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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 1 Andrea Di Maio INTRODUZIONE Che ci sia una teologia della storianel pensiero di Bonaventura 2 è ormai comu- nemente risaputo. Quello che forse non è stato ancora messo in evidenza è che tutta la teologia bonaventuriana abbia una dimensione storica, o meglio una duplice dimen- sione cronologica e, per così dire, topologica: infatti, dice Bonaventura, non è possibile intendere né la Scrittura né i Misteri se non si conosca il decorso del mondo e la dispo- sizione gerarchica3 . Questa affermazione, tanto perentoria quanto enigmatica, è comprensibile alla luce del carattere peculiare dell’ermeneutica biblica: quando un fedele legge le Scritture deve stare bene attento a non prendere per vincolanti per lui alcune indicazioni o norme che pure lo erano in passato o che lo sono per determinate categorie di persone, ma non al- tre. Insomma, la riflessione teologica, a partire dalla Scrittura, è chiamata a tener pre- sente sia il decorso temporale del mondo (principio, pienezza e fine dei tempi), sia la sua disposizione gerarchica (scalarità della natura corporea, spirituale, divina). Queste due dimensioni appartengono alle quattro dimensioni bibliche di cui spesso Bonaventura parla citando San Paolo (in particolare nel prologo al Breviloquium e più volte nelle Collationes in Hexaëmeron): la larghezza, la lunghezza, la profondità, l’altezza [Ef 3,18] 4 . Mentre la larghezza e la profondità sono riferite da Bonaventura all’universo te- stuale che la Scrittura è (ossia, rispettivamente, all’estensione dei testi ivi compresi, e ai quattro diversi significati della Scrittura), invece la lunghezza e l’altezza sono da lui ri- 1 Pubblicato in Rafael PASCUAL Carmelo PANDOLFI (ed.), Trilogia Bonaventuriana, IF Press, Roma 2020. Ringrazio Matteo Valdarchi per la collaborazione alla preparazione redazionale del manoscritto. Nel corso dellarticolo, Library of Latin Texts, Brepols, Turnhout 2018, consultata “in linea” a febbraio 2019: di Bonaventura sono censiti (tra l’una e l’altra serie di documenti) il Commento alle Sentenze, il Breviloquium, l’Itinerarium, il De reductione, molti sermoni, le Legendae, le Collationes de donis e quel- le In Hexaëmeron (entrambe nelle reportationes alternative a quelle di Quaracchi), il Commento a Luca e le Postillae in Ecclesiasten. I testi sono citati da questa banca dati, ma integrandoli quanto alla punteggia- tura e alle maiuscole ed evidenziando graficamente i termini cercati e correlati. 2 Joseph RATZINGER, Lidea di Rivelazione e la teologia della storia di Bonaventura. Lavoro di abili- tazione e studi su Bonaventura, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017 (Prima traduzione completa del manoscritto presentato nel 1955). 3 «Scripturae intelligi non possunt nec mysteria, nisi sciatur decursum mundi et dispositio hierarchi- ca» [Hex 2.17]. 4 Cf Andrea DI MAIO, Sacra Scriptura, quae theologia dicitur, in Amaury BEGASSE DE DHAEM et alii, Deus summe cognoscibilis. The Courrent Theological Relevance of Saint Bonaventure. International Congress, Rome, November 15-17, 2017, Peeters, Leuven 2018, p. 121-151.

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LA DUPLICE DIMENSIONE

CRONOLOGICA E TOPOLOGICA

DEL DISCORSO BONAVENTURIANO1

Andrea Di Maio

INTRODUZIONE

Che ci sia una “teologia della storia” nel pensiero di Bonaventura2 è ormai comu-

nemente risaputo. Quello che forse non è stato ancora messo in evidenza è che tutta la

teologia bonaventuriana abbia una dimensione storica, o – meglio – una duplice dimen-

sione cronologica e, per così dire, topologica: infatti, dice Bonaventura, “non è possibile

intendere né la Scrittura né i Misteri se non si conosca il decorso del mondo e la dispo-

sizione gerarchica”3.

Questa affermazione, tanto perentoria quanto enigmatica, è comprensibile alla luce

del carattere peculiare dell’ermeneutica biblica: quando un fedele legge le Scritture deve

stare bene attento a non prendere per vincolanti per lui alcune indicazioni o norme che

pure lo erano in passato o che lo sono per determinate categorie di persone, ma non al-

tre.

Insomma, la riflessione teologica, a partire dalla Scrittura, è chiamata a tener pre-

sente sia il decorso temporale del mondo (principio, pienezza e fine dei tempi), sia la

sua disposizione gerarchica (scalarità della natura corporea, spirituale, divina).

Queste due dimensioni appartengono alle quattro dimensioni bibliche di cui spesso

Bonaventura parla citando San Paolo (in particolare nel prologo al Breviloquium e più

volte nelle Collationes in Hexaëmeron): la larghezza, la lunghezza, la profondità,

l’altezza [Ef 3,18]4.

Mentre la larghezza e la profondità sono riferite da Bonaventura all’universo te-

stuale che la Scrittura è (ossia, rispettivamente, all’estensione dei testi ivi compresi, e ai

quattro diversi significati della Scrittura), invece la lunghezza e l’altezza sono da lui ri-

1 Pubblicato in Rafael PASCUAL – Carmelo PANDOLFI (ed.), Trilogia Bonaventuriana, IF Press, Roma

2020. Ringrazio Matteo Valdarchi per la collaborazione alla preparazione redazionale del manoscritto.

Nel corso dell’articolo, Library of Latin Texts, Brepols, Turnhout 2018, consultata “in linea” a febbraio

2019: di Bonaventura sono censiti (tra l’una e l’altra serie di documenti) il Commento alle Sentenze, il

Breviloquium, l’Itinerarium, il De reductione, molti sermoni, le Legendae, le Collationes de donis e quel-

le In Hexaëmeron (entrambe nelle reportationes alternative a quelle di Quaracchi), il Commento a Luca e

le Postillae in Ecclesiasten. I testi sono citati da questa banca dati, ma integrandoli quanto alla punteggia-

tura e alle maiuscole ed evidenziando graficamente i termini cercati e correlati. 2 Joseph RATZINGER, L’idea di Rivelazione e la teologia della storia di Bonaventura. Lavoro di abili-

tazione e studi su Bonaventura, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017 (Prima traduzione

completa del manoscritto presentato nel 1955). 3 «Scripturae intelligi non possunt nec mysteria, nisi sciatur decursum mundi et dispositio hierarchi-

ca» [Hex 2.17]. 4 Cf Andrea DI MAIO, Sacra Scriptura, quae theologia dicitur, in Amaury BEGASSE DE DHAEM et alii,

Deus summe cognoscibilis. The Courrent Theological Relevance of Saint Bonaventure. International

Congress, Rome, November 15-17, 2017, Peeters, Leuven 2018, p. 121-151.

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ferite rispettivamente alle fasi della storia della salvezza narrata dalla Scrittura e alla

struttura scalare della realtà e alla comunione delle gerarchie (o comunioni ordinate) di

persone nella Chiesa, descritte dalla Scrittura.

LA PRIMA DIMENSIONE: IL DECORSO TEMPORALE (O “LUNGHEZZA”)

Cerchiamo di mettere a fuoco la prima delle due dimensioni, la lunghezza del de-

corso temporale, rimandando a quanto già pubblicato in precedenza5.

Nel vocabolario latino classico ‘historia’ è il racconto delle ‘gesta’. In Bonaventu-

ra, la storia come racconto di fatti è espressa dalla famiglia linguistica di ‘historia’ e

lemmi derivati; invece per la storia come decorso degli eventi sia naturali che umani

vengono impiegati alcuni sintagmi o perifrasi con ‘decursus’ o ‘decurrere’.

In base alla Library of Latin Texts6, si ritrovano nelle opere censite di Bonaventura

66 occorrenze della famiglia linguistica comprendente i lemmi ‘historia’, ‘historicus’,

‘historiographus’ e ‘historialis’; e 61 occorrenze del lemma ‘decursus’ (in vari sintagmi,

come ‘decursus temporis’, ‘decursus temporum’, ‘decursus aetatum’ e perifrasi), dalla

cui analisi possiamo provare a ricavare una sistemazione dei possibili significati e aspet-

ti del concetto.

Ora, visto che “decorre” il mondo [«decursus mundi», in Hex 2.12], risulta neces-

sario rivolgere l’attenzione alla concezione bonaventuriana di ‘mundus’. Egli usa varie

locuzioni: «totus sensibilis mundus» [Itin 2.4], «maior mundus» e «minor mundus» [Itin

2.2], «machina mundana» [Brev 0.3.3], «tota machina mundi», «creatura mundi», «uni-

versitas machinae mundialis», «universa machina mundi» [Brev 2.1 e 2.3].

Si consideri un testo molto noto e studiato [Hex 16.9], nel quale Bonaventura di-

stingue tre mondi: il “maior mundus” o (come chiamato altrove) macrocosmo; il “minor

mundus” o (come chiamato altrove) microcosmo; e quello che potremmo chiamare ar-

cheocosmo (“mundus archetypus”), in cui risiede il principio, il medio e il fine di tutto

(che solo il teologo cristiano [cf Hex 1.12] identifica rispettivamente, per appropriazio-

ne, con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo) e a cui quindi si riferiscono [secondo Itin 5-

6] i due “nomi” di Essere e Bene, che sono rispettivamente la manifestazione di Dio

come è ad extra (Uno e creatore), e a noi rivelato nell’Antico Testamento (e parzial-

mente nella filosofia), e come è in sé (Amore trinitario), e a noi rivelato nel Nuovo Te-

stamento.

Pertanto, ‘mundus’ non coincide interamente con ciò che il mondo è per noi, ovve-

ro la realtà sperimentata (il macrocosmo), per esprimere la quale Bonaventura utilizza il

sintagma ‘Machina universi’ o ‘machina mundialis’ [così in Brev 0], che si rispecchia

nella “Ecclesia” [in Brev 0.3.3].

In generale, quella che noi concepiamo come “Divenire” e come “Storia” dei fatti

(ossia dalle successioni di eventi naturali allo stesso sviluppo dell’umanità e al suo pro-

gresso culturale) viene chiamato da Bonaventura “decorso” temporale del “mondo”

(espresso in varie sfaccettature, come vedremo a proposito della disposizione gerarchica

5 Cf A. DI MAIO, Il problema della Storia in Bonaventura, in «Doctor Seraphicus» LXIII (2015), p.

45-75. 6 Cf supra, in nota 1.

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della realtà). C’è dunque un decorso sia degli eventi naturali che degli eventi umani. Al-

la luce di un importante altro testo bonaventuriano [Parabol 43], il primo rientra in un

ordo tantum factus, l’altro invece in un ordo factus et factivus. In parole moderne, la

storia naturale è solo una “storia che diviene”; invece la storia umana è una “storia che

si fa”.

Ma come procede questo decorso? Esso non è alcunché di lineare, ma comporta

una successione temporale e un’alternanza di tempi [cf Sent 2.13.1.2 co], e quindi, pur

con qualche regresso, un sostanziale progresso [cf De tribus quaestionibus, 13; Hex

1.9]. La dinamica del creato ha, dunque, l’andatura del pellegrinaggio verso una meta

[cf Itin 1.6-9; Hex 1.9 e 23.31].

Diversamente, il lemma ‘historia’, che inteso in senso generale indica la narrazione

delle gesta, esprime non ciò che “si fa”, ma ciò che “si tesse”. In senso particolare è rife-

rito poi a un episodio narrato o a un racconto specifico (da parte di un historicus e se-

condo una particolare prospettiva) di una sequenza di eventi anche sacri. In particolare

‘Historia’ per antonomasia è quella di Beda il Venerabile, ovvero la storia ecclesiastica

degli Angli; e quella del Maestro Pietro Comestore. Inoltre, ‘Historiae’ al plurale viene

usato per indicare i libri storici della Bibbia, quindi come sinonimo di ‘libri historiales’.

Della historia non v’è scienza (infatti si oppone, aristotelicamente e agostiniana-

mente, a ratio), ma piuttosto conoscenza a posteriori. Historia si distingue inoltre da

fabula, poiché in essa sono raccontati e rilegati fatti realmente accaduti, anche se questo

non le consente di accedere alla veritas, in quanto al più ne è figura. Infine, le storie bi-

bliche, oltre ad avere una veridicità, possiedono una pulchritudo [cf HexD 5(=1.2).21f e

12 (=2.5).17], sicché a chi le ascolta e comprende si accende il cuore [Hex 2.18].

Nel racconto del decorrere del mondo ha un posto eccezionale il liber Scripturae7.

In esso c’è un lato esteriore, leggibile cioè anche dagli estranei alla fede, ossia racconti

veritieri e belli (belle historiae), e un lato interiore, interpretabile solo grazie all’opera

dello Spirito nei fedeli, ossia misteri e sensi spirituali (mysteria e intelligentiae).

In virtù della sua costitutiva ambivalenza, la Scrittura manifesta due sensi in cui si

usa l’aggettivo ‘historialis’. Da un lato, ‘historiales’, opposto a ‘legalis’, ‘sapientialis’ e

‘prophetalis’, indica i libri biblici (sia dell’Antico che del Nuovo Testamento) nei quali

la dottrina rivelata non si riferisce né all’eternità (libri legali), né al presente (libri sa-

pienziali), né al futuro (libri profetici), ma al passato (appunto, libri storici). D’altro can-

to, ‘historialis’ o ‘historicus’ (o nella forma avverbiale ‘historialiter’ e ‘historice’)

esprime quel senso basilare, ossia letterale del testo sacro in quanto riferito a fatti o

eventi storici. Sul fondamento di questo senso della Scrittura la teologia sviluppa una

intelligentia (o interpretazione) allegorica, anagogica e tropologica di essa, illuminando

il significato del singolo episodio narrato rispetto al suo compimento in Cristo, nella fi-

ne dei tempi e nel nostro presente.

Proviamo a schematizzare in una tabella questi diversi usi e significati.

7 «Habet etiam haec scriptura sacra longitudinem quae consistit in descriptione tam temporum quam

aetatum a principio scilicet mundi usque ad diem iudicii. Describit autem per tria tempora mundum de-

currere scilicet per tempus legis naturae legis scriptae et legis gratiae et in his tribus temporibus septem

distinguit aetates», Brev 0.2.

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Volendo riassumere i diversi sensi di “storia”, si può evidenziare che essa, in senso

basilare (nel senso più nobile del concetto moderno espresso dal termine tedesco “Ge-

schichte”), è espressa dal sintagma decursus temporis (relativamente ai mysteria), o de-

cursus temporum (relativamente alla successione delle leges, o manifestazioni divine:

legge di natura, legge scritta o mosaica, legge nuova o di grazia), o decursus aetatum

(relativamente alle sette età della storia e alla corrispondenza di schemi ricorrenti di

eventi). Su questo terreno, poi, si sviluppa la historia, o meglio la moltitudine di histo-

riae, che sono i racconti e le descrizioni della storia individuale e globale, al cui interno

si trovano le singole historiae intese come episodi storici che possono fungere da figura

di misteri più alti.

Bonaventura, secondo il reportator, insisteva che nella Bibbia «non sunt a casu et a

fortuna ista et consimilia posita in Scriptura, sed maxima ratione et maximo mysterio»

[Hex 16.16], ma chi non le considera non ne capisce nulla.

L’ultima età della storia delineata da Bonaventura va da Cristo alla fine del mondo

[Hex 15.17]: dunque nessuna “età dello Spirito” che rivoluzioni le cose. Tuttavia, il mi-

stero dello Spirito Santo, nel numero quindici e centoventi [cf Hex 15.21], è esaltato;

inoltre la crescita della profezia ispirata a Gioacchino è comunque presente e operante.

Bisogna notare che Bonaventura quando tace acconsente: nomina Gioacchino in teolo-

gia trinitaria, a proposito della critica a Lombardo [cf Sent 1.5 ad db 4] e tutto sommato

lo scusa, in quanto, essendo “simplex”, ha parlato “ignoranter”. Ma poi non lo nomina

nelle Collationes, che più invece ne risentono (come ha notato acutamente Ghisalberti).

Del resto, Bonaventura non menziona mai Antonio come autore di sermoni, eppure lo

legge e lo utilizza.

Vari livelli della «Storia»

Intelligentia allegorica, anagogica, tropologica ut Veritas

(Teologia)

[Sensus] Historicus / Libri Historiales

LIBER SCRIPTURAE

Historia + Historiae ut Figurae

(Storia individuale e globale)

Decursus temporis [Mysteria] / temporum [Leges] /aetatum

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LA SECONDA DIMENSIONE: LA DISPOSIZIONE GERARCHICA (O “ALTEZZA”)

IL SIGNIFICATO DI ‘DISPOSITIO’ IN GENERE E DI ‘DISPOSITIO HIERARCHICA’ IN SPECIE

La seconda dimensione (quella che abbiamo definito topologica) è quella della al-

tezza della Scrittura, che si riferisce ai diversi livelli della “disposizione gerarchica”: ra-

gion per cui dobbiamo chiarire cosa Bonaventura intenda per ‘dispositio’ in generale,

per ‘dispositio hierarchica’ in particolare, passando attraverso il significato di ‘hierar-

chia’ (in particolare divina, angelica8 ed ecclesiastica), della gerarchizzazione

dell’anima (attraverso gli atti gerarchici di purificazione, illuminazione e perfezione)9, e

nella contemplazione10.

‘Disponere’ in generale è mettere in un posto, ossia in un ordine: in senso proprio,

in un ordine spaziale, ma in senso traslato11, che nei testi bonaventuriani è preponderan-

te, in un ordine naturale (come in una struttura) o morale (deontologico).

8 Cf Barbara FAES DE MOTTONI, Bonaventura e la scala di Giacobbe, Bibliopolis, Napoli 1995, p. 36-

37, che introduce l’angelologia bonaventuriana rinviando alla «particolare devozione che legava il fon-

datore dell’ordine di Bonaventura, S. Francesco, agli angeli», come pure alla distinzione dei cori angelici

(perlopiù secondo Gregorio Magno), e alla visione del «famoso Serafino crucifero» sulla Verna; cf spe-

cialmente p. 36 e, per le differenze di Bonaventura rispetto alla originaria concezione dionisiana di gerar-

chia (e gerarchia angelica), p. 29 e tutto il capitolo secondo. 9 Cf quanto più diffusamente ho trattato in La dottrina bonaventuriana per la Natura, in «Miscellanea

Francescana» 89 (1989), p. 335-392; in particolare 370-386. 10 Cf Barbara FAES DE MOTTONI, Figure e motivi della contemplazione nelle teologie medievali, SI-

SMEL - Edizioni del Galluzzo, Firenze 2007, in particolare il primo, il secondo e il quarto saggio, riguar-

danti la contemplazione (versus il rapimento mistico), la vita contemplativa (versus quella attiva) e la re-

lazione del contemplare con il piacere e il dolore. Nel suo Commento alla Teologia Mistica, Alberto dice

che «il raptus è un’elevazione, dovuta alla forza di una natura superiore, da ciò che è secondo natura, in

ciò che è oltre (praeter) essa, per cui tale elevazione in certo modo è oltre, in certo modo sopra, in certo

modo contro natura: oltre, perché il rapito, pur nel suo stato di viatore, ha una visione di Dio non enigma-

tica; sopra, perché essendo tale visione per speciem, è superiore a quella per grazia che si può avere in

via; contro, perché non è originata da fantasmi immaginativi, ma è immediata» [p. 26]. «La soluzione di

Alberto è che non in ogni contemplazione di Dio vi è raptus» ma che d’altra parte il raptus è la parte mi-

gliore della contemplazione [p. 28-29]. Alberto distingue poi il raptus, come sommità della contempla-

zione in via, dalla contemplazione beatifica in patria: solo questa sarà per abito di gloria, e quindi libera-

trice e beatificante. «Mosè, dunque, pur nella sommità della contemplazione, non vede Dio in sé, a diffe-

renza del beato» [p. 31]. L’Autrice nota che Bonaventura si pone sulla stessa linea di Alberto [cf p. 38-

39], mentre secondo Tommaso, influenzato forse da Maimonide, «la visione intellettuale di Mosè e quella

di Paolo durante il suo rapimento sono visioni di Dio per essentiam», visioni però che hanno carattere

temporaneo e miracoloso [p. 39]. Inoltre, mentre secondo altri teologi del tredicesimo secolo il piacere sia

presente «marginalmente e piuttosto accidentalmente nella visione del profeta, intensamente ma non du-

revolmente nel rapimento di Paolo, e seguito da dolore quando costui ritorna nello stato normale» [p.

127], invece secondo Bonaventura, il ruolo del piacere è «addirittura centrale» [p. 127], in quanto manife-

sta in qualche modo l’unione con Dio, e la stessa generazione e incarnazione di Cristo [cf p. 118-119].

Così, «veniamo a conoscere che Dio soltanto è piacere originario e vero, e che tutti gli altri conducono

alla sua ricerca» [p. 124]; anzi «Dio si fa conoscere come fonte e oggetto di piacere attraverso la sua simi-

litudine, il Verbo», «che si fa vero uomo, e dunque anche carne, per parlare alla carne» [p. 125]. 11 Così del resto era accaduto in greco con il verbo ‘táxo’ e il nome ‘táxis’, che esprimevano il posto

assegnato dagli strateghi in battaglia ai singoli soldati e che metaforicamente esprimevano anche il posto

assegnato da Dio a ciascuno: in particolare per la filosofia nella Apologia di Socrate di Platone, e per la

letteratura cristiana antica nell’anonima Lettera a Diogneto.

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Di conseguenza, ‘dispositio’, come in generale molti nomi deverbali dal tema del

supino, ha un triplice senso: attivo12, medio-passivo (a cui si può dare il senso di risulta-

to dell’atto) e riflessivo: in senso attivo, indica l’atto di disporre (da parte di qualcuno,

attraverso conoscenza e volontà); in senso passivo, indica la situazione di qualcosa o

qualcuno di trovarsi, e quindi di essere stato disposto in una certa maniera; in senso ri-

flessivo, indica il “disporsi” di qualcuno in un atteggiamento consapevole e voluto, e

quindi morale.

Per comprendere cosa sia la “disposizione” si tenga presente che ci sono disposi-

zioni di sostanze e disposizioini di atti, e che le prime sono linguisticamente espresse

dagli aggettivi e le seconde dagli avverbi13.

Si può avere una disposizione in senso spaziale (ontologico), che esprime il mettere

in ordine qualcosa, ad esempio dei libri su uno scaffale, oppure il trovarsi in ordine di

qualcosa, come la disposizione fisica del mondo naturale14. Lo stesso senso si ha nella

disposizione degli astri, che consente la conoscenza della struttura “fisica” del mondo:

una auctoritas biblica [Sap 7,19, secondo la Vulgata] attribuisce al Sapiente (identifica-

to con Salomone) la capacità di conoscere «anni cursus et stellarum dispositiones», ov-

vero (secondo la fisica antica e medievale) la posizione degli astri in cielo e il rispettivo

influsso causale sulla terra15.

L’uso del termine ‘dispositio’ come ordine è riconodotto da Bonaventura ad Ago-

stino16.

‘Dispositio’ può poi indicare la disposizione morale (deontologica), ma mai assu-

mendo il significato di “dare un ordine” o “dare un comando”17. All’interno di questo

12 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 49 (De assumptione b. Mariae Virginis), n. 2, p.

643, linea 30: «Divina dispositio quasdam creaturas in circumferentia superius locavit, quasdam inferius

in centro reliquit». 13 De scientia Christi, q. 6, ad 10, p. 36, linea 42: «licet totum attingatur, non tamen totaliter; quia to-

tum, cum sit nomen, dicit dispositionem a parte subiecti uel obiecti secundum se; totaliter uero, cum sit

aduerbium, dicit dispositionem uerbi, ac per hoc ponit omnimodam perfectionem et aequalitatem in actu

comprehendentis respectu comprehensi, quod non potest esse in finito respectu infiniti». 14 Brev 2.5: «describendo scilicet conditionem mundi quantum ad dispositionem et influentiam quoad

naturam luminosam opacam et perviam in generalitate quadam»; Brev 7.4: «mundus iste innovari debet

cum homine innovato nec innovari potest aliquid in novam formam nisi perdat vetustam et quodam modo

disponatur dispositione nova superinducta». 15 Don 4.9 [reportatio altera]: «Unde dicit in libro Sapientiae “Mihi dedit Deus eorum quae sunt

scientiam ueram ut sciam dispositionem orbis terrarum et uirtutes elementorum”. […]. Unde dicit “mihi

dedit Deus scientiam eorum quae sunt” id est entium principaliter quae uere entia quantum ad scientiam

metaphysicam, “ut sciam dispositionem orbis terrarum” quantum ad mathematicam “et uirtutes elemento-

rum” quantum ad naturalem philosophiam. […]. Salomon sciuit anni cursum ex dispositione stellarum».

Per la “disposizione astrale”, si veda: Collationes de septem donis spiritus sancti, coll. 8, n. 18, linea 8:

«Verum est quod aliqua dispositio relinquitur ex stellis sed tamen solus Deus principatur animae rationa-

li»; Collationes de septem donis spiritus sancti, coll. 9, n. 5, linea 21: «Est enim haec speciosior sole et

super omnem dispositionem stellarum luci comparata inuenitur prior» (non nell’edizione Quaracchi). 16 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 55 (de sanctis angelis), n. 6, p. 719, linea 146:

«Dicit enim Augustinus, de civitate Dei, quod “ordo est parium disparium que sua cuique tribuens loca

dispositio”». 17 Commentarius in librum Sapientiae commentarius, cap. 6, versus 19, p. 149, col. 1, linea: 44: «Et

nota, quod idem vocat sapientiam et disciplinam, quia idem sunt in re, licet differant ratione, quia sapien-

tia dicitur, in quantum mentem interius delectabiliter afficit; disciplina, in quantum actiones exteriores

ordinat et disponit».

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uso18, si può individuare anche quel senso riflessivo che esprime il disporsi da parte di

un soggetto morale in un certo atteggiamento: ad esempio, in un passo delle Collationes

de Donis Spiritus Sancti [Don 7.1 (reportatio altera)], si dice che la predicazione non è

utile a chi parla e a chi ascolta a meno che «bonae dispositionis sint».

La disposizione ontologica e in qualche modo quella spaziale (anche se

quest’ultima risente di una cosmologia ingenua per noi ormai inaccettabile) deve corri-

spondere a quella morale: è per questo che Maria dovette essere assunta in cielo19.

Come in un discorso umano la disposizione dei segni permette di esprimere signifi-

cati, così nel mondo la diasposizione naturale delle cose permette di coglierne quello

che oggi chiameremmo Senso, e che Bonaventura riconduce al Verbo per cui e allo Spi-

rito in cui tutto fu fatto ed esiste20.

Inoltre con ‘dispositio’ si può intendere il secondo momento della preparazione del

retore21. Questo significato può assumere due sensi: attivo, qualora si tratti dell’atto del

retore di disporre, di costruire il suo discorso; medio-passivo, qualora si ponga l’accento

sul carattere ordinato delle parti del discorso.

Oltre all’uso del termine ‘dispositio’, compare nei testi bonaventuriani anche il sin-

tagma ‘hierarchica dispositio’.

Esso (a volte in ordine inverso, ‘dispositio hierarchica’, e anche al plurale) è di

ascendenza dionisiana: ‘dispositio’ sarebbe quindi la traduzione del lemma greco ‘dia-

kósmesis’, che nel Corpus dionysianum indica il “giusto posto” di ciascuno nella pro-

pria gerarchia22.

Sebbene Bonaventura non abbia conoscenza del corpus, un approfondimento circa

l’uso di ‘dispositio’ nell’opera di Dionigi può comunque aiutare a comprendere il suo

significato all’interno della produzione bonaventuriana.

Ogni disposizione gerarchica rimanda a quella che nelle traduzioni latine di Dionigi

è definita come la sacratissima lex della divinità: ossia che i suoi doni arrivino a desti-

18 Brev 5.6: «gratiae donum […] ramificari debet usque ad habitus perfectionum qui cum fini appro-

ximent recto vocabulo nuncupantur ex nomine beatitudinum quarum sufficientia numerus et ordo colligi-

tur ex integritate perfectionis ex modis perfectionum et ex dispositionibus ad perfectionem»; così «si at-

tendantur dispositiones praeambulae septem debent esse beatitudines»; Brev 7.6: «ille ignis non agit nisi

per dispositionem peccati»; HexD 1.3(=6).3: «sequitur illud inconveniens quod dispositio mundialium

sit praeter poenam et gloriam»; Collationes in Hexaëmeron, Visio prima, coll. 3, n. 4, linea 1: «Maxime

ergo sic veritas occultatur divinae providentiae dispositionis mundanae»; Collationes in Hexaëmeron, Vi-

sio prima, coll. 3, n. 20, linea 1: «Sunt iterum hae virtutes tantae veritatis et ordinis ut mundi dispositioni-

bus correspondeant». 19 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 50 (De assumptione b. Mariae Virginis), n. 2, p.

654, linea 15: «Re vera sole speciosior in sua assumptione fuit Virgo serenissima, […] quia fonti totius

pulchritudinis, cum maiori dispositione ad receptionem perfectae speciositatis […]». 20 Cf Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 54 (de sanctis angelis), n. 9, p. 693, linea 181:

«Si quaeris unde dispositio intelligitur, certe scribitur: Verbo Domini caeli firmati sunt, et Spiritu oris eius

omnis virtus eorum». 21 HexD 1.1(=4).22: «quinque partes rhetoricae, scilicet inventio, dispositio, elocutio, memoria, pro-

nuntiatio, aliter orator nihil perageret ordinate». 22 Cf (Pseudo)Dionysii Areopagitae De Coelesti Hierarchia, 3; De Ecclesiastica Hierarchia, 1 e 5.1;

ma soprattutto Epistula 8,1-5 (a Demofilo). Qui in particolare Demofilo è biasimato per aver manifestato

uno zelo smodato e intollerante verso un peccatore, anziché aiutarlo; allo stesso modo, infatti, “non pu-

niamo i ciechi ma li conduciamo per mano” [Epistula 8,5].

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ANDREA DI MAIO 8

nazione attraverso i medi. Nella lettera a Demofilo (che però Bonaventura non conosce)

viene messo a fuoco il tema del compito specifico (‘idiopragía’) a cui ciascuno è chia-

mato, a seconda del posto23 che occupa nella sua gerarchia. La vera mansuetudine od

obbedienza non sta quindi nel fare questo o quello, ma nel fare ciò che è proprio a cia-

scuno: non basta infatti fare ciò che è giusto, occorre anche farlo in modo giusto (nelle

versioni latine: «iuste quod iustum» [Dt 16,20]). Allo stesso modo nella Scrittura si

condanna “chi usurpa una funzione non sua”: in particolare il sacrificio fatto da Saul al

posto di Samuele gli fu controproducente [cf 1Sam 13,10 e 15,22]; così la professione di

fede in Cristo da parte dei demoni, pur retta nei contenuti, non giova loro [Lc 4,34]; o i

miracoli nel nome di Gesù effettivamente praticati dai reprobi, ma non riconosciuti da

Cristo [cf Mt 7,23].

Chiariamo tuttavia che ‘hierarchia’ è un termine assunto da Bonaventura in un sen-

so dionisiano sì, ma reinterpretato alla luce di Ugo di San Vittore [cf Hex 2-3 e tutta la

visione quarta di Hex]: nelle creature spirituali è ordinamento sacro tendente (attraverso

conoscenza e volontà) al deiforme, ma coinvolge indirettamente (attraverso l’umanità

riunita nella Chiesa) anche il mondo creato sensibile e si radica nella stessa Trinità. Così

abbiamo (seguendo Ugo, e non Dionigi) innanzitutto una “gerarchia sovraceleste” (sen-

za subordinazione ma con circumincessione tra le persone divine); poi una gerarchia ce-

leste (angelica, o in generale di tutta la natura spirituale); poi una gerarchia ecclesiasti-

ca, in cui sono compresi non solo i ministri ordinati, ma con diversi tipi di ordinamento,

tutti i fedeli in atto o in potenza. Gerarchia è quindi ogni comunione, che in quanto tale

viene dalla Trinità e riconduce alla Trinità24.

Gerarca è dunque essenzialmente Cristo [cf Hex 3], in quanto centro ordinatore di

ogni gerarchia: è infatti quanto al corpo gerarca della gerarchia ecclesiastica (la Chiesa è

infatti misticamente Corpo di Cristo) e quanto all’anima è gerarca della gerarchia cele-

ste; infine è “persona media” nella Trinità [cf Hex 1] (tra il Padre, che è innascibile,

“producente ma non prodotto”, e lo Spirito, che è “prodotto e non producente”: generato

dal Padre e spirante con il Padre lo Spirito).

Nella quarta visione delle Collationes in Hexaëmeron, l’anima è gerarchizzata tra-

mite la purificazione, l’illuminazione e il perfezionamento25, o in particolare tramite la

23 Il tema del “posto” (‘táxis’ in greco) è cruciale nella filosofia antica (da Socrate in poi) quanto nel

Cristianesimo primitivo: nella Apologia di Socrate, il filosofo afferma di non poter abbandonare il posto

assegnatogli dal Dio; in quella riproposizione cristiana dell’Apologia che è la Lettera a Diogneto, dei cri-

stiani si dice che hanno ricevuto da Dio un posto che non è lecito loro abbandonare. Si tratta di una meta-

fora tratta dal linguaggio militare, con riferimento al posto assegnato al singolo soldato in uno schiera-

mento. 24 Collationes in Hexaëmeron, Visio quarta, collatio 2, n. 17, linea 22: «Ex quo ergo hierarchia ange-

lica est assimilata et reducta sequitur dispositio per tres hierarchias et illustratio triplex ita quod quaelibet

hierarchia tres habet ordines secundum tres personas in divinis et quaelibet hierarchia a qualibet persona

illustratur tripliciter et secundum hoc erunt novem ordines hierarchici». 25 In questa luce, possiamo forse spiegare come mai Bonaventura abbia nel corso della sua espe-

rienza da Ministro Generale abbandonato una teologia mistica in senso dionisiano (quella che aveva ispi-

rato capolavori come l’Itinerario, che però erano di impossibile utilizzazione pratica) a una teologia mi-

stica in senso che oggi diremmo mistagogico: il voler condurre tutti a sperimentare il dono di pietà [cf

Don 3] e soprattutto a nutrirsi dell’Albero di Vita. In una trattazione iniziale (nel De triplici via) la vita

spirituale veniva articolata simultaneamente attraverso i tre esercizi (tratti dalla tradizione certosina), os-

sia la meditazione, l’orazione e la contemplazione, intersecati con i tre atti gerarchici (tratti dalla tradizio-

ne dionisiana) di purificazione, illuminazione e perfezione nei tre stadi degli incipienti, dei proficienti e

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 9

contemplazione della Trinità e della Gerusalemme celeste26. In questo si compie proba-

bilmente la missione (attribuita a Francesco) di “riparare la casa di Dio in rovina”, ossia

l’anima presa dai vizi.

Un’altra auctoritas biblica [2Cor 12,2-4, riletta alla luce delle opere dello Pseu-

do-Dionigi], avvalora che le disposizioni gerarchiche siano gli “arcana verba” uditi da

Paolo nel suo rapimento al terzo cielo e da lui (secondo la finzione pseudo-dionisiana)

comunicati a Dionigi.

Nel Sermone per Sant’Agnese, Bonaventura mette in relazione le “disposizioni ge-

rarchiche” di Dionigi e gli “eccessi mentali” (ossia le esperienze mistiche) di Paolo27. E

nel sermone per Sant’Andrea, Bonaventura (con riferimento al topos di Daniele, desti-

natario di rivelazioni proprio perché “vir desideriorum”) dice che “la massima disposi-

zione per percepire gli arcani delle Scritture è il desiderio”28. In realtà, il senso

dell’espressione ebraica sarebbe “uomo desiderato da Dio”, ossia prediletto; ma è sug-

gestiva questa interpretazione che vede nel desiderio umano più profondo una manife-

stazione della rivelazione di Dio.

È interessante notare l’uso del sintagma ‘hierarchica dispositio’ (anche al plurale)

all’interno del sermone sugli angeli29: esso trova qui un contesto tematico favorevole,

laddove si tratta dell’ordine gerarchico celeste30.

dei perfetti. Nella trattazione più matura della vita spirituale (nelle Collationes), si tiene conto del pro-

gresso concreto, che si fa esercitando e stabilizzando i doni dello Spirito Santo dal timore alla sapienza, e

soprattutto curando il passaggio dall’esercizio del dono di intelligenza a quello di sapienza. Provando ad

esplicitare e collegare quanto Bonaventura dice qua e là [cf Hex. 2-3], possiamo distinguere quattro mo-

dalità e tre fasi (la prima è “per molti”, la seconda e la terza “per pochi” e la quarta “per pochissimi”): il

passaggio alla “sapienza uniforme”, tramite quelle che oggi chiameremmo riflessione e professione di fe-

de, ossia tramite il pieno sviluppo delle virtù cardinali e teologali; il passaggio alla “sapienza multiforme”

tramite la meditazione della Scrittura; il passaggio alla “sapienza uniforme” tramite la contemplazione (di

quell’ordine già descritto dalle Scritture, ma ora constatato nell’anima stessa); il passaggio alla “sapienza

nulliforme” tramite la profezia e poi il rapimento (più straordinario) oppure l’estasi. 26 Collationes in Hexaëmeron, Visio quarta, collatio 4, n. 15, linea 1: «Haec autem perfectio respon-

det descriptioni civitatis scilicet quod anima in se habeat divinum dei cultum divinum dei nexum divinum

dei zelum divinum dei sensum ita quod in dispositione civitatis cultus est ad orientem nexus ad meridiem

zelus ad septentrionem sensus in occidente». 27 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 37 (de s. Agnete uirgine et martyre), n. 12, p.

502, linea 240: «Si fuisset discipula Dionysi et audisset hierarchicas dispositiones et habuisset excessus

mentales sicut Paulus, satis bene respondisset». 28 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 34 (de s. Andrea apostolo), redactio longa, colla-

tio, prothema, n. 1, p. 447: «“Ego veni ut indicarem tibi quia vir desideriorum es”, Danielis 9. Verbum est

angeli ad Danielem qui venerat ad revelandum ei mysteria; in quo datur intelligi quod maxima dispositio

ad percipiendum arcana Scripturarum est desiderium». 29 All’origine dell’interesse bonaventuriano per la questione angelologica ci sarebbe la devozione di

Francesco per gli angeli (la Porziuncola è dedicata a Santa Maria degli Angeli; alla Verna, Francesco vide

un Serafino). Il dibattito teologico scaturiva dalla questione su come siano disposti gli ordini angelici. Tra

le due prospettive più diffuse, quella proposta da Gregorio Magno e quella di Dionigi, ebbe la meglio la

seconda, pur lasciando dietro di sé alcune questioni spinose (come ad esempio: se solamente gli angeli

dell’ordine inferiore vengono inviati, allora come mai la Scrittura parla di missioni degli arcangeli Ga-

briele, Michele e Raffaele?). 30 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 54 (de sanctis angelis), n. 3, p. 687, linea 51:

«Spiritus sanctus explicans nobis per Spiritum sanctum hierarchiae angelicae dispositionem sive ordina-

tionem perpulchram dicit: Vidit Iacob scalam stantem super terram».

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ANDREA DI MAIO 10

Inoltre, il riferimento alla “scala di Giacobbe”, sulla quale salgono e scendono gli

angeli, ci rimanda alla struttura scalare, ovvero gerarchica della realtà31.

Tale struttura compare anche nei Sermones de tempore: nel sermone 65, ad esem-

pio, parlando delle tre nature unite in Cristo (divina, spirituale, corporea), Bonaventura

fa riferimento alle “tre gerarchie”:

In ipso regnante tria haec habemus videre scilicet: – multiplicationem rationum aeternarum,

[…]; – diversitatem triformium naturarum […], ita tres naturae sunt unitas in Christo, scilicet

Verbi, animae et carnis; – pulchriformitatem dispositionis hierarchiarum […]32.

Inoltre, in un altro sermone riportato dal suo socius e segretario Marco di Montefel-

tro, Bonaventura distingue sette libri: il libro della Vita (ossia della predestinazione), il

libro che è Gesù stesso, o meglio la natura umana di Cristo, il libro che è la Vergine Ma-

ria, il libro della patria beata “in cui sono scritte tutte le disposizioni gerarchiche e le

differenze di dignità e premi”, il libro del creato, ossia dell’universo in cui sono le ve-

stigia di Dio, il libro della Scrittura e il libro della coscienza individuale33.

Infine il termine ‘dispositio’ esprime la necessità di una preparazione a ricevere i

doni34. Per questo stesso principio la disposizione dovrà essere graduale, nel duplice

31 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 54 (de sanctis angelis), n. 2, p. 686, linea 31: «In

ista visione ostensus est ei hierarchicae dispositionis ornatus, et quantum ad ordinis eius pulchritudinem,

et quantum ad operationis eius praeclaritatem, quia hierarchicae dispositionis ornatus et habet in se ordi-

nationem praeclaram; et ideo Spiritus sanctus qui ostendebat Patriarchae Iacob visionem ornatus hierar-

chicae dispositionis, propter universalem Ecclesiam erudiendam explicat eam quantum ad ordinationem

eius pulchram, cum dicit: Vidit Iacob in somnis scalam super terram stantem et cacumen illius tangens

caelum; secundo, explicat operationem eius perfectam cum dicit: angelos quoque Dei ascendentes et de-

scendentes per eam; tertio, explicationem eius praeclaram cum subdit: et Dominum innixum scalae». 32 Sermones de tempore (reportationes sermonum s. Bonauenturae a Marco de Montefeltro congestae,

iuxta codicem Mediolanensem Ambros. A 11 sup.) sermo 65, n. 4, p. 117, linea 15. 33 Sermones de tempore (reportationes sermonum s. Bonauenturae a Marco de Montefeltro congestae,

iuxta codicem Mediolanensem Ambros. A 11 sup.) sermo 291, n. 2, p. 396, linea 12: «Primus liber est

vitae sive praedestinationis aeternae in quo sunt scripta nomina electorum et formae sive exemplaria

omnium rationum viventium; et iste liber est admirandus, venerandus, desiderandus et suspirandus, Phil.

4: Quorum nomina sunt in libro vitae; – secundus est humanae in Christo naturae in quo scripta stigmata

clavorum et passionum et omnia genera exemplorum et meritorum; et iste liber est imaginandus,

inviscerandus et sicut speculum semper prae oculis habendus, Is. 8: Sume tibi librum grandem etc.; –

tertius est Virginis gloriosae caelorum reginae et angelorum Dominae in quo sunt scripta exempla et

morum et perfectionum; et iste liber est in devotione et imitatione et commendatione habendus, Matth. 1:

Liber generationis Iesu Christi etc.; – quartus liber est beatae patriae sive beatitudinis sempiternae in quo

scriptae sunt dispositiones hierarchiarum et differentiae dignitatum et praemiorum; |et iste liber est

contemplandus, recogitandus et in pectore fabricandus, Ps.: In libro tuo omnes scribentur; Ps.: In capite

libri scriptum est de me etc., dicit Christus homo; – quintus est totius mundi creaturae in quo sunt scripta

vestigia scalaria aeternorum; et iste liber est totus totaliter in creatoris potentiam, sapientiam et bonitatem

referendus, Is. 29: Erit vobis sicut visio omnium vel signa etc.; – sextus liber est sacrae scripturae in quo

sunt praecepta scripta seu documenta praeceptorum et inhibitionum; et iste liber est amandus,

ruminandus, audiendus et in mente portandus, Baruch 4: Hic est liber mandatorum Dei et lex etc.; –

septimus est conscientiae propriae in quo sunt scriptae notae peccatorum et profectus meritorum; et iste

liber est examinandus iugiter et a vitiorum defectibus corrigendus et in meritis colendus et conservandus,

Dan. 7: Iudicium sedit et libri aperti sunt etc.». 34 Sermones dominicales, sermo 25, n. 4, linea 50: «Quia spiritus sanctus licet sit liberalis et largus in

dando tamen quia ipse est providus et discretus in dispensando ideo ad hoc ut aliquis ab ipso magnum

beneficium impetret requiritur convenientia debitae dispositionis ex parte sui».

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 11

senso di diversificazione topologica dei gradi di intensità e di dilazione cronologica del

rispettivo perseguimento35.

La Bibbia non solo descrive le disposizioni gerarchiche, ma le realizza nell’anima

[cf Brev 5, Itin 4.4-8, HexD 4]. Per Bonaventura la “gerarchia” non comprende solo i

pastori della Chiesa, ma tutti i fedeli: tale concetto è quello che oggi corrisponderebbe a

“comunione”. Anticipando le intuizioni di Mühlen, la gerarchia è la comunione instau-

rata dalla presenza della persona dello Spirito Santo nei cuori dei fedeli: la missione del-

lo Spirito (Dono increato) produce in essi la grazia. In questa comunione è fondamenta-

le la cooperazione delle gerarchie angeliche.

A questo punto è interessante questa rara affermazione autobiografica di Bonaven-

tura:

Procedere philosophando non est meum, sed meum est aptare speculum unum ut intelligere

possitis dispositionem hierarchiae caelestis quae est in caelo et iuxta illam declarare hierarchiam

ecclesiasticam quae est in terra36.

LA STRUTTURA SCALARE DELLA REALTÀ

La Scrittura, per Bonaventura [Brev 0.3.1], è sublime, giacché descrive le tre gerar-

chie, ecclesiastica, angelica e divina (qui dette anche, rispettivamente, subcaelestis, cae-

lestis e supercaelestis), con un grado crescente di misteriosità, dal momento che se la

descrizione della gerarchia ecclesiastica è alta, quella della gerarchia divina è altissima.

E questo non è senza ragione: infatti

summa perfectio et nobilissima in universo esse non possit, nisi

– natura, in qua sunt rationes seminales

– et natura, in qua sunt rationes intellectuales,

– et natura, in qua sunt rationes ideales,

simul concurrant in unitatem personae, quod factum est in Filii Dei incarnatione [Red 20].

• Nam cum res

– habeant esse in materia,

– habeant esse in anima

• per notitiam acquisitam,

• habeant etiam esse in ea per gratiam,

• habeant esse in ea per gloriam

– et habeant esse in arte aeterna;

• philosophia quidem agit de rebus,

– ut sunt in natura,

– seu in anima secundum notitiam naturaliter insitam,

– vel etiam acquisitam;

• sed theologia, tanquam scientia supra fidem fundata et per Spiritum sanctum revelata, agit

et de eis quae spectant ad gratiam et gloriam et etiam ad Sapientiam aeternam.

35 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 54 (de sanctis angelis), n. 4, p. 689, linea 69:

«Ista gradualis dispositio partim est in caelo et partim in terra; ubique sunt gradus et ordo; ideo dicit:

Vidit scalam stantem super terram et caelos tangentem, quia Ecclesia triumphans unita est cum militante,

ut vult Gregorius». 36 Sermones de diuersis, reportationes vol. 2, sermo 54 (de sanctis angelis), n. 5, p. 689, linea 73.

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ANDREA DI MAIO 12

• Unde ipsa, substernens sibi philosophicam cognitionem et assumens de naturis rerum,

quantum sibi opus est ad fabricandum speculum, per quod fiat repraesentatio

divinorum, quasi scalam erigit, quae in sui infimo tangit terram, sed in suo cacumine

tangit caelum;

• et hoc totum per illum unum hierarcham, Iesum Christum, qui non tantum ratione naturae

humanae assumptae est

– hierarcha in ecclesiastica hierarchia,

– verum etiam in angelica,

– et media persona in illa supercaelesti hierarchia beatissimae Trinitatis,

• ita quod per ipsum a summo capite Deo descendit unctionis gratia non solum in barbam,

verum etiam in oram vestimenti, quia non tantum in Ierusalem supernam, verum etiam

usque in Ecclesiam militantem.

• Est enim pulcritudo magna in machina mundana, sed longe maior in Ecclesia pulcritudine

[…] charismatum adornata, maxime autem in Ierusalem superna, supermaxima autem in

illa Trinitate summa et beatissima [Brev 0.3.2-3].

Anzitutto, in virtù della diversa modalità d’esistenza delle cose, la filosofia e la teo-

logia trattano differenti livelli di realtà.

La teologia è per Bonaventura la lettura del liber Scripturae (dove per Scriptura si

intende tutta la Bibbia e non solo l’Antico Testamento, come invece accade

nell’espressione lex Scripturae) e finisce con l’identificarsi con la Scrittura stessa37. La

filosofia può essere invece considerata come la lettura del liber creaturae 38.

Prima del peccato, all’uomo era sufficiente il liber creaturae, leggendo il quale po-

teva naturalmente diventare sapiente.

Cum universas res videret in se, videret in proprio genere, videret etiam in arte, secundum

quod res tripliciter habent esse, scilicet in materia vel natura propria, in intelligentia creata et in

arte aeterna; secundum quae tria dicit Scriptura: “Dixit Deus: Fiat”; “fecit” et “factum est”39.

Le tre parole che nel primo capitolo della Genesi descrivono la creazione («Fiat»,

«fecit», «factum est») sono interpretate alla luce di Agostino40 rispettivamente come

l’eterna decisione di Dio di creare il mondo (mediante le ragioni ideali presenti in Dio),

l’eviterna creazione delle anime e degli angeli (con le ragioni intellettuali presenti nelle

creature spirituali) e la creazione temporale delle cose corporali (mediante le ragioni

seminali e formali presenti nella materia). Ragioni seminali e formali, ragioni intellet-

tuali e ragioni ideali fondano dunque rispettivamente il dinamismo fisico, l’intelligibilità

e la stessa esistenza creaturale delle cose41.

A loro volta, le tre modalità ontologiche per l’esistenza delle cose fondano tre livel-

li di conoscenza (da parte dell’uomo) delle cose stesse. Si può infatti conoscere le cose

nel loro genere (e qui ritroviamo la corrispondenza fra natura determinata e genere), os-

sia conoscere cosa sono in base all’intenzione logica che ne rivela l’appartenenza a que-

sta o quella natura determinata collettiva e quindi la qualità ontologica propria di questa

37 Cf Brev 0.0.1. 38 Cf Brev 2.12.4 insieme a 0.3.2. 39 Brev 2.12.4. 40 De Genesi ad litteram 2.8.16-20. 41 Cf Red 4 e 20.

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 13

o quella natura costitutiva. L’uomo può però conoscere le cose anche in sé stesso (infatti

il liber naturae consiste tanto nella natura corporea, o libro scritto solo fuori, quanto

nella creatura spirituale, o libro scritto dentro42); di conseguenza, l’uomo, dotato di cor-

po e anima spirituale, ha una duplice conoscenza di entrambi i libri e può dunque perve-

nire al terzo livello di conoscenza, ossia la conoscenza della Sapienza divina e della sua

opera43.

Pertanto si presentano vari gradi dell’esistenza delle cose nell’anima e, di conse-

guenza, della loro conoscenza da parte dell’anima.

Un primo grado è quello delle notizie innate (naturaliter insitae): è il grado più vi-

cino al precedente livello, ossia quello dell’esistenza delle cose in natura (nella natura

globale fisica o anche nella loro natura determinata sensibile). Infatti sia al primo livel-

lo, sia al primo grado del secondo livello ci sono due nature, solo che al primo c’è la na-

tura corporea, al secondo invece la natura incorporea.

Un secondo grado è quello delle notizie acquisite: in questo grado non troviamo più

la natura spirituale, ma il mondo dello spirito legato ad essa. Siamo infatti nella sfera

dell’industria umana.

Il terzo e il quarto grado sono quelli della grazia e della gloria.

A causa del peccato, la filosofia si ferma al secondo grado e c’è bisogno di un’altra

conoscenza, per Spiritum sanctum revelata, e di un altro libro scritto fuori e dentro: la

Scrittura44.

Chiaramente la descrizione naturale dell’universo nell’anima corrisponde ai due

gradi della conoscenza innata e di quella acquisita, mentre la descrizione sovrannaturale

corrisponde ai due gradi della conoscenza per grazia e per gloria (ricordando che, in sin-

tonia con la mentalità biblica, la conoscenza va intesa come esperienza e non come

semplice conoscenza intellettuale).

Dunque, il concetto di Natura è strettamente legato all’economia creativa di Dio e

si riferisce in primo luogo e più propriamente al mondo delle cose fatte e non fattive

(ossia alla natura corporea, detta anche solo natura), che resta chiuso nell’ordine della

creazione; in secondo luogo e meno propriamente all’insieme delle cose fatte e fattive

(ossia alla natura spirituale, meglio detta creatura spirituale), che in quanto libere emer-

gono in qualche modo dall’economia creativa; in terzo luogo e quasi impropriamente al

mondo dello spirito e dell’industria umana. Nel primo caso natura si oppone a tutto ciò

che è spirituale e libero, nel secondo a tutto ciò che non è ricevuto come dote ma acqui-

sito, nel terzo a tutto ciò che è infuso e che riguarda l’economia rivelativa (santificatrice

e rimuneratrice) di Dio.

Di conseguenza la filosofia si occupa della sola opera della creazione, mentre la

teologia si occupa anche e soprattutto dell’opera della riconciliazione45. La filosofia

stessa46 è di per sé finalizzata a conoscere le cose anche nell’arte eterna e quindi ottene-

re la Sapienza (ossia la contemplazione di Dio e, in Dio, di tutte le cose da lui create); e

in effetti “i filosofi hanno proposto nove scienze e ne hanno promessa una decima, la

42 Cf MyTrin 1.2 co e Hex 12.14-16. 43 Cf Brev 2.11.2. 44 Cf Hex 12.17. 45 Cf Hex 1.37. 46 Interpretando Brev 2.12.4 alla luce di Brev 0.3.2.

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ANDREA DI MAIO 14

contemplazione”47; “promisero pertanto di dare la sapienza, cioè la beatitudine, cioè

l’intelletto giunto alla pienezza”48. Ma poi, a causa dell’ignoranza derivante dal peccato,

la promessa non può essere mantenuta mediante la sola filosofia, così che anche i più

grandi filosofi, senza la fede, sono ancora nelle tenebre49. Per questo è solo la Scrittura

(o la teologia) che guida alla vera Sapienza.

La teologia si occupa dell’opera della creazione non per sostituirsi alle singole di-

scipline filosofiche in quanto tali (che sono, se ordinate rettamente, «arti buone»50) ma

per sostituirsi ad esse nel guidare l’uomo alla sapienza. Dunque, la teologia subordina a

sé la filosofia e assume dalle nature delle cose quanto le serve a farsi uno specchio delle

realtà divine.

Il senso perciò della subordinazione delle scienze alla teologia, alla quale vanno ri-

condotte (come in Red), sta nel fatto che «è meglio possedere la verità che la sua figu-

ra»51, intendendo per verità la verità piena e salvifica.

Ebbene, l’ordinamento ascendente di tutte queste nature manifesta Dio52, che, in

rapporto a queste nature, è natura naturante e creatrice (e poi in sé stesso, secondo la ri-

velazione è anche natura tripersonale).

Il simbolo della scala di Giacobbe53 impiegato dal nostro testo di partenza ha una

triplice valenza. In quanto scala discendente indica la fondazione ordinata, in varie tap-

pe, di tutta la realtà mediante la creazione divina. In quanto scala in sé stessa indica i li-

velli ontologici della realtà. In quanto scala ascendente indica i tre livelli della cono-

scenza umana della realtà (conoscenza che culmina nella Sapienza, ossia nella contem-

plazione beatifica di Dio).

Ora, la scala in sé stessa è l’insieme della realtà strutturata secondo i tre livelli della

natura fisica, spirituale, divina, sebbene qui54 vengano chiamati substantiae. Ma altro-

ve55 vengono chiamati appunto naturae: così si può dire che

summa perfectio et nobilissima in universo esse non possit, nisi natura, in qua sunt rationes

seminales et natura, in qua sunt rationes intellectuales, et natura, in qua sunt rationes ideales, si-

mul concurrant in unitatem personae, quod factum est in Filii Dei incarnatione56.

Cristo, dunque, non solo ripara la scala, ma è la scala stessa; non solo è il redento-

re, venuto per salvare l’uomo peccatore57, ma è anche il perfezionatore dell’universo

(Bonaventura si guarda bene però dal dire, come fecero altri maestri, che il Verbo di

Dio si sarebbe incarnato comunque, anche senza il peccato dell’uomo: la teologia infatti

47 Hex 4.1. 48 Hex 5.22. 49 Cf Hex 7.5-12. 50 Cf Hex 22.9. 51 Hex 17.25. 52 Cf Hex 10.13. 53 Cf Gen 28,12. 54 Come anche in Itin 6.6. 55 In Hex 8.9 – il duplice trisagio – Hex 3.13, Red 20. 56 Red 20. 57 Cf Brev 4.1.

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non si deve allontanare dalla casa della Scrittura58 e la Scrittura dice solo che Cristo è

venuto in conseguenza al peccato59).

In questo modo le tre nature ordinate verticalmente per livelli di perfezione ontolo-

gica divengono le nature determinate costitutive di Cristo.

Cristo permette alla grazia di discendere fino alla Chiesa (secondo l’immagine poe-

tica, tratta dal salmo 132 citato in Brev 0.3.2, dell’unzione che scende dal capo alla bar-

ba e fino agli orli della veste) e all’uomo di risalire la scala fino a Dio e così facendo ri-

pristina l’ordine gerarchico. Per questo, tornando al testo di partenza, Gesù Cristo è det-

to unico gerarca: infatti egli è da sempre media persona nella Trinità (in quanto il Ver-

bo è prodotto e producente e dunque sta fra il Padre, non prodotto e producente, e lo

Spirito, prodotto e non producente60), e dal momento dell’incarnazione è gerarca nella

gerarchia angelica e umana (in quanto egli assume la natura spirituale e corporea e

quindi riordina a Dio la creatura solo spirituale e quella composta, cioè l’uomo, mentre

quella solo corporea non può essere ordinata in questo senso a Dio perché non è capace

di ricevere la sua grazia).

Prescindendo dalla divinizzazione e mantenendo, del concetto di gerarchia, il solo

aspetto dell’ordinamento, Bonaventura elabora61 un triplice ordine di causalità, dignità e

fine che ordina in triplice modo la realtà su tre livelli: al primo livello c’è il posteriore

(dal punto di vista causale), inferiore (dal punto di vista qualitativo) e temporale (dal

punto di vista del fine, in quanto il temporale è per l’eviterno); al secondo c’è

l’anteriore, superiore, eviterno; al terzo c’è il primo, sommo, eterno, ossia62 l’origine,

l’esemplare e (in quanto l’eternità è il fine di ciò che è eviterno) il compimento di tutto.

La natura esprime quindi un grado di dignità in un ordinamento verticale (che è il

presupposto ontologico alla gerarchizzazione vera e propria). Dunque la qualità ontolo-

gica espressa dalla natura determinata (in base alla quale esiste una comunità ontologica

fra tutti i soggetti dotati della medesima qualità) comporta sempre una maggiore o mi-

nore recezione della perfezione di Dio63 cosicché le nature corporee sono solo vestigio

di Dio, mentre quelle spirituali ne sono anche immagine64.

È possibile ora sintetizzare quanto detto in uno schema, così da mostrare la correla-

zione delle tre dimensioni bonaventuriane e agostiniane e le analoghe distinzioni paoli-

ne (a cui si dovrebbe aggiungere quella, risalente al Vangelo stesso, di interiorità ed

esteriorità):

58 Si dice in Hex 17.25. 59 Cf Sent 3.1.2.26. 60 Cf Hex 1.14. 61 In Hex 10.12-14. 62 Alla luce di Hex 1.12. 63 Cf Sent 2.1b.1.2. 64 Cf Hex 2.22-27 e 12.15-16.

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ANDREA DI MAIO 16

«Ontologia»

evangelica e agostiniana

Antropologia

neoplatonizzante

di Itin 1.4 e 1.6

(e analogie

con quella paolina)

Cosmologia bonaventuriana

(e struttura cristologica della realtà)

alla luce di Itin, Red 20 e Hex 16.9

SOPRA

Mens (Spirito)

6. Apice – Scintilla

5. Intelligenza

MONDO ARCHETIPO

[O ARCHEOCOSMO]

= natura in cui sono

le ragioni ideali delle cose

= natura naturante

[preesistenza “trascendente”

delle cose naturali

nella Mente creatrice di Dio]

DENTRO

Spiritus (Anima) 4. Intelletto

3. Ragione

MICROCOSMO o MONDO MINORE

= natura in cui sono

le ragioni intellettuali delle cose

[preesistenza “trascendentale”

delle cose naturali

nella nostra mente]

(SOTTO)

FUORI

Animalitas (Corpo) 2. Immaginazione

1. Sensi

MACROCOSMO

o MONDO MAGGIORE/SENSIBILE

= natura in cui sono

le ragioni seminali delle cose

e le cose stesse

[esistenza “immanente” ed empirica

delle cose naturali

in natura propria, ossia in materia]

La natura umana è l’unione della natura corporea e spirituale. Insieme costituiscono

la natura naturata di Cristo.

Da considerare che i tre livelli gerarchici comunque sono definibili in senso tempo-

rale: non solo perché la natura divina è eterna (in simultanea e perfetta pienezza), la na-

tura spirituale è eviterna (ha avuto inizio, ma non avrà fine), la natura corporea è tempo-

rale; ma anche e soprattutto perché nella natura propria, corporea, si manifesta tempo-

ralmente ciò che in Dio è eternamente e nella mente creata è “a priori” (anche se Bona-

ventura non usa questa terminologia) quanto alle sue struttura matematiche.

L’INCROCIO DELLE DUE DIMENSIONI

LA “CROCE INTELLIGIBILE”

In una pagina celebre Bonaventura associa la visione di Isaia dei due serafini che

cantano “Santo, Santo, Santo, il Signore Dio Sabaoth” alla struttura trinitaria e cristolo-

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 17

gica fondamentale del mistero cristiano65. Rinviando a quanto abbiamo diffusamente

mostrato altrove66, alla luce di passi paralleli, proviamo a presentarne schematicamente

la struttura lessicale e concettuale:

La struttura della realtà, nella riflessione teologica bonaventuriana, si può rendere

visibile come una Croce, i cui assi sono formati dalle due dimensioni cronologica e to-

65 Hex 8.9. 66 Cf A. DI MAIO, La divisione bonaventuriana delle scienze. Un’applicazione della lessicografia

all’ermeneutica testuale. [I] In Sincronia, in “Gregorianum” 2000 (81), p. 101-136.

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ANDREA DI MAIO 18

pologica. Anche se non è accertabile, possiamo presumere che Bonaventura visualizzas-

se tale struttura come una Croce francescana, ossia a T.

La Croce, infatti, è per Bonaventura la ricapitolazione simbolica di tutta l’opera di-

vina di manifestazione e rivelazione («omnia in cruce manifestantur»).

Nel prologo del Breviloquium (citando molto liberamente la lettera di Paolo agli

Efesini), Bonaventura elabora la teoria della “croce intelligibile”, risultante dall’incrocio

di alcuni assi (ampiezza, lunghezza, altezza e profondità), di cui le prime due (ampiezza

e profondità) sono riferite alla Scrittura; e le altre due (lunghezza, ossia il decorso tem-

porale, e altezza, o disposizione gerarchica) sono riferite alla realtà67. Infatti,

all’universo reale corrisponde l’universo testuale della Bibbia, che ne è come

l’immagine compatibile.

Al “quaternario” appena illustrato, Bonaventura aggiunge il “ternario”, ovvero la

«ratio causae triformis» (originante, esemplante, finiente), così che il settenario che ne

risulta “trae ragione e origine dal mondo increato archetipo”, ma si riflette nel mondo

creato68.

Così l’asse ternario della altitudo o dispositio hierarchica è l’asse verticale (o topo-

logico), il quale corrisponde alla triplice determinazione di sopra, dentro e sotto, ovvero

ai tre gradi ontologici delle tre nature fondamentali (corporale, spirituale e divina) riuni-

te per l’incarnazione nell’unica persona di Cristo; invece l’asse orizzontale corrisponde

al “decorso temporale”. Nella nostra proposta di ricostruzione visiva, esso consiste nel

circolo temporale che distingue nei diversi momenti lo stato della “scala”, ovvero i suc-

cessivi momenti della formatività (formatio originaria per natura al principio dei tempi,

deformatio originale per colpa, reformatio per grazia nella pienezza dei tempi, confor-

matio nei sacramenti del tempo ecclesiale, deiformatio per gloria alla fine dei tempi).

Così, pur avendo un valore intrinsecamente teologico, la struttura concettuale della

“croce intelligibile” è di per sé logica e ontologica, in quanto manifesta la duplice di-

mensione del decorso temporale e della struttura scalare della realtà.

67 Cf Brev 0.6.4, 0.0.6 e Hex 2.17. 68 Cf Hex 16.9 e HexD 3.4.8-9.

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 19

LE DUE (PIÙ DUE) DIMENSIONI DELLA SCRITTURA

Rimandando a quanto abbiamo spiegato più diffusamente altrove69, vediamo come

queste dimensioni del mistero si riflettano nel libro della Scrittura e delle sue quattro

dimensioni tratte dalla lettera agli Efesini.

L’ampiezza e la profondità, riferendosi all’universo testuale della Scrittura, identi-

ficano la sua estensione nei diversi libri e i molteplici sensi di ciascun episodio narrato:

le quattro serie di libri distinte (sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento) esprimono

rispettivamente l’eternità (legge e vangeli), il passato (storie e atti), il presente (scritti

sapienziali o lettere) e il futuro (profezie) [cf Hex 13.16-17]; mentre i quattro sensi della

Scrittura si riferiscono alle realtà già compiute, da compiere ora, e a quelle promesse.

La lunghezza esprime chiaramente il decorso temporale della storia della salvezza

dal principio non da principio (in Dio), passando per il principio e la pienezza dei tempi,

per giungere alla loro fine. L’altezza manifesta la “disposizione gerarchica”, secondo le

tre gerarchie (sovraceleste, celeste e subceleste) [cf Hex. 2.16] e le tre nature (divina,

spirituale e corporea) [cf Red 20], nei termini di una distinzione di tre livelli di durata:

l’eternità, espressa nell’eterna decisione di Dio; l’eviternità, ossia la decisione irreversi-

bile delle intelligenze angeliche e dell’anima umana alla morte; la temporalità (in senso

stretto)70 [cf Itin 1.2].

Non tre dimensioni (più una) Ma 2+2 dimensioni

[REALI] [TESTUALI]altezza e lunghezza ampiezza e profondità

Come leggere questo “libro”71 che al suo interno rivela l’articolarsi complicato del

tempo che struttura la realtà?

A questo punto è chiara l’affermazione bonaventuriana da cui eravamo partiti: è

impossibile capire il senso dei misteri e della Scrittura ignorandone il decorso temporale

e la disposizione gerarchica.

69 Cf A. DI MAIO, Sacra Scriptura, quae theologia dicitur, p. 130-141. 70 La concezione bonaventuriana del tempo è oggetto di indagine sistematica in Florian KOLBINGER,

Zeit und Ewigkeit. Philosophisch-theologische Beiträge Bonaventuras zum Diskurs des 13. Jahrhunderts

um tempus und aevum, De Gruyter, Berlin 2014. 71 In polemica implicita con la profetologia avicennista e la teoria averroista dell’intellectus adeptus,

Bonaventura sviluppa il rapporto tra Scrittura e rivelazione interiore [cf Hex. 9.914]. Ma nota anche che

non può esserci contraddizione tra le due (Gesù infatti si trasfigura davanti a Mosé ed Elia). D’altra parte

Bonaventura dice che verrà il tempo in cui la prova si darà solo tramite auctoritas [Hex. 17.28]; ma, pur

con tutti i condizionamenti di una visione medievale, questo non va inteso in una giustificazione del fon-

damentalismo biblico: infatti fa riferimento al tempo (quasi escatologico?) in cui la chiave di Davide, os-

sia la revelatio, ovvero la conoscenza sperimentale delle realtà divine, sarà data alla moltitudine [Hex.

16.29]. Inoltre, come Ministro Generale, Bonaventura aveva insistito sulla necessità di uno studio anche

accademico, come risulta dalla sua lettera di risposta a un anonimo maestro francescano su tre questioni.

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ANDREA DI MAIO 20

Infatti, ignorando il decorso dei tempi, si rischia di “tornare indietro”: ad esempio,

leggere qualcosa che valeva nella legge di natura, o nella legge scritta, ma che non vale

più oggi. La professione di fede valida nell’Antico Testamento, ossia credere nel Cristo

“venturo”, non va più bene nel tempo attuale, in cui occorre credere nel Cristo “venuto”

[cf Hex 15.24; Sent 3.25]; oppure in quei cristiani che vorrebbero tornare a far filosofia

come si faceva prima di Cristo: essi sono come quelli che usciti dalla schiavitù volevano

tornare in Egitto [Hex 19.12]. In generale, “le opere di Cristo non decrescono, ma cre-

scono” [De tribus quaestionibus, 13].

Inoltre, ignorando le disposizioni gerarchiche, si rischia di imitare azioni non imi-

tabili (ad esempio, Gesù rimanda indietro il geraseno guarito [cf Lc 8,38-39; In Lucam,

8.71] perché alla vita di perfezione non tutti sono «admittendi» ma solo gli «idonei».

IL LETTORE RI-LETTO: FRANCESCO MODELLO DI OGNI ALTRO LETTORE

Francesco è presentato da Bonaventura come un lettore esemplare della Scrittura,

che dalla Scrittura stessa può rileggere la propria vita.

Nel suo testamento Francesco aveva manifestato grande venerazione per le lettere

di Dio, ossia per la Scrittura e per i teologi “che ci danno Spirito e Vita”. Alla luce an-

che dei suoi biografi, sappiamo che la lettura del Vangelo (in particolare la pagina della

missione dei discepoli a due a due, senza borsa o bisaccia, con il mandato di annunciare

la Pace), sia stata fondamentale per la comprensione che Francesco ha avuto della mis-

sione propria e della fraternità da lui fondata; ed è per questo che Bonaventura annette

tanta importanza (in particolare nell’Itinerario) alla Pace. Nel nono capitolo della Rego-

la bollata Francesco aveva infine raccomandato ai predicatori la brevità (e la finalizza-

zione ad allontanare dai vizi e relativi castighi e di indirizzare alle virtù e ai relativi

premi), perché Dio aveva fatto un “Verbo abbreviato sulla terra”. Si trattava di una rilet-

tura audace di un’espressione ebraica di Isaia, citata in greco da Paolo [Rm 9,28] e tra-

dotta in maniera allusiva in latino da Girolamo: l’espressione non veniva più intesa co-

me una “Parola che si realizza presto”, ma come una “Parola compendiata in poche pa-

role”, e addirittura “concentrata” nella persona del Cristo. Per questo Bonaventura inti-

tolò la sua somma teologica Breviloquium; e per questo vide nel Verbo incarnato (nel

suo percorso di vita: nato, crocifisso e risorto) “la Parola” (unica) in cui le molte “paro-

le” della Scrittura si concentrano e culminano, come l’Arca di Mosè culminava “nel cu-

bito” [cf In Lucam, 24.33].

Nell’undicesimo capitolo della Legenda Maior, dedicato alla comprensione delle

Scritture e allo spirito di profezia di Francesco, Bonaventura riporta questo significativo

giudizio di un anonimo teologo coevo su Francesco: “Veramente la sua teologia si libra

come un’aquila in volo sulle ali della purezza e della contemplazione, mentre la nostra

scienza striscia col ventre per terra” [11.2]. Di Francesco Bonaventura riporta anche la

lettura assidua dei libri sacri e l’autorizzazione allo studio delle Scritture. Infine la com-

prensione delle Scritture è associata alla spirito profetico secondo il duplice spirito di

Elia invocato da Eliseo [11.6], e possiede lo stesso carisma che aveva avuto Elia prima e

Giovanni il Battista poi.

In Francesco la rivelazione di Dio è non solo ricevuta, ma in qualche modo redu-

plicata, nel Santo, a cui si applica una dinamica espressa dai due verbi “apparuit” e “pa-

tuit”. Se da una parte, come già sappiamo, tutti i misteri di Dio si sono manifestati

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 21

(«manifestantur») nella Croce di Cristo [TriVia 3.3], d’altra parte l’amore di Cristo ha

assorbito la mente di Francesco a tal punto da aprirsi una strada («patuit») nella sua

stessa carne tramite le stimmate [Itin 0.3]: la vita stessa del Santo è quindi una rivela-

zione, tanto che Bonaventura ne introduce la biografia con il versetto che la liturgia ap-

plica al Natale di Cristo: “è apparsa («apparuit») la grazia di Dio” [LegMa 0; cf Tt

2,11] 72.

Per questo, Francesco è secondo Bonaventura “guida e padre” per tutta la Chiesa

come dimostra una rilettura teologica (alla luce della Scrittura) di tutta la sua vita:

La conversione avvenuta in modo ammirabile, l’efficacia nel proclamare la Parola di Dio, il

privilegio delle virtù sublimi, lo spirito di profezia unito alla penetrazione delle Scritture, la doci-

lità delle creature prive di ragione nei suoi confronti, l’impressione delle sacre stimmate e il ce-

lebre transito da questo mondo al cielo sono in Francesco come sette prove […] che egli, precla-

ro araldo di Cristo, porta in sé il segno del Dio vivo”: “deputato al ministero angelico, tutto in-

fiammato di ardore serafico e come uomo gerarchico trasportato in alto […], venne chiaramente

con lo spirito e la forza di Elia” 73.

Francesco è infine modello di come usare la Scrittura: disputando col Sultano, non

volle discutere di fede con la ragione, perché la fede è superiore ad essa; né con la Scrit-

tura, perché i non cristiani non l’avrebbero recepita come autorevole; ma solo con i mi-

racoli e con la testimonianza [cf Hex 19.14].

E come l’angelo del sesto sigillo dell’Apocalisse Francesco segnò con segno di Dio

(il Tau, secondo la profezia di Ezechiele) frate Leone e la sua posterità spirituale; e co-

me il sesto angelo di Filadelfia, ricevette da Cristo la “chiave di David”: ebbene, per

Bonaventura “l’intelligenza della Scrittura o rivelazione o chiave di David sarebbe stata

data ancora a una persona o alla moltitudine, ma più probabilmente alla moltitudine”

[Hex 16.29; cf Hex 3.32 e Ap 3,7-13]. Nella Chiesa Francesco è dunque l’iniziatore (di

cui Bonaventura intende essere il continuatore) di una nuova epoca, in cui sarà aperto a

livello comunitario l’accesso ai misteri della Scrittura.

ALTEZZE E DURATE: LE DUE DIMENSIONI “MUSICALI” DELLA BIBBIA

Bonaventura associa al verbo ‘decurrere’ un’importante metafora che (grazie alle

concordanze elettroniche) possiamo riscontrare: per divina disposizione il mondo “de-

corre a mo’ di carme”, ossia con un’alternanza che non ne diminuisce, ma ne aumenta la

bellezza; così, sebbene la luce sia un bene, Dio alterna luce e tenebra nel creato74.

72 Cf Pietro MESSA, Le fonti paoline dell’Itinerarium mentis in Deum nello Studio di Joseph Ratzin-

ger sulla Teologia della Storia di Bonaventura, in “Doctor Seraphicus” 2010, p. 17-22 (soprattutto p. 21);

ID., Introduzione a BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Vita di san Francesco: Legenda maior, a cura di P.

Messa, Paoline, Milano, 2009. 73 LegMa 13.9 (cf Gal 6,17); LegMa 1.1; LegMa 13.9; LegMi 7.9. 74 «Si tu quaeris, quare Deus non fecit lucem ita sufficientem, quod undique posset illuminare; dicen-

dum, quod si sic fecisset, per illam lucem esset illuminatio, sed non horarum distinctio nec temporalis

successio. Divinae autem dispositioni placuit, mundum quasi carmen pulcherrimum quodam decursu

temporum venustare», Sent 2.13.1.2 co.

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ANDREA DI MAIO 22

Se intesa alla luce della teoria musicale di Boezio, la metafora bonaventuriana del

decursus mundi come carmen può aiutare a comprendere come Bonaventura concepisse

la “storia”.

È a Boezio (che riprende una suggestione platonica, ciceroniana e macrobiana) che

si deve la definizione di una musica mundana75, accanto alla musica humana e a quella

strumentale (la musica vera e propria per noi), ossia di una musica che è nel mondo

stesso (per l’armonia delle sfere). Secondo Boezio la differenza tra il poeta e il musicus

risiede nel fatto che solo il secondo introduce l’elemento temporale nel componimento

poetico. Tuttavia il “tempo” della musica non è tanto quello lineare o piatto che scorre

secondo una dimensione, quanto piuttosto quello dei “ritmi” e “modi” (costituenti la

musica), i quali sarebbero rispettivamente le durate (rappresentate aritmeticamente) e le

altezze (rappresentate geometricamente) delle note. In effetti, secondo la teoria musicale

boeziana, musico non è tanto chi sa eseguire o sa comporre carmi, ma chi li sa giudicare

e valutare in base ai ritmi e ai modi. Per ritmi (grecismo che rimanda al numero) si in-

tende il lasso temporale; per modi invece, si intende la combinazione di altezze dei suo-

ni, che, pitagoricamente, sono ricondotte alla lunghezza di una corda, ossia a un inter-

vallo spaziale76.

La metafora mostra che il tempo deve poter essere descritto secondo queste due

dimensioni della durata e della modalità: ciò consente di intendere meglio

l’affermazione bonaventuriana, citata all’inizio del nostro lavoro, del decorso del mondo

e della disposizione gerarchica, come le due dimensioni della teologia e della realtà.

Così possiamo rileggere questo testo bonaventuriano:

75 Ringrazio la professoressa Donatella Restani per avermi suggerito questa pista di ricerca. Cf Dona-

tella RESTANI, La musica humana e Boezio: ipotesi sulla formazione di un concetto, in “Philomusica on-

line” 7 (2008), p. 19-25; che rimanda anche a Donatella RESTANI – Letterio MAURO, Musique du corps et

musique de l’âme, la musica humana de Boèce, in Le corps et la musique (Atti del convegno, Genova,

20-21-22 febbraio 2006, ancora in corso di pubblicazione). Cf Maria Chiara PAPARELLI, Saggio di com-

mento a Boezio, De Institutione Musica, I,1-I,8, Tesi di dottorato in Poesia e Cultura Greca e Latina in Età

Tardoantica e Medievale (XXIV ciclo), Università degli Studi di Macerata, 2010-11; in particolare, p. 7:

«per Boezio il vero sapere musicale consiste […] nel diiudicare i fenomeni sonori e non nel fingere car-

mina o nell’agere musicam». 76 Cf PAPARELLI, cit., p. 89-90: i termini Rythmi e modi sono usati in coppia da Boezio «quasi a defi-

nire la melodia come unione inscindibile di pulsazioni regolari (movimento dei suoni nel tempo) e serie di

altezze (movimento nello spazio). Che rhytmi e modi disegnino in qualche modo il perimetro d’azione del

musicus è espresso da Boezio non solo in senso strutturale […], ma anche sostanziale, quando in I, 34 af-

ferma che tra i mestieri inerenti alla musica vi è anche quello dei poeti, che tuttavia non sono in grado di

rythmos cantilenasque totumque carmen … perpendere (I, 34, p. 225, 8 e ss.), né di iudicare de poetarum

carminibus (I, 34, p. 225, 15), azioni invece precipue del musicus».

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 23

Optime ordinatae sunt res in finem, salvo ordine universi, quia universum est tamquam pul-

cherrimum carmen, quod decurrit secundum optimas consonantias, aliis partibus succedentibus

aliis, quousque res perfecte ordinentur in finem. Unde sicut in productione rerum manifestatur

potentia, sed in comparatione sive in ordine ad non-ens ostenditur summa potentia, creans ex ni-

hilo: sic ordo rerum in universo in se ostendit sapientiam, et ordo ad finem bontitatem, sed in

comparatione unius ad alterum ostenditur summa sapientia et summa bonitas, quia nihil potest

hunc ordinem deordinare […]77.

Dio ha disposto il mondo “attraverso il decorso dei tempi” “come un bellissimo

canto”, che decorre “secondo ottime consonanze”, con alcune parti che succedono ad

altre, “come una sillaba dopo l’altra”, finché le cose non vengano perfettamente ordinate

alla fine78. La componente temporale è essenziale alla specificità della musica rispetto

alla poesia: infatti il “canto” non è semplicemente un testo con una partitura (pensiamo

ai libri liturgici in uso a quel tempo per il canto corale dell’ufficio divino), ma richiede

di essere eseguito e fruito, appunto nel tempo.

Dunque se il mondo è un Carme, esso deve avere una durata temporale e una mo-

dulazione in qualche modo spaziale. Per visualizzare questa situazione complessa, si

pensi alla notazione musicale ideata da Guido d’Arezzo per il canto gregoriano: allora la

disposizione gerarchica secondo le diverse nature (ciascuna con un grado diverso di es-

sere) potrebbe forse corrispondere all’altezza delle note sulle righe del tetragramma,

mentre il decorso del tempo potrebbe invece corrispondere alla durata delle medesime

note e alla loro corrispondenza con le singole sillabe del testo cantato:

Il tempo della storia della salvezza, che articola l’intera realtà ed è descritto dalla

Bibbia, non potrà dunque consistere nella sola successione, ma anche e necessariamente

nell’alternanza, allo scopo di manifestare alla fine l’armonia del tutto. Infatti, il concetto

77 Sent 1.44.1.3 co; per l’indefettibilità dell’ordine, gli editori di Quaracchi rimandano a Sent

1.46.1.3-6 e 1.47.1.3; 2.12.1.2 ad 4. 78 Il problema del cosmo è che sebbene sia «tanquam pulcherrimum carmen, in quo syllaba succedit

syllabae» [Sent 2.15.2.1 ad 5], tuttavia è troppo lungo per essere capito e apprezzato dall’umanità: «Sic

igitur totus iste mundus ordinatissimo decursu a Scriptura describitur procedere a principio usque ad fi-

nem ad modum cuiusdam pulcherrimi carminis ordinati ubi potest quis speculari secundum decursum

temporis varietatem, multiplicitatem et aequitatem, ordinem, rectitudinem et pulcritudinem multorum di-

vinorum iudiciorum procedentium a sapientia Dei gubernante mundum» [Brev 0.2.4]. Si notino le due

serie di caratteristiche musicali: varietà, molteplicità ed equità (ossia il rapporto tra unità e pluralità), or-

dine, rettitudine e bellezza (ossia il rapporto tra enti e mente). «Unde sicut nullus potest videre pulcritudi-

nem carminis nisi aspectus eius feratur super totum versum, sic nullus videt pulcritudinem ordinis et

regiminis universi nisi eam totam speculetur» [Brev 0.2.4]. «Et quia nullus homo tam longaevus est, quod

totam possit videre […] nec futura potest per se praevidere, providit nobis Spiritus sanctus librum Scrip-

turae sacrae, cuius longitudo commettitur se decursui regiminis universi» [Brev 0.2.6]. Tale libro, come

del resto tutta la realtà dei misteri, resta inintelligibile «nisi sciatur decursum mundi et dispositio hierar-

chica» [Hex 2.17].

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ANDREA DI MAIO 24

di consonanza (da intendere come armonia non nel senso della successiva polifonia mo-

derna, ma in quello ereditato dall’antichità classica e rielaborato nel Medio Evo) indica

la coesistenza di almeno due elementi contrastanti che si armonizzano79; ma anche intui-

tivamente sappiamo che una canzone o un motivo musicale non può interrompersi in un

punto qualsiasi, ma deve svolgersi compiutamente fino alla fine.

La necessità dello svolgersi in alternanza dei tempi, secondo un disegno ordinato, è

segno della loro finitezza: infatti, “sebbene la sapienza di Dio sia infinita, tuttavia le co-

se non sono capaci se non di un ordine finito”. Dunque l’alternanza serve a manifestare

nel finito l’infinito.

È a questo punto che sorge un problema insormontabile per la sola ragione umana

(filosofia): “come nessuno può vedere la bellezza di un carme se il suo sguardo non si

porta su tutto il verso, così nessuno vede la bellezza dell’ordine e del regime

dell’universo se non la specula tutta quanta”. In altre parole, in un carme occorre com-

prendere la totalità per gustarne la bellezza. Ma “nessun uomo è tanto longevo da poter

vedere la totalità della bellezza dell’ordine e del governo dell’universo, né può prevede-

re da sé stesso le realtà future”.

Perciò, in virtù del limite che la nostra finitezza ci impone, lo Spirito Santo ci ha

provvisti del libro della Sacra Scrittura, il quale è la descrizione compendiata del carme

dell’universo, o meglio (secondo una traduzione più vicina alla nostra mentalità) alla to-

talità della storia della salvezza.

LE MODALITÀ (POSSIBILITÀ E NECESSITÀ) E LA TEMPORALITÀ IN FILOSOFIA

Che la filosofia abbia una struttura topologica è evidente: in tutte le divisioni bona-

venturiane delle scienze, queste sono innestate sui tre livelli di esistenza delle cose; ad

esempio, fisica, matematica e metafisica corrispondono ai tre piani della realtà; invece,

le scienze razionali e morali ne espandono il livello mediano. Ma, dal punto di vista ari-

stotelico, la dimensione temporale sembra esclusa dalla filosofia: la storia non è una

scienza. Eppure, in Bonaventura, come abbiamo mostrato altrove80, la stessa verità filo-

sofica va commisurata progressivamente (non si deve tornare indietro, ma andare avan-

ti); soprattutto, quando dalle scienze si vuole passare alla sapienza filosofica è essenzia-

le evitare l’errore di un tempo senza inizio né fine e piuttosto cogliere il senso globale

della storia al di là del tempo.

Per conoscere quello che noi chiamiamo oggi il senso della vita dobbiamo conosce-

re la nostra origine; ma poiché tale origine è duplice (la diremmo oggi “originaria” o co-

stitutiva per creazione, e “originale” per caduta, percepita solo indirettamente come una

oscura malattia), i filosofi antichi ignorarono tale malattia, ignorandone la causa, ragion

per cui fu doppiamente necessaria la Scrittura, ossia che tutto questo ci venisse raccon-

tato81.

79 Cf Leo SPITZER, L’armonia del mondo. Storia semantica di un’idea, traduzione italiana di V. Pog-

gi, Il Mulino, Bologna 2009. 80 Cf A. DI MAIO, Il problema della Storia in Bonaventura, p. 45-75. La confutazione non solo teolo-

gica, ma filosofica perseguita da Bonaventura contro l’averroismo è essenziale nella critica alla filosofia

aristotelica condotta nella sesta collatio in Hexaëmeron. 81 Cf Hex.7.9.

Page 25: La duplice dimensione cronologica e topologica del ...

LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 25

Così, i filosofi antichi promisero la Sapienza, ma non poterono mantenere la pro-

messa, giacché l’origine è rivelata e ricostruita non dall’indagine razionale, ma dal rac-

conto. E la successione temporale ha una importanza capitale nella rivelazione divina

(così come in ogni racconto). Per Bonaventura infatti è essenziale che la creazione coin-

cida con l’inizio del tempo (essa avviene ex nihilo, de nihilo, post nihilum) ed è oppor-

tuno che la stessa creazione umana abbia assistito a una successione (una morula in pu-

ris naturalibus82, per meglio apprezzare l’infusione di grazia). La filosofia, in quanto

investigazione, arriva a concepire la successione di un principio, medio e fine, ma non a

ravvisarvi la Trinità delle persone divine [cf Hex 1.12]. Ecco perché la filosofia è neces-

saria, ma non sufficiente: è comunque utile a farci concepire la grazia come grazia.

Pertanto, da questo breve confronto con la filosofia, si evince il carattere decisivo

del racconto biblico: solo alternando i tempi della storia della salvezza, si può manife-

stare l’infinito nel finito.

LA DUPLICE TRATTAZIONE, CRONOLOGICA E TOPOLOGICA, DELLA TEOLOGIA

Come si rintracciano le due dimensioni fondamentali all’interno della totalità del

discorso teologico bonaventuriano? Secondo Bonaventura, di Dio si può parlare:

vel per positionem, vel per ablationem [TriVia 3.11; riferendosi ad Agostino e Dionigi]:

per affirmationem, a summo usque ad infimum; per ablationem, ab infimo usque ad summum;

et iste modus est conveniens magis. […] Ablationem sequitur amor semper. […]. Qui sculpit fi-

guram nihil ponit, immo removet [Hex.33; cf Dionigi].

Questo duplice dinamismo corrisponde perfettamente all’articolazione della teolo-

gia proposta rispettivamente nel Breviloquium e nell’Itinerarium.

Il Breviloquium tratta in sette parti tutta la materia teologica:

a summo, quod est Deus altissimus […] ad infimum, quod est infernale supplicium

(ossia, per così dire, dall’alto in basso), ma anche

a primo, quod est primum principium […] ad ultimum, quod est praemium aeternum [Brev

1.1.2 (e cf 0.6.5 e capitula)]

(ossia dal prima al poi, secondo l’economia salvifica).

L’Itinerarium ripercorre in sette gradi (tre tappe sdoppiate, più la meta) tutto il

compito della teologia come

ascensus non corporalis, sed cordialis ab imo ad summum [Itin capitula e 1.1-9; Red].

Si distinguano dunque questi due percorsi teologici83. Si ha, da una parte, una teo-

logia affermativa e discendente, strutturata secondo un processo cronologico:

Dio nell’eternità (oltre il tempo);

la formazione per natura al principio dei tempi;

82 Cf Sent 2.29.2.2. 83 Le sequenze corrispondono a quella delle parti di Brev e a quella dei capitoli di Itin (alla luce di

Itin 1.7). Le espressioni della formatività sono state coniate (sulla base di vocaboli bonaventuriani) per

esprimere la struttura dei titoli delle parti del Brev alla luce (ad esempio) di Soliloquium 0.2, Itin 1.6 e

4.5, Hex 21.18; per il triplice libro cf De Mysterio Trinitatis 1.2 co, Lignum Vitae 41 e 46; Hex 3 e 12.

Un’analisi antropologica dei tempi è implicita nell’esortazione a “conoscere sé stessi” che riassume, alla

luce di Bernardo, tutta la tradizione socratica cristiana: “esamina cosa sei, cosa eri, cosa saresti dovuto

essere, cosa potresti essere ancora” [cf De perfectione vitae, 5].

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ANDREA DI MAIO 26

la deformazione per colpa (in origine, ma non al principio dei tempi);

la riformazione per grazia nella pienezza dei tempi mediante la missione di Cristo e

quella dello Spirito;

la conformazione sacramentale a Cristo nella Chiesa nel nostro tempo;

la deiformazione per gloria alla fine dei tempi.

D’altro canto, c’è poi una teologia negativa e ascendente, strutturata secondo un

procedimento topologico:

la teologia simbolica (delle vestigia di Dio nel macrocosmo esteriore),

la teologia che potremmo dire “iconica” (dell’immagine e della somiglianza di Dio nel

microcosmo interiore),

la teologia propria (dei nomi di Dio nella natura superiore o cosmo archetipo)

e la teologia mistica (dell’unione con Dio).

Soffermando l’attenzione sull’Itinerario, colpisce il fatto che, svolgendosi tutto

all’interno della mente, esso si configuri come un percorso di riconoscimento ascensivo

di Dio per tappe nella natura creata. Esso, pertanto, non può fungere da guida pratica per

il progresso della vita spirituale del fedele, in quanto prende le mosse da ciò che compe-

te solo al mistico contemplativo, ossia al riconoscimento delle “vestigia” di Dio nel

creato (si pensi al Cantico delle creature di Francesco)84.

Ipotizziamo quindi che le opere che Bonaventura aveva inizialmente concepito co-

me opere di studio contemplativo (i cosiddetti opuscoli mistici e lo stesso Itinerarium)

vengano successivamente ricondotti alla sfera dello studio dei teologi, come opere di

teologia negativa da porre accanto a quelle di teologia affermativa.

In questo modo, tutta la produzione teologica bonaventuriana verrebbe a configu-

rarsi secondo quella duplice dinamica in opera nelle due dimensioni da noi prese in con-

siderazione: da un lato, il dipanarsi cronologico della storia della salvezza nelle opere di

teologia affermativa; dall’altro, l’articolazione topologica o scalare della realtà,

dall’infimo a Dio, percorsa nelle opere di teologia negativa.

CONCLUSIONI E SVILUPPI

In conclusione, tentiamo di mettere in luce l’influsso che la concezione della storia,

secondo la duplice dimensione cronologica e topologica, e del sapere nella teologia bo-

naventuriana hanno probabilmente esercitato in vari campi del sapere e dell’operare

umano.

TRE GRANDI MEDIATORI QUATTROCENTESCHI DEL PENSIERO BONAVENTURIANO: GERSON, BERNARDINO, CUSANO [“MISTAGOGIA”]

Il pensiero bonaventuriano ha un influsso “carsico” (non ancora ben ricostruito) sul

pensiero filosofico e teologico moderno: attraverso il II Concilio di Lione, preparato da

84 Sembra curioso che l’itinerario vada percorso prima in salita e poi in discesa. In realtà, nelle Colla-

tiones in Hexaëmeron [2] c’è un accenno che potrebbe essere illuminante: Paolo, salito al terzo cielo, poi

è in grado di ridiscendere per dare “disposizioni” molto concrete ai fedeli. Dunque, il contemplativo deve

farsi di nuovo attivo (anzi, sursumattivo, ossia conducente verso l’alto) e “agire secondo il modello che

gli è stato mostrato sul monte” e costruire l’arca “culminante nel cubito”. Insomma l’Itinerario finisce in

uno scacco che solo il progetto delle collationes può sbloccare.

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 27

Bonaventura, forse segna l’approccio con la teologia orientale; attraverso la Teologia

Mistica di Gerson (ma forse anche tramite la mistica dionisiana tedesca e inglese) influi-

rà sulla spiritualità moderna (Bonaventura sarà con Tommaso e il Lombardo tra i tre

teologi scolastici, la cui lettura è raccomandata da Ignazio di Loyola negli Esercizi Spi-

rituali); attraverso la predicazione di Bernardino da Siena, influirà sulla cultura popolare

e le arti85; attraverso Cusano, arriverà addirittura alla filosofia contemporanea.

Cusano rielaborava sia le espressioni dionisiane già usate da Bonaventura [cf Itine-

rario, 6-7] della “dotta ignoranza” e della “coincidenza degli opposti”, sia la metafora

ermetica, già usata da Alano di Lilla, della sfera di raggio infinito il cui centro è dovun-

que e la cui circonferenza è in nessun luogo. Secondo il celebre esempio cusaniano, la

circonferenza di un cerchio di raggio infinito finirebbe per identificarsi con la retta tan-

gente86: in altre parole, all’infinito l’opposizione tra curva e retta sarebbe superata.

Anche visivamente, si coglie che all’aumento del raggio, la circonferenza tende

“asintoticamente” (anche se l’espressione non è precisa) alla tangente.

L’esempio ha una grande portata epistemologica: ci sono affermazioni che paiono

incompatibili finché si rimane in ottica parziale, ma che possono essere compossibili in

un’ottica più larga.

Provando a fare qualche applicazione moderna: in un’ottica parziale non si vedeva

come conciliare teoria corpuscolare e teoria ondulatoria della luce; né come salvare ve-

rità e carità nella tolleranza; ma allargando l’orizzonte, tutto diviene chiaro.

Un aspetto decisivo della dottrina bonaventuriana, assorbito e rielaborato da Cusa-

no, sembra essere la logica della Croce87 (espressa dal sillogismo dialettico “Cristo è

immortale per natura; ma Cristo è morto per amore; dunque Cristo è risorto”). Pur rical-

cando la dialettica neoplatonica dell’affermazione, della negazione e dell’eminenza,

questo schema non rimane un mero procedimento concettuale per dire l’ineffabile, ma si

pone come interpretazione del processo storico globale. In questo senso, dunque, Cristo

è “coincidentia oppositorum”, giacché mediante la Croce ha ricapitolato in sé la storia

della salvezza, “prendendo su di sé” l’umanità ferita dell’uomo, “sollevandola” (in un

gesto simile alla Aufhebung hegeliana, ma pure lontanissimo da essa, in quanto azione

concreta e immanente nella storia e non processo in astratto) in una nuova natura. Per

85 Luca Pezzuto lo ha dimostrato ad esempio per la raffigurazione del Lignum Vitae al congresso bo-

naventuriano del 2017 alla St. Bonaventure University (NY). 86 De docta ignorantia, 1.13.35. La quadratura del cerchio era da Cusano considerata una riprova di

coincidenza degli opposti all’infinito. Cf Giovanni SANTINELLO, Introduzione a Nicolò CUSANO, La dotta

ignoranza. Le congetture, Rusconi, Milano 1988, p. 17-19. 87 Cf Hex 1.25-30, che ho analizzato in questa prospettiva in La logica della Croce in Bonaventura e

Tommaso: il sillogismo di Cristo e il duplice medio, in T. P. ZECCA (a c. di), La Croce di Cristo, unica

speranza. Atti del III Congresso internazionale “La sapienza della Croce oggi”. Roma, 9-13 gennaio

1995, San Gabriele - Roma 1996, p. 373-398.

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ANDREA DI MAIO 28

Bonaventura, infatti, la “croce intelligibile” non è una struttura concettuale vuota: per

così dire, vi è inchiodata la persona di Cristo, che la riempie di senso e di realtà.

POSSIBILI SVILUPPI NELL’ICONOGRAFIA

In questo sviluppo carsico, possiamo ipotizzare (ma non ancora dimostrare) un ruo-

lo di Papa Sisto IV e del suo Cardinal Nepote Guliano della Rovere, divenuto poi papa

Giulio II: alla committenza di entrambi dobbiamo l’impianto iconografico, elaborato in

più riprese, delle pareti laterali e della volta della Cappella Sistina; alla committenza del

secondo, l’impianto iconografico della cosiddetta Stanza della Segnatura. Su

quest’ultimo molto è stato scritto: Heinrich Pfeiffer88 aveva individuato in alcuni uma-

nisti della corte pontificia, in particolare in Egidio di Viterbo, l’ideatore del progetto

iconografico.

Eppure, se si considera che Sisto IV (prima di diventare Cardinale e Papa) era stato

ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori e, da Papa, aveva canonizzato Bonaven-

tura nel 1482, e che Giulio II stesso aveva seguito come Cardinale Nepote di Sisto IV il

processo di canonizzazione di Bonaventura, non è improbabile che avessero una cono-

scenza diretta del pensiero di Bonaventura e ne avessero letto almeno alcuni dei testi

principali. Non potrebbe quindi esserci piuttosto la dottrina di Bonaventura sotto questo

progetto iconografico?

Comunque sia, possiamo considerare l’iconografia della Cappella Sistina e dello

studio di Giulio II come una eccellente trasposizione della teologia bonaventuriana della

storia e del sapere.

88 Cf Heinrich W. PFEIFFER, SJ, Zur Ikonographie von Raffaels Disputa. Egidio da Viterbo und die

christlich-platonische Konzeption der Stanza della Segnatura, Miscellanea historiae pontificiae 37, Rom

1975; Nicole DACOS - Heinrich W. PFEIFFER, Michelangelo e Raffaello in Vaticano, Jaca Book, Milano

2009, 2 vol.; Heinrich W. PFEIFFER, SJ, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, traduzione di

Renato Tallone, LEV - Jaca Book, Roma - Milano 2010, R2012, in particolare, p. 9-11 e 255-257.

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 29

All’interno del progetto iconografico della Cappella Sistina è chiaramente riscon-

trabile la triplice rappresentazione della storia, espressa in Bonaventura dal sintagma

decursus temporum, in riferimento alla successione delle leges: la legge di natura nella

volta (realizzata dopo), la legge scritta o mosaica (a sinistra), e specularmente la legge

nuova o evangelica.

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ANDREA DI MAIO 30

Nella stessa rappresentazione della legge di natura è possibile ritrovare una scan-

sione, tutta bonaventuriana: creazione, peccato, legge di Noè.

Ma veniamo allo studio di Giulio II. Le due scienze principali, rappresentate nelle

pareti più lunghe, sono la filosofia (o scienza delle cause prime) e la teologia, normal-

mente conosciuto con il nome (posticcio) di Scuola di Atene e Disputa del Santissimo

Sacramento.

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 31

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ANDREA DI MAIO 32

Possiamo provare a rileggere retrospettivamente lo splendido sermone programma-

tico sul Cristo unico maestro (che fu forse, ma con qualche riserva, il suo principium

magistrale pronunciato all’università di Parigi nel 125789). Lì si parlava del Cristo che,

come Verbo ispirato, è pastore di tutti. Ora però possiamo capire meglio la connessione

tra sapienza ed eucaristia.

89 Si tratta del Sermo “Unus est magister vester Christus”: cf RUSSO, La metodologia del sapere…,

cit., p. 22 (cita a sua volta Bougerol, “Introduction”, in SANCTI BONAVENTURAE, Sermones dominicales,

cit., p. 94).

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 33

Christus […] secundum quod via est magister et principium cognitionis, quae est per fidem

[…] duplici via […], per revelationem videlicet et per auctoritatem. […]. Auctoritas autem non

esset, nisi revelatio praecessisset […]. […] Hoc non potest esse nisi per Christum datorem, qui

est principium omnis revelationis secundum adventum sui in mentem, et firmamentum omnis

auctoritatis secundum adventum sui in carnem. […].

Est etiam magister cognitionis, quae est per rationem, et hoc, in quantum est veritas. […].

Est […] in quantum vita magister cognitionis contemplativae […], secundum duplicem diffe-

rentiam pastus, videlicet interioris in divinitate, et exterioris in humanitate […], per Christum

[…]. Ingressus […] est ad Christum secundum quod Verbum increatum et cibus Angelorum […].

Egressus autem est ad Verbum incarnatum quod est lac parvulorum. […]

Haec dicuntur dari “per magistrorum consilium a pastore uno, quia […] amor divinus […] ab

uno tamen solo Verbo inspiratur, quod quidem est pastus et pastor omnium. […].

Nam dissentio sententiarum ortum habet a praesumptione […]90.

Il sermone continua proponendo la famosa distinzione (reinterpretando Paolo) dei

carismi del sermo sapientiae e del sermo scientiae: il primo fu dato a Platone, che per

l’appunto guardava in alto, alle ragioni eterne, e il secondo ad Aristotele, che per

l’appunto guardava in basso, alle ragioni create.

Insomma, mentre il banchetto sacramentale è imbandito dal Verbo in quanto incar-

nato, il banchetto sapienziale (ma sempre sovrannaturale) è imbandito dal Verbo in

quanto ispirato, che ammaestra interiormente completando l’ammaestramento atematico

interiore operato dal Verbo in quanto increato e luce che illumina ogni uomo.

In tal modo tutta la storia della salvezza è ripercorsa dal singolo fedele nel suo

cammino spirituale.

Come in altri aspetti della teologia bonaventuriana91, così anche nella sua teologia

eucaristica si può ritrovare traccia della spiritualità francescana. Francesco (in particola-

re nel Cantico di Frate Sole) aveva esaltato la ricerca di tutto ciò che dell’Altissimo por-

tasse significazione, e aveva coltivato una particolare devozione eucaristica (si pensi alla

giaculatoria di adorazione e benedizione per il Signore Gesù “presente in tutte le chiese

del mondo”).

Inoltre, nella stessa Regola bullata del 1223 [9], Francesco aveva ordinato ai frati

che predicassero «ad utilitatem et aedificationem populi», «cum brevitate sermonis;

quia “verbum abbreviatum fecit Dominus super terram”». Altrove viene specificato il

fine edificante, penitenziale ed eucaristico, della predicazione92.

Sembrerebbe che la predicazione di Bonaventura fosse orientata alla mistagogia

dell’eucaristia, così da passare dalla comunione sacramentale a quella spirituale. In ef-

fetti Bonaventura chiude le collationes in Hexaëmeron, e in fondo tutta la sua opera teo-

logica con una confidenza personale: “Ho voluto portarvi all’albero della Vita” [Hex

23.31].

90 Sermo “Unus est Magister vester, Christus”, 2-6 ; 11-13 ; 26-27. 91 Cf Barbara FAES DE MOTTONI, Bonaventura e la scala di Giacobbe, Bibliopolis, Napoli 1995,

p. 36-37, che introduce l’angelologia bonaventuriana rinviando alla «particolare devozione che legava il

fondatore dell’ordine di Bonaventura, S. Francesco, agli angeli», come pure alla distinzione dei cori ange-

lici (perlopiù secondo Gregorio Magno), e alla visione del «famoso Serafino crucifero» sulla Verna. 92 Cf Epistola ad custodes, 1.

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ANDREA DI MAIO 34

La considerazione bonaventuriana dell’eucaristia come orizzonte globale della teo-

logia e compimento di ogni ricerca anche umana di sapienza ci richiama alla mente la

rappresentazione della conoscenza del vero nei due principali affreschi di Raffaello nel-

la stanza della Segnatura (sia che l’ipotesi che siano stati ispirati effettivamente da testi

di Bonaventura, come alcuni storici avevano in passato sostenuto, sia che invece la cor-

rispondenza sia solo indiretta e accidentale, come altri invece sostengono)93.

Il progetto iconografico della Stanza (nata come studio e biblioteca del papa) fu

probabilmente elaborato personalmente da Giulio II, il quale potrebbe avere tratto ispi-

razione dal sermone programmatico di Bonaventura sull’Unico Maestro.

Lasciando agli storici il compito di determinare le influenze reali, ai fini della no-

stra ermeneutica può comunque essere d’aiuto notare le corrispondenze tra quanto ab-

biamo letto e quanto possiamo ammirare negli affreschi di Raffaello: la distinzione della

conoscenza della verità nella filosofia e nella teologia; la costruzione della filosofia a

partire dalla illuminazione misteriosa (corrispondente alla luce del Verbo increato) e la

disposizione della teologia intorno all’asse del Verbo incarnato e presente nell’Euca-

ristia; la necessità di due modalità complementari (quelle di Platone e Aristotele, l’uno

indicante il cielo e l’altro la terra) per esprimere l’unità della verità; la crescente disper-

sione dei filosofi quanto più si allontanano dal centro; l’inconsapevole cammino dei fi-

losofi verso la teologia (quasi come desiderio implicito e come necessità impossibile

senza la grazia); nella rappresentazione poi della teologia, la distinzione di una triplice

gerarchia, ecclesiastica (distinta in militante e trionfante), celeste e sovraceleste (trinita-

ria), intorno al Gerarca che è Cristo; l’armonia della pluralità ecclesiale, pur organizzata

in coppie complementari (come quella di Pietro e Paolo che replicano rispettivamente i

gesti di Platone e Aristotele ma focalizzandoli sul Cristo Dio e Uomo)…

Insomma, come che stiano storicamente le cose, la teologia eucaristica bonaventu-

riana aiuta a spiegare gli affreschi di Raffaello, e questi ultimi aiutano a illustrare la teo-

logia eucaristica bonaventuriana.

PARALLELI E SUGGESTIONI ATTUALI PER LA FILOSOFIA

Molto si è insistito sulla frequente ripresa della struttura triadica nel pensiero di

Bonaventura. Il tendere della ragione verso la triadicità, ad ogni modo, è un elemento

93 Cf Heinrich PFEIFFER, Zur Ikonographie von Raffaels Disputa. Egidio da Viterbo und die christ-

lich-platonische Konzeption der Stanza della Segnatura, Roma, Università Gregoriana 1975, p. 133-143

(e passim): dopo aver richiamato l’identificazione di influssi bonaventuriani proposta da PASTOR, BO-

VING, GUTMAN e BOEHNER (in particolare, per il duplice ruolo di Platone e Aristotele, nel Sermone

“Unus est Magister vester Christus”; per la triplice gerarchia trinitaria, angelica ed ecclesiastica, nel pro-

logo del Breviloquium), Pfeiffer individua nel platonismo cristiano dell’umanista Egidio da Viterbo la

fonte ispiratrice della concezione della Stanza della Segnatura. Per una riproposizione attuale della que-

stione, cf Reinhard BRANDT, Philosophie in Bildern, DuMont, Köln 2000, cap. 2; trad. it., Filosofia nella

pittura. Da Giorgione a Magritte, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 38-71; cf in particolare p. 47-48 e

nota 28 (in cui riprende la tesi dell’influsso bonaventuriano formulata da GUTMAN nel 1958 e la sua criti-

ca da parte di VON EINEM). Su questioni teologiche e ideologiche generali, cf invece Timothy VERDON,

L’arte sacra in Italia, Mondadori, Milano, 2001; ID., La “Disputa del Sacramento”, un manifesto in cui

la Chiesa si narra, in “L’Osservatore Romano”, 12 ottobre 2005; Sara MAGISTER, Collezionismo e politi-

ca delle immagini di papa Giulio II in Vaticano, in “ItalyVision”, n. 3, marzo 2005, p. 116-125. Per una

identificazione dei personaggi degli affreschi e una descrizione iconografica, cf invece Giovanni REALE,

Raffaello, La “Disputa”, Rusconi, Milano 1998; ID., La scuola di Atene di Raffaello, Bompiani, Milano

2005 (riedizione di un testo del 1997).

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 35

tutt’altro che circoscritto alla sola riflessione bonaventuriana. Si considerino, ad esem-

pio, due autori a noi più vicini, come Kant e Peirce.

Nel §113 della Logica Kant distingue tra politomia, dicotomia e tricotomia. Mentre

la prima viene esclusa dallo studio della logica (in quanto fondata sulla conoscenza em-

pirica dell’oggetto), la seconda e la terza sono invece divisioni in base a principi a prio-

ri; tuttavia solo la divisione tricotomica opera in conformità al principio della sintesi a

priori, comportando tre concetti: quello della condizione, quello del condizionato e

quello della derivazione del secondo dal primo94.

Anche Peirce, nel brano 6.32 dei Collected Papers, non manca di segnalare la tria-

dicità quasi costitutiva del pensiero umano:

Ci sono tre concetti, che saltano fuori dappertutto in ogni teoria della logica, e che nei sistemi

più rifiniti si presentano in connessione fra loro. Sono talmente ampi e quindi indefiniti che è dif-

ficile afferrarli, e così possono facilmente venir trascurati. Io li chiamo i concetti di Primo, Se-

condo, Terzo95.

Dunque, la struttura triadica dell’ontologia bonaventuriana non esaurisce il suo

ambito di applicabilità all’interno della teologia, ma esibisce piuttosto una propria filo-

soficità implicita96. Per il filosofo, tuttavia, rimane aperta la questione: la nostra mente

pensa la realtà (e anche Dio) secondo strutture triadiche perché è essa stessa a proiettar-

le, oppure perché in questa triadicità si rivela il suo essere creata a immagine di Dio? La

tensione fra proiezione e rivelazione può essere solo segnalata dal filosofo, ma mai ri-

solta.

Aggiungiamo una considerazione: in un passo dell’Itinerario [1.10], vengono mes-

si in luce tre “punti di vista” sul macrocosmo (quello più alto e completo, proprio del

contemplativo, che coglie l’esistenza attuale delle cose; quello mediano, proprio del

comune credente, che afferra il decorso abituale delle cose; infine, quello del semplice

ragionatore, che coglie la scalarità delle potenze); ebbene, questi tre gradi corrispondo-

no a quelli della mistica (intesa in senso moderno), la quale contempla l’attualità del

mondo (si veda il primo Wittgenstein: “non come è il mondo è il mistico, ma che il

mondo è”); della teologia vissuta, dunque della fede, la quale ha a che fare con

l’abitualità (ossia la credenza che le cose si comportino in un certo modo costante; a ri-

guardo si vedano Hume e Newman); della filosofia, che ha a che fare con le essenze e le

possibilità, come testimonia un approccio che da Scoto arriva fino a Husserl e Heideg-

ger.

È interessante, inoltre, paragonare l’ontologia e la cosmologia bonaventuriane con

alcune suggestioni presenti nell’ambito della riflessione contemporanea.

94 I. KANT, Logica, §113: «Ogni politomia è empirica…<e> non può venire insegnata nella logica,

perché comporta la conoscenza dell’oggetto.

La dicotomia è l’unica divisione in base a principi a priori, dunque l’unica divisione primitiva: I

membri della divisione, infatti, devono essere opposti l’un l’altro; ma ogni A non ha altro opposto che

non A.

Ma la divisione in base al principio della sintesi a priori comporta una tricotomia, vale a dire: 1) il

concetto come condizione, 2) il condizionato e 3) la derivazione del secondo dal primo». 95 Collected Papers, 6.32. 96 Sullo stesso tema si veda: R. BRANDT, D’Artagnan o il quarto escluso. Su un principio d’ordine

della storia culturale europea 1, 2, 3/ 4, Feltrinelli, Milano 1998.

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ANDREA DI MAIO 36

Della teoria bonaventuriana dei “tre mondi” [Hex 16.9] è possibile rintracciare un

parallelo (del tutto indipendente dalla tradizione bonaventuriana, ma riconducibile a un

modo platonizzante di filosofare) nella riflessione di Roger Penrose97, come anche nella

teoria epistemologica popperiana del Mondo 1, Mondo 2 e Mondo 3.

Seguendo questa teoria tutto ciò che è, è da natura, o da ragione, o da volontà, e la

triplice verità è delle cose, dei discorsi e dei costumi: ossia costituisce quelli che per noi

sarebbero i tre mondi della natura, della cultura e delle istituzioni.

Il mondo della cultura e delle istituzioni, in quanto intersoggettivamente connesso,

permette l’interazione dei microcosmi umani, sicché accanto al macrocosmo e al micro-

cosmo c’è quello che potremmo chiamare intercosmo, ossia la correlazione di microco-

smi nel macrocosmo.

97 Roger PENROSE, The Road to Reality. A Complete Guide to the Laws of the Universe, 2004; trad.

it., La strada che porta alla Realtà. Le leggi fondamentali dell’universo, Rizzoli, Milano 2005, p. 1029.

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LA DUPLICE DIMENSIONE CRONOLOGICA E TOPOLOGICA DEL DISCORSO BONAVENTURIANO 37

Infine, si noti che l’archeocosmo bonaventuriano contiene i due Nomi di Essere e

Bene (che sono come le due “idee” supreme secondo Bonaventura), ma che pur manife-

standosi nel mondo, vengono pienamente rivelati nel Libro della Scrittura. Ritorniamo

quindi alla Bibbia come grande libro in cui è descritto tutto il libro del reale.

CONCLUSIONE: IL SUPREMO SENSO TOPOLOGICO E CRONOLOGICO

DELLA SCRITTURA

L’approccio bonaventuriano ci consente di presentare oggi la Scrittura in un con-

fronto fecondo con la letteratura della letteratura e con la riflessione sul senso della sto-

ria: si pensi a testi come il racconto Davanti alla Legge di Kafka; le varie descrizioni di

letteratura fantastica di Borges; la Storia infinita di Ende; le Vie dei canti di Chatwin; il

metaromanzo secondo Calvino; il libro di libri secondo Eco…; si pensi alla trattazione

delle “figure” e dei “momenti” della Bibbia e della Storia, all’interno di una tradizione

che avrà esiti filosofici opposti in Hegel e in Kierkegaard.

Come ci ha mostrato Bonaventura, la Scrittura ci permette di leggere la realtà come

una storia di libertà e necessità: libertà di Dio, mediante l’elezione e la grazia; ma anche

libertà dell’uomo, insidiata sempre dal peccato; ma con una necessità d’amore che ri-

conduce il tempo nell’eterno, in un circolo intelligibile che, a differenza del cicolo ni-

chilistico descritto da Nietzsche, è orientato: è un ritorno verso l’eternità, ma non un

eterno ritorno!

Il tempo è ciò che caratterizza la concreta esecuzione di una musica o di un dram-

ma: in effetti tutte le dimensioni della Bibbia sembrano rinviare ad una articolazione del

tempo.

L’ampiezza della Scrittura è in funzione del tempo: comprende infatti, sia nell’An-

tico che nel Nuovo Testamento, quattro serie di libri che esprimono rispettivamente

l’eternità (legge e vangeli), il passato (storie e atti), il presente (scritti sapienzali o lette-

re) e il futuro (profezie) [cf Hex 13.16-17].

La profondità della Scrittura è in funzione del tempo: il triplice senso allegorico,

tropologico e anagogico si riferisce rispettivamente alle realtà già compiute (almeno

nella loro rivelazione), da compiere ora, e superne e promesse [cf Hex 13.18].

L’altezza della Scrittura pure è, sebbene indirettamente, in funzione del tempo: in-

fatti la “disposizione gerarchica” secondo le tre gerarchie (sovraceleste, celeste e subce-

leste) [cf Hex 2.16] e le tre nature (divina, spirituale e corporea) [cf Red 20], può essere

individuata attraverso la distinzione di tre livelli della durata: ossia l’eternità, l’eviternità

e la temporalità (in senso stretto) 98 [cf Itin 1.2].

Possiamo considerare che la differenza tra le tre dimensioni della durata sono cor-

relate alla modalità di esercizio della libertà: l’eterna decisione di Dio (che da sempre ha

deciso ciò che avrebbe fatto nel tempo); la decisione irreversibile delle intelligenze an-

geliche e dell’anima umana alla morte; la decisione volubile dell’umanità nel tempo.

98 La concezione bonaventuriana del tempo è oggetto di indagine sistematica in Florian KOLBINGER,

Zeit und Ewigkeit. Philosophisch-theologische Beiträge Bonaventuras zum Diskurs des 13. Jahrhunderts

um tempus und aevum, De Gruyter, Berlin 2014.

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ANDREA DI MAIO 38

La lunghezza della Scrittura è chiaramente in funzione del tempo: comprende infat-

ti il principio non da principio (in Dio), il principio dei tempi, la pienezza dei tempi, la

fine dei tempi. Per Bonaventura è importante che la grazia arrivi dopo una “morula in

puris naturalibus”, perché la si apprezzi. E la salvezza per essere desiderata e accolta

deve essere dilazionata [cf Hex 14.11].

Il senso della vita (il Medio Esemplante) è personale (ossia è per scienza e amore),

anzi è una Persona: il Verbo, sebbene nel mondo si manifesti al plurale, come idee, o

forme esemplari, in quanto l’unico Verbo è però “onnimodo”.

La Sapienza eterna di Dio, che è il Verbo, si comunica alle creature spirituali come

uniforme nella Legge (ossia nella manifestazione e rivelazione), come multiforme nella

Scrittura, come onniforme in tutta la realtà, come nulliforme nell’unione mistica.

L’errore è considerare la Scrittura come soltanto un libro (di parole), sia pure il più

importante: essa è soprattutto la persona stessa di Gesù, “da abbracciare e da amare”99.

La Bibbia quindi è nel tempo rivelazione di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Leg-

gendola con fede si è inseriti nello svolgimento della storia che conduce all’eternità del

compimento finale.

99 Cf Ireos DELLA SAVIA, Con animo sereno, Città sul Monte, Milano 2004, p. 101-104.