotato dall’al-to, e riproporre invece con forza lanecessità di un forte movimento dipartecipazione dal basso anche nellascelta delle priorità da affrontare.

Il ruolo dell’EuropaLa campagna globale e la sua dirama-zione italiana potranno essere l’occa-sione per farlo. Non mancheranno, neiprossimi mesi, le occasioni per cam-minare verso questi obiettivi. L’anno in

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L’ottimismo che si avvertiva alla vigiliadell’ingresso nel ventunesimo secoloe la forte mobilitazione dell’opinione

pubblica hanno ceduto il passo alla crisi. Il rischio di compromessi al ribasso ora è alto

corso, con le elezioni europee e con ilsemestre di presidenza italiana del-l’Unione, sarà anche l’occasione per ri-proporre il tema del ruolo del nostrocontinente in un mondo che ha biso-gno di un’Europa basata su una fortelegittimazione popolare e sociale, ingrado di proporre modelli di conviven-za accoglienti, inclusivi e attenti alle fa-sce più deboli. A livello globale, è ne-cessario che l’Europa giochi un ruolopositivo, consapevole del grande im-patto che le politiche europee hannosul destino dei più poveri del mondo.Anche il 2015 sarà poi segnato da nu-merosi appuntamenti, a partire daquello dell’Expo, dove Caritas sarà pre-sente, all’interno del padiglione dellaCittà del Vaticano, e per il quale un co-ordinamento tra Caritas Ambrosiana,Caritas Italiana e Caritas Internationa-lis sta già sviluppando e preparandoproposte ambiziose ed esigenti.

Insomma, sin da ora “È compito no-stro”. E questo richiamo ci interpelleràin maniera sempre più forte nei pros-simi mesi.

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UMANITARIO SPRECONE?È NECESSARIO CERTIFICARE

delle comunità locali è stata scarsa onulla.

E le agenzie delle Nazioni Unite,perno del coordinamento, hannomostrato una decisa carenza di lea-dership: ci sono volute settimane pernominare le figure dei coordinatori edefinirne i ruoli. Solo dopo tre setti-mane si è riunito il cosiddetto UnitedNation Country Team, per coordina-re le diverse presenze operative nelpaese. Sullo sfondo, soldati che get-tano cibo dagli elicotteri, l’arrivo dicentinaia di associazioni prive diqualsiasi esperienza, la parata delleportaerei e l’inutile vetrina di perso-naggi e politici in visita, che ognigiorno bloccavano il funzionamentodell’unico aeroporto del paese.

Crollo dell’efficienzaNell’isola caraibica si è in sostanzareplicato quanto era già avvenuto inmolti altri contesti, come all’epocadello tsunami nel sud-est asiatico: difronte a una crisi di grande impattomediatico, si schiera sul campo ungran numero di istituzioni e di orga-nizzazioni che non hanno dimesti-

chezza con il sistema umanitario e mancano delle com-petenze tecniche richieste. E molti governi si impegnanoin interventi massicci che, al di là degli aspetti umanitari,introducono una miscela di interessi politici, strategici ecommerciali.

Dalla guerra del Golfo ai Balcani, dal Ruanda al Koso-vo, fino ai grandi disastri naturali degli ultimi anni, questieventi hanno in effetti fatto registrare un crollo dell’effi-cienza nella risposta umanitaria. Grandi finanziamenti,pletore di protagonisti e risultati molto modesti, quandonon fallimentari.

Per modificare questo scenario, occorre adottare unaprospettiva di garanzia della qualità dell’azione umani-taria. Senza un chiaro e condiviso sistema di regolamen-tazione e di certificazione, che permetta di identificare leorganizzazioni effettivamente capaci di intervenire in si-mili contesti e definire il loro spazio operativo, non dimi-nuirà lo spreco di risorse.

A ncora una volta il mondo assiste nell’indifferenza pressochétotale a nuovi focolai di violenza armata, a mercati e mercan-ti di armi che fanno affari sulle spalle di popolazioni intere,

a drammi umanitari per i quali anche solo pensare di progettare unintervento risulta assai difficile. Siria, Repubblica Centrafricana,Sud Sudan, Ucraina, Egitto, Libia, Colombia, Caucaso, Filippine:l’elenco potrebbe continuare a lungo, con sfaccettature assai diver-sificate, ma con la costante del dolore della gente.

Chi interviene per tentare di portare sollievo in contesti del genere,deve, tra le mille difficoltà, affrontare non solo i problemi logistici, disicurezza ed efficienza, ma anchequello della qualità dei propri servizi,misura del riconoscimento della di-gnità di ogni singola persona.

Se il tema del coordinamento do-vrà trovare nel tempo un suo ragio-nevole punto di equilibrio, quellodella qualità non ammette più rinvii.Negli ultimi contesti di emergenzaumanitaria complessa, come ad Hai-ti, nel terremoto del 2010, si sono po-tuti toccare con mano i limiti del si-stema attuale. Alcune cose hannofunzionato piuttosto bene. Peresempio: le squadre di salvataggioche sono entrate in funzione immediatamente dopo ilsisma, l’assistenza medica, la distribuzione dell’acqua edel cibo, sia pure dopo qualche intoppo iniziale. Anchei programmi educativi per i bambini sfollati hanno datobuoni risultati.

Decisa carenza di leadershipAltre cose invece hanno funzionato decisamente male. Apartire dalla valutazione dei bisogni: ognuno l’ha fattaper sé, con un’inutile duplicazione di sforzi. E alla fine ta-le valutazione è risultata incompleta, con molte zonedell’area colpita che sono state trascurate.

Poi, non si sono forniti alloggi che potessero reggerealla stagione delle piogge, igiene e latrine sono state deltutto inadeguate (come dimostrato dall’epidemia di co-lera) e non si è prestata attenzione ai problemi della si-curezza delle vittime, soprattutto per quanto riguarda laviolenza sessuale. In generale, la partecipazione attiva

La qualità dell’azioneumanitaria, nelle crisi

contemporanee, spessonon è assicurata.

Soccombe a forme di esibizionismo,

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organismi internazionalidevono regolamentarecon incisività i soggetti

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bambini, con il rischio altissimo di in-nescare un massacro su base etnica.

In poco più di un mese, il conflittoha quindi raggiunto dimensioni cata-strofiche. Agli inizi di febbraio si conta-vano oltre 10 mila morti e circa 750 milasfollati (il 10% della popolazione…). Icombattimenti continuano, con un au-mento preoccupante delle uccisioni subase etnica, in una drammatica spiraledi violenza. Ma cosa è accaduto a metàdicembre di tanto grave, da far sbricio-lare in poche ore le speranze di pace edi un futuro migliore per un popolo alungo tartassato dalla guerra?

Terra di conquista. Da semprePer arrivare al cuore del problema, èimportante ripercorrere le fasi salienti

della storia sud sudanese, dare unosguardo alla dimensione etnica e alleragioni economiche del conflitto.

Il Sud Sudan, stato indipendente dal19 luglio 2011, è sempre stato una “terradi conquista”, sfruttata e depredata.Dall’Ottocento, quando i primi esplo-ratori si inoltrarono nei suoi territoriinospitali, questo angolo d’Africa è di-venuto un serbatoio di zanne d’avorio,legna, soprattutto schiavi. Dopo la finedel colonialismo inglese, nel 1956, il Su-dan del Sud è passato sotto la domina-zione araba di Khartoum, ma i sudsu-danesi hanno continuato a vedersi trat-tare come cittadini minori, discriminatie marginalizzati. Finché non sono in-sorti, sotto l’egida del Spla (Esercito diliberazione del popolo del Sudan) e delsuo leader storico John Garang, e attra-verso due sanguinose guerre civili –l’ultima dal 1982 al 2005 – hanno rag-giunto l’indipendenza. Eppure i pro-blemi, come si è visto, non sono finiti.

Già durante la guerra di liberazioneerano infatti emerse profonde divisioninell’esercito di liberazione. Nel 1991Riek Machar lo aveva abbandonato, incontrasto con le posizioni di Garang, eaveva firmato un accordo con Khar-toum, durato sino al 2000; molti deisuoi uomini sono rimasti con il gover-no del Sudan fino al 2006. Da 23 anni aoggi, non c’è mai stata una reale ricon-ciliazione all’interno del Spla.

Dopo la proclamazione d’indipen-denza del 2011, si è insediato alla guidadel Sud Sudan il Movimento per la libe-

In poco più di un mese, il conflitto haraggiunto dimensioni catastrofiche. Agliinizi di febbraio si contavano oltre 10 mila

morti e circa 750 mila sfollati, il 10% dellapopolazione. E i combattimenti continuano

razione del popolo del Sudan (Splm),braccio politico dell’esercito di libera-zione. Salva Kiir (nuovo leader dopo lamorte, in un “misterioso” incidente ae-reo, di John Garang) è diventato il pri-mo presidente sud sudanese; Riek Ma-char, rientrato nel movimento, vicepre-sidente. Il Splm è tuttavia diventatopartito di governo senza maturare unachiara visione e un programma per ilpaese: in generale, la nuova classe diri-gente proviene dalle fila dell’esercito, edè incline più all’uso delle armi che algoverno di uno stato democratico. Lamaniera in cui viene gestita oggi unacrisi politica interna al partito, ne è lapiù tragica delle conferme…

Kiir e Machar, i duellanti Nel giugno 2013, in effetti, Machar ave-va iniziato a criticare apertamente Sal-va Kiir, accusandolo di inefficacia nellalotta alla corruzione e nel migliora-mento del paese. Un mese dopo, il 23luglio, la reazione del presidente: conun decreto presidenziale “folgorante”furono rimossi dai loro poteri Machare altri politici di spicco non allineati alleposizioni del presidente (tra cui il segre-tario generale del partito, Pagan Amun)e venne sciolto il governo. Il provvedi-mento, per molti una svolta autoritaria,provocò il malcontento in particolarenella comunità nuer, legata a Machar,che mostrò segni di crescente tensione.Ad agosto Machar dichiarò poi di voler-si candidare alla guida del partito perconcorrere alle prime elezioni presi-denziali del paese, nel 2015; quella chein un moderno paese democratico sa-rebbe apparsa come una normale sfidapolitica, in Sud Sudan è divenuta fontedi timori e contrasti destabilizzanti.

All’inizio di dicembre, Machar ha

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internazionale sud sudan

l 15 dicembre scorso, a soli dueanni dalla raggiunta indipenden-za, è tornato a farsi sentire in SudSudan, il più giovane paese delmondo, il rumore delle armi. È

successo all’improvviso, nel cuore dellanotte, quando il sonno dei cittadini del-la capitale Juba è stato bruscamente in-terrotto dal fuoco delle mitragliatrici,dallo scoppio assordante delle bombe,dal suono tartassante dei kalashnikov.Un rumore conosciuto, con cui tutti isud sudanesi hanno convissuto per de-cenni, ma che speravano di essersi la-sciato alle spalle, come un brutto ricor-do della guerra con il Sudan (tra le piùsanguinose del continente africano: invent’anni ha causato oltre 2 milioni dimorti e 4 milioni di sfollati).

Eppure, poco prima di Natale, quelsuono di morte è tornato in città comeun incubo, e in breve Juba è ripiombatanel caos: oltre 500 morti, e un numeroimprecisato di sfollati già nelle prime 48ore. In pochi giorni il conflitto si è poi

di Angelo Pittaluga

Sete di potere e di controllo dellericchezze naturali. Al fondo del conflittoche dilania il SudSudan (diecimila morti),a due anni e mezzodall’indipendenza, ci sono interessitangibilissimi deileader. Che soffiano ad arte sul fuoco delle diversità etniche

esteso ad ampie parti del paese, dallostato orientale del Jonglei, al confinecon l’Etiopia, agli stati settentrionalidell’Upper Nile e di Unity, al confine colSudan, gettando sul paese l’ombra ter-rificante di una nuova guerra civile.

Il presidente della repubblica delSud Sudan, Salva Kiir, ha accusato l’exvicepresidente, Riek Machar, di aver or-chestrato un tentativo di colpo di stato,sventato in tempo dalla guardia presi-denziale, e ha fatto arrestare undici capipolitici sospettati di aver partecipato al-la manovra. Riek Machar, scappato nel-la notte dalla capitale per evitare l’arre-sto, ha accusato a sua volta il presidentedi gestire il paese in maniera autoritariae antidemocratica. Fin dalle prime oredel conflitto si sono scatenate ancheviolenze ingiustificate contro civili iner-mi: testimoni oculari affermano chegruppi di militari dinka (il gruppo etni-co del presidente Kiir) hanno uccisosenza ragione gruppi di nuer (il gruppoetnico di Machar), compresi donne e

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CONFLITTO FRATRICIDAUn civile sconsolato tra le rovinedel suo villaggio presso Bentiu,dopo la battaglia tra governativie ribelli. A destra, soldatigovernativi a Bor, Jonglei State

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maledizione del giovanissimo paese –per quanto sembri un paradosso – sicela dietro l’estrema ricchezza dellesue risorse. Come si diceva, questo an-golo d’Africa è sempre stato terreno diconquista. E purtroppo la lotta per ilcontrollo delle sue risorse non è finita.

Tra i principali “tesori” sud sudane-si si trovano anzitutto sterminate di-stese di terre vergini, che fanno gola agrosse imprese multinazionali, inte-ressate a uno sfruttamento agricolointensivo. In pochi anni sono stati ven-duti circa tre milioni di ettari di terra aimprese straniere. Inoltre, abbondanouranio e altri minerali preziosi. E so-prattutto, principale causa dei conflitticontemporanei, troviamo giacimentidi petrolio, ancora ampiamente sfrut-tabili. Le potenzialità economiche diquesto giovane stato africano sonoenormi, pari all’ambizione e alla setedi potere di leader senza scrupoli.

Benché scrigno di tali ricchezze, ilSud Sudan versa tuttavia ancora incondizioni di povertà strutturali estre-me. I servizi minimi essenziali, dalla sa-lute all’educazione, sono pressoché as-

senti. Non esistono infrastrutture comestrade asfaltate, acqua corrente, elettri-cità, se si fa eccezione per alcune zonedella capitale. I livelli di morte infantilee al momento del parto sono tra i piùalti del mondo, così come i livelli dianalfabetismo, soprattutto femminile.

Pare che, come testimoniano tri-stemente altri numerosi paesi africa-ni, mantenere la popolazione in unostato di arretratezza ed ignoranza siafunzionale allo sfruttamento delle suerisorse. Per certo si può affermare chele grandi potenzialità economiche delSud Sudan non sono mai andate a be-neficio della gente, nemmeno dopo laraggiunta indipendenza. Complice,senza ombra di dubbio, una classepolitica che ha mostrato interesseunicamente per il proprio profitto, di-sposta a tutto pur di mantenere e ac-crescere il potere.

Non a caso, il conflitto si concentraattualmente nei tre stati economica-mente più importanti, dove si trovanoi pozzi petroliferi: «Chi comanda qui –sintetizza padre Daniele Moschetti,provinciale dei Missionari Combonia-

ni del Sud Sudan – ha il controllo sututto il paese».

Il dialogo, i combattimentiIl 14 gennaio 2014 sono intanto iniziatii dialoghi di pace ad Addis Abeba tra ilrappresentante del governo del Sud Su-dan e Taban Deng, portavoce dei ribelli:hanno portato alla firma di un accordosul cessate il fuoco, il 23 gennaio. Sulterreno, i combattimenti sono peròcontinuati senza tregua. E all’inizio difebbraio il leader dei ribelli, Riek Ma-char, ha dichiarato ufficialmente di avercostituito un movimento-esercito di re-sistenza, che combatterà fino a rove-sciare il governo di Juba. Questa dichia-razione pone le basi per una nuova, tri-ste, guerra civile fratricida.

Non resta che affidarsi all’appello dipace per il Sud Sudan lanciato a iniziodi gennaio da papa Francesco, facendoeco al messaggio di pace della Chiesalocale: «Abbandonate la via delle armie uscite per incontrare l’altro con unospirito di dialogo, perdono e riconcilia-zione, per ricostruire la giustizia, la fi-ducia e la speranza attorno a voi».

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L’impegno Caritas

Caritas Italiana, insieme a Caritas Sud Sudan e altreCaritas presenti nel paese, è impegnata nella risposta all’emer-genza umanitaria causata dalla nuova guerra e nell’assistenzaai profughi e agli sfollati, fornendo loro servizi essenziali.

I principali progetti che sono stati avviati prima della guerra, grazie anche alla presenza di personale espatriato nel paese, riguardano lo sviluppo dell’agricoltura e dei mezzidi sostentamento locali, la promozione dei diritti e della pace,la fornitura di servizi sanitari in alcuni villaggi.

Tra sviluppo ed emergenza

internazionale sud sudan

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quindi convocato una conferenzastampa per denunciare l’assenza, nelSplm, di democrazia, di libertà di paro-la e di stampa: perché il presidente Kiir,ha domandato apertamente in quellacircostanza, ha costituito una guardiapersonale formata da ben 15 mila uo-mini, di fatto un “esercito parallelo” fe-dele ai suoi ordini? Il passo successivoè ormai noto: la notte del 15 dicembreJuba è divenuta teatro di scontri di fe-rocia inaudita, e uccisioni indiscrimi-nate si sono diffuse dalle periferie dellacapitale, in ampie parti del paese.

Uccisioni etnichePer inquadrare la questione etnica, sipuò partire da un paio di racconti delleultime settimane. «Eravamo a bordo diuna macchina, diretti a Wau – sosten-gono alcuni studenti –, quando ungruppo di militari ci ha fermato. Noistavamo tornando a scuola e siamoscesi dalla macchina cercando di rima-nere tranquilli, nonostante i mitra pun-tati e gli sguardi duri dei soldati. Dopoaverci controllato, i militari hanno pre-so da parte i passeggeri nuer, intiman-do loro di seguirli. A noi hanno ordina-to di allontanarci al più presto. Nonsappiamo cosa sia successo agli altri ra-gazzi; nessuno di noi li ha più visti».

Altre testimonianze riportano avve-nimenti ancora più scioccanti. «Mentretornavo a casa verso l’alba – raccontaun guardiano notturno di Juba –, nelquartiere di Munuki West, ho sentito dalontano spari di fucile, e un gruppo disoldati gridare e far uscire dalle capan-ne tutti gli abitanti. Mi sono nascosto eho osservato la scena con terrore. Hovisto soldati radunare circa venti perso-ne, tutte nuer, e ho riconosciuto mieiamici. Li hanno fatti mettere di fronte aun tukul (tipica capanna di paglia efango) e hanno iniziato a sparare. Misono coperto gli occhi con le mani, miè sembrato di morire insieme a loro».

L’organizzazione internazionale Hu-man Rights Watch ha documentatonumerosi altri casi di uccisioni e violen-

ze, motivati dall’appartenenza etnica.La maggior parte sono avvenuti a Jubada parte di soldati di etnia dinka neiconfronti di civili nuer, incusi donne eminori. Hrw riporta altresì uccisionicompiute dai ribelli nuer nei confrontidi dinka in altre parti del paese. Questeatrocità indiscriminate riportano allamente immagini terrificanti, come ilgenocidio etnico in Ruanda, e fanno te-mere il peggio per il Sud Sudan.

Si può però parlare di una guerra et-nica? In verità l’attuale crisi sud suda-nese è ben più complessa. Ridurre ilconflitto a una contrapposizione tra idinka di Kiir e i nuer di Machar è unasemplificazione mistificante, che nonrispecchia la realtà. In primo luogo, vadetto che molti dinka disapprovanoapertamente il comportamento delpresidente; tra costoro spicca RebeccaNyandeng, la vedova del leader storico

Si può parlare di guerra etnica? L’attualecrisi sudsudanese è ben più complessa.Ridurre il conflitto a una contrapposizione

tra i dinka di Kiir e i nuer di Machar è unasemplificazione mistificante

del Spla, John Garang. Inoltre, va ricordato che in Sud Su-

dan convivono oltre 70 diversi gruppietnici, che parlano lingue diverse, han-no diversi usi e costumi, e nel corso del-la storia sono stati spesso in lotta tra lo-ro. Non si può riassumere la guerra,pertanto, come lotta tra due gruppi et-nici dominanti; ragioni e sfumature cheinsanguinano il paese sono più profon-de. Come spesso accade in contestiafricani, la violenza tribale è l’effettocollaterale di una lotta di potere.

Rimane il fatto, tuttavia, che le ucci-sioni motivate dall’appartenenza etni-ca si moltiplicano a dismisura, ina-sprendo una spirale di violenza checresce in maniera vertiginosa, alimen-tata dal sangue di vendette e nuove uc-cisioni. E i leader principali hanno tuttol’interesse a fomentare l’odio inter-tri-bale, a soffiare sulla brace incandescen-te delle differenze etniche, per ottenereun vantaggio nella lotta di potere.

La maledizione delle ricchezzeDove va cercata, allora, la ragione ulti-ma di questo conflitto fratricida? La

QUOTIDIANITÀSTRAVOLTAProcessioneper la pace a Jubae, sotto, lezionein una scuolasudsudanese.Nella pagina a destra,civili sfollatisi riparano sottoun telo posto sopraun albero fuoridai cancelli dellamissione Onua Bentiu, Unity State C

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trimestre del 2013, era attestato a pocopiù di 400 euro al mese. Secondo i sin-dacati bulgari, per la mera sopravvi-venza fisica sono invece necessari cir-ca 120 euro al mese a persona. Sottoquesto livello di entrate, quindi sottola linea di povertà reale, vivono circa il23% delle famiglie, pari a circa 1,6 mi-lioni di persone. Per l’istituto statisticoeuropeo Eurostat (dati 2012) quasi lametà della popolazione bulgara (49%)è oggi a rischio di povertà ed esclusio-ne sociale. Una percentuale quasidoppia della media Ue, attestata intor-no al 25%. Secondo lo stesso studio, il44% dei bulgari soffre di serie privazio-ni materiali, più di quanto succeda intutti gli altri paesi europei.

Un ulteriore elemento di squilibrioè dato dall’aumentare delle disegua-glianze, sia a livello sociale che geo-grafico. Sempre secondo i sindacati,negli ultimi anni, segnati dalla crisieconomica, la forbice tra le retribu-zioni più alte e le più basse si è sensi-

ulgaria, il paese più poverodell’Unione europea”. Difficiletrovare un articolo, un repor-tage, una notizia sul paesebalcanico, entrato a pieno ti-

tolo nell’Ue nel 2007, che non evidenzie sottolinei il poco invidiabile primato,magari associandolo all’alto livello dicorruzione nell’amministrazione pub-blica. Nel caso della Bulgaria, la parola“povertà” è diventata quasi una secon-da pelle del paese, un’identità e unostigma profondamente interiorizzatosia dagli osservatori esterni che daglistessi cittadini bulgari.

Ma che tipo di disagio reale si na-sconde dietro la condanna a essere“eternamente ultimi” nel contesto eu-ropeo? Come si traduce nella vita quo-tidiana di chi sperimenta la depriva-zione economica, a cui spesso si ac-compagna anche quella sociale? Lestatistiche possono aiutare a dare unaprima cornice di riferimento. Lo sti-pendio medio in Bulgaria, nell’ultimo

‘‘Bdi Francesco Martino

La Bulgaria, statistichealla mano, è il paesepiù povero dell’Ue.Rischia l’indigenzametà della popolazione, in particolare alcunigruppi sociali:anziani, minori, rom,tossicodipendenti,disabili, ora pure i profughi siriani.Primo rapportoCaritas sul tema

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degli eterni ultimi

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BANDIERE DELUSEFesta di stradaall’ingresso dellaBulgaria in Europa:era gennaio 2007.Ma i problemi socialisono tutt’altro chescomparsi: sotto,manifestazioniantipovertà

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Secondo la risoluzione, la Commissione dovrà effet-tuare il monitoraggio periodico dei progressi effettuatidagli stati membri, individuare un indicatore europeoche misuri la portata dell’esclusione sociale connessaall’alloggio, prevedere la ricerca e lo sviluppo delle cono-scenze sulle politiche e nei servizi, incentivando l’inno-vazione sociale.

Molte altre sono le raccomandazioni incluse nella ri-soluzione. Che rappresenta un risultato davvero impor-tante, il quale mira a riportare al centro del dibattito po-litico le strategie di inclusione sociale di persone grave-mente emarginate. È un tema da non sottovalutare,anche in vista delle elezioni dell’europarlamento: dalleistituzioni europee può e deve partire un’azione di vigi-lanza degli stati membri, affinché utilizzino tutte le ri-sorse disponibili per debellare le peggiori forme di po-vertà, mirando nel contempo ad armonizzare azioni diwelfare ancora troppo diversificate.

INCLUDERE GLI INVISIBILI,IMPEGNO PER IL DECENNIO

zeropovertydi Laura Stopponi

mentare anche a causa della disoc-cupazione e della precarietà. In mol-ti degli stati membri, nei quali è statopossibile raccogliere dati recenti especifici, si è confermata questa ten-denza.

Secondo l'eurodeputato italianoNiccolò Rinaldi, che ha fortementeappoggiato la risoluzione, «è veroche l’assistenza spetta agli statimembri, ma abbiamo una grandecacofonia a riguardo. La Commissio-ne europea deve occuparsi della dif-fusione dei fondi, di propagare lebuone pratiche e soprattutto provve-dere alla mappatura del problema».

Il parlamento europeo ha così in-vitato la Commissione a elaborare alpiù presto una strategia europea, chesi concentri principalmente su alcu-ni temi: iniziative per dare prioritàassoluta all’alloggio, per promuoverela qualità dei servizi accessibili aisenza dimora, per prevenire l’home-lessness, per impedire la caduta deigiovani in questa situazione e per in-dagare il nesso tra libera circolazionedelle persone nell’Unione e il mani-festarsi dell’homelessness.

l parlamento europeo ha approvato in gennaio a grande maggio-ranza una risoluzione sulla strategia dell’Unione europea (e deglistati aderenti) per affrontare il fenomeno dell’homelessness, ov-

vero la condizione delle persone senza dimora. Il documento muoveda una considerazione: “La condizione di chi è senza dimora costi-tuisce una violazione della dignità umana e dei diritti umani; avereun alloggio è un’esigenza umana fondamentale e un presupposto in-dispensabile per una vita dignitosa e per l’inclusione sociale”.

Con la risoluzione di gennaio gli eurodeputati chiedono alla Com-missione europea una strategia comunitaria, esortandola a prestaremaggiore attenzione agli effetti dellapovertà estrema sull’accesso e sulgodimento dei diritti fondamentali,e chiedono agli stati membri di porrefine alla criminalizzazione delle per-sone senza dimora. È infatti semprepiù urgente, secondo gli eurodepu-tati, contrastare ogni forma di discri-minazione e marginalizzazione diqueste persone.

La questione è diventata una prio-rità della politica dell’Ue di lottacontro la povertà, nel quadro dellastrategia “Europa 2020”. La risoluzio-ne dell’europarlamento nota che “gliattuali livelli di povertà ed esclusione sociale minaccianodi vanificare l’obiettivo” di tale strategia: “ridurre di al-meno 20 milioni il numero delle persone che si trovanoo rischiano di trovarsi in uno stato di povertà e di esclu-sione sociale”. Anche in considerazione del fatto che “glistati membri più gravemente colpiti dalla crisi economi-ca e finanziaria stanno assistendo a un aumento senzaprecedenti del fenomeno dei senzatetto”.

Priorità all’alloggioConsiderando che la condizione dei senza dimora costi-tuisce la forma più estrema di povertà e di indigenza, nel2009 (ultimi dati ufficiali) circa 410 mila persone nei pae-si Ue erano senza alcun alloggio, mentre circa 4,1 milionidi persone erano le persone esposte ogni anno al rischiodi rimanere senza un alloggio, anche solo per un breveperiodo. Si stima che negli ultimi anni questo numerosia drammaticamente cresciuto e sia destinato ad au-

Risoluzione delparlamento europeosull’homelessness.

Raccomandazioni allaCommissione Ue e aglistati membri: occorreattuare politiche perridurre di 20 milioni,

entro il 2020, il numerodi persone senza

dimora e gravementeemarginate

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I soldi, però, non bastano nemmenoper riempire la pentola. Spesso e vo-lentieri lo stesso piatto di riso fa da co-lazione, pranzo e cena. E talvolta noiadulti non mangiamo, per lasciarequalcosa ai bambini».

Il figlio e i nipoti di Tzvetan vannoregolarmente a scuola. Questo perònon accade a tutti. «In mancanza dimezzi di sussistenza, le famiglie pove-re puntano tutto sulla mera sopravvi-venza fisica dei propri figli», registra ilRapporto sulla povertà di Caritas Sofia.L’istruzione viene così spesso ridotta aun lusso superfluo. Una scelta forzata,che nel lungo periodo riproduce e raf-forza i meccanismi di esclusione so-ciale e povertà. La mancanza di scola-rizzazione, oppure la scarsa qualitàdegli studi, creano infatti persone in-capaci di inserirsi nel mondo del lavo-ro, di difendere i propri diritti ed esserepienamente parte della società.

Di certo non aiuta il fatto che, so-prattutto nelle aree in cui la comunitàrom è particolarmente numerosa,

una scarsa cura dell’igiene personale,alla limitazione della vita sociale, chesfocia in solitudine e alienazione.Spesso a creare condizioni di esclusio-ne è la mancanza o problematicità deirapporti degli anziani con la famiglia,struttura a cui è tradizionalmente de-legata in Bulgaria la cura delle perso-ne in età avanzata. A rendere le cosepiù complicate, soprattutto per que-sta fascia delle popolazione, è la scar-sa qualità di alcuni servizi di base, so-prattutto la sanità. Secondo lo EuroHealth Consumer Index, nel 2012 laBulgaria presentava infatti i peggioriindicatori nel settore tra tutti i 35 paesieuropei analizzati.

A volte, paradossalmente, anchel’avanzamento tecnologico si riflettein modo negativo sui più deboli. «Conil passaggio delle trasmissioni al digi-tale terrestre, molti anziani non riesco-no più nemmeno a guardare la televi-sione, visto che i loro apparecchi man-cano dei decoder necessari – raccontaPatashev –. Questa situazione li fa sen-

tire ancora più soli ed isolati, per moltila tv è l’unica forma di compagnia. Ingenerale, spesso la depressione è die-tro l’angolo, soprattutto per chi sentedi non poter avere una vita dignitosa».

Non tutti a scuolaParalleli e speculari ai problemi deglianziani, si registrano quelli che riguar-dano i minori. In Bulgaria, quasi lametà dei più giovani è oggi a rischio dipovertà. I minori sono poveri quandovivono in una famiglia povera: una si-tuazione diffusa, ed estremamenteproblematica soprattutto nella nume-rosa comunità rom che vive nel paese.Come la famiglia Georgiev, che abitaa Gabare, poche centinaia di abitanti(di cui buona parte rom) nella disa-strata Bulgaria nord-occidentale. «Pernoi la vita è estremamente dura. Quidi lavoro non ce n’è, sopravviviamocon qualche occupazione stagionale,oppure rubando un po’ di legna neiboschi privati che circondano il paese– racconta Tzvetan, il capofamiglia –.

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Con i suoi 6.500 euro l’anno di Pil pro capite, la Bulgaria nord-oc-cidentale risulta oggi la regione più povera dell’intera Ue (perconfronto, il Pil del Lazio è 28.600 euro, quello della Calabria15.800) Tra le aree più colpite dalla deindustrializzazione seguitaal crollo del regime socialista, la regione registra anche il più bas-so tasso di istruzione superiore, di investimenti e propensioneall’impresa. Spopolata da un fortissimo tasso di emigrazione, laBulgaria nord-occidentale (Severozapadna Balgarija, in lingua bul-gara), si è guadagnata il tragico nomignolo di Severozapadnala(letteralmente, “Bulgaria nord-depressa”). Oggi l’Ue sta tentandodi rivitalizzare l'area attraverso programmi comunitari e investi-menti mirati. Il più noto è la costruzione di un nuovo ponte sulfiume Danubio, vicino alla città di Vidin, terminato nel 2013.

La regione “nord-depressa”,fanalino di coda continentale

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Proteste drammatiche. E accompagnateda una lunga serie di auto-immolazioni chehanno scosso l’opinione pubblica. In poche

settimane, almeno sei persone hanno messo fine alla propria vita dandosi fuoco

quando l’Associazione dei pensionatibulgari si è rivolta alla Corte di giusti-zia dell’Unione europea in Lussem-burgo, accusando lo stato di “genoci-dio” nei confronti dei pensionati.

In un recente Rapporto sulla po-vertà in Bulgaria, pubblicato da Cari-tas Sofia (primo prodotto di un per-corso di studio e osservazione dellepovertà e delle risorse, cofinanziatoda Caritas Italiana), emergono moltidei gravi problemi che affliggono glianziani bisognosi. La necessità dicomperare medicinali e di pagare lebollette (elettricità, acqua, telefono)fa sì che all’acquisto di cibo venganoriservate cifre insufficienti. Gli anzianicomprano quindi “il cibo più econo-mico e di peggior qualità presente sulmercato”, spesso privandosi del tuttodi cibi salutari come frutta e verdura.Al tempo stesso, per risparmiare sulriscaldamento “molti anziani vivonocon le finestre sbarrate per anni”. Neicasi più gravi, secondo il rapporto, leristrettezze economiche portano a

negli ultimi vent’anni ha subito unprocesso di forte innalzamento del-l’età media, dovuto al drastico calodelle nascite e alla forte emigrazionedi giovani all’estero, ci sono oggi 2,2milioni di pensionati (su circa 7,5 mi-lioni di abitanti); di costoro, secondol’Istituto nazionale bulgaro di stati-stca, 838 mila vivono sotto la soglia dipovertà. I meno fortunati ricevonouna pensione che supera di poco i 70euro al mese: situazione drammatica,che ha portato gli anziani ad alcuneprese di posizione eclatanti quantoimpotenti. Come nell’aprile del 2013,

bilmente ampliata. Evidente, poi, è ilpreoccupante divario tra Sofia e il re-sto del paese. Nella regione della ca-pitale bulgara, infatti, il Pil medio procapite è più alto di molte regioni del-l’Italia del sud. Nel resto del paese, in-vece, i dati scendono drasticamente.La Bulgaria nord-occidentale (Seve-rozapadna Balgarija) rappresenta og-gi la regione più povera e depressa ditutto il Vecchio continente.

Fino ad auto-immolarsiQuesta situazione di povertà diffusaha portato la Bulgaria in un clima dicontinua instabilità politica e sociale.Nel febbraio 2012, proteste di piazzasono state scatenate dall’arrivo dibollette del riscaldamento inspiega-bilemente elevate: un aumento dispesa in grado di mettere in crisi ilbudget di buona parte delle famigliebulgare. La rabbia, associata alla pro-testa contro l’alto livello di corruzio-ne, portò alle dimissioni del governo,allora guidato dal populista di cen-tro-destra Boyko Borisov, per poi sfo-ciare in un periodo di incertezza chesi è trascinato fino a oggi, nonostanteelezioni anticipate e la formazione diun nuovo esecutivo di centro-sini-stra. A testimonianza della profondadrammaticità delle proteste, questesono state accompagnate da unalunga serie di auto-immolazioni chehanno scosso e commosso l’opinio-ne pubblica. Nel giro di poche setti-mane, almeno sei persone hannomesso fine alla propria vita dandosifuoco: un gesto dettato quasi sempreda condizioni economiche disperate.

In questo panorama di generaledisagio, vi sono settori della societàmaggiormente a rischio. «Tra le cate-gorie più deboli e in difficoltà, al pri-mo posto metterei gli anziani. Soprat-tutto quelli che hanno la pensioneminima, e con serie limitazioni a ot-tenere i servizi sociali e sanitari», spie-ga Emanuil Patashev, segretario gene-rale di Caritas Bulgaria. Nel paese, che

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VOLTI DELLA POVERTÀUn senza dimora per le strade di Sofia, un diabile mentale (a destra)nel villaggio rurale di Goren Chiflik

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PARTNER SQUILIBRATI,MAI L’INCONTRO SOLIDALE?

contrappuntodi Giulio Albanese

Epa aprirebbe nuove aree di com-mercializzazione per i propri prodot-ti, ma anche per gli investimenti e iservizi, ovvero un’ottima possibilitàper l’ampliamento dei mercati delvecchio continente.

Se da una parte è vero che la Ue siattesta al primo posto nelle sovven-zioni economiche all’Africa – circa il52% dell’ammontare ufficiale degliaiuti allo sviluppo per il continente –, dall’altra i governi africani conti-nuano a ripetere alle autorità di Bru-xelles che i proventi dei dazi doganalicostituiscono una gran parte del pro-prio Prodotto interno lordo (Pil) e laloro eliminazione causerebbe enor-mi perdite economiche. Soprattutto,è difficile pensare che i prodotti afri-cani, in particolare quelli finiti, pos-sano competere internazionalmentecon le merci provenienti dalla Ue oda altri paesi industrializzati.

Insomma, mentre i vantaggi perl’Europa sono evidentissimi, in termi-ni ad esempio di “privatizzazioni”, sel’Africa dovesse accettare gli Epa sitroverebbe costretta a competerecommercialmente contro i giganti

dell’economia mondiale, senza avere i denari e gli stru-menti per misurarsi con gli avversari. Questo, in effetti, stagià avvenendo in alcuni mercati ortofrutticoli dell’Africaoccidentale, dove i pomodori europei, ad esempio, costa-no meno di quelli prodotti localmente, godendo del so-stegno dei sussidi governativi consentiti dalla Ue. Tuttociò non solo disincentiva l’agricoltura africana, ma inde-bolisce ulteriormente l’economia del continente.

In questo clima di forte tensione, il Coordinamentoper i negoziati Epa, promosso dall’Unione africana (Ua),ha invitato a soprassedere, non firmando gli accordi Epa,in attesa del vertice Africa-Ue, in programma aprile. Unacosa è certa: siamo ancora anni luce distanti dalla di-mensione dialogica tra Europa e Africa auspicata dalpoeta senegalese Léopold Sédar Senghor: quella dell’in-contro solidale, dell’appuntamento del “dare e del rice-vere”, che renderebbe i rapporti tra i due continenti dav-vero paritari.

S i chiamano “Epa” e rappresentano il pomo della discordia traEuropa e Africa. Noti anche come Economic PartnershipAgreements (in italiano “Accordi di partenariato economico”),

vedono coinvolta l’Unione Europea con il gruppo Acp (Africa, Ca-raibi e Pacifico), un cartello che comprende 77 paesi, molti dei qualiex colonie europee. Iscritti nell’articolo 37 dell’Accordo di Cotonoudel 2000, gli Epa prevedono il “libero-scambio” delle merci tra Eu-ropa e Africa. Ma contrastano con l’indirizzo della precedenti con-venzioni, siglate tra i due blocchi a partire dalla metà degli anni Set-tanta, che consentivano ai prodotti dei paesi Acp, prevalentementematerie prime, l’esportazione neimercati europei senza essere sotto-posti ad alcuna forma di tassazioneall’entrata. Questa regola non valevainvece per i prodotti europei espor-tati nei paesi Acp, che dovevano alcontrario sottostare a un regime fi-scale di tipo protezionistico.

L’Europa ora ha cambiato idea echiede ai paesi Acp, all’insegna del li-bero scambio, di eliminare tutte lebarriere, come richiesto dalle normedell’Organizzazione mondiale delcommercio (Wto), con l’idea che cosìsarà possibile incentivare la crescitaeconomica dei paesi in via di sviluppo e contribuire allosradicamento della povertà. Sta di fatto che il 21 marzodello scorso anno, il Comitato per il commercio interna-zionale del parlamento europeo ha fissato la data del 1ottobre 2014 come termine per il completamento delletrattative. La Ue vuole concludere in fretta, data l’impor-tanza strategica dell’accordo, soprattutto per il rincarodelle materie prime che fanno gola alle potenze emer-genti (Brics).

I pomodori e il dialogoCome era prevedibile, gli Epa sono stati duramente criti-cati, soprattutto dai paesi africani, i quali ritengono cheil ribasso progressivo delle tariffe doganali relative all’im-portazione dei prodotti europei produca un danno irre-versibile alla precaria economia africana, già duramenteprovata dalla crisi finanziaria mondiale. Gli europei, daparte loro, sono convinti che la firma di un accordo sugli

L’Europa premeper nuovi accordi

economici con il gruppoAcp. Chiedendo all’Africa

di liberalizzare le suefrontiere. L’economia

del continente sarebbeesposta a una

concorrenza difficile da sostenere. Perchél’auspicio di Senghor

non si realizza?

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internazionale bulgaria

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vengono a crearsi vere e proprie scuo-le segregate, in cui la qualità dell’in-segnamento tende a essere moltobassa. Tanto che molti dei ragazziescono dalle istituzioni scolastiche(spesso abbandonandole prima deltempo) senza avere una conoscenzaappropriata della lingua bulgara. Unhandicap sociale che limita le pro-spettive e le speranze di spezzare, infuturo, il circolo vizioso della povertà.

Emergenza sirianiFerite sociali aperte interessano poialtre fasce marginali della societàbulgara. Portatori di handicap fisici ementali restano relegati ai margini,spesso invisibili e in prima fila tra chiè minacciato di povertà ed emargina-zione. Altrettanto accade a chi, permotivi diversi, ha perso la propria di-mora ed è costretto a vivere in strada.Rimane vivo poi lo stretto rapportotra tossicodipendenze e povertà: tal-volta è l’uso di sostanze stupefacentiad aprire le porte all’indigenza, in al-tri casi è la disperazione economicaa favorire la ricerca di un “rifugio”nella droga. I numeri rimangono pre-occupanti: sono quasi 35 mila i tossi-codipendenti registrati in Bulgaria, dicui l’80% dediti all’uso di eroina. Traloro, solo cinquemila risultano inse-riti in programmi di recupero.

Se le difficili condizioni degli anzia-ni, la mancata integrazione economi-ca e sociale della comunità rom e dicategorie a rischio sono problemi dilunga data, a cui il governo di Sofianon riesce a trovare una soluzioneconvincente, la drammatica guerra ci-vile che sta sconvolgendo la Siria hainaspettatamente creato una nuovaemergenza e un’altrettanto nuova sac-ca di povertà. Delle centinaia di mi-gliaia di profughi siriani attualmenterifugiati in Turchia, infatti, nel 2013 piùdi 6.500 hanno varcato il confine conla Bulgaria, portando in pochi mesi ilnumero totale dei rifugiati e richie-denti asilo nel paese a circa diecimila.

Numeri non enormi, in termini as-soluti, ma sufficienti a mandare in tiltla limitata capacità di risposta delleautorità e della società bulgara nelsuo complesso, abituata negli ultimidecenni all’emigrazione di massa,non certo a ricevere nuovi venuti. Du-rante il picco degli arrivi, nella secon-da metà del 2013, buona parte delledonne, uomini e bambini siriani sonostati sistemati in campi e centri im-provvisati, come quello di Voennarampa a Sofia (un’ex scuola abbando-nata) e quello di Harmanli, nel sud-est della Bulgaria, ricavato in una ca-serma militare in disuso. Sistemazio-ni ai limiti della vivibilità, sovraffollati,con condizioni igieniche e sanitariespaventose. Una situazione tale da at-tirare le pesanti critiche di organizza-zioni come Medici senza frontiere.

“Settori” già occupati«Non abbiamo acqua calda. Bagni egabinetti sono in condizioni pietose.Viviamo in una palestra in cui, sten-dendo lenzuola come tende diviso-rie, abbiamo ricavato degli spazi conun minimo di privacy. Fa freddo, e ilriscaldamento non basta». È questal’impietosa sintesi di come si vive a

Rimane stretto il rapporto tra povertàe tossicodipendenze: talvolta l’uso di stupefacenti apre le porte all’indigenza,

in altri casi il disagio economica favoriscela ricerca di un “rifugio” nella droga

Voenna rampa, realizzato da B. Kano,17 anni, curdo della regione di Al-Qa-mishli, proveniente dalla Siria setten-trionale, come buona parte degliospiti del centro.

È ancora presto per sapere se il nu-mero dei profughi crescerà ancora conl’arrivo della primavera (durante l’in-verno c’è stata una forte contrazionedel numero di attraversamenti delconfine turco-bulgaro). In ogni caso,chi è arrivato rappresenta una saccapotenziale di nuovi poveri, che prova-no a trovare spazi di sopravvivenza inBulgaria: un obiettivo non facile daraggiungere. «Da noi la situazione è piùcomplicata che in Europa occidentale.Lì i nuovi arrivati, immigranti econo-mici o richiedenti asilo, spesso trovanouna nicchia di occupazione nel lavoronon qualificato e in nero – è l'opinionedi Tihomir Bezlov, analista del Centroper la ricerca sulla democrazia di Sofia–. In Bulgaria, però, anche questi “set-tori” sono già occupati, dai bulgari piùpoveri e dai rom». I membri delle fascepovere temono di trovare nei profughinuovi “concorrenti”, in una situazionedi crisi economica prolungata: unostato d’animo già visibile, che ha cau-sato rigurgiti di retorica xenofoba, sfo-ciata anche in aggressioni violente.

Come dimostrato da altri paesi inpreda alla crisi, come la vicina Grecia,dove il partito neonazista Alba Dora-ta è cresciuto minacciosamente, l’in-tolleranza si alimenta spesso all’om-bra dei processi di impoverimento edisgregazione sociale. Un effetto col-laterale, di cui nel paese più poverod’Europa si avvertono sintomi, manon il bisogno.

RIFUGIATI E ABBANDONATIProfughi siriani accampati ad Harmanli, sud-est della Bulgaria,in una caserma dismessa

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‘‘MICRO’’LA SOLIDARIETÀA CERCHI AMPI

Quale dev’essere l’estensione dei nostri aiuti e della nostracooperazione? Deve raggiungere tutti i fratelli: ovvero gli uomini di tutto il mondo. Anche tramite finanziamenti di piccolo importo. Che però manifestano un grande impatto, in termini di sviluppo

«A chi va estesa la solidarietà? Certo fra i membri di una fami-glia, fra un gruppo di amici, fra gli alunni di una scuola, fra icittadini di un quartiere, fra i membri di una parrocchia. Ma

i cerchi concentrici devono allargarsi molto, molto di più: devono rag-giungere gli uomini di tutto il mondo. E abbracciare le loro aspirazioni,i loro problemi, le loro sofferenze: ogni uomo è mio fratello». Così scri-veva negli anni Settanta monsignor Giovanni Nervo, primo presidentee direttore di Caritas Italiana.

Farsi carico dei problemi di piccole comunità, in tutte parti del mon-do, è un’azione accessibile a ciascuno di noi. Contribuire finanziaria-mente a un progetto di Caritas Italiana, in base alle proprie possibilità,significa raggiungere persone bisognose in tutte le parti del modo, par-tecipando concretamente alla loro crescita economica e, in molti, casia un vero e proprio riscatto sociale.

Nel 2013 sono stati realizzati oltre mille progetti, di cui 334 di piccoloimporto, ma di grande impatto sociale. Si tratta di microprogetti propo-

sti dalle comunità locali: un’autentica proget-tualità dal basso, dalle periferie del mondo. Agri-coltura, commercio, artigianato, microcredito,formazione professionale, ambiente, acqua, al-levamento: sono gli ambiti e i settori in cui si so-no innescati, secondo i bisogni identificati daglistessi beneficiari, concreti percorsi di sviluppo.

Sostenere un microprogetto significa avviareprocessi di cambiamento sociale ed economicodi tante persone in piccole, concretissime co-munità, dando fiducia e ponendosi al fianco deipiù poveri, superando l’ottica dell’assistenziali-smo e promuovendo una cultura di auto-svi-luppo a lungo termine.

di Francesco Carloni

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Nel 2013oltre trecentoiniziative Caritas

16 mila i donatori (persone, famiglie, comunità parrocchiali,congregazioni religiose, asso -ciazioni, imprese…) che nel2013 hanno permesso a Cari-tas Italiana di sostenere la rea-lizzazione di 334 microprogettidi sviluppo in 58 paesi, per un importo complessivo di 1.445.920 euro.

AMBITI MICRO IMPORTO %PROGETTI (IN EURO)

Promozione socio-economica 207 892.310 61,71

Sanitario 50 215.560 14,91

Sociale 77 338.050 23,38

Totale 334 1.445.920 100

al pellegrinaggio mondiale dellefamiglie, per garantire assistenzaa circa ventimila rifugiati e sfollatisiriani, su proposta di Caritas Si-ria. Poi, con la Lega Calcio SerieA e il Coni, sono state condotte

archivium di Francesco Maria Carloni

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panoramamondo

“La Pacem in terris, messaggio e dono pasquale all’umanità”. Nel 1985 CaritasItaliana, insieme alla Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopaleitaliana e a Pax Christi, pubblicava il suo Quaderno n. 23, dove venivano raccolti i contributi di un seminario di studio sulla Pacem in terris a venti anni dalla sua pro-mulgazione, avvenuta l’11 aprile 1963. Il quaderno, diviso in tre parti, riporta unamolteplicità di riflessioni, ripercorrendo i principali contenuti dell’enciclica di papaGiovanni XXIII. Utilizzando come filigrana il concetto conciliare dei “segni dei tem-pi”, enciclica – e quindi convegno e quaderno – proponevano riflessioni su temi di grande rilevanza (non solo per quei decenni): la promozione delle classi lavoratri-ci, la promozione della donna, la decolonizzazione del mondo, la società partecipa-tiva, la consapevolezza dei diritti e dei doveri, la mondializzazione dei conflitti, la nonviolenza come metodo di risoluzione delle guerre. A impreziosire il quaderno,la riflessione iniziale di monsignor Loris Capovilla, segretario particolare di papaRoncalli, che così scriveva del Santo Padre: «La coerenza tra pensiero e azione è stata una sua nota caratterizzante, testimoniata verbo e opere con rigorosa discrezione, priva di inibizioni, tale da non imbarazzare chicchessia, non incapsula-ta nelle strettoie della diplomazia, bensì collocata negli spazi della carità».

Ed è grazie a questa coerenza di esposizione che l’enciclica ha pian piano assun-to autorevolezza, testimoniata dal fatto che rimane di grande attualità. I suoi pilastrisono fratellanza, cooperazione, dedizione, rispetto, universalità e servizio: sei indica-zioni pastorali che il Concilio Vaticano II seppe poi concretamente indicare come gui-de del cammino di rinnovamento della Chiesa, il quale, in un mondo segnato da ele-menti di forte crisi che tagliano trasversalmente il mondo industrializzato e il mondo“in via di sviluppo”, esige ancora oggi, a cominciare dai cristiani, un impegno globale per il superamento degli squilibri planetari e delle condizioni di povertà in cui ancora si trova una parte impor-tante della popolazione del pianeta.

Rileggere e meditare il contenuto del Quaderno 23 Terra e pacepotrà aiutare a essere sempre più consapevoli, in tempo di nuovesfide e nuove campagne, che siamo su questa terra come “unasola famiglia umana”.

“Terra e pace”, il Quaderno rileggel’attualità (sempre viva) dell’enciclica

SIRIADopo San Pietroe gli stadi di calcio,“Venti di pace”nelle grandi stazioni

Dopo piazza San Pietro e gli stadidi Serie A, le grandi stazioni ferro-viarie. La campagna “Venti di pa-ce per la Siria”, lanciata dal Pon-tificio Consiglio per la famigliae da Caritas Italiana, il 26 e 27ottobre 2013 ha promosso unaraccolta fondi tra i partecipanti

GUERRA E CRISIVolontari di una piccolaCaritasparrocchialead Atene.Sotto, il bannerdell’iniziativa per la pace in Siria

azioni di sensibilizzazione durantele partite di campionato del 18 e 19 gennaio. Anche il gruppo Fer-rovie dello Stato ha condiviso l’ini-ziativa di pace: dal 16 al 22 feb-braio ha mandato in onda il videodella campagna nelle grandi sta-zioni italiane, su 1.105 schermi.

Pontificio Consiglio per la fami-glia e Caritas Italiana rilancianol’appello alla pace e chiedono la ripresa urgente di un dialogo efficace tra tutte le parti in conflit-to. Nel contempo proseguono gliaiuti alla popolazione, nonostantele enormi difficoltà. Nelle scorsesettimane la sede Caritas di Alep-po, una delle sei dislocate nelleprincipali località della Siria, è sta-ta colpita da un mortaio: per fortu-na nessuna vittima, gli operatorisi sono trasferiti nella sede vesco-vile e le distribuzioni sono riprese.INFO E DONAZIONIwww.family.va – www.caritas.it

GRECIAPrimi gemellaggicon le famiglieellenichecolpite dalla crisi

Gemellaggi fra famiglie greche e italiane. Li stanno sviluppandola piccola Caritas Grecia e CaritasItaliana, nell’ambito di un pro-gramma di contrasto degli effettidella crisi sociale. L’idea dei ge-mellaggi fu ispirata dall’appellolanciato dal giugno 2012 da papaBenedetto XVI durante il Meetinginternazionale delle Famiglie, inseguito alla drammatica testimo-nianza data da una famiglia greca,profondamente colpita dalla crisi.Il programma, elaborato con l’Uffi-cio nazionale per la pastorale familiare e il Forum Famiglie, in-tende trovare risposte condiviseall’avanzare della crisi economica.Alcuni effetti concreti del program-ma cominciano a manifestarsi: a fine gennaio una delegazionedella Caritas diocesana e dell’Uffi-cio diocesano per la pastorale fa-miliare di Foggia si è recata a Cre-ta, per costruire un gemellaggio.

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MICROPROGETTO

Stiamo provvedendo allo scavodi cinque pozzi in aree ancora prive

di acqua corrente, così da rendere tuttele famiglie autonome per l’irrigazione

Nella cittadina di Bogatic, a nord-ovest del pae-se, la disoccupazione, in particolare femminile,

ha raggiunto il 36,72%, su una popolazione di circa29 mila abitanti. Per far fronte a questo problemache ha impoverito centinaia di famiglie, la Caritas lo-cale – grazie a un’esperienza analoga nella vicina cit-tà di Sabac – ha deciso di aprire una lavanderia so-ciale. Il microprogetto prevede l’acquisto di lavatrice,asciugatrice e ferro da stiro. A beneficiare del redditodella lavanderia saranno quattro donne e le loro fami-glie, le quali dopo un’adeguata formazione gestiran-no in autonomia tutte fasi del lavoro.

> Costo 3.500 euro> Causale MP 46/14 SERBIA

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ETIOPIAGidda e le altre 49:dopo gli orti,i pozzi con l’acqua.E il futuro si rasserena

Buongiorno, sonoGidda Kiramu. So-

no sposata da nove anni e ho quattromagnifici figli, tre femmine e un ma-schio. Vivo in un villaggio che si chia-ma Andode, al centro dell’Etiopia. Èuna zona povera, ma con un terrenofertile. Per questo motivo, insieme adaltre 49 donne, provenienti anche daivillaggi vicini, l’anno scorso abbiamodeciso di chiedere ad alcune suore diaiutarci a migliorare le nostre cono-scenze e abilità in materia di agricoltu-ra, alimentazione e igiene. Ne è natoun microprogetto: con 4.900 euro, in-viati da Caritas Italiana, abbiamo potu-to acquistare piante da frutto, semen-ti per ortaggi e alcuni utensili agricoli.

Le attività di formazione teoriche epratiche sono state un’importante oc-casione non solo di apprendimento, maanche di socializzazione per le famigliedel villaggio, che hanno scoperto l’im-portanza dell’agire comune. Io e le altredonne abbiamo sempre mostrato gran-de entusiasmo in tutte le fasi del pro-getto: tale passione ha permesso di av-viare piccoli orti familiari, fondamentaliper la diversificazione alimentare, congrande beneficio per i nostri bambini.

Ora, con piccoli contributi locali,stiamo provvedendo allo scavo di cin-que pozzi in aree ancora prive d’ac-qua corrente, così da rendere tutte lefamiglie autonome per l’irrigazione.Tutte la partecipanti al microprogettohanno ricevuto un attestato di finecorso, molto apprezzato. Senza l’aiu-to di Caritas Italiana non saremmomai riuscite a compiere questi passi,che hanno migliorato le nostre condi-zioni di vita presenti e, ciò che piùconta, il nostro futuro.

> Microprogetto 178/13 EtiopiaOrti familiari e pozzi ad Andode

5 Realizzato!

SERBIALavanderia anti-disoccupazione

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LASTORIA

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AGISCI ORA! SOSTIENI UN PROGETTO INFO: [email protected]

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MICROPROGETTO

MICROPROGETTO

REP. DEMOCRATICA DEL CONGOTrenta “micro”, programma per lo sviluppo

La Caritas nazionale della Repubblica democratica del Congo(Rdc) ha chiesto a Caritas Italiana di sostenere per il 2014

trenta microprogetti di sviluppo in ambito sanitario, agricolo, idrico e lavorativo, per un ammontare complessivo di 60 mila euro. La Rdc,nonostante sia un paese molto ricco di risorse minerarie, è tra i die-ci più poveri al mondo e occupa l'ultimo posto (186°) nella gradua-toria dell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite (Undp 2013).Si può aderire all’iniziativa, contribuendo alla realizzazione di unaparte o di un intero microprogetto per lo sviluppo delle comunità rurali della Repubblica democratica del Congo.

> Costo 3 mila euro (media per ogni progetto nella Rdc)> Causale MicroPvs Congo R.D> Minivideo su www.caritasit/microprogetti “Notizie sotto la sabbia.

Leggi tradotte per i nostri diritti”

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MICROPROGETTO

ECUADORI suini, investimento nel futuro

Nella comunità di Tanguis, provincia di Carchi, nord del paese, 15 famiglie

della parrocchia Matriz di San Gallo, voglionorealizzare un allevamento di suini. Riceve - ranno due suini a famiglia e la preparazionetecnica per l’allevamento e la commercializza-zione della carne. Tale attività è pensata per incrementare significativamente le condi-zioni economiche delle famiglie, che vivono in povertà.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 35/14 ECUADOR

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BURKINA FASOLaboratorio per produrre soumbala

Nel villaggio di Letiefesso, sud-ovest del pae-se, 40 donne si sono specializzate nella pro-

duzione di soumbala, un condimento molto diffusoin tutta l’Africa occidentale. Il microprogetto preve-de l’acquisto di nuove attrezzature per la produzio-ne e confezionamento del condimento, per aumen-tare la qualità e quantità del prodotto da immetterenel mercato locale. Aumentare la competitività del soumbala permetterà alle donne di aumentare il reddito, a beneficio dell’intera famiglia.

> Costo 3.300 euro> Causale MP 02/14 BURKINA FASO

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villaggioglobale

Quel fenomeno di Facebook:relazioni virtuali e impieghi realidella grande rete che ci fa “social”

paginealtrepagine di Francesco Dragonetti

Nato come esperimento di uno studente di college, in dieci anni Facebook è diventato un gigante da circa 600 milioni di utenti, capace di coinvolgere un pubblico molto più ampio rispetto ai media tradizionali. Ma è un fenomenopieno di sfide insolite, di cui l’utente, spesso, non è a conoscenza. Infatti, quan-ti tra gli utenti sanno come sfruttare al meglio tutte le potenzialità di questo social network? E difendersi dalle sue insidie?

Riccardo Meggiato Facebook (Apogeo, pagine 154), accompagna il lettore oltre i limiti di Facebook: per aumentare il numero di contatti, scoprire i segretidegli amici (e degli amici degli amici…).

Del fenomeno Facebook, insomma, tutti parlano, moltissimi già lo usano, mapochi lo conoscono davvero. David Kirkpatrick Facebook. La storia. Mark Zuc-kerberg e la sfida di una nuova generazione (Hoepli, pagine 238) conduce il let-tore nei meandri della storia del programma: dai momenti della creazione, quan-do era ancora un sito riservato agli studenti universitari sparsi per l’America chesi volevano mantenere in contatto fra loro, al boom che ne ha fatto il social net-work più visitato e uno dei siti più frequentati al mondo. Poiché Facebook è rapi-do, mutevole e in frenetica espansione, risulta difficile oggi definirlo, contenerloo addirittura padroneggiarlo con l’aiuto di definizioni o di descrizioni.

La complessità e insieme il fascino di Facebook si possono meglio compren-dere attraverso l’impiego dell’analogia e dello studio degli ambiti che lo stessoFacebook attraversa: è quanto hanno cercato di fare Renato Borgato, Ferruccio Capelli e Mauro Ferraresi in Facebook come. Le nuove relazionivirtuali (Franco Angeli, pagine 208). Secondo gli autori, ci sono campi e domini che Facebook felicemente contamina e numerosi sono, altresì,gli ambiti sociali che impiegano FB per i propri scopi. È questa la stradache hanno scelto i curatori del volume: vale a dire indagare l’uso che si fa in politica, in economia, nel gioco delle relazioni e in quello delleidentità sociali del più importante tra tutti i social network. Per compren-dere come mai oggi Facebook è un fenomeno planetario, occorre investi-gare come e perché funziona in numerosi e differenti ambiti. Il libro è unalettura importante per tutti gli utilizzatori del sito. E per coloro che voglio-no comprendere il motivo del suo successo.

l’acquisto senza intermediari, evi-tando il passaggio dalle grandireti di distribuzione. Anche il ci-bo passa dallo smartphone: gra-zie alla geolocalizzazione, nuoveapplicazioni dicono al cliente do-ve comprare. Del resto, indaginiColdiretti rivelano che frutta, verdura e altri prodotti compratidirettamente dai contadini sonoin costante aumento.

Tra gli strumenti che sosten-gono questo mercato, il portalewww.quicibo.it è nato per pro-muovere la filiera corta e rap-presenta un sistema integratodi 702 aziende agricole sparsein tutta la penisola, in grado di

intercettarei bisogni di qualità e velocità(con prezziragionevoli)degli italia-ni: 605 prodotti disponibili.Oppurewww.pro-

dotti-a-km-zero.it è una piatta-forma per la vendita diretta di prodotti agricoli; anche un consumatore può cercare i prodotti che lo interessano e ricevere da una mappa l’indi-cazione dei più vicini. Check-SudCommunity (pagina facebo-ok) segnala infine solo prodottialimentari meridionali.

Velocità a parte, il consumoconsapevole ed ecosostenibile è diventato importante per un numero crescente di famigliee gruppi. Non solo per il cibo. Oltreoceano è nata un’applica-zione che non piace alle multina-zionali: www.buycott.com giocacon le parole “comprare” e “boi-cottare”; una volta installata sul-lo smartphone, basta passarlasul codice a barre di qualunqueprodotto di supermercato e pervenire a conoscenza dell’originedel prodotto, del luogo e della tipologia di produzione.

Francesco StoppaLa restituzione.Perché si è rottoil patto tra le ge-nerazioni (Feltri-

nelli, pagine 240). L’au-tore, psicologo, ritieneche fra desideri e crisidelle utopie, gli adultisfogano incertezze suifigli. Scettici sul futuro,ma iperprotettivi, non rispondono al bisognodi relazione dei giovani.PROSEGUE A PAGINA 46

LIBRIALTRILIBRI

Carlo Nesti Il mioallenatore si chia-ma Gesù (EdizioniSan Paolo, pagine96). Gesù ci chie-

de di seguirlo per tuttala vita, di essere suoi discepoli, di “giocarenella sua squadra”.Ogni giocatore deve alle-narsi, e allenarsi molto!La vita da discepoli delSignore, secondo un no-to telecronista sportivo.

Giampietro Ziviani,Giancarla Barbon(a cura di) La cate-chesi a un nuovobivio? Convegno

a 40 anni dal Documen-to di Base (MessaggeroPadova, pagine 256).Contributi del convegnotenutosi a Padova(2009) e organizzatodalla Facoltà teologicadel Triveneto e dalla rivista Evangelizzare.

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INTERNET“Occhi al cielo”:sit-com sul web,la vita di parrocchiaformato Youtube

Una sit-com. Ambientata, però,non davanti alla macchinettadel caffè. Bensì in parrocchia.Precisamente in un ufficio par-rocchiale. Il modello dell’iniziati-va è Camera Café, la fortunataserie in onda da anni sulle tvcommerciali. Ma i contenuti so-no assai differenti. La societàtorinese NovaT ha cercato di raccontare, con il sorriso sulle labbra,la vita di una parroc-chia qualunque. Facen-done il soggetto dellaserie Occhi al cielo.Citofonare in parroc-chia, composta di 13 episodidella durata di tre minuti l’uno.La sit-com è visibile sul web, tra-mite Youtube, da fine gennaio, e

TVFiction su don Dianail 19 marzo su Rai 1vent’anni dopol’omicidio di camorra

Appuntamento importante, sul-la rete ammiraglia della Rai,per ricordare don GiuseppeDiana, sacerdote promotore e martire di giustizia e legalità,ucciso dalla camorra a Casaldi Principe esattamente ven-t’anni prima, il 19 marzo1994. Rai 1 trasmetterà infattila fiction Per amore del miopopolo, con la regia di AntonioFrazzi e l’attore AlessandroPreziosi nei panni di don Pep-pe. Il tv movie sarà uno deimomenti-cardine delle iniziati-ve di commemorazione di donDiana, che saranno particolar-mente intense nella sua terra,grazie al programma di appun-tamenti che la diocesi di Ca-serta sta mettendo a punto.

sione avvenuta, per mano della camorra, il 19 marzo1994, e dalla campagna internazionale Caritas Una solafamiglia umana contro la fame e per l’accesso al cibo.

L’album per i bambini si intitola Aggiustare il mondo:siamo abituati a pensare e a insegnare ai piccoli che ipoveri, gli “ultimi”, siano perdenti… ma non è così! L’ar-te giapponese del kintsugi insegna che una porcellanarotta non si butta, ma si aggiusta inserendo fili d’oro chela renderanno ancora più preziosa. Così anche i pezzidelle nostre fragilità si possono ricomporre, per trasfor-marci in un’opera d’arte, come Dio ci ha sempre pensa-to. È il contrario della “cultura dello scarto”, che il papainvita a superare. L’album è ricco di illustrazioni e spaziper colorare, disegnare e riflettere in modo creativo.

Il poster (vedi pagine 24-25) presenta un’immagineche fa riflettere sul tema della povertà e della condivisio-ne, mentre il salvadanaio, in cartoncino componibile, conl’illustrazione dell’album per bambini, rappresenta un va-lido strumento per catechisti e genitori, al fine di educarei bambini a una solidarietà concreta e quotidiana. www.caritasitaliana.it

“Conoscete infatti la grazia del Signore nostro GesùCristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, per-ché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”.Questa frase di san Paolo (seconda lettera ai Corinzi) èstata scelta da papa Francesco come nucleo di rifles-sione da proporre ai fedeli di tutto il mondo per il tem-po di Quaresima. E su questo passo dell’apostolo siconcentrano anche i sussidi proposti da Caritas Italia-na, in collaborazione con Città Nuova Editrice, per iltempo che prepara la Pasqua.

Il kit dei sussidi, come di consueto, si compone diun opuscolo per le famiglie, un album per i bambini, un

poster e un salvadanaio. Il primo, intitola-to Si è fatto povero per arricchirci con lasua povertà, presenta esperienze, pre-ghiere e riflessioni sul senso cristianodella povertà e della condivisione con ipoveri, attingendo ai molteplici richiamiofferti, in proposito, dal messaggio di pa-pa Francesco, dalla testimonianza di donPeppino Diana, a 20 anni dalla sua ucci-

ha avuto un buon successo. Anche perché tratta con legge-rezza, ma con rispetto, situazio-ni comuni a milioni di sacerdoti,fedeli laici e volontari. La serie è stata prodotta grazie a unacampagna di crowdfunding: 193 persone hanno contribuitoal finanziamento del progetto.Altro dato che incoraggia i pro-duttori a mettere in cantiere una seconda serie.

WEBVeloci e di qualità:le app del telefoninoci aiutano a sceglierecibo sostenibile

Di solito fast non fa rima conqualità. Soprattutto nel cibo. Mase c’è di mezzo la rete, la musi-ca cambia. Cresce infatti il nu-mero delle famiglie che scelgo-no il web per individuare aziendeche producono ecosostenibile e a chilometri zero. Si torna al-

La povertà di Gesù ci arricchisce,con i sussidi… aggiustiamo il mondo!

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villaggioglobale

di Danilo Angelelliatupertu / Giacomo Campiotti

Negli ultimi anni ha diretto quel genere di fiction che il pubblico di Raiuno mostra di amare particolarmente.Erano infatti firmati da Giacomo Campiotti i biopic tv suGiuseppe Moscati, Bakhita, Filippo Neri e Maria di Naza-reth. Per la stagione in corso il regista ha invece lavoratoa due proposte sulla carta più rischiose. Ma è andatabene, sia con i Braccialetti rossi, i sei ragazzi impauriti e coraggiosi, arrabbiati e sorridenti di un ospedale pedia-trico, sia con il maestro Alberto Manzi, che negli anni Ses-santa, dai teleschermi dell’allora Programma Nazionale,occupava il preserale, insegnando a leggere e scrivere a un milione e mezzo di italiani. La trasmissione aveva per titolo Non è mai troppo tardi, come il film tv trasmessoin febbraio. Come l’auspicio e la tendenza di alcuni diri-genti Rai, tornati a scommettere su prodotti capaci di rac-contare davvero il paese, senza stereotipi né patetismi.

Nel sessantesimo anniversario della televisione(1954-2014), la Rai si autocelebra rilanciando un alfiere della tv pedagogica. Si vuole tornare a ispirarsi a quella televisione?

Secondo me sì. Il progetto sul maestro Manzi era rimasto

bloccato a lungo. Credo sia il primo recuperato dalla nuo-va dirigenza. Anche Braccialetti rossi non sarebbe mai sta-to realizzato dalla Rai degli ultimi anni. Figurarsi: la storiadi sei ragazzi malati! Oggi la Rai è consapevole che ha bi-sogno di una forte identità, altrimenti scompare. E proprionei momenti di crisi arrivano le idee più belle.

Cosa l’ha affascinata del maestro Manzi?La sua profonda umanità e il fatto che fosse una perso-na ispirata e non frammentata, un uomo unico. La suaenergia era spesa ovunque.

Lei è laureato in pedagogia, così come lo era Manzi.Sente vicina questa figura?

Vicinissima. Io ho lavorato molto con i bambini prima di arrivare al cinema. Ci tenevo a parlare di certi temi,ad accendere una luce sullo stato drammatico dellascuola oggi. La figura di Manzi me ne ha dato la possibi-lità. Lui non trasmetteva nozioni, insegnava a pensare, a scegliere, a usare gli strumenti del discernimento, lavorava con i ragazzi per formare uomini liberi. Ha dimo-strato che chiunque, se armato di buona volontà, può fare tantissimo.

Il film tv è costruito intorno a due esperienze dellavita di Manzi: l’insegnamento in carcere e il pro-gramma tv. Cosa hanno rappresentato per lui?

L’incontro con i ragazzi in carcere ha affrettato il suo percorso. Era alla prima esperienza, non era amico di nessuno, assunse un incarico che nessuno voleva. Si è trovato in una situazione di emergenza, con 90 gio-vanissimi: ma le persone di valore nell’emergenza dan-no il meglio. Quanto all’esperienza televisiva, si è tratta-to di un incontro magico tra la grande intelligenza di un uomo originale e quella dei dirigenti di un’istituzio-ne conservatrice come la Rai.

Lei ha partecipato anche alla sceneggiatura delfilm. Non c’è traccia dei viaggi di Manzi in AmericaLatina e del suo impegno a favore dei contadini piùpoveri: perché?

Quando si racconta una vita così piena si rischia di trat-tare mille cose superficialmente. Abbiamo scelto di cir-coscrivere l’attenzione all’esperienza del carcere e delprogramma tv. Anche il suo lavoro di scrittore non c’ènel film. Eppure è stato autore di molti libri, come Orzo-wei, tradotto in 32 lingue. Ma nel film è presente la suatenacia, la capacità di non arrendersi mai, di fare tutto il possibile: la cosa più importante da comunicare, oggi.

«Non è mai troppo tardiper scommetteresu una tv che raccontidavvero il paese»

Il maestro Manzinon trasmettevanozioni: insegnava

a pensare, a scegliere,a usare strumenti didiscernimento. Lavoravacon i ragazzi performare uomini liberi

PEDAGOGISTA CATODICOGiacomo Campiotti, registadi alcune fiction tv di successo,ha diretto Non è mai troppo tardi,il film tv, trasmesso da Raiunoa febbraio, che raccontal’esperienza del maestro AlbertoManzi, ideatore e conduttore dellatrasmissione dal titolo omonimo,che “alfabetizzò” dagli schermiRai, negli anni Sessanta, l’interaItalia (foto di Assunta Servello e Fabrizio Di Giulio)

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tendenza all’utilizzo dei bambini tra i ranghi militari.Per combattere anche tramite l’informazione questa

piaga, la Coalizione Italiana Stop all’uso dei bambini sol-dato (composta da Alisei, Cocis, Coopi, Intersos, Savethe Children Italia, Telefono Azzurro, Terre des HommesItalia e Unicef Italia) ha lanciato proprio il 12 febbraio il sito internet www.bambinisoldato.it, interamente dedicato al tema. Nel sito è possibile trovare news e ap-profondimenti in lingua italiana e una sezione con la do-cumentazione internazionale sul fenomeno. Anche le pa-gine social della Coalizione (facebook, twitter e google+)sono attive e costantemente aggiornate, per continuarea sensibilizzare l’opinione pubblica sul triste fenomenoe sollecitare l’impegno delle istituzioni in materia.www.bambinisoldato.it

Il 12 febbraio si è celebrata la Giornata internazionalecontro l’uso dei bambini soldato: in quella data, nel2002, è infatti entrato in vigore il Protocollo opzionalealla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’ado-lescenza, inerente il coinvolgimento dei minori nei con-flitti armati: lo strumento giuridico stabilisce che nes-sun minore di 18 anni può essere reclutatoforzatamente o utilizzato direttamente nelle ostilità, né dalle forze armate di uno stato né da gruppi armatiirregolari o ribelli. Ben 153 stati hanno ratificato il Protocollo e si sono impegnati a bandire l’uso deibambini nei conflitti armati, tuttavia il fenomeno sem-bra drammaticamente in aumento: nel mondo sono ancora più di 250 mila i bambini e gli adolescenti arruolati, tra cui molte bambine. Impossibile fare stime esatte, ma i dati recenti, se pur approssimativi,sono allarmanti. E i conflitti in corso (compresi gli ulti-missimi: Siria, ma anche Repubblica Centrafricana e Sud Sudan) purtroppo non smentiscono la brutale

Bambini soldato, dalla Coalizioneun sito per cancellare la vergogna

re a seconda dei volubili trenddel mercato. E al primo males-sere, una pletora di esperti. (...)la condizione giovanile è il risul-tato di una vera e propria congiu-ra”. Una lettura controcorrente,che vuole denunciare le causeche hanno portato i giovani a essere senza valori, privi dellacapacità di fare sogni e progetti,in una parola di costruire il futuro.

INIZIATIVEGiovani da includere:l’Europa haun programma,Erasmus si fa… Plus

È iniziato da gennaio e durerà fi-no al 2020 il nuovo programmaeuropeo Erasmus Plus. Il capito-lo Youth, in particolare, si rivolgea giovani e giovanissimi, dai 13ai 30 anni. Per l’Italia sono previ-sti circa 12 milioni di euro per il 2014; nel settennato (2014-2020) arriveranno a essere 95milioni. I progetti prevedono mol-te formule di studio e lavoro per

i giovani: si punta molto anchesulla collaborazione, in ambitosociale, con soggetti del privatosociale; si potranno fare 12 mesi di volontariato all’estero, in associazioni sociali e culturali,ong ed enti pubblici. Il program-ma prevede anche l’inserimentoin gruppi di lavoro internazionalisu singoli temi e corsi di forma-zione all’estero per chi lavoranel campo dell’educazione. Ai più giovani è offerta invecel’opportunità di accedere a scambi interculturali.

A partire, in tutto, saranno almeno 70 mila ragazzi italiani,per tutto il periodo considerato, e 500 mila a livello europeo. Lagestione del programma italianosarà affidata all’Agenzia nazionaleper i giovani (Ang) nata nel 2006su input della Commissione eu-ropea. L’obiettivo resta l’inclusio-ne dei giovani nel mondo del la-voro; Erasmus Plus può diventareuna buona opportunità per raffor-zare lingue straniere, capacità e competenze professionali.

LIBRIGiovani, generazionesenza valori?I padri congiuranocontro i figli

Senza valori, senza futuro, senzaprogettualità. Così sono dipintioggi i giovani. Stefano Laffi, ricercatore sociale ed espertodelle culture giovanili, in La con-giura contro i giovani (Feltrinel-li), sposta il problema sugli adul-ti, chiedendosi quale mondohanno creato per i propri figli,per le nuove generazioni: «Dallaculla alla scuola, dall’universitàall’interminabile precariato lavo-rativo, il mondo degli adulti pro-getta e produce le nuove genera-zioni per soddisfare i propribisogni e le proprie aspirazioni.Prima bambini capaci di saziareil narcisismo dei padri, poi adole-scenti consumatori di esperien-ze e prodotti suggeriti da unmarketing onnipresente, infinestagisti da reclutare e dismette-

Page 25: Italia Caritas€¦ · Francesco Soddu direttore responsabile Ferruccio Ferrante coordinatore di redazione Paolo Brivio in redazione Ugo Battaglia, Paolo Beccegato, Salvatore Ferdinandi,

Lunedì 31 Marzoore 16 Preghiera di apertura, saluti delle autorità.

Prolusione monsignor Giuseppe MERISI,presidente di Caritas Italiana

ore 18 Relazione teologico-pastoraleEnzo BIANCHI, priore della Comunità di Bose

Martedì 1 Aprileore 8 Preghiera e lectio

guidate da padre Maurizio TEANI s.j.

ore 9 Gruppi di confronto per il discernimentocomunitario

ore 16 Relazione socio-culturaleChiara GIACCARDI, docente di sociologiaall’Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

ore 17.30 Confronto assembleare

ore 18.30 Celebrazione eucaristica al santuario N.S. di BonariaPresiede monsignor Arrigo MIGLIO, arcivescovo di Cagliari

Mercoledì 2 Aprileore 8 Preghiera e lectio

guidate da padre Maurizio TEANI s.j.

ore 9 Gruppi di confronto per il discernimentocomunitario

ore 12 Convegno ecclesiale 2015:“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”,comunicazione di monsignor Cesare NOSIGLIA,arcivescovo di Torino e presidente delComitato preparatorio del Convegno ecclesiale

ore 16 Tavola rotonda internazionale:“Con il Vangelo nel centro dell’Europa”,Intervengono: monsignor Youssef SOUEIF,arcivescovo di Nicosia e presidente di CaritasCipro, e Jorge NUÑO MAYER, segretario generaledi Caritas Europa

ore 18.30 Celebrazione eucaristica

Giovedì 3 Aprileore 8.30 Preghiera e lectio

guidate da padre Maurizio TEANI s.j.

ore 9 Sintesi della riflessione nei Gruppi di confrontoper il discernimento comunitario

ore 10 Piste di lavoro per un cammino comunedon Francesco SODDU, direttore di Caritas Italiana

ore 11.15 Celebrazione eucaristica