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GF A.S. 2010-11 1/19 Istituto di Istruzione Superiore ITC “Crescenzi” - ITG “Pacinotti” , Bologna APPUNTI DI GEOPEDOLOGIA A.S. 2010/11 Classe 3 BS geometri Docente: Giuseppe Falivene UN APPROFONDIMENTO SULLE FORESTE Percorso 1. Introduzione allo studio delle foreste, analisi floristica e vegetazionale 2. aspetti ecologici : fattori biotici e biotici 3. Le associazioni italiane 4. La vegetazione forestale in Emila-Romagna 5. Il valore delle foreste – funzione 6. Il degrado delle foreste: causa naturali e antropiche 7. Rimedi 1. La foresta rappresenta una vasta superficie dominata da alberi con un ricco e spesso impenetrabile sottobosco, presenta maggiore complessità rispetto al bosco ed è di più antica formazione. Per bosco dobbiamo intendere una minore estensione e con un impatto umano, da debole a elevato, sulla copertura vegetale. << Definizione “ecologica” di BOSCO: “l’insieme di tutti gli organismi viventi in una comunità dominata da specie legnose che interagiscono tra loro e con l‘ambiente fisico in modo tale che un flusso di energia porta ad una ben definita struttura trofica, ad una diversità biotica ed a una circolazione della materia nell’interno del sistema” (Odum, 1971).>> Nell’analisi di questi biomi non bisogna confondere lo studio floristico (della flora) dallo studio della vegetazione. Studiare la FLORA di un territorio (che è il risultato di complesse vicende storiche e si distribuisce nel territorio in funzione della compatibilità tra le loro strategie biologiche ed i campi di variazione dei fattori ambientali compresa la competizione con le altre specie) vuol dire fare l’elenco delle specie presenti, suddivise per categorie sistematiche e con annotazioni sulla loro distribuzione geografica e ambientale . Ciò non consente di comprendere le reali situazioni del manto vegetale ma rappresenta, lo studio floristico, uno strumento di conoscenza preliminare per l’analisi ambientale. Dallo studio della flora si passa a studiare i complessi di specie vegetali che si possono differenziare per fisionomia (dominanza di qualche specie) e per struttura (erbe, cespugli, alberi); si passa cioè all’analisi della vegetazione che rappresenta l’insieme delle comunità di specie vegetali, più o meno stabili, legati da rapporti dinamici . Il metodo fitosociologico sigmantista di Braun-Blanquet nello studio della vegetazione Esso si basa su alcuni presupposti: il primo consiste nel considerare la vegetazione di un territorio e tutte le sue variazioni, come il risultato dell’azione dei fattori climatici, edafici e umani sul complesso di specie vegetali esistenti sul territorio; il secondo presupposto discende dal primo. Poiché le specie vegetali rispondono in termini di presenza/assenza in relazione ai fattori ambientali di cui possono tollerare o meno certi valori, una volta individuati i complessi vegetali (aggruppamenti) si può risalire alle cause che li determinano. La vegetazione che è in gran parte espressione diretta di tutti i fattori ambientali è con il tempo soggetta a mutamenti di grande portata non avvertibile da noi in modo diretto per i tempi

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Istituto di Istruzione Superiore ITC “Crescenzi” - ITG “Pacinotti” , Bologna

APPUNTI DI GEOPEDOLOGIA A.S. 2010/11

Classe 3 BS geometri Docente: Giuseppe Falivene

UN APPROFONDIMENTO SULLE FORESTE Percorso

1. Introduzione allo studio delle foreste, analisi floristica e vegetazionale

2. aspetti ecologici : fattori biotici e biotici 3. Le associazioni italiane 4. La vegetazione forestale in Emila-Romagna 5. Il valore delle foreste – funzione 6. Il degrado delle foreste: causa naturali e

antropiche 7. Rimedi

1. La foresta rappresenta una vasta superficie dominata da alberi con un ricco e spesso

impenetrabile sottobosco, presenta maggiore complessità rispetto al bosco ed è di più antica formazione. Per bosco dobbiamo intendere una minore estensione e con un impatto umano, da debole a elevato, sulla copertura vegetale.

<< Definizione “ecologica” di BOSCO: “l’insieme di tutti gli organismi viventi in una comunità dominata da specie legnose che interagiscono tra loro e con l‘ambiente fisico in modo tale che un flusso di energia porta ad una ben definita struttura trofica, ad una diversità biotica ed a una circolazione della materia nell’interno del sistema” (Odum, 1971).>>

Nell’analisi di questi biomi non bisogna confondere lo studio floristico (della flora) dallo studio della vegetazione. Studiare la FLORA di un territorio (che è il risultato di complesse vicende storiche e si distribuisce nel territorio in funzione della compatibilità tra le loro strategie biologiche ed i campi di variazione dei fattori ambientali compresa la competizione con le altre specie) vuol dire fare l’elenco delle specie presenti, suddivise per categorie sistematiche e con annotazioni sulla loro distribuzione geografica e ambientale. Ciò non consente di comprendere le reali situazioni del manto vegetale ma rappresenta, lo studio floristico, uno strumento di conoscenza preliminare per l’analisi ambientale. Dallo studio della flora si passa a studiare i complessi di specie vegetali che si possono differenziare per fisionomia (dominanza di qualche specie) e per struttura (erbe, cespugli, alberi); si passa cioè all’analisi della vegetazione che rappresenta l’insieme delle comunità di specie vegetali, più o meno stabili, legati da rapporti dinamici.

Il metodo fitosociologico sigmantista di Braun-Blanquet nello studio della vegetazione Esso si basa su alcuni presupposti: � il primo consiste nel considerare la vegetazione di un territorio e tutte le sue variazioni,

come il risultato dell’azione dei fattori climatici, edafici e umani sul complesso di specie vegetali esistenti sul territorio;

� il secondo presupposto discende dal primo. Poiché le specie vegetali rispondono in termini di presenza/assenza in relazione ai fattori ambientali di cui possono tollerare o meno certi valori, una volta individuati i complessi vegetali (aggruppamenti) si può risalire alle cause che li determinano.

La vegetazione che è in gran parte espressione diretta di tutti i fattori ambientali è con il tempo soggetta a mutamenti di grande portata non avvertibile da noi in modo diretto per i tempi

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lunghi in cui si svolgono e per il fatto che le modificazioni umane sulla vegetazione mascherano abbondantemente quello che avviene in modo naturale. In sostanza si tiene conto che:

1. la vegetazione è un sistema formato da stati diversi di aggregazione delle popolazioni delle specie vegetali spontanee (popolamenti elementari);

2. ogni stato è definito da una composizione specifica e dai rapporti quantitativi fra le specie. E’ descrivibile mediante un rilievo, che consiste nell’annotare tutte le specie che si trovano in aree di saggio, nello stabilire la quantità di individui di ciascuna specie e il suo stato di aggregazione sulla superficie del rilievo. La scelta dell’area di saggio deve tener conto della omogeneità della vegetazione almeno dal punto di vista fisionomico; anche la superficie dell’area varia in funzione della complessità della vegetazione; occorre indicare la località, le condizioni orografiche (esposizione, inclinazione, aslm), geopedologiche; annotare la stratificazione, copertura % dei singoli strati e loro sviluppo in altezza; azioni umane.

3. i rilievi che descrivono stati simili per composizione floristica e rapporti quantitativi tra le specie sono utilizzati per definire tipi di vegetazione, cioè comunità vegetali.

4. tra le specie che costituiscono una comunità ci sono alcune più legate alle condizioni ambientali e sono dette specie diagnostiche;

5. le specie diagnostiche sono usate per classificare le comunità in un sistema gerarchico di cui l’associazione vegetale è l’unità elementare.

L’associazione vegetale è una comunità vegetale a composizione floristica definita, a fisionomia uniforme e corrispondente a condizioni uniformi di habitat. L’associazione è l’unità sinecologica fondamentale. Le associazioni sono classificate in alleanze, le alleanze in ordini, gli ordini in classi e le classi in divisioni. Le associazioni sono a loro volta suddivise in subunità. Ogni comunità vegetale considerata da un punto di vista energetico è un sistema aperto: cattura energia luminosa e la converte in energia e materia. Le modificazioni dinamiche che si instaurano comportano cambiamenti progressivi nella composizione in specie e nei loro rapporti quantitativi. Si determinano così successioni di comunità che possono essere autogene – determinate dalla attività biologica della comunità vegetale – o allogene – determinata da cause esterne alla comunità. Se le comunità divengono sempre più complesse (aumento della struttura o della biomassa) la successione è progressiva; in caso contrario regressiva. Come già sappiamo, l’aumento di complessità della vegetazione, aumentando i rapporti di integrazione tra le specie, rende sempre più stabili gli assetti raggiunti fino ad arrivare allo stadio finale di vegetazione climax. (es. le foreste delle pianure centro europee e della fascia sub-atlantica in Italia dominate dal faggio). Un modo per evidenziare i caratteri, i tipi e interdipendenze della vegetazione è l’esame della zonazione. Per cui definiamo <<fascia di vegetazione>> una porzione dello spazio, individuata in senso altitudinale, nella quale si verificano condizioni bioclimatiche simili e che pertanto presenta le stesse potenzialità dal punti di vista vegetazionale. La stessa porzione di spazio, individuata sul piano geografico, con esclusione di variazioni dovute all’altitudine è la

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<< zona di vegetazione>>. Sia parlando di fascia che di zona si può usare il termine zonazione. La struttura e il funzionamento dell’ecosistema riassumono le attività di tutti gli organismi della comunità biologica e le loro interazioni reciproche e con l’ambiente fisico. L’ambiente delle foreste è un esempio particolarmente chiaro di ecosistema organizzato in stati sovrapposti permettendo la massima utilizzazione dell’energia solare e una maggiore diversificazione delle nicchie ecologiche. Nella foresta possiamo distinguere: lo strato arboreo, lo strato arbustivo, lo strato erbaceo e lo strato muscinale. Il popolamento animale è diversificato nei diversi strati. 2. Aspetti ecologici ⇒⇒⇒⇒ In tutti gli ecosistemi forestali le catene alimentari dei detrivori dominano largamente le catene degli erbivori. Inoltre nella piramide alimentare della foresta i carnivori sono più efficiente degli erbivori del livello trofico inferiore, in virtù del fatto che una parte dei vegetali è difficile da masticare e da digerire e quindi gli erbivori producono molti scarti che divengono alimenti per i decompositori. Inoltre solo una quantità inferiore del 5 % della produzione vegetale annua è prelevata dagli erbivori, mentre il resto non viene toccata e finisce per diventare materia morta sottoposta a processi di mineralizzazione operati ancora dai decompositori. ⇒⇒⇒⇒ Dal punto di vista dei cicli degli elementi, la foresta è un sistema aperto che scambia minerali con altri parti del sistema. La perdita maggiore di elementi nutritivi dal sistema avviene attraverso l’acqua corrente sia sopra che sotto il terreno, che porta via i minerali dilavati dalla lettiera e dal suolo. Le più importanti vie di immissione degli elementi minerali nel sistema delle foreste sono le precipitazioni , la cattura di polvere e altre particelle sospese nell’aria e lo sgretolarsi della roccia madre su cui cresce la foresta. In un ecosistema bilanciato, stabile, l’assorbimento dei minerali dal suolo da parte delle piante deve essere in equilibrio con il ritorno dei minerali al suolo attraverso la lettiera caduta. In molte foreste temperate ciò non avviene per lo più perchè sono giovani e in via di accrescimento. ⇒⇒⇒⇒ Il microclima della foresta è caratterizzato in primo luogo dalle modificazioni che subisce la

luce. Nelle foreste di conifere la luce è fortemente indebolita ma poco modificata qualitativamente; nelle foreste di caducifoglie la luce subisce un forte assorbimento selettivo. L’intensità luminosa cambia molto nel corso dell’anno a seconda della quantità di foglie che hanno gli alberi in quel momento. Nella foresta temperata l’illuminazione al suolo può scendere al 2 % dell’illuminazione del terreno nudo; nella foresta tropicale essa varia tra lo 0.1 % e l’1 %. La quantità e la qualità della luce variano quindi, come si intuisce, a seconda della natura degli alberi, della stratificazione verticale, della zona del bosco (bordo, boscaglia fitta, …) e la stagione.

La temperatura media annuale è più bassa e la piovosità annuale più alta nella foresta che nelle zone non boscose circostanti. La foresta è un luogo termicamente più costante di un’area scoperta e l’escursione termica, sia giornaliera, sia mensile che annuale, è sempre minore.

Il contenuto di anidride carbonica nell’aria è sempre leggermente superiore che in campo aperto.

L’UR è maggiore durante le ore notturne . Le chiome degli alberi intercettano una buona parte della pioggia: i due terzi delle piogge

deboli o almeno un quinto delle piogge temporalesche in una foresta di conifere e di più in quella di caducifoglie. Le condizioni climatiche ambientali di una foresta sono quelle di un clima più temperato di quello all’aria aperta, con una temperatura media più bassa, un’umidità media più alta, movimenti d’aria più attenuati, una illuminazione ridotta e una luce ricca di raggi rossi e infrarossi e povera di raggi gialli-verdi. Esistono, chiaramente, condizioni particolari all’interno della foresta, che si diversificano quanto riguarda i microclimi che abbiamo descritto: le radure, i tronchi d’albero e le cavità degli alberi. A livello regionale il bioma forestale tipico è quello della foresta temperata di caducifoglie.

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3. Le associazioni italiane

In base allo schema della distribuzione generale dei climi, la penisola italiana rientra completamente nell’area del clima mediterraneo che appartiene ai climi mesotermici e più precisamente al subtropicale con estate asciutta, secondo la classificazione di W. Koppen. In realtà, a causa di numerosi fattori come l’ubicazione del territorio rispetto ai mari ed al continente europeo, la struttura orografica e l’influenza della latitudine, accanto al tipico clima mediterraneo vi sono aree con altri climi mesotermici o con situazioni di clima microtermico e di altitudine. Viene qui proposta una suddivisione climatica basata sullo schema Koppen-Geiger, riportando come riferimento la codificazione letterale utilizzata da Koppen. La carta climatica d’Italia mostra la suddivisione per regioni climatiche che viene commentata qui di seguito.

⇒⇒⇒⇒ Regioni litoranea ligure-tirrenica, medio adriatica e ionica

Temperato subtropicale (CS) Interessa le aree più calde di ristrette fasce costiere dell’Italia meridionale ed insulare. Media annua > 17°C; media del mese più freddo > 10°C; 5 mesi con media > 20°C; escursione annua da 13°C a l7°C. Temperato caldo (Cs) Interessa la fascia litoranea tirrenica dalla Liguria alla Calabria, la fascia meridionale della costa adriatica e la zona ionica. Media annua da 14.5 a 16.9°C; media del mese più freddo da 6 a 9.9°C; 4 mesi con media > 20°C; escursione annua da 15 a 17°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione sublitoranea interna

Temperato sublitoraneo (Cs) Interessa le zone collinari del preappennino tosco-umbro- marchigiano ed i versanti bassi

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dell’Appennino meridionale. Media annua da 10°C a l4.4°C; media del mese più freddo da 4°C a 5.9°C; 3 mesi con media > 20°C; escursione annua da 16°C a 19°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione padano veneta, alto adriatica e peninsulare interna

Temperato subcontinentale (Cf) Interessa parte della pianura veneta, la pianura friulana, la fascia costiera dell’alto adriatico e la peninsulare interna. Media annua da 10°C a 14°C; media del mese più freddo da -1 a 3.9°C; 2 mesi con temperatura > 20°C; escursione annua da 16 a 19°C. Temperato continentale (Cf) Interessa tutta la pianura padana e parte di quella veneta. Media annua da 9.5 a 15°C; media del mese più freddo da -1.5 a 3°C; 3 mesi con media >20›; escursione annua > 19°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione prealpina e medio appenninica

Temperato fresco (Cf) Interessa le prealpi e la zona assiale dell’Appennino che talora presenta caratteristiche subcontinentali. Media annua da 6 a 9.9°C; media del mese più freddo da 0 a -3°C; media del mese più caldo da 15 a 19.9°C; escursione annua da 18 a 20°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione alpina e alto appenninica

Temperato freddo (Dw) Interessa una fascia delle Alpi e le aree sommitali dei maggiori gruppi appenninici. Media annua da 3 a 5.9°C; media del mese più freddo <-3°C; media del mese più caldo da 10 a 14.9°C; escursione annua da 16 a 19°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione alpina

Freddo d’altitudine (H) Interessa le zone alpine al di sopra dei 2000 m. Media annua <0›; media del mese più freddo <-6°C; media del mese più caldo < 9.9°C; escursione annua da 15 a 18°C.

Nivale (EF) Interessa la zona delle Alpi oltre i 3500 m. con neve perenne. T del mese più freddo -65°C.

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Le fasce vegetazionali

In Italia sono distinguibili, (Pignatti 1979), due zone bioclimatiche: Zona Medioeuropea (Alpi, Padania, versante settentrionale Appenninico dalla Liguria alla Romagna) e Zona Mediterranea (Penisola, Isole e Liguria a sud del crinale Appenninico e delle Alpi Marittime). Il limite convenzionale tra le due zone, lungo lo spartiacque, è sfumato, soprattutto sul versante adriatico. Tra le Fasce vegetazionali riconosciute in Italia, alcune sono presenti in ambedue le Zone, altre in una sola di esse. Accade, inoltre, che formazioni appartenenti a una determinata Fascia compaiano al di fuori di essa, nell’ambito di un’altra Fascia o Zona, assumendo significato extrazonale. Nella Carta alcune Fasce sono state

rappresentate singolarmente, altre sono state raggruppate. Le Fasce vegetazionali vengono di seguito prese in esame seguendo un ordine altitudinale ascendente. Per ogni fascia sono indicate anche altre denominazioni usate nella letteratura geobotanica la dicitura “p.p.” segnala in senso lato la mancanza di una precisa corrispondenza con la denominazione usata in queste pagine.

Fascia dell’Oleastro e del Carrubo

(Climax della foresta sempreverde mediterranea Giacomini e Fenaroli, 1958 p.p.; Climax dell’Oleastro e del Carrubo Tomaselli, 1973; Vegetazione termomediterranea Ozenda et al., 1979; Fascia mediterranea-arida Pignatti, 1979; Fascia dell’Oleastro e del Carrubo Lorenzoni, 1987). Vegetazione mediterranea termofila-xerofila; boscaglia sempreverde con Oleastro, Carrubo, Lentisco, Palma nana, Mirto, Ilatro, Ginepro, Euforbia arborea, Cisti. Pinete di pino d’Aleppo. Ampia diffusione di esotiche (Palme, Cactacee). Coltivazioni di Olivo, agrumi, Mandorlo, Vite, Fico d’India, cereali, Eucalipti. Ambiente ecologico: mediterraneo-arido; temperatura media annua: 18°C. La fascia è presente nella Zona Mediterranea.

Fascia del Leccio

(Climax della foresta sempreverde mediterranea Giacomini e Fenaroli, 1958 p.p.; Climax del Leccio, Tomaselli,1973 p.p.; Vegetazione mesomediterranea, Ozenda et al., 1979; Fascia mediterranea temperata, Pignatti,1979; Fascia del Leccio Lorenzoni,1987p.p.).

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Vegetazione mediterranea di foresta/macchia sempreverde . Lecceta: Leccio accompagnato da Corbezzolo, Lentisco, Terebinto, Alatern, Viburno. Formazioni di Leccio e Sughera; sugherete; pinete di Pino marittimo, Pino d’Aleppo e Pino da pinoli. Garighe e steppe di degradazione. Coltivazioni di Olivo, Vite, cereali, Frassino da manna. Compenetrazioni, al limite superiore della fascia, con elementi del bosco caducifoglio (Orniello, Roverella). Ambiente ecologico: mediterraneo; temperatura media annua: 15°C. La fascia è presente nella Zona Mediterranea; e extrazonale nella Zona Medioeuropea. Le foreste miste caducifoglie sono rappresentate dalla fascia della Farnia, del Carpino e del Frassino e dalla fascia della Roverella e della Rovere.

Fascia della Farnia, del Carpino e del Frassino

(Climax della foresta caducifoglia submontana Giacomini e Fenaroli, 1958 p.p.; Querco-Carpineto actuo/paleoclimacico della Padania Bertolani Marchetti, 1969/70; Climax del Frassino, del Carpino e della Farnia Tomaselli,1973; Vegetazione delle grandi valli e pianure alluvionali Ozenda et al., 1979; Fascia medioeuropea Pignatti, 1979 p.p.; Fascia del Frassino angustifoglio, del Carpino bianco, della Farnia Lorenzoni, 1987). Vegetazione delle grandi pianure e dei fondovalle con Farnia, Carpino, Frassino. Formazioni con dominanza di Farnia e potenzialità per il Cerro; nelle depressioni lungo le rive dei laghi o dei fiumi popolamenti con Ontano, Pioppo bianco, Salici ecc. Pinete costiere paraclimaciche. Antropizzazione molto alta. Coltivazioni di colture erbacee, frutteti, vigneti, pioppeti. Vegetazione alofila litorale, azonale.

Fascia della Roverella e della Rovere

(Climax della Roverella e della Rovere Tomaselli, 1973, p.p.; Climax della foresta caducifoglia submontana Giacomini e Fenaroli 1958 p.p.; Fascia sannitica p.p. e Fascia medioeuropea p.p. Pignatti,1979; Fascia della Roverella e della Rovere Lorenzoni,1987, p.p.). Formazioni a Roverella con potenzialità per il Leccio o per il Fragno. Formazioni miste con dominanza di (o maggiore potenzialità per) Roverella o Rovere o Cerro. Aggruppamenti extrazonali/azonali di Pino silvestre/Pino nero. Castagneti. Coltivazioni di colture di cereali, Vite, ortaggi, Olivo; frutteti, prati, pascoli.

Fascia del Faggio

(Climax della foresta caducifoglia montana, Giacomini e Fenaroli, 1958; Climax del Faggio, Tomaselli, 1973; Fascia subatlantica Pignatti ,1979; Fascia del Faggio Lorenzoni, 1987). Faggeta; vari aspetti di foresta caducifoglia mesofila con denominanza di faggio; Formazioni di Faggio e Abete bianco. Popolamenti exstrazonali/azonali di Pino silvestre, P. mugo/P. nero; popolamenti estrazonali di Peccio. Boschi colturali di aghifoglie. Prati; pascoli, rare coltivazioni di Patate e Grano saraceno. Ambiente ecologico: montano; temperatura media annua: 8°C. La fascia e’ presente sia nella Zona Medioeuropea, sia nella Zona Mediterranea.

Fascia del Peccio

(Climax della foresta di aghifoglie Giacomini e Fenaroli ,1958; Climax del Peccio Tomaselli ,1973; Fascia boreale Pignatti, 1979; Fascia superiore delle Aghifoglie Lorenzoni ,1987). Foresta sempreverde di conifere e sottobosco di ericacee (taiga). Formazioni con dominanza di Peccio (Picea abies o abete rosso), formazioni con Larice e Cembro. Consoni di Pino mugo; alneti ad Ontano verde; brughiere di ericacee (Rododendro, Mirtillo). Pascoli. Ambiente ecologico: subalpino; temperatura media annuale: 4°C. La fascia è presente nella Zona Medioeuropea; e extrazonale nella Zona Mediterranea. Situazioni al di sopra del limite degli alberi. Arbusti prostrati; tappeti erbosi; vegetazione ipsofila, crionivale, di pareti rocciose d’altitudine ecc. Vegetazione assente per presenza di ghiacciai, di nevai permanenti o persistenti gran parte dell’anno.

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Nelle aree al di sopra del limite degli alberi sono riconosciute le seguenti fasce vegetazionali (Pignatti 1979):

Zona Medioeuropea

Fascia Alpica

Tappeti erbosi e tundra. Sulle Alpi oltre il limite degli alberi; temperatura media annua: 1°C. La fascia è extrazonale sull’Appennino.

Fascia Nivale

Popolamenti discontinui a licheni. Sulle Alpi oltre il limite delle nevi perenni; temperatura media annua: 5°C.

Zona Mediterranea

Fascia Mediterraneo-altomontana

Tappeti erbosi scorticati. Sull’Appennino; temperatura media annua: 1°C. Fascia Irano-nevadese: Arbusti emisferici spinosi. Sulle alte montagne delle grandi isole; temperatura media annua: 5°C.

( le note precedenti sono tratte dal sito dell’Associazione Italiana di Aerobiologia http://www.ilpolline.it/vegetazione-italia ) 4. LE CATEGORIE FORESTALI DELL’EMILIA ROMAGNA

Tutta la regione Emilia-Romagna ricade nella zona bioclimatica medioeuropea, comprendente le Alpi, la Padania e il versante settentrionale dell’Appennino, dalla Liguria alla Romagna. Il confine di questa zona con la zona bioclimatica mediterranea si colloca, in modo alquanto sfumato, lungo le coste adriatiche più meridionali della regione e può essere posto approssimativamente in corrispondenza della Valle del Marecchia.

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Fascia mediterranea (extrazonale): - il bosco della Mesola (bosco dominato dal leccio, bosco mesofilo dominato dalla farnia

e carpino bianco, bosco igrofilo con Fraxinus oxycarpa) - le pinete a pino domestico (Pinus pinea) – le pinete ravennate (pinete di Classe, San

Vitale e di Cervia) Fascia medioeuropea planiziale:

- querceti caducifogli mesofili a farnia, carpino bianco, frassino, corniolo, nocciolo, olmo, acero campestre : bosco Panfilia presso Sant’Agostino (FE); bosco di Punte Alberete

- I boschi riparali - I pioppeti artificiali

Fascia medioeuropea collinare e submontana:fino agli 800 – 1000 m - I querceti mesofili e gli orno-ostrieti: querco-ostrieto, cerreto, rovero-cerreto. - I castagneti - I querceti xerofili - Le pinete a pino silvestre - I boschi ripariali

Fascia subatlantica: tra gli 800-1000 m e i 1700 m (fascia montana) - I faggeti - I boschi riparali - Le peccete relitte (Passo del Cerreto, Passo dell’Abetone)

Fascia boreale: - Brughiera a mirtillo e praterie orofile.

Criteri per l’individuazione delle unità fisionomiche fondamentali della tipologia forestale della Regione Emilia-Romagna. I boschi sono definiti in base a una copertura di specie arboree (h > 3m) superiore al 20% Gli arbusteti sono definiti in base a una copertura di specie arbustive (h 1/1,5-3 m; tra cui biancospino, sanguinello, ginepri, prugnolo, ecc,) >20% e con specie arboree < 20%. I cespuglieti sono definiti in base a una copertura di specie cespugliose (h < 1/1,5 m ) tra cui alcuni tipi di ginestra, ecc, >20% con specie arboree < 20%. Sulla base delle conoscenze finora raccolte e delle ricognizioni di terreno svolte, è stata redatta una prima bozza dei tipi forestali della Regione Emilia Romagna: nelle 15 categorie presenti sono individuati 55 tipi forestali (di cui 7 arbusteti) così di seguito definiti ed elencati: LECCETE (LE) � Lecceta costiera su dune � Lecceta supramediterranea rupestre QUERCETI ROVERELLA (QU) � Querceto mesoxerofilo di roverella � Querceto xerofilo di roverella; � Querceto xero-acidofilo di roverella QUERCETI DI FARNIA (QC) � Querco-ulmeto golenale; � Querco-carpineto dei terrazzi appenninici CERRETE (CE) � Cerreta dei terrazzi planiziali � Cerreta mesoxerofila � Cerreta mesofila � Cerreta acidofila ORNO-OSTRIETI (OS) � Ostrieto pioniero � Ostrieto mesoxerofilo � Ostrieto dei substrati serpentinitici

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� Ostrieto mesofilo di forra CASTAGNETI (CA) � Castagneto da frutto � Castagneto acidofilo � Castagneto neutrofilo PINETE COSTIERE (PC) � Pineta costiera di pino domestico e/o marittimo PINETE APPENNINICHE (PM) � Pineta appenninica calcifila di pino silvestre � Pineta acidofila di pino uncinato prostrato ABETINE (AB) � Abetina mesoneutrofila � Abetina oligotrofica FAGGETE (FA) � Faggeta oligotrofica � Faggeta mesofila submontana � Faggeta mesoxerofila calcifila � Faggeta eutrofica � Faggeta mesotrofica altimontana SALICETI e PIOPPETI (SP) � Saliceto arbustivo appenninico � Saliceto planiziale a Salix alba � Saliceto paludoso a Salix cinerea � Pioppeto di pioppo nero � Pioppeto di pioppo bianco LATIFOGLIE MESOFILE E MESOIGROFILE (LM) � Alneto di ontano bianco � Alneto di ontano nero � Frassineto planiziale a Fraxinus oxycarpa � Carpineto submontano d’impluvio � Acero-tiglio-frassineto di forra � Acero- frassineto d’invasione BOSCAGLIE PIONIERE E D’INVASIONE (BS) � Betuleto � Corileto � Robinieto � Pioppeto di pioppo tremolo � Boscaglia d’invasione � Boscaglia rupestre RIMBOSCHIMENTI (RI) � Rimboschimenti costieri e planiziali � Rimboschimenti collinari � Rimboschimenti montani ARBUSTETI (AM) � Arbusteto a rosacee e sanguinello � Arbusteto a ginepro comune � Arbusteto a Spartium junceum � Arbusteto a Cytisus scoparius � Arbusteto a Amorpha fruticosa � Macchia mediterranea costiera � Arbusteto a tamerici

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5. Il valore delle foreste – funzioni Le foreste svolgono innumerevoli funzioni - sociali, economiche ed ambientali: fonti di lavoro, di reddito e materie prime per l’industria e l’energia rinnovabile; protezione del suolo, degli abitati e delle infrastrutture; regolazione della funzione idrica e conservazione della biodiversità. Tali funzioni le possiamo, semplificando, raggruppare nelle seguenti categorie: Protettiva:

- salvaguardia idrogeologica: prevenzione dalle erosioni, dalle valanghe e dalle piene: (all’interno del bosco si ha una minore piovosità perché le chiome intercettano fino al 40-50 % delle piogge annue. Il terreno con notevole percentuale di materiale organico, permette una facile infiltrazione dell’acqua e, inoltre, la trattiene come se fosse una spugna. L’azione delle chiome e del terreno determina il “potere di trattenuta” del bosco, potere che è massimo nei boschi vigorosi e per piogge minime, è minimo per boschi degradati e per piogge massime. Grazie a questo potere le acque piovane vengono maggiormente assorbite dal terreno (anche grazie al lento “sgocciolio”delle piante) e il deflusso avviene in modo non rovinoso e con quantità di acqua minori. Tale deflusso interessa acque a scarso contenuto di materiale solido, contenuto invece elevato nei terreni soggetti ad erosione. Il bosco, quindi, aumenta il “tempo di corrivazione” cioè il tempo che occorre ad una particella d’acqua caduta nel punto più lontano del bacino imbrifero considerato per raggiungere la sezione dell’alveo principale presa come punto di riferimento;

- prevenzione dall’inquinamento delle falde (azione filtrante) - prevenzione dall’inquinamento atmosferico (azione di filtro) - prevenzione dall’inquinamento acustico - di habitat per vegetali e animali: il bosco è un grande produttore di humus ed ha

la capacità di modificare, grazie a questa sua prerogativa, il terreno su cui si sviluppa e permette lo sviluppo di specie via via più evolute. Da sempre, infatti, i selvicoltori piantano su terreni poveri specie arboree forestali poco esigenti ma in grado di produrre notevoli depositi di materiale organico (la cosiddetta “lettiera”) formata dalle foglie e dai rami. La diminuzione di erosione superficiale e l’aumento dello strato organico permettono di far succedere a queste specie “colonizzatrici” specie forestali più esigenti e di maggiore interesse economico. Spesso l’azione miglioratrice consente il “riscoppio” spontaneo della vegetazione forestale che esisteva prima del denudamento del terreno e che esiste nelle zone circostanti: in questo caso si hanno maggiori garanzie di stabilità per il nuovo bosco.

- REGOLA IL CLIMA (vento, umidità, temperatura) Produttiva:

- fornisce legno da ardere, da costruzione e sughero - fornisce prodotti del sottobosco - fornisce resine e fibre legnose - turismo

Ambientale: - migliora il paesaggio - caratterizza il territorio (paesaggio)

Ricreativo-culturale: - valore estetico e azione psicologica positiva.

FORESTE E CLIMA Il Protocollo di Kyoto riconosce alle foreste e al suolo, in virtù della loro capacità di assorbire anidride carbonica, un ruolo importante nelle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici. Le foreste sono quindi considerate alla stregua di serbatoi di carbonio (carbon sinks). I paesi che hanno assunto impegni di riduzione delle emissioni possono quindi raggiungere i loro obiettivi anche puntando sulle attività legate all’uso del suolo che comportano una fissazione del carbonio atmosferico. Il Protocollo consente ai paesi di usare tutti i “crediti di carbonio” derivati dai progetti di afforestazione e riforestazione realizzati dal 1990 in poi.

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In dettaglio, le attività previste dal Protocollo e poi integrate durante la settima conferenza delle Parti (CoP-7) dell’UNFCCC nel 2001 a Marrakech sono le seguenti: 1. conservazione delle riserve di carbonio attraverso la protezione dei suoli e delle foreste

esistenti; 2. aumento delle riserve di carbonio biologico attraverso creazione di nuove foreste, una

migliore gestione delle attività nel settore agricolo, forestale e di uso del suolo. - (afforestazione, riforestazione) aumento degli stock forestali - gestione delle superfici forestali - gestione dei suoli agricoli (miglioramento delle tecniche di lavorazione dei suoli - gestione dei prati e dei pascoli - prevenzione degli incendi

3. sostituzione di combustibili fossili con biomasse ligno-cellulosiche Reforestation(R): conversione in foresta di realizzata per azione antropica su terreni non boscati da meno di 50anni, (aree degradate o danneggiate dagli incendi); Afforestation(A):conversione in foresta di realizzata per azione antropica su terreni non boscati da più di 50 anni (aree marginali abbandonate e non più adatte per uso agricolo); Deforestation(D):conversione di un’area forestale in non forestale, per azione antropica e dopo il 1990; A partire dalla COP-11 di Montreal del 2005, su iniziativa di Papua Nuova Guinea, Costa Rica e altri otto Paesi dei tropici, si è quindi iniziato a discutere di meccanismi per la riduzione delle emissioni di gas serra provocate dall’abbattimento e dal degrado delle foreste, i cosiddetti meccanismi REDD, sigla di reducing emissions from deforestation and forest degradation. L’accordo prevede che i Paesi in cui sono presenti le foreste tropicali s’impegnino a combattere la deforestazione e a conservare le proprie foreste in cambio di contributi economici da parte dei Paesi industrializzati, che pagherebbero il carbonio assorbito e stoccato nelle foreste tropicali e potrebbero scontarlo dalle proprie emissioni. Questi pagamenti andrebbero a costituire un fondo da utilizzare per contrastare la deforestazione e il cambio di uso del suolo, istituire aree protette e alleviare la povertà delle popolazioni locali. I meccanismi REDD potrebbero spingere i governi beneficiari ad aumentare il controllo sul proprio territorio, spesso su terreni che sono di proprietà ancestrale dei popoli indigeni, che rischierebbero così di essere privati delle loro forme tradizionali di sussistenza basata sull’utilizzo delle foreste, oppure a chiedere pagamenti per attività tradizionalmente distruttive, quali l’estrazione di legname o lo sviluppo di piantagioni monocolturali.

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Le foreste in Italia Le superfici: la superficie forestale nazionale è pari a circa 10 milioni di ettari, rispetto agli 8 milioni censiti nel precedente inventario del 1985, con un incremento totale del 23%. Le regioni che presentano una superficie forestale più alta sono la Sardegna e la Toscana, seguite da Piemonte e Lombardia. In Italia, le foreste coprono circa un terzo della superficie nazionale ma assorbono più del 50% di tutto il carbonio bloccato dagli ecosistemi terrestri. L’assorbimento del Carbonio A fronte di un'emissione netta nell'atmosfera di circa 170 Gton negli ultimi 150 anni, le foreste hanno assorbito circa 80 Gton, a livello planetario: quasi il 50% di tutto il carbonio assorbito è metabolizzato dagli ecosistemi terrestri. La FAO dal 2000 adotta le seguenti definizioni universali: “FORESTA” • Superficie minima = 0,5 ha (5.000 mq) • Larghezza minima = 20 m • Copertura minima delle chiome = 10% • Altezza minima degli alberi al raggiungimento della loro maturità = 5 m La superficie forestale globale è pari a 3.953 milioni di ha, corrispondenti al 30% delle terre emerse. • La quota media di foresta pro capite è di 0,62 ha. La ripartizione non è equa: i 2/3 delle foreste si trovano in soli dieci paesi. • Nel mondo, la deforestazione prosegue in modo allarmante: circa 13 milioni di ettari l’anno, in parte compensati da nuove piantagioni e dalla (ri)forestazione naturale. Il cambiamento netto di superficie forestale relativo al periodo 2000-2005 è pari a 7.3 milioni di ettari l’anno (8.9 milioni nel periodo 1990-2000). • In Europa le foreste si espandono con un ritmo di circa 600.000 ha/anno (periodo 2000-2005) e coprono circa 1 miliardo di ettari (pari al 44% della superficie del continente). La boscosità europea varia dall’1.1% di Malta al 74%della Finlandia. L’Italia si colloca a metà strada con circa il 35%.

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I risultati del 1° IFN PRIMO INVENTARIO NAZIONALE FORESTALE (1985) Superficie forestale nazionale 8.675.000 ha Fustaie 2.179.000 ha Cedui 3.674.000 ha Impianti di arboricoltura da legno, castagneti da frutto e sugherete 289.000 ha Arbusteti e altre formazioni particolari 2.161.000 ha Superfici incluse e temporaneamente prive di soprassuolo 372.000 ha Composizione specifica conifere 16% latifoglie 80% misti 4% http://www.sian.it/inventarioforestale/jsp/home.jsp dal sito precedente le seguenti definizioni: Bosco Territorio con copertura > del 10% su un’estensione > di 0,5 ettari. Gli alberi devono poter raggiungere un’altezza minima di 5 m a maturità in situ. Può trattarsi di formazioni chiuse o aperte. Soprassuoli forestali giovani, anche se derivati da piantagione, o aree temporaneamente scoperte per cause naturali o per ‘intervento dell’uomo ma suscettibili di ricopertura a breve termine secondo i requisiti sopra indicati, sono inclusi nella definizione di bosco. Sono inoltre inclusi: vivai forestali e arborei da seme (che costituiscono parte integrante del bosco); strade forestali, fratte tagliate, fasce tagliafuoco e altre piccole aperture del bosco; boschi inclusi in parchi nazionali, riserve naturali ed altre aree protette; barriere frangivento e fasce boscate di larghezza > a 20m, purchè > 0,5 ha. Sono incluse anche le piantagioni finalizzate a scopi forestali comprese quelle di alberi da gomma e le sugherete. Altre terre boscate Territorio con copertura arborea > del 5-10% di alberi in grado di raggiungere un’altezza minima di 5 m a maturità in situ oppure territorio con copertura > del 10% costituita da alberi che non raggiungono un’altezza di 5 m a 5 m a maturità in situ o da alberi e cespugli.

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6. I nemici naturali e cause antropiche

I nemici naturali o Il clima:

� formazione di ghiaccio con rottura di rami � tempeste � gelate tardive � fulmini

o I parassiti � Funghi � Insetti

o Gli animali selvatici � Distruzione dei germogli e degradazione dei popolamenti � Distruzione delle cortecce

Cause antropiche

o Incendio o Pascolo o Utilizzo irrazionale del soprassuolo o Eccessivo utilizzo turistico-ricreativo o Inquinamento

7. Rimedi al degrado delle foreste

Interventi a scala planetaria o Riduzione degli inquinanti atmosferici (riduzione delle piogge acide e protezione

da altri inquinanti fitotossici) o Prevenzione da inquinanti chimici del suolo o Riduzione della CO2 e degli altri gas ad effetto serra o Misure di protezione delle acque o Misure di ecocertificazione dei prodotti legnosi o Convenzioni internazionali o Uso di carta riciclata

Per le soluzioni a scala locale

o Salvaguardia del patrimonio esistente: protezione da incendi, dalle malattie, dai parassiti, dagli animali selvatici (soprattutto nella fase di rimboschimento)

o Afforestare e riforestare soprattutto con specie autoctone o Evitare le monocolture arboree o Mantenere lo strato erbaceo o Emanare leggi nazionali e regionali

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PS. Alcune note aggiuntive sul governo del bosco (vedi tipo colturale a pag. 17 e pag. 15)

Governo dei boschi Il governo è il modo con cui un bosco viene rinnovato e dipende dal tipo di propagazione delle piante; può essere:

1. a fustaia: riguarda solo piante originate da semi. Le piante sono costituite da un unico tronco, che viene lasciato crescere liberamente fino al momento dell’utilizzazione; dopo l’abbattimento la fustaia si rinnova per via naturale, allevando le piantine nate dalla disseminazione spontanea, oppure artificialmente con una nuova piantagione; Trattamenti nelle fustaie

Fustaia a taglio raso: è costituita da piante coetanee che, abbattute tutte allo stesso momento, lasciano dopo il taglio il terreno sgombro. Viene asportata tutta la massa legnosa ad eccezione della ramaglia e della corteccia che vanno a ricostituire la sostanza organica del terreno. Questo intervento risulta di facile esecuzione in quanto semplifica le operazioni di esbosco e di allestimento del legname; presenta tuttavia alcuni svantaggi, quali la possibile degradazione del suolo, che si trova improvvisamente scoperto e quindi può andare soggetto a fenomeni di erosione, e la difficoltà di rinnovazione naturale dal momento che si instaurano sul terreno specie erbacee ed arbustive infestanti per cui è necessario il rimboschimento artificiale. Per ovviare ai succitati inconvenienti si attua molto spesso il taglio a raso su piccole superfici. Fustaia a tagli successivi: è costituita da piante coetanee il cui taglio, però, non avviene contemporaneamente, ma a più riprese durante un periodo di rinnovazione più o meno lungo. La rinnovazione avviene naturalmente in modo che, dopo il taglio delle piante mature, il terreno è già ricoperto da bosco novello. Fustaia a tagli saltuari o di dirado: è costituita da piante disetanee sparse su tutta la superficie del bosco; prevede il taglio delle piante che via via raggiungono la maturità, il che avviene saltuariamente (10-15 anni) garantisce una continua copertura del suolo e una rinnovazione naturale del bosco.

2. a ceduo: riguarda esclusivamente le latifoglie; quando le piante hanno raggiunto un certo sviluppo vengono tagliate periodicamente e il bosco si rinnova mediante l’emissione di polloni in corrispondenza dei tagli fatti; la rinnovazione avviene quindi per gemma fino ad esaurimento del ceduo, dopo di che si procede al reimpianto per via artificiale;

3. a ceduo composto: quando insieme alle piante allevate a ceduo si lasciano crescere anche piante d’alto fusto in numero di qualche centinaio per ettaro. Se il numero di piante d’alto fusto è invece limitato a qualche decina per ettaro, con la sola funzione di ottenere la ricostituzione naturale del bosco mediante disseminazione spontanea, si parla di "ceduo matricinato" e matricine sono dette le piante d’alto fusto servono per la disseminazione. Trattamenti nei cedui - Ceduo a ceppaia, se le piante vengono periodicamente (15 - 30 anni) tagliate rasente a terra; il taglio dei fusti (ceduazione) viene eseguito durante il riposo vegetativo delle piante al fine di favorire l’emissione di polloni radicali; infatti, eseguendo il taglio in estate, si favorisce invece l’emissione di polloni da gemme avventizie del tronco che, oltre ad esaurire precocemente la ceppaia, sono poco robusti e di sviluppo limitato; sebbene le ceppaie rimangano produttive anche 150-200 anni, si presenta sempre il problema della loro reintegrazione poiché il turno troppo breve impedisce un’adeguata produzione di seme; per ovviare a questo inconveniente si esegue la matricinatura del ceduo.