NUMERO 8-9 SOMMARIO - edizioniconoscenza.it · In redazione: Alberto Alberti, David Baldini, Omer...

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SOMMARIO N UMERO 8-9 scuola, università, ricerca, arte, formazione Quindicinale Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 488 del 7/12/2004 Valore Scuola coop. a r.l. - via Leopoldo Serra, 31 - 00153 Roma Tel. 06.5813173 - 06.5885355 - Fax 06.5813118 www.valorescuola.it - [email protected] In redazione: Alberto Alberti, David Baldini, Omer Bonezzi, Paolo Cardoni, Gianna Cioni, Loredana Fasciolo, Simonetta Fasoli, Marco Fioramanti, Marilena Menicucci, Paolo Raponi, Paolo Serreri, Gianfranco Staccioli, Ivo Vacca È autorizzata la riproduzione degli ar- ticoli purché non sia a scopo commer- ciale e che sia riprodotta questa dicitu- ra. In copertina e negli interni: foto- grammi dei film: 1860 (A. Blasetti, 1934) e Camicie Rosse (Anita Gari- baldi) (G. Alessandrini, 1952). Immagini tratte da: Storia fotografica d’Italia 1900-1921, Intra Moenia, Napoli 2006; Storia Illustrata, n. 294/82, Mondadori; A. Faeti, P. Pal- lottino, L’Illustrazione nel romanzo popolare, Umberto Allemandi, 1988. Gli aventi diritto possono contat - tare la casa editrice Direttore: Enrico Panini Vice Direttore: Anna Maria Villari Direttore responsabile: Ermanno Detti Progetto grafico e copertina: Marco Fioramanti Impaginazione: Oasi Biskra Associati Abbonamento annuale: euro 67,00 - estero euro 129,00 Per gli iscritti FLC CGIL euro 52,00 - sconti per RSU una copia euro 3,00 - Versamento su c/cp n. 63611008 tramite vaglia postale o assegno bancario (non tra- sferibili) intestati a Valore Scuola coop. a r.l. Stampa: Tipolitografia CSR, via di Pietralata, 157 - Roma Tiratura n. 8-9 (30.4./15.5 2007): 5.000 copie La rivista n. 8 -9 2007 30 aprile-15 maggio 2007 2 4 7 10 15 19 22 25 27 31 37 43 51 54 55 59 61 62 63 64 65 66 67 68 69 71 73 75 78 80 Presentazione Garibaldi, nostro contemporaneo Enrico Panini Introduzione La nostra storia, la nostra identità David Baldini Biografia Una vita per la libertà Garibaldi tra storia e intepretazione politica Un “eroe” generoso amato dal popolo Intervista a Lucio Villari David Baldini Un po’ rivoluzionario, un po’ corsaro Un’icona del Risorgimento Giuseppe Monsagrati La tradizione del pensiero democratico Intervista a Franco Della Peruta Dario Ricci Il disinganno dopo l’unità Garibaldi e Mazzini a confronto Claudio Pavone Gerolamo Induno/Pittore e combattente Loredana Fasciolo Le radici della leggenda/Biografie e studi critici Sergio La Salvia Garibaldi tra storia e leggenda Dovunque saremo colà sarà Roma La difesa della Repubblica romana Alberto M. Ghisalberti Una cultura eclettica/Garibaldi scrittore Lina Jannuzzi Le donne l’arme e gli amori/Un animo “femminile” Marilena Menicucci Antologia/Prosa Una biografia in chiave di mito Giosue Carducci Garibaldi nel “Cuore” Edmondo De Amicis I Mille nella trasfigurazione poetica Giovanni Pascoli Quando la retorica diventa un’arma Gabriele D’Annunzio Antologia/Poesia Il generale Ippolito Nievo A Giuseppe Garibaldi Giosue Carducci La notte di Caprera Gabriele D’Annunzio Gesta di Garibaldi Cesare Pascarella Garibaldi vecchio a Caprera Giovanni Pascoli Il navicellaio di Caprera Giuseppe Garibaldi Antologia/Canto popolare Inno di Garibaldi Luigi Mercantini Daghela avanti un passo Anonimo La camicia rossa Anonimo I Cacciatori delle Alpi Luigi Mercantini Garibaldi Francesco Dall’Ongaro Documenti Un implacabile j’accuse “Quei mille filibustieri” Bibliografia

Transcript of NUMERO 8-9 SOMMARIO - edizioniconoscenza.it · In redazione: Alberto Alberti, David Baldini, Omer...

SOMMARION UMERO 8-9

scuola, università, ricerca, arte, formazione

Quindicinale

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 488 del 7/12/2004

Valore Scuola coop. a r.l. - via Leopoldo Serra, 31 - 00153 Roma

Tel. 06.5813173 - 06.5885355 - Fax 06.5813118

www.valorescuola.it - [email protected]

In redazione: Alberto Alberti, David Baldini, Omer Bonezzi,

Paolo Cardoni, Gianna Cioni, Loredana Fasciolo,

Simonetta Fasoli, Marco Fioramanti, Marilena Menicucci,

Paolo Raponi, Paolo Serreri, Gianfranco Staccioli, Ivo Vacca

È autorizzata la riproduzione degli ar-ticoli purché non sia a scopo commer-ciale e che sia riprodotta questa dicitu-ra.

In copertina e negli interni: foto-grammi dei film: 1860 (A. Blasetti,1934) e Camicie Rosse (Anita Gari-baldi) (G. Alessandrini, 1952).Immagini tratte da: Storia fotograficad’Italia 1900-1921, Intra Moenia,Napoli 2006; Storia Illustrata, n.294/82, Mondadori; A. Faeti, P. Pal-lottino, L’Illustrazione nel romanzopopolare, Umberto Allemandi, 1988.

Gli aventi diritto possono contat-tare la casa editrice

Direttore: Enrico PaniniVice Direttore: Anna Maria VillariDirettore responsabile: Ermanno Detti

Progetto grafico e copertina: Marco FioramantiImpaginazione: Oasi Biskra Associati

Abbonamento annuale: euro 67,00 - estero euro129,00Per gli iscritti FLC CGIL euro 52,00 - sconti perRSUuna copia euro 3,00 - Versamento su c/cp n.63611008 tramite vaglia postale o assegno bancario (non tra-sferibili)intestati a Valore Scuola coop. a r.l.Stampa: Tipolitografia CSR, via di Pietralata, 157- RomaTiratura n. 8-9 (30.4./15.5 2007): 5.000 copie

La rivista

n. 8 -9 2007

30 aprile-15 maggio 2007

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Presentazione Garibaldi, nostro contemporaneoEnrico Panini

Introduzione La nostra storia, la nostra identitàDavid Baldini

Biografia Una vita per la libertà

Garibaldi tra storia e intepretazione politica Un “eroe” generoso amato dal popoloIntervista a Lucio VillariDavid Baldini

Un po’ rivoluzionario, un po’ corsaroUn’icona del RisorgimentoGiuseppe Monsagrati

La tradizione del pensiero democraticoIntervista a Franco Della PerutaDario Ricci

Il disinganno dopo l’unitàGaribaldi e Mazzini a confrontoClaudio Pavone

Gerolamo Induno/Pittore e combattenteLoredana Fasciolo

Le radici della leggenda/Biografie e studi criticiSergio La Salvia

Garibaldi tra storia e leggenda Dovunque saremo colà sarà RomaLa difesa della Repubblica romanaAlberto M. Ghisalberti

Una cultura eclettica/Garibaldi scrittoreLina Jannuzzi

Le donne l’arme e gli amori/Un animo “femminile”Marilena Menicucci

Antologia/Prosa Una biografia in chiave di mitoGiosue Carducci

Garibaldi nel “Cuore”Edmondo De Amicis

I Mille nella trasfigurazione poeticaGiovanni Pascoli

Quando la retorica diventa un’armaGabriele D’Annunzio

Antologia/Poesia Il generaleIppolito Nievo

A Giuseppe Garibaldi Giosue Carducci

La notte di Caprera Gabriele D’Annunzio

Gesta di Garibaldi Cesare Pascarella

Garibaldi vecchio a CapreraGiovanni Pascoli

Il navicellaio di CapreraGiuseppe Garibaldi

Antologia/Canto popolare Inno di Garibaldi Luigi Mercantini

Daghela avanti un passo Anonimo

La camicia rossa Anonimo

I Cacciatori delle Alpi Luigi Mercantini

Garibaldi Francesco Dall’Ongaro

Documenti Un implacabile j’accuse

“Quei mille filibustieri”

Bibliografia

PRESENTAZIONE

Resistenza come i valori fon dantidell’unità nazionale.Leggere, per dirla conMachiavelli, le cose “moderne”alla luce delle “antique” è solo unaparte dell’impegno: l’altra parte ècostituita dalla con vinzione didover tener desta la memoriastorica di ciascuno, qualepresupposto indispensa bile persalvaguardare la memoriacollettiva di tutto un Paese dairischi dell’oblio. Da questo punto di vista, lacommemorazione del bicen -tenario della nascita di GiuseppeGaribaldi ci ha consentito dicogliere una doppia opportunità:

da una parte, di commemorare uno dei più signi -ficativi protagonisti del nostro Risorgimento,dall’altra di ricostruirne il profilo, privato e pubblico,senza mai discostarsi dal più generale contesto dellastoria d’Italia.

Il più amato dagli italiani

Giuseppe Garibaldi è il personaggio storico forsepiù amato dagli italiani, sicuramente il più famoso, ilpiù mitico: è grande nelle vittorie, Brescia, l’impresadei Mille, ma è grande anche nelle sconfitte, il crollodella Repubblica romana. Le interviste e i saggi che pubblichiamo in questomonografico ci danno il senso e le ragioni della suagrandezza. Gli storici che hanno contribuito a questomonografico, che ringrazio di cuore per la lorodisponibilità, non hanno mancato di sottolinearecome la sua stessa vita, il suo comportamento moraleabbiano, insieme alle sue imprese, galvanizzatol’immaginario collettivo. Di lui si apprezzano, oltrealla semplicità dei modi e alla mancanza di personaliambizioni, la naturale avversione per i regimitirannici e l’amore sconfinato per la libertà. Egli fusempre sostenuto, sia pure nelle forme delvagheggiamento, dall’ideale di un socialismo

Dedicare un monogra-fico a un padre dellapatria non è per “VSLa Rivista” una no-vità. Solo due anni

fa, nel 2005, abbiamo voluto ricor-dare il bicentenario della nascita diGiuseppe Mazzini. Allora come a-desso riconfermiamo l’impegno ci-vile, ma anche politico e morale,con il quale “VS La Rivista” e conessa la FLC Cgil cercano di far inte-ragire eventi e figure della storia passata con le dina-miche particolarmente complesse del nostro tempo,ragionandone soprattutto, anche se non solo, in ter-mini didattico-pedagogici. La nostra non vuole essere una celebrazione dioccasione, il bicentenario della nascita di GiuseppeGaribaldi, ma l’occasione, appunto, di una riflessione.Questo senza nulla togliere alle celebrazioni ufficiali,che speriamo siano numerose e impegnino le forzepolitiche, le Istituzioni e, soprattutto, la memoriacollettiva.

La nostra storia, i nostri valori

Il lavoro sulla memoria ci ha trovato sempreparticolarmente sensibili e attenti, soprattutto in unpaese come il nostro che sembra “snobbare” gli eventifondanti della propria storia o rivederli in chiaveideologica e superficiale, con grave nocumento dellacoscienza nazionale e di una identità comune.L’eterno presente che ci avvolge è un danno perché èdalla propria storia, dal senso della continuità neltempo che ogni comunità nazionale trae alimento perla propria vita politica, morale e civile. Siamo debitorial Presidente Ciampi che per tutto il suo settennato hatenuto vivi i valori sia del Risorgimento sia della

Garibaldi, nostro contemporaneo

Enrico Panini Da sempre simbolodello spirito

nazionale unitario,Garibaldi incarna

il meglio della tradizione

repubblicana e libertaria

con la sua passione, la sua generosità

e la sua semplicità.Un suggerimento

per chi è alla ricerca

di un Pantheon

BICENTENARIO GARIBALDINO

2 VS La rivista

3n. 8-9, 2007

CAMICIE ROSSE (ANITA GARIBALDI)

Inseguito dalle truppe borboniche e austriache,dopo la caduta della Repubblica Romana nel 1849,Garibaldi (Raf Vallone) con 4.000 volontari si diri-ge verso nord. San marino offre rifugio ai super-stiti. Lo raggiunge Anita (Anna Magnani) che vici-no Ravenna muore. Scritto dal trio bolognese diRenzo Renzi, Enzo Biagi e Sandro Bolchi, girato nel1950 fra molte traversie, è stato terminato daFrancesco Rosi e Luchino Visconti.

Regia: Goffredo Alessandrini, 1952

umanitario, che fosse in grado di affratellare ed uniredavvero i popoli tra di loro.Ma ci sono anche altre ragioni che ce lo fannoamare. Parlare di Garibaldi significa inevitabilmenteconfrontarsi con il tema dei valori. A fronte di un presente defraudato di senso (sulpiano della vita personale), povero di punti diriferimento (sul piano della vita civile),sostanzialmente incerto (sul piano della soggettivaappartenenza ad associazioni, gruppi o partiti),spesso il passato ci soccorre generosamente,offrendoci ciò di cui abbiamo bisogno. Ciò vale tantopiù oggi, in un momento nel quale il bisogno di unradicamento “forte” si è fatto ancor di più impellente,sotto la spinta del processo di globalizzazione. Questo bisogno porta con sé, spesso, conseguenzefuorvianti. Anziché ricercare nella storia radiciunificanti, le fonti primarie di quelle idee moderne dilibertà, intesa anche come esercizio del liberopensiero e della libera ricerca, di democrazia e dipartecipazione che connotano lo Stato moderno e ilmoderno patto civile, spesso prevale un recupero, insenso reazionario, delle proprie tradizioni, ivicompresa la riscoperta di uno spirito religioso vissutocon il pathos tipico del fanatismo fondamentalista.

BICENTENARIO GARIBALDINO | PRESENTAZIONE

1860

è ritenuto da molti il film che anticipò la lunga sta-gione del neorealismo italiano. 1860, i patrioti sicia-liani, ritirati sulle montagne, attendono l’arrivo delletruppe garibaldine per liberare l’isola dal regimeborbonico. Il viaggio dalla Sicilia che si prepara conagitazione allo sbarco dei Mille, Carmeliddu, pasto-re, raggiunge la penisola per conto di padre Costan-zo, frate che spalleggia i ribelli. Scopo della sua mis-sione è raggiungere la Liguria e assicurarsi che laspedizione di garibaldi sia un progetto concreto...

Regia: Alessandro Blasetti, 1934

Come dimenticare il tentativo di qualche anno fa diComunione e Liberazione di fare un processo alnostro Risorgimento, recuperando gli aspetti piùretrivi dello Stato pontificio di Pio IX, non il Pio IXdel 1848, ma quello del Sillabo e del “nonpossumus”?Garibaldi, invece, incarna il meglio della tradizionerepubblicana e libertaria. Se il presente altro non èche memoria del passato, allora possiamo dire cheGaribaldi è “nostro contemporaneo” molto più diquanto non immaginiamo. Il sentimento diriconoscenza nei suoi confronti, pure naturale,costituisce dunque solo un aspetto, e neppure il piùimportante, dei profondi legami che ci uniscono alui. Egli può infatti essere preso a simbolo di quellospirito nazionale unitario al quale tutti coloro chehanno davvero a cuore il destino del nostro Paese,siano essi adulti o giovani, devono rifarsi. Potrebbeessere anche un suggerimento per nuove formazionipolitiche alla ricerca di un Pantheon. Ma la nostra speranza è che gli argomenti da noitrattati si trasformino in altrettanti motivi diriflessione per insegnanti e studenti. Questopremierebbe davvero il nostro sforzo e il nostroimpegno.

LA NOSTRA STORIA,LA NOSTRA IDENTITà

sconfitta appena subita, più che uncomandante impavido, alla Napo-leone, ci sembra piuttosto di sentirparlare un sognatore alla Don Chi-sciotte, forte solo ed esclusiva-mente delle ragioni della sua pro-pria causa.

Ed invece, come si incaricheran-no di dimostrare gli eventi succes-sivi, egli sognatore non era, anchese il prezzo che dovette pagare perle proprie azioni fu, come sempre,altissimo.

Dopo le incredibili peripezie del-la fuga - nel corso delle quali, nellapineta di Ravenna, perderà sua mo-glie Anita -, in procinto di partireper l’estero, per un nuovo esilio,così scrive alla madre: “Amatissi-ma Madre, parto domani per Tunisicol vapore Tripoli; e se non fosse laposizione vostra e de’ figli non a-vrei da esserne molto scontento.Mi fa sperare un pronto rimpatrio.Vi raccomando sopra tutto di nonaffliggervi e di non privarvi del bi-sogno, tanto voi quanto i bimbi,che vi raccomando caldamente. U-sate liberamente dei pochi soldiche vi ho lasciati. Avvertitemi diqualunque vostro bisogno e scrive-temi sempre, siccome io vi man-terrò informata dello stato mio.[...]” (15 settembre 1849).

Forse era per questo che la gentelo venerava, disposta - in suo no-me - a vivere, ma anche, se del ca-so, a morire, come fecero i suoi fa-mosi Mille, che vollero seguirlonell’impresa siciliana.

Ricordare la figura di Garibaldi è un modo per ripercorre-re il nostro Risorgimento e il suo lascito. Garibaldi, perso-naggio emblematico, ha parlato al cuore degli italiani.Simbolo anche della Resistenza e del movimento operaio

ritorno - e di pensare a contribuireal suo risorgimento” (GiuseppeGaribaldi, Dall’Autografo, inScritti politici e militari, a cura diDomenico Ciampoli, Editore Vo-ghera, Roma 1907).

Prima ancora dell’“eroe dei duemondi”, del guerrigliero, del gene-rale, del “Cincinnato” in volonta-rio esilio a Caprera, c’era dunquel’uomo, e questi risultava ricco diun’umanità davvero profonda esingolare.

Cercarne ulteriori attestazioni si-gnifica entrare, di fatto, nel meritodella celebrazione stessa. Ma, a-vendo a ciò provveduto illustri sto-rici (si vedano, a tale proposito, icontributi riportati nella prima par-te questo numero della rivista), perquanto ci riguarda, abbiamo credu-to fosse giusto rimanere in limine.E tuttavia, rimanere in limine nonpuò equivalere a fare professionedi neutralità: il celebrato non loconsente. Di conseguenza, ci per-mettiamo un rapido excursus.

Dopo la sconfitta della Repub-blica romana, della cui difesa erastato uno degli artefici principali,Garibaldi lasciò Roma da PortaSan Giovanni, non prima però diaver tenuto ai combattenti questoultimo celebre discorso: “Soldati,io vi offro nuove battaglie e nuoviallori, ma a prezzo d’ogni sorta diprivazioni, di stenti e di disagi. Machi ha cuore e serba ancora fedenella salute d’Italia mi segua!” (2luglio 1849). Data la bruciante

Adue anni di distanzadal bicentenario dellanascita di GiuseppeMazzini, al quale“VS La Rivista” de-

dicò a suo tempo un numero mo-nografico (n. 7-8/2005), siamo lie-ti di poter ricordare anche il bicen-tenario della nascita di GiuseppeGaribaldi.

Un altro monografico si aggiungecosì al precedente e due “padri del-la patria” vengono celebrati l’unodopo l’altro, a breve distanza ditempo. Le ragioni della nostra scel-ta vanno ricercate, non solo nellavolontà di ricordare il nostro troppotrascurato Risorgimento, ma anche,ricordandolo, di rinnovare - a pocomeno di un secolo e mezzo dallaproclamazione dello Stato unitario -quel patto di solidarietà che ha te-nuto così a lungo riuniti, sotto unastessa bandiera, tutti gli italiani.

Ad indicare quanto grande do-vesse essere l’amor di patria equanto smisurato lo spirito di sa-crificio per la realizzazione di quelsogno - perché esso tale rimase,per decenni, nella mente e nei cuo-ri dei nostri patrioti - provvide a ri-cordarcelo, con parole sobrie mapesanti come pietre, proprio Gari-baldi, allorché scrisse nel suo Au-tografo: “Come dimenticare l’Ita-lia quando uno ebbe il privilegiodi nascervi? Eran 13 anni - ch’io,proscritto, - avevo abbandonatoquella mia terra - e nei 13 anni nonho mai cessato di pensare al mio

di David Baldini

IL 4 LUGLIO 1807 NASCEVA GIUSEPPE GARIBALDI INTRODUZIONE

VS La rivista4

da”, dall’altra si è impo-sta di non dimenticare laperdurante complessità del nostroRisorgimento. A tal fine ci siamo ri-chiamati al quadro d’insieme trac-ciato dallo storico francese JacquesLe Goff, il quale, in Il peso del pas-sato nella coscienza collettiva degliitaliani (in F. L. Cavazza - S. R.Graubard, a cura di, Il caso italia-no, Milano 1974), così scriveva:“L’eccezionale gravità del peso del-la storia nella coscienza collettiva i-taliana deriva dall’esplosiva combi-nazione di tre elementi: la coscien-za di essere un popolo vecchissimo,il sentimento di una decadenza frala gloria delle origini e lo stato at-tuale, l’inquietudine di esistere ve-ramente solo da poco tempo”.

E proprio perché il Risorgimentoè un fenomeno legato non soloall’“inquietudine di esistere vera-mente solo da poco tempo”, ma an-che alle perduranti controversie chenel corso dei tempi si sono puntual-mente reiterate, abbiamo ritenuto u-tile ragionarci sopra, individuandonella sua intrinseca problematicitàlo sfondo ideale all’interno del qua-le collocare la figura di Garibaldi.

Dal momento che “VS La Rivi-sta” si rivolge in particolare almondo della scuola, dell’università,della cultura abbiamo cercato di fa-re opera di divulgazione tenendoconto di almeno due ragioni.

La prima, di natura pedagogico-didattica, riguarda la convinzione,da parte nostra, che insegnanti estudenti non possano non dedicare(all’interno, ma anche al di là, dei“programmi” scolastici stabiliti) al-meno una riflessione aggiuntiva albicentenario garibaldino. La secon-da, di natura storico-politica, ri-guarda la necessità, a nostro giudi-zio ineludibile, che Garibaldi, e conlui il Risorgimento, debbano final-mente diventare oggetto di studioequilibrato e sereno. Solo se sare-mo in grado di gettare sempre nuo-va luce sul nostro processo unitario,facendoci anche carico del retaggionon sempre positivo che da esso cideriva, saremo in grado di fronteg-giare e di arginare i problemi, im-mensi, che riguardano il nostro pre-sente e il nostro avvenire.

saliente della loro identità in Ga-ribaldi, dedicando a lui la lorobrigata. E “garibaldini”, in conti-nuità con il nostro passato risorgi-mentale, si chiamarono i partigia-ni di ispirazione comunista chelottavano per difendere la libertàe l’onore italiani, offesi e violatidalla barbarie nazifascista. Traquei combattenti ci sembra dove-roso ricordare Giuseppe Di Vitto-rio, di cui ricorre quest’anno ilcinquantenario della morte. Giun-to in Spagna tra la fine di ottobree i primi di novembre 1936, eglisarà l’autore di quella Intervistacon un aviatore fascista abbattutonel cielo di Madrid, che, pubbli-cata il 5 dicembre del 1936, verràpoi diffusa, dopo essere stata ri-prodotta in migliaia di esemplari,tra le truppe di Mussolini, alleatodel generale golpista e felloneFrancisco Franco. In un passodella sua biografia, dedicata alleader sindacale, Michele Pistilloricorda come Di Vittorio posse-desse la capacità rara “di parlareall’avversario, al prigioniero, difar intendere le proprie ragioni ela giustezza della lotta che gli an-tifascisti italiani conducevano”. Asostegno di queste sue capacitàdialettiche, vengono indicate pro-prio le argomentazioni da lui usa-te per convincere l’aviatore fasci-sta: “ Noi lottiamo - gli spiega -per gli stessi ideali per i qualiGiuseppe Garibaldi scrisse le piùbelle pagine della storia del no-stro paese. Il nostro battaglione divolontari porta il nome gloriosodi Garibaldi. Noi lottiamo in Ispa-gna per la libertà del popolo ita-liano, per la tua libertà, caro com-patriota. Perché tu, in Italia, nonsei libero” (Michele Pistillo, Giu-seppe Di Vittorio, 1924-1944, vol.II, Editori Riuniti, Roma 1975).Si sarebbero potuti usare argo-menti migliori?

Garibaldi e il nostro tempo

Se, da una parte, con questo nu-mero, “VS La Rivista” ha cercatodi esaltare quanto oggi di Garibaldiè ancora vivo, al di là sua “leggen-

Garibaldi e il mondo del lavoro

A noi interessa, tra l’altro, ricor-dare il particolare rapporto cheGaribaldi ebbe con il mondo dellavoro. Certo, la sua preparazioneteorica non era paragonabile aquella di Marx, ma il sentimentodi appartenenza al movimento o-peraio era tuttavia lo stesso. Scris-se, infatti, da Caprera, alla Societàoperaia di Viareggio: “Operai fra-telli, nessuna cosa giunge più caraal mio cuore di quella che mi vie-ne da voi, o assidui figli del lavo-ro. Quanto Iddio disse al primo pa-dre dei viventi: - tu mangerai il pa-ne col sudore della fronte - eglicreò allora la religione dell’uma-nità, il lavoro [il corsivo è nel te-sto, n.d.r.]. Che se l’antichità ro-mana ha detto: - l’ozio essere ilpadre dei vizi - ha inteso dire altempo stesso: - il lavoro esser ilpadre di ogni virtù -; laonde iopenso, che chi non lavora è da te-nersi che mangi il pane non dellebenedizioni del Signore. Ora nonmi resta che ringraziarvi dell’ono-re che mi avete compartito, nell’a-vermi nominato a preside onorariodi cotesta vostra Società Operaia,e dirvi che potete contare su di me,come io conto su di voi. Vi stringoa tutti la mano. Vostro GiuseppeGaribaldi” (16 maggio 1864).

In virtù di questa “fratellanza”, ilmovimento operaio e sindacale a-vrebbe finito per ritrovare sul suocammino Garibaldi, nonostantequesti fosse stato fatto oggetto diun’operazione di manipolazione edi stravolgimento - in senso attivi-stico, nazionalistico, imperialistico- da parte di certa cultura italiana,a cavallo dei secoli XIX e XX. Al-ludiamo a talune pagine di Car-ducci, Pascoli e D’Annunzio, allequali è dedicata la seconda parte(antologica) di questo numero.

Garibaldi el’antifascismo

Nel 1936, allo scoppio dellaguerra civile spagnola, gli antifa-scisti italiani, accorsi numerosi,non esitarono a trovare il tratto

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IL 4 LUGLIO 1807 NASCEVA GIUSEPPE GARIBALDI | INTRODUZIONE

6 VS La rivista | n.8-9, 2007

VS La rivista | n.8-9, 2007

BIOGRAFIA

In questa occasione, organizza la Legione italiana,alla quale fece adottare l’uniforme della camiciarossa. Con la vittoria ottenuta nello scontro a S. An-tonio al Salto (8 febbraio 1846), la sua figura co-mincia ad aureolarsi di leggenda.

1848: venuto a sapere che gli avvenimenti italianistavano ormai volgendo verso uno scontro militarecon l’Austria, fa ritorno negli stati sardi con ungruppo di soldati (63) della sua Legione, previa au-torizzazione dopo la precedente condanna. Si mettea disposizione dapprima dell’esercito pontificio,poi di quello sardo. Ricevuto da entrambi un nettorifiuto, si accorda con il governo provvisorio lom-bardo. Ha così modo di difendere vittoriosamenteBrescia, ma ben presto, a causa del capovolgimentodell’andamento della guerra, è costretto a ripararein Svizzera.

1849: recatosi nello Stato della Chiesa dopo la fugadi Pio IX a Gaeta, viene eletto deputato nella As-semblea costituente romana, istituita allo scopo diprocedere alla proclamazione della Repubblica, cheavverrà il 9 febbraio.

1807, 4 luglio: Garibaldi nasce aNizza (allora francese), figliodi Domenico, uomo impegna-

to nel campo della navigazione, e di Rosa Raimondi,donna pia e non priva di cultura.

1814, 30 maggio: Nizza viene ufficialmente rian-nessa al Regno di Sardegna.

1822: si imbarca per la prima volta con il brigantinoCostanza, con destinazione Odessa.

1825, 12 aprile: in un secondo viaggio, compiutocon la tartana paterna S. Reparata, sbarca a Fiumi-cino e visita per la prima volta Roma.

1833: nel corso di un’altra delle sue tante esperien-ze di navigazione, incontra, a Tangarog, GiovanniBattista Cuneo, un giovane ligure dal quale viene asapere dell’esistenza della Giovine Italia. Dopo aver incontrato in dicembre, a Marsiglia, Giu-seppe Mazzini, il 26 dello stesso mese si arruola,con il nome di Cleombroto, nella marina da guerrapiemontese per prestarvi il servizio di leva.

1834: partecipa, a Genova, al tentativo insurreziona-le promosso dalla Giovane Italia. Il piano, che mira-va a far sollevare la Savoia, ben presto abortisce eGaribaldi è costretto a rifugiarsi prima a Nizza e poia Marsiglia. Qui viene raggiunto dalla notizia dellacondanna a morte emessa a suo carico (3 giugno) dalConsiglio di guerra divisionario di Genova.

1835-1847: dopo aver esercitato i mestieri più vari,parte per Rio de Janeiro. Inizia così un periodo di e-silio che, trascorso tra Rio e Montevideo, dureràben dodici anni. Nel corso di essi, per campare lavita, è costretto a svolgere varie occupazioni, ivicompresa quella di mandriano e maestro di scuola. Tuttavia, in ossequio al suo naturale temperamentodi combattente per la libertà e l’indipendenza deipopoli, si impegna ben presto ad appoggiare dappri-ma la causa del Rio Grande del Sud (che si era pro-clamato indipendente dal Brasile), poi (1842) la Re-pubblica uruguayana, che gli affida il comando diuna flottiglia di navi.

Una vita per la libertà

1807-1882

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BIOGRAFIA | 1807-1882

i suoi Mille, sbarca in Sicilia e, contro ogni previ-sione, sbaraglia le preponderanti forze borboniche.Dopo una serie di vittorie, libera l’intera Sicilia, ri-salendo la penisola fino a Teano. Qui, il 26 ottobre,avviene il celebre incontro con Vittorio EmanueleII: nelle mani del sovrano rimette l’Italia meridio-nale da lui conquistata.

1862: deciso a liberare anche Roma, entra di nuovoin azione ma è fermato sull’Aspromonte, dove vie-ne ferito e fatto prigioniero dalle truppe italiane cheavevano avuto l’ordine di fermarlo.

1866: scoppiata la terza Guerra di Indipendenza, vipartecipa ottenendovi l’unico successo militare ita-liano. Fermato a Trento, risponde all’ingiunzionedel generale La Marmora con un celebre telegram-ma: “Obbedisco!”

1867: non demordendo dall’idea di dover liberareRoma, si dirige ancora una volta verso la città eter-na, questa volta però con il segreto appoggio del go-verno. Il tentativo si conclude a Mentana (3 novem-bre), per l’intervento di forze militari francesi, su-periori per numero e armamento. Di nuovo costret-to a ritirarsi a vita privata, ripara a Caprera.

1870: scoppiato il conflitto franco-prussiano, correin soccorso della Repubblica francese, minacciatadalla Germania di Bismarck. Dopo una serie disconfitte rovinose, l’esercito francese ottiene persuo mezzo, a Digione (25 novembre), l’unico suc-cesso militare di tutta la guerra.

1871-1882: ritiratosi nuovamente a Caprera, vi ri-mane, fatta eccezione per le assenze dovute ai suoiimpegni politici, fino alla morte, avvenuta il 2 giu-gno 1882.

VS La rivista | n.8-9, 2007

Allorché la Repubblica viene attaccata dapreponderanti forze francesi e napoletane,

accorse in sostegno del Papa, giunge il 27 aprilecon la sua Legione a difesa di Roma, di cui, con ilgrado di generale di brigata, diverrà l’intrepido ani-matore. Risultato inutile ogni tentativo di difesa,abbandona la città seguito da circa 4.000 volontari.Si dirige verso Nord, determinato ad andare a soc-correre la Repubblica di Venezia. Rimasto con po-chi uomini e incalzato dall’esercito austriaco, ripa-ra nella pineta di Ravenna, dove assiste alla mortedella moglie Anita.

1849-1854: nuovamente espulso dal governo di Vitto-rio Emanuele II, si reca dapprima a Tunisi poi a Tange-ri e infine a New York. Qui trova lavoro presso la fab-brica di candele di Antonio Meucci, fino a quando nongli verrà consentito di tornare nuovamente in patria.

1855: autorizzato a stabilirsi nell’isola di Caprera,che successivamente acquisterà, si dedica all’agri-coltura e al commercio marittimo. Nel frattempo, aseguito dei dissensi avuti con Mazzini, si avvicinaalla monarchia sabauda, come ci attesta l’incontrosegreto da lui avuto con Cavour (13 agosto 1856).

1859-1861: incaricato da Cavour di formare un cor-po di volontari per partecipare alla seconda Guerra diIndipendenza, ha modo di distinguersi, ottenendoimportanti successi in diverse battaglie. Conclusasila guerra con l’armistizio di Villafranca, lascia l’eser-cito sardo, nel quale era stato nominato generale, e ri-volge i suoi sforzi nuovamente in direzione di Roma,ostacolato in ciò dallo stesso Vittorio Emanuele II.Accetta di essere eletto deputato di Nizza, ma quan-do la città verrà ceduta da Cavour alla Francia, ele-verà fiere proteste contro la politica sabauda.Imbarcatosi tra il 5 e il 6 maggio 1860 a Quarto, con

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(da Vita di Garibaldi,Epaminonda Provaglio. Illustrazioni di Tancredi Scarpelli, tempera su carta, cm 33,2x25)

10 VS La rivista

INTERVISTA A LUCIO VILLARI

di David Baldini

Prof. Villari, la po-polarità goduta daGaribaldi ci è atte-stata dal numerodavvero impressio-

nante di statue, piazze, vie a lui de-dicate. A suo giudizio, questa popo-larità è reale o è invece mitica e o-leografica?

La popolarità di cui parla è senzadubbio reale: se c’è un personaggioche ha avuto e ha ancora oggi unafama universale, questi è proprioGaribaldi. Se così è, allora la nostrariflessione deve spostarsi sulle ra-gioni.

Il senso di tanta notorietà si po-trebbe, ad esempio, ricercare in unavisione, interessante e comunquesingolare, della stessa storia d’Italia.Nella visione di una rivoluzioneche, anche se poi tale non è stata, hacomunque assunto le vesti di un e-vento la cui portata ha investito lesorti stesse di un’intera collettività.Credo che sotto la popolarità di cuistiamo parlando si celi una perce-zione indistinta della nazione italia-na; percezione che Garibaldi, volen-te o nolente, ha saputo meglio di o-gni altro interpretare.

Questa entità non va scambiatacon lo Stato unitario tout court. Vasemmai identificata con qualcosa dipiù profondo, di meno istituzionale,dal momento che richiama la realtàdi un popolo che, nel corso dellasua storia, si è battuto per diventareanche una nazione e poi uno Stato.Dico “anche” in quanto questo se-

condo aspetto mi sembra accessorioe marginale, se confrontato al pri-mo. Quel che rimane è infatti pro-prio quell’elemento relativo alla na-zionalità italiana, cui ho fatto soprariferimento e che occupa una posi-zione di mezzo tra un certo rivolu-zionarismo e un certo, anche genia-loide, anarchismo.

Questa è, secondo me, l’interpre-tazione che si può dare di quella po-polarità di cui lei chiedeva e deiprocessi che ad essa possono esserericonnessi.

Quanto lei ha detto vale per lapopolarità. E per quanto riguardala simpatia? È infatti indubbio cheGaribaldi goda di un seguito di po-polo maggiore di quello di cui go-dettero altri “padri della patria”,primi fra tutti Mazzini e Cavour.

La risposta a questa domanda siricollega alla ricostruzione del no-stro processo unitario. Garibaldinon ha mai lottato per interessi per-sonali, o per convenienze stretta-mente politiche (di partito, di grup-po, di classe, etc.). Egli incarna, alcontrario, la figura della generositàe dell’altruismo. Tale immagine vie-ne ancor più rafforzata se procedia-mo ad una semplice comparazione:non è forse vero che Cavour vieneidentificato con gli interessi di unospecifico schieramento sociale(quello moderato), mentre Mazzinicon una rivoluzione che stava ancheai margini dell’utopia politica e reli-giosa, ovvero del sogno che biso-

La figura e l’opera di Garibaldi e le contraddizioni delnostro Risorgimento, tra rivoluzione e moderatismo.La conquista della nazione e la costruzione dello Stato. I principi fondativi liberali di allora e ciò che ne è rimasto

gnava in ogni modo realizzare? Seconfrontato con loro, come ho inprecedenza detto, Garibaldi ci co-munica l’impressione di una con-cretezza altruistica, di una personalegenerosità, soprattutto fondata sulfatto che egli è un combattente sin-cero, animato da grandi ideali cheper di più, al di là di essere italiani,appaiono essere addirittura univer-sali.

Non a caso il marxista Arturo La-briola, esponente di spicco dellacultura italiana di fine Ottocento, aseguito della morte di Garibaldi av-venuta nel 1882, non esitò a ricono-scere il debito di gratitudine che tut-ti gli italiani dovevano a quella “fi-gura generosa”, alla quale moltissi-mi si sentivano legati. Come si ve-de, anche caratteristiche quali quelledella generosità, dell’altruismo edella dedizione vanno consideratenel giudizio storico.

Prof. Villari, visto che ha citatoLabriola, vorrei soffermarmi a con-siderare i rapporti tra Garibaldi ela sinistra in generale. Marx, ad e-sempio, non è mai stato tenero conl’“eroe dei due mondi”. In una let-tera ad Engels, del 19 aprile 1864,lo definisce un donkeyhaft (=tipo disomaro). Quanto crede abbia pesa-to un tale giudizio?

Se si vuole davvero comprendereil contenuto di quella lettera bisognafare attenzione alle date. Significati-vo è infatti l’anno 1864, e questoper almeno due motivi. Il primo ri-

UN “EROE” GENEROSOAmATO DAL pOpOLO

GARIBALDI TRA STORIA EINTERPRETAZIONE POLITICA

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guarda il viaggio che Garibaldi fecea Londra in aprile, quando l’“eroedei due mondi” venne accolto dauna folla di circa mezzo milione dipersone. Garibaldi, del resto, giun-geva nella capitale inglese dopo l’e-sperienza vittoriosa della spedizionedei Mille e dell’episodio di Aspro-monte, di cui ancora portava i segni.Di qui l’alone di simpatia che lo cir-condò, per altro condiviso da tuttigli strati della società inglese. ALondra, veniva invitato dappertutto:partecipò tanto a banchetti organiz-zati in case di lords, quanto a ricevi-menti organizzati nelle sedi degli o-perai. La stessa regina Vittoria sidisse rammaricata di non poterlo ri-cevere a Buckingham Palace, masolo per ragioni di etichetta: sarebbestato disdicevole invitare a corte unrivoluzionario. Fosse stato per lei,l’avrebbe accolto volentieri. Ebbe-ne, ad un uomo come Marx questipubblici riconoscimenti suonavanofalsi.

Il secondo motivo riguarda la fon-dazione dell’Associazione interna-zionale dei lavoratori, nota anchecome Prima Internazionale, avvenu-ta in settembre. Tra i fondatori, oltrea Marx e ad altri, ci furono ancherappresentanti italiani. Tra questi, inparticolare, degli esuli mazzinianied un ex capitano dell’esercito,Wolff, che era stato collaboratore diGaribaldi. Marx dubitava del lororigore politico e ideologico; di qui,forse, l’asprezza dei suoi giudizi.

E tuttavia non è certo questa lasola volta che Marx criticherà Gari-baldi. Ciò non toglie che gli ricono-scesse le doti del combattente per lalibertà e l’indipendenza dell’Italiadallo straniero, e soprattutto il meri-to di aver contribuito ad abbattere ilRegno delle Due Sicilie, universal-mente considerato come uno degliStati più reazionari d’Europa.

Del resto, Marx non risparmiòneanche Mazzini, pur seguendonecon attenzione i programmi politici

e le iniziative insurrezionali. Quantopoi a Cavour, lo ignorò quasi deltutto. Si pensi che, in occasione del-la morte dello statista piemontese,egli, in una lettera del giugno del1861, si rivolgeva ad Engels perchiedergli cosa se ne dovesse scri-vere.

E d’altronde, in un’altra lettera aEngels, scritta nel settembre 1860(nel periodo in cui Garibaldi eserci-tava la dittatura e non era ancora en-trato a Napoli), Marx usa l’espres-sione “Garibaldi ci salverà”. Cosavoleva dire con quella espressione?

Marx, nella fondazione della Pri-ma Internazionale, aveva qualcosada temere da Garibaldi, visto l’a-scendente in cui questi godeva siain Italia sia in Europa?

No, Marx temeva di più Mazzini.Il garibaldinismo, ai suoi occhi, rap-presentava solo un elemento di pos-sibile confusione. Anche a proposi-to, per esempio, della famosa e-

IL RISoRGImento In 8 voLumI

Un’interessante iniziativa editoriale de La Repubblica,L’Espresso e dell’editore Laterza ripercorre la storia ita-liana dal 1796 al 1900. L’opera dal semplice titolo Il Risorgimento è curata da Lu-cio Villari ed è organizzata in 8 volumi, di cui 6 già pubbli-cati. L’Italia moderna, che ha trovato nella Costituzione del1848 i suoi fondamenti ideali e sociali, affonda le sue ra-dici nel Risorgimento, lungo un secolo di storia nel qualei popoli europei reagirono alla Restaurazione e, forti de-gli ideali della Rivoluzione francese, combatterono per lalibertà e, come in Italia, anche per l’indipendenza nazio-nale. Decisivi per il nostro Risorgimento furono gli annidal 1831 al 1848, “il quindicennio passionale” lo ha defini-to Villari in cui si sviluppa il sentimento della “libertà daconquistare, e soprattutto il dovere di conquistarla: conle armi, i versi, la musica, le scritture politiche, gli articolisu giornali e riviste”.

Questa la periodizzazione degli otto volumi:

1°: 1796- 1814 L’Italia e Napoleone2°: 1815-1830 I primi moti rivoluzionari3°: 1831-1846 Mazzini, Gioberti e le idee d’Italia4°: 1847-1848 La prima guerra d’indipendenza5°: 1848-1850 La Repubblica romana, Brescia e Venezia6°: 1851-1860 Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele7°: 1860-1870 Dall’unificazione a Roma Capitale8°: 1871-1900 L’Italia in cammino da Depretis a Crispi.

INTERVISTA A LUCIO VILLARI | TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

Il Risorgimento è ricostruito attraverso gli av-venimenti, i personaggi, le idee e da una riccaraccolta di documenti. Ottima e accurata la scelta iconografica.

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12 VS La rivista

spressione coniata da Garibaldi, re-lativa al socialismo definito come“sole dell’avvenire”, c’è da dire cheessa, alle orecchie di Marx, dovevarisuonare nulla di più che come unasemplice espressione letteraria. Benaltre erano le preoccupazioni del ri-voluzionario comunista, impegnatoad analizzare la società dal punto divista delle strutture economiche edelle classi sociali.

Dati i limiti culturali di Garibaldi,

credo dunque che debba essere e-sclusa una possibile concorrenza trai due, mentre non altrettanto potreb-be dirsi a proposito di Mazzini.Questi, per le sue esperienze legateal campo dell’associazionismo, erasicuramente molto più addentro aitemi riguardanti il mondo del lavoro.

In genere, di Garibaldi, si è sem-pre enfatizzato l’aspetto militare,mentre si è banalizzato quello poli-

tico. Anzi, da quest’ultimo punto divista, egli è apparso non di rado co-me un ingenuo ed uno sprovveduto.Le cose stanno davvero così?

Rispetto alle capacità militari c’èda precisare che Garibaldi è statogiudicato particolarmente espertonella pratica della guerriglia, comedel resto attestavano le prove datein America Latina. Tuttavia va an-che riconosciuto che egli ebbe mo-do di distinguersi anche in opera-

MARx A ENGELS (a Manchester)

È difficile dire quanto il particolare astio mostrato nei confronti di Garibaldi da Karl Marx, in questa sualettera all’amico e compagno di lotta Friedrich Engels, sia dovuta ad antipatia personale e quanto invece arivalità politica rispetto al diverso modo di vedere la questione operaia. Certo è che la rappresentazionedell’ “eroe dei due mondi”, nel 1864 in visita a Londra, come intimo ed affine di lord Palrmeston, non ap-pare certo casuale. Così come non è casuale il rifiuto di Marx di recarsi a rendere omaggio a Garibaldi, suinvito dell’Associazione operaia. Una possibile chiave di interpretazione potrebbe essere rappresentatadalla data della lettera: 19 aprile 1864. Alcuni mesi dopo, infatti, ovvero il 28 settembre, al St. Martin’s Halldi Londra, avrebbe avuto luogo l’Assemblea costitutiva dell’Associazione internazionale degli operai(AIO), convocata per iniziativa di gruppi di operai tradeunionisti inglesi e di associazioni francesi di lavo-ratori, cui sarebbero poi andati ad aggiungersi numerosi nuclei di operai e di esuli politici presenti nella ca-pitale inglese. In quella occasione, Marx vi fu invitato a rappresentare i lavoratori socialisti tedeschi.

Dear Frederick,fino a about (circa) 8 giorni fa continuò la foruncolosi; cosa “fastidiosissima” e che mi ha permes-

so di riprendere il mio lavoro solo da un paio di giorni.Il privilegio del primo aprile , di essere all fool’s day (il giorno degli imbecilli), è questo mese, al-

meno qui a Londra, esteso a tutto aprile . Garibaldi e Palmerston for ever (per sempre)! sui walls(muri) di Londra, Garibaldi accanto a Pam, Clanricarde al palazzo di cristallo e con la glorificazionedei policemen (poliziotti) inglesi! In Inghilterra non vi sono mouchardes (spie)! I fratelli Bandiera neseppero qualche cosa. Garibaldi and “Karl Blind”! Che talento dimostra quest’ultimo pidocchio idro-cefalico nell’ar te di darsi importanza! “Mr. Karl Blind”, annuncia l’“Athenaeum”, “è entrato nel comi-tato shakespeariano!”. Il cialtrone non capisce una riga di Shakespeare. Io dovetti opporre gran resi-stenza e probabilmente ho perduto completamente la stima di Weber. Cioè l’Associazione operaia vo-leva (istigata da Weber) che io facessi un indirizzo a Garibaldi e poi mi recassi da lui con la deputa-zione. I refused flatly (ho rifiutato recisamente).

Quando verrai? La famiglia t’aspetta.Domani si apre la conferenza dove ai teutoni cadranno le scaglie dagli occhi. [...] Che miserabile questo Garibaldi (intendo dire donkeyhaft=tipo di somaro) che è mezzo killed

(ammazzato) dall’abbraccio di John Bull - e puoi constatarlo dai fatti seguenti che of course (natu-ralmente) altrimenti sono sconosciuti:

Nel segreto congresso rivoluzionario di Bruxelles (settembre 1863) - con Garibaldi nominalmentechief (capo) - venne deciso che egli dovesse venire a Londra, ma in incognito, cogliendo così allasprovvista la città. Quindi egli avrebbe dovuto come out (farsi avanti) per la Polonia in the stronge-st possible way (nel modo più energico possibile). Invece di far questo, il nostro uomo fraternizzacon Pam! Vorrei esser piuttosto una zecca nel vello d’una pecora che una tal valorosa scioccheria, di-ce Shakespeare in Troilo e Cressida.

I miei migliori auguri a Lupus e Lizzy.Tuo K. M.

La piccola Jenny tossisce ancora, ma sembra molto migliorata. La nuova casa l’ha in fact realmen-te rianimata.

(Marx Engels, Opere complete, xLI, Editori Riuniti, Roma 1973)

TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA| INTERVISTA A LUCIO VILLARI

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zioni di grandi dimensioni. Nel1859, ad esempio, o nella Terzaguerra d’Indipendenza, avendo mo-do di misurarsi su territori più ampi,egli si comportò con eguale indub-bia abilità, conseguendo grandi suc-cessi.

Rispetto alla politica poi, la defi-nizione di ingenuo e sprovvedutomi sembra senza dubbio sbagliata.Dopo aver portato a compimentoun’operazione politica e militarequale fu quella del 1860, cos’altroavrebbe dovuto fare, diverso daciò che in realtà fece? Noi sappia-mo benissimo che la spedizionedei Mille, nella sua fase conclusi-va, fu sostenuta dall’esercito rego-lare del Regno di Sardegna. Diconseguenza, essa non poteva ave-re sbocchi diversi da quelli che ef-fettivamente poi ebbe. Garibaldi,insomma, non poteva, con i suoivolontari, andare a liberare primaRoma e poi il Veneto.

Semmai, c’è da dire che, poichéla conclusione risultò deludente ri-spetto all’azione in sé, la contrad-dizione tra l’azione e il suo esitoha finito per pesare negativamentesu Garibaldi, proprio dal punto divista del giudizio politico. Ma, ri-peto, cos’altro avrebbe potuto fa-re? D’altro canto, l’incondizionataammirazione per le sue impresemilitari (soprattutto in Sicilia, esoprattutto nella parte occidentaledi essa), non deve far dimenticarecome il resto dell’impresa dei Mil-le si sia poi effettivamente risoltain una “passeggiata militare”. IlRegno delle Due Sicilie si dissol-se, infatti, non solo per le sconfittemilitari ad esso inferte, ma ancheper l’inettitudine della classe diri-gente borbonica, che, avendo ri-nunciato a difendersi, si dette allafuga.

Da ultimo, quando si arrivò allastretta finale, se non fosse stato perl’esercito sardo, i garibaldini sa-rebbero stati quasi sicuramentesconfitti sul Volturno. Un sinistropreannuncio, del resto, c’era giàstato a Caiazzo, dove si verificòuna vera e propria rotta delle ca-micie rosse. L’apporto piemontese,inoltre, risulterà non solo militare,ma anche politico. Dopo l’incontrocon il re Vittorio Emanuele II,

giunto al seguito delle truppe pie-montesi, cosa avrebbe potuto fareGaribaldi se non cedere il potere?

Togliatti, in piena seconda Guer-ra mondiale, riproponeva la figuradi Garibaldi, indicata quale simbo-lo di libertà. Scriveva infatti da Mo-sca: “Il nostro eroe nazionale po-polare, Garibaldi, ha insegnato agliitaliani a combattere e a morire ge-nerosamente per la libertà di tutti ipopoli, e non a essere i mercenarid’una tirannide straniera”. Eraquesto un recupero strumentale, oreale, dell’“eroe dei due mondi” al-la causa del progresso e della li-bertà?

Al di là della fraseologia, il rico-noscimento dei meriti di Garibaldi èreale, come attesta l’espressione u-sata, “nazional-popolare”, che tantafortuna avrebbe avuto in seguito,dopo la scoperta (in periodo post-bellico) dei Quaderni del carcere diGramsci. Pur tenendo nel debitoconto il contesto in cui quelle parolefurono pronunciate da Togliatti (laguerra mondiale), l’elemento difondo è senza dubbio quello di cuisi diceva prima: la sinistra recuperaed interpreta l’elemento nazionalenon solo inquadrandolo in un’otticadi evoluzione democratica della so-cietà, ma contrapponendolo, inquanto dato positivo, al nazionali-smo della destra, in quanto dato ne-gativo. L’idea di nazione intesa insenso risorgimentale, dunque, pro-

prio perché riguarda l’identità di unpopolo, non aveva proprio nulla ache vedere con quella di nazionali-smo.

Questo, come è noto, fu inficiatodall’idea che, al di là delle naturalidifferenze esistenti tra i singoli po-poli, c’erano comunque delle nazio-ni il cui valore era destinato a risul-tare incommensurabilmente mag-giore se paragonato ad altre. Sap-piamo bene come da questo concet-to, nato dalla degenerazione dell’i-dea di nazione, matureranno poi ilnazionalismo, l’imperialismo il fa-scismo e il nazismo.

Gramsci scrive nei Quaderni delCarcere: “Se Garibaldi rivivesseoggi, con le sue stravaganze este-riori etc., sarebbe più folcloristicoche nazionale: perciò oggi a moltila figura di Garibaldi fa sorridere i-ronicamente, e a torto, perché nelsuo tempo Garibaldi, in Italia, nonera anacronistico e provinciale,perché tutta l’Italia era anacronisti-ca e provinciale”.

Ebbene, poiché ormai da tempol’Italia fa parte dell’Europa, non lesembra sia giunto il momento di ri-leggere non solo la figura di Gari-baldi, ma anche dell’intero Risorgi-mento?

Certamente sì, purché si collochianche la figura di Garibaldi dentroquesta contraddizione, che tuttavia hacomportato lo scioglimento di molte-plici nodi storici e la nascita di una

INTERVISTA A LUCIO VILLARI | TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

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TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA| INTERVISTA A LUCIO VILLARI

di definirlo alla stessa maniera, poi-ché non vedo quale altra collocazio-ne gli potrebbe essere assegnata.

Ma questo è il paradosso del no-stro Risorgimento. Noi siamo per-venuti alla conquista di un obiettivoserio, importante, concreto - quale èstato quello dell’unità nazionale -all’interno di una situazione storicache si è poi andata evolvendo in for-me sempre più compromissorie, apartire dal ruolo svolto sempre piùdalla Chiesa, che, da noi, esercita unpotere di interferenza davvero uni-co, quale non si registra in nessunaltro Paese del mondo, sia esso oc-cidentale o orientale. Mentre laspinta liberatoria dei movimenti li-berali e democratici, abbattendo ilpotere temporale, ha ricondotto laChiesa nella sua dimensione spiri-tuale, l’evoluzione successiva, dalfascismo in poi, ha provocato unprocesso opposto, che ha finito conl’indebolire questo successo del Ri-sorgimento. Se oggi si parla tantodella Chiesa nella società civile e inrapporto ai principi della nostra Co-stituzione, è forse perché non si ri-flette abbastanza sulle ragioni stori-che della libertà italiana.

Quanto la rottura prodotta dal fa-scismo ha influito negativamenteanche sul piano della laicità, intesain senso risorgimentale?

La laicità risorgimentale, liberalee democratica, aveva conquistatosettori anche ampi della Chiesa: èsuperfluo ricordare il cattolicesimoliberale ottocentesco, le idee di Ro-smini e di Manzoni, gli impulsicritici del modernismo. Quindi nonera poi così fuor di luogo auspicareun compromesso che, seppur ne-cessario, data la particolare storiadel nostro Paese, non derogassetuttavia da esiti più “alti”. Ebbene,fino alle soglie del Novecento,questo compromesso di “alto” pro-filo sembrava non essere escluso.Ed invece, con il Concordato, sot-toscritto da Mussolini nel 1929,questa tradizione di libertà, che a-veva lambito anche settori dellaChiesa, è stata emarginata.

E così, se da una parte Giolitti a-veva cercato di inserire i cattoliciall’interno del sistema liberale mo-derno (si veda il Patto Gentilonidel 1913), incoraggiandoli a for-

mare un partito che contribuisse allastruttura e al rafforzamento di unostato liberale moderno, dall’altraMussolini aveva provveduto a dis-suaderli, contrattando con la Chiesala sconfessione del creatore del par-tito popolare don Luigi Sturzo conil Concordato. Mentre Giolitti ave-va cercato di superare il caratterecontraddittorio del Risorgimento,associando alla guida del potere ci-vile anche i rappresentanti del catto-licesimo liberale, Mussolini ha ri-proposto la contraddizione favoren-do un incontro con gli eredi dell’an-tirisorgimento, il clericalismo e l’il-liberale fascismo.

Con la nascita dell’Italia demo-cratica e con la Costituzione repub-blicana, l’inserimento dell’art. 7non ha sciolto il problema del valo-re della tradizione risorgimentalenella società civile dell’Italia con-temporanea.

Di questo anche l’Italia di oggi ri-sente le conseguenze, dimostrandodi non riuscire a affermare il princi-pio, al quale si richiamano tutti ipaesi democratici, della laicità delloStato.

Lucio Villari è professore di storiacontemporanea all’Università Roma Tre

nazione unita, moderna, riconoscibile. Proprio tenendo conto delle posi-

zioni di Gramsci, si potrebbe soste-nere che, se non ci fossero stati imoderati, quelli che di fatto risulta-rono i vincitori, non ci sarebbe statoneppure il Risorgimento. Di qui perl’appunto l’aporia: essa nasce dalfatto che le ribellioni, le insurrezio-ni, i complotti furono poi inglobatiin una dimensione moderata. Se co-sì è, allora due sono le cose: o que-sta rivoluzione si “moderatizza”, oil moderatismo diventa rivoluziona-rio. A fronte di questa contraddizio-ne, lo stesso Gramsci riconoscevache, se si voleva dare uno sboccoreale a questa spinta rivoluzionaria,allora la dimensione moderata do-veva essere accettata come inevita-bile.

Alla luce di questa contraddizio-ne, la stessa figura di Garibaldi èdestinata a divenire problematica:se, da una parte, essa ci appare posi-tiva - in quanto parte di quell’ondalunga di rivolte e di ribellioni checaratterizzarono gran parte del seco-lo XIX -, dall’altra, se analizzata dalpunto di vista dell’inconsistenzadella sua fine, non può non apparir-ci come rimpicciolita.

Di qui il giudizio di Gramsci, nelpasso sopra riportato, dove parla dilui come di un “personaggio folclo-ristico”: ebbene anche io mi sentirei

GARIBALDI TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

di Giuseppe Monsagrati

La prima tentazione cuiè esposto chiunque vo-glia affrontare in modonon convenzionalel’argomento Garibaldi

è la suggestione che sempre eser-cita la sua dimensione epica, che èpoi anche il motivo della sua largae duratura notorietà dentro e fuoridei confini del paese che gli ha da-to i natali. Nell’immaginario popo-lare, come pure – il più delle volte– nell’approccio degli studiosi,quello che di lui si è impresso conmaggior forza nella memoria è ilprofilo dell’eroe, del combattentecoraggioso e del grande trascinato-re di uomini in battaglia. L’espres-sione “alla garibaldina”, ancoraoggi di uso assai frequente, sta adindicare un’azione in cui lo slan-cio, l’audacia e lo spirito combatti-vo, in una parola la motivazione i-deale, rappresentano il valore ag-giunto di un’iniziativa caratteriz-zata da un tasso di temerarietà e dipovertà di mezzi che di per sé sa-rebbe requisito poco raccomanda-bile per il conseguimento di unsuccesso. E dunque il Garibaldipiù noto e più spesso evocato è enon può non essere il Garibaldigiovane rivoluzionario, poi corsa-ro nel Rio Grande do Sul, poi di-fensore della Repubblica romanacui sacrifica la donna che gli è sta-ta compagna per dieci anni, equindi il Garibaldi capo dei Millee dolente icona di Aspromonte eMentana che chiude la sua vita di

guerriero nella Francia invasa daiPrussiani: insomma il Garibaldiprotagonista di imprese che, perquanto sfortunate, non sono maistate macchiate dal calcolo o dal-l’interesse personale e spesso sonostate pagate con prezzi assai altisia sul piano morale che su quellofisico.

Un personaggio così avventuro-so ed esemplare lo si è celebrato inogni modo e ad ogni latitudine,con le ricostruzioni storiche mapiù ancora con le biografie popola-ri, in poesia e coi romanzi, nellestampe oleografiche e nei quadrid’autore, nella memorialistica piùsorvegliata e anche negli ingenuitravestimenti del mito: Garibaldiuomo che si trasfigura e diventasanto e come un santo è oggetto di

Fu il più amato dal popolo che fece di lui un mito.nonostante il suo anticlericlarismo esprimeva unareligiosità che convinse molti preti a seguirlo in nomedell’unità nazionale. La fortuna postuma

adorazione, ripara i torti e fa i mi-racoli, è il liberatore atteso da se-coli, il nuovo Cristo di un’epocache comincia ad aspettarsi dallavita terrena quel premio che permillenni è stato legato alla fedenella trascendenza e nell’aldilà. A-gli occhi delle folle che soprattuttodopo il 1860 riporranno in lui ognisperanza di un futuro meno amarogià nella quotidianità della loro e-sistenza terrena, Garibaldi rappre-senta una mescolanza ben riuscitadi umano e divino, qualcosa comeil nuovo Messia: “dove compari-sce – scriverà di lui Francesco Do-menico Guerrazzi, allora famosoautore italiano di romanzi storici –cessano fame, stanchezza, e perfi-no il dolore delle ferite”. Le virtùtaumaturgiche erano, come si ri-

UN pO’ RIvOLUzIONARIOUN pO’ cORSARO

15VS La rivista | n.8-9, 2007

UNÕICONA DEL RISORGIMENTO

gimento e risurrezione abbiano lastessa radice semantica e, pur desi-gnando due fenomeni di natura di-versa (l’uno laico, l’altro attinenteil sacro), abbiano praticamente i-dentico significato. Capita spessoche, nell’Ottocento, la carica inno-vativa dei grandi riformatori sia e-spressione di un’integrazione trareligione e politica, tra fede e de-mocrazia. In Garibaldi questo èvero non solo oggettivamente, maanche soggettivamente, nel sensoche, con tutto il suo anticlericali-smo, non mancano in lui le im-provvise fiammate del credente:“Noi siamo della religione di Cri-sto – scriverà a un prete suo segua-ce (ce n’erano molti nel basso cle-ro) – non della religione del Papa edei cardinali, perché nemici d’Ita-lia”. Una frase, questa, più volteripetuta in altri passaggi delle suelettere e dei suoi scritti, e non pri-va di un senso tattico, dal momen-to che specialmente in Sicilia l’a-desione di parte del clero servirà,per un effetto di trascinamento sulpopolo minuto, ad ingrossare le fi-le dei volontari.

Più pragmatico che coerente

Ciò spiega, ma solo in parte, lafacilità con cui Garibaldi riuscì,più di ogni altro contemporaneo,

corderà, uno dei requi-siti per l’attribuzione

dell’origine divina del potere asso-luto; in Garibaldi sono all’originedella sua legittimazione come ca-po riconosciuto e indiscusso del-l’esercito popolare.

Figure carismatiche

Nel corso dell’Ottocento non so-no molti coloro che, emergendo al-l’improvviso dall’anonimato in cuisono venuti al mondo, sono inve-stiti di questo potere carismatico,orientato non all’affermazione dise stessi e della propria potenzapersonale ma alla trasmissione divalori essenziali e alla realizzazio-ne del bene collettivo. Guarda ca-so, di David Lazzaretti, il cosid-detto Cristo dell’Amiata invocanteuna religiosità non gerarchizzata, ènota l’esperienza giovanile di vo-lontario prima garibaldino e poinell’esercito piemontese comecombattente nella guerra del 1859;Alessandro Gavazzi, Ugo Bassi,Giovanni Pantaleo sono altri bennoti esempi di ecclesiastici che co-niugano lo spirito pastorale conquello patriottico, e sempre dietrole loro decisioni di uscire dallaChiesa di Roma per diventare unsimbolo della rivolta risorgimenta-le c’è il fattore Garibaldi. In fon-do, a nessuno sfugge come Risor-

ad arrivare al cuore degli umili,soprattutto a partire dal 1860,quando apparve alle folle sicilianee napoletane come l’uomo del po-polo capace di entrare in relazionedialettica con i potenti della terra emagari di sfidarli anche, come av-venne e avverrà ancora con Napo-leone III; in tal modo egli divenneil simbolo delle comuni aspirazio-ni al conseguimento di un ruolopolitico e sociale che non fosse dipura passività o subordinazione.Perché questo avvenisse erano sta-ti necessari gli echi delle sue batta-glie, gloriose pur quando non si e-rano concluse vittoriosamente (ilche accadde più spesso che non sicreda); ma un contributo decisivoall’edificazione del suo mito lodiedero il suo carattere e il suopragmatismo: il carattere perché,inducendolo a disprezzare le con-venzioni sociali e la voglia di arri-vismo, lo mise al riparo dalle ten-tazioni del potere, quanto meno diun potere la cui durata andasse ol-tre il tempo necessario per sanarele ingiustizie; il pragmatismo per-ché alle dispute ideologiche di co-loro che volevano realizzare l’uto-pia in terra antepose sempre il rag-giungimento del miglior bene pos-sibile: bene che, come è noto, perl’Italia egli identificò con l’Unitàpensata da Mazzini ma realizzatada Cavour e dal suo re. Ci fu inquesto, da parte sua, una evidentecontraddizione con i suoi convin-cimenti repubblicani, ma fu unacontraddizione che agli occhi suoie a quelli della maggior parte degliItaliani passò in secondo piano ri-spetto all’esigenza, da lui forte-mente sentita, di superare le seco-lari divisioni e contrapposizioniinterne. Paradossalmente, anzi, daquesta sua incoerenza, che lo portòa smentire le posizioni dichiarata-mente repubblicane della giovi-nezza, Garibaldi ricavò un surplusdi popolarità, perché parve a tutticapace di sacrificare la propriacoerenza di individuo al bene diuna comunità che per la verità siera riconosciuta solo in minimaparte nelle posizioni di coloro cheauspicavano la nascita di un’Italiarepubblicana.

Nell’ultima fase della vita inter-

TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA| UNÕICONA DEL RISORGIMENTO

VS La rivista16

Moltke mancò Garibal-di”, che era quanto direche senza Garibaldi l’unificazioneitaliana sarebbe stato il risultato diuna conquista operata dall’alto,senza nessuna partecipazione daparte di forze che non fosseroquelle espresse dalla gerarchia po-litica e sociale dominante: comeper l’appunto era avvenuto con laPrussia di Bismarck, forte dei suoisoldatini disciplinati e pronti a mo-rire senza chiedersi nemmeno per-ché o per chi.

La lotta di classe, avendo comeconseguenza inevitabile il conflittointerno alla società, non era dun-que il più sentito dei suoi ideali difratellanza; su questo punto Gari-baldi non ebbe né dubbi né esita-zioni di sorta, anche se non vennemai meno il suo interesse per lecondizioni delle classi subalternené chiuse mai gli occhi di frontead una realtà sociale che parlavacontinuamente di malattie, disoc-cupazione, miseria, mortalità pre-coce, analfabetismo diffuso. Fortedi questa consapevolezza, non sistancò mai di pungolare i governie le istituzioni perché provvedes-sero a sanare almeno le ingiustiziepiù vistose, che erano poi quelle lacui sopravvivenza rischiava di to-gliere ogni valore all’unificazioneappena raggiunta. Perciò fu perce-pito come un eroe più di quanto inrealtà lo fosse, perché era eroico

gine come protagonista di una ri-voluzione che, manifestatasi ini-zialmente come nazionale, sarebbestata completa solo quando fossediventata anche sociale. Per l’ap-punto uno dei padri del socialismoe del materialismo storico italiano,Antonio Labriola, volle rimarcareche Garibaldi, “glorioso per fortu-nate imprese d’armi, in terra e sulmare, in patria ed in lontani lidi,non parve mai cingesse la spadada guerriero o da conquistatore,ma la brandisse quale istrumentodi giustizia e quale simbolo di fu-tura e perpetua pace”. Ma Garibal-di non era fatto per essere costrettoin un ruolo che, identificandolocon un preciso orientamento poli-tico, lo separasse dal resto dellanazione: voleva essere di tutti, enon perché in tal modo lusingavala propria vanità e il proprio biso-gno di consensi ma perché avverti-va più di chiunque altro l’esigenzadi unire un paese e una popolazio-ne che le vicende del passato ave-vano sin troppo tenuti divisi. In ef-fetti, tale legame con le masse nonservì solo alla sua coscienza di cit-tadino, ma fu uno dei pochi fattoriveramente identitari della nazioneitaliana, ciò che alla fin fine distin-se il Risorgimento italiano dal pro-cesso di unificazione della Germa-nia: Federico Chabod avrebbe poiben chiarito questo concetto scri-vendo che “alla nazione che ebbe

venne poi un altro elemento a faredi lui il simbolo di una speranzacollettiva dai tratti troppo nazio-nal-popolari per incarnarsi nellapolitica ufficiale dei governi, e fula sua adesione all’Internazionalesocialista. Come era già avvenutocon la repubblica, Garibaldi si for-giò un’Internazionale tutta sua,senza lotta di classe, senza dittatu-ra del proletariato, senza abolizio-ne della proprietà privata e con ilprofilo inconfondibile dell’umani-tarismo filantropico dell’epoca ro-mantica, con la buona ragione che,come ebbe a sostenere, lui erasempre stato un internazionalista,sin da quando aveva attraversatol’oceano per soccorrere i popolidel Sud America in lotta contro ildispotismo. Forse confondeval’organizzazione creata da Marxed Engels con la massoneria: fattosta che molti lo presero in parola,si sensibilizzarono alle condizionireali del paese e rilanciarono lacreazione di organizzazioni politi-che, circoli, società di mutuo soc-corso che, finito con il 1870-71 iltempo eroico della militanza nelleformazioni volontarie, servironoda scuola di socialismo per le nuo-ve generazioni. Incurante dei rim-brotti di mazziniani e moderati se-condo i quali aveva tradito duevolte, la prima rinunziando alla re-pubblica per la monarchia e la se-conda accantonando la dottrina so-ciale mazziniana, Garibaldi coniòla più felice delle sue espressioniquando affermò che l’Internazio-nale era il sole dell’avvenire. Aparte l’equivoco di fondo, fu laformula che per la prima volta fe-ce sentire folle di contadini e pro-letari meno estranei ad un paese lacui nascita come nazione non li a-veva coinvolti quasi per nulla; ecominciò così a svilupparsi quelsenso di appartenenza mancando ilquale nessuna coscienza nazionalesarebbe stata possibile.

Gli eredi socialisti

Furono perciò i socialisti e in ge-nere gli uomini della Sinistra e-strema i primi a tramandare il ri-cordo di quest’uomo di umile ori-

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UNÕICONA DEL RISORGIMENTO | TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

carelle in cerca di qualcosa da ag-giungere alla sua raccolta; e se que-sto qualcosa ancora c’è, si può essercerti che il sig. Mais – questo il suonome – prima o poi lo scoverà, perla comprensibile disperazione dellaconsorte.

Io credo che anche in questo e-sempio si possa scorgere un riflessodi ciò che il personaggio di Garibal-di e i numerosi rimandi della sua e-sistenza sono tuttora capaci di evo-care nella considerazione degli ita-liani duecento anni dopo la sua na-scita. I collezionisti come il sig.Mais sono mossi anzitutto dal senti-mento di ammirazione che il nomedi Garibaldi ancora suscita; col tem-po saranno indotti anche a studiarepiù da vicino il loro eroe, anche sedifficilmente arriveranno a coglierela complessità e le molte implica-zioni delle vicende che lo hanno a-vuto a protagonista. Non sono, cioè,degli studiosi, ma qui c’è l’aspettopiù genuino e rivelatore della loropassione, che non è fatta di sempli-ce patriottismo e tanto meno di or-goglio di stampo nazionalistico, maesprime quell’ansia di verità e giu-stizia che costituirà sempre un biso-gno della gente comune. Garibaldi,da questo punto di vista, è solo l’a-gente catalizzatore di una sorta direazione propria della chimica degliaffetti. Ho detto “solo”: ma si dovràconvenire che nella storia del mon-do moderno non capita spesso ditrovare altri come lui.

Giuseppe Monsagrati è professore diStoria del Risorgimento all’Università diRoma “La Sapienza”

piaggeria e l’adulazione non man-carono, ma i loro frutti furono infi-nitamente minori di quelli origina-ti, quando era ancora in vita, da ungenuino sentimento di gratitudinenei suoi confronti.

Nel 1982, primo centenario dellamorte di Garibaldi, fu allestita a Ro-ma una grande mostra di cimeli sto-rici garibaldini. Se si sfoglia il cata-logo pubblicato per l’occasione sivedrà come accanto ai quadri e alleincisioni dei grandi pittori e dise-gnatori dell’epoca risulti molto piùnumerosa la produzione degli arti-giani e dei semplici ammiratori to-talmente anonimi, tutti sollecitatidal desiderio di ricordare in qualchemodo e senza grandi pretese l’uomocui dovevano la scoperta della loroidentità nazionale e la prima perce-zione dei valori della cittadinanzaattiva. La stessa simbiosi tra culturaalta e rappresentazione naif caratte-rizza le collezioni di memorabiliagaribaldine presenti in tante case i-taliane: e anche qui è curioso comele raccolte messe su da personaggifamosi come Giovanni Spadolini eBettino Craxi non abbiano toltospazio allo spirito d’iniziativa dicollezionisti di minor nome e di me-no ampia disponibilità economica.A Roma, per fare un esempio, è no-to il caso di un pensionato che ha in-vestito parte dello stipendio e tuttala sua liquidazione nell’acquisto diqualunque reperto – cartaceo o ma-terico – sia riferibile direttamente oindirettamente all’eroe di Nizza, sìda fare della sua casa un piccolomuseo: i frequentatori dei mercatiniromani lo incontrano spesso la do-menica mentre fa il giro delle ban-

nelle sue virtù umane,nella sua semplicità e

nella sua moralità. E questo è tantovero che persino in un volume del-la Storia d’Italia Einaudi che si a-pre con una specie di manifestomodestamente invocante una“nuova” storia del Risorgimento,in un saggio uscito dalla penna diuno storico considerato solitamen-te molto originale si cita ancora ilsacco di sementi con cui Garibal-di, terminata la campagna meridio-nale, rifiutò onori e ricchezze pertornarsene nella sua Caprera.

Popolarità e affetto

La misura di quanto Garibaldifosse entrato in sintonia con i suoicontemporanei è data non dai moltimonumenti che gli furono eretti inogni città d’Italia né dalle tantestrade che gli furono intitolate se-condo un costume civico assai dif-fuso a fine Ottocento, ma dalla fre-quenza con cui il suo personaggiodivenne oggetto di rappresentazio-ne nelle forme d’arte più sponta-nee, quelle che comunemente sonodette minori o povere. Nessun altrotra i protagonisti del Risorgimentosi può dire sia stato tanto celebratonelle stampe, nelle poesie popolario nei canovacci delle compagnie digiro.

Per dare un’idea delle dimensio-ni della mitografia che lo riguardòsi pensi che lo si fece salire perfinosulle scene dei teatri cinesi, ovvia-mente nell’interpretazione che nediede un attore esaltandone la fun-zione di costruttore della nazione i-taliana ma anche di simbolo delleaspirazioni universali alla libertà.Forse solo Vittorio Emanuele IIpuò reggere il confronto su un pia-no meramente quantitativo; ma chemolti di coloro che gli rendevanoomaggio lo facessero per cortigia-neria non è un sospetto, è una cer-tezza. Nel caso di Garibaldi, ossiadi un uomo che più era circondatoda dimostrazioni di entusiasmocollettivo e più tendeva a ritrarsi indisparte (a maggior ragione sel’entusiasmo era manifestato da e-sponenti di categorie sociali a cuisapeva di non appartenere), certo la

TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA| UNÕICONA DEL RISORGIMENTO

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INTERVISTA A FRANCO DELLA PERUTA*

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LA TRADIzIONE DEL pENSIERO DEmOcRATIcO

la sua memoria?Difficile dirlo. La fama di

Garibaldi è mondiale: non c’è cittàdove non ci sia una via o una piaz-za a lui dedicate. Quanto questo poicorrisponda a una effettivaconoscenza del personaggio è com-plesso misurarlo. Direi che però,nel complesso, anche in virtù dellesue eroiche imprese, è ad esempiomeglio conosciuto Garibaldi cheMazzini.

Garibaldi, “eroe dei due mon-di”, rimane senza dubbio uno deinostri più importanti “padri dellapatria”. E tuttavia, data la naturacattolica del nostro Paese, la suapopolarità sembra essere stata,soprattutto a partire da una certaepoca, piuttosto tollerata che con-divisa. Può l’impronta cattolicadella nostra cultura aver negativa-mente influito sul ricordo diGaribaldi?

Certo questa influenza può es-serci stata, perché buona parte del-la cultura italiana impregnata dicattolicesimo ha sempre dimostra-to un’aperta ostilità nei confrontidi Garibaldi, anche alla luce delsuo esplicito anticlericalismo.

D’altra parte, però, occorre con-siderare che quella di Garibaldi èstata una delle figure di riferimen-to della cultura laica e progres-sista.

Questo, per intenderci, è accadu-to da subito, fin dai primissimi an-ni post-risorgimentali, come testi-

Garibaldi è divenuto il simbolo di una cultura laica eprogressista. Il suo anticlericalismo spiega, in parte, ladiscrepanza tra la sua fama e la sua memoria. L’idea di nazione come coscienza popolare

questa nostra incomprensione sitrasforma, spesso, in sottovalu-tazione del personaggio.

Perché ci rendiamo responsabilidi questa sottovalutazione?

Perché in Italia, purtroppo, lamemoria storica è da una partepiut tosto corta, dall’altra si accendea intermittenza. Però bisogna am-mettere che il mondo scientifico siè mosso per tempo: ad esempio, èin corso di pubblicazione l’episto-lario di Garibaldi, e questo sicura-mente contribuirà a una migliorecomprensione del pensiero delNizzardo. Altra cosa è invece l’at-tenzione dei mass-media, puntual-mente lontani da qualcosa che siaappena diverso da un fuggevole ri-cordo retorico.

Come si spiega questa mancatasintonia tra la fama di Garibaldi e

Professor Della Pe-ruta, siamo ormaientrati nel pienodelle celebrazionidel bicentenario

della nascita di Giuseppe Garibal-di. Ritiene che l’avvenimento saràdestinato a passare in sordina,come purtroppo è già accaduto conil bicentenario di Giuseppe Mazzi-ni, oppure vede all’orizzonte inizia-tive tali che possano scongiuraretale pericolo?

Debbo osservare che, se da unaparte c’è una indubbia attenzionerispetto a questa ricorrenza simboli-ca, dall’altra essa non è certo quellache sarebbe dovuta a un personag-gio della statura di Garibaldi, unodegli italiani più conosciuti all’este-ro. Infatti, ancora oggi, facciamofatica a comprenderne, fino in fon-do, la notorietà internazionale; così

di Dario Ricci

GARIBALDI TRA STORIA EINTERPRETAZIONE POLITICA

Nell’ambito della sinistraGaribaldi è stato l’icona del-l’eroe popolare per eccellenza. Inche senso l’“eroe dei due mondi”può essere considerato un espo-nente vero, e non abusivo, dellemasse popolari?

Quella della popolarità riguardasoprattutto la prima fase, ovverogli anni che vanno dalla morte diGaribaldi fino all’avvento del fa -scismo. In tale contesto, ilgaribaldinismo fu un fenomenodemocratico che coinvolse, ac-canto al socialismo, porzioni ab-bastanza vaste del Paese. Succes-sivamente, con la seconda GuerraMondiale, la Resistenza e la fasepostbellica, Garibaldi tornò ad es-sere uno dei simboli delletradizioni sociali e democratichepiù avanzate del Paese.

In che modo la figura diGaribaldi ci aiuta a chiarire ladicotomia tra patriottismo enazionalismo? Perché, nel casodel Nizzardo, la sua appartenenzaal campo patriottico non è mai s-tata in discussione senza pericolodi derive e sconfinamenti nazion-alistici?

Perché Garibaldi aveva una for-mazione democratica di chiaraimpronta mazziniana. Vale la pe-na ricordare che si iscrisse allaGiovine Italia da ragazzo e che,pur tra gli alti e bassi del rapportoche lo legava a Mazzini, non rin-

non ne vedo.Garibaldi, come è noto, è stato

tirato per la giacca sia dalla “de-stra” che dalla “sinistra”. Quan-to di questo uso double-face sideve alle ambiguità del personag-gio e quanto alla malizia dellapolitica?

Molto si deve, purtroppo, allapolitica. Analizzando la figura diGaribaldi e il suo pensiero - per-ché sbaglia chi lo considera soloun eroe dell’azione e del coraggio-, si evidenzia che egli è semprestato un coerente combattente perla democrazia. E anzi, negli ulti-mi anni della sua vita, anche perun idea le di riscatto e rinnova-mento sociale, con una quasiproiezione verso il nascente so-cialismo. E tale atteggiamento fu,non a caso, percepito per primoda uno dei pochi grandi marxistiitaliani: Antonio Labriola.

Alcuni storici hanno visto nelgrande Nizzardo l’autore più omeno consapevole di quella “mo -n ar chia democratica” cheavrebbe poi avuto degli epigoniaddirittura in Francesco Crispi enel fascismo. Quanto di questaopinione è da accogliere e quantoè da respingere?

Io vedo una netta rottura, undiscrimine netto tra Garibaldi equeste successive evoluzioni dellavita politica e del pensiero politi-co italia no. E non si possonogettare ponti tra l’uno e gli altri.

monia il movimento diFelice Ca vallotti, che

proprio a Garibaldi si rifaceva. Èquesta una linea rossa che poi ar-riverà a segnare profondamenteanche l’opposizione al fascismo:basti pensare alle celebri “BrigateGaribaldi”, che caratterizzaronola Resistenza. Inoltre, Garibaldifu anche il simbolo dei partiti disini stra, che formarono i Frontidemocratici Popolari.

Può invece essere riscontrata, asuo parere, una continuità, unasopravvivenza di alcuni elementidell’anticlericalismo garibaldino,in quei settori della nostra soci-età che oggi si oppongono, piùradicalmente, all’influenza eccle-siastica sulla vita socio-politicadel Paese?

Direi di no. Anche perché l’an-ticlericalismo di Garibaldi era e-spressione di un sentimento spon-taneo: forte, ma nel contemporozzo, primitivo e sentimentale.Lo si evince leggendo anche isuoi romanzi, come ad esempioClelia, dove compaiono figure dipreti sempre caratterizzati comeorrendi e terrificanti. Il suo è in-somma un sentimento ingenuo eun po’ datato che, semmai è so-pravvissuto, può essere riscontra-to in età giolittiana, come di-mostrano riviste come “L’Asino”di Guido Podrecca. Di con-seguenza, legami diretti conforme di laicismo contemporaneo

TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA| INTERVISTA A FRANCO DELLA PERUTA

VS La rivista20

lessi sul tempo pre-sente.

Eppure è il Risorgimento che ciha trasformato in Nazione, purcon tutti i problemi e le contrad-dizioni che l’hanno contraddistin-to. È quello il momento dell’as-sunzione della consapevolezza diessere una Nazione, una e uni-taria. Certo, quello risorgimentalefu anche un processo politico fat-to e gestito da minoranze, daélites, ma è anche vero che i fruttisono stati poi goduti dall’interapopolazione

Vista l’Italia di oggi, e quelloche il nostro Paese è diventatodopo due secoli, Garibaldi lo ri-farebbe, tutto quello che ha fattoper questa Italia?

Penso proprio di sì. Egli era ungrande trascinatore, non una voceche chiamava nel deserto. Sapevastimolare le minoranze ad as-sumersi la propria responsabilitàstorica, a dare il via a processi ingrado di modificare il corso deglieventistorici. Vista l’Italia attuale, nonsarebbe comunque pentito diquanto fatto, e anzi troverebbe si-curamente il modo di far sentire,ancora oggi, la sua voce.

*Franco Della Peruta insegna Storia delRisorgimento all’Università degli Studi diMilano.

Dario Ricci è giornalista di Radio 24 - IlSole 24 Ore.

so della storia è che, nella concor-dia discors di queste anime, affon-dano le loro radici il Risorgimentoe l’Italia che ne è nata.

Difficile raccontare l’epopea diGaribaldi, rinunciando alla retor-ica che in genere l’accompagna.Ma qual è, di fatto, l’eredità diquella esperienza che ancora og-gi ci re-sta?

Credo che ogni uomo rappre-senti il suo tempo e dunque, inquanto tale, vada visto all’internodelle contingenze storiche in cui èinserito. Di fatto, Garibaldi ci halasciato lo slancio, la pulsione alsacrificio, il desiderio di lavorareper un avanzamento generale deipopoli e delle società. Una com-ponente, questa, che, non solo inItalia, ha poi caratterizzato anchel’azione di minoranze politiche.

Perché ancora oggi facciamocosì fatica a ricordare le figurepiù significative del nostroRisorgimento?

Quello dell’offuscamento dellamemoria storica non è un proble-ma che riguarda l’Italia: coin-volge anche buona parte dei Paesieuropei. E questo avviene per dueordini di motivi: da un lato, peruna sorta di processo naturale cheevidenzia spesso una memoriatroppo corta; dall’altro per il fattoche il passato lontano non vienespesso avvertito come una forzacapace di proiettare i propri rif-

negò mai la matrice ideale che loaveva plasmato fin dalle origini.

Questo tipo di ideologia risorgi-mentale, di stampo mazzi niano, e-scludeva dunque il nazio nalismo.Al centro c’era invece il concettodi “nazionalità”, cioè la necessitàdi riconoscere i diritti di un popo-lo che andava a formare appuntouna “nazione”, tale per lingua,tradi zioni e caratteri comuni. Inquesto orizzonte non c’era spazioper il nazionalismo, cioè per il ri-conoscimento di un ruolo ege-monico esercitato da una nazionerispetto alle altre.

Secondo lei, è possibile indivi-duare in Garibaldi e Cavour leradici di due modi interpretare, edi vivere, questo concetto di“nazione”, che ancora oggi sem-brano caratterizzare il nostroPaese?

Credo proprio di sì. Una è l’ani-ma garibaldina, popolare, che cer-ca l’iniziativa dal basso e che fa l-eva sulle spinte che provengonodalla società: guardiamo ad esem-pio al volontariato, al volontaris-mo. In tal senso, riconsideriamoche i Mille che partirono verso laSicilia erano diventati quaran-tamila una volta arrivati al fiumeVolturno.

Cavour e la tradizione monar-chico-cavouriana, invece, imper-sonano un aspetto diverso delpotere: quello legato alla monar-chia, all’esercito regio. Il parados-

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INTERVISTA A FRANCO DELLA PERUTA | TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

IL DISINGANNODOpO L’UNITà

quindi, in gradi diversi di consape-volezza, di una nuova cultura.

Ma è bene procedere ad alcunedistinzioni.

mazzini e i mazziniani

Innanzitutto, Mazzini e i mazzi-niani più ortodossi rappresentanosolo il caso limite di questo pro-cesso, che ha la sua epoca più si-gnificativa nel primo decennio po-stunitario. Politicamente, Mazzininon rifuggì da tentativi di accordocon la monarchia, in vista della li-berazione del Veneto. Ma nel set-tembre del 1866, subito dopo l’e-pilogo della poco gloriosa guerracontro l’Austria, fondò, “sulle ro-vine dell’ultima illusione”, l’“Al-leanza repubblicana universale”,dandole il significato di un ritornoall’intransigenza politica e di prin-cipi. Egli stesso, nel 1858, avevateorizzato.

E quanto meno speri cose imme-diate, sii tanto più assoluto; letransazioni possono convenirequalche volta alla vigilia dell’a-zione, non alla propaganda edu-catrice dei principi.

Salvemini ha commentato osser-vando che, quando a Mazzini sipresentava qualche possibilità diraggiungere l’unità nazionale an-che senza il rinnovamento religio-so, senza democrazia, senza re-pubblica, egli trovava nella incrol-labilità stessa della propria fede la

Fra la mestizia o il risentimento garibaldini e il Risorgimento”, non solo dei due protagonisti, madi chi nell’uno o nell’altro Giuseppe si era ricono-sciuto affidandogli parte [...] delle proprie speranze

Fra la mestizia o il risentimentogaribaldini e il dolore mazzinianosi colloca quella che è stata chia-mata la “delusione del Risorgi-mento”: delusione non solo deidue capi della democrazia italiana,ma di chiunque nell’uno o nell’al-tro Giuseppe si era riconosciuto,affidandogli parte più o meno in-tensa delle proprie speranze.

Ma delusione per che cosa?Gli studiosi hanno rilevato come

quella delusione non possa essereelevata a canone storiografico, nonserva, cioè, a qualificare il giudi-zio che oggi dobbiamo dare dell’e-sito del Risorgimento. Ma ciò nonsignifica che il disinganno patitodai democratici di cento anni fanon sia esso stesso un fatto storicodegno di attenzione e considera-zione e capace di introdurci nelpiù ampio mondo di passioni e diideali che agitarono, sboccando invarie direzioni, gli uomini nonconsenzienti alla soluzione sabau-da e moderata del movimento na-zionale, i patrioti che non avevanovisto realizzarsi né la costituente,né la repubblica, né un’iniziativa i-taliana di respiro europeo. Perché,e questo è un primo punto degnodi attenzione, l’animo, dopo il ’60,rimaneva tanto più turbato quantomaggiormente il riscatto patriotti-co era stato sentito come piùprofondo e integrale riscatto, comefondazione, sulle ceneri del dispo-tismo italiano e straniero, di unanuova moralità civile e politica e

Nel 1862, condanna-to all’inazione dal-la ferita di Aspro-monte, Garibaldisfogò il suo risen-

timento in un poema autobiografi-co i cui versi ora ricordati costitui-scono l’appassionata interpreta-zione, in seguito alla nuova e tra-gica esperienza, della mestiziache, dopo l’incontro di Teano, Al-berto Mario gli aveva vista effusasul volto:

“non perché [così Mario si espri-meva nella sua Camicia Rossa,N.d.A.] lo turbava volgare gelo-sia, né cruccio d’ambizione in-soddisfatta; folgorante di gloriae, per naturale modestia, schivod’ogni grandezza, affligevalo(sic) la incompiuta eredità ditrionfi popolari ch’ei legava al-l’avvenire della libertà d’Italia.”

Poco dopo la breccia di PortaPia, nell’ottobre del 1870, quandola monarchia e il ceto liberale mo-derato ebbero definitivamente vin-ta la battaglia per l’egemonia delnuovo Stato, Mazzini, cosciente diciò che l’evento significava perlui, scriveva:

“Il doppio sogno della mia vita siè dileguato... Abbiamo Roma, lanostra Roma, profanata dallamonarchia. È tal dolore per meda non potersi spiegare a parole.Non m’è bastato l’animo di rive-derla; vi passai una notte comechi fugge...

di Claudio Pavone

GARIBALDI E MAZZINI A CONFRONTO

VS La rivista22

GARIBALDI TRA STORIA EINTERPRETAZIONE POLITICA

Informato al principio umanita-rio... si propone di operare perl’unità nazionale, per l’umanità...istruire il popolo, propugnare edifendere i suoi diritti... la fratel-lanza universale, secondo gli in-segnamenti di Giuseppe Mazzi-ni... Il popolo combattente senzaricompense in nome della santalibertà ha diritto di essere rispet-tato... Procurate di migliorarne lecondizioni economiche, politichee sociali... date ad esso buoneleggi... per il suo benessere...

Il suffragio universale, la santitàdell’associazione, la fraternità, l’a-more fra i liberi e l’odio contro itiranni, l’emancipazione della don-na e del lavoro, la nazione armatasono alcuni dei temi ricorrenti nel-la pubblicistica mazziniana, che siincentrano nell’ideale della TerzaItalia o della Terza Roma (dopo laprima dei Cesari e la seconda deipapi), che proponga al mondo lasua iniziativa di totale riscatto. At-teggiamento palingenetico, dove siritrovano tutti i contenuti di cuiper tanti anni il mazzinianesimo a-veva caricato il senso del Risorgi-mento italiano: e che ora, prima diessere travolti e trasformati danuovi ideali di cui Mazzini e i suoifedeli non riusciranno mai a co-gliere bene le ragioni, danno un ul-timo guizzo di vitalità, quasi che iloro propugnatori vogliano rin-francarsi con un ritorno alla purez-za delle origini. [...]

Garibaldi e i garibaldini

Altro è il discorso da fare quan-do l’attenzione si sposta da Mazzi-ni e dai mazziniani a Garibaldi e aigaribaldini. Molto si è insistito,nelle oleografie risorgimentali, nelrappresentare Garibaldi e Mazzinicome il braccio e la mente della ri-voluzione italiana. Il realtà il rap-porto fra i due uomini e fra i settoridel movimento nazionale da essiinfluenzati era assai complesso eandò soggetto a numerose oscilla-zioni, né riuscì sempre chiaro ai se-guaci. Alcuni di questi, ancora mol-ti anni dopo l’Unità, accarezzavanola speranza di vedere quei duegrandi, dissipati equivoci che sem-bravano marginali, porsi concordi

l’aderire alle prime proposizioniinternazionaliste e socialiste, chedella libertà di facevano più inte-grali banditrici, criticando la rivo-luzione politica del Risorgimentocome irrimediabilmente insuffi-ciente e monca, fino a che non fos-se trapassata sul terreno della rivo-luzione sociale.

Scriverà anni dopo Costa in al-cuni suoi ricordi:

Il popolo italiano, occupato dallaquestione nazionale, vedeva nel-lo scioglimento di essa lo sciogli-mento di tutte le altre, la socialecompresa, di cui aveva certo ilpresentimento, se non la coscien-za, giacché era credenza popola-re che le terre, sbarazzate dagliAustriaci e dai Borboni, appar-terrebbero al popolo.

Questa corposa commistione del-la libertà della patria con la proprialibertà economica e sociale doveva,nei limiti in cui si era realmente ve-rificata, essere messa facilmente incrisi dopo il 1861: e avrebbero cer-cato di approfittarne non soltanto idemocratici e poi i socialisti dellevarie tendenze, ma anche i clericaliche in quegli anni andavano ripe-tendo ai moderati l’accusa di averfatto il Risorgimento alle spalle del-la povera gente, e cercavano di tra-volgere in tale critica i repubblicaniche si ostinavano a pretendere l’ap-poggio popolare per un altro rivol-gimento meramente politico.

O pane o morte!, parafrasando ilmotto garibaldino di O Roma omorte!, proclamava un giornalettofiorentino, “Lo Zenzero primo”, nel1868, al tempo dei moti control’imposta sul macinato, non appro-vati da Mazzini con notevole pre-giudizio della sua fama di patriarcadelle rivoluzioni italiane.

In realtà, nell’atteggiamento deimazziniani si possono cogliere en-trambe le preoccupazioni: quellapolitico-repubblicana e quella so-ciale, ricondotte sotto l’unica cate-goria della educazione, del rinnova-mento morale e dell’elevamento re-ligioso del popolo, come premesseindispensabili di ogni progressomateriale. Nel 1863 “Il Tribuno delpopolo” di Firenze così scriveva dise stesso:

forza di non essere intransigente.Ma un tale atteggiamento era com-preso e seguito appieno solo daipiù fedeli discepoli, mentre nei piùprovocava confusione e scoramen-to, e contribuiva a spingere a unriesame critico proprio di quelblocco di convinzioni politico-eti-co-religiose cui Mazzini aveva af-fidato il compito di rinnovare, fi-nalmente, vita e coscienza degli i-taliani, ma che si era dimostratoincapace di contendere il paese al-la ristretta oligarchia moderata.

Il sentimento di essere stati de-fraudati di qualche cosa era il pri-mo ad affacciarsi in quella che og-gi si chiamerebbe la “base” repub-blicana. E non si trattava solo del-lo scontento generico del reduce.Scriveva, ad esempio, ErnestoPozzi in un suo libretto di ricordidi carcere patito dopo l’Unità, Unaestate a Sant’Andrea (il carcere diGenova):

La valorosa gioventù aveva ac-quistato fama e ferite in centobrillanti battaglie, cedendone po-scia generosamente il bottino al-la monarchia, che a prezzo delnostro sangue si accomodò nelfastoso nido d’un nuovo regnod’Italia.Dopo il tradimento di Mentana,cadde la benda che ne accecava,e tutti i giovani si ribellarono achi aveva sempre goduto i fruttidelle nostre vittorie e codardo ciabbandonava in mezzo ai più or-ribili massacri.Di qui l’Alleanza repubblicanache si propagò per tutto il paese,e le schiette dichiarazioni repub-blicane della Società dei reducidelle patrie battaglie.Tutta la gioventù si restrinse inconcorde falange e levò tremen-do il giuro di combattere d’orain poi per la sola libertà.

La riaffermazione di un’esigenzadi libertà, da non considerarsi e-saurita con la nascita dello Stato u-nitario, appare dunque un temache emerge chiaramente nei “delu-si”, e che troverà sviluppo a varilivelli culturali, in maniera spessoconfusa e contraddittoria, avendopiù di uno sbocco politico. Dopoaver oscillato fra la religiosa auste-rità mazziniana e il possibilismogaribaldino, molti finiranno con

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TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA | GARIBALDI E MAZZINI A CONFRONTO

se parole, l’ideale che quegli ave-va invano perseguito:

E allorché lo straniero, nel vederla famiglia operaia prospera econtenta nel suo lavoro per laPatria e per sé, chiederà chi siaquella gente così attiva e soddi-sfatta, gli si risponderà: “è lagente del lavoro, figlia, discepo-la, erede di Giuseppe Mazzini”.E la nazione italiana operaia an-ch’essa attiva e devota tra i po-poli suoi uguali, nel lavoro uma-nitario, dirà: “io sono l’Italia,quale mi desiderava Mazzini, e-rede antica dei tesori di scienza edi virtù da lui lasciati”.

Parole come queste dovevano or-mai dar l’impressione a molti, especie ai più giovani, di una nobi-lissima angustia. L’originario saint-simonismo di Mazzini, portato cosìavanti nel secolo grazie alla coe-renza e alla tenacia del genovese,appariva avvolto in un alone di ar-caicità. Il romanticismo spirituali-sta andava infatti dissolvendosi e,proprio in alcune delle forme dicultura più legate agli ambienti po-polari, almeno a quelli cittadini ecentro-settentrionali, si diffondeva-no nuovi verbi razionalisti, mate-rialisti, banditori del libero pensie-ro e ostili a ogni forma di religionee di misticismo. Il garibaldinismo,nella sua ala non definitivamentecostituzionalizzatasi, contribuì o-biettivamente alla apertura versotali novità, che non tutte poi sboc-carono nell’anarchismo e nel socia-lismo, molte prendendo invece lastrada del radicalismo di tipo mas-sonico. Massone era Garibaldi emassoni furono molti dei democra-tici, anche mazziniani, di quel pe-riodo: e occorre ricordare come l’i-deologia e la simbologia massoni-che si offrissero ad adesioni di uo-mini dalle fedi assai disparate. [...]

Da Claudio Pavone, Aspetti della crisi dellademocrazia risorgimentale. Mazziniani, ga-ribaldini, internazionalisti nei primi anni do-po l’Unità, “Il Cristallo”, Bolzano - giugno1964, anno 6 - n. 1).

Claudio Pavone è presidente della So-cietà italiana per lo studio della Storiacontemporanea

meglio assai di Mazzini, aderire al-la eterogenea e dissociata realtà ita-liana. Culturalmente, ciò significa-va dar via libera a quell’eclettismosensibile a influssi di varia prove-nienza che tanto indispettiva Maz-zini e i mazziniani rigorosi, i qualisi sentivano depositari di una inte-grale e organica visione del mondo.

Sul piano della polemica circa letransazioni con la monarchia è ca-ratteristica la risposta che nel 1871diede a Garibaldi uno dei mazzi-niani più fedeli, Maurizio Quadrio.Garibaldi, in una lettera a Giusep-pe Petroni, pubblicata il 31 ottobresul “Dovere” aveva dichiarato:

I nostri militi, che non sono unasetta, pugnarono accanto all’e-sercito della monarchia, è vero,ma italiana e contro lo straniero,dovunque, sempre, e pugnerannoancora ove sia d’uopo.

Rispondeva Quadrio che quelterreno era pericoloso pei principi;e vi contrapponeva la ricerca diuna definizione del dispotismo chepermettesse di travolgere in un’u-nica condanna tiranni italiani estranieri, ponendo implicitamente“straniero” uguale a “nemico dellalibertà”. Si chiedeva Quadrio:

Perché abbiamo combattuto tuttiil dominatore straniero? Perchéha necessariamente tradizioni,tendenze e interessi contrari aquelli della nostra Patria. Il de-spotismo non ha forse tendenze einteressi diversi da quelli delpaese, sul quale pretende domi-nare? Anche il despotismo è dun-que straniero...

In morte del maestro, Quadrioproietterà nel futuro, con commos-

alla testa del popolo dinuovo in marcia.

Gridiamo unanimi per tutta l’Ita-lia che vogliamo la Repubblica egridiamo pure morte e distruzio-ne a tutte le tirannidi, Re, Papari,Imperatori e Consorti. Alarmi, a-larmi cittadini svegliamoci dalsonno... E viva la Repubblica!Viva Mazzini! Viva Garibaldi!Viva i Fratelli di Calabria!

Così, ad esempio, finiva un mani-festo diffuso a Salerno nel maggiodel 1870 in appoggio ai già ricorda-ti insorti calabresi e redatto da Gio-vanni Passanante, quello stesso chenel 1878 avrebbe attentato alla vitadi Umberto I che andava in carroz-za per le vie di Napoli.

Interessa soprattutto ricordareche al maggior possibilismo politi-co di Garibaldi e alla maggiore di-sponibilità dei garibaldini anche perle imprese condotte sotto il segnodella monarchia e dello Stato, corri-spose dopo l’unità la mancata in-transigenza di principi contro l’in-ternazionalismo e la sua versione a-narchica che, auspice Bakunin, siveniva affermando in Italia: nuovifenomeni cui Mazzini, che pure erastato nel 1864 fra i fondatori del-l’Internazionale, dichiarò dopo il1866 aperta guerra politica e ideo-logica. Il nome di Garibaldi, inve-ce, comparve sempre più frequentein manifestazioni di ispirazione in-ternazionalista, avallando le con-versioni al nuovo credo di molti de-mocratici italiani.

Questo carattere composito delgaribaldinismo era come il sotto-prodotto dell’intuito popolare del-l’eroe dei due mondi, che sapeva,

GARIBALDI E MAZZINI A CONFRONTO| TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

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GeRoLamo Induno, PIttoRe e combattente

RePoRteR deLLe battaGLIe GaRIbaLdIne

Molti dei più celebri ritratti di Garibaldi e dei quadri raffiguranti gli eventi salienti delle sue battaglie, delle vittorie e delle sconfittesono stati realizzati da Gerolamo Induno. Pittore lombardo, fratello del più famoso Domenico, Gerolamo è stato il pittore ufficiale al seguito di Garibaldi. Ma, oltreché un ar-tista, era egli stesso un vero combattente. Prima di seguire Garibaldi nella campagna del 1859 e nella spedizione dei Mille aveva com-battuto nei moti insurrezionali del 1848 e per la difesa della Repubblica Romana nel '49. Il pittore-soldato garibaldino, come un moderno cronista di guerra, nel suo ruolo di osservatore-partecipante dette l’opportunità aisuoi contemporanei di vivere con forte partecipazione i grandi eventi storici anche nei loro risvolti quotidiani. Le sue pitture hannocontribuito a fare di Garibaldi l’eroe che conosciamo anche noi posteri.

Gerolamo Induno (Milano 1827-1890) fu protagonista del passaggio dalla pittura del Romanticismo storico e dei Macchiaioli to-scani, ad uno stile più realistico. Si tratta di opere che hanno per tema frammenti della vita quotidiana, e che spesso hanno perprotagonisti uomini, donne e bambini comuni, il più delle volte umili. Pur prediligendo il soggetto storico d’attualità non rinunciòalla rappresentazione del “privato” degli eventi storici, né disdegnò ritratti e paesaggi.

Loredana Fasciolo

Garibaldi ad Aspromonte, G. Induno(1862)

A VArese, G. Induno (1859)

GARIBALDI TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

di Sergio La Salvia

Il primo a rendersi contodella particolare dimensio-ne della propria popolaritàfu lo stesso Garibaldi chenelle varie versioni delle

sue Memorie mai abbandonò certetonalità volte a tratteggiare un per-sonaggio che, scrisse D. MackSmith in una biografia tanto fortu-nata quanto disinvolta, “la gentecomune... sentiva come uno deipropri perché incarnazione del-l’uomo comune”1.

Gli ambienti più semplici fannosempre da corona alle sue vicende:il suo battesimo alla fede della pa-tria avviene tra esuli, marinai e po-polani in una taverna di porto; icontrasti politici con amici a av-versari sono spesso collocati inuna zona di confine tra luce e om-bra in cui la fantasia può interveni-re, quando non vengono trascuratio manipolati; e ancora, su tuttotende a prevalere la figura del sol-dato, pronto al sacrificio, ma fortu-nato e imbattibile. L’esperienza ro-mana poteva mettere in discussio-ne questa immagine, ma la collo-cazione di Garibaldi su posizionisempre più filo-piemontesi e dal-l’altro la necessità di non macchia-re le glorie democratiche attenua-rono le accuse da destra e da sini-stra. Esser sfuggito alla cattura au-striaca resta pur sempre prova d’a-bilità e titolo di gloria e dunquenelle testimonianze come quelladello Hoffstetter, nella memoriali-stica e nelle ricostruzioni preval-

gono i riferimenti alla fuga da Ro-ma o ai fatti guerreschi, secondouna linea interpretativa che si ri-flette anche sulla storiografia au-stera, come quella del Loevinson,editore di una massa minuta dimateriali sulla Legione Romanamai ispirata dall’alito della storia,o come quella del Trevelyan, chesulla difesa della città scrisse laprima parte di un’epopea piena disimpatia nei confronti dell’eroe,ma non sempre in grado di volgerelo sguardo oltre il suo bel perso-naggio. Perciò la polemica antiga-ribaldina di Pisacane non trovaamplificazioni, finché lo svolgi-mento del dibattito interno con-durrà la riflessione verso altre pro-blematiche. Insomma nella fase

Imperialisti, internazionalisti, nazionalisti, socialisti,massoni, interventisti e neutralisti trovavano ognu-no proprie ragioni per affermare l’ascendenza gari-baldina. manca ancora un ritratto completo dell’eroe

cruciale del 1848-49 Garibaldi,che fin dal 1846 intrattiene rela-zioni con le autorità piemontesi lacui natura non è ancora del tuttochiarita, consolida la sua immagi-ne politica e militare di uomo oltrei partiti, sebbene sia improprioparlare perciò di un suo isolamen-to. Anzi quel ruolo che tanti e daopposte sponde gli attribuiscono loimpone nella vita pubblica ed eglidiventa di fatto elemento di riferi-mento e di raccordo tra i democra-tici di diversa gradazione, da Me-dici a Bertani, e le forze moderate.

La solidarietà dei gruppi dirigen-ti, della “classe politica”, intornoad alcuni obiettivi generali eracondizione necessaria, anche senon sufficiente, per l’evoluzione in

LE RADIcI DELLA LEGGENDA

BIOGRAFIE E STUDI CRITICI

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fronti contrapposti. Trapassano nelmito crispino della monarchia de-mocratica nata dal patto tra il re eGaribaldi e ratificata nei plebisciti.Riproposto nelle più importantibiografie garibaldine scritte inquegli anni, quella di G. Guerzonie della J. White Mario, entrambiprotagonisti del dibattito democra-tico nei precedenti decenni, quelmito fu rilanciato con ben diversesuggestioni e sul piano generaledell’interpretazione del Risorgi-mento da un intellettuale comel’Oriani che fornì ad una genera-zione inquieta gli elementi per rin-tracciare nel moto nazionale il mo-mento ideale della lotta della no-stra civiltà contro la barbarie.

I primi studi critici

L’altra strada fu quella indicatada Nello Rosselli circa settanta annifa in uno studio pionieristico checollocava il rapporto tra Garibaldi eMazzini nella prospettiva della crisidi egemonia del genovese sul mo-vimento operaio, passato sotto l’in-fluenza del socialismo libertario eanarchico di Bakunin. È il tema delGaribaldi socialista che le genera-zioni post risorgimentali avrebberocontrapposto a quello dell’incipien-te movimento nazionalista. L’ere-dità garibaldina accumulata in unadimensione super partes poteva orafruttare soltanto entro specifica tra-dizione di partito.

Non era la prima volta che quel-l’eredità veniva respinta in quantouniversale: era avvenuto col vio-lento antigaribaldinismo della “Ci-viltà Cattolica” o degli epigoni delborbonismo, come il De Sivo. Maadesso erano forze sociali e politi-che interne al processo risorgimen-tale a lacerare in modo definitivoquel quadro di concordia e Gari-baldi diventava il portatore diun’eredità contestata. Carducciche in Dopo Aspromonte aveva in-neggiato “ad armarsi / pur d’odioil canto mio” e al “magnanimo ri-belle” ferito e imprigionato, tra-scorso dal giacobinismo giovaniletra le braccia confortanti della mo-narchia democratica, fece l’estre-mo tentativo di ricostruire un

gi, fate e madonne, santi e brigan-ti, il busto di Garibaldi. Ma nellacorrente di simpatia popolare chenon conosce attenuazioni è il ruolopolitico del nostro personaggio asubire un brusco appannamento. Ilcompimento dell’unità cambia leregole del gioco: Aspomonte eMentana mostrano che la sua lineanon è più in grado di offrire positi-vi riferimenti alla sinistra demo-cratica, all’interno della quale siavvia un processo dissolvente chenella svolta dei primi anni Sessan-ta del secolo sfocia in un’apra po-lemica tra mazziniani e garibaldi-ni. Questo conflitto è solo un capi-tolo di quella storia per cui nacquein Italia il partito della sinistra, inparte coinvolto in un processo diprogressiva omologazione al per-

sonale moderato, in parte rimastosu posizioni anti istituzionali e, neisettori radicali, minoritarie. Glistudi di A. Scirocco, A. GalanteGarrone, di G. Spadolini molto cihanno già raccontato su questasconfitta della democrazia risorgi-mentale, ma molto resta ancora dachiarire specie sulle vie attraversole quali il garibaldinismo instillònella tradizione italiana germi disovversivismo, maturati poi su

senso nazionale del ca-so italiano. Fu questo

nel 1860 il vero “segreto” del suc-cesso; su ciò Cavour fondò lasvolta che lo portò, prima ancoradi accettare o subire l’iniziativamilitare di Garibaldi al Sud, ad ac-cogliere la prospettiva dell’unifi-cazione2. Il riconoscimento che “...[Garibaldi] a prouvé à l’Europeque les Italiens savaint se battre etmourir sur les champes de bat-taille pour reconquérir une pa-trie”3, si legge in un dispaccio alNigra dell’agosto 1860, non è soloargomento a fini diplomatici. Per-ciò l’impresa di quell’anno fu l’a-poteosi del mito garibaldino.

Allora le biografie del nizzardodivennero un genere letterario disicuro successo editoriale, fossero

scritte con intenti di ricostruzionestorica o di divulgazione popolare,per fini edificanti o per l’educazio-ne dei giovani. A renderne consue-ta la presenza qual nume tutelaredella patria i giornali riportano inspeciali ribriche le Notizie di Ca-prera, e dove non arriva la cartastampata si ricorre a ritratti, illu-strazioni e vignette. Perfino i “pu-pazzari” che fanno statuine di ges-so inseriscono tra i loro personag-

BIOGRAFIE E STUDI CRITICI| TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

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della sinistra garibaldi-na; Italo Balbo avevamilitato tra i volontari dell’ultimagenerazione di camicie rosse; sonoparimenti documentati i rapporti diMussolini con alcuni membri dellafamiglia Garibaldi, Ricciotti juniore Decio Canzio, discendente di Te-resa Garibaldi, il quale figura tra ifascisti della prima ora. Nel 1923Ricciotti junior presenzia al granraduno delle camicie nere a Mon-terotondo, luogo di memorie gari-baldine, dove un anno prima essesi erano raccolte in vista dellamarcia su Roma e fissa un legameideale di continuità tra quella vit-toriosa “quarta marcia” e i precor-rimenti di Aspromonte, Mentana edi Fiume mentre Mussolini affer-ma la “continuità storica e ideale”

tra camicia rossa e camicia nera.Da allora il processo di commi-

stione tra le due tradizioni progre-disce e mentre Ezio Garibaldi, unodei figli di Ricciotti, lo sanzioneràin una raccolta di scritti significati-vamente intitolata Fascismo gari-baldino, culminerà nella edifica-zione del sacrario del Gianicolonel 1932, solenne monumento concui il fascismo celebrerà il cin-quantenario della morte dell’eroe.

chiama ora alla lotta dallo scogliodi Quarto nei giorni cruciali del“maggio radioso” del 1915. La sto-riografia colta, che pure in questianni segnati dal centenario dellanascita di Garibaldi e dal cinquan-tenario degli eventi del 1859-61 co-nosce un certo rinnovamento, nonintacca minimamente questo climadi passioni e in qualche modo, co-me nella monumentale e farragi-nosa ricostruzione di A. Bizzoni,Garibaldi nella sua epopea (voll.3, Milano, 1905-1907), ne subiscei condizionamenti.

La stagione fascista

Non fu difficile al fascismo, co-me luogo di sintesi di istanze na-

zionalistiche, interventiste e sov-versive che si riallacciavano aduna certa lettura del Risorgimento,stabilire un rapporto di continuitàcon il garibaldinismo, peraltroconfermato da altri e più diretti se-gni. Già si è accennato al fascicolosul “duce dei Mille” precocementescritto dal futuro “duce del fasci-smo” che non per caso riprenderàil titolo del suo giornale, Il popolod’Italia, da una testata gloriosa

pantheon comune per le divinitàdella religione patria, prima fratutti Garibaldi. Tentativo fallito trale contestazioni degli studenti del-l’Ateneo bolognese che nei primianni del nuovo secolo non sonopiù disposti a riconoscersi nel pa-cificato classicismo patriottico car-ducciano. Si può ripetere il severogiudizio crociano contro una gio-ventù ammaliata dalla “nuova re-torica... dell’ineffabile”, ma inevi-tabilmente la crescita della societàdi massa trascinava via i vecchi i-doli. La vitalità del personaggiostava nel fatto di rinascere sottonuovi vessilli: imperialisti, inter-nazionalisti, nazionalisti, socialisti,massoni, interventisti e neutralistitrovavano ognuno le proprie ragio-ni per affermare l’ascendenza gari-baldina.

Questa diaspora non originò, népoteva, una vera riflessione sullafigura di Garibaldi; la rivendica-zione di primogenitura garibaldinapassa soprattutto attraverso la po-lemica pubblicistica, i giornali, euna colluvie di opuscoli, pubblica-zioni occasionali e celebrative cheraggiungono un numero veramenteimponente in occasione del primocentenario della nascita dell’eroe.Persino Mussolini si cimenta inun’impresa simile, quando giova-ne socialista romagnolo si appas-siona soprattutto al rivoluzionari-smo sovversivo presente in quellaeredità. Intanto gli eredi veri diGaribaldi , sotto la direzione diMenotti e Ricciotti e poi dei figlidi quest’ultimo rinnovano la tradi-zione del volontariato garibaldinoe guidano ancora la camicia rossasui campi di battaglia del mondo,dalla Grecia4 al Messico, di nuovodall’America Latina al Transvaal.Infine in modo clamoroso e perprimi, nel 1914, rompono la con-segna dell’Italia neutralista e scen-dono in campo al fianco dellaFrancia rivendicando il legame disolidarietà con le battaglie del18705.

Ma i giovani italiani sono trasci-nati da un’altra voce, quella di Ga-briele D’Annunzio, che dopo averliammaliati con versi esaltanti “... lamistica del garibaldinismo comegiovinezza eterna della patria...”6, li

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TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA | BIOGRAFIE E STUDI CRITICI

Senonché insieme aquesta apoteosi già si

manifestano i segni di una rivendi-cazione democratica di Garibaldi.Perfino il volume celebrativo pro-mosso dai sostenitori del “fasci-smo garibaldino” e intitolato Giu-seppe Garibaldi nel cinquantena-rio della morte (1882 - 1932), mo-strava scarsa simpatia verso opera-zioni apologetiche e si sforzava dipresentare in diversi interventi uncontributo più meditato.

Le rivendicazioni della sinistra

Di alcuni anni prima il volumecitato del Rosselli e nel 1930 ap-pariva in Francia il rapido saggiodi Pietro Nenni, G. Garibaldi. Leliberateur en chemise rouge, oveil rosso era qui già assunto comeil segno di una continuità politi-ca; infine proprio in quegli anni“Lo Stato Operaio”, rivista delPCI clandestino cominciava a mo-strare una maggiore attenzione aitemi della tradizione democraticae rivoluzionaria risorgimentalenella quale entrava di diritto la fi-gura e l’opera di Garibaldi. Erauna corposa rivendicazione che sidifferenziava nettamente da quel-la avanzata non sempre con ade-guata coscienza negli ultimi annidel secolo precedente.

Allora questa paternità avevapoggiato sull’insofferenza cre-scente mostrata verso l’evoluzio-ne del contesto politico o nazio-nale o sui suoi legami con i grup-pi social anarchisti di influenzabakuniniana; qualche volta, peresempio nel poema incompiuto diGiovanni Pascoli, sull’umanitari-smo di ascendenza sansimonianaove i temi panteistici e il vagheg-giamento di un regno della giusti-zia e dell’abbondanza si intrec-ciano. Ora, più saldamente, il so-cialismo garibaldino si connettealla rivolta sociale sorta col mo-vimento operaio, da Mazzini in-canalata verso le prospettive del-la liberazione nazionale, vivifica-ta da Garibaldi, condottiero deiMille e delle schiere del quartostato rivendicanti una nuova Ita-

diviso moderati e democratici nel-la fase cruciale del 1860. Toccòdunque a ricerche sul movimentodemocratico risorgimentale, quelledel Della Peruta, del Berti e delloScirocco, o sullo sviluppo del mo-vimento operaio italiano, comequella del Romano, a portare mag-gior attenzione sul ruolo e sulla fi-gura storica di Garibaldi. La bi-bliografia sul quale resta stermina-ta, ma spesso episodica, volta adelucidare i particolari della vita edelle virtù del personaggio, ondemalgrado tal abbondanza non sidispone ancora di un ritratto di luiattendibile e completo. D’altraparte più grandi sono i personaggi,più grande è il tributo che paganoalle umane passioni. Contro lequali egli dettò precocemente lasua autodifesa: “È sempre la storiadi Socrate, di Cristo, di Colombo!Ed il mondo rimane sempre predadelle miserabili nullità, che lo san-no ingannare”8.

NOTE

1. D. Mack Smith, Giuseppe Garibal-di. Una vita in breve, Milano, 1959.

2. Sul ruolo di Cavour rispetto all’ini-ziativa dei Mille cfr. R. Romeo, Cavour,Bari, 1984.

3. Il carteggio Cavour-Nigra, Zani-chelli, Bologna 1961, Vol. IV. Dispacciodel 9 agosto 1860.

4. R. Garibaldi, La camicia rossa nel-la guerra greco turca, Roma, 1899.

5. R. Garibaldi jr., I fratelli Garibaldidalle Ardenne all’intervento, Milano,1933

6. M. Isnenghi, Usi politici di Gari-baldi dall’interventismo al fascismo, inGaribaldi condottiero, Milano, 1984.

7. E. Passerin d’Entrèves. L’ultimabattaglia politica di Cavour, Torino,1958.

8. Le memorie di Garibaldi nella re-dazione definitiva del 1872, a cura dellaReale Commissione, Cappelli, Bologna,1932.

Il brano, di Sergio La Salvia, è tratto daGaribaldi, Giunti Lisciani Editori, Firenze1995.

Sergio La Salvia è docente di Storia delRisorgimento presso l’Università di Ro-ma Tre, e Segretario Generale dell’Istitu-to Italiano per la Storia del Risorgimento.

lia, infine raccolta intorno al ves-sillo del socialismo.

Ma l’eroe sarebbe anche torna-to nelle vesti di un capo popolareper portare le sue schiere alla vit-toria prima nella Resistenza, suimonti ove combattono le BrigateGaribaldi, e poi nel simbolo delFronte Popolare. Si potrebbe direoggi che una tal presenza sta giàa garanzia che non saranno var-cati i limiti della nuova solida-rietà entro cui si è ricostituita lacomunità nazionale. Renato Zan-gheri raccogliendo alcuni scrittidi Garibaldi ne traccerà un profi-lo sommario che già sembra con-sapevole di una tale valenza sim-bolica: egli è uomo di pace co-stretto alla guerra, combattenteper la causa nazionale e interna-zionalista ardente, rivoluzionariointransigente eppur responsabileverso il Paese. L’eredità garibal-dina entrava in un ennesimo gio-co di risonanze. Fu l’ultima pos-sibilità di “uso politico” di Gari-baldi ancora efficace, tanto chegli avversari del Fronte Popolarerisposero sul piano propagandi-stico e chiesero soccorso ad undiscendente dell’eroe, Giuseppeanche questo, per il quale si in-ventò un giornale, il “Roma Not-te”, che negli ultimi venti giornidi campagna elettorale chiarì conchi fossero i veri Garibaldi.

Gli studi del dopoguerra

All’indomani della guerra la ri-flessione storiografica sul Risorgi-mento si concentrò sul suo caratte-re di “rivoluzione mancata”. Non èpossibile svolgere in questa sede imotivi e le fasi del dibattito, ma aquesto clima appartiene un’operadel Mack Smith apparsa in Inghil-terra nel 1954 e tradotta in Italianel 1958 con titolo Garibaldi eCavour che suscitò in Italia varieperplessità e spinse un fine storico,il Passerin D’Entreves, a una con-futazione tanto appassionata quan-to eccessiva7, cadendo nella trap-pola inconsapevolmente tesa dallostorico inglese che in verità ripro-poneva il tema propagandistico, esolo propagandistico, che aveva

BIOGRAFIE E STUDI CRITICI| TRA STORIA E INTERPRETAZIONE POLITICA

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GARIBALDI TRA STORIA E LEGGENDA

di Alberto M. Ghisalberti

Quando nell’estatedel 1824 Gari-baldi vide per laprima volta Ro-ma, condottovi

dal padre dopo un breve viag-gio lungo le coste italiane, avevaappena diciassette anni. La severapietà di Leone XII vigilava sui sen-timenti morali e sugli atteggiamentipolitici dei sudditi, senza poter im-pedire che dalle Romagne giunges-se l’eco di congiure e di torbidi. Al-l’animo del giovane marinaio piùche le cose presenti parlavano un al-to linguaggio e suggerivano un forteammonimento le austere vestigiadel passato, le testimonianze delladuplice grandezza, il Campidoglio,il Colosseo, San Pietro.

a Roma per la prima volta

Ma se è certo errore prestare al fi-glio di papà Domenico i sentimentidel futuro difensore di Roma e delvinto di Mentana, non si può del tut-to negare che la vista di Roma, al-l’indomani dei moti del ’20 e del’21, gli suscitasse qualche, sia purconfuso, pensiero politico. Solo piùtardi scriverà: “Roma è per me l’Ita-lia, poiché io non vedo Italia altri-menti che nell’unione delle spartemembra, e Roma è il simbolo dellaunione d’Italia, comunque sia”; enel suo “giovanile intendimento”non scorgeva certo chiaramente

quella “Roma dell’idea rigeneratri-ce d’un gran popolo, idea domina-trice di quanto potevano ispirarmi ilpresente ed il passato, siccome del-l’intera mia vita”, ma Roma aveadetto fin d’allora al suo cuore paroleincancellabili. Risalendo a RipaGrande sulla tartana paterna, Gari-baldi portava con sé un ricordo chenessuna vicenda posteriore farà im-pallidire. “Naufrago, moribondo,relegato nel fondo delle foreste a-mericane”, sorriderà alla visioneconsolatrice di Roma e ne trarràmotivo di speranza.1

Ventiquattr’anni passarono – equali anni per Garibaldi e per l’Ita-lia – prima ch’egli potesse risaluta-re dall’alto del Campidoglio legrandi rovine. Quando l’illusionedell’idillio italico-papale darà perun momento realtà al sogno neo-guelfo e la minaccia austriaca del-l’occupazione di Ferrara farà volge-re su Roma gli occhi degli Italiani,Garibaldi offrirà dalla lontana A-merica la sua spada al Pontefice,ma Roma non lo vedrà. Solo dopol’assassinio del Rossi (“satellite

Roma vista da Garibaldi come simbolo dell’unioned’Italia: “no, un popolo che vive fra queste meravi-glie, non può scordarsi di esser libero e grande”.condottiero e repubblicano

della tirannide” agli occhi dell’E-roe, che più tardi per quel misfattotorbido e truce saluterà “la vecchiametropoli del mondo degna dellagloria antica”) e dopo la fuga delPontefice, la mattina del 12 dicem-bre 1848, egli ripose piede in Romain compagnia di Angelo Masina,sacro all’eroismo sanguinoso dellascalea scarlatta. E ancora una vol-ta, come nella prima sua venuta,sbrigate alcune visite ufficiali, cor-se al Campidoglio e al Colosseo, ela commozione e i sentimenti di al-lora, ma chiari adesso e coscienti ecerti, gli dettarono il grido dellasperanza: “No, un popolo che vivefra queste meraviglie, non puòscordarsi di esser libero e grande”.2

Le turbinose passioni di queigiorni e gli eccessi dei democraticipiù accesi, che volevano condurlotrionfalmente al Campidoglio, spa-ventarono il governo (nel quale so-lo il Galletti gli si era dimostratoveramente favorevole), che respiròquando Garibaldi, chiesti invanoaiuti per i suoi uomini che stentava-no sull’Appennino, lasciò la città il21 dicembre.

Un fatto d’armi io vorreiNon paternostri o giubilei

Aveva chiesto Ciceruacchio algenerale, del quale qualcuno avevacominciato a parlare come di unpossibile comandate di tutte le trup-pe romane per la guerra unitaria.Ma la fama non buona di cui gode-

DOvUNqUE SAREmOcOLà SARà ROmA

LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA

Noi combattiamo sul Gianicolo equesto popolo è degno della pas-sata grandezza... Un’ora della nostra vita a Romavale un secolo di vita. Felice miamadre di avermi partorito inun’epoca così bella per l’Italia.

(Garibaldi, lettera ad Anita, 21 giugno 1849)

VS La rivista | n.8-9, 2007 31

32 VS La rivista

TRA STORIA E LEGGENDA| LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA

si presenti al pensiero di tutti qual-che cosa di più importante. Io dicoe propongo che non si sospendal’assemblea, non escano i rappre-sentanti da questo recinto senzache l’aspettazione del popolo nonsia soddisfatta. Esso intende di sa-pere definitivamente qual è la for-ma e il regime cui debba mirare lostato di qui innanzi. Qui sono tuttii rappresentanti della nazione; perconseguenza formule, cerimoniepiù o meno credo siano lo stesso:ma lo stabilire quale dovrà essereil governo credo sia desiderio nonsoltanto della popolazione romana,ma dell’Italia tutta. In questa guisaessendo le cose, io proponeva dinon uscire da questo recinto senzache l’aspettazione del popolo siasoddisfatta. Ho detto e ripeto, for-ma più o meno, cerimonie più omeno, questo poco fa ai destinidella nazione italiana”.4

A questo linguaggio schietto erude, linguaggio di soldato avvez-zo a parlare a soldati e uso a espri-mere i propri sentimenti senza av-volgerli nel comodo paludamentodelle perifrasi sapienti e delle for-mulette parlamentari, replicò inter-rompendo il presidente dell’As-semblea. Ma Garibaldi incalzò tragli applausi della maggioranza, ap-pena contrastati da qualche segnodi disapprovazione: “La Costituen-te potrà organizzare le secondariemisure. Oggi la questione vitale èquestione di principio e qui mi pa-re che ritardare un minuto sia undelitto, perché oggi la terza partedella nazione italiana è schiava. E-salano dei sospiri, dei lamenti damilioni di fratelli italiani. E noistiamo qui a discutere di forme?Fermamente io credo che dopo a-ver cessato l’altro sistema di go-verno, quello più conveniente oggia Roma sia la Repubblica. I di-scendenti degli antichi Romani, iRomani di oggi forse non sono ca-paci di essere repubblicani? Do-poché in questo recinto ha risuona-to presso qualcuno acre la parolaRepub blica, io ripeto: Viva la Re-pubblica!”.

Alla sincerità appassionata diGaribaldi recò aiuto il Bonaparte,osteggiato dall’ambiguo Sterbini,fattosi tenero di modelli costitu-

va la sua Legione, ela differenza che ne-

gli ambienti ufficiali si nutriva an-cora per Garibaldi, fecero svanirel’idea di prendere l’uno e l’altra aservizio dello Stato e determinaro-no il pauroso ministero a far partireper forza Garibaldi e Masina.

Ma ora gli eventi precipitavano.Appena un mese dopo la cacciatadi Garibaldi da Roma, il ministroCampello deliberava di assoldarlocome tenente colonnello, e pocopiù tardi gli affidava la sorveglian-za del confine marchigiano verso ilRegno; e Macerata, sede tempora-nea della Legione, lo eleggeva il 21gennaio 1849 rappresentante delpopolo all’Assemblea Costituente.La votazione non fu brillantissima(egli riuscì appena 13º con 2.069 vo-ti nella lista che ebbe a capo Bene-detto Zampi con più di 3.900) e lalettera, se non lo spirito, del decretodi convocazione della nuova Assem-blea fu certo violata, perché Garibal-di non era nativo dello Stato roma-no, né vi risiedeva da un anno; ma lasua elezione dava un più alto carat-tere d’italianità alla Costituente.3

una questione vitale

Intanto egli organizzava ed i-struiva la sua gente, che avevacondotta a Rieti, ispezionava il

confine, proponeva di accorrere inaiuto del Piemonte (dopo Novarachiederà il comando della divisio-ne di Bologna e il compito di sol-levare il popolo dell’Italia Setten-trionale contro gli Austriaci), aiu-tava il Calindri a difendersi dalbrigantaggio politico nell’Ascola-no e faceva attiva propaganda re-pubblicana. Ché repubblicano eraper convincimento antico e per larecente diffidenza contro i sovraniin genere e Carlo Alberto in parti-colare, che il triste esito della cam-pagna del ’48 gli aveva posto nel-l’animo. E i suoi Legionari invo-cavano repubblica, senza curarsise il tentennante governo romanofosse favorevole all’ardimento diuna radicale mutazione di regime ese le popolazioni delle Marche edella Sabina fossero disposte amettersi sul capo il berretto frigio.

Quando il 5 febbraio Garibaldiintervenne alla seduta dell’Assem-blea Costituente, si palesò subitoinsofferente d’indugio e di cauteleformali. Si fosse o non inteso colBonaparte, convertito anche lui arepubblica, certo è che, terminatoil dotto e abile discorso dell’Ar-mellini, Garibaldi s’alzò a chiede-re che si definisse immediatamen-te la forma del nuovo governo, pri-ma ancora di procedere alla nomi-na delle varie cariche dell’Assem-blea. “Intorno alle forme credo che

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zionali, di forme e di cautele dopogli avvenimenti drammatici dellametà di novembre. Replicò allorail condottiero: “Io propongo, equando dico propongo intendo cheil voto sia generalmente libero. Imiei antecedenti non sono di vio-lentare; ciò sarebbe proprio del di-spotismo. Io adesso, se mi si per-mette, aggiungerò alcuna cosa. Iocredeva che il popolo romano nonavesse bisogno di seguire gli e-sempi dei popoli suoi discepoli,sia degl’Inglesi, per esempio, de’Francesi, ecc. Il popolo romano hadegli esempi e dei modelli nellasua storia; in conseguenza il popo-lo romano poteva passare sopra acerte forme, perché io credo unaquestione vitale quella della ele-zione del governo che si dovrà sta-bilire. Ecco ciò che mi era arbitra-to a proporre. Ma il voto è libero,e naturalmente io non ho avuto in-tenzione di violentare e di esigereil voto di nessuno”.

E allo Sterbini che insisteva in-dirizzò nuovamente parole focose.Non all’Assemblea s’era rivolto,ma al popolo, che - lasciava inten-dere - riteneva migliore dei suoirappresentanti. “Io volevo corri-spondere alla simpatia che dalletribune mi ha mostrato il popoloromano; volevo darvi a conoscerela raccomandazione emanata dallacoscienza mia. Il popolo lasci l’a-dulazione da parte; si rinunci alleforme; in conseguenza di qui in a-vanti si esiga che le parole sianolaconiche: Repubblica - Repubbli-ca! Dispotismo - Dispotismo! IRomani non abbisognano degli e-sempi di alcuno; hanno gli esempidei loro antenati”.

Per il momento sconfitto (la pro-testa del Tranquilli fu più efficacedell’intervento favorevole del Bo-naparte), Garibaldi, assegnato in-tanto alla 4ª sezione, vide trionfareil suo ideale nella notte dall’8 al 9,quando l’ordine del giorno Filo-panti riconsacrava il nome di Re-pubblica Romana. Trascinatosisofferente all’Assemblea, ove nondoveva tornare più fino alla dram-matica seduta del 30 giugno,s’alzò per invocare, ma invano, lasolidarietà nazionale in favore diVenezia e della Sicilia: “Relativa-

italiana che riconoscodi fatto, l’Assembleadichiari fin da questo momentoche la causa della Sicilia e la causadella Venezia rappresentano lacausa italiana. Sono questi i dueprincipi pei quali deve risplenderela grandezza romana”.

Ritorno alla Legione

Dieci giorni più tardi, guarito dal-la febbre che lo aveva tormentato,si sottrasse alle compromettentisimpatie di qualche gruppo che losognava già dittatore repubblicanoe tornò alla Legione, che nella suaassenza aveva dato nuovo motivodi scandalo ai rigidi tutori della di-sciplina militare e serie preoccupa-zioni alle popolazioni e alle autoritàcivili. Alle lagnanze del PresideFeoli facevano eco da Roma il Pi-sacane e il Calandrelli, turbati dalsingolare modo dei legionari di in-tendere la vita e il dovere militare.E anche quando, a mezzo aprile, laLegione lasciò Rieti per raggiunge-re la nuova posizione assegnatale adifesa della zona di Frosinone edella regione marittima contro i te-muti attacchi dello Zucchi e deiBorbonici, la diffidenza e le la-gnanze non cessarono contro queimiliti arditi e spregiudicati.

Tanto arditi e tanto spregiudicatiche durante la sosta ad Anagniqualcuno di loro avrebbe addiritturaaccarezzata l’idea di vendicarsi diAlessandro Calandrelli, per le suerecenti misure supposte ostili allaLegione. L’idea, se pur realmenteventilata, fu subito abbandonata e igrandi avvenimenti che si prepara-vano occuparono in ben diversamaniera quei focosi e insofferentisoldati. Ad ogni modo un curiosodocumento di quei giorni, una lette-rina finora inedita del commissariodi polizia di Tivoli a Livio Mariani,Preside di Roma e Comarca, ci at-testa che qual pensiero covò nell’a-nimo di qualche Legionario, o al-meno si ritenne che non fosse deltutto inverosimile.

A Livio Mariani la notizia nonapparve gran che credibile, tutta-via stimò opportuno avvisarne l’a-mico Calandrelli. In fondo, era

LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA | TRA STORIA E LEGGENDA

mente alla questione che si è fattafin’ora dico che la Repubblica Ro-mana e tutti i suoi atti debbono es-sere giganti. In conseguenza inluogo di discutere sopra le formedel risorgimento della nazionalità

Repubblica RomanaCommissariato Straordinariodi polizia N. 15

Tivoli, 24 aprile 1849

Onorevole Cittadino,Per più confidenze vengo assi-curato (quantunque lo ritengadi poco valore) che alcuni mi-liti della Colonna Garibaldi sisiano portati costà per atten-tare alla vita dell’ottimo citta-dino Calandrelli. Credo miopreciso dovere farvene parti-colarmente inteso, per ciòche crederete prudente di fa-re: e per maggiormente solle-citare la spedizione della pre-sente mi valgo di due individuidella Compagnia dei Caccia-tori qui stanziata.

Salute e fratellanzaIl Commissario: Vincenzo Cola

Li, 24 aprile 1849

Caro Calandrelli,

in questo momento (sono leore 6½) ricevo da Tivoli la quiacclusa lettera del Commissa-rio Cola. Leggetela. Voglio cre-dere che la cosa, che mi avvisaa vostro pregiudizio, possa es-sere una di quelle fanfaluche,che si ciarlano nel giorno. In o-gni modo però ho credutomio dovere di avvisarvi perchésiate in guardia. Esso Commis-sario mi ha spedito due Cac-ciatori di guarnigione in Tivoliper farmene inteso. Vi prego diritornarmi per il presente lato-re il dispaccio.Credetemi intanto di cuore

Aff.mo Am.oLivio Mariani5

Francesi, con i quali ormai era tre-gua, Garibaldi esultò al compitoaffidatogli di aggirare e molestarei Napoletani inoltratisi a poche mi-glia da Roma. Con quasi 2.300 uo-mini riuscì per la Flaminia la seradel 4 maggio, simulando una mar-cia versi i Francesi, girò attorno aRoma, puntò sui Tiburtini e all’in-domani mattina era a Ponte Luca-no sulla destra dei Borbonici. Ma-gnifica marcia notturna, che beneattestò della resistenza dei suoi edelle sue qualità di comandante. Il6 si portò sotto i monti Prenestini,il 7 occupò Palestrina minacciandoancor meglio il fianco del nuovoavversario. Il 9 maggio fu attacca-to dal corpo del Lanza di circa5.000 uomini. Ma nel breve e vi-vace scontro Garibaldi, che avevasagacemente distribuito i suoi, ri-buttò il Lanza, cui tolse tredici pri-gionieri, tre cannoni e alcuni fuci-li. Il pericolo di un attacco borbo-nico a Roma fu scongiurato e ilnome di Garibaldi cominciò da al-lora ad apparire pauroso ai soldatidel Regno delle due Sicilie.

Con una marcia abile e ardita,che gli permise di passare accantoai Napoletani senza essere scorto,il vincitore di Palestrina tornò aRoma la mattina dell’11. Ma fubreve al sosta, ché la sera del 16 e-gli, nominato tre giorni prima ge-nerale di divisione, usciva di nuo-vo dalla città, in sottordine al Ro-selli, per muovere contro il grossoborbonico. Breve campagna que-sta, nella quale non regnò l’armo-nia tra i due capi, così dissimili pertemperamento e per qualità milita-ri. Garibaldi, polledro indocile,spinto dal suo più che desiderio,bisogno d’azione, lasciò il coman-do della colonna centrale per but-tarsi all’avanguardia, contraria-mente agli ordini del troppo meto-dico Roselli. Ma così facendo riu-scì ad ottenere che si venisse acontatto coi Napoletani, già in viadi ritirarsi nel Regno. E il 19 mag-gio si ebbe quello scontro di Velle-tri che dopo un inizio incerto, purnon tramutandosi nella speratagrande vittoria, dette un fiero col-po al prestigio militare borbonicoe obbligò le truppe di FerdinandoII ad accelerare la propria ritirata.

bligò il nemico a ripiegare. Ed ilmerito della vittoria fu tutto di Ga-ribaldi, sapiente prima negli appre-stamenti difensivi (la notte del 29 isuoi avamposti erano stati spinti a5 miglia dalle mura ed erano riu-sciti a far prigioniero un France-se), ardito e impetuoso nell’azio-ne. E furono le furiose cariche allabaionetta della sua Legione, cheriscattò in quel giorno ogni suopeccato, e degli altri reparti affida-tigli, che decisero della giornata.6

Alla quale le illusioni del Mazzi-ni e, forse, le preoccupazioni del-l’Avezzana tolsero il logico coro-namento, invano invocato da Gari-baldi: l’inseguimento del nemico.Impresa ardita, certo, ma non in-sensata, se si pensi alla crisi mora-le dei capi e dei soldati francesidopo lo scacco inatteso, alla lorostanchezza, alla loro mancanza dicavalleria per coprirsi a tergo e suifianchi. Esaltate dalla recente vit-toria le milizie garibaldine avreb-bero rinnovato in campo aperto legesta del 30, o, in ogni modo, a-vrebbero inflitto più gravi perditeall’avversario. Ma il Triumviratonon volle e Garibaldi, già da queltempo in contrasto col Mazzini,con “quel Mazzini che ha sempreavuto la smania di fare il generalee non ne capiva...”, dovette appa-garsi di una modesta ricognizione,che terminò a Malagrotta davantial parlamentario dell’Oudinot.7

Ma intanto la sua fama era ras-sodata. Non più guerrigliero famo-so per temerari campeggiamentinella lontana America, ma uomodi guerra compiuto, condottieronato appariva ora ai suoi colleghi ealla popolazione romana, che loaccoglieva il 2 maggio con gioiatumultuosa. Ormai le “tigri d’A-merica” non facevano più paura ela pantera (così il Manara chiama-va allora Garibaldi, quando non lodefiniva diavolo, designandone ilsoldati come una massa di brigan-ti) dava affidamento di saper com-piere grandi cose.

contro i borbonici

Se aveva dovuto rinunciare al-l’azione in campo aperto contro i

meglio non crearsi l’oc-casione d’un rimorso...

Ma il precipitare degli avveni-menti (non v’era più dubbio sullosbarco francese), indusse il gover-no repubblicano a richiamare quel-lo stesso giorno a Roma Garibaldi,nominato il 23 generale di brigata,comandante i corpi dell’emigra-zione. E il 27 aprile alle sei pome-ridiane Garibaldi entrò per la quar-ta volta nella Città Eterna, ma loseguiva questa volta la sua Legio-ne. Il popolo acclamò quel condot-tiero e quei rudi soldati che accor-revano alla difesa della giovane re-pubblica e il Monitore, non piùdiffidente, attestò che Garibaldi ela sua schiera combatteranno perquel principio che non potrà cade-re se non con l’ultimo di quei pro-di: essi l’hanno giurato e a questogiuramento rispose quello di tuttele nostre milizie e del popolo mi-nacciato nel libero esercizio deisuoi sacri diritti”.

condottiero nato

Atto di grande avvedutezza fuda parte dell’Avezzana la chiamatadi Garibaldi a Roma. Mazzini eracerto l’anima del governo repub-blicano, ma non sarebbe riuscitoda solo a imprimere alla difesaquell’ardore e quello slancio che lemirabili spontanee doti militari delNizzardo vi impressero. Garibaldinon aveva letto Montecuccoli e Jo-mini, ma era dotato di un naturalesenso strategico, di un ascendentesingolarissimo sull’animo dei sol-dati, di un sicuro intuito del terre-no. E lo si vide fin dalla grandegiornata del 30 aprile.

Costretto alla difensiva dalle di-sposizioni del Triumvirato, mentreegli avrebbe preferito affrontare iFrancesi in campo aperto, compre-se che la chiave di volta di tutta ladifesa era il terreno fuori PortaSan Pancrazio e lo munì con partedei suoi fin dalla notte del 29. Poiall’indomani, quando i Francesibalenavano già davanti a Porta An-gelica e a Porta Cavalleggeri, lan-ciò sulla loro destra la sua gente,che dopo alterna vicenda (fu presae poi ripresa villa Pamphily) ob-

TRA STORIA E LEGGENDA| LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA

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condannare. In quellagiornata come fu giàda altri rilevato, tutti i combatten-ti sentirono che Garibaldi era ilvero duce, non il cauto Roselli. Ese la parte reazionaria osò ribat-tezzare per i cruenti sacrifici inSan Crepazio, Macello e San Pie-tro in Mortorio quelle glorioseare del patriottismo che furonoSan Pancrazio, il Vascello e SanPietro in Montorio, nessuno potràoggi negare che l’olocausto eroi-co della gioventù italiana, checonsacrava indissolubilmente Ro-ma all’Italia, fu possibile soloperché richiesto o imposto dal-l’uomo che era apparso d’ogni al-tro più grande e migliore.

I dissidî del giugno col Gover-no repubblicano, gravi special-mente verso la fine dell’assedio,tanto che Garibaldi il 27 abban-donò momentaneamente il suoposto, furono determinati dalladiversa concezione della guerra.La difesa in Roma poteva essereun ideale politico, non un sanoconcetto militare. E Garibaldi

della lettera del 21 giugno ad A-nita: “Noi combattiamo sul Gia-nicolo e questo popolo è degnodella passata grandezza... Un’oradella nostra vita a Roma vale unsecolo di vita. Felice mia madredi avermi partorito in un’epocacosì bella per l’Italia”.

Proposto invano di dare all’A-vezzana l’effettivo comando su-premo (l’Avezzana gli si era rive-lato troppo favorevole perché laproposta non apparisse inquietan-te, Garibaldi chiese per sé la dit-tatura. La situazione militare allavigilia dell’assalto francese esi-geva uominio esperti di guerra,non dottrinarî o idealisti. “O dit-tatore illimitatissimo, o militesemplice”, scrisse al Mazzini il 2giugno. Non fu ascoltato, ma levicende di quel giorno leggenda-rio, fanno pensare che l’ardita ri-chiesta di Garibaldi non fosse in-sensata e poco meno che scanda-losa come apparve allora e poi aiseguaci di Mazzini. Gli errori del3 giugno, i sanguinosi assalti sen-za speranza non bastano a farla

Purtroppo l’errore di Mazzini diaffidare il comando supremo alRoselli, errore spiegato dal suodissidio con Garibaldi e dalla suainesperienza guerresca, e la diffi-denza degli ufficiali regolari ver-so l’antico guerrillero impedironodi dare più dura lezione al re diNapoli.8

E nuove gelosie e nuove diffi-denze, nuovi errori e nuove incom-prensioni del Triumvirato e del-l’ambiente militare ostacolarono lainiziata invasione garibaldina delterritorio napoletano (ardita conce-zione più volte accarezzata dal ge-nerale in passato), che il 27 maggioterminò ad Arce per volontà delMazzini, preoccupato dell’avanza-ta austriaca nel settentrione.

un giorno leggendario

Poi fu l’epopea del 3 giugno edell’assedio. Fulgida pagina del-l’eroismo italiano, che dettò al-l’Eroe le parole indimenticabili

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LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA | TRA STORIA E LEGGENDA

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7. Giuseppe Galletti, quel giorno Ca-po di S. M. dell’esercito repubblicano,appoggiò le richieste di Garibaldi. Ved.Un effimero capo di Stato Maggiore. Daallora i rapporti tra Galletti e Garibaldifurono sempre cordiali. [...] Alla non co-piosa corrispondenza tra i due appartie-ne questo biglietto di Garibaldi, scrittosu carta intestata col motto: “Perseve-rando si vince”.

“Caprera, 19 luglio 1870Caro Generale,

ho ricevuto la gentile vostra del 12, quelladella Signora Obizi e la cassa colle 6 botti-gliette medicamenti.Vogliate, vi prego, dar un cenno di gratitudi-ne a detta signora e tenermi per la vita.

Generale G. Galletti: Bologna.Vostro: G. Garibaldi”

Per il dissenso tra Mazzini e Garibaldi aRoma si veda il quarto capitolo dell’ope-ra di G. Curàtolo, Il dissidio tra Mazzinie Garibaldi, Milano, Mondadori, 1928,pp. 93-106, nel quale è accettato il puntodi vista garibaldino sulla questione.8. Sull’episodio di Velletri lo studio mi-gliore è quello di H. Nelson Gay, Gari-baldi e Filippo Colonna alla battaglia diVelletri (19 maggio 1849), in Nuova An-tologia, a. LVIII (1923), fasc. 1223, pp.23-42, che riduce a giuste proporzionil’importanza di quel fatto d’armi. Inte-ressanti notizie dà nelle sue lettere ai fa-miliari Gaetano Bonnet, che prese parteall’azione. Ved. N. Bonnet, Lo sbarco diGaribaldi a Magnavacca, II edizione,Bologna, Stabil. tipografici riuniti,1932-X, pp. 117.125.

9. Alcune memorie dal 1846 in avan-ti, ms. in Biblioteca del Risorgimento diRoma, 20-15 G. Un tipico giudizio dàun’altra cronaca manoscritta: “Domeni-ca 1° luglio 1849. - I Francesi non aven-do più resistenza entrarono in città, sifermarono al di là del Ponte Quattro Ca-pi, occupando la linea di S. Pietro Mon-torio, ed i Fontanoni. Intanto il generalerivoluzionario Garibaldi montato a ca-vallo uscì da Roma, portando seco tuttala sua soldatesca, cosicché si principiòsubito a vedere Roma quasi per miraco-lo liberata da gente le cui operazioni era-no di assassinio”. Diario di Roma 1849,ivi, 20-20 G.

Alberto M. Ghisalberti, Garibaldi e la dife-sa di Roma, in Uomini e cose del Risorgi-mento, Cremonese, Roma 1936. Il saggioè, con aggiunte e correzioni, una riedizio-ne di quello pubblicato nel volume Gari-baldi nel cinquantenario della sua morte, E-dizioni di “Camicia Rossa”, Roma 1932.

Alberto M. Ghisalberti è stato professo-re di Storia del Risorgimento all’Univer-sità “La Sapienza” di Roma.

NOTE

1. A ricordo dello sbarco di Garibaldidiretto a Roma, il 21 luglio 1912 fu inau-gurata una lapide a Fiumicino. L’epigrafefu dettata dall’on. Ciraolo: “Domenico eGiuseppe Garibaldi - veleggianti sullaSanta Reparata - nel 1824 - qui giunsero- Il diciassettenne nato ai fati d’Italia - inpellegrinaggio d’amore a Roma volse -All’eterna protese indi sempre - anima ebraccia - Giuseppe Garibaldi - Roma omorte cercando da Calatafimi ad Aspro-monte a Mentana - nelle vittorie e nellesconfitte - Roma Roma Roma”. Ved. Perquesto primo viaggio a Roma Le memo-rie di Garibaldi nella redazione definitivadel 1872, a cura della Reale Commissio-ne della Edizione Nazionale degli scrittidi Giuseppe Garibaldi, Bologna, Cappelli[1932-XI], pp.23-24.

2. Ved. Le Memorie ecc., cit., pp. 266-267 per gli accenni all’uccisone del Ros-si. Una interessante rievocazione di queltragico episodio è nelle memorie di Ni-no Costa, Quel che vidi e quel che intesi,Milano, Treves, 1927, pp. 49-55.

3. Per le vicende romane di Garibaldived. Le Memorie ecc., cit., pp- 267-297.Le narrazioni più accurate e più precisedi questo periodo romano restano sem-pre i tre volumi di E. Loevinson, Gari-baldi e la sua Legione nello Stato Roma-no 1848-1849, Roma, Soc. ed. Dante A-lighieri, 1902-1907; G. Macaulay Tre-velyan, Garibaldi e la difesa della Re-pubblica Romana, Zanichelli, 1910.

4. Ved. I discorsi di Garibaldi all’As-semblea (già pubblicati dallo Scovazzi,Discorsi parlamentari del generale Giu-seppe Garibaldi alla Costituente Roma-na, nel 1849 e alla Camera dei Deputatidel Regno d’Italia, Acqui, Scovazzi,1882, pp. 7-10 (e poi in Assemblee delRisorgimento, Roma, vol. III e IV, Ro-ma, Camera dei Deputati, 1911), inScritti e discorsi politici e militari, a cu-ra della Reale Commissione per la edi-zione nazionale degli scritti di GiuseppeGaribaldi, Bologna, Cappelli [1943-XII], vol. I, pp. 106-119.

5. Roma, Biblioteca del Risorgimento,Bª. 118, fasc. 36. Mancano finora buonebiografie del Calandrelli e del Mariani,l’uno e l’altro personaggi di qualche in-teresse. Per ora ved. Sul primo E. Ovidiin M. Rosi, Dizionario del RisorgimentoNazionale, Milano, Vallardi, 1930, vol.II. Pp. 480-81, e sul secondo A. M. Ghi-salberti, ivi, vol. III. pp. 493-495.

6. Sulla azione di Garibaldi nella gior-nata del 30 aprile e in genere su tutta lacampagna del ’49 ved. Ora A. Tosti, Lacampagna del 1849, nel volume Gari-baldi condottiero, pubblicato dall’Uffi-cio Storico del Comando del Corpo di S.M., Roma, 1932-X, p. 88 e segg. Unavivace rievocazione della giornata del30 giugno è in Nino Costa, op. cit., pp.59-63.

chiese sempre insisten-temente che le opera-

zioni non si restringessero allacittà destinata a cadere. E quest’i-dea sostenne anche al Consigliodi Guerra del 30 giugno a Palaz-zo Corsini, quando ormai i Fran-cesi avevano posto piede sulla se-conda linea di difesa. Chiamatopoi all’Assemblea, vi accorse la-cero, polveroso, insanguinato,con la faccia convulsa. Lamentòche non gli si fosse dato ascolto,rimproverò gli errori commessi esuggerì di accettare l’ultima delleproposte fatte dal Mazzini, di la-sciar Roma e di buttarsi controgli Austriaci: “Resistere oltre Te-vere impossibil cosa; tremendo ilresistere di qua, tremendo ed inu-til ché solo per pochi giorni sipotrebbe; vana la difesa per lestrade di Roma, dacché i Francesieran padroni delle alture. Con-chiudo essere crudele consigliotentare somiglianti prove; megliol’uscir di Roma”. “Dovunque sa-remo, - soggiunse - colà sarà Ro-ma”.

Alla deliberazione di cessazio-ne della resistenza egli non preseparte. La sua decisione, aveva la-sciato intendere all’Assemblea,era già stabilita: sarebbe uscitoad ogni costo dalla città. E riusci-to vano il tentativo di persuadereil Governo a portarsi con l’eserci-to fuori di Roma, provvide ad a-gire per suo conto. Terminata lagesta della difesa, l’Eroe, delquale qualche mese dopo il LaMarmora doveva riconoscere “fugrave errore non servirsene; oc-correndo una nuova guerra, è uo-mo da impiegare”, lasciava Romaalla testa dei suoi più fedeli tra isuoi compagni di lotta, persuasidalla immortale orazion picciola[citazione dantesca, n.d.r.] diPiazza San Pietro.

“2 luglio: Partenza di Garibaldiper la Porta di San Giovanni: sidisse con molte migliaia di uomi-ni quasi 16.000 con cannoni, car-ri di munizioni ed altro, ma si ve-rificò non essere stati in tanto nu-mero”.

Così un anonimo cronista papa-lino dava notizia dell’inizio dellaleggendaria anabasi.9

TRA STORIA E LEGGENDA| LA DIFESA DI ROMA

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GARIBALDI TRA STORIAE LEGGENDA

di Lina Jannuzzi

In un revival degli studi sulromanzo storico, aperti aglistrumenti più vari (da quelliofferti dall’antropologia aquelli della narratologia),

hanno acquisito diritto di cittadi-nanza nel mondo delle Lettere, an-che opere che, fino a qualche annofa, a causa di un giudizio di valore,ne sarebbero state inesorabilmenteescluse. E invece proprio alcune diquelle opere, considerate nella loroglobalità e rivisitate attraverso unalettura stratigrafica, sono apparsepregne di importanti messaggi, ca-riche di un notevole valore docu-mentario, caratterizzate, spessevolte, da una bipolarità antropolo-gico-letteraria attestante il perdura-re dell’influsso di remote civiltàculturali.

L’iter culturale

In relazione a tale cambiamento ditendenza, va considerato, dunque,anche il recente recupero dell’operaletteraria di Giuseppe Garibaldi ilquale si affaccia, alla ribalta dellanarrativa ottocentesca, esordendocon Clelia o il governo del Prete,nel 1868, cioè subito dopo Menta-na, continua, poi, con Cantoni il vo-lontario (1869), I Mille (1874) e in-fine conclude il ciclo con Manlio,un interessante romanzo tra storico-avventuroso e autobiografico, ela-borato tra il 1874 e il ’79 e rimastoinedito fino al 1982.

Conviene, perciò, decodificare talitesti1, letti finora quasi esclusiva-mente in chiave risorgimentale, alfine di coglierne ulteriori messag-gi, in sintonia con alcuni aspettiparticolari della cultura contempo-ranea, e quindi una significanzapiù ampia e, letterariamente, piùattendibile.Quei romanzi, considerati comel’estemporaneo prodotto di uno spi-rito primigenio, a una più maturariflessione, presentano, infatti, mol-teplici sfaccettature: spia di un lun-go apprendistato letterario, del tuttosorprendente, che ha inizio fin dal-l’età giovanile quando l’autore, co-me tanti suoi coevi, comincia a fre-quentare la scuola di quei liberimaestri, spesso appartenenti a ordi-ni religiosi anche se non sempre or-todossi. Le prime notizie si enu-

una rilettura delle opere di Garibaldi - fin qui rite-nute “istintive” e incolte - apre a nuove interpreta-zioni, mette in evidenza le peculiarità stilistiche, il linguaggio metaforico, il loro valore documentario

cleano dalle Memorie in cui lo stes-so Garibaldi informa il lettore in-torno alla propria formazione d’im-pronta umanistica eppure aperta al-le proposte culturali dell’epoca.

I miei primi maestri furon duepreti - egli dichiara - e credo l’in-feriorità fisica e morale della raz-za italica provenga massime datale costumanza. Del sig. Arena,terzo mio maestro d’italiano, cal-ligrafia e matematica, conservocara rimembranza.Se avessi avuto più discernimen-to ed avessi potuto indovinare lemie future relazioni cogli inglesi,io avrei potuto studiare più accu-ratamente la loro lingua, ciocchépotevo fare col mio secondomaestro il padre Giaume, pretespregiudicato e versatissimo nel-la bella lingua di Byron. (p. 47).

UNA cULTURA EcLETTIcA

GARIBALDI SCRITTORE

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Craxi), si sia cimentato nell’aringoletterario seguendo il proprio istin-to. È necessario, invece, sgombra-re subito il campo da simili pre-venzioni, poiché, pur non raggiun-gendo le vette dell’arte a cui Gari-baldi, del resto, non ha mai aspira-to e ne fa fede anche l’intentopragmatico che presiede ai suoiscritti e che è esplicitamente di-chiarato già nella prefazione delprimo romanzo, tuttavia egli ha insé delle costanti che lo poteronoavvicinare all’arte.

una rilettura delle opere

Un segno evidente emerge dallafruizione di peculiarità stilistiche iinoltre di moduli narratologici che,a ben riflettere, consentono di a-prire un capitolo del tutto nuovosul rapporto di Garibaldi e le ten-denze culturali del tempo. Molte-plici, per esempio, sono le citazio-ni dantesche, anche se strumenta-lizzate ai fini risorgimentali. Èchiaro che il narratore carica laCommedia di messaggi, lontanissi-mi dagli intendimenti del Poeta, efa propria, invece, quella interpre-tazione del Foscolo e del Rossetti,maturata nell’ambiente inglese do-ve la tipologia, del Dante ghibelli-no e violento, si configura, addirit-tura, in quella del ribelle e del ri-voluzionario, ma ciò non escludeche egli abbia avuto una lunga di-

tità abnorme di scorrettezze, so-prattutto ortografiche, probanti lamancanza di educazione elementa-re. Se egli non riesce a rispettare leregole dell’ortografia, tale fattocomportamentale, molto probabil-mente, è dovuto al motivo che nonle ha mai conosciute e quindi me-morizzate; ogni regola, sia orto-grafica che sintattica, per essereassorbita dal discente, ha bisognodi continue spiegazioni nonché dicostanti esercitazioni e ripetizioni.Si può quindi ipotizzare la man-canza di tale apprendistato ele-mentare che non determina, però,quel carattere di “istintività”, arbi-trariamente attribuito a Garibaldidai più e anche dalla pur puntualee intelligente curatrice dell’edizio-ne del Manlio3, poiché un’educa-zione elementare carente non haimpedito all’autore di acquisire unnotevole patrimonio culturale.Questo aspetto, affiorante da unalettura stratigrafica dei romanzi, èstato lungamente misconosciuto,sicché, per un lungo ordine di de-cenni, ha fatto testo l’agiografia ri-sorgimentale che, sovrapponendoalla tradizione scritta quella oralealimentata dalla interpretazionepopolare delle gesta di Garibaldi,ha tramandato l’immagine di uncondottiero puro, aurorale, ma deltutto privo di istruzione. Da qui èscaturito il convincimento che Ga-ribaldi, malgrado “le sue inade-guatezze culturali” (sono parole di

E oltre:

Al terzo laico istitutore il sig. A-rena, io devo il poco che so, esempre conserverò di lui cara ri-membranza, soprattutto per aver-mi egli iniziato nella lingua pa-tria e nella storia romana. (ivi).

Tralasciando di considerare ilgiudizio etico, preponderante negliscritti di Garibaldi, ma che atter-rebbe più alla storia del costumeche a una indagine critico-letterariaqual è la presente, dalle precedentiinformazioni si deve estrapolarequalche dato utile, per ricostruirel’iter culturale dell’autore, muo-vendo da ciò che egli scrive a pro-posito dell’apprendimento dell’in-glese (e si vedrà, almeno in parte,quanto egli abbia mutuato2 dallatradizione anglosassone) nonchédella storia romana che riaffiorerà,nei romanzi, dalle dotte e appassio-nate ricognizioni degli eventi stori-ci della romanità classica.

Sarebbe, invece, molto più arduorinvenire dati attendibili intornoall’apprendimento dell’italianoche, certo, non fu privo di lacunericonducibile, forse, al primo pe-riodo scolare.

Al tardivo lettore del secolo XXsi presenta, in effetti, una situazio-ne estremamente anomala con i te-sti caratterizzati da una moltepli-cità di citazioni di classici italianinonché oltremontani e, nello stes-so tempo, inquinati da una quan-

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formazione umanistica,il quale, vissuto a lungoin Italia, prima a Firenze e poi inSicila, con i suoi due romanzi (Ca-roline en Sicile et Rome soutérrai-ne), fornisce in concreto il model-lo a Dumas père e a George Sand eancora ad alcuni autori calabro-si-culi (Brancaleone, Castorina, Ver-ga dei romanzi catanesi, Misasi).Ipotizzare per costoro e per Gari-baldi una comune area geografica,così estesa, sarebbe un po’ rischio-so in mancanza di prove documen-tarie esterne (lettere, documenti,testimonianze di alcun genere),mentre non si può misconoscereuna intertestualità che impone, unavolta in più, una rilettura stratigra-fica dei testi di Garibaldi. È lì chesi rinvengono, anzitutto, tracce e-videnti di una eredità neoclassicasoprattutto con l’applicazione delprincipio del bello ideale ancorapresente, nel secolo XIX, nell’areaculturale magno-greca e, ovvia-mente, negli autori su citati.

Peculiarità stilistiche

In Caroline en Sicile del Didier,tanto per fare un esempio5, comenei romanzi di Garibaldi, è fre-quente il riferimento alla statuariasecondo lo schema neoclassico: “Ilsuo collo e il suo busto avevano lapurezza dell’antica statuaria (C.S.,cap I, p. 22); “Il suo collo flessibi-le come quello di Diana cacciatri-ce [...]. La linea del suo naso [...]come il profilo di Aretusa dellemonete siracusane” (ivi).

Si confrontino le precedenti te-stimonianze con i seguenti cam-pioni prelevati dalle opere di Gari-baldi: Cantoni, il protagonista delromanzo omonimo, “era bello, co-me l’Apollo di Fidia, come Milio-ne di Crotona robusto” (p. 7) “diquelli del cui stampo la sculturagreca modellava i suoi Achilli” (p.188). Ne I Mille la contessa Virgi-nia era “donna dal bellissimo capoche avrebbe potuto servir di mo-dello a Michelangelo” (p. 122). Eancora Manlio, anche questi prota-gonista del romanzo omonimo, ri-chiama “l’Apollo di Fidia” conser-vato nel “Museo di Roma” ovvero

nistra quanto il castello dell’Inno-minato, e ancora con una carrozzadestinata, anche questa, come neiPromessi Sposi, al rapimento diuna avvenente fanciulla di nomeIda, insidiata da un losco figuro.Al signorotto manzoniano si sosti-tuisce, invece, un gesuita, rappre-sentato secondo la più smaccata eirriverente tradizione del romanzonero. Così, esplode la polemicaantigesuitica e la matrice laica,della formazione di Garibaldi, cheriaffiora, sia pure con tono smor-zato, quando, a proposito di Ida, e-gli comunica: “Alcuno crederà ditrovare la giovinetta inginocchiatadavanti all’immagine della Ma-donna pregando e singhiozzando.Tutt’altro” (p. 73). Al di là di que-ste epidermiche differenziazioni,nella sostanza, Lucia Mondella eIda appartengono alla schiera deipersonaggi femminili, concepitisecondo il codice romantico, e cheebbero come modello attanzialeRebecca, la bella israelita di fortetempra, protagonista dell’Ivanohedi Walter Scott, cui si ricongiun-ge, con maggiore spicco, ancheMarzia, un’altra tipica figura mu-liebre, protagonista dei Mille.

Da questo primo approccio sipuò cominciare a dedurre che ipersonaggi d’invenzione, concepitisecondo una rigida dicotomia equindi distinti in buoni e malvagi,riconducibili agli archetipi deposi-tati nel romanzo nero, scottiano,manzoniano, anzitutto rispecchia-no una certa propensione per il ro-manticismo sia lombardo che an-glosassone e inoltre riconfermanol’ampio repertorio di letture, pree-sistente all’opera narrativa di Gari-baldi. Ma questo primo aspettonon è, tuttavia, il più singolarepoiché, in seguito ad un’approfon-dita lettura, si scoprono segni inci-sivi di una matrice culturale, oltreche umanistica, magno-greca, so-prattutto per molteplici peculiaritàstilistiche ricorrenti anche in quel-la produzione narrativa4, fioritanell’area culturale mediterranea,che prende le mosse, molto proba-bilmente, dal Platone in Italia diVincenzo Cuoco, e che si avvia,poi, con il contributo di CharlesDidier: uno scrittore francese, di

mestichezza con il testo dellaCommedia e ancora con quello dialtri autori sia italiani che oltre-montani. Sono da segnalare so-prattutto gli ampi brani citati daiSepolcri del Foscolo, magari conriferimenti più larvati nel primoromanzo, Clelia, e, successiva-mente, con citazioni sempre piùampie tanto che, nei Mille, tutto ilCarme foscoliano viene riportatoper frammenti o in epigrafe a di-versi capitoli.

Ancora una volta si tratta di unascelta, di carattere politico, soste-nuta, però, sempre da quella vivadimestichezza con i testi, cui si ègià accennato, e che risulta da altreinnumerevoli citazioni di vari au-tori (Petrarca, Machiavelli, Tasso,Filicaia, Metastasio, Alfieri, Bec-caria, Manzoni, Berchet, Rapisar-di, ecc.) entrati, tutti, a fare partedi quel patrimonio culturale, d’im-pronta tipicamente risorgimentale,che esclude, non a caso, Leopardi.Sarebbe difficile, tuttavia, stabilirequanto di questo patrimonio di co-noscenze sia da ascrivere allascuola dei primi maestri o a unasuccessiva pratica di autodidatta.

La matrice laica

Certa, invece, è la diretta cono-scenza dei testi memorizzati dal-l’autore, che traspare anche daicalchi letterari, sia pure con uncerto scarto ideologico rispetto al-le fonti e che si evidenzia, soprat-tutto, con una lettura comparatadei romanzi di Garibaldi e dei Pro-messi Sposi. Infatti, mentre il nar-ratore genovese ripropone, pun-tualmente, il Coro dell’Adelchi(“Dagli atri muscosi”), altera, d’al-tra parte, il comportamento di al-cuni personaggi che vengono ma-nipolati affinché rispondano a unaideologia d’impronta nettamentelaicistica. Tale manipolazione è e-vidente, soprattutto, nel secondoromanzo (Cantoni il volontario)dove, senza dubbio, è manifesta lafonte manzoniana con una vecchiadi nome Perpetua, anche se più vi-cina alla megera della Malanotteche alla bonaria fantesca di donAbbondio, e con una fortezza, si-

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Questo forte senso della storicità,nella letteratura romantica, non e-sclude il recupero della tradizioneorale. Si deve quindi ricorrere al-l’etnologia ricordando che gli au-tori, già menzionati, alle volte pri-vilegiano il fatto antropologico eanche Garibaldi mettendo in luce,per esempio, alcuni aspetti pecu-liari delle popolazioni meridionali,lascia intravedere come dall’im-maginario collettivo, attraverso latradizione orale, si sia venuto con-figurando il mito di quell’epopeache da lui prese il nome:

La vittoria di Calatafimi fu in-contestabilmente decisiva per labrillante campagna del ’60. Eraun vero bisogno di iniziare laspedizione da uno strepitoso fat-to d’armi. Esso demoralizzò gliavversari che, con la loro fervidaimmaginazione meridionale, rac-contavan portenti sul valore deiMille e sulla impenetrabilità del-la loro pelle a qualunque proget-to, e rinfrancò i prodi sicilianiche, in pochi, eran stati scossidall’immensi presidii di soldati edi mezzi accumulati da borbonicinell’isola. (I Mille, cap. 9, p. 40)

I temi caratterizzanti

A questo punto, si può comincia-re a collocare l’opera, fin qui ana-lizzata, nel quadro estremamentecomplesso del romanzo storicoche va considerato, perciò, nonsoltanto in assoluto come genereletterario, ma anche nella varietàdelle forme che il modello, nel se-colo XIX, assume, in concreto,nelle singole opere e, nello specifi-co, nei romanzi di Garibaldi parte-cipe di due tendenze letterarie di-verse e tuttavia coeve: quella an-gosassone del Goythic-rale, cosìpoco attestata in Italia, e l’altra dimatrice umanistica o magno-gre-ca, con quelle peculiarità stilisti-che, sorprendenti in un personag-gio che fu dedito prevalentementealle armi. E conviene ancora ricor-dare altri motivi caratterizzanti erecisamente la concezione dicoto-mica dell’umanità distinta in buonie in cattivi, quello che fu definito“elemento di cultura”6, l’uso a-naforico del tempo con struttura

di più, anche al-le cognizioniapprese, in etàgiovanile, allascuola dei primimaestri e arric-chite ulterior-mente, con altrefonti classiche(Senofonte, Ce-sare, Tacito),interviene an-che con consi-derazioni di ca-rattere strategi-co, spia di unalunga riflessio-ne sulle tattichemilitari dei con-dottieri dell’an-tichità e diun’ampia cono-

scenza delle vicende della roma-nità classica, Non a caso poi, tragli storici coevi, privilegia quel-l’Atto Vannucci che alternò le ri-cerche storiche e lo studio del lati-no.

Assunzioni simili, tuttavia, nonsono a scapito della contempora-neità e, collocandosi sempre su unalinea tendenzialmente romantica,anche Garibaldi recupera la compo-nente storiografica, sia pure intro-ducendosi da protagonista nelle vi-cende che viene narrando, ma conlo stesso puntuale rigore dei model-li: Didier, infatti, data l’ecceziona-lità degli eventi che si accinge a ri-ferire, a un certo punto della suanarrazione, dichiara di cedere lapenna allo storico perché non fa di-re né dice cosa che non sia storica-mente esatta (Caroline en Sicile, t.II, cap. XX, p. 24); Misasi puntua-lizza che la “sua è una storia veridi-ca [...] studiata nelle cronache deltempo”; Verga più raffinato nell’e-sercizio dell’arte non fa dichiara-zioni di sorta, ma anche egli si at-tiene fedelmente alle fonti ufficialimentre Garibaldi precisa:

Io scrissi bene o male sotto for-ma romantica una campagna(quella dei Mille) ch’io potevo e-sibire puramente storica e chespero narrata nelle mie memoriesenza involto romantico, essa po-trà bene, alla storia, servir di ma-teriale (I Mille, p. 10).

“il centurione di Pressitele” (p. 4).Sempre nel Manlio c’è un vecchioultrasettantenne i cui “lineamentiricordavano quelli che il Buonar-roti aveva impresso al suo Mosè”.(p. 350).

Ai precedenti campioni se nepossono aggiungere altri, connotatida peculiarità stilistiche di stampoclassico: il mare spesse volte, èdetto, metaforicamente, “il seno diTeti” oppure di “Anfitrite”, il ventoè identificato con “il salùbre soffiodi Eolo” (Manlio p.11); i Siciliani“sono figli del Vespro” (ivi, p.126); i Mille “gli Argonauti dellalibertà” (I Mille, p. 14); l’Italia“dovrebbe essere purgata dei suoiTersiti”; Napoli viene denominata,quasi sempre, alla maniera greca,Partenope. E si consideri, infine, lascorrettezza ortografica (la doppiain luogo della scempia), della se-guente similitudine di evidente ma-trice classica: “[...] la felicità [...]sfugge come l’isola di Itaca ad U-lisse o come l’acqua nei cesti delleDanaidi assetate” (Manlio, p. 81).

Gli esempi si potrebbero molti-plicare, ma le precedenti testimo-nianze bastino a provare una vivaadesione a quella tendenza preval-sa, nel secolo XIX, in certe areeculturali, sia in Italia che oltralpe,e volta a recuperare le vestigia delmondo greco e romano nonché lenorme della retorica classica. Gari-baldi, però, rifacendosi, una volta

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to, con i soliti meccanismi (l’insi-dia, il tradimento, il ratto dellafanciulla virtuosa), dal solito per-sonaggio del gesuita.

Nel complesso, poi, l’opera si ri-scatta perché il narratore riesce adarrivare, con la sua passione, lapagina scritta. A ben riguardare, ilvero protagonista dei quattro ro-manzi è proprio lui, Garibaldi, cheesplode con la sua forte persona-lità, con la sua rabbia immoderatada un lato (ma si consideri la com-plessità dei problemi che trava-gliano l’Italia in quegli anni) e unalarga generosità dall’altro, con unsenso così vivo della natura, conuna appassionata partecipazionealle proposte del suo tempo, maanche a quelle ereditate dalla tradi-zione classica, e infine con un acu-to desiderio di giustizia, di nonviolenza che sbocca in quella uto-pistica concezione di uno stato i-deale governato, temporaneamen-te, da un dittatore probo (il model-lo di Cincinnato è esplicitamenteproposto), non condizionato daleggi codificate, informato a prin-cipi di umanità e di fratellanza. Sidelinea così quella utopia sociale,destinata, tuttavia, a rimanereun’aspirazione elitaria, ma, del re-sto, tutto il, Risorgimento italianoe la stessa spedizione dei Mille eb-bero un carattere elitario.

Dopo quanto si è venuto fin quideducendo, fissate delle coordina-te di carattere oggettivo sulle qualicostruire, si può anzitutto liquidaredefinitivamente l’immagine, inval-sa, di un Garibaldi scrittore “istin-tivo”, incolto, popolaresco. E sipuò coglierne, inoltre, una dimen-sione diacronica considerando chequel suo linguaggio, così approssi-mativo eppure fortemente metafo-rico, certe sperimentazioni narra-tologiche, il ventaglio di cono-scenze, attestate da precise provedocumentarie, vengono determina-ti da un lungo apprendistato che fada sostegno a un prodotto lettera-rio, specchio della Weltan-schauung di un personaggio qual èquello di Garibaldi: calato nellarealtà contemporanea, proiettatosull’Europa e sul mondo, eppureconcretamente attratto dalla sferadella Memoria.

“ad anello”, l’alternanza delle ana-lessi e delle prolessi (che assumeparticolare significazione nel Man-lio dove, alla maniera salgariana,gli eventi sono anticipati di un ven-tennio) e ancora la tematica del bri-gantaggio politico con la sublima-zione del brigante, il tema del ratto,l’agnizione di stampo classico, lacatastrofe connessa alla catarsi se-condo la dottrina aristotelica.

Si tratta, in gran parte, di ele-menti, già paradigmatici del ro-manzo greco o dell’epica classica,diversamente filtrati dal genere av-venturoso, picaresco, e infine ac-quisiti, nel secolo XIX, dai citatinarratori, operanti nell’area cultu-rale di ascendenza Magno-Greca.Proprio per l’acquisizione di talepatrimonio, nelle opere di costoro,non c’è mai quell’atmosfera di ter-rore propria del Gothic-rale né in-cupimento di toni. Anche Garibal-di si astiene da un crudo realismoe, pur assumendo, dalla tradizioneanglosassone, la figura in negativodel monaco, per il resto, attenua iltono dichiarando esplicitamente:

“Io non narrerò tutte le paroledell’osceno chercuto perché mi re-pugnano” (Cantoni il volontario,p. 85).

E in altri luoghi dei sui romanziaccenna molto fugacemente a car-ceri, tormrenti e tormentati che pu-re offrivano più di uno spunto peruna torbida rappresentazione dellarealtà. In conclusione, e si è giàdetto, rientra, in tale orientamento,soltanto il personaggio del gesuita,equivalente a una costante, dallacategorica significazione politica,che viene riproposto persino nel-l’ultimo romanzo (Manlio) che pu-re è il pù vario e significativo degliscritti letterari di Garibaldi: riccodi pittoresche descrizioni paesag-gistiche, di vicende avventurose eben congegnate, di riferimenti au-tobiografici interessanti e abilmen-te dissimulati, sicché non è facilericonoscere la linea di demarcazio-ne tra il vissuto e l’immaginario.Eppure, anche in quest’opera, che,per un alttro verso, rinnova quellospirito d’avventura che fu altret-tanto vivace nel romanzo greco, illeitmotiv è costituito, ancora unavolta, dalla violenza messa in mo-

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NOTE

1 Si cita dalle seguenti edizioni: Clelia,il governo dei preti, Torino 1973; Cantoniil volontario, Milano 1909; I Mille, Bolo-gna 1982; Manlio, Napoli 1982; Memo-rie, Milano 1982.

2 La cronistoria del rapporto tra Gari-baldi e la tradizione letteraria anglosasso-ne è ancora tutta da ricostruire poiché, ol-tre all’influsso esercitato dal romanzo ne-ro su Garibaldi, si dovrebbe anche esplo-rare la fortuna che egli ebbe nei paesi dilingua anglosassone.

Probabilmente il romanzo intitolatoClelia, il governo dei preti fu pubblicatoin Inghilterra prima che in Italia. A propo-sito di ciò si consideri la seguente nota deiFratelli Rechiedei, premessa all’edizionedel 1870: “Il titolo del presente lavoro, se-condo le prime idee del Generale Garibal-di, doveva essere Clelia, ovvero il gover-no dei preti, ma sul manoscritto non ven’era tracciato alcuno. L’originale passòin Inghilterra, dove noi lo abbiamo acqui-stato; e colà il titolo principale sotto cui sistava pubblicando la traduzione era Il Go-verno del monaco (The rule of the Monck)e noi l’abbiamo seguito.

Quando non eravamo più in tempo perrimediare, ci accorgemmo che Il Governodei preti era il titolo più acconcio e meglioin armonia con le idee del Generale. Nescrivemmo a lui stesso ed egli si contentòdi risponderci. ‘A Londra qualche pretesenza dubbio ha creduto meglio intitolarloIl Governo del Monaco’ e siccome com-prendeva che non c’era più riparo essendoil libro in corso di stampa, non aggiunsealtro.

Noi, per riparare quant’è possibile al-l’equivoco, abbiamo premesso il primodei titoli originari. Clelia, al titolo dellatraduzione inglese, e di più facciamo am-menda dell’errore come se fosse nostro,confessandolo”.

3 v. la Nota sul testo a cura di M. G.Morro, op. cit. p. 371.

4 Il filone della narrativa calabro-siculadi ascendenza classica è ricostruito nelmio saggio Sul primo Verga, Napoli, Lof-fredo 1988.

5 In particolare sull’argomento si vedaancora il citato saggio, p. 49.

6 A Calderini, Introduzione a Le avven-ture di Cherea e Calliroe, di Caritone diAfrosia, Torino 1913, pp. 141-3: “L’ele-mento di cultura […] non sarà uno studiodi fonti, ma una semplice dimostrazioneche il romanziere scrive con la coscienzadel mondo letterario ed artistico che locirconda, e seguendo canoni d’arte che e-gli stesso si pone o che desume dalla mo-da letteraria del tempo suo […]”.

Lina Jannuzzi, Giuseppe Garibaldi autore diromanzi storici, da “Critica Letteraria” n.64/1989 (anno xVII - Fasc. III), LoffredoEditore, Napoli

GARIBALDI SCRITTORE | I TRA STORIA E LEGGENDA

Anita Garibaldi, Tancredi Scarpelli, tempera su carta, cm

GARIBALDI TRA STORIA E LEGGENDA

di Marilena Menicucci

Le donne capiscono Gari-baldi perché si ricono-scono nel suo modo difare e di lottare per qual-cuno e per qualcosa, sen-

za tornaconti, rivedendo le proprieposizioni, pur di raggiungere il ri-sultato sperato, seguendo una di-versa logica economica, politica esociale, dove i sentimenti provati esuscitati diventano protagonisti;per lui, come per le donne è imme-diata la corrispondenza tra il senti-re, il dire e il fare; e l’agire è spes-so appassionato, come per la don-na innamorata, per la madre neiconfronti del figlio e per la donnache vuol arrivare ad un certo postodi lavoro, di studio o d’altro, spes-so sola e incompresa nelle sue mo-tivazioni più grandi e profonde.

Idealismo epragmatismo

Le donne credono, amano, aiuta-no e salvano Garibaldi, in passatoe nel presente, rendendolo un eroecontemporaneo, non per una sua e-ventuale bellezza fisica, perché eradi statura quasi bassa, muscolososì ma tarchiato, con le gambe adarco, una lunga zazzera bionda euna gestualità grossolana. È eroeper il rovescio dei suoi difetti, inquanto uomo solo nella sua onestàe coerenza che arriva al massimodella fama internazionale; per lasemplicità: un agricoltore che spo-

sa una casalinga. Garibaldi è riccodi contraddizioni: sognatore e con-creto, pronto all’azione per un’i-dea vasta d’umanità, non per il po-tere, non guerrafondaio. In unamozione, presentata al Congressointernazionale della pace, scrive:“Lo schiavo solo ha diritto di farela guerra al tiranno: è il solo casoin cui la guerra è permessa” (Gine-vra 1867).

mamma Rosa

Un’icona e una maschera dell’e-roe, che solo le donne hanno com-preso nella sua vera natura di eroesolitario: agiva per la libertà, la giu-

ciò che contraddistingue Garibaldi è la semplicità,il pragmatismo, la passione nel fare doti, queste,che solitamente appartengono alle donne. I garibaldini contemporanei: un’intervista

stizia e la democrazia, e ci credevacon una limpidezza quasi infantile,più bravo a fare che a dire, fra gente,che per fame o per politica, lo segui-va, l’osteggiava e comunque l’usa-va, per convenienza.

Per le donne Garibaldi è un eroeper sempre.

La prima donna della sua vita fula madre Rosa, che gli perdonavatutto: irrequietezze, marachelle,studi irregolari, fughe, furti, sba-razzinate, assenze; al solo guardar-lo, capiva che suo figlio agiva percandore, innocenza e generosità. Ifatti parlavano da soli: aveva appe-na compiuto otto anni, quando, tor-nando da caccia con un suo cugino,passò accanto a un gruppo di don-

LE DONNE, L’ARmE, GLI AmORI

UN ANIMO ÒFEMMINILEÓ

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44 VS La rivista

TRA STORIA E LEGGENDA | UN ANIMO ÒFEMMINILEÓ

ne che lavavano la canapa in unostagno vicino al Varo e, vedendoneuna precipitare a testa in giù, situffò immediatamente e la salvò,senza stare a pensare se l’acquafosse troppo profonda per un bam-bino come lui e se potesse affoga-re. Incoscienza o coraggio? Gari-baldi, più tardi, confiderà al suogrande amico Dumas che si tratta-va solo di abilità nel nuotare, de-finendosi uno dei più gagliardinuotatori che esistano. Se poi ilpassaggio dall’abilità all’azionedipendesse da una gran fiducia inse stesso o da un animo generoso,oppure da entrambi non è un dub-bio troppo difficile da districare.Sua madre, infatti, era tenera, in-dulgente e molto generosa, tantoche invece di rimanere dentro lasua botteguccia, preferiva tenerlaquasi sempre chiusa, appendendoil cartello Torno subito, per anda-re al porto a distribuire la mine-stra ai disoccupati, assistere qual-che vicina ammalata e dire il ro-sario in chiesa. Eppure suo maritoDomenico, marinaio sedentario,abitudinario e pio, aveva perdutola sua barca “Santa Reparata” e

contava sul guadagno della mo-glie per crescere i quattro maschi.

Come la sua mamma anche laverduraia Natalina Pozzo (o l’o-stessa Caterina della Colomba)non ebbero alcun dubbio nell’aiu-tare Cleombroto, come allora ve-niva chiamato, diventato marinaiodi leva di terza classe nella mari-na piemontese e mazziniano. Erail 1833 e a Genova doveva scop-piare un moto mazziniano. Il mo-to fallì e Cleombroto fu condan-nato a morte in contumacia e sisalvò solo perché la verduraia Na-talina (o l’ostessa Caterina) lo lotenne nascosto nel retrobottega el’indomani lo aiutò a fuggire, ve-stito alla buona. A Nizza si rifu-giò a casa di una zia dove la ma-dre gli consegnò i propri risparmiper fuggire, con cui poi si com-prerà la libertà da un oste, che lovoleva denunciare. A Marsigliacambiò nome in Pane Borel e no-nostante rischiasse di essere fuci-lato alle spalle, come il peggioredei banditi, essendo scoppiato ilcolera, si intrufolò come benevoloall’ospedale, per aiutare gli am-malati.

Il fascino di un uomo particolare

Fuggito a Rio de Janeiro e poi aMontevideo, in attesa delle “letteredi marca” (le istruzioni sul da farsida parte di Mazzini), Garibaldi feceil commerciante di grano insieme aRossetti, un altro mazziniano e fu-rono gli unici a rimetterci in que-st’attività. S’infiammò invece all’i-dea di fare qualcosa per la liberazio-ne del Rio Grande del Sud, seque-strò la goletta “Lucia”, salvò l’equi-paggio, rifiutò i diamanti di un pas-seggero, liberò gli schiavi neri,cambiò il nome della goletta in Fa-nopilha (dei pezzenti), giunse in U-ruguay, non più paese amico, fu co-stretto a consegnare tutto il caricodel caffè, per poter ripartire, si trovòin mezzo a una tempesta e salvò go-letta e equipaggio. (Come non ama-re un uomo così?!) Erano tutti affa-mati, che fare? Come un genitorepremuroso improvvisò una zatteracon quattro barili e scese a terra, ri-salendo il pendio di una collina conla speranza di trovare cibo in una e-stancia. Ne trovò una, abitata dauna giovane, che gli disse di non

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potere consegnargli nulla prima del-l’arrivo del marito; Peppino passòtutto il resto del giorno e quasi tuttala notte… ad ascoltare la giovanedonna, che sapeva discorrere in ita-liano di Dante, del Petrarca, del Tas-so, recitando a memoria delle strofe,bevendo tazze di mate. Il bovaro,quando arrivò, li trovò così, che in-sieme declamavano versi e beveva-

no mate; intascò i soldi e all’alba,come promesso portò un bue, che fusquartato sulla spiaggia e poi trasfe-rito nella goletta, per sfamare laciurma affamata.

Come la giovane donna, bovara epoeta, così altre rimangono innomi-nate, ma dovevano essere molte se,fatto prigioniero in Argentina, pre-ferirono liberarlo, per evitare non

solo la rivoluzione, masoprattutto... le corna.

anita

Garibaldi era un seduttore? Erasolo se stesso, non inventava trop-po, era espansivo, raccontava unasuccessione di esperienze avventu-rose, compiute per davvero, senzatacere entusiasmi e ideali di giusti-zia, pronunciati con una bella vocetenorile, amante del canto e dellapoesia. Come si poteva sfuggire alfascino di un uomo così diversodagli altri, forte e tenero, temerarioe generoso, semplice e onesto,grossolano e poeta?

Un che di rozzo doveva pur esser-ci in lui, se a Montevideo sapevaguidare una ciurma di filibustieri ebucanieri, i matreros, sottospeciedei gauchos, imbattibili nelle razziedi cavalli: di notte attaccavano lenavi brasiliane con azioni fulminee,ammazzavano, depredavano e scap-pavano; a terra catturavano cavallibradi, li sellavano e si abbandona-vano a razzie di polli, vacche e don-ne, chiamando il tutto guerriglia.

Garibaldi doveva essere come lo-ro, ma nello stesso tempo era anchediverso da loro, se Anita, donna co-raggiosissima, nella primavera del1841 decise di seguirlo ovunque. Sisposarono a Montevideo e l’eroeper amor suo, all’inizio, decise dicambiare vita, diventando insegnan-te in matematica, geografia e calli-grafia. All’arrivo in città possedeva-no solo 100 scudi, ricavati dallavendita di 300 pelli, l’unica ricchez-za trattenuta dopo le imprese proBento per la liberazione del RioGrande (i 900 bovini avuti comedono, a sua insaputa, erano stativenduti e rubati dai compagni, dinascosto, durante il viaggio). Però,quando il dittatore argentino Rosasdecise di sottomettere l’Uruguay, ilnostro eroe abbandonò l’insegna-mento e riprese il comando di unalegione di matreros in fuga, che alsuo seguito divennero capaci di af-frontare e di vincere il nemico. Ve-stivano camicie rosse, ottenute dauna stoffa destinata ai saladeros, imacellai argentini; una partita ditessuti, che dopo la guerra con que-

I GaRIbaLdInI contemPoRaneI

Garibaldi, più degli altri protagonisti del nostro Risorgimento,continua a vivere in molteplici associazioni, che lo festeggiano comeun eroe contemporaneo. Che cosa significa oggi garibaldino? Bastaseguire le commemorazioni annuali degli eventi garibaldini più fa-mosi in Sicilia, a Velletri, a Sala Consilina, a Caprera e in tante altrecittà per comprendere come e quante siano le persone legate almessaggio di giustizia e di libertà dell’eroe dei due mondi. Non sitratta di commemorazioni sterili, compiute da gente anziana, fissatanei ricordi, per i quali garibaldino significa giovinezza, spensieratezza,leggerezza e superficialità. In questi appuntamenti si verifica ancheche punto sia la ricerca garibaldina. Non manca mai la musica e sipossono ascoltare dei brani musicali contemporanei, composti daseveri generali ultradecorati, che si sentono garibaldini nel comuni-care un messaggio di fratellanza e di pace, non solo attraverso la ri-costruzione storica, ma anche con la musica, come era proprio diGaribaldi e come fa ad esempio il generale Virgilio Riccieri, presi-dente della Società di Mutuo Soccorso di Perugia e vice presidentedi quella nazionale, che ha composto degli inni sulla scia del mae-stro. Esistono, poi, due bande garibaldine nazionali, una a Bergamo el’altra a Mugnano (Perugia), che da anni portano avanti una ricercadegli inni garibaldini nelle rispettive scuole di musica. Si tratta dimusicanti di tutte le età, dall’infanzia alla terza età, vestiti con la ca-micia rossa, come i garibaldini, che suonano gli inni ottocenteschicon tanta passione, da sorprendere e spiazzare il più scettico ascol-tatore del terzo millennio.

In questi incontri, poi, non mancano mai autori di nuovi libri nonsolo su Garibaldi, ma anche su oscuri garibaldini, che ogni città e ilpiù piccolo paese cercano di recuperare alla memoria locale e na-zionale. L’ultima presentazione, a cui siamo stati invitati, ad esempio,riguardava il libro di una giovane signora, Nadia Miccioni Sellari, Ga-ribaldi amore perpetuo, che, come dice il titolo, è la narrazione delpersonale amore per l’eroe, in un contesto umbro, dove la storiainternazionale, nazionale e locale fa i conti con tutti gli altri aspettidella vita: gli amori, le amicizie, la fotografia, la burocrazia, la poesia.L’autrice, fra l’altro, si prende la libertà di trascrivere per intero l’in-no che Garibaldi avrebbe voluto si suonasse al momento del salutocon i Mille, al termine dell’imprese nel Regno delle due Sicilie e cheFarini impedì di suonare per meschinità, nascosta dietro il paraven-to delle formalità militari. Per Nadia Miccioni, come per altri autori,essere garibaldini significa lottare con passione per la giustizia e a-mare la memoria di un eroe molto italiano, il cui ricordo continua arendere più unita l’Italia.

Esiste a Roma un Centro Internazionale di Studi garibaldini, pre-sieduto dal nipote dell’eroe, che porta lo stesso nome, GiuseppeGaribaldi, che raccoglie molte delle pubblicazioni in proposito, do-ve si incontrano appassionati garibaldini.

M. M.

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TRA STORIA E LEGGENDA | UN ANIMO ÒFEMMINILEÓ

sto paese divenne inutile e fu acqui-stata per niente dalla Filodrammati-ca italiana, che finanziava la legionegaribaldina.

Le donne d’Italia, d’Europa e d’A-merica avevano stimato, sostenuto eamato le doti particolari del giovaneGaribaldi, ma non fu lo stesso daparte degli intellettuali, dei politicigovernativi, dei rivoluzionari e dellostesso popolino, come dimostra lastoria del nostro Risorgimento.

Garibaldi era mazziniano, maMazzini non lo stimava né comeuomo, né come rivoluzionario, nonrispose alle sue lettere dal Sudame-rica, non gli mandò la nave richiestae il Nizzardo tornò in Italia per imoti del ’48, contando solo sullecollette degli italiani emigrati. Unavolta in patria, per realismo, accettòCarlo Alberto, avendo questi l’in-tenzione di aiutare i carbonari, di-sposto ad abbondare quanto di ideo-logico ci fosse nei suoi ideali risor-gimentali, mettendosi a disposizio-ne della causa nazionale. Nessunpolitico lo prese sul serio, giudican-dolo un corsaro e un pirata e il mi-nistro degli interni Ricci gli consi-gliò di andare a Venezia, per pren-dere il comando di alcune piccolebande e per allontanarlo dal centro

effettivo degli scontri. I suoi, i rivo-luzionari, si comportarono come ipiemontesi e quando Garibaldi ar-rivò con la sua ciurma a Roma, perliberarla, Pisacane e gli altri mazzi-niani non solo non ascoltarono isuoi piani di guerra, ma fecero deltutto per isolarlo e lo convocaronoin Campidoglio solo al momentodella resa, quando tutto era perduto,nominandolo generale di un eserci-to che non c’era più. Tentò altre vol-te di liberare Roma dal Papa, anti-clericale com’era, ma mai gli riuscìe soffrì quando la città eterna fu li-berata dai piemontesi nel 1870, sen-za di lui, approfittando della guerratra Francia e Germania. Le cose sa-rebbero andate diversamente, forse,se almeno i rivoluzionari lo avesse-ro ascoltato e seguito, invece andòogni volta a ramengo. Nel ’48 mori-rono i migliori: Manara, Mameli,Dandolo, Masina e Aguyar, uno de-gli schiavi neri liberati che avevaseguito Garibaldi dal Sudamerica.Nel ’67 morirono i fratelli Cairoli aVilla Glori e Garibaldi fu imprigio-nato, ma poi fuggì. Famose le sueparole : “Chi vuol continuare laguerra contro lo straniero venga conme. Non offro né paga, né quartiere,né provvigioni; offro fame, sete,

marce forzate, batta-glie e morte”. E A-nita, che era statasempre al suo fiancoper dovere e per a-more di sposa, trovòla morte in una diqueste fughe dispe-rate, che vide i gari-baldini spostarsi daRoma a San Marino,attraverso l’Umbriae la Romagna, nu-trendosi con quantopotevano saccheg-giare nei conventi.La povera gente, in-vece, fu protetta daGaribaldi, che fecefucilare un legiona-rio sorpreso a rubareuna gallina, ma ilpopolino parlava diGaribaldi come diun qualsiasi altrogerarca, favoleg-giando su un suo e-

ventuale tesoro, senza capire ildramma di un marito che aveva do-vuto seppellire la moglie così infretta, che parti del suo corpo eranorimaste fuori dalla fossa. Per salvar-si la pelle, Garibaldi dovette fuggirea Tunisi, a Tangeri (fabbricava ta-gliole, vele, arnesi da pesca e sigari)e New York, navigando verso Pa-nama, Nizza, Hong Kong, Canton,Manila, Australia e Nuova Zelanda.

Nel ’54 si trovò a Londra fra i piùimportanti rivoluzionari europei,come Herzen, Kossuth, Orsini e ov-viamente Mazzini, che lo trattò condiffidenza, quasi come un traditore,volendo Garibaldi raggiungere l’in-dipendenza italiana con il Piemon-te, non contro. Le donne, invece, locapirono, l’ammirarono e lo incita-rono in questo suo progetto rivolu-zionario; tra esse la contessa MariaMartini Della Torre e Emma Ro-berts, vedova, ricca, raffinata grandama, che intimidì il cinquantennegenerale con la sua signorilità.

nell’eremodi caprera

Garibaldi a Caprera viveva comeun semplice e onesto lavoratore.

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Comprò metà isola con 60 mila lireradunate, sommando alle 35 mila li-re d’eredità del fratello Felice, mor-to all’improvviso, altri soldi che gliarrivarono, come arretrati per il suoservizio di capitano in Sudamerica.Scelse Caprera perché l’aria era sa-lutare e adatta a curare i reumatismidi cui soffriva, contratti durante isuoi viaggi giovanili. Si costruì laCasa Bianca (quattro stanze in grez-zo stile sudamericano) con le suemani e con l’aiuto del figlio Menot-ti. Amò la domestica Battistina Ra-vello, scalza, analfabeta, brutta, madiciottenne e, nello stesso tempo,frequentava una sua grande ammi-ratrice, Maria Espérance vonSchwartz, in arte Elpis Melena,un’inglese di sangue tedesco, 37 an-ni, scrittrice, giornalista, avventurie-ra, con una grinta da regina, che glisarà sempre vicina, ovunque, edu-cando alcuni figli del generale, con-sigliandolo nella scrittura e nellapubblicazione delle Memorie e deiromanzi, comprando medicine epersino cucinando per lui, quand’e-ra in prigione, tanto che la gente laprese per la sua cuoca.

La giornata tipo a Caprera era una

sorta di riposo del guerriero, neces-sario per riprendere l’energie, medi-tare e ricominciare a progettare. Ga-ribaldi si svegliava all’alba e, dopoabbondanti abluzioni, andava a cac-cia o a pesca; alle 12 pranzava e do-po si concedeva una lunga penni-chella, a cui faceva seguire una pas-seggiata al porto, fumando il sigaro;alle 18 cenava in modo frugale: unpomodoro, un pezzo di cacio, moltopane, mezzo litro di vino rosso; do-pocena giocava a dama e alle 20,30andava a letto.

Ne frattempo le sorti dell’Italia e-rano incerte.

Garibaldi era mazziniano e repub-blicano, ma fu leale con la monar-chia sabauda, la quale si servì poidelle sue qualità militari. I Cacciato-ri delle Alpi, formati da dottori, in-gegneri, architetti, poeti e attori, cheGaribaldi avrebbe guidato, non era-no stimati dai militari e La Marmo-ra si rifiutò persino di riconoscere ibrevetti di ufficiali. Cavour da Gari-baldi pretendeva l’impossibile: chefacesse scoppiare la rivoluzione, co-sì da convincere l’imperatore fran-cese ad intervenire, ma che la rivol-ta restasse ordinata, “alla sabauda”,

evitando lo stile dei radi-cali e dei mazziniani.Spesso spedivano l’eroe altrove, ilpiù lontano possibile dall’effettivocampo di battaglia. Come nel 1859,quando comandarono ai Cacciatoridi marciare verso la Valtellina, men-tre il centro dello scontro era Solfe-rino.

L’establishment si servì di Gari-baldi, ma voleva comunque tenerlosotto controllo ad ogni costo, comeavvenne in Aspromonte con loscontro con le truppe piemontesiquando egli fu ferito alla gamba.

La convalescenza avvenne a Ca-prera e nel 1864 Garibaldi, rimesso-si abbastanza bene, poteva recarsi dinuovo in Inghilterra, dove si con-centravano i rivoluzionari d’Europae dove il generale era famosissimo:si vendevano biscotti, bluse e persi-no un sapone da barba Garibaldi. Fuospite del deputato Scely nell’isoladi Wight e del duca di Sutherland aLondra. Negli spostamenti le folletrascinavano a braccia la sua carroz-za, come era successo a Napoli e aPalermo nel ’60, addirittura in moltilamentarono che egli era stato se-questrato quasi completamente dal

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governo e dall’aristocra-zia. Garibaldi venne

proclamato civis britannicus daisofisticati studenti di Eton e lasciòtanti bei ricordi nell’anima di mol-te nobildonne sue ospiti, prime fratutte Mary Sacly, la duchessa ma-dre di Sutherland e la duchessanuora Anna. Era sessantenne, male inglesi seppero riconoscere, aldi là dei suoi reumatismi, la suacapacità di ascoltare le donne, cheerano conquistate dalla semplicitàe dal candore, con cui credeva nel-la giustizia e nella fedeltà al suopaese. Un modo tutto suo di pen-sare che lo portò in aiuto dei fran-cesi, contro i quali aveva combat-tuto fin dal Sudamerica, quandonel 1870 erano deboli e sconfittidai prussiani. Come dirà VictorHugo all’Assemblea di Bordeaux,Garibaldi fu l’unico generale a ri-portare vittorie in quella guerra,insegnando la tecnica dell’aggua-to, che sarà ripresa dai francesinelle guerre mondiali con il nomedi maquis.

Il tardivo matrimonio

Le donne colte, incontrate neisuoi viaggi, continuarono a scri-vergli a Caprera e alcune lo se-guirono in Italia, come Elisabettavon Streikelberg, che si insediònell’isola per fargli un busto.

Garibaldi fu un rivoluzionariocoerente e, quando nel 1866 ilministro Pettinengo gli scrisseper ordine del re, si dichiarò su-bito a disposizione, anche se nonconcessero cannoni, né nomined’ufficiali alle sue Camicie rosse,che si stavano ammassando aBergamo. La pedagogia militareera sempre la stessa: la guerrigliae la parola d’ordine, Fate l’aqui-la, occupate le alture! In quellaguerra, che i manuali di storiachiamano terza guerra d’indipen-denza, solo i volontari garibaldinivinsero a Lonato e Bezzecca, do-ve il generale fu ferito e dove nemorirono 2.382, mentre i contadi-ni veneti e trentini non spararonoun sol colpo contro gli austriaci,

provocando una grande amarezzanel Nizzardo: dov’era il popolo i-taliano, a cui aveva dedicato tuttala vita, in nome della libertà edell’indipendenza dallo stranie-ro? La Marmora e Cialdini perse-ro a Custoza; le 12 corrazzate ita-liane, guidate da Persano, furonosconfitte dalle 7 austriache e iprussiani sconfiggevano gli au-striaci a Sadowa. Il Veneto fuconsegnato a Napoleone, che lotrasferì ai Savoia, come un pas-saggio di proprietà, come succe-deva da sempre nelle guerre trare.

Negli ultimi anni della sua vitaGaribaldi si godette la sua fami-glia e prevalse in lui la preoccu-pazione dell’annullamento delmatrimonio con Giuseppina Rai-mondi, in modo da sposare Fran-cesca Armosino, altrimenti laprole avuta da lei sarebbe statachiamata con l’epiteto tradiziona-le: i figli della serva! La cosa nonfu semplice da raggiungere e no-nostante la sua infermità dovette

un PatRImonIo da non dISPeRdeRe

InteRvISta a edeo de vIncentIIS

Edeo De Vincentiis, ex presidente dell’Associazione Magistrati, è un componente del Comitato Direttivo delCentro di Studi Garibaldini, socio della Società di Mutuo Soccorso, fondata dallo stesso Garibaldi. È entratonell’Istituto nel 1997. Gli abbiamo rivolto qualche domanda alla quale ha risposto a titolo personale.

Che cosa rappresenta Garibaldi per lei?Il cliché scolastico e istituzionale, comune a colti e incolti, propone un Garibaldi deformato e ridotto nellasua dimensione umana, individuale e sociale e si fa fatica a capire come un tale personaggio abbia potuto rea-lizzare tutti quegli obiettivi, che nei fatti gli vengono riconosciuti più all’estero che in Italia. Egli ha anticipatodi troppo i tempi.

Come lo ha conosciuto?Ho conosciuto Garibaldi attraverso la tradizione orale materna. Il nonno della mamma, Belisario Nanni, a-bruzzese di Rosciolo (Avezzano) era garibaldino come i suoi cinque fratelli e insieme parteciparono al ten-tativo di prendere Roma nel 1867. In famiglia si raccontava che Belisario baciasse la sua camicia rossa, di-cendo “bella e santa”. Belisario era garibaldino, ma nello stesso tempo il 2 febbraio, festa della MadonnaCandelora, portava la cera delle sue api a Roma, nella piazza di San Pietro, che sarebbe servita per fare igrossi ceri pasquali; al ritorno, faceva omaggio a Giordano Bruno. Come Belisario, ogni uomo ha due reli-gioni: la rivoluzione laica per amore della società rappresenta la religione civile, poi c’è la trascendenza di-vina con cui un individuo stabilisce un tipo di relazione, che fonda l’altra componente religiosa dell’animoumano. Belisario aveva tre figlie: mia nonna e altre due che sono diventate suore. Una è morta in odore disantità e l’altra, prima che scoppiasse la seconda guerra, ha rivoluzionato il suo ordine, la Congregazionedel monte Calvario. Queste due componenti religiose nell’uomo a volte si scontrano, ma ci sono ed è im-portante saperle integrare.

recarsi a Roma, ma continuava aricevere il rifiuto del tribunale.Eppure aveva i documenti, rac-colti da Fazzari, che dimostrava-no come al momento del matri-monio con Garibaldi, Giuseppinafosse incinta di un altro uomo; sisapeva anche il nome dell’amantee come avvenivano i loro incon-tri, ma poiché la Raimondi si o-stinava a confermare solo di nonaver mai dormito con Garibaldi,sorvolando sul resto, il tribunalenegava l’annullamento. Sembra-va una battaglia persa nella so-cietà italiana d’allora anche perun uomo famoso come lui, onestoall’inverosimile, tanto da rifiutarela rendita annua di 50 mila lire,più una pensione della stessa ci-fra, nonostante le evidenti ristret-tezze (nel 1876 accetterà da De-pretis un Dono nazionale, che ri-partì tra i figli, lasciando per sésolo 5.000 lire). Doveva essereuna situazione davvero estremase Garibaldi, dopo aver lottatotutta la vita per l’unità italiana e

perché Nizza tornasse all’Italia,si sentì talmente esasperato datrovarsi costretto a fare un ricattoalle istituzioni: se non avesse ot-tenuto questo annullamento, co-me nizzardo avrebbe chiesto lacittadinanza francese. Messa cosìalle strette, la Corte d’appello,dopo poche settimane accolse ilricorso e nel 1880 il sindaco dellaMaddalena sposò Giuseppe Gari-baldi, agricoltore, con FrancescaArmosino, casalinga.

Prima di morire

Seguirono due viaggi prima diquello definitivo verso l’aldilà: anovembre accompagnò la moglieal suo paese natale, San Damianod’Asti, perché potesse mostrarsial braccio dell’uomo più impor-tante d’Italia, prima di andare aGenova, dove il genero Canzioera stato imprigionato, per con-cludere il viaggio a Milano, dove

inaugurò un monu-mento ai fatti di Men-tana. Più tardi, nel marzo dell’82andò in Sicilia per la commemo-razione del sesto centenario deivespri siciliani. In entrambi iviaggi la gente del nord, comequella del sud accolse Garibaldi,steso su un letto, trascinato dauna carrozza, in un silenzio, dovela commozione derivava non dal-la fama delle grandi imprese del-l’eroe, ma dall’evidenza della suamalandata condizione fisica. Iltrapasso avvenne il 2 giugno del-lo stesso anno, per una paralisialla faringe, che lo aveva lasciatocosciente: vide due capinere suldavanzale, pensò che fossero lesue due bambine morte prematu-ramente, disse di sudare, chiesel’ora. Erano le sei e venti dellasera, quando spirò.

Una donna, Rosa, l’aveva mes-so al mondo e due piccole donne,Teresita e Rosa, lo accompagna-rono all’altro mondo.

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Ci sono altri Centri o Associazioni garibaldine, che lei sappia?A Marsala c’è un Centro Studi Garibaldini molto importante e ben organizzato, poi ci sono gli altri parentidi Garibaldi, attivi culturalmente.

Chi sono questi parenti?Ricciotti ha avuto due figli: Sante e Ezio. Durante il fascismo, il primo va in Francia per esprimere la sua op-posizione, Ezio, invece, rimane in Italia, pur se critico nei confronti della dittatura. Sante ha avuto una figlia,Annita, sposa Jallet, professoressa di storia, presidente dell’Associazione Volontari Socialisti Comunisti, colle-gati alle Brigate Garibaldi della Resistenza. Ezio si sposa due volte e ha due figli Anita e Giuseppe, l’attualepresidente del Centro di Studi di Roma. Ci sono ancora tanti punti da chiarire per avere una visione obiet-tiva di ciò che è avvenuto tra i garibaldini fra le due guerre.

Secondo lei qual è l’importanza storica di Garibaldi?Garibaldi rappresenta il segno di un riscatto nei confronti della presenza dello straniero. Un invito ai giovani: Garibaldi deve essere attualizzato, perché ha dato l’esempio di come perseguire i propri i-deali con il sacrificio personale. Non a parole, ma in maniera concreta, rifiutando i compromessi. Pur di realizza-re i suoi ideali era pronto a rinunciare a qualcosa e da repubblicano si mette al servizio dei Savoia. Questo lorende popolare. Non litigare fra le parti è un messaggio importante, soprattutto nel clima sociale attuale.

Secondo lei quali aspetti di Garibaldi andrebbero approfonditi e quali tralasciati?Vedere la storia fuori dai pregiudizi, cercare la verità nei fatti e non nelle opinioni. Andrebbe tralasciata lacronaca dei piccoli scontri, degli interessi personali e di bottega, che fanno parte del genere umano. In una visione più ampia andrebbe ricercata la verità senza enfasi, ma con la responsabilità di rendere la so-cietà migliore: il buon governo, che vuol dire potere sovrano del cittadino (art. 1 della Costituzione). Quando si scontrano le verità è destino che sia il popolo a pagare.Come giudice so che l’uomo ha potere limitato; se la Costituzione non basta, c’è il diritto naturale, la pro-pria coscienza. La generazione che ha ricostruito il paese, ha affrontato il “testimone di coscienza”.

M. M.

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GIOSUE CARDUCCI

VS La rivista | n.8-9, 2007 51

Una biografia in chiave di mito

Il discorso sotto riportato fu pronunciato, come spe-cifica la data in calce (il 4 giugno 1882), in occa-sione della scomparsa di Giuseppe Garibaldi, mor-to a Caprera 2 giorni prima. Come si noterà, al di làdella ricostruzione puramente ideale, sostenuta dal-

l’insistito ricorso al mito, non pochi sono i passaggi di a-spra polemica politica cui il “poeta-vate” si abbandonacon impeto, quasi con rabbia. In realtà, egli si trova in unmomento delicato della sua evoluzione ideologico-poli-tica: dalle iniziali posizioni mazziniane e garibaldine,era infatti cominciato in lui quel processo di riavvicina-mento alla monarchia sabauda di cui il segnale più co-spicuo è l’imprevedibile omaggio a quell’Eterno femmi-nile regale che, il 26 gennaio dello stesso anno, avevagià avuto modo di tributare alla Regina d’Italia Marghe-rita: “E la Regina ancora, l’eterno femminino”. Di qui ilgiudizio impietoso di Sapegno: “Il giacobino dei Giam-bi ed Epodi si attenuerà sempre più in un girondino an-nacquato e conciliante”.

PeR La moRte dI GIuSePPe GaRIbaLdI

V

Forse, tra il secolo vigesimo quinto e il vigesimo sesto,quando altre instituzioni religiose e civili governerannola penisola, e il popolo parlerà un’altra lingua da quelladi Dante, e il vocabolo Italia suonerà come il nome sacrodell’antica tradizione della patria, forse allora, tra un po-polo forte, pacifico, industre, le madri alle figlie nate li-bere e cresciute virtuose, e i poeti (perché allora vi saran-no veramente poeti) ai giovani uscenti dai lavori o dallepalestre nel fòro, diranno e canteranno la leggenda gari-baldina così.

Egli nacque da un antico dio della patria mescolatosi inamore con una fata del settentrione, là dove l’alpe calasorridente verso il mare, e nel mare turchino si specchiail cielo più turchino, e più verde e amena splende ed auli-sce la terra. Ma tristi tempi eran quelli; e in quel paradisosignoreggiava tutto l’inferno, cioè i tiranni stranieri e do-mestici e i preti. Allora, mentre il fanciullo divino pas-seggiava biondo e sereno co i grandi occhi aperti fra ilcielo e il mare, l’Italia per salvarlo dai tiranni e serbarloalla liberazione, lo rapì a volo in America, nell’Americache un altro ligure grande scoprì secoli innanzi per rifu-gio a lui e a tutti gli oppressi. Ivi il fiero giovinetto creb-

be a cavalcare le onde furiose come polledre di tre anni, acombattere con le tigri e con gli orsi; e si cibò di midolledi leoni; e passò tra quei selvaggi bello e forte come Te-seo, e li vinse o li persuase; sollevò repubbliche, abbattétirannie.

Quando i tempi furono pieni e Teseo era cresciuto adErcole, Italia lo richiamò. Due eserciti, due popoli, quasidue storie si contendevano allora il suolo della patria: asettentrione, i Germani; nel mezzo attorno la eterna cittàgià presa da Brenno schiamazzavano i Galli. Egli vennee volò, di vittoria in vittoria, da un esercito all’altro; e sifermò in Roma.

La leggenda epica, voi sapete, non guarda a intermezzidi tempi; e nella sintesi della vittoria nazionale non tieneconto delle guerre o delle battaglie diverse. Così l’asse-dio di Roma durerà nell’epopea dell’avvenire, comequello di Troia e di Veio, dieci anni. E la epopea raccon-terà delle mura di Roma gremite il giorno di vecchi e didonne e fanciulli a rimirare le battaglie dei padri, dei ma-riti, dei figli; racconterà delle vie di Roma illuminate lanotte e veglianti, mentre gli obici e i flutti dei due eserci-ti s’incontrano e s’incrociano dinanzi le porte. Oh comeinsorgerà la nota omerica ed ariostea quando il poeta can-terà di Daverio, il Calandrelli, il Pietramellara, il Bixio edil Sacchi, e te, Aiace Medici, ritto con mezza spada su leruine del Vascello fumanti; e la pugna di due campi intor-no al cadavere di Patroclo Masina, tornato per la quartavolta all’assalto spronando il cavallo su per le scalee de’Quattro venti! E come dolce sonerà la nota virgiliana edel Tasso, cantando Euriali e Nisi novelli, e Turni e Ca-mille, e Gildippe ed Edoardo, e voi Morosini, e voi Ma-meli, e voi Manara, e cento e cento giovinetti morenti aquindici e diciotto anni co’l nome d’Italia su le labbra,con la fede d’Italia nel cuore! Ma io non so imaginare(sic) quale e quanto sarà rappresentato egli, o caricantesu’l cavallo bianco al canto degli inni della patria il nemi-co, o tornante, con la spada rotta, arso, affumicato, san-guinante, in senato!

L’assedio dunque durò dieci anni, ma Roma non fumai presa. L’eroe fece una diversione oltre gli Appennini,passando come un fulmine fra due eserciti; e tornò conRe Vittorio, che persuase i Galli. I quali, memori di certaaffinità di sangue e di antiche alleanze, si accordaronoco’l re e con gl’Italiani a ricacciare al di là delle Alpi iGermani accampati nel settentrione.

Ma i Galli, in premio dell’aiuto contro i Germani, vol-lero per sé la bella regione ove era nato l’eroe. Egli nonfece lamento. Con mille de’ suoi s’imbarcò su due navifatate, e conquistò in venti giorni l’isola del fuoco e vinsein due mesi il reame de’ Polifemi mangiatori di popoli. Edisse a Re Vittorio: Eccoti, per due province, due regni:bada non altri ceda o venda anche questi. Ma nei servi

ANTOLOGIAIN PROSA

crollarsi gli scapaccioni aggiustati alle lor teste da certemani passanti su le alpi abbassate e pe’ mari rattratti, e sivantavano forti: e gli altri oltraggiavano i lor padri e sisputacchiavano a gara le facce, e si dicevano liberi. Equesti scavavano piccole fosse per deporvi le immondez-ze delle anime loro, e si chiamavano conservatori; e quel-li saltabeccavano, come scimmie ubriache d’acquavite,su le loro frasi, e si gridavano rivoluzionari.

Così narrerà le leggenda epica, la quale, come produ-zione d’un popolo misto di varie civiltà, avrà anche lasua parte comica: se rispondente a qualche vero, nonposso io giudicare. E seguirà, come una fiera procellaspazzasse via la piccola gente, e gli stranieri occupasse-ro anche una volta la penisola. Allora la generazione ga-ribaldina discese alle rive del mare; e tese le braccia sule grandi acque, e gridava - Vieni, ritorna, o duce, o li-beratore, o dittatore. - Alle lunghe grida porse orecchiol’eroe, e s’avviò al riacquisto della terra nativa. E poiche troppo scarsa era ormai la sua generazione, ei fer-mo su ’l Campidoglio, levando alto la spada e battendodel piede la terra, comandò a tutti i morti delle sue bat-taglie risuscitassero. Fu allora che suonò il canto dellemoltitudini:

Si scopron le tombe, si levano i morti;i martiri nostri son tutti risorti.

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UNA BIOGRAFIA IN CHIAVE DI MITO | GIOSUE CARDUCCI

delle antiche tirannidi crebbe il livore, e s’ac-compagnarono co i Galli nei quali l’emulazio-

ne fermentava a odio. E ferirono l’eroe nella sola parteove fosse vulnerabile, nel tallone; e lo rilegarono in una i-soletta selvaggia, che sotto il suo piede fiorì di mèssi e dipiante. Ivi l’eroe stette solitario un lungo corso d’anni; e,come Filottete in Lemno, immergeva il piede ferito nelbagno del Mediterraneo, e la madre dea veniva pe’ cieli aconsolarlo, e dagli amplessi di lei egli riaveva la salute eil roseo lume di giovinezza.

Intanto dal mescolamento dei Galli co i servi aborigeniprocedeva una gente nuova; e la generazione garibaldina,scarsa dopo tante battaglie, erasi ritirata o era stata re-spinta verso gli Appennini e le Alpi. La gente nuova fu dipigmei e di folletti, di gnomi e di coboldi. Gnomi ogni lorindustria mettevano a raspar la terra con le mani e i dentiper cavarne l’oro: coboldi martellavano di continuo retidi maglie di ferro per impigliarvi li gnomi e portarne vial’oro: pigmei e folletti avevano la leggerezza del pensie-ro quasi eguale alla perversità dell’intendimento, e segui-vano con mille giuochi maligni a tormentare e rubare glignomi e i coboldi. In tanta degenerazione anche le Alpi sierano abbassate, e i mari rattratti; e l’aquila romana inti-sichiva dentro la nuova gabbia che le avevano fatta. I co-boldi e gli gnomi trionfavano. E gli uni ricevevano senza

52

53n.8-9, 2007

tomi della trasformazione, e questi rifaccia-no i vivi!

Nei temi omerici della Grecia, intorno a’ roghi deglieroi si aggiravano i compagni d’arme e di patria, get-tando alle fiamme quelle cose che ciascuno aveva piùcare; alcuni sacrificavano anche i cavalli, altri gli schia-vi e fino se stessi. Io non chieggo tanto agli italiani: iovoglio che i partiti vivano, perché sono la ragione dellalibertà. Ma vorrei che i partiti, dal monarchico il qualevantasi alleato Giuseppe Garibaldi al socialista che dalui si crede iniziato e abilitato, intorno alla pira che fu-merà su ‘l mare gittassero non le cose loro più care matutto quello che hanno più tristo.

Così noi potremo sperare che nei giorni dei pericoli edelle prove (e sono per avventura prossimi e grandi)l’ombra del Generale torni cavalcando alla fronte deinostri eserciti e ci guidi ancora alla vittoria e alla gloria.

4 giugno 1882

(Giosue Carducci, Per la morte di Giuseppe Garibaldi, in Prosedi Giosue Carducci. MDCCCLIX – MCMIII, Zanichelli, Bolo-gna 1904).

E allora le rosse falangi corsero vittoriose la penisola,e l’Italia fu libera, libera tutta, per tutte le Alpi, per tuttele isole, per tutto il suo mare. E l’aquila romana tornò adistendere la larghezza delle ali tra il mare e il monte, emise rauchi gridi di gioia innanzi alle navi che veleg-giavano franche il Mediterraneo per la terza volta italia-no.

Liberato e restituito negli antichi diritti il popolo suo,conciliati i popoli attorno, fermata la pace la libertà lafelicità, l’eroe scomparve: dicono fosse assunto ai con-cilii degli Dii della patria. Ma ogni giorno, il sole, quan-do si leva su le Alpi tra le nebbie del mattino fumanti ecade tra i vapori del crepuscolo, disegna tra gli abeti e ilarici una grande ombra, che ha rossa la veste e biondala capelliera errante su i venti e sereno lo sguardo sicco-me il cielo. Il pastore straniero guarda ammirato, e diceai figliuoli - È l’eroe d’Italia che veglia su le alpi dellasua patria. -

VI

Cos’ canterà l’epopea futura. Ma dimani o poco di poile molecole che furono il corpo dell’eroe andranno di-sperse nell’aure, tendendo a ricongiungersi con il Sole,di cui egli fu su questa terra italiana la più benefica esplendida emanazione. Oh i venti portino attorno gli a-

GIOSUE CARDUCCI | UNA BIOGRAFIA IN CHIAVE DI MITO

VS La rivista | n.8-9, 200754

EDMONDO DE AMICIS

Garibaldi nel “cuore”

Èquesta una delle “lettere” risorgimentali chesono presenti nel libro Cuore. Edmondo DeAmicis, dopo aver dedicato dei medaglionicelebrativi ai nostri più venerati “padri dellapatria” (Cavour, Mazzini e Vittorio Ema-

nuele II), si riserva di ritrarre per ultimo, a conclusio-ne del suo libro, Giuseppe Garibaldi, prendendo a pre-testo l’occasione della sua morte. L’intento morale e civile di De Amicis appare eviden-te: egli vuol farsi portavoce, nella difficile fase di tran-sizione post-risorgimentale, di quei valori unitari che,a suo parere, avrebbero dovuto essere a fondamentodella Nuova Italia.

3 GIuGno. domanI è FeSta nazIonaLe

Oggi è un lutto nazionale, Ieri sera è morto Garibaldi.Sai chi era? È quello che affrancò dieci milioni d’Italia-ni dalla tirannia dei Borboni. È morto a settantacinqueanni. Era nato a Nizza, figliuolo d’un capitano di basti-mento, A otto anni salvò la vita a una donna; a tredici,

tirò a salvamento una barca piena di compagni che nau-fragavano; a ventisette, trasse dall’acque di Marsigliaun giovanetto che s’annegava; a quarant’uno scampòun bastimento dall’incendio sull’Oceano. Egli combattédieci anni in America per la libertà d’un popolo stranie-ro, combatté in tre guerre contro gli Austriaci per la li-berazione della Lombardia e del Trentino, difese Romadai Francesi nel 1849, liberò Palermo e Napoli nel1860, ricombatté per Roma nel 67, lottò nel 1870 controi Tedeschi in difesa della Francia. Egli aveva la fiammadell’eroismo e il genio della guerra. Combatté in qua-ranta combattimenti e ne vinse trentasette. Quando noncombatté, lavorò per vivere o si chiuse in un’isola soli-taria a coltivare la terra. Egli fu maestro, marinaio, o-peraio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Eragrande, semplice e buono. Odiava tutti gli oppressori, a-mava tutti i popoli, proteggeva tutti i deboli; non avevaaltra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori, di-sprezzava la morte, adorava l’Italia. Quando gettava un

grido di guerra, legioni di valorosi accor-revano a lui da ogni parte: signori lascia-vano i palazzi, operai le officine, giovanet-ti le scuole per andare a combattere al so-le della sua gloria. In guerra portava unacamicia rossa. Era forte, biondo, bello. Suicampi di battaglia era un fulmine, negli af-fetti un fanciullo, nei dolori un santo. Mil-le Italiani son morti per la patria, felici,morendo, di vederlo passar di lontano vit-torioso; migliaia si sarebbero fatti uccide-re per lui; milioni lo benedissero e lo bene-diranno. È morto. Il mondo intero lo pian-ge. Tu non lo comprendi per ora. Ma leg-gerai le sue gesta, udrai parlar di lui con-tinuamente nella vita; e via via che cresce-rai, la sua immagine crescerà pure davan-ti a te; quando sarai un uomo, lo vedrai gi-gante; e quando non sarai più al mondotu, quando non vivranno più i figli dei tuoifigli, e quelli che saran nati da loro, anco-ra le generazioni vedranno in alto la sua

testa luminosa di redentore di popoli coronata dai nomidelle sue vittorie come da un cerchio di stelle, e ad ogniitaliano risplenderà la fronte e l’anima pronunziando ilsuo nome.

Tuo padre

(Edmondo De Amicis, Cuore, Milano Treves 1886)

ANTOLOGIAIN PROSA

GIOVANNI PASCOLI

VS La rivista | n.8-9, 2007 55

I mille nella trasfigurazionepoetica

Il brano proposto, di Giovanni Pascoli, comparveper la prima il 5 maggio 1910 su “Il secolo XIX”.Esso, anche se dedicato all’impresa dei Mille, inrealtà era stato scritto in occasione del cinquante-nario dell’unità nazionale. Postillerà infatti il

poeta stesso, pubblicando lo scritto in volumetto, in-sieme al discorso Ritorno a Caprera – IX NovembreMDCCCLX: “Ai cuori devoti della patria ci rivolgia-mo nel cinquantenario di lei.” L’edizione da noi segui-ta, uscita nel 1914, ha la Prefazione della sorella delpoeta Maria la quale – ricordando come, in occasionedell’edizione di Pensieri e discorsi del 1907, il Pascoliindividuasse il senso di quel libro nella parola libertà:“Libertà! Libertà! Questa è l’idea che pervade il li-bricciolo” – aggiungeva da parte sua: “E libertà, e,possiamo aggiungere, amore, sono le due correnti cheattraversano anche questo”.

aPPaRve avantI L’InnumeRevoLe SoRRISo

deL maRe e deL cIeLo

I.

Aveva ripreso la camicia rossa e il mantello dellePampe. Era tornato gaucho e matrero; ma la sciabolateneva non ancora a cinta, bensì sull’omero, comel’avesse a deporre subito, e conservar soltanto il pu-gnale e la rivoltella del marinaio. Era tornato alla caradoppia vita del suo giovane mondo di là dell’Oceano.E il pastore gioiva dentro sé vedendo squarciarsi ilcielo sino in fondo e mostrarsi chiare le stelle. E ilnocchiero le riconosceva per nome, e ne sentiva l’ar-monia sublime. In altre notti l’aveva sentita quella in-definita armonia: nei piani immensi e ondulati, coper-ti di erba, popolati da cavalli da gazzelle da struzzi,quando riposava dai lunghi galoppi col capo sulla sel-la, legato il cavallo a uno spiniglio; sull’Atlantico abordo della “Speranza”, nel viaggio di ritorno, dopoil canto della preghiera serale, che era un inno allaPatria elevato da sessanta voci, tra le quali, così fierae soave, la sua; nell’isola deserta che là, presso l’Au-

stralia, lo attrasse prima della rupestre Caprera, nell’i-sola abitata solo da uccelli variopinti, dove mormora-va fra l’alte piante secolari un limpido ruscello; nel-l’Adriatico, qualche anno addietro, quando movevacon l’armatetta di bragozzi verso Venezia, ed ecco silevò dal mare piena la luna estiva, la compagna deinaviganti, ch’egli aveva adorata tante volte come uncorsaro Fenicio, e che intanto lo tradiva... Ma ora,nella notte del cinque maggio, nessun dubbio o timo-re sorgeva nell’animo di chi pur doveva navigare tracrrociere nemiche. Brillava il fuoco dei mille lumina-ri del cielo. A Garibaldi splendeva serenamente digioia il cuore e il volto.

II.

Ma dopo quali e quante ansie era giunto a quella sere-nità! Sin dal quindici d’aprile egli era a Quarto, in vistadel mare che doveva portarlo all’isola del fuoco incon-sumabile. Ma già dagli ultimi di marzo Rosalino Pilo, ilprecursore, vi aveva approdato; e già dal quattro d’apri-le vi era scoppiata la rivoluzione. Ne seppe Garibaldi?Certo egli il sette chiedeva al Re una brigata per far pre-sto; poi, negatagli questa, fucili, denari e un vapore. Main tanto si spargevano voci di sventura. Si seppe cheMiniscalco l’aveva presa per i capelli, la rivoluzione?Tuttavia a mezzo aprile Garibaldi lesse forse lettere diRosalino che sonavano fiducia; sì che dopo aver depo-sto il pensiero della spedizione, lo riprendeva. E allorasi cominciò a chiamare e scegliere gente, né proprio inpalese né del tutto in segreto. Nell’oscuro e polverosopalcoscenico d’un teatrino inoperoso, al debole chiaro-re d’un lume ad olio messo dietro una quinta, nella cittàche doveva dare il maggior numero di militi alla spedi-zione, Nullo e Cucchi esaminavano e registravano i vo-lontari. Un d’essi era troppo giovane: aveva poco più diquindici anni. E Nullo non lo voleva; ma il ragazzo,Guido Sylva, con la testimonianza di Cucchi provavad’aver fatta la campagna dell’anno prima, a meno diquindici anni, ed era inscritto. E confluivano a Genovaquelli che dovevano compir l’opera della quale due mi-rabili eserciti e una coorte d’uomini altissimi d’ingegnoe di cuore, Cavour, Farini, Ricasoli, avevano appenafatta la metà; e uno di questi, ancora vivente per nostroorgoglio e amore, Gaspare Finali, che aveva viaggiatoin treno con una squadra di volontari, scriveva in queigiorni che alla cera parevano “scarti delle milizie”. Sì:

ANTOLOGIAIN PROSA

tentativo del quarantotto e quarantanove, nel quale siprovarono il Re e il popolo, s’era concluso con Nova-ra e con la difesa di Roma e di Venezia. Con quantofulgor di gloria erano cadute le due repubbliche! Maqui la monarchia non ruppe fede, non abbassò la ban-diera, non rinnegò il patto che aveva giurato col san-gue. E nel cinquantanove, con le arti e i mezzi ch’ellasoltanto poteva avere, e con un magnifico esercito chein un decennio aveva accresciuto ed esercitato in pa-tria e saggiato in Crimea, vinse la prova. Per parte sua,con la forza e l’accorgimento, aveva fatto quel che do-veva e poteva fare: mezza Italia era unita.

Ora a voi, energie naturali spontanee improvvise!Ora a te, Popolo! Vediamo quel che sai fare! Noi fac-ciamo prima le battaglie e poi i plebisciti. Noi vincia-mo le guerre, e chiamiamo poi il popolo a goderne ilfrutto. Ma altre arti e altra possanza sono del Popolo, acui Dio va innanzi.

Tu, apostolo errante, sei lo Spirito che sommuovefin dal fondo le acque dormienti. Tu, condottiero ro-mito, sei l’Anima comune che agita e accende e solle-va le turbe come un sol uomo. Voi fate sì che il popo-lo non aspetti di essere liberato, ma si liberi da sé; voifate sì che il voto del plebiscito egli lo scriva col suosangue. A voi, dunque! Garibaldi, l’anno scorso, nelnostro anno di gloria, ha, sì passato primo il Ticino; èstato indicibilmente utile tirandosi addosso Urban eimpedendogli d’essere a Magenta e mutare la nostravittoria in disfatta; ha combattuto, coi suoi pochi e im-provvisati cacciatori, da par suo; e più avrebbe fatto,se gli toccava più gente, più fede, più tempo. Ma, in-somma, che cosa sono i suoi grigi cacciatori delle Al-pi in cospetto dell’Italia, confrontati coi nostri neripiumati bersaglieri? Orsù, Eroe del Popolo, fa qualchecosa che assomigli alla nostra grande guerra! Tuona

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I MILLE NELLA TRASFIGURAZIONE POETICA | GIOVANNI PASCOLI

come i cacciatori dell’Alpi (erano in granparte sempre essi) che avevano vinto a Vare-

se e a San Fermo. Erano studenti, erano giovani dibuona famiglia, come si dice, erano popolani, i più,che uscivano dalla loro vita umbratile in famiglia e incittà, e movevano al gran sole delle battaglie. Il piùgiovane, di undici anni, da Chioggia; il più vecchio, disessantanove, da Genova: San Marco e San Giorgio!Accorrevano a Genova, dove intanto da Malta era per-venuta la notizia del “completo insuccesso” della rivo-luzione in Palermo e nelle provincie. In Palermo eranostate fucilate “le tredici vittime”; l’eroico Riso eramorto delle sue ferite; a Carini era successa una stragemostruosa. Garibaldi, non essendoci più la rivoluzio-ne da aiutare e da guidare, si vedeva tolto il suo com-pito. Non c’era più nulla da fare. Invano Crispi insiste-va, Bertani incorava, Bixio tempestava mandando al-l’inferno amici e nemici. Invano molti degli accorsidichiararono perfino a lui, Garibaldi, di voler partirsisenza lui. Egli li congedò pallidi disfatti lacrimosi.Non si partiva più.

III.

Non si trattava, o giovanotti, solo di morire!Ecco. Non è vero che il Risorgimento d’Italia sia

stato ritardato dalle discordie; ché tra i fautori e autorid’esso non era, in verità, discordia, sì gara; e l’emula-zione promuove, sprona, affretta. Al Re piegava lapensosa fronte Mazzini pur che il Re unisse l’Italia.Nell’Italia sarebbe rimasto monsù Savoia Vittorio E-manuele, pur che ella fosse indipendente e una. L’Ita-lia Garibaldi l’avrebbe fatta “anche col diavolo”. O-gnuno non tanto voleva quanto doveva aver la sua par-te d’azione in questa grande opera. Il primo generale

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mente faticosamente sui plaustri; e formanoun sol popolo agile e abile, paziente e sa-piente, pensoso e canoro. Quando ti vedranno, o Aspet-tato, tutti ti avranno già veduto. Quando? Dove? Trove-ranno in fondo all’opaca coscienza l’immagine tua. Siricorderanno di te come d’un antichissimo eroe che ap-proda alla terra dei Ciclopi, e incolume ascolta il cantodelle Sirene, e passa illeso tra le rupi cozzanti, e varcatra i vortici e gli abissi, e va al regno dei morti e ne ri-torna. Si ricorderanno di te, come d’un condottiero difigli di vergini in cerca di nuova patria, or che hai per-duto la tua. Si ricorderanno di te, come d’un rude con-sole o dittatore Romano, che lascia la stiva dell’aratro eimpugna la barra della nave. Si ricorderanno di te, comed’un biondo Normanno, che approda con pochi compa-gni a difendere e salvare. Vedranno in te il nipote dellaloro Santa, ti crederanno il Profeta, sarai il Dio. Vieni!Entrerai in Palermo, come un Geova, tra la tempesta e iventi e i tuoni e i lampi. Entrerai in Napoli, solo, tra gliosanna e le palme, come Gesù. Noi abbiamo steso sottoi tuoi piedi le nostre vite purpuree. Col nostro sanguet’abbiamo preparata la via”.

E l’Eroe dagli scogli liguri dove s’era indugiato Co-lombo a contemplare l’occaso e le terre sorgenti di là, edonde Mazzini aveva veduto l’aurora del sole e dellaPatria, ascoltò tra il fischio del vento che gli agitaval’ancor fulva criniera, ascoltò il furioso sonare squillaremartellare a stormo di nuovi veri Vespri, in mezzo alqual tumulto scoppiavano, con suono anche più nuovo,le bombe devastatrici.

Era il trenta aprile, il giorno della battaglia ad moe-nia, della vittoria generosa, conclusa con amplessi e ap-plausi, il giorno che non mai fu, il latin sangue gentile,più gentile. Garibaldi disse: Andrò.

Fu un nuovo telegramma da Malta che lo persuase? Oil vecchio nuovamente interpretato? O uno al tutto in-ventato e supposto?

Uno dei più prodi e il più eloquente dei compagnid’arme del Generale così scrive: “nessuno lo persuase;nessuno lo dissuase... fu certo una gran voce echeggiatadentro le profondità più ascose dell’anima sua, quellache troncò tutti i contrasti, vinse tutte le dubbiezze diGaribaldi...”.

Il fatto è che il trenta aprile, nel giorno della sua vitto-ria intorno Roma, l’uomo che, ceduta Nizza alla Fran-cia, non aveva più patria italiana, disse: Partiamo, mapurché sia domani!

VI.

Convenne aspettare cinque giorni.La notte del cinque maggio l’Eroe stava sullo scoglio,

aspettando i due vapori, sereno e ilare in vista. Egli an-dava alla più grande impresa de’ nostri tempi, e non deinostri soltanto. L’ispirazione ideale di essa veniva daMazzini. Non partiva l’eroe per unire il gran regno delmezzogiorno a ciò che già s’era unito dell’Italia setten-trionale e centrale. Immensamente più alto era il fine.Egli puntava su Roma. Egli avrebbe sollevato tutto il

57n.8-9, 2007

anche tu, tra il fragore d’un uragano, il tuo Andoummafioeui! Sali anche tu, contro il fulminare di cento can-noni, un tuo San Martino!

IV.

Non si trattava solo di morire!Egli errava, in quei giorni, lungo la spiaggia del ma-

re inquieto, tendendo forse le braccia a lontane visio-ni. Giungevano a lui, se non erano le ondate che sifrangevano alla scogliera, “i flebili rintocchi” dellecampane della Gancia. Non erano i Vespri. Arrivavanole grida dei fucilati di Palermo, degli sgozzati di Cari-ni. Egli udiva i ruggiti di Pisacane e di Falcone e deiloro compagni tra le scuri e le roncole e le unghie deivillani. Dirugginir di catene udiva da fosse e segrete, erullar di tamburi intorno a forche o in cupi valloni. Uncoro mattinale di fresche voci giovanili passava in al-to cantando:

Chi per la Patria muorvissuto è assai!E invero un rimbombo scrosciante di fucileria inter-

rompeva il canto; dopo di che egli udiva ancora: Fuocodi nuovo! Viva l’Italia!

Sì. Muoiano pure ancora gli uomini, ma viva final-mente l’Italia! O martiri santi, noi non vogliamo più es-sere spiati, indicati, legati, straziati, uccisi dai fratelliche veniamo a soccorrere e sollevare. Vogliamo ches’affollino intorno a noi in festa, che ci salutino in gioia,che ci seguano in armi; che le scuri e le roncole le usinocontro i loro corruttori e oppressori; non contro noi.Morire, sì; ma non due volte!

E allora, dalla profondità cerulea o del suo mare o del-la sua anima, tutte le voci si unirono in una voce sola.

“Vieni! Il Popolo non ci conobbe sulle prime; ma fi-nalmente, a forza di attorniare i nostri patiboli, congazzarre in principio, e, dopo, in silenzio, con orrore,con pietà, poi, mormorando, fremendo, ruggendo, haappreso chi noi eravamo. Non ci conobbe se non do-po; ma ora in te e in voi ci riconoscerà. Vieni: Mostra-ti, e si solleverà. Tu dirai: Seppellitevi sotto le rovinedella vostra città! E il Popolo dirà: Sì. Tu alzerai il di-to, per dire, Una! E l’Italia una sarà”.

V.

Le voci riprendevano:“L’Italia è là, a mezzogiorno, oltre quella distesa az-

zurra. È là dove noi andammo a morire per un oscuro ri-cordo o per un segreto presentimento, e donde veniamoa te, o nostro Aspettato, precursori tuoi. Nei secoli re-moti là sonò prima la parola sacra: ITALIA! Là il misti-co Oriente s’incontrò e s’infuse nelle anime schiette esemplici degli uomini attivi. Là l’Ellade divenne piùgrande e poi si temprò di austerità latina. Là sono gentidi tanti sangui e lidi e colori, ma venutevi per mare, sunavi avventurose, non trascinatevisi cautamente lenta-

GIOVANNI PASCOLI | I MILLE NELLA TRASFIGURAZIONE POETICA

uno dei volontari, quegli che incise con la punta dellaspada le sue memorie garibaldine. Napoleone, a quel-l’ora, giaceva freddo e immobile da dodici ore sul suoletto da campo. Gli alisei sibilavano nella trista isoladelle nubi. Egli si era raccolto nella sua ultima visio-ne. Aveva veduto sé sul suo cavallo bianco, alla testad’un esercito innumerabile e invincibile. L’ultimo, eforse il più grande imperatore latino, marciava versol’oriente. Era stato vinto, tradito e preso Cesare: sisvegliava Alessandro. Il sogno che aveva sognato a-vanti gli occhi fissi della Sfinge di granito, ora diven-tava realtà. Colonne infinite d’uomini parlanti tutte lelingue d’Europa s’irradiavano attorno al piccolo e pal-lido Corso meditante sul suo caval bianco. Un immen-so calpestìo lo seguiva, lo precedeva, lo circondava.Cigolar di ruote, tonar di carriaggi, ballonzar d’affusti,ringhiar di cavalli, barrir d’elefanti. Egli disse: tête...armée... E spirò nella sua marcia oltreumana.Sono passati tanti anni... ma è quel giorno. È la mez-zanotte di quel giorno. L’Eroe latino è sullo scoglio a-vanti il cielo e il mare. Ode scalpicciare intorno a sé. Èl’armata di cui egli è alla testa, per la conquista del-l’impero universale del Diritto. Di lì a poco, a bordodel vapore che lo deve condurre a tale sovraumana im-presa, chiede:Quanti siamo in tutti?Coi marinai siam più di mille. Eh! Eh! Quanta gente!E s’intese da tutti la sua voce tranquilla soave alta:- AVANTI!

Giovanni Pascoli, I Mille - V Maggio MDCCCLX, inPatria e umanità, 1899-1912, Zanichelli, Bologna1914).

VS La rivista | n.8-9, 2007

I MILLE NELLA TRASFIGURAZIONE POETICA | GIOVANNI PASCOLI

popolo e con quello avrebbe ricuperato ilCampidoglio e fatta l’Italia. E dall’Arce sacra

l’Italia avrebbe di nuovo parlato al mondo. E l’orbe sisarebbe volto anche una volta all’urbe. Il succedersivertiginoso di tali mirabili avvenimenti, il risorgere im-provviso di così disperata nazionalità, l’apparire sfolgo-rante nel cielo dell’Europa di nomi già tanto gloriosi epoi ridotti a tanto diversi e minori significati, Italia eRoma, la rivelazione incredibile eppur vera d’un popo-lo così forte, di genii così eccelsi, di volontà così effica-ci, avrebbero diffuso un’ebbrezza, un delirio, un india-mento universale. Si sarebbe ripetuta la pienezza deitempi. Tutti gli oppressi avrebbero spezzate le catene.Tutte le nazioni si sarebbero ricostituite. Tutti i popoli sisarebbero abbracciati. Sarebbe sorto il gran consigliodelle genti, e sarebbe stato, dopo tanti secoli di stragid’incendi di violenza, pace.

L’Eroe teneva a spall’arm’ la sciabola, come per de-porla. Le onde sussurravano ai suopi piedi. Scintillava-no i fuochi del cielo sul suo capo. Il vento agitava ilmantello delle sue galoppate americane. Dietro lui e in-torno a lui era uno scalpiccio incessante. Era l’esercitosuo impaziente che batteva e strisciava i piedi sullaspiaggia, come i cavalli delle Pampe non ferrati. In tuttiera la coscienza della grande impresa. Non era di miraun’isola, un regno, un re, ma il mondo.

A che pensavano nella lunga e mal sofferta aspetta-zione?

VII.

Era il cinque maggio ancora per poco. Le stelle eranogià a mezzo il loro tacito scivolìo. “Chi non pensò cheera l’anniversario della morte di Napoleone?” dice

58

GABRIELE DÕANNUNZIO

VS La rivista | n.8-9, 2007 59

quando la retorica diventa un’arma

Gabriele D’Annunzio, dopo la composi-zione di alcune delle sue maggiori ope-re letterarie, si occuperà sempre più diquestioni politiche, fino a divenire ilcorifeo, nel 1915, dell’intervento in

guerra dell’Italia a fianco di Francia e Inghilterra. Do-po il suo trionfale rientro in Italia, successivo ad unlungo periodo di permanenza in Francia, egli rispondeall’invito di tenere un’orazione inaugurale per il mo-numento celebrativo dell’impresa dei Mille a Quarto,ponendosi così alla testa dello schieramento interven-tista.

Da questo momento in poi, egli si segnalerà per isuoi discorsi incendiari e per i suoi interventi pubblici,che troveranno la loro ideale cassa di risonanza neiprincipali giornali italiani, primo fra tutti il “Corrieredella Sera”.

Le pagine che proponiamo sono solo un esempio diquella studiata retorica, di quella scrittura di propagan-da, che, esaltando l’azione per l’azione e la “bella mor-te”, finirà per intossicare la vita civile e politica italiana,fino a consegnare il paese al sorgente fascismo.

un nuovo “maGGIo RadIoSo”neL SeGno deI mILLe

Romani, Italiani, fratelli di fede e d’ansia, amicimiei nuovi e compagni miei d’un tempo, non a mequesto saluto d’ardente gentilezza, di generoso rico-noscimento. Non me che ritorno voi salutate, io lo so;ma lo spirito che mi conduce, ma l’amore che mi pos-siede, ma l’idea che io servo.

Il vostro grido mi sorpassa, va più oltre, va più alto. Iovi porto il messaggio di Quarto, che non è se non un mes-saggio romano alla Roma di Villa Spada e del Vascello.

Dalle mura aureliane stasera la luce non s’è partita,non si parte. Il chiarore s’indugia a San Pancrazio. Orè sessantasei anni (contrapponiamo la gloria all’onta)in questo giorno il Duce di uomini riconduceva da Pa-lestrina in Roma la sua Legione predestinata ai mira-coli di giugno. Or è cinquantacinque anni (contrappo-

niamo l’eroismo alla pusillanimità), in questa sera, inquest’ora stessa, i Mille, in marcia da Marsala versoSalemi, sostavano; e a piè de’ lor fasci d’armi mangia-vano il loro pane e in silenzio si addormentavano.

Avevano in cuore le stelle e la parola del Duce, cheè pur viva e imperiosa oggi a noi: “Se saremo tutti u-niti, sarà facile il nostro assunto. Dunque, all’armi!”

Era il proclama di Marsala; e diceva ancora, con ru-de minaccia: “Chi non s’arma è un vile o un traditore.”

Non stamperebbe dell’uno e dell’altro marchio, Egliil Liberatore, se discendere potesse dal Gianicolo allabassura, non infamerebbe Egli così quanti oggi in pa-lese o in segreto lavorano a disarmare l’Italia, a sver-gognare la Patria, a ricacciarla nella condizione servi-le, a rinchiodarla su la sua croce o a lasciarla agoniz-zare in quel suo letto che già talvolta ci parve una se-poltura senza coperchio?

ANTOLOGIAIN PROSA

di chi laggiù oggi soffre la fame del corpo, la famedell’anima, lo stupro obbrobrioso, tutti gli strazii.

Calpesta dal barbaro atroceO Madre che dormi, ti chiamaUna figlia che gronda di sangue.

Or è cinquantacinque anni, in questa sera, in que-st’ora stessa, i Mille s’addormentavano per risvegliar-si all’alba e per andare avanti, sempre avanti, non con-tro il destino ma verso il destino che ai puri occhi lorofaceva con la luce una sola bellezza.

Si risvegli Roma domani nel sole della sua neces-sità, e getti il grido del suo diritto, il grido della suagiustizia, il grido della sua rivendicazione, che tutta laterra attende, collegata contro la barbarie.

“Dov’è la vittoria?” chiedeva il poeta giovinetto ca-duto sotto le vostre mura, mentre anelava di poter mo-rire su l’alpe orientale, in faccia all’Austriaco.

O giovinezza di Roma, credi in ciò ch’ei credette;credi, sopra tutto e sopra tutti, contro tutto e controtutti, che veramente Iddio creò schiava di Roma la Vit-toria.

Com’è romano forti cose operare e patire, così è ro-mano vincere e vivere nella vita eterna della Patria.

Spazzate, dunque, spazzate tutte le lordure, ricaccia-te nella Cloaca tutte le putredini!

Viva Roma senza onta!Viva la grande e pura Italia!

(Gabriele D’Annunzio, Arringa al popolo di Roma accalcatonelle vie e acclamante, la sera del XII maggio MCMXV, inScritti politici di Gabriele D’Annunzio, Introduzione a cura diPaolo Alatri, Feltrinelli, Milano 1980).

VS La rivista | n.8-9, 2007

QUANDO LA RETORICA DIVENTA UNÕARMA | GABRIELE DÕANNUNZIO

C’è chi mette cinquant’anni a morire nelsuo letto. C’è chi mette cinquant’anni a com-

piere nel suo letto il suo disfacimento. È possibile che noi lasciamo imporre dagli stranieri

di dentro e di fuori, dai nemici domestici e intrusi,questo genere di morire alla nazione che ieri, con unfremito di potenza, sollevò sopra il suo mare il simula-cro del suo più fiero mito, la statua della sua volontàvera che è volontà romana, o cittadini?

Come ieri l’orgoglio d’Italia era tutto volto a Roma,così oggi a Roma è volta l’angoscia d’Italia; ché da tregiorni non so che odore di tradimento ricomincia asoffocarci.

No, noi non siamo, noi non vogliamo essere un mu-seo, un albergo, una villeggiatura, un orizzonte ridi-pinto col blu di Prussia per le lune di miele internazio-nali, un mercato dilettoso ove si compra e si vende, sifroda e si baratta.

Il nostro Genio ci chiama a porre la nostra improntasu la materia rifusa e confusa del nuovo mondo. Ri-passa nel nostro cielo quel soffio che spira nelle terzi-ne prodigiose in cui Dante rappresenta il volo dell’a-quila romana, o cittadini, il volo dell’aquila vostra.

Che la forza e lo sdegno di Roma rovescino alfine ibanchi dei barattieri e dei falsarii. Che Roma ritrovinel Foro l’ardimento cesariano. “Il dado è tratto”. Get-tato è il dado su la rossa tavola della terra.

Il fuoco di Vesta, o Romani, io lo vidi ieri ardere nel-le grandi acciaierie liguri, nelle fucine che vampeggia-no di giorno e di notte, senza tregua. L’acqua di Giutur-na, o Romani, io la vidi colare a temprar piastre, a raf-freddar le frese che lavorano l’anima dei cannoni.

L’Italia s’arma, e non per la parata burlesca ma pelcombattimento severo. Ode da troppo tempo il lagno

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IPPOLITO NIEVO

VS La rivista | n.8-9, 2007 61

Il generale

Ha un non so che nell’occhio,Che splende dalla menteE a mettersi in ginocchioSembra inchinar la gente,Pur nelle folte piazzeGirar cortese, umano,E porgere la manoLo vedi alle ragazze.

Sia per fiorito calleIn mezzo a canti e a suoni,Che tra fischianti palleE scoppio de’ cannoni,Ei nacque sorridendoNé sa mutar di stile.Solo al nemico e al vileÈ l’occhio suo tremendo.

Stanchi, disordinatiLo attorniano talora,Lo stringono i soldati;D’un motto ei li ristora,Divide i molti guai,Gli scarsi lor riposi,Né si fu accorto maiChe fossero cenciosi.

Conscio forse il cavalloDi chi gli siede in groppa,Per ogni via galoppaNé mette piede in fallo.Talor bianco di spumeS’arresta e ad ambo i latiFa plauso al lor numeLa folla dei soldati.

Chi no ‘l vide tal fiataSulle inchinate testePassar con un’occhiataChe infinita direste?È allor che nelle intenseLuci avvampa il desioDelle Pampas immenseE del bel mar natio!

Fors’anco altre memorieIngombran l’orizzonteDi quell’altera fronteE il sogno d’altre glorie!Ma nel sospeso ciglioLa vision s’oscura,E quasi ei la pauraCon subito cipiglio.

Oh numi d’alti tempi,Idoli d’altri altari,Tolti di braccio agli empi,Salvi di là dei mari,Ditemi, che chiedeteAl vostro vecchio amico?Ombre e non altro siete,Ombre d’un sogno antico!

Strofe di 7 ottave, composte di settenari, i cui versi so-no rimati tra di loro.

(Ippolito Nievo, Gli amori garibaldini, in Tutte le opere, a curadi Marcella Morra, Milano Mondadori 1970).

ANTOLOGIAIN POESIA

Garibaldi, olio su tela, cm 60x80 (Societ� Mutuo Soccorso Reduci

ANTOLOGIAIN POESIA

dal triste amplesso di Pietro e Cesare:tu hai, Garibaldi in Mentanasu Pietro e Cesare posto il piede.

O d’Aspromonte ribelle splendido,o di Mentana superbo vindice,vieni e narra Palermo e Romain Capitolïo a Camillo. -

Tale un’arcana voce di spiriticorrea solenne pe ’l ciel d’Italiaquel dí che guairono i vili,botoli timidi de la terga.

Oggi l’Italia t’adora. Invòcatila nuova Roma novello Romolo:tu ascendi, o divino: di mortelunge i silenzii dal tuo capo.

Sopra il comune gorgo de l’anime te rifulgente chiamano i secoli a le altezze, al puro conciliode i numi indigeti su la patria.

Tu ascendi. E Dante dice a Virgilio“Mai non pensammo forma piú nobiled’eroe”. Dice Livio, e sorride,“È de la storïa, o poeti.

De la civile storia d’Italiaè quest’audacia tenace ligure,che posa nel giusto, ed a l’altomira, e s’irradia ne l’ideale”.

Gloria a te, padre. Nel torvo fremitospira de l’Etna, spira ne’ turbinide l’alpe il tuo cor di leoneincontro a’ barbari ed a’ tiranni.

Splende il soave tuo cuor nel ceruloriso del mare del ciel de i floridimaggi diffuso su le tombesu’ marmi memori de gli eroi.

4-5 Novembre, 1880. Ode in strofe alcaiche (Giosue Carducci, Delle odi barbare libro I, in Tutte le poesie,a cura di Luigi Banfi, Milano, vol. III, Rizzoli, Milano 1964).

La Battaglia di Mentana avvenne il 3 novembre 1867

LXXXVI

Te là di Roma su i fumanti spaldi Alte sorgendo ne la notte oscuraPlaudian pugnante per l’eterne muraL’ombre de’ Curzi e Deci, o Garibaldi.

A te de’ petti giovanili e baldiSfrenar l’impeto è gioia; a te venturaPercuoter cento i mille, e la sicuraMorte con amorosi animi saldi

Abbracciar là sopra il nemico estinto.Or tu primo a spezzar nostre ritorteCorri, sol del tuo nome armato e cinto.

Vola tra i gaudi del periglio, o forte:Vegga il mondo che mai non fosti vintoNé le virtù romane anco son morte.

7 Giugno 1859. Sonetto (ABBA, ABBA, CDC, DCD)(Giosue Carducci, Juvenilia, Libro sesto, in Tutte le poesie, acura di Luigi Banfi, Milano, vol. I, Rizzoli, Milano 1964

III NOVEMBRE MDCCCLXXX

Il dittatore, solo, a la lugubreschiera d’avanti, ravvolto e tacitocavalca: la terra ed il cielosquallidi, plumbëi, freddi intorno.

Del suo cavallo la pésta udivasiguazzar nel fango: dietro s’udivanopassi in cadenza, ed i sospiride’ petti eroïci ne la notte.

Ma da le zolle di strage livide,ma dai cespugli di sangue roridi,dovunque era un povero brano,o madri italiche, de i cuor vostri,

saliano fiamme ch’astri parevano,sorgeano voci ch’inni suonavano:splendea Roma olimpica in fondo,correa per l’aëre un peana.

- Surse in Mentana l’onta de i secoli

GIOSUE CARDUCCI

62 VS La rivista | n.8-9, 2007

A Giuseppe Garibaldi

ANTOLOGIAIN POESIA

silenzioso, con la prora drittaa gloria e a morte, a un punto e all’infinito!Rapida gioia de’ bei delfini amicinel solco, méssi d’un rinnovato mito!Stelle augurali dell’Orsa al grande ardire,accesa in cielo bandiera del naviglio!Più alto sogno in Dante non salì.

La struttura metrica è quella delle canzoni di gesta.

(Gabriele D’Annunzio, La notte di Caprera, in Versi d’amore edi gloria, Libro II, Elettra, a cura di Annamaria Andreoli e Ni-va Lorenzini, Mondadori, Milano 1984).

Composta alla Capponcina nel gennaio1901, la rapsodia garibaldina fu costrui-ta sulla scorta del materiale documenta-rio offertogli dalla memorialistica gari-baldina e dall’agiografia risorgimentale.

Pubblicata in opuscolo dall’editore Treves, fu accom-pagnata dalle seguenti parole del poeta: “Ai superstitidei Mille il poeta religiosamente dedica”).La rapsodia doveva far parte di un progetto assai piùampio, però rimasto allo stato di abbozzo, del quale ilpoeta aveva indicato le seguenti parti: La nascita del-l’Eroe, L’Oceano e la Pampa, [...], Da Roma alla Pa-lude, Aspromonte e Mentana, Le corone della Pace,La morte dell’Eroe.

I MILLE

Ma la grandezza di ciò che fu compitos’alza e sovrasta alla notte sublime,sovrasta al cuore di colui che ha sorriso,occupa la solitudine, vincela pace, infiamma l’ombra non ha confinein breve nome. O Italia, i Mille, i Mille!Ali fulminee delle Vittorie latine,rapidità della forza e dell’irasu le riviere del sangue, alte e succintevergini d’oro, messaggere vestitedi vento, immenso amor di Roma, chisi chiamerà fra voi l’eguale diquella che un volo su Calatafimisino al Volturno volò senza respiroe dissetò la sua gran sete alfinesol nelle vene di Leonida uccisoun’altra volta? Pianto alla Porta Pila,silenzioso pianto alla dipartita,coro di donne liguri! Ultimo addiodi ferree madri ai giovinetti figli!Divinità rivelata nei cigliumani e primo tremito delle primestelle nel puro cielo primaverile!Più dolce maggio in terra non fiorì.Navi sospinte nel mare dal respirostesso dei petti eroici, dal destinoe dalla febbre, dalla speranza invittae dal prodigio, piene di melodìae di ruggito, nell’oscuro periglioilluminate dai baleni d’un riso

La notte di caprera

63VS La rivista | n.8-9, 2007

GABRIELE DÕANNUNZIO

ANTOLOGIAIN POESIA CESARE PASCARELLA

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Ché quanno che frammezzo a la battaja,Ner mejo der pericolo più forte,Je s’accostava in mezzo a la mitraja,

Come che lui, capischi?, la sfidava,Ma morte, pure lei ch’era la morte!,buttava via la farcia e se n’annava.

CCXXV

Che dar principio quanno ha principiatoFino a la fine quanno ebbe finito,Dimme si tu in Italia vedi un sitoDove che quello lí nun ce mai stato.

Qualunque fiume vedi l’ha passato,Qualunque monte guardi l’ha salito,Da ’gni qualunque mare c’è partitoP’annà a combatte! Ha vinto e c’è tornato.

Che insomma adesso tu, dovunque passi,Ne l’isole sperdute in mezzo ar mare,Ne li boschi, fra l’arberi e li sassi,

Dovunque ci ha lassato ’na memoria,Che, vallo a domannà dove te pare,Tutti te ne ricconnino la storia.

(Cesare Pascarella, Storia nostra, a cura dell’Accademia deiLincei, Mondadori, Milano 1966).,

CCXXI

Solo, senza nissuno! E a ’na chiamataJe risponneva tutta la nazione.Addio matre, sorelle, innamorata,Case, parenti, amichi, professione...

Ricompariva! L’arba era spuntataChe nun ci aveva cinque o sei persone;Dopopranzo già c’era un battajone;Verso notte ci aveva già un’armata!

E dovunque, purché lui se li pij,Le giovane je daveno l’amanti,Le matre je portaveno li fij...

E lui, già, sempre lui!, sempre lo stesso!Come che quello lì diceva: Avanti!,Tutta la gioventù jannava appresso.

CCXXII

Tutta! E dovunque la portava in guerraL’eserciti più forti, ne le mura,Chiusi ne la fortezza più sicura,Tremaveno e cascaveno per terra.

E tutte l’imosture de la TerraNon furno bone a metteje paura;Tutte! Manco la morte in sepportura,Manco la morte giù da sottoterra.

Gesta di Garibaldi

VS La rivista | n.8-9, 2007

Battàille de Nuits. Litografia di Bocquin, disegno di Férat, Parigi, cm 61x44 (Società Mutuo Soccorso Reduci Garibaldini)

ANTOLOGIAIN POESIA

Ecco un tuono, un capestìo di zampeChe s’appressa sempre sempre più...Va sul mare verde delle pampeLo stallone e la sua gioventù.

Come è bello il libero stalloneCon la coda e la criniera ai venti!Mai ne’ fianchi non ebbe lo sprone Né il ribrezzo del ferro tra i denti.

Pura è l’unghia di fimo di stalle,brilla al sole la lucida groppa.E raccoglie le sparse cavalle,annitrisce al pampero, e galoppa.

Va, galoppa! Va libero e fieroDella tua solitudine tu!più veloce sei tu del pampero,più del tempo... del tempo che fu...

Nove quartine di decasillabi. Nella III, VI e IX si al-ternano decasillabi e novenari tronchi.

(Giovanni Pascoli, Poemi del Risorgimento, in Poesie di Gio-vanni Pascoli, con Avvertimento di Antonio Baldini, Monda-dori, Milano 1939).

AL FOCOLARE

Garibaldi siede al focolare,siede avanti fuoco di lentischio.A Caprera cupo batte il mare,il libeccio l’empie del suo fischio.

Egli vecchio dalla barba biancaCova il fuoco, cova il suo pensiero;e si trova sur una barranca,la gran chioma scossa dal pampero.

Vede un mare verde là che sognaD’essere terra né fiottare più.L’aria porta beli di vigognaAlti e bassi fischi di gnandù...

Oh! le pampe dell’immenso PlataVerdi sotto il cielo senza nubi,una solitudine ondulatasparsa d’isolette di carrubi,

sola terra degna che vi scendail marino che patì fortuna:egli d’una vela fa la tenda,e vi sogna sotto l’alta luna.

Garibaldi vecchio a caprera

65VS La rivista | n.8-9, 2007

GIOVANNI PASCOLI

VS La rivista | n.8-9, 200766

GIUSEPPE GARIBALDI

Il navicellaio di caprera

L’autore di questi versi è Garibaldi stes-so. Composti dopo i “fatti” del Voltur-no, essi sono dedicati dall’“eroe deidue mondi” al genero Generale Ste-fano Canzio, uno dei Mille.

Le parole furono successivamente messe in musicadal maestro Luigi Pantaleoni.

- Sul navicello mio m’assido e cantoquando nell’alto ciel vaga la luna...E nel cantar io sento al ciglio il pianto,che scorrendo sen va per l’onda bruna.Tornano al mio pensier, come un incanto,le mie belle speranze ad una ad una,e mi lusingo ancor: speme infinita,dal mio povero cor non sei svanita!

CORO

- Navicellaio, che canto è questo,che sopra l’onde risuona mesto?Ripeti il canto, che sulla proraDe’ tuoi navigli sussurra ancora...

NAVICELLAIO

- Io penso a’ miei fratelli, ai poverettiche da prodi pugnâro al fianco mio;vedili: smunti... laceri... sorrettisol dalla speme che ci lascia Iddio!...Per la patria, infelici, ai loro tetti,a lor gioie donâro eterno addio.Chieser di morir... Vinsero; or miracome vanno dolenti al mondo in ira!...

CORO

- Navicellaio, sono reïetti, perché compagni ti fûr negletti,perché sui servi del Gariglianopiombar fur visti col ferro in mano...

NAVICELLAIO

- Tornano al mio pensier, come un incanto,le mie belle speranze ad una ad una,e mi lusingo ancor: speme infinita,dal mio povero cor non sei svanita!

(Da Il canzoniere nazionale. 1814-1870. Raccolto, ordinato eillustrato da Pietro Gori, Salani, Firenze 1912).

ANTOLOGIA CANTO POPOLARE

Garibaldi sul Volturno, G. Induno, 1861

LUIGI MERCANTINI

VS La rivista | n.8-9, 2007 67

Inno di Garibaldi

L’Inno di Garibaldi fu scritto da LuigiMercantini nel 1859. Esso nacquegrazie all’intermediazione del patrio-ta bergamasco Gabriele Camozzi, checosì ci viene descritta da C. Giglioli,

nella “Rassegna” del 12 giugno 1882: “Garibaldistrinse la mano a lui [Luigi Mercantini] e alla signora,scambiando con loro poche parole, poi disse: - Voi mi dovreste scrivere un inno per i miei volontari;lo canteremo andando alla carica e lo ricanteremo tor-nando vincitori.- Mi proverò, Generale, - rispose il poeta.- E la signora Mercantini comporrà la musica - ag-giunse sorridendo Camozzi, che conosceva il valoreartistico della celebre pianista.“Quest’inno però fu dettato in due volte. Dapprimanon era composto che di sole otto strofe; le ultimequattro furono aggiunte nel 1860 per i fatti di Sicilia edi Napoli. Fra gl’inni politici, questo del Mercantini èil più popolare, e non vi è villaggio per quanto piccoloe remoto in Italia che non lo conosca” (Pietro Gori).

Si scopron le tombe, si levano i morti,i martiri nostri son tutti risorti!Le spade nel pungo, gli allôri alle chiome,la fiamma ed il nome - d’Italia sul cor!

Veniamo! Veniamo! Su, o giovani schiere!Su al vento per tutto le nostre bandiere!su tutti col ferro, su tutti col foco,su tutti col foco - d’Italia nel cor!

Va’ fuori d’Italia, va’ fuori ch’è l’ora,va fuori d’Italia, va’ fuori, o stranier.

La terra dei fiori, dei suoni e dei carmiritorni qual era la terra dell’armi!Di cento catene le avvinser la mano,ma ancor di Legnano - sa i ferri brandir.

Bastone tedesco l’Italia non doma,non crescono al giogo le stirpi di Roma:più Italia non vuole stranieri e tiranni,già troppi son gli anni - che dura il servir.

Va’ fuori d’Italia, va’ fuori ch’è l’ora,va fuori d’Italia, va’ fuori, o stranier.

Le case d’Italia, son fatte per noi,è là sul Danubio la case dei tuoi:

tu i campi ci guasti, tu il pane c’involi,i nostri figliuoli - per noi li vogliam.

Son l’Alpi e i due mari d’Italia i confini,col carro di fuoco rompiam gli Apennini:distrutto ogni segno di vecchia frontiera,la nostra bandiera - per tutto innalziam.

Va’ fuori d’Italia, va’ fuori ch’è l’ora,va fuori d’Italia, va’ fuori, o stranier.

Sien mute le lingue, sien pronte le braccia:soltanto al nemico volgiamo la faccia,e tosto oltre i monti n’andrà lo straniero,se tutta un pensiero - l’Italia sarà.

Non basta il trionfo di barbare spoglie,si chiudano ai ladri d’Italia le soglie:le genti d’Italia son tutte una sola,son tutte una sola - le cento città.

Va’ fuori d’Italia, va’ fuori ch’è l’ora,va fuori d’Italia, va’ fuori, o stranier.

Se ancora dell’Alpi tentasser gli spaldi,il grido d’allarmi sarà “Garibaldi”.E s’arma allo squillo, che vien da Caprera,dei mille la schiera - che l’Etna assaltò.

E dietro alla rossa vanguardia dei braviSi muovon d’Italia le tende e le navi:già ratto sull’orma del fido guerrierol’ardente destriero - Vittorio spronò.

Va’ fuori d’Italia, va’ fuori ch’è l’ora,va fuori d’Italia, va’ fuori, o stranier.

Per sempre è caduto degli empi l’orgoglio,a dir - Via Italia - va il Re in Campidoglio:la Senna e il Tamigi saluta ed onoral’antica signora - che torna a regnar.

Contenta del regno fra l’isole e i montisoltanto ai tiranni minaccia le fronti:dovunque le genti percuota un tirannosuoi figli usciranno - per terra e per mar.

Va’ fuori d’Italia, va’ fuori ch’è l’ora,va fuori d’Italia, va’ fuori, o stranier.

(Da Il canzoniere nazionale. 1814-1870. Raccolto, ordinato eillustrato da Pietro Gori, Salani, Firenze 1912).

ANTOLOGIA CANTO POPOLARE

VS La rivista | n.8-9, 200768

ANONIMO

Daghela avanti un passo

Le truppe francesi e italiane, alleate con-tro gli austriaci nel corso della secondaGuerra d’Indipendenza, riportarono nu-merose vittorie contro il comune nemi-co, a seguito delle quali la Lombardia fu

liberata dal suo tradizionale oppressore. Vittorio E-manuele e Napoleone III poterono così entrare so-lennemente in Milano, accolti non solo da un popo-lo entusiasta, ma anche dalle note di “Daghela avan-ti un passo” (di Anonimo), canzone intonata dallefanfare francesi. La composizione, divenuta subitonota anche con il titolo de “La bella Gigogin”, saràintonata dai Cacciatori delle Alpi nelle battaglie del1859, per essere poi ripresa dai garibaldini durantela spedizione in Sicilia.

Rataplan!... Tamburo io sento,che mi chiama alla bandiera.O che gioia, o che contento!Io vado a guerreggiar.

Rataplan!... Non ho pauradelle bombe e dei cannoni;io vado alla ventura...Sarà poi quel che sarà.

Oh la bella Gigogincol tro-mi-le-ri-le-rà!Là va a spass col sò spincin

Col tro-mi-le-ri-le-rà.Di quindici anni facevo all’amore...

Daghela avanti un passo,delizia del mio core!

A sedici anni ho preso marito...Daghela avanti un passo,delizia del mio core!

A diciassette mi sono spartita...Daghela avanti un passo,delizia del mio core!

La ven, la ven, la ven alla finestra,l’è tutta, l’è tutta, l’è tutta insipriada,la dis, la dis, la dis che l’è maladaper non, per non, per non mangiar polenta.Bisogna, bisogna, bisogna avè pazienzalassala, lassala, lassala maridà.

Le baciai, le baciai il bel visetto,cium, cium, cium.La mi disse, la mi disse: Oh che diletto!Cium, cium, cium:là più basso, là più basso, in quel boschetto,cium, cium, cium,andrem, andrem a riposar,ta ra ra ta tà.

ANTOLOGIACANTO POPOLARE

ANONIMO

VS La rivista | n.8-9, 2007 69

La camicia rossa

L’inno “La camicia rossa”, messo inmusica dal maestro Luigi Pantaleoni,si componeva in principio di sole no-ve strofe. L’altro inno, di altre novestrofe, fu scritto e pubblicato, con il

titolo “La mia Camicia rossa”, dopo il “fatto” di A-spromonte. Entrambi risultano inscindibili sia per il contenutodell’ispirazione sia per la forma, in quanto costitui-scono un unico canto di guerra. Per questo li riportia-mo entrambi di seguito, uno dopo l’altro.

LA MIA CAMICIA ROSSA

Quando la tromba suonava all’armi,con Garibaldi corsi ad arruolarmi;la man mi strinse con forte scossa,e mi diè questa camicia rossa.

E dall’stante che t’indossaile braccia d’oro ti ricamai...Quando a Milazzo passai sergente,camicia rossa, camicia ardente.

Porti l’impronta di mia ferita,sei tutta lacera, tutta scucita;per questo appunto mi sei più cara,camicia rossa, camicia rara.

Tu sei l’emblema dell’ardimento:il tuo colore mette spavento:fra poco uniti andremo a Roma,camicia rossa, camicia indoma.

Fida compagna del mio valore,s’io ti contemplo mi batte il cuore;par che tu intenda la mia favella,camicia rossa, camicia bella.

Là sul Volturno, di te vestito,quando sul campo caddi ferito,eri la stessa che allor vestìa,camicia rossa, camicia mia.

Con te sul petto farò la guerraai prepotenti di questa terra,mentre l’Italia d’eroi si vanta,

camicia rossa, camicia santa.

Quando all’appello di Garibaldi,a un di que’ mille suoi prodi e baldidaremo insieme fuoco alla mina,camicia rossa garibaldina.

Se dei tedeschi nei fieri scontrivien che la morte da prode incontri, chissà qual sorte sarà serbatacamicia rossa, camicia amata.

Ora tu posi come una mestaChe attende il giorno della sua festa;ed io coll’alma trista, commossati guardo e lacrimo, camicia rossa!

Nei lidi siculi la prima volta,giovine altero, io t’ebbi accolta;e nel nomarti la sposa mia,seguimmo insieme la stessa via.

Oh! Allor non eri, quale tu sei,l’umile veste dei giorni miei!...Eri l’insegna della riscossa,o disprezzata camicia rossa!

Eri di tanta gloria beata,che da due mondi fosti desiata,e l’Anglo e l’Unghero scesero in campodel tuo divino folgore al lampo.

Fino le imbelli fanciulle ornarsiDi te si piacqquero, e innamorarsi,né da quei cori giammai rimossafu la tua immagin, camicia rossa.

E come un voto di casta fede,che amor d’Italia solo concede,nella parete d’ogni umil tettopendesti all’ara d’un santo affetto.

Tradita, fosti più grande - e PisaLuce ha più bella con te divisa...Oh! Quella guerra che t’hanno mossaT’ha sublimato, camicia rossa.

Nella tua fiera melanconia,

ANTOLOGIACANTO POPOLARE

tu mi rammenti Venezia mia;nella tua vita, vinta non doma,

sembri ripetere: “O morte, o Roma!”

Oh! Vieni, vieni col sol d’aprile:impari il mondo che non sei vile!Roma e Venezia! Poi nella fossaScendiamo insieme camicia rossa!

Camicia rossa, camicia indoma,sembri ripetere: “O morte, o Roma!”Sì, ripetiamo con voce forte,con Garibaldi: “O Roma, o morte!”

(Da Il canzoniere nazionale. 1814-1870. Raccolto, ordi-nato e illustrato da Pietro Gori, Salani, Firenze 1912).

VS La rivista | n.8-9, 2007

LA CAMICIA ROSSA | ANONIMO

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LUIGI MERCANTINI

VS La rivista | n.8-9, 2007 71

I cacciatori delle Alpi

Il corpo dei Cacciatori delle Alpi fu istituito,con Decreto Reale, il 17 marzo 1859, auspiciGaribaldi e Cavour. Avversi alla formazione dicorpi di volontari furono invece Napoleone IIIe il Generale La Marmora.

Nella prima parte di esso si descrive il sacrificio dimadri e di amanti, costrette a lasciar andare in guerra iloro cari; nella seconda viene rappresentato l’accorre-re entusiastico di schiere e schiere di giovani sotto lebandiere di Garibaldi.

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

La mia madre, poveretta,al confin mi accompagnò;ma di là restò solettae di là mi salutò

E mi disse: - Addio, figliuolo,la tua madre non scordar:ma finché ne resta un soloa tua madre non tornar. -

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Madre mia, te l’ho giuratoper la patria vo’ a morir:s’io t’avrò disonorato,più tuo figlio non mi dir.

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Ma il mio amor passò la rivaE mi fece inginocchiar:- Sarò tua persin ch’io viva,ma anche a me hai da giurar. -

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Io lo giuro a te, mio amore,per la patria vo’ a morir;s’io ritorno senza onore,traditore m’hai da dir.

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Un bel giovane gagliardoIncontrai nel mio cammin:io gli chiesi: - Sei lombardo? -- No, rispose, Cadorrin. -

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Delle miglia hai fatto assai,Cadorrino, a venir qui.- Più d’un mese camminai- tra le nevi e notte e dì. -

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Uno, due, tre, quattro, oh quanti!- Dite, amici, ove si va? -- Modenesi tutti quanti,per combatter siamo qua. -

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Viva Italia! E voi chi siete?- Siamo di Parma... e voi laggiù? -- Viva Italia! Oh nol sapete?Siam toscana gioventù.

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

Ve’ costui che arriva in fretta,e d’armati ha un fiero stuol:Olà, amico, dinne, aspetta;

ANTOLOGIA CANTO POPOLARE

Cacciatori, spunta il giorno,già la belva si mostrò:cacciatori, squilla il corno,già la caccia incominciò.

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

(Da Il canzoniere nazionale. 1814-1870. Raccolto, ordinato e

illustrato da Pietro Gori, Salani, Firenze 1912).

VS La rivista | n.8-9, 2007

I CACCIATORI DELLE ALPI | LUIGI MERCANTINI

tu chi sei? - Son romagnol. - Volontario ho abbandonato

la mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

E quell’altro più lontanoChe sì ratto muove il piè?

- Messaggero siciliano- Vengo a dir ch’è morto il Re. -

Volontario ho abbandonatola mia casa ed il mio amor:or che son di qua passatoson dell’Alpi cacciator.

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FRANCESCO DALLÕONGARO

VS La rivista | n.8-9, 2007 73

Garibaldi

Francesco Dall’Ongaro (1808-1873) fu, ol-tre che novelliere e drammaturgo, anchegrande patriota. Ne fa fede il salotto dellasua casa fiorentina, punto di riferimentodella vita culturale italiana negli anni

Sessanta dell’Ottocento. I versi delle due composizioni che seguono, scritti inlode dell’“eroe dei due mondi”, furono letti e cantatida persone appartenenti ad ogni classe sociale.

Qual è il guerriero famoso al pariDi qua d’Atlante, di là dei mari,che per l’Italia brandì l’acciaroe il nostro nome fe’ sacro e carofin fra’ selvaggi nudi e spavaldi?

- È Garibaldi! -

Al primo grido de’ nostri sdegniVarcò d’un volo d’Alcide i segni:udì un concerto d’allegri carmi,ma inette ancora le destre all’armi,gridò: “sorgete fidenti e baldi?”

- È Garibaldi! -

O cari al Sole, lombardi campi,per lui mandaste faville e lampi!Per lui dell’elmo gravò la chioma,risorse cinta la sacra Romadi nuovi Bruti, di nuovi Arnaldi!

- È Garibaldi! -

Cedemmo al fato; ma in cor ristrettaCovò due lustri la gran vendetta.Su, su, fratelli, più non s’attendache dal Cenisio l’aiuto scenda!La libertade vuole altri araldi:

- È Garibaldi! -Desta al suo nome l’antica schiera

il Rubicone passò primiera:sursero inermi Varese e Como:contro seimila s’avanza un uomo,e gli rovescia dai vinti spaldi...

- È Garibaldi! -

Da Montebello fino a MagentaNon v’è che un nome che li spaventa.Dov’ei non pugna s’alza gigante,tremendo spettro col suo sembianteche mette un gelo ne’ cor più saldi.

- È Garibaldi! -

L’un Sire e l’altro si guata in facciascossi al periglio che li minaccia,offrono tregua, giurano pace:tremano entrambi che l’uomo audacedi nuovo incendio l’Europa scaldi..

- È Garibaldi! -

Non v’è con l’Austria pace né tregua!Infino al mare l’oste s’insegua...O re Vittorio, chiama i tuoi SardiGrida a Toscani, grida a Lombardi:- Spezzate i vili patti ribaldi! -

- È Garibaldi! -

Fra i sacri gioghi dell’AppenninoSplende all’Italia miglior destino:qui dove è antica la libertade,a nuova vita tempriam le spade,novella fiamma l’anime riscaldi!...

- È Garibaldi! -

Vedran, se alcuno pur ci dileggia,che non siam tutti canora greggia!Vedranno al soffio che da lui spiraMutarsi in tromba l’imbelle lira,e i Raffaelli fatti Rinaldi...

- È Garibaldi! -

Di miglior vespro deste alle squillesorgon le ferie calabre ville:ardono tutti d’un foco solo:non è vulcano che scuota il suolo,non è valanga che d’alto sfaldi...

- È Garibaldi! -Nutrita a lungo, nell’ore estreme

de’ rei signori cadrà la speme!Le occulte insidie la luce ha dome.Non v’è che un uomo, non v’è che un nomeche la gran piaga d’Italia saldi...

- È Garibaldi! -

ANTOLOGIA CANTO POPOLARE

E i tre colori della sua bandiera,non son tre regni, ma l’Italia intera:il bianco l’alpe, il rosso i due vulcani,il verde l’erba de’ lombardi piani!

(Da Il canzoniere nazionale. 1814-1870. Raccolto, ordinato eillustrato da Pietro Gori, Salani, Firenze 1912).

VS La rivista | n.8-9, 2007

GARIBALDI | FRANCESCO DALLÕONGARO

VOLONTARI GARIBALDINI

- O buona gente dell’Italia estrema,lasciate star li santi e li demoni:ché Garibaldi de’ demon non tremae sa che i santi non sono tutti buoni.

La santa da cui nacque è Italia bella:la libertà d’Italia è la sua stella.La stella che lo guida è libertade;chi per lei pugna, vince, anche se cade!E la sua veste Italia gliela diedeTinta nel sangue de’ martiri suoi:ma pura come giglio è la sua fede,e il suo drappello gli è un drappel d’eroi.

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VS La rivista | n.8-9, 2007 75

IL ÒSACERDOTALE DISPOTISMOÓ DEL PAPA RE

UN ImpLAcABILE J’AccUSEDELLA ROmA DI GREGORIO XvI

nario questo, che voi il quale vichiamate ministro, anzi vicario diCristo, siate diventato appuntoquel regal personaggio, quel re, ilquale Cristo non volle a niun mo-do essere...

Al viaggiatore che attraversa gliStato vostri, nulla si appresenta(sic), che indichi prosperità, ocontentezza; niun segno di mi-glioramento gli rallegra la vistache non sia smentito da segni discadimento, e ruina. Come la me-sta campagna, ragione a un tempodi fertilità e di vita, accerchia Ro-

Lettera di monsignor orazio bushnell, teologo, resi-dente negli Stati uniti d’america, al Papa: scrittanell’aprile del 1846. L’originale, trascritto dall’avvo-cato rotale Lorenzo Gennari, è custodito in vaticano

mio giudizio del vostro sistemapotea essere alquanto raddolcito;e quando poi giunsi a scoprirviparti eccellenti, e belle veramen-te, ebbi a provare un purissimocontento. Eppure ne ritorno collospirito afflittissimo del tristo spet-tacolo che ho visto...

E prima di tutto deggio prote-stare contro al disonore che voifate alla religione per quella spe-cie di civil governo che voi con-giuntamente col vostro spiritualeofficio sostenete. Egli è, per nondire altro, un fatto molto straordi-

Venerando Pontefice!.... Nel fare il girodell’Italia, il qualeho testé compito, ionon adempivo ad al-

cun incarico dell’Alleanza cristia-na. Ma venni a Voi semplicemen-te, come la comune dei viaggiato-ri fa... Vidi naturalmente quel chesi offerse agli occhi miei: investi-gai, come ogni intelligente viag-giatore suol fare, e forse con unanon ordinaria diligenza, e nientemi riuscì più gradito che di rinve-nire alcune cose per le quali il

DOCUMENTI

peccati.Ma io non potrò obbliare (sic) il

mesto sguardo di un brillante ecompito giovane, quando mi disse:- Alcuna speranza, signore, nonv’ha qui per me: i preti ci hannotolto ogni cosa. - Frattanto voi a-vete l’esercizio dei più proficui ne-gozi venduto, come monopoli. Iltraffico di contrabbando1, che aquelli tien dietro in lucro, è pur es-so virtualmente venduto, essendo idazi da cui procede tenuti alti, co-me ne corre voce fra le personepiù gravi, per un continuo intrigodi contrabbandieri con certunipresso del governo. Quel che ne ri-mane dopo che la cortigianeria haesausto i suoi sorrisi, e l’astuzia lasua cupidigia, va a... (parola illeg-gibile) l’onesta industria.

Il lavoro manuale poi essendonaturalmente la più indifesa dellepotenze sociali, giace depresso piùdisperatamente e angosciosamentedi ogni altra cosa. E per timore chela miseria alzi il sospiro dell’impa-zienza, o l’infortunio sprigioni ilnon permesso gemito, voi stanzia-te nelle vostre impoverite e scorateprovincie (sic) un esercito di sol-dati grosso abbastanza per conte-nere un impero in pace.

Indi imponete loro un altro eser-

li di società aprire, e chiudere a lo-ro talento le porte del favore.

L’innocenza non ha protezione,perché i vostri processi criminalisono segreti, come tutte le operedelle tenebre. Se uno ha beni, nongli resta altro tempo che quello dicorrere arditamente l’aringo, escappare fuori con quel che glipuò rimanere, oppure d’aprirsi sor-damente la via con gl’intrighi, e lesubornazioni.

Il dar saggio d’ingegno crea achi non è nel sacerdozio sospetti epericoli: spie se ne stanno in ag-guato per una qualche mercede, el’esiglio (sic) non si fa lungamenteattendere.

Il vostro clero ambizioso e vora-ce ha invaso non solo le chiese e imonasteri, ma ancora gli studi del-l’educazione, le corti di giustizia, etutte le magistrature maggiori; finoil ministro della guerra deve essereun Prelato.

Ogni nutritiva ed eccitante spe-ranza è perciò tolta alla gioventù.Niuna via ad avanzamento è schiu-sa, eccetto quella cui si entra per laumil porta della dipendenza eccle-siastica; locché (sic) disamina ognimagnanimo conato, e volge tutti irivoli dell’ambizione entro lo sta-gno dell’ipocrisia, il più vile de’

ma di silenzio e deso-lazione, così, politica-

mente parlando, ogni cosa vostrache partecipi della natura dellasperanza, della bellezza sociale,del pubblico avanzamento languee disseccasi nell’aere maligno delvostro sacerdotale dispotismo.

I vostri ministri, benché tutti as-soluti, non hanno alcuna determi-nata sfera d’azione, né sottostannoa nessuna responsabilità. Nei de-creti loro contraddicono l’un l’al-tro e Voi medesimo, usurpando an-che le attribuzioni delle corti digiustizia per opposte vie, comequeste alla loro volta violano legiurisdizioni e le decisioni l’unadell’altra.

L’obbedienza è perplessa eschernita, ed il torto (forse per of-feso) circondato da tante male ma-gistrature, le quali dovrebbero es-serne i vindici, è costretto a com-perarsi la sua riparazione a tal co-sto, che il pubblico rimedio riescemeno peggiore e più crudele dellaprivata ingiuria. Perché ogni cen-tro di potere, eccettuatine pochi, èla sede di qualche imbroglio, ebazzicanvi dattorno creature d’a-mendue i sessi, le quali sanno chela chiave di sporchi e criminosi se-greti, o per virtù di ben noti artico-

DOCUMENTI | IL ÒSACERDOTALE DISPOTISMOÓ DEL PAPA RE

VS La rivista76

occasionare una rifles-sione ne è diligente-mente escluso. Anzi la via più cor-ta ad un romano per sapere ciò cheavvenga in Italia stessa, è quella diprendere una gazzetta inglese ofrancese. È dunque per siffatti mo-di o stromenti che Voi sperate dipurgare il carattere del vostro po-polo, ed il diffamato nome del vo-stro governo? Siete Voi cieco a talpunto che pensiate di poter fareuomini dei vostri sudditi, in questosecolo, senza lumi, senza notiziadel mondo, degli imperi nei quali èspartito, e delle istituzioni che dif-ferenziano questi imperi medesi-mi?

... Non ha molto che ho vistoprovarsi da un curioso confrontodi dati statistici, che la pochezzadelle esportazioni dai differentiStati d’Italia, la mancanza di edu-cazione, la gravezza delle imposte,il numero dei delitti e dei bastardistava in strettissimo rapporto col-l’abbondanza degli ecclesiasticiRoma, la città spirituale, la metro-poli della Chiesa di Dio ha più ec-clesiastici d’ogni altra, ed è pessi-ma e vilissima sopra ogni altra ita-liana città. Voglia Dio concederviqualche cristiana sensibilità, per-ché piangiate di un fatto tanto u-miliante”.

NOTA

Il contrabbando non si esercitava soltan-to alle frontiere, ma anche per via di ac-qua. Ancona e Civitavecchia, porti fran-chi, ne erano la fonte perenne; e tutti iporti e gli approdi adriatici ricevano mer-ci di frodo, che poi andavano a terminarenelle celebri fiere di Sinigaglia. E con-trabbandieri risalivano i fiumi, fino il Poe fino il Tevere, questo sin entro la cittàdi Ripagrande [Roma, n.d.r.]. C’era poil’esonero dalle tasse doganali, specie dicontrabbando legale, una finanza nellafinanza, di cui godevano i cardinali, altiprelati, ambasciatori, gente di governo,loro adepti ed amici.

Lettera riportata da Giuseppe Leti nelsuo libro La rivoluzione e la RepubblicaRomana (1848-49), Vallardi, Milano 1948. Al brano sono state apportate poche,ma indispensabili, correzioni redazionali.

un libero motto, o prorompono inun sospiro a mensa, sanno già cheun invisibile orecchio gli avrà inte-si; ed allora, se scansano la prigio-ne, proveranno ciò che sia l’oblite-rare con le penitenze l’angosciach’ei cercarono di alleggerire colleparole. Conseguentemente è loromestieri di chiudersi in petto i pen-sieri loro, di non confidare l’unonell’altro: al focolare non vi è li-bertà, la mensa è un circolo dispioni, e l’ultima gocciola di con-solazione che il cielo concede inalleviamento dei dolori dell’op-pressione è così dissipata.

Laonde avviene di necessità cheil carattere del popolo vostro è tan-to più depresso, quanto lo sono lesue economiche circostanze: delche nessun viaggiatore sta lunga-mente in forse. Poiché egli osservapiù di tutto la generalmente bellaforma della gente, lo sguardo bril-lante ed intelligente tanto ad essacomune; ma una breve ora gli ba-sta poi per discoprire in essa unamelanconica assenza di tutto ciòche tira al generoso. I vostri suddi-ti sono appassionati, facili alle ire,servili, vendicativi, e tristamente(sic) sforniti d’industria, d’ordine,di previdenza. Non dico questo ditutti, ma dei più; e ne do carico aVoi che, regnando sopra di loro innome di una religione che permet-te di esaltare l’uomo ad una divinaimmagine, gli avete avvallati (sic)anche al di sotto della loro animalenatura, ridotti ad una più profondaignominia che il peccato senza Voiavrebbe fatto. E non si fu per qual-che penosa consapevolezza di que-ste cose, che Voi vi induceste astabilire un più generale sistema dieducazione?

... Perché temete Voi di far cono-scere al popol vostro quel mondoil quale Cristo imprese di rendereuna sola confraternita nel Vero?Forse perché non venga in esso adestarsi qualche ubbiosa voglia dilibertà, o di lume, conoscendo lapiù nobile istoria e la più felicecondizione d’altri popoli? Voi ave-te una gazzetta piccina come lavostra geografia, appena grandequanto una lastra di vetro, e singo-lare per questo soltanto che tuttociò che potrebbe in alcuna guisa

cito di ecclesiastici fuori affatto dimisura coi mezzi, e vorrei sperareancora coi peccati di esse (a Romasi conta un ecclesiastico fra 28 a-bitanti), il quale di necessità viene,come il primo, sostentato dallaborsa del popolo: e poi, quasi chela terra non fornisse ministri diconcussione abbastanza, voi met-tete a quartiere in quelle un terzoesercito di santi, flagello pessimoe terribilissimo; perché santi ogniterzo giorno di lavoro scendonodal cielo a legare le mani all’indu-stria. Forse li vostri popoli sorreg-gersi potrebbero, se non prospera-re, al peso delle vostre terrene con-cussioni. Ma quando il cielo stessovien giù a deluderli, ogni loro sfor-zo sarebbe insufficiente. Quale po-polazione infatti privata di una ter-za parte della sua industria, qualepopolazione educata alla sciopera-tezza e spinta a gironzar per vie,come la vostra fa nei dì feriali, edin questa guisa a consumare unterzo del suo tempo in un legalefar niente, potrebbe lungamente ri-tenere qualche vestigio di prospe-rità, o savia economia? In verità,io non ebbi mai un’idea così ma-gnifica della liberalità della natura,che allorquando rimirai l’innume-rabile esercito di consumatori, ilquale voi avevate potuto condurrealla preda senza lasciarvi dietro lespalle una fame ed una mortalitàuniversali.

Per fornire questa miseranda pit-tura non mi è d’uopo di aggiunge-re altro se non che voi avete adug-giato le abitazioni del vostro popo-lo, e resele aride di consolazione.Perché è quivi che gli oppressi de-gli altri paesi ponno sempre tem-perare colla libertà, e nell’espan-sione dell’amore e delle simpatiedomestiche l’amaritudine delle lo-ro afflizioni. Ma da Voi i vostriconfessori vanno sempre come ivostri agenti di polizia rovistandosintomi di scontento, ed odorando,per così dire, in ogni canto le ansiemeditazioni della sventura.

Spesso a Roma io sentivo van-tarsi che i vostri preti formano unacosì mirabil polizia. Voi intromet-tete un confessore tra moglie emarito, e tra loro due ed i loro fi-glioli; talché se questi biascicano

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IL ÒSACERDOTALE DISPOTISMOÓ DEL PAPA RE | DOCUMENTI

“qUEI mILLE fILIBUSTIERI”

nelle acque di Marsala hanno conmolto fuoco uccisi molti filibustieri,calato a fondo il piroscafo Il Lom-bardo e catturato l’altro, Il Piemonte,sui quali coloro erano imbarcati eche le regie truppe sono accorse sulluogo”.

L’impresa dei mille interpretata da due giornali o-stili: “Il Giornale ufficiale” di napoli e “Il Giornaledi Roma”. I mille definiti come orda selvaggia, ban-da di masnadieri, pirati, invasori, barbari

gente violazione del diritto pubbli-co”, dopo aver preso “tutte le dispo-sizioni per respingere con forza ilcriminale attentato” e riferisce cosìgli avvenimenti:

“Notizie giunte per telegrafo reca-no che due RR. Fregate napolitane

S i compie in questi giornil’anniversario di avveni-menti meravigliosi, leg-gendari: l’impresa diGaribaldi in Sicilia.

Per curiosità ho ricercato nellastampa contemporaneadi Napoli e Roma -Giornale Ufficiale diNapoli e Giornale diRoma, Ufficiale degliStati Pontifici - le im-pressioni del Governodi Napoli e dei suoi a-mici. Spesse volte gliavvenimenti deformatirivestono un carattere i-ronico, che, a distanzadi 64 anni, ci fa sorride-re.

Il 13 maggio (1860) ilGiornale Ufficiale diNapoli pubblicava:

“L’altro ieri, 11 delmese, all’una e mezza,due vapori di commer-cio genovesi nominati IlPiemonte e Il Lombar-do, approdavano a Mar-sala e là cominciavano asbarcare una truppa diqualche centinaio di fi-libustieri”.

Il Giornale di Romadel 14 marzo investeviolentemente il Pie-monte “a cui il Governodelle Due Sicilie ha in-viato una formale prote-sta contro questa fran-

di Melchiorre Fazio

UN ESEMPIO DI ANTIMITO BORBONICO E PAPA -DOCUMENTI

VS La rivista78

sul campo di battaglia laloro bandiera e un grannumero di morti e feriti, fra i qualiuno dei capi che le comandava”.“Nessun altro scontro - si legge nelGiornale di Roma del 21 – si è veri-ficati in Sicilia dopo quello superior-mente indicato”. (La nota del G.U.riportata in questo numero di giorna-le). Due forti colonne mobili inse-guono le disperse orde di Garibaldi esi può fidare che l’energia ed il co-raggio da cui sono animate le trupperegie, riusciranno presto a distrug-gerle”. Infatti il giorno 22 il Giorna-le Ufficiale annunzia che “il 9° regiobattaglione di cacciatori ha valorosa-mente attaccati e messi in rotta gliavversari uccidendone 128”.

“Ulteriori notizie giunte da Napoli– si legge nel numero 119 del Gior-nale di Roma – danno ragguaglio deifatti che precedettero la vittoria delletruppe reali. Il giorno 20 i ribelli, ac-campati a San Martino presso Mon-reale, furono valorosamente battutidue volte, sloggiati dalle loro posi-zioni ed inseguiti sino a Partinicocon gravi perdite, tra le quali quelledi un capo, Rosolino Pilo, che rimaseucciso. Le alture occupate dai ribellifurono prese dalle truppe regie, chesi diedero ad inseguire i fuggiaschi.Nel successivo giorno 21 il 9° regiobattaglione attaccò e mise in rottaquei ribelli, uccidendone 128”.

***

Il Giornale di Napoli del 28 reca

alla testa di forze molto minori, mos-se ad affrontare quelle masnade, chenello scontro vivo e ostinato, soffri-rono perdite gravi fra morti e feriti.Esse furono battute al grido di Viva ilRe, scacciate e inseguite sino allemontagne nelle quali ricovraronsi.Come egli ebbe poi avuta la notiziache la gente da lui fugata aveva in-nalzato il vessillo della rivolta ad Al-camo, e che lo stesso avevano fatto ifacinorosi abitanti di Partinico, mos-se a quella volta e manomise con im-menso valore e slancio irresistibilele masnade che occupavano quei Co-muni. In Partinico segnatamente, lagente di Garibaldi attaccata allabaionetta con impeto straordinario…ebbe perdite gravissime. Quivi unUfficiale superiore, che un prigionie-ro asserisce essere o il ColonnelloBixio o un figlio stesso del Garibal-di, mentre teneva la bandiera nellemani e incuorava la sua gente, fu tra-fitto da un colpo di baionetta. Quellabandiera ed il cavallo dell’ucciso ri-masero in potere dei vincitori. Dopodue giorni di gloriosi combattimentila colonna del Brigadiere Landi rien-trava a Palermo, ognuno dei suoicomponenti con la coscienza di avervalorosamente adempiuto al propriodovere”.

Ed il Giornale di Roma nel n. 115del 19 maggio così annunziava ecommentava gli avvenimenti:

“Le bande di Garibaldi energica-mente attaccate alla baionetta dallereali truppe presso Calatafimi, sonostate messe in piena rotta, lasciando

Poiché viene accennata la protestadel Governo delle Due Sicilie, credoopportuno riassumerla o trascriverlanei suoi elementi principali:

“Un fatto della più selvaggia pira-teria è stato commesso da un’orda dibriganti, pubblicamente arrolati, or-ganizzati in uno Stato non nemico,sotto gli occhi del Governo di questoStato e malgrado la promessa ricevu-ta da una parte di volerlo impedire”.

Dopo aver descritto la preparazio-ne della spedizione, le rimostranzepreventive al Governo piemontese,le assicurazioni ricevute, lo sbarcoavvenuto, così il Ministro degli Este-ri Carafa, conclude la sua Nota allePotenze, “con questa semplice indi-cazione dello scandaloso attenta-to…, perché voglia informarne il suoGoverno, e quali che possano esserele conseguenze di un atto commessocontro ogni specie di diritto, violan-do le leggi internazionali e per ilquale l’Italia può trovarsi gettata nel-la più sanguinosa anarchia compro-mettendo così l’Europa intiera, la re-sponsabilità non ne deve ricadereche sugli autori fautori e complicidella barbara invasione commessa”.

***

Il 18 maggio il Giornale di Romapubblica nelle sue note del mattino:

“La sensazione profonda che lanotizia della spedizione di Garibaldiha dovunque destato e lo sdegno chene provarono tutti coloro che pel di-ritto pubblico e per le leggi interna-zionali sentono un qualche rispetto,trovano un’eco generale in pressoché tutto il giornalismo, il quale nonsi nasconde che questo audace mi-sfatto minaccia di aprire alla quistio-ne italiana una nuova e più tremendafase di disordini e di trambusti”.

Lo stesso giorno il Giornale Uffi-ciale di Napoli pubblicava una lungarelazione degli avvenimenti sino al-lora avvenuti:

“Posteriori rapporti han chiaritoessere la banda disbarcata di circa ot-tocento e comandata da Garibaldi.Appena quei filibustieri ebbero presoterra evitarono con ogni cura loscontro delle reali truppe..., minac-ciando i pacifici cittadini e non ri-sparmiando rapine, incendi e deva-stazioni di ogni sorta per i Comunida loro attraversati. Risaputo ciò inAlcamo, il Brigadiere Landi la seradi quello stesso giorno, quantunque

n.8-9, 2007 79

UN ESEMPIO DI ANTIMITO BORBONICO E PAPALINO | DOCUMENTI

Lo stesso giorno il Giornale di Ro-ma pubblicava questa informazionestravagante:

“Merita più speciale considerazio-ne il giornale francese La Patrie, ilquale come dal primo sbarco dei vo-lontari in Sicilia aveva di giorno ingiorno preconizzato gli avvenimenti,così alla data del 26 annunziava chenel giorno seguente, 27, Garibaldi a-vrebbe operato il suo attacco controPalermo. Non volendo che i redattoridi quel giornale godano del privile-gio di una seconda vita, bisognereb-be ritenere che le operazioni della Si-cilia siano state già in precedenzatracciate e prestabilite…” (?!?)

Da allora le notizie si fanno piùsecche. Il 4 giugno lo stesso giornaleannunzia: “Niuna ulteriore notizia diPalermo, da che seppesi che il 30 eb-bevi sospensione di ostilità per venti-quattr’ore ad oggetto di seppellire imorti e provvedere ai feriti. Questasospensione fu prorogata il 31 per al-tri tre giorni, cioè fino al mezzogior-no del 3 corrente”.

E il giorno appresso più seccamen-te ancora:

“Notizie da Napoli recano che aPalermo la sospensione delle ostilitàfu indefinitamente prorogata, mante-nendo le truppe le loro posizioni”.

Il Giornale Ufficiale di Napoliniente, e bisogna arrivare al n. 133del 12 giugno per leggere in questogiornale ufficiale:

“Diecimila uomini di truppa si so-no imbarcati a Palermo ed il resto nepartirà prima del giorno 15. Le regietruppe conservano in Sicilia le piaz-ze di Messina, di Augusta e di Sira-cusa”.

Nient’altro.Ma come? Quando? Perché? E tut-

te le vittorie? E il valore? E i filibu-stieri?

Da quel giorno in poi per il Gior-nale di Roma Napoli e la Sicilia nonesistono più; mentre il Giornale Uffi-ciale si limita a pubblicare i Decretie annunziare i ricevimenti.

Pochi giorni dopo Francesco con-cede la Costituzione. Lo stesso nu-mero pubblica il Decreto che procla-ma lo stato d’assedio.

Melchiorre Fazio, L’epopea garibaldina.Il rovescio della medaglia (in “PiccoloGiornale d’Italia”, venerdì 18 maggio1924).

bili dell’onesto, incominciano ades-so a divenire dilettevoli ed argomen-to d’ilarità, né può farsene menzionese non come si pratica per gli aned-doti comici e per le dicerie degli em-pirici e dei giocolieri”.

Allegri a Roma in quei giorni!…Però il 27 Garibaldi era già entrato inPalermo!

Ed il 31 maggio Il Giornale di Ro-ma scrive:

“Notizie telegrafiche annunzianoche dopo i felici successi per le trup-pe regie in Sicilia, altri forti sbarchisonosi verificati e Garibaldi la matti-na del 27 tentò un colpo disperatosopra Palermo. Quantunque le trup-pe regie combattessero da eroi, purecoadiuvato da interna insurrezioneriuscì ad esso di penetrare alle ore seidel mattino in città e invase il Sena-to. Le truppe regie occuparono la cit-tadella, il palazzo e Monreale. A dueore i forti e le vai regie cominciaronoil fuoco. Grandi disastri sono a de-plorare”.

Il Giornale Ufficiale di Napoli del1° giugno dà notizie dell’avveni-mento con le parole quasi uguali. Poiaggiunse:

“La colonna di Corleone, avendo a-vuta conoscenza del fatto, corse im-mantinente a Palermo e dalla Porta diTermini, una di quelle per le quali eraentrato il generale (!) Garibaldi aven-dola forzata e riconquistata, entrò nel-la città e occupò una parte delle posi-zioni prese dal detto Garibaldi. Fortiperdite si devono deplorare dal latodelle regie truppe, all’immenso valoredelle quali il nemico stesso ha reso unsegnalato omaggio; quelle perdite sondi molto inferiori a quelle che le ban-de hanno subito. Una sospensione diostilità fu stabilita per curare i feriti esotterrare i morti”.

maggiori notizie “delladisfatta delle bande in-

sorte e di quelle di Garibaldi.“Il 24 le truppe del generale Co-

lonna e del colonnello Von Mechelcon uno slancio straordinario hannocacciato da quella importante posi-zione i ribelli. Questi ne occuparonoun’altra dominante la prima. Il 25quella seconda posizione fu tosto at-taccata con eguale impetuosità e sitolse ai ribelli uno dei loro cannoni.

“L’assalto delle reali truppe fu sìvivo e formidabile che tutti i ribelliuniti alle bande di Garibaldi, e questialla loro testa, se ne fuggirono in di-sordine verso Piana dei Greci; là ser-rati da preso ed attaccati di nuovodalla colonna Von Mechel e dal valo-roso 9° Cacciatori, comandati dalmaggiore Bosco, si abbandonaronoegualmente ad una fuga precipitosa edisordinata, attraversando il distrettodi Corleone e cercando la loro sal-vezza più che nuove posizioni.

“Le bande suddette, perseguitatesenza posa dalle reali truppe, conti-nuarono a fuggire in preda allo spa-vento, che è il doppio effetto del di-singanno, ove son caduti sin dal loroarrivo in Sicilia e delle perdite graviche in tutti gli scontri le han diminui-to di forze e di speranze”.

Il Giornale di Roma del 28 e 29maggio faceva eco a queste notiziein questi termini:

“Le innumerevoli contraddizioni,le stupide calunnie e le sfrontatemenzogne con cui da molti giorni ifogli della rivoluzione, specialmentedi Piemonte e Toscana, si sforzano diilludere l’opinione sul vero stato del-le cose in Sicilia, se provocarono si-no ad allora il disgusto e la riprova-zione di quanti sentono rettamente egiudicano secondo i principi invaria-

DOCUMENTI | UN ESEMPIO DI ANTIMITO BORBONICO E PAPALINO

VS La rivista | n.8-9, 200780

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P er una bibliografiapressoché esaustiva suGaribaldi e la tradizio-ne garibaldina si rinviaal lavoro di A. Campa-

nella (cfr. Giuseppe Garibaldi e latradizione garibaldina: una bibli-ografia dal 1807 al 1970, Ginevra,Comitato dell’Istituto internazionaledi Studi garibaldini, 1971) e allacontinuazione di quest’ultimo curatada S. Magliani (cfr. Garibaldi e latradizione garibaldina: bibliografia1969-2002, in “Studi garibaldini. Iquaderni”, a. III (2003), n. 3-4 ). I titoli sotto elencati, per i quali si ètenuto particolarmente conto delleindicazioni fornite dal volume di A.Scirocco (cfr. Giuseppe Garibaldi, ilfiglio Menotti e il Banco di Napoli,in “Nuova Antologia” gennaio-mar-zo 2003 ), forniscono solo una pri-ma inquadratura delle tante temati-che e problematiche legate alla figu-ra dell’Eroe dei due mondi.

Scritti di Garibaldi

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