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INTRODUZIONE Il primo Codice civile dell’Italia unita fu promulgato il 25 giugno 1865 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1866. Era ripartito in tre libri: il Primo, Delle persone; il Secondo, Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni; il Terzo, Dei modi di acquistare e trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose. La fonte a cui si ispirava era il Code Napoléon, già esteso nel 1808 al Regno d’Italia e agli altri territori italiani su cui si era affermato il dominio napoleonico. Il patrimonio comune a cui entrambi i codici si ispiravano era il diritto romano, comune era anche l’impostazione individualistica che poneva al centro dell’ordinamento l’individuo e la sua volontà. Il Codice del Regno si discostava, però, dal Codice napoleonico nella parte in cui, ad esempio, attribuiva rilievo ai corpi intermedi (solo a quelli legalmente riconosciuti: art. 2) o riconosceva l’esistenza di lacune nell’ordinamento, apprestando opportuni rimedi (art. 3 disp. gen.). La materia commerciale veniva disciplinata da un Codice di commercio, entra- to anch’esso in vigore il 1° gennaio 1866, che ben presto rivelò la sua insufficienza. Fu necessario promulgare, nel 1882, un nuovo Codice, fortemente influenzato dal coevo codice di commercio tedesco del 1861. Quest’ultimo era stato diviso in quattro libri: il Primo, Del commercio in generale; il Secondo, Del commercio marittimo e della navigazione; il Terzo, Del fallimento; il Quarto, Dell’esercizio delle azioni commerciali e della loro durata. La duplicazione dei Codici era il riflesso di una divisione interna della borghe- sia: il Codice civile esprimeva gli interessi della borghesia fondiaria e, marginal- mente, della nobiltà terriera, incentrato com’era sulla ricchezza immobiliare e sullo statico diritto di proprietà; il Codice di commercio, invece, era il codice della più dinamica borghesia commerciale ed industriale. Questo spiega la presenza di una duplice disciplina delle obbligazioni e dei contratti: se nel Codice civile il contratto costituisce soltanto un modo d’acquisto della proprietà, nel Codice di commercio è piuttosto uno strumento di speculazione attraverso il quale si mira a conseguire un profitto. Il Codice di commercio disciplinava non solo un gran numero di atti, definiti di commercio dall’art. 3, ma anche tutti quei rapporti, non intrinsecamente commerciali, in cui almeno una parte rivestisse la qualifica di commerciante (art. 54). Ciò comportava che tutti i cittadini che contrattavano con i commercianti fossero costretti a subire una legge che era nata nell’interesse di una sola classe, o meglio ad opera di una sola classe. L’impostazione «classista» del diritto commerciale apparve incompatibile con il nuovo ordinamento corporativo fascista che, ispirandosi ai principi della Carta del lavoro del 1927, dichiarava esplicitamente superato il conflitto di classe. Da qui una forte spinta verso l’unificazione del diritto privato che, al di là della retorica ufficiale di regime, mascherava l’ormai netta prevalenza degli interessi

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IntroduzIone

Il primo Codice civile dell’Italia unita fu promulgato il 25 giugno 1865 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1866. Era ripartito in tre libri: il Primo, Delle persone; il Secondo, Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni; il Terzo, Dei modi di acquistare e trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose. La fonte a cui si ispirava era il Code Napoléon, già esteso nel 1808 al Regno d’Italia e agli altri territori italiani su cui si era affermato il dominio napoleonico. Il patrimonio comune a cui entrambi i codici si ispiravano era il diritto romano, comune era anche l’impostazione individualistica che poneva al centro dell’ordinamento l’individuo e la sua volontà. Il Codice del Regno si discostava, però, dal Codice napoleonico nella parte in cui, ad esempio, attribuiva rilievo ai corpi intermedi (solo a quelli legalmente riconosciuti: art. 2) o riconosceva l’esistenza di lacune nell’ordinamento, apprestando opportuni rimedi (art. 3 disp. gen.).

La materia commerciale veniva disciplinata da un Codice di commercio, entra-to anch’esso in vigore il 1° gennaio 1866, che ben presto rivelò la sua insufficienza. Fu necessario promulgare, nel 1882, un nuovo Codice, fortemente influenzato dal coevo codice di commercio tedesco del 1861. Quest’ultimo era stato diviso in quattro libri: il Primo, Del commercio in generale; il Secondo, Del commercio marittimo e della navigazione; il Terzo, Del fallimento; il Quarto, Dell’esercizio delle azioni commerciali e della loro durata.

La duplicazione dei Codici era il riflesso di una divisione interna della borghe-sia: il Codice civile esprimeva gli interessi della borghesia fondiaria e, marginal-mente, della nobiltà terriera, incentrato com’era sulla ricchezza immobiliare e sullo statico diritto di proprietà; il Codice di commercio, invece, era il codice della più dinamica borghesia commerciale ed industriale. Questo spiega la presenza di una duplice disciplina delle obbligazioni e dei contratti: se nel Codice civile il contratto costituisce soltanto un modo d’acquisto della proprietà, nel Codice di commercio è piuttosto uno strumento di speculazione attraverso il quale si mira a conseguire un profitto.

Il Codice di commercio disciplinava non solo un gran numero di atti, definiti di commercio dall’art. 3, ma anche tutti quei rapporti, non intrinsecamente commerciali, in cui almeno una parte rivestisse la qualifica di commerciante (art. 54). Ciò comportava che tutti i cittadini che contrattavano con i commercianti fossero costretti a subire una legge che era nata nell’interesse di una sola classe, o meglio ad opera di una sola classe.

L’impostazione «classista» del diritto commerciale apparve incompatibile con il nuovo ordinamento corporativo fascista che, ispirandosi ai principi della Carta del lavoro del 1927, dichiarava esplicitamente superato il conflitto di classe. Da qui una forte spinta verso l’unificazione del diritto privato che, al di là della retorica ufficiale di regime, mascherava l’ormai netta prevalenza degli interessi

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dell’impresa su quelli della proprietà. Ciò spiega perché l’estinzione del Codice di commercio, infatti, si compì nel segno di una marcata commercializzazione del diritto privato. Le mutate esigenze del capitalismo richiedevano che ogni rapporto, anche fra soggetti che non svolgevano attività d’impresa, fosse regolamentato in modo uniforme e confacente agli interessi della classe imprenditoriale. Sinto-matiche in tal senso furono:

— la sostituzione del favor creditoris al favor debitoris;— l’unificazione della disciplina delle obbligazioni sotto l’egida della normativa

commerciale;— la prevalenza della tutela dell’affidamento su quella della volontà;— la disciplina dell’acquisto a non domino dei beni mobili.

Il quinto libro del nuovo Codice, infine, recepì l’organica disciplina del rap-porto di lavoro, dell’impresa, delle società e cooperative, della concorrenza e dei consorzi, mentre altre materie, come quella cambiaria o fallimentare, vennero disciplinate da leggi speciali. Si compiva così l’unificazione del diritto privato che già apparteneva all’esperienza giuridica di altri paesi, economicamente più avanzati, come quelli di common law (Inghilterra e Stati Uniti).

A dimostrazione della continua evoluzione degli istituti giuridici, tuttavia, va sottolineato che la normativa comunitaria tende sempre più a ricreare un dirit-to commerciale separato dal diritto civile dei singoli paesi membri e di respiro transnazionale, in perfetta sintonia con le origini di quello che un tempo era denominato ius mercatorum.

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PIano dell’oPera

• Disposizionisullaleggeingenerale

• CodiceCiviledelRegnod’Italia(r.d.25-6-1865,n.2358)

• CodicediCommerciodelRegnod’Italia(r.d.31-10-1882,n.1062)

• Legge24maggio1903,n.197sulcon-cordatopreventivo e sullaproceduradeipiccolifallimenti

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DISPOSIZIONI SULLALEGGE IN GENERALE

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DISPOSIZIONI SULLA PUBBLICAZIONE,INTERPRETAZIONE ED APPLICAZIONE

DELLE LEGGI IN GENERALE

1. Le leggi, promulgate dal re diven-gono obbligatorie in tutto il regno neldecimo quinto giorno dopo quello dellaloro pubblicazione, salvo che nella leggepromulgata sia altrimenti disposto[disp.gen. 10; Cost. 73].

La pubblicazione consiste nella inser-zione della legge nella raccolta uffizialedelle leggi e decreti, e nell’annunzio ditale inserzione nella gazzetta uffiziale delregno.

2. La legge non dispone che per l’av-venire: essa non ha effetto retroattivo[disp.gen. 11].

3. Nell’applicare la legge non si puòattribuirle altro senso che quello fattopalese dal proprio significato delle paro-le secondo la connessione di esse, e dallaintenzione del legislatore.

Qualora una controversia non si pos-sa decidere con una precisa disposizionedi legge, si avrà riguardo alle disposizio-ni che regolano casi simili o materia ana-loghe: ove il caso rimanga tuttavia dub-bio, si deciderà secondo i principii gene-rali di diritto [disp.gen. 12].

4. Le leggi penali e quelle che restrin-gono il libero esercizio dei diritti o for-mano eccezione alle regole generali o adaltre leggi, non si estendono oltre i casie tempi in esse espressi [disp.gen. 14].

5. Le leggi non sono abrogate che daleggi posteriori per dichiarazione espres-

sa dal legislatore, o per incompatibilitàdelle nuove disposizioni con le preceden-ti, o perché la nuova legge regola l’inte-ra materia già regolata dalla legge ante-riore [disp.gen. 15; Cost. 75].

6. Lo stato e la capacità delle personeed i rapporti di famiglia sono regolatidalla legge della nazione a cui esse ap-partengono.

7. I beni mobili sono soggetti alla leg-ge della nazione del proprietario, salvele contrarie disposizioni della legge delpaese nel quale si trovano.

I beni immobili sono soggetti alle leg-gi del luogo dove sono situati.

8. Le successioni legittime e testa-mentarie però, sia quanto all’ordine disuccedere, sia circa la misura dei dirittisuccessorii, e la intrinseca validità delledisposizioni, sono regolate dalla leggenazionale della persona, della cui eredi-tà si tratta, di qualunque natura siano ibeni ed in qualunque paese si trovino.

9. Le forme estrinseche degli atti travivi e di ultima volontà sono determina-te dalla legge del luogo in cui sono fatti.È però in facoltà dei disponenti o con-traenti di seguire le forme della loro leg-ge nazionale, purché questa sia comunea tutte le parti.

La sostanza e gli effetti delle donazio-ni e delle disposizioni di ultima volontà sireputano regolati dalla legge nazionale dei

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14Disposizioni sulla legge in generale10-12 D.gen.

disponenti. La sostanza e gli effetti delleobbligazioni si reputano regolati dalla leg-ge del luogo in cui gli atti furono i fatti, ese i contraenti stranieri appartengono aduna stessa nazione, dalla loro legge na-zionale. È salva in ogni caso la dimostra-zione di una diversa volontà.

10. La competenza e le forme dei pro-cedimenti sono regolate dalla legge delluogo in cui segue il giudizio.

I mezzi di prova delle obbligazionisono determinati dalle leggi del luogo incui l’atto fu fatto.

Le sentenze pronunziate da autoritàstraniere nelle materie civili avranno ese-cuzione nel regno, quando siano dichia-rate esecutive nelle forme stabilite dalcodice di procedura civile, salve le dispo-sizioni delle convenzioni internazionali.

I modi di esecuzione degli atti e dellesentenze sono regolati dalla legge delluogo in cui si procede all’esecuzione.

11. Le leggi penali [c.p. 3, 4] e di poliziae sicurezza pubblica obbligano tutti coloroche si trovano nel territorio nel regno.

12. Non ostante le disposizioni degliarticoli precedenti, in nessun caso le leg-gi, gli atti e le sentenze di un paese stra-niero, e le private disposizioni e conven-zioni potranno derogare alle leggi proi-bitive del regno che concernano le per-sone, i beni o gli atti, né alle leggi riguar-danti in qualsiasi modo l’ordine pubbli-co ed il buon costume 1.

1 V. ora art. 16 l. 31-5-1995, n. 218 (Riformadel sistema italiano di diritto internazionale pri-vato).

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CODICE CIVILE DEL REGNO D’ITALIA

(R.D. 25 GIUGNO 1865, N. 2358)

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Cod.Civ.1865

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LIBRO PRIMODELLE PERSONE

regno, eleggere la qualità di straniero fa-cendone la dichiarazione davanti l’uffizialedello stato civile della sua residenza, o sesi trova in paese estero, davanti i regi agen-ti diplomatici o consolari1.

1 V. nota (1) sub art. 4.

6. Il figlio nato in paese estero da pa-dre che ha perduto la cittadinanza pri-ma del suo nascimento, è riputato stra-niero.

Egli può tuttavia eleggere la quali-tà di cittadino, purché ne faccia la di-chiarazione a norma dell’articolo pre-cedente e fissi nel regno il suo domici-lio entro l’anno dalla fatta dichiarazio-ne.

Però, se egli ha accettato un impiegopubblico nel regno, oppure ha servito oserve nell’armata nazionale di terra o dimare, od ha altrimenti soddisfatto allaleva militare senza invocarne esenzioneper la qualità di straniero, sarà senz’al-tro riputato cittadino1.

1 V. nota (1) sub art. 4.

7. Quando il padre sia ignoto, è citta-dino il figlio nato da madre cittadina.

Ove la madre abbia perduto la citta-dinanza prima del nascimento del figlio,si applicano a questo le disposizioni deidue articoli precedenti.

Se neppure la madre è conosciuta, ècittadino il figlio nato nel regno1.

1 V. nota (1) sub art. 4.

TITOLO IDELLA CITTADINANZA E DEL

GODIMENTO DEI DIRITTI CIVILI

1. Ogni cittadino gode dei diritti civili[1; Cost. 2, 22] (3, 240, 323, 723, 724, 924,1105 e ss.), purché non ne sia decadutoper condanna penale [14412; c.p. 32].

2. I comuni, le provincie, gli istitutipubblici civili od ecclesiastici, ed in ge-nerale tutti i corpi morali legalmente ri-conosciuti, sono considerati come per-sone, e godono dei diritti civili secondole leggi e gli usi osservati come dirittopubblico [11; Cost. 5, 18, 20, 114]1 (425,433, 518, 932, 1060, 2114).

1 V. ora anche d.P.R. 10-2-2000, n. 361 (Sem-plificazione dei procedimenti di riconoscimento dipersone giuridiche private).

3. Lo straniero è ammesso a goderedei diritti civili attribuiti ai cittadini[disp.gen. 16; Cost. 10] (disp.gen. 6).

4. È cittadino il figlio di padre citta-dino1.

1 V. ora l. 5-2-1992, n. 91 (Nuove norme sullacittadinanza).

5. Se il padre ha perduto la cittadi-nanza prima del nascimento del figlio,questi è riputato cittadino, ove sia natonel regno e vi abbia la sua residenza.

Può nondimeno entro l’anno dall’etàmaggiore determinata secondo le leggi del

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18Libro I - Delle persone

8. È riputato cittadino il figlio natonel regno da straniero che vi abbia fissa-to il suo domicilio (16 ss.) da dieci anninon interrotti: la residenza per causa dicommercio non basta a determinare ildomicilio.

Egli può tuttavia eleggere la qualitàdi straniero, purché ne faccia dichiara-zione nel tempo e modo stabilito dall’ar-ticolo 5.

Ove lo straniero non abbia fissato dadieci anni il suo domicilio nel regno ilfiglio è riputato straniero, ma gli sonoapplicabili le disposizioni dei due capo-versi dell’articolo 61.

1 V. nota (1) sub art. 4.

9. La donna straniera che si marita aun cittadino, acquista la cittadinanza ela conserva anche vedova1 (131).

1 V. nota (1) sub art. 4.

10. La cittadinanza si acquista dallostraniero anche colla naturalità conces-sa per legge o per decreto reale.

Il decreto reale non produrrà effettose non sarà registrato dallo uffiziale del-lo stato civile del luogo dove lo stranierointende fissare od ha fissato il suo domi-cilio e se non sarà da lui prestato giura-mento davanti lo stesso uffiziale di esse-re fedele al Re e di osservare lo statuto ele leggi del regno.

La registrazione deve essere fatta sot-to pena di decadenza entro sei mesi dal-la data del decreto.

La moglie e i figli minori dello stra-niero che ha ottenuto la cittadinanza,divengono cittadini, sempreché abbianoanch’essi fissato la residenza nel regno;ma i figli possono scegliere la qualità distraniero, facendone dichiarazione a nor-ma dell’articolo 51.

1 V. nota (1) sub art. 4.

11. La cittadinanza si perde [Cost.22]:

1° Da colui che vi rinunzia con di-chiarazione davanti l’uffiziale dello sta-to civile del proprio domicilio, e trasferi-sce in paese estero la sua residenza;

2° Da colui che abbia ottenuto la cit-tadinanza in paese estero;

[3° Da colui che senza permissionedel governo, abbia accettato impiego daun governo estero, o sia entrato al servi-zio militare di potenza estera.

La moglie ed i figli minori di coluiche ha perduto la cittadinanza, divengo-no stranieri, salvo che abbiano continua-to a tenere la loro residenza nel regno1].

Nondimeno, possono riacquistare lacittadinanza nei casi e modi espressi nelcapoverso dell’articolo 14, quanto allamoglie, e nei due capoversi dell’articolo6, quanto ai figli 2.

1 Paragrafo abrogato dall’art. 35 della l. 31-1-1901, n. 23 sull’emigrazione.

2 V. nota (1) sub art. 4.

12. La perdita della cittadinanza neicasi espressi nell’articolo precedente nonesime dagli obblighi del servizio milita-re, né dalle pene inflitte a chi porti le armicontro la patria1 (disp.gen. 12).

1 V. nota (1) sub art. 4.

13. Il cittadino che ha perduto la cit-tadinanza per alcuno dei motivi espressinell’articolo 11, la ricupera, purché:

1° Rientri nel regno con permissio-ne speciale del governo;

2° Rinunzi alla cittadinanza stra-niera, all’impiego od al servizio militareaccettati in paese estero;

3° Dichiari davanti l’uffiziale nellostato civile di fissare e fissi realmenteentro l’anno il suo domicilio nel regno1.

1 V. nota (1) sub art. 4.

8-13

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Cod.Civ.1865

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14. La donna cittadina che si maritaa uno straniero, diviene straniera, sem-preché col fatto del matrimonio acquistila cittadinanza del marito.

Rimanendo vedova, ricupera la citta-dinanza se risieda nel regno o vi rientri,e dichiari in ambedue i casi davanti l’uf-fiziale dello stato civile di volervi fissareil suo domicilio1 (131).

1 V. nota (1) sub art. 4.

15. L’acquisto o il riacquisto della cit-tadinanza nei casi precedentementeespressi non ha effetto, se non dal gior-no successivo a quello in cui furonoadempiute le condizioni e formalità sta-bilite1.

1 V. nota (1) sub art. 4.

TITOLO IIDEL DOMICILIO CIVILEE DELLA RESIDENZA

16. Il domicilio civile di una personaè nel luogo in cui essa ha la sede princi-pale dei propri affari ed interessi [431;Cost. 14].

La residenza è nel luogo in cui la per-sona ha la dimora abituale [432].

17. Il trasferimento della residenzain un altro luogo coll’intenzione di fis-sarvi la sede principale produce cangia-mento di domicilio.

Tale intenzione si prova colla doppiadichiarazione fatta all’uffizio dello statocivile del comune che si abbandona, e aquello del comune in cui si fissa il domi-cilio, o con altri fatti che valgano a di-mostrarla [44].

18. La moglie che non sia legalmen-te separata, ha il domicilio del marito;divenendo vedova lo conserva, finché nonne abbia acquistato un altro [451].

Il minore non emancipato ha il do-micilio del padre o della madre o del tu-tore [452, 144, 343].

Il maggiore interdetto ha il domici-lio del tutore [453].

19. Si può eleggere domicilio specia-le per certi affari od atti.

Quest’elezione deve risultare da pro-va scritta [47].

TITOLO IIIDEGLI ASSENTI

CAPO IDELLA PRESUNZIONE DI ASSENZA

E DE’ SUOI EFFETTI

20. La persona che ha cessato di com-parire nel luogo del suo ultimo domici-lio (161, 18)o dell’ultima sua residenza(162), senza che se ne abbiano notizie, sipresume assente [48].

21. Finché l’assenza è soltanto presun-ta, il tribunale civile dell’ultimo domicilio odell’ultima residenza dell’assente, se non viè alcun procuratore, può, sull’istanza degliinteressati o degli eredi presunti o del mini-stero pubblico, nominare chi rappresentil’assente in giudizio, o nella formazione de-gli inventari e dei conti, e nelle liquidazionie divisioni in cui egli sia interessato, e daregli altri provvedimenti che siano necessarialla conservazione del suo patrimonio [481].

Se vi è un procuratore, il tribunaleprovvederà soltanto per gli atti che nonpotessero farsi dal procuratore in forzadel mandato o della legge [482].

CAPO IIDELLA DICHIARAZIONE DI ASSENZA

22. Dopo tre anni continui di assen-za presunta, o dopo sei, ove l’assente ab-bia lasciato un procuratore per ammini-

Titolo III - Degli assenti 14-22

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20Libro I - Delle persone

strare, i presunti eredi legittimi, ed inloro contraddittorio i testamentari, echiunque creda di avere sui beni dell’as-sente diritti dipendenti dalla morte di lui,possono domandare al tribunale che l’as-senza sia dichiarata [49].

23. Il tribunale, se la domanda è am-missibile, ordinerà che siano assunte in-formazioni.

Questo provvedimento sarà pubblica-to alla porta dell’ultimo domicilio o del-l’ultima residenza dell’assente, e notifi-cato alle persone in contraddittorio del-le quali fu proposta la domanda ed al pro-curatore dell’assente.

Un estratto del provvedimento saràpure pubblicato due volte, coll’interval-lo di un mese, nel giornale degli annun-zi giudiziari del distretto e nel giornaleuffiziale del regno [c.p.c. 722 ss.].

24. Assunte le informazioni e trascor-si almeno sei mesi dalla seconda pubbli-cazione, il tribunale pronunzierà sulladomanda di dichiarazione dell’assenza[c.p.c. 722 ss.].

25. La sentenza che dichiara l’assen-za, sarà notificata e pubblicata a normadell’articolo 23 [c.p.c. 722 ss.].

CAPO IIIDEGLI EFFETTI DELLA

DICHIARAZIONE DI ASSENZA

Sezione IDella immissione nel possessotemporaneo dei beni dell’assente

26. Trascorsi sei mesi dalla secondapubblicazione della sentenza che dichia-ra l’assenza [c.p.c. 730], il tribunale, sul-l’istanza di chiunque creda avervi inte-resse o del pubblico ministero, ordineràl’apertura degli atti di ultima volontà del-l’assente, se ve ne sono [501].

Gli eredi testamentari dell’assente incontraddittorio degli eredi legittimi, e inmancanza di eredi testamentari quelliche sarebbero stati eredi legittimi, se l’as-sente fosse morto nel giorno a cui risalel’ultima notizia della sua esistenza, ov-vero i rispettivi loro eredi possono do-mandare al tribunale la immissione nelpossesso temporaneo dei beni [502].

I legatari, i donatari e tutti coloro cheavessero sui beni dell’assente diritti di-pendenti dalla condizione della morte dilui, possono chiedere in contraddittoriodegli eredi di essere ammessi all’eserci-zio temporaneo di quei diritti [503].

Tuttavia né gli eredi né le altre per-sone precedentemente indicate si am-metteranno al possesso dei beni od al-l’esercizio dei loro diritti eventuali, senon mediante cauzione nella somma chesarà determinata dal tribunale [505].

Il coniuge dell’assente, oltre ciò chegli spetta in forza delle convenzioni ma-trimoniali e per titolo di successione,può, in caso di bisogno, ottenere dal tri-bunale una pensione alimentaria da de-terminarsi secondo la condizione dellafamiglia e l’entità del patrimonio dell’as-sente [51].

27. Qualora alcuno dei presunti ere-di od aventi diritto sui beni dell’assentenon possa dare cauzione, il tribunale puòordinare quelle altre cautele che stime-rà convenienti per l’interesse dell’assen-te, avuto riguardo alla qualità delle per-sone, alla loro parentela coll’assente edalle altre circostanze [505].

28. L’immissione nel possesso tem-poraneo attribuisce a coloro che la ot-tengono ed ai loro successori l’ammini-strazione dei beni dell’assente, il dirittodi promuoverne in giudizio le ragioni, edil godimento delle rendite dei beni del-l’assente nei limiti stabiliti in appresso[522].

23-28

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Cod.Civ.1865

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29. Coloro che hanno ottenuta l’im-missione nel possesso temporaneo, de-vono far procedere all’inventario dei benimobili e alla descrizione degli immobilidell’assente [521].

Non potranno, senza l’autorizzazio-ne giudiziale, alienare né ipotecare i beniimmobili, né fare alcun altro atto ecce-dente la semplice amministrazione [54].

Il tribunale ordinerà, ove sia d’uopo, lavendita in tutto od in parte dei beni mobili,ed in tal caso ne sarà impiegato il prezzo.

30. Gli ascendenti, i discendenti e ilconiuge immessi nel possesso tempora-neo dei beni ritengono a loro profitto latotalità delle rendite [53].

31. Se gli immessi nel possesso sia-no parenti entro il sesto grado, debbonoriservare il quinto delle rendite nei pri-mi dieci anni dal giorno dell’assenza, edi seguito sino ai trent’anni il decimo.

Se siano parenti in grado più remotood estranei, debbono riservare il terzodelle rendite nei primi dieci anni, e diseguito sino ai trent’anni il sesto.

Trascorsi trent’anni, la totalità dellerendite apparterrà in ogni caso agli im-messi nel possesso [53].

32. Se, durante il possesso tempora-neo, alcuno provi di avere avuto al tem-po da cui parte la presunzione di assen-za, un diritto prevalente od eguale a quel-lo del possessore, può escludere questodal possesso o farvisi associare; ma nonha diritto ai frutti se non dal giorno del-la domanda giudiziale [55] (703).

33. Se durante il possesso tempora-neo l’assente ritorna o viene provata lasua esistenza, cessano gli effetti della di-chiarazione di assenza, salve, ove siad’uopo, le cautele di conservazione e diamministrazione del patrimonio stabili-te dall’articolo 21 [561].

I possessori temporanei dei beni deb-bono farne restituzione con le rendite anorma dell’articolo 31 [562].

34. Qualora durante il possesso tem-poraneo venga a provarsi il tempo dellamorte dell’assente, la successione si aprea vantaggio di coloro che a quel tempoerano suoi eredi legittimi o testamenta-ri, o dei loro successori; e coloro che han-no goduto i beni, sono tenuti a restituir-li con le rendite a norma dell’articolo 31[57] (703).

35. Dopo la immissione temporaneanel possesso dei beni, chiunque ha ragio-ni da far valere contro l’assente, deve pro-porle contro coloro che hanno ottenutal’immissione in possesso [522; c.p.c. 75].

Sezione IIDella immissione nel possessodefinitivo dei beni dell’assente

36. Se l’assenza fu continuata per lospazio di trent’anni dopo la immissionenel possesso temporaneo, o se sono tra-scorsi cento anni dalla nascita dell’assen-te e le ultime notizie di lui risalgono al-meno a tre anni addietro, il tribunale,sull’istanza delle parti interessate, pro-nunzia la immissione nel possesso defi-nitivo e dichiara sciolte le cauzioni e ces-sate le altre cautele che fossero state im-poste [58, 63] (38).

37. Pronunziata l’immissione nel pos-sesso definitivo, cessa pure ogni vigilanzadi amministrazione e ogni dipendenzadall’autorità giudiziaria, e coloro che ot-tennero la immissione nel possesso tem-poraneo, od i loro eredi e successori, pos-sono procedere a divisioni definitive e di-sporre dei beni liberamente [63].

38. Qualora i cento anni dalla nasci-ta dell’assente si compissero prima della

Titolo III - Degli assenti 29-38