InDifesa Nr 1

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www.iltuoforum.net In Difesa Periodico di informazione Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini. (Dante Alighieri) Periodico di informazione Sulla condizione delle donne nel mondo

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Primo numero di InDifesa

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Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini. (Dante Alighieri)

Periodico di informazione Sulla condizione delle donne

nel mondo

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Le bambine mancanti

Le informazioni sulla pratica dell’infanticidio femminile in India prima dell’arrivo del governatorato inglese erano piuttosto scarse. Era noto che fosse diffusa in tutti gli stati del nord e del centro tra le caste alte e di origine guerriera ( Rajput, i Jat, gli Ahir, i Gujar e i Khutri). Nel 1808 nell’attuale provincia di Vadovara (precedentemente Baroda), in 1.250.000 famiglie di Jadeya Rajput venivano uccise ogni anno circa 20.000 neonate. In Punjab nel 1851 nella casta Sikh dei Bedi non nascevano femmine da 400 anni, mentre in Uttar Pradesh nel 1856 in 78 villaggi su mille bambini di età compresa tra 0 e 6 anni 721 erano maschi e 129 femmine (Vishwanath L.S., "Effort of Colonial State to Suppress Female Infanticide", Economic and Political Weekly, 33, 1998, n. 19, pp. 1104-112.).

Nel 1870, con il Female Infanticide Act, il governo Britannico prese posizione contro l’infanticidio delle femmine rendendolo un atto criminale punibile dalla legge. Il risultato di questa legge che non risolse il dramma dell’infanticidio ma rese la pratica più segreta, rendendo di fatto impossibile una stima numerica del fenomeno e ancor meno la disponibilità di dati provenienti da organi ufficiali di governo . Sono comunque presenti dati da studi svolti da organizzazioni accademiche, associazioni non governative, ricercatori indipendenti o

commissionati da uffici governativi specifici dei singoli stati, riguardanti aree ristrette già riconosciute per l’elevata incidenza della pratica, prevalentemente nelle regioni a Nord dell’India.

Ci sono infatti differenze tra il nord, dove lo squilibrio demografico a favore dei nati di sesso maschile è ampiamente documentato, e il sud dell’India. La diversa incidenza può essere in parte spiegata da ragioni storiche. Nell'India del Nord si sono succedute molteplici invasioni con la necessità di una forte presenza di guerrieri uomini per la difesa del territorio, laddove le donne, oltre a non essere utili nella difesa rappresentavano l’anello debole della struttura sociale in quanto necessitavano di protezione, oltre che essere colpevoli di macchiare l’onore della famiglia quando violentate dagli invasori. (Patel R., "The Practice of Sex Selective Abortion in India: May You be The Mother of a Hundred Sons", Carolina Papers, 3, 1996, n. 1.). Nel distretto di Bhindin in cinque villaggi caratterizzati da sex ratio sfavorevole al genere femminile una ricerca evidenziò la presenza di un numero di donne particolarmente basso tra alcune caste: la discrepanza di genere maggiore venne rilevata tra i Gujar, con 392 donne ogni 1000 uomini, seguiti dagli Ahir con 400/1000 e dai Rajput con 417/1000. Queste osservazioni concordano con l’interpretazione del fenomeno data da Patel, poiché le caste citate hanno origine guerriera e

appartengono ad alti strati della società. Inoltre queste stesse caste appartengono a quelle citate nei rapporti inglesi del periodo coloniale come ad elevata prevalenza di infanticidio, confermandone così la continuità storica. (Premi M.K., Raju S., "Born to Die: Female Infanticide in Madhya Pradesh", in Search Bulletin, 13, 1998, n.3, pp. 94-105).

Anche la tradizione secolare dell'ipergamia, ovvero l’usanza di dare in moglie le donne ad uomini di status sociale superiore rendeva e rende difficile, allora come oggi, ed economicamente estremamente oneroso per una famiglia di alta casta, trovare uno sposo adatto per una figlia, anche perché durante la cerimonia matrimoniale viene stabilita la superiorità della famiglia dello sposo rispetto a quella della sposa. Il matrimonio di molte figlie ha la valenza di ripetute sottomissioni che minano il prestigio e la fierezza delle caste guerriere.

L’Adhiti, un’organizzazione non governativa, è impegnata dello stato del Bihar con numerosi progetti di istruzione e di finanziamento diretti alle donne, e tra questi progetti iniziò nel 1990 un programma di addestramento sanitario rivolto alle 68.000 levatrici operanti in sette distretti geograficamente contigui dello stato. Attraverso questo progetto emerse il ruolo svolto dalle levatrici nella pratica dell’infanticidio femminile. Il

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compenso percepito per l’assistenza al parto infatti è doppio se il nascituro è maschio, e nel caso sia femmina, sale di dieci volte se al momento del parto “risolve” l’imbarazzante problema della nascita di un figlio di sesso sbagliato. Sono le stesse levatrici ad ammettere di assassinare almeno due bambine a testa al mese, per un numero orientativo di 1.632.000 infanticidi annui (Sudha S., Irudhaya Raja S., "Intensifing Masculinity of Sex Ratio in India: New Evidence 1981-1991", Working Paper, 288, Thiruvananthapuram, Centre for Development Studies, 1998.).

Le modalità con le quali viene erogata la morte sono terribili e esulano da questo mio scritto, ma comprendono avvelenamento, soffocamento, annegamento, la morte per mancata assistenza. Non sempre la morte sopraggiunge in maniera rapida ed indolore.

L'infanticidio è un metodo di pianificazione familiare e poiché non si desidera limitare in toto il numero delle gravidanze ma solo la presenza di figlie femmine l'uso di anticoncezionali non viene preso in considerazione.

……

Dal 1995 Mumbai è il nome ufficiale della città di Bombay, tredici milioni di abitanti. Il nome "Mumbai" etimologicamente deriva dall’unione di due parole in lingua marathi, il nome della

dea indù Mumbadevi e da Aai, madre. Un lavoro pubblicato nel 1988 (Gangrade, K.D. (1988). Sex Determination – A Critique. Journal of Social Change, Vol. 18 No. 3, Pp. 63-70) ha evidenziato che su 8000 feti abortiti nei sei ospedali della città dedicata alla dea-madre 7999 erano di sesso femminile.

La conoscenza di metodi per la determinazione del sesso del nascituro hanno reso possibile la nascita del fenomeno dell’aborto selettivo come strumento di soppressione delle femmine, fenomeno così diffuso da indurre il governo indiano nel 1994, con una legge, a vietare la determinazione del sesso del feto e a punire l’uso non legittimato da motivi di ordine clinico di tecniche di diagnosi prenatale. Questo divieto non ha prodotto alcun risultato e non c’è mai stata dal 1994 ad oggi nessuna condanna per violazione del Pre-Natal Diagnostic Techniques, né tra i medici né tra le gravide (Mudur G., "Indian Medical Authorities Act on Antenatal Sex Selection", British Medical Journal, 14 Agosto 1999). Il divieto di utilizzare metodiche come l’amniocentesi col solo scopo di determinare il sesso del feto viene seguito prevalentemente nelle strutture pubbliche, favorendo il fiorire di strutture private che aggirano la legge e alzano il prezzo degli esami.

Il metodo più diffuso di diagnostica prenatale utilizzato allo scopo di identificare il sesso fetale è l’amniocentesi che

viene effettuata in maniera estensiva perfino in aree rurali e a volte in condizioni di assistenza sanitaria pessime, seguito dall’ecografia prenatale, che per la facile trasportabilità delle apparecchiature può raggiungere anche angoli remoti dell’India.

La pratica dell’aborto selettivo attenua la responsabilità morale che deriva dall’infanticidio delle femmine. Pur essendo visto come un crimine secondo lo studio delle sacre scritture hindu, e pur essendo moralmente esecrabile in molti contesti sociali indiani, a differenza di quanto succede con l’infanticidio, l’aborto non è illegale in India e può essere eseguito a discrezione del medico entro la ventesima settimana di gestazione.

In un’intervista condotta tra donne indiane del Punjab, sorprendentemente, nonostante il 72% delle intervistate ritenesse l’interruzione della gravidanza un peccato assimilabile all’omicidio e un rifiuto al compimento della volontà divina, il 95% delle stesse donne si dichiarava favorevole all’aborto se il feto fosse stato di sesso femminile (Kaur M., "Female Foeticide: A Sociological Perspective", The Journal of Family Welfare, Marzo, 39, 1993, n. 1, pp. 40-43.).

Non è possibile, anche data la recente comparsa della pratica dell’aborto selettivo e la relativa mancanza di dati,

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conoscere il numero di feti abortiti ogni anno in India dopo determinazione del sesso del nascituro, anche perché si ipotizza un numero elevato di casi non notificati poiché le attrezzature per questa pratica possono consistere in un ecografo portatile e in qualche ferro chirurgico. Secondo una stima autorevole ogni anno almeno 5.000.000 di feti femminili vengono abortiti (Ramachandran S., "Indian Religious Leaders Decry Killing of Unborn Baby Girls", CNSNews.com, 27 Giugno 2001.).

….

Un piano di azione nazionale diretto a favore delle bambine è stato formulato nel 1992 e mira a garantire la parità di stato per le bambine, fissando obiettivi specifici per la loro sopravvivenza dignitosa. Tuttavia, l'obiettivo della legge non è stato raggiunto a causa di lacune legislative e per la mancanza di una sua corretta attuazione. Anche se la legge è un potente strumento di cambiamento essa da sola non è in grado di modificare questo enorme problema umano e sociale. L’essere femmina è uno svantaggio non solo per considerazioni di natura economica ma anche per fattori socio-culturali, come ad esempio la trasmissione del lignaggio attraverso i maschi. Il lavoro coordinato di leader politici e religiosi, di organizzazioni di volontariato, dei media, di operatori della sanità e delle forze dell’ordine che sé colto a promuovere

profonde modificazioni di pensiero che possano cancellare la discriminazione delle donne in India.

La discriminazione infatti accompagna tutta la vita di una donna indiana, fin dalla sua origine, in ogni fase, e la discriminazione di genere è talmente profonda che secondo una estrapolazione di dati ottenuta analizzando il Census of India del 2001, a circa 30 milioni di donne, per mano di un altro essere umano, non è stato concesso né il diritto di nascere né quello di sopravvivere al primo anno di vita.

Fulvia

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Storia di donne

Monica ha tre figli , un divorzio, uno stipendio e il conto in rosso. Un ex-marito in cassa integrazione, e nessun aiuto. Il lavoro in una scuola materna è faticoso, e le energie mentali scarseggiano. Cerca di dare il massimo alle due figlie adolescenti e tutto il suo amore e la sua cura al piccolo di 5 anni. Ma è anche una persona, ed esprime un'esigenza, che in questo paese pare una pretesa assurda: vivere. Vivere non significa alzarsi la mattina, vestire e nutrire i figli, portarli a scuola, lavorare, riprenderli, nutrirli, accompagnarli nelle loro attività, magari portarli a un controllo medico, fare la spesa, pulire la casa, pagare le bollette, preparare la cena e metterli a dormire, ogni santo giorno. Vivere significa avere tempo per parlare, giocare, riflettere con la famiglia. Avere tempo per l'aggiornamento e la cultura. Far parte di associazioni che possano contribuire alla vita della comunità e della città in cui vive. Vivere significa avere amiche con cui vedere un film, scambiare due chiacchiere, cucinare una cena, fare una piccola vacanza. Vivere significa leggere libri, ascoltare musica, occuparsi della propria salute fisica e mentale.

Vivere significa essere solidale e far parte di una rete di solidarietà che prende e che dà. Monica chiede di vivere, non di sopravvivere. Ma in questo paese nessuno le risponde. Ogni giorno si alza con la speranza di essere una persona, oltre che una madre, una ex-moglie, una lavoratrice, e una cittadina di serie B. Maila ha 25 anni, una storia d'amore, una casa che non trova, cinque esami da finire e un futuro senza lavoro. Al momento vive accampata in casa di un'amica, col telefono sempre in mano, alla ricerca di una stanza che si possa pagare con un lavoro che non trova. Nei ritagli di tempo studia inglese e storia, ma ha la sensazione che quella laurea non gli aprirà abbastanza porte. Le porte di quel futuro su cui nessuno sa dirgli niente. Maila non ci capisce niente di politica, perchè la politica sta sui giornali e i giornali non stanno tra i giovani. Maila non capisce la burocrazia perchè vuole darsi da fare e che c'entrano le firme e riscrivere 8 volte il codice fiscale, non lo capisce. Figlia di italiani ha viaggiato in tutto il mondo e qualche volta le lingue si mischiano tra loro. Appartiene al mondo ma il mondo sembra non appartenerle, perchè lo vede disgregato, taglieggiato, sfruttato, spezzettato, invaso da muri e da interessi che non hanno niente a che fare con la vita. Ogni giorno spera di scoprire che il futuro ci sarà per chi vuol sentirsi cittadino del mondo e

non semplicemente un numero di passaporto. Maria ha 31 anni, una figlia piccola, un marito e una casa in affitto. Un posto di lavoro spezzettato in tre e nessun asilo. Lo stipendio per la baby sitter non basta, nessun aiuto dai genitori, che vivono lontani. Maria è emigrata dal sud per lavorare. Ma il lavoro la fa emigrare da se' stessa e dalla famiglia. Maria è la persona più dolce e gentile che conosco, e le sue lacrime rotonde di fronte a un paese che la schiaccia tra la sua bambina e il suo lavoro fanno male a vedersi. Come insegnante deve spostarsi su tre scuole diverse. La Ministra lo chiama "razionalizzazione", ma a vedere il viso di Maria sembra più "tortura". Nessuno le rimborsa la benzina, nessuno le dà uno stipendio con cui possa pagare le rate dell'auto, i pannolini, il latte materno e la baby sitter. La famiglia è lontana, ma quei 1000 km sembrano niente a confronto con la distanza che la separa dalla Costituzione. Ogni giorno guarda la sua bimba negli occhi e piange. Poi la lascia a una collega, che impietosita gliela tiene mentre corre in giro per la provincia. Con quei due soldi si comprerà un po' di pannolini e un cappellino per l'inverno, Il passeggino è in prestito. Giulia ha due figlie e un calciatore. Un ex-marito ex-alcolizzato, 50 anni e la pensione non si vede all'orizzonte.

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Ogni giorno cerca di fare ordine nella sua vita, ma la vita si sottrae, scalpita, si ribella e sguscia via. Dopo le violenze e gli scatti d'ira, dopo l'amore sognato e perduto, dopo le lotte con sua figlia più grande e la disperazione per la più piccola, sul pavimento di legno scuro sono rimasti solo dei segni che non vanno via. Perciò ogni tanto sposta i mobili di casa, cercando di inventarsi spazi nuovi, un orizzonte nuovo, una vita diversa. Perchè in TV dicono che bisogna restare sempre giovani, che bisogna sempre sorridere, che prostituirsi per fare soldi è normale, e vivere con dignità impossibile. Così Giulia accompagna la figlia più piccola alla fermata d'autobus, corre al lavoro, fa la spesa, torna a prendere i figli, litiga per i soldi, cucina, lava, stira, pulisce, e prega. Soprattutto prega, che ci sia un'altra vita, visto che questa non è andata così bene finora. Micol è dimagrita. Per mesi ha aiutato la famiglia con lo zio malato. E poi tutto è finito, ma nessuno le ha detto grazie. L'ho incontrata ieri, a metà tra la tristezza di andarsene e l'allegria di iniziare qualcosa di nuovo. Le hanno offerto un lavoro. Per un anno. Così lascia la città dove ha abitato tre anni per studio, e si rinchiude nella sua provincia per non dire di no a quella che sembra la merce più rara oggi. Un lavoro regolare. Finirà di studiare da sola, nei ritagli della giornata, lontano dalle amicizie,

dalle strade del centro, dalle conferenze, dalle conversazioni, dalle assemblee, dalle lezioni, dalle biblioteche. Dalla vita. Questa settimana la passa a fissare nella mente le pareti dell'appartamento da studentessa, dipinte coi colori strani delle case ristrutturate a metà, col soffitto viola e il bagno blu, con il letto nell'angolo per far posto all'altra inquilina, con l'armadio anni '50 e il tavolo che scricchiola, con la padrona di casa che si lamenta perchè "non avete ancora trovato un'altro inquilino", ma che il contratto mica glielo faceva. Micol sogna un lavoro che non conosce. E' brava ma non sa in cosa. Vede una valle di cemento tra lei e il mondo. Accende un film scaricato da internet e crea una ricerca sulle donne d'Africa. Vorrebbe sperare in un posto da cittadina. Italiana, forse. Donne. Divorziate, sposate, fidanzate, quasi separate, con figli, senza figli, studiose, operaie, casalinghe, professioniste, dolci, aggressive, pratiche, sensuali, semplici e complicate. Nessuna però si sente davvero cittadina di serie A di questo paese, di questo mondo, di questo tempo. Nessuna vede chiaro nel futuro. Tutte vorrebbero vivere, e non sopravvivere. Tutte vorrebbero disdire l'unico lavoro assegnato fin dalla nascita: prendersi cura di tutti e di tutto, annullare il tempo per se' stesse, occuparsi delle case, dei figli, del cibo. Ma quei posti sono tutti loro. Nessuno escluso.

Se un uomo lava i piatti ogni tanto, si dice che "aiuta in casa". Più di un aiuto che si pretende ? Le "padrone di casa" sono loro. Più belle che intelligenti. Le cittadine di serie B. Druuna N. d. R. I nomi citati nel presente articolo sono di fantasia