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di Daniele Trabucco Dottore di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico Università degli Studi di Padova Il territorio delle Province: tra riordini generali e puntuali. Dal Decreto-Legge n. 95/2012 alla Legge ordinaria dello Stato n. 56/2014 OSSERVATORIO CITTA’ METROPOLITANE 21 GENNAIO 2015

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di Daniele Trabucco Dottore di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico

Università degli Studi di Padova

Il territorio delle Province: tra riordini generali e puntuali. Dal

Decreto-Legge n. 95/2012 alla Legge ordinaria dello Stato n. 56/2014

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Il territorio delle Province: tra riordini generali e puntuali. Dal Decreto-Legge n. 95/2012 alla Legge ordinaria dello

Stato n. 56/2014

di Daniele Trabucco Dottore di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico

Università degli Studi di Padova

Sommario: 1. Il quadro normativo di riferimento prima della legge n. 56/2014– 2. La tesi

“restrittiva” sull’applicabilità dell’art. 133, comma 1, della Costituzione: critica – 3. La tesi della

“lettura coordinata” del procedimento di riordino delle Province con l’art. 133, comma 1, della

Costituzione: critica – 4. L’art. 133, comma 1, della Costituzione nella sentenza n. 220/2013 della

Corte costituzionale – 5. L’art. 133, comma 1, Cost. contiene una riserva di legge formale? - 6.

L’art. 133, comma 1, della Carta costituzionale come norma sulla competenza? – 7. Il territorio

delle Province nella legge ordinaria dello Stato n. 56/2014 e l’uso improprio dell’art. 133, comma

1, della Costituzione – 8. L’art. 133, comma 1, Cost. come principio supremo dell’ordinamento e

come limite alla revisione costituzionale?

Abstract [It]: Il contributo si sofferma sui problemi inerenti l’applicabilità dell’art. 133, comma

1, della Costituzione repubblicana vigente alla luce degli interventi normativi che, a partire dal

decreto-legge n. 95/2012 fino alla recente legge ordinaria dello Stato n. 56/2014 (c.d. legge

Delrio), hanno caratterizzato il territorio delle Province nelle Regioni ad ordinamento comune. In

particolare, il saggio cerca di dimostrare l’inconsistenza della distinzione tra riordini puntuali e

riordini generali delle circoscrizioni provinciali, con conseguente utilizzo della procedura indicata

nel comma 1 dell’art. 133 Cost. per ogni tipo di intervento sul territorio delle amministrazioni

provinciali. Prendendo le mosse prima dal dibattito dottrinale antecedente la sentenza n.

220/2013 della Corte costituzionale e poi dalla stessa sentenza, il lavoro mette in evidenza come

l’indefettibilità dell’iter indicato nell’art. 133 costituisca la garanzia fondamentale per evitare

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modificazioni territoriali imposte dall’alto, contrarie a quella concezione di democrazia pluralista

propria dell’ordinamento costituzionale italiano.

Abstract [En]: The contribution focuses on the problems concerning the applicability of art.

133, paragraph 1, of the Constitution of the Republic in the light of current regulatory measures

that, from the decree-law n. 95/2012 until the recent ordinary law of the state n. 56/2014 (so-

called law Delrio) have caracterise the territory of the provinces in the regions to the common

sort. In particular, the essay seeks to demonstrate the inconsistency of the distinction between

reorder point and reorder general provincial boundaries, resulting in use of the procedure

specified in paragraph 1 of art. 133 Cost. Each type of intervention on the territory of provincial

governments. Following on from the first doctrinal lively debate prior to the judgment n.

220/2013 of the Constitutional Court and then by the same judgment, the paper highlights how

the indefectibility of the procedure referred to in article 133 constitutes the fundamental

guarantee to avoid territorial changes imposed from above, contrary to the conception of

pluralist democracy own constitutional order Italian.

1. Il quadro normativo di riferimento prima della legge n. 56/2014

Nella seconda parte della scorsa legislatura, il Governo Monti è intervenuto numerose volte in

materia di autonomie locali territoriali con “una copiosa legislazione statale emergenziale,

motivata dalla necessità di ridurre, a causa della recessione economica, i costi di funzionamento

degli enti territoriali”1 con il conseguente affermarsi di un disegno che teneva più conto della

dimensione nazionale che di quella locale2. Prima, con il decreto-legge n. 201/2011 (c.d. salva

Italia), convertito con modificazioni dalla legge n. 214/20113, le Province sono state trasformate

in enti locali con rappresentanza politica di secondo livello, poi, con il decreto-legge n. 95/2012

(c.d. spending review), convertito con modificazioni dalla legge n. 135/2012 4 , l’Esecutivo ha

predeterminato i criteri per il riordino delle stesse, situate in Regioni ad ordinamento comune,

1 Cfr., A. DEFFENU, Il ridimensionamento delle Province nell’ epoca dell’emergenza finanziaria tra riduzione

delle funzioni, soppressione dell’elezione diretta e accorpamento”, in Osservatorio sulle Fonti, n. 3/2012, p. 2. 2 Cfr., A. MORRONE, Il federalismo fiscale nella crisi economico-finanziaria: quali scenari?, in Federalismo

Fiscale n. 2/2011, p. 3. Sempre in tema di rapporti tra normativa statale emergenziale ed enti locali territoriali,

evidenziando come le Regioni e le autonomie locali territoriali sono divenute un problema di politica fiscale e di

bilancio: L. STAIANO, Le autonomie locali in tempi di recessione: emergenza e lacerazione del sistema, in

www.federalismi.it, n. 17/2012; S. MANGIAMELI, La nuova parabola del regionalismo italiano: tra crisi

istituzionale e necessità di riforme, in www.issirfa.it, ottobre 2012. 3 In G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011.

4 In G.U. n. 189 del 14 agosto 2012.

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attraverso un’ apposita deliberazione, adottata su proposta del Ministro dell’Interno e del

Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, di concerto con il Ministro

dell’Economia e delle Finanze, alla quale rinviava l’art. 17, comma 2, del decreto-legge sopra

citato. Il provvedimento, approvato in data 20 luglio 2012 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale

del 24 luglio 2012, individuava i seguenti requisiti:

- popolazione residente di almeno 350.000 abitanti 5;

- dimensione territoriale di 2.500 Kmq.

Venivano fatte salvo soltanto:

- le Province nel cui territorio si trovava il Comune capoluogo di Regione;

- le Province confinanti solo Province di Regioni diverse da quella di appartenenza e con

una delle Province di cui all’art. 18, comma 1, del decreto-legge n. 95/2012, cioè quelle

che avrebbero dovuto essere trasformate in Città metropolitane.

La procedura di riorganizzazione prevedeva, dalla pubblicazione 6 in Gazzetta Ufficiale della

delibera governativa sui requisiti minimi7, un termine di settanta giorni entro cui il Consiglio delle

autonomie locali di ciascuna Regione a Statuto ordinario doveva predisporre una proposta di

riordino delle Province esistenti nel territorio regionale. In base a questa proposta, ciascuna

Regione, entro venti giorni dalla trasmissione o, in assenza, trascorsi novantadue giorni dalla

pubblicazione della deliberazione del Consiglio dei Ministri, aveva l’obbligo di trasmettere al

Governo una ipotesi di riordino che tenesse conto anche di eventuali iniziative comunali ex art.

133, comma 1, Cost.8 volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti e, comunque, nel

rispetto dei requisiti minimi stabiliti9. Infine, le Province avrebbero dovuto essere riordinate, sulla

base delle proposte regionali, con atto legislativo di iniziativa governativa entro sessanta giorni

dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Ove, poi, entro questo termine non

fosse pervenuta alcuna ipotesi da parte di qualche Regione, l’iniziativa era assunta dal Governo

5 L’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012 stabiliva che la popolazione residente era determinata in base ai dati

dell’Istituto nazionale di statistica relativi all’ultimo censimento ufficiale. 6 La pubblicazione è del 24 luglio 2012.

7 Sul contrasto con l’art. 3 della Costituzione per l’assenza di motivazione a proposito dell’individuazione

quantitativa dei requisiti, P. CIARLO, Sul riordino delle Province di cui all’art. 17 del decreto-legge 06 luglio

2012, n. 95, come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 07 agosto 2012, n. 135 e sulla conseguente

deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, parere reperibile su sito web www.leggioggi.it, 14

settembre 2012, p. 7. 8 Art. 1, comma 3, della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012.

9 Art. 1, comma 2 della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012.

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previo parere della Conferenza unificata Stato-Regioni e autonomie locali territoriali. La mancata

conversione del decreto-legge 05 novembre 2012, n. 188 recante “Disposizioni urgenti in materia di

Province e Città metropolitane” 10 , che doveva portare a compimento il processo di riordino,

riducendo il numero delle Province delle Regioni ordinarie da 86 a 51 (incluse le Città

metropolitane), ha impedito al Governo Monti di incidere sul territorio 11 delle attuali

amministrazioni provinciali12.

10

Sulle criticità del decreto-legge n. 188/2012 C. RAPICAVOLI, Il riordino delle Province: i contenuti del d.l.

188/2012, le criticità e i profili di illegittimità costituzionale, in www.quotidianolegale.it, 07 novembre 2012.

Sugli effetti della mancata conversione L. SPADONE, D.L. 188/2012 e riordino delle Province: possibili effetti

in caso di mancata conversione, in www.ildirittoamministrativo.it, 11 dicembre 2012. In generale, per un quadro

delle riforme “licenziate” dal Governo Monti, si rinvia al contributo di F. MAZZONETTO, L’attività del

Governo Monti, in M. BERTOLISSI (a cura di), Agenda Monti. Parliamone, Padova, LegalPad, 2013, pp. 49-67. 11

Il territorio, pur rimanendo identico nella sua materialità, è elemento costiutivo di una pluralità di

amministrazioni territoriali autonome: cfr., l’importante lavoro di F. FABRIZZI, La Provincia. Analisi dell’ente

locale più discusso, Napoli, Jovene, 2012, p. 184. Si veda anche M. OLIVETTI, Lo Stato policentrico delle

autonomie (art. 114, 1 comma), in T. GROPPI – M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle autonomie

(Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V), Torino, Giappichelli, 2003, pp. 37-43. 12

Per un inquadramento generale della disciplina normativa concernente le Province introdotta nel corso della

seconda parte della XVI legislatura, si vedano i contributi di F. FABRIZZI, Sul riordino delle Province

contenuto nel decreto “salva Italia”, in www.federalismi.it, n. 24/2011; B. CARAVITA DI TORITTO – F.

FABRIZZI, Riforma delle Province. Spunti di proposte a breve e lungo termine, in www.federalismi.it, n.

2/2012; F. MANGANARO – M. VIOTTI, La Provincia negli attuali assetti istituzionali, in www.federalismi.it,

n. 4/2012; C. RAPICAVOLI, La riforma delle Province nel decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 20, recante

“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità ed il consolidamento dei conti pubblici, in

www.amministrazioneincammino.luiss.it, 25 gennaio 2012; G. DE MARTIN, Le Province: quale senso e quali

prospettive, in www.astrid-online.it, 09 marzo 2012; P. VERONESI, Morte e temporanea resurrezione delle

Province: non si “svuota” così un ente previsto in Costituzione, in Studium Iuris, n. 4/2012, pp. 393-401; F.

PIZZETTI, Le nuove Province e le nuove forme di articolazione della democrazia locale, in www.astrid-

online.it, 04 agosto 2012; S. GAMBINO, Riordino delle Province e (obbligatorietà dell’esercizio associato

delle) funzioni comunali, in www.astrid-online.it, 06 agosto 2012; P. CARETTI, Alcune considerazioni sulle più

recenti linee di riforma dell’ente Provincia, in M. MANETTI – A. FROSINI (a cura di), Riforma delle Province

e sistema delle autonomie locali, Rimini, Maggioli, 2012, pp. 15-28; G. MANFREDI, Riordino delle Province e

leggi – manifesto, in www.giustamm.it, 01 settembre 2012; M. VOLPI, Le Province nell’ordinamento

costituzionale, in www.federalismi.it, n. 18/2012; S. MANGIAMELI, La Provincia, l’area vasta il governo delle

funzioni nel territorio. Dal processo storico di formazione alla ristrutturazione istituzionale, in

www.issirfa.cnr.it, ottobre 2012; F. CLEMENTI, E ora guardiamo anche alle autonomie speciali, in Il

Sole24Ore, 03 novembre 2012, p. 7; C. NAPOLI, Il livello provinciale nella legislazione “anticrisi” del

Governo Monti, in www.federalismi.it, n. 21/2012; A. PIROZZOLI, Sulla legittimità costituzionale del riordino

delle Province, in www.federalismi.it, n. 21/2012; P. ANTONELLI, Le Province: dallo svuotamento al riordino.

La riforma degli enti di area vasta dalle norme dell’art. 23 della l. 214/2011 a quelle dell’art. 17 della l.

135/2012, in Le autonomie in cammino. Scritti dedicati a Gian Candido De Martin, Padova, Cedam, 2012, p. 21

e ss.; L. CASTELLI, Sulla diretta elettività degli organi rappresentativi della Provincia, in Le autonomie in

cammino. Scritti dedicati a Gian Candido De Martin, Padova, Cedam, 2012, p. 69 e ss.; G. D’ALESSANDRO,

Controllo della spesa pubblica e riordino delle Province: sui dubbi di costituzionalità dell’art. 23 del decreto

c.d. “salva Italia” e dell’art. 17 del decreto sulla c.d. spending review, in Le autonomie in cammino. Scritti

dedicati a Gian Candido De Martin, Padova, Cedam, 2012, p. 87 e ss. e M. DI FOLCO, Le Province al tempo

della crisi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 04 luglio 2013.

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Il problema, al di là della scelta, censurata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 220/2013,

di intervenire con decreto-legge per una riforma organica delle Province13, consisteva nel fatto

che la modalità di riordino/riduzione avveniva con una procedura diversa rispetto a quella

delineata dal comma 1 dell’art. 133 della Costituzione. In particolare, due risultavano gli aspetti

problematici:

1) Se, sulla base dei criteri sanciti nella legge di conversione n. 135/2012 del decreto-legge n.

95/2012 e meglio specificati nella deliberazione del Consiglio dei Ministri del 24 luglio

2012, era o meno nella disponibilità del legislatore statale un riordino delle Province tanto

radicale da apparire soppressivo dell’ente provinciale14

per molta parte del territorio;

2) Se la norma costituzionale era comunque rispettata per la previsione, da parte dell’art. 17,

comma 3, del decreto-legge n. 95/2012, di un coinvolgimento delle amministrazioni

comunali tramite i CAL e per il fatto che il medesimo comma contemplava la possibilità

di prendere in esame, nella proposta di riordino, eventuali iniziative comunali ex art. 133,

comma 1, Cost. già in atto alla data di adozione della delibera governativa15

.

Prima di analizzare il contenuto della sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale sul punto, è

opportuno considerare le soluzioni elaborate dalla dottrina in merito alla applicabilità o meno

della norma costituzionale sopra menzionata nell’ipotesi di riordino complessivo delle Province

delineato dall’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012.

2. La tesi “restrittiva” sull’applicabilità dell’art. 133, comma 1, della Costituzione: critica

Una prima tesi legge in senso restrittivo il “rafforzamento” della legge statale che modifica le

circoscrizioni provinciali ai sensi dell’art. 133, comma 1, Cost. La norma, è stato sostenuto, mira a

13

Cfr., il punto 12.2. del cons. in dir. della sentenza n. 220/2013 Corte cost.: “le considerazioni che precedono

non entrano nel merito delle scelte compiute dal legislatore e non portano alla conclusione che sull’ordinamento

degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale – indispensabile solo se si intenda sopprimere

uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost., o comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale –

ma, più limitatamente, che non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi

assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative”. Già in precedenza, con la

sentenza n. 151/2012, in un obiter dictum, la Corte aveva chiarito come “il principio salus rei publicae suprema

lex esto non può essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti

territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo Stato, pertanto, deve affrontare l'emergenza finanziaria predisponendo

rimedi che siano consentiti dall'ordinamento costituzionale” (punto 4 del cons. in dir.). 14

Cfr., S. GAMBINO, Rapporti tra Regione Calabria ed enti locali, in C. SALAZAR – A. SPADARO (a cura

di), Lineamenti di Diritto Costituzionale della Regione Calabria, Torino, Giappichelli, 2013, p. 298. 15

Sulla funzione dei Cal nella procedura di riordino G. M. SALERNO, Sulla procedura di riordino delle

Province e in particolare sulla fase dei CAL, in www.federalismi.it, n. 19/2012. Per l’esito dell’accorpamento

Regione per Regione cfr., F. FABRIZZI, I piani di riordino dei CAL. Una primissima lettura ragionata, in

www.federalismi.it, n. 19/2012.

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proteggere “l’identità della singola comunità locale contro decisioni unilaterali della maggioranza

parlamentare, ma non a impedire che il legislatore proceda in via generale (senza riferimento ad

una specifica comunità locale) a modificare la mappa delle Province”16.

In altri termini, la disposizione costituzionale farebbe riferimento a modifiche puntuali delle

circoscrizioni provinciali o alla istituzioni di nuove Province, mentre non potrebbe trovare

applicazione nell’ipotesi di un riordino generale e complessivo17, essendo necessaria l’iniziativa di

tutti gli oltre ottomila Comuni italiani. Inoltre, l’applicazione dell’art. 133, comma 1, Cost.

nell’evenienza di un riordino complessivo implicherebbe pure l’ “impossibilità di (im)porre

requisiti dimensionali minimi alla Provincia”18, cosa che invece fa lo stesso d.lgs n. 267/2000

(testo unico enti locali) all’art. 21, comma 3, quando prevede requisiti dimensionali minimi per

l’evenienza di nascita di nuove Province e modifica di quelle già esistenti In sostanza, il legislatore

d’urgenza avrebbe operato in ordine ad una fattispecie non normata dalla Costituzione e, proprio

per questa ragione, non sarebbe strettamente vincolato al procedimento da quest’ultima indicato

per i mutamenti territoriali.

Si tratta di un’interpretazione che presta il fianco a diverse obiezioni.

In primo luogo, l’espressione riordino generale e complessivo delle Province appare vaga e dai

contorni non ben definiti. Infatti, ogni ipotesi in questa direzione non può che tradursi in

modificazioni territoriali precise e puntuali all’interno di ogni singola Regione, sebbene poste in

essere contemporaneamente su tutto il territorio nazionale19, non essendo consentita un’ipotesi di

riduzione/accorpamento concernente Province di Regioni contermini poiché, in questo caso, la

Provincia dovrebbe prima staccarsi dalla Regione di appartenenza e poi aggregarsi a quella

16

Cfr., R. BIN, Il nodo delle Province, in Le Regioni, nn. 5-6/2012, pp. 909-910. Lo stesso Governo Monti, nella

relazione di accompagnamento al decreto-legge n. 95/2012 (pagina 371), richiamava proprio questa tesi. 17

Cfr., V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.l. n. 95del 2012, convertito in

legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle Province e delle loro funzioni, in www.federalismi.it, n. 17/2012,

p. 7. Sulla stessa linea si prenda in considerazione il recente contributo di A. VIGNERI, Lavori in corso su

Province e Città metropolitane, in www.astrid-online.it, 09 settembre 2013, p. 3. 18

In merito F. PATRONI GRIFFI, La Città metropolitana e il riordino delle autonomie territoriali.

Un’occasione mancata?, in www.federalismi.it, n. 4/2013, p. 12. 19

Il riordino non avrebbe interessato le Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen. Per le altre Province

situate nelle Regioni ad ordinamento differenziato, il legislatore aveva previsto, con una soluzione di dubbia

costituzionalità, sia un adeguamento a quanto disciplinato nel decreto-legge n. 201/2011 (art. 23, comma 20 bis),

sia a quanto normato nell’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012 (art. 17, comma 5). Per un approfondimento sulla

potestà delle Regioni speciali in materia di enti locali territoriali, attribuita a seguito della legge costituzionale 05

settembre 1993, n. 2, P. GIANGASPERO, La potestà ordinamentale delle Regioni a Statuto speciale e la tutela

costituzionale del ruolo della Provincia, in Le Regioni, 6/2007, pp. 1085-1096.

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confinante ai sensi dell’art. 132, comma 2, Cost.20. Sul punto, il Rotelli osservava come l’art. 133,

comma 1, della Carta venga disatteso proprio quando si suppone che lo stesso “sia stato scritto

per i casi di modifica e variazione delle singole circoscrizioni provinciali e che pertanto un

riassetto generale di tali circoscrizioni, ove operato contestualmente sull’intero territorio

nazionale, sia estraneo all’ambito di applicazione della norma e possa prescinderne”21.

In secondo luogo, non si comprendono i motivi per i quali l’identità della singola comunità locale

debba essere tutelata da decisioni della maggioranza parlamentare unicamente nel caso di singole

modificazioni delle circoscrizioni provinciali22. Una limitazione della portata applicativa dell’art.

133, comma 1, Cost. verrebbe a determinare “una disparità di trattamento a seconda che la

Provincia sia interessata da variazioni territoriali di più o meno ampia portata”23. Anzi, proprio il

procedimento rinforzato e “ascensionale” della norma costituzionale presa in esame è garanzia di

esistenza delle entità sub-statali negli ordinamenti politicamente decentrati24, indipendentemente

dalla circostanza che una loro riorganizzazione le coinvolga o meno tutte. Tuttavia, è opportuno

precisare che da questa garanzia non discende, come la dottrina ha messo in rilievo, un diritto

all’integrità del territorio riconosciuto in capo a Comuni, Province e Regioni, o la loro esistenza

quali istituzioni territoriali 25 , ma che spetta all’”iniziativa dei Comuni” la titolarità dell’atto

propulsivo, ovvero il potere di promuovere l’attività statale senza però disporre della capacità di

condizionare in modo definitivo la volontà finale degli organi nazionali26. L’art. 133, comma 1,

della Costituzione, quindi, nel prevedere un rafforzamento della procedura legislativa di modifica

delle circoscrizioni provinciali costituisce un presupposto imprescindibile tutte le volte in cui si

20

Sul punto A. STERPA, L’indisponibile autonomia: la riduzione delle Province, in www.federalismi.it, n.

11/2010, pp. 3-4. Sia consentito, inoltre, rinviare a D. TRABUCCO, E’ possibile derogare all’art. 133, comma

1, della Costituzione in caso di riordino complessivo delle Province, in www.dirittiregionali.org, 30 luglio 2012. 21

Cfr., E. ROTELLI, Art. 133 Cost., in G. BRANCA – A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della

Costituzione, Bologna, Zannichelli, 1990, p. 210. 22

Su questa linea anche C. PADULA, Quale futuro per le Province? Riflessioni sui vincoli costituzionali in

materia di Province, in Le Regioni, n. 2/2013, pp. 381-382. 23

Così M. DI FOLCO, Le Province al tempo della crisi, op. cit. 24

Cfr., A. D’ATENA, Le autonomie sub-statali e le loro garanzie istituzionali, in G. ROLLA (a cura di), La

difesa delle autonomie locali, Milano, Giuffrè, 2005, p. 89 e ss. Sul rapporto tra ente locale territoriale e

territorio B. CARAVITA DI TORITTO, voce Territorio III) Territorio degli enti territoriali minori, in Enc.

Giur., Roma, 1994. 25

La critica è espressa da L. PALADIN, Il territorio degli enti autonomi, in Riv. Trim. Dir. Pubbl, n. 3/1961, p.

644. Sulla teoria del “pouvoir municipal”, che aveva il suo fondamento positivo nella legge 14 dicembre 1790

dell’Assemblea nazionale francese, G. JELLINEK, Sistema dei diritti pubblici subiettivi, Milano, Società

Editrice Libreria, 1912, p. 305 e ss. 26

Cfr., a riguardo, S. MABELLINI, Identità culturale e dimensione territoriale delle Regioni in Europa, Milano,

Giuffrè, 2008, p. 95. Si vedano anche V. CERULLI IRELLI, Parere in materia di riordino delle Province

rilasciato all’Upi, in www.federalismi.it, n. 17/2012, p. 5 e P. VIRGA, La Regione, Milano, Giuffrè, 1949, p. 32.

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vuole mutare il loro territorio. L’ omissione27 di un singolo aspetto della procedimento non è

surrogabile, in base a quanto statuito dal giudice costituzionale nella sentenza n. 214/2010, con

altri elementi procedimentali, pena l’invalidità stessa della legge28. Si tratta di un principio che

certamente la Corte ha riferito al comma 2 dell’art. 133 Cost., in riferimento all’interesse che

fonda l’obbligo di consultazione riferibile direttamente alle popolazioni interessate e non agli enti

territoriali29, ma che può trovare applicazione anche per il primo comma sebbene, in questo caso,

la volontà delle popolazioni non si manifesti in via diretta ma tramite i Comuni stessi30. Infatti, se

il principio vale per interventi di scarsa entità, per quale ragione il rafforzamento della procedura

di mutamento delle circoscrizioni provinciali non dovrebbe configurarsi come imprescindibile

garanzia anche per le Province, soprattutto in ragione del fatto che tra gli enti costitutivi della

Repubblica di cui al comma 1 dell’art. 114 Cost. “la differenziazione funzionale non equivale per

nulla a gerarchia su basi di valore”31? Semmai, si potrebbe sostenere, per mutuare un’espressione

utilizzata dalla dottrina, che la vigente formulazione dell’art. 133, comma 1, del Testo

fondamentale è il frutto di una “colposa dimenticanza”32, interpretata “quale conseguenza della

vigenza dell’art. 129” Cost.33, in quanto compie una ingiustificata distinzione tra le comunità

comunali, alle quali è riservata l’iniziativa del mutamento o dell’istituzione delle nuove Province, e

le comunità provinciali delle quali non vi è menzione nella norma costituzionale.

L’obiezione, infine, che l’art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000 (testo unico in materia di enti

locali) stabilisce già dei parametri sulla base dei quali si deve procedere per la revisione delle

circoscrizioni provinciali esistenti e per l’istituzione di quelle nuove è di difficile accoglimento.

27

Cfr., P. A. CAPOTOSTI, Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile al

procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 06 luglio 2012, come

convertito con l. 07 agosto 2012, n. 135, in www.federalismi.it, n. 17/2012, p. 11.

28

Così, il punto 3 del cons. in dir. della sent. n. 214/2010 Corte cost. 29

Si veda la sentenza n. 94/2000 Corte cost. 30

La precisazione è di L. VANDELLI, Sovranità e federalismo interno, in Le Regioni, nn. 5-6/2012, p. 873. 31

Cfr., P. CARROZZA, Per un Diritto Costituzionale delle autonomie locali, in Riv. Dir. Cost., 2007, pp. 226-

227; O. CHESSA, Pluralismo paritario e autonomie locali nel regionalismo italiano, in O. CHESSA (a cura di),

Vero il federalismo “interno”. Le autonomie locali nelle Regioni ordinarie e speciali, Torino, Giappichelli,

2009, p. 16. L’autore, in particolare, muove alcune obiezioni alla sentenza n. 365/2007 della Corte

costituzionale, nella quale si nega all’art. 114 Cost. la capacità fondativa di un “pluralismo istituzionale

paritario”. Contra, A. ANZON, Un passo indietro verso il regionalismo “duale”, in AA. VV., Il nuovo titolo V

della parte seconda della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione (atti dell’incontro di studi di

Bologna del 14 gennaio 2002), Milano, Giuffrè, 2002. Recentemente, contrario alla tesi della pari ordinazione

attraverso il richiamo alla sent. n. 274/2003 e all’ ord. n. 144/2009 della Corte costituzionale, L. VANDELLI,

Sovranità e federalismo interno, op. cit., pp. 871-872 e C. FUSARO, Appunto in ordine alla questione delle

Province, in www.astrid-online.it, 27 ottobre 2013, pp. 2-3. 32

Così si esprime P. GIOCOLI NACCI, Enti territoriali e mutamento dei territori, Bari, Cacucci, 2005, p. 156. 33

Cfr., F. FABRIZZI, La Provincia. Analisi dell’ente locale più discusso, op. cit., p. 182.

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Infatti, la norma de qua34, diversamente dal decreto-legge n. 95/2012 e dalla deliberazione del

Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, non contempla deroghe al procedimento previsto

dall’art. 133, comma 1, della Costituzione35, rispettandone i passaggi progressivi36. Benché non sia

affermato espressamente, i criteri stabiliti 37 assumono un grado di cogenza molto limitato,

trattandosi di indicazioni di massima, indirizzati anche alle Regioni sia nell’esprimere il proprio

parere ai sensi della disposizione costituzionale, sia nell’esercitare la potestà38 di emanare norme al

fine di promuovere e coordinare l’iniziativa dei Comuni39.

Ne consegue, in conclusione, il carattere fittizio della distinzione tra riordino generale e

complessivo da un lato e riordino puntuale dall’altro, di cui del resto non vi è traccia nell’art. 133,

34

L’art. 21 del d.lgs. n. 267/2000 riporta senza variazioni l’art. 16 della legge ordinaria dello Stato n. 142/1990,

come integrato, in relazione alla disciplina dei circondari, dall’art. 8 della legge n. 265/1999. A riguardo, A.

VIGNERI, Introduzione, in A. VIGNERI – S. RICCIO (a cura di), Nuovo ordinamento degli enti locali e status

degli amministratori, Rimini, Maggioli, 1999, p. 23. 35

Ci si potrebbe chiedere, sulla scorta di recente dottrina, se, con l’abrogazione da parte dell’art. 9, comma 2,

della legge costituzionale n. 3/2001 dell’art. 128 della Carta, non spetti alle Regioni disegnare il proprio sistema

di autonomie locali, sempre nel rispetto dei livelli di governo di cui all’art. 114, comma 1, della Costituzione.

Infatti, se lo Stato non è più competente in materia di ordinamento degli enti locali territoriali, ma soltanto in

materia di “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città

metropolitane” ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione, tutto il resto dovrebbe confluire nella

potestà legislativa residuale delle Regioni ad ordinamento comune: cfr., C. NAPOLI, Le funzioni amministrative

nel Titolo V della Costituzione. Contributo allo studio dell’art. 18, primo e secondo comma, Torino,

Giappichelli, 2011, p. 160. Per l’elenco delle proposte di legge costituzionale di modifica dell’art. 133, comma 1,

Cost., volte ad attribuire la competenza a modificare le circoscrizioni provinciali e ad istituire nuove Province

alla legge regionale, C. NAPOLI, Il livello provinciale nella legislazione “anticrisi” del Governo Monti, op. cit.,

p. 17, nt. 50. 36

La procedura di riordino, invece, pur ripercorrendo le tre fasi locale, regionale e statale, lo fa con una versione

che parte dall’alto: cfr., sul punto. C. NAPOLI, Il livello provinciale nella legislazione “anticrisi” del Governo

Monti, op. cit., p. 18. 37

L’art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000 prevede i seguenti criteri: a) ciascun territorio provinciale deve

corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti sociali, economici e culturali della

popolazione residente; b) ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità

demografica, nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello

sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale; c)

l'intero territorio di ogni Comune deve far parte di una sola Provincia; d) l'iniziativa dei Comuni, di cui

all'articolo 133 della Costituzione, deve conseguire l'adesione della maggioranza dei Comuni dell'area

interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con

delibera assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati; e) di norma, la popolazione delle Province

risultanti dalle modificazioni territoriali non deve essere inferiore a 200.000 abitanti; f) l'istituzione di nuove

Province non comporta necessariamente l'istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e

degli altri enti pubblici; g) le Province preesistenti debbono garantire alle nuove, in proporzione al territorio ed

alla popolazione trasferiti, personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati. 38

Art. 21, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000. 39

Cfr., C. TUBERTINI, Art. 21 del d.lgs. n. 267/2000, in M. BERTOLISSI (a cura di), L’ordinamento degli enti

locali, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 153-154. Il Veneto, ad esempio, con legge regionale 24 dicembre 1992, n.

25, ha normato agli articoli 15 e 16 gli aspetti inerenti rispettivamente l’iniziativa comunale e la formulazione

del parere ad opera del Consiglio regionale.

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comma 1, Cost.,40 con l’esclusione di qualunque interpretazione restrittiva in merito alla portata

applicativa della norma costituzionale per ipotesi di minore ampiezza41.

3. La tesi della “lettura coordinata” del procedimento di riordino delle Province con l’art.

133, comma 1, della Costituzione: critica

Una seconda tesi, che presenta interessanti spunti di originalità, ha cercato di leggere in modo

coordinato il procedimento di riordino delle Province di cui all’art. 17 del decreto-legge n.

95/2012 con l’art. 133, comma 1, della Carta costituzionale.

Il punto fondamentale della questione consiste nella qualificazione giuridica che si attribuisce

all’iniziativa dei Comuni prevista dal comma 1 dell’art. 133 Cost. Indipendentemente dal dibattito

dottrinale sulla natura di tale iniziativa, legislativa in senso tecnico o meno42, bisogna domandarsi

se questa è esercitabile esclusivamente dai Comuni oppure no 43 . La testi esposta in questo

paragrafo ha risposto e risponde negativamente, nel senso che l’iniziativa dei Comuni è

soddisfatta con la semplice partecipazione degli stessi anche ad una fase successiva del

procedimento di modifica delle circoscrizioni provinciali44, “potendo lo stesso essere attivato da

40

Cfr., P. CIARLO, Sul riordino delle Province di cui all’art. 17 del decreto-legge 06 luglio 2012, n. 95, come

convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 07 agosto 2012, n. 135 e sulla conseguente deliberazione del

Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, op. cit., p. 3. 41

Si esprime in questa direzione M. VOLPI, Le Province nell’ordinamento costituzionale, op. cit., p. 6. 42

Per un approfondimento del dibattito sulla qualificazione giuridica dell’iniziativa dei Comuni ex art. 133,

comma 1, Cost. cfr., E. SPAGNA MUSSO, L’iniziativa nella formazione delle leggi italiane, Napoli, Jovene,

1958, p. 98. Secondo l’autore, quella prevista dall’art. 133, comma 1, Cost. costituisce una vera e propria

iniziativa legislativa riservata ai Comuni che possiede il carattere della specialità, potendo essere esercitata

riguardo ad un unico oggetto ossia l’istituzione di nuove Province, ovvero il mutamento della loro circoscrizione

(pag. 98 dell’opera citata). Più recentemente, P. COSTANZO, Profili costituzionalistici dell’istituzione di nuove

Province, in Quad. Reg., n. 4/1986, pp. 1346-1349. Secondo l’autore, a favore di una considerazione in senso

tecnico del termine “iniziativa” dell’art. 133, comma 1, Cost., è sembrata militare la sua identità lessicale con il

termine che si riscontra nell’art. 71 della Costituzione dedicato proprio all’iniziativa legislativa. Inoltre, prosegue

Costanzo, anche dai lavori dell’Assemblea Costituente si sarebbe potuta ricavare questa tesi, in particolare

dall’intervento dell’On. Nicola Monterisi (si vedano le pagg. 1346-1347 dell’opera citata). L’intervento dell’On.

Nicola Monterisi è riportato anche da B. PRIMCERO, Il rafforzamento nel procedimento di formazione degli

atti legislativi statuali, in Studi Parlam. Pol. Cost., nn. 11-12/1971, p. 98. Sempre a sostegno della tesi di

un’iniziativa legislativa riservata ai Comuni M. BERTOLISSI - R. MENEGHELLI, Lezioni di Diritto Pubblico

Generale, Torino, Giappichelli, 1996, p. 284. Un dato, comunque, certo, è che il comma 1 dell’art. 133 della

Costituzione, “per il senso palese delle espressioni in esso contenute, attribuisce ai Comuni un potere riservato;

in altre parole, è certo che le Camere non potrebbero approvare una legge per il mutamento di una circoscrizione

provinciale o per l’istituzione di una nuova Provincia in mancanza di un intervento preliminare della

maggioranza dei Comuni interessati”: cfr., S. M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino,

Giappichelli, 2001, p. 163. 43

La problematica è ben posta da L. MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica delle circoscrizioni

provinciali nel d.l. n. 95/2012, in www.forumcostituzionale.it, 04 ottobre 2012, p. 4. 44

Cfr., L. PALADIN, Due progetti di riforma dell’amministrazione locale, in Le Regioni, 1977, p. 419. Esclude

l’iniziativa in senso tecnico anche G. DEMURO, Popolazioni e variazioni territoriali: dalla giurisprudenza

costituzionale in tema di enti locali al problema del territorio regionale, in R. BIN – C. PINELLI (a cura di), I

soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1996, p. 143.

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uno dei soggetti titolari del potere di iniziativa legislativa ex art. 71 Cost.”45. Pertanto, il contenuto

dell’art. 17, comma 3, del decreto legge n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012, poteva

consentire un’interpretazione costituzionalmente conforme del processo di riordino alla norma

costituzionale in esame. I piani dei CAL avrebbero assunto “la funzione di iniziativa ai sensi

dell’art. 133, comma 1, Cost. e questo sarebbe stato possibile sia perché l’iniziativa comunale

stabilita dal Testo costituzionale non risulta ivi precisata, sia perchè i Cal sono espressione anche

dei Comuni che, in quella sede, avrebbero visto soddisfatta la facoltà loro riservata di incidere

sulla modifica delle circoscrizioni provinciali (quasi) ab origine”46. Da ultimo, vanno evidenziati

altri due aspetti dell’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012 che la dottrina ha letto come rispettosi

dello “spirito” dell’art. 133, comma 1, della Costituzione. Il primo concernente il coinvolgimento

delle Regioni considerato “equivalente a quello previsto dall’art. 133” 47 ; anzi, la disposizione

normativa de qua, è stato precisato, ha affidato ad esse (le Regioni) un compito più ampio rispetto

al mero rilascio del parere, ossia la formulazione dell’intera proposta di riordino delle

circoscrizioni provinciali ricadenti all’interno del territorio regionale48; il secondo l’utilizzo della

“legge della Repubblica”, unico strumento idoneo per la disciplina dell’ordinamento locale, ma con

un potere di intervento più vasto. Infatti, se la legge dello Stato può istituire nuove Province o

modificarne le circoscrizioni, e perfino modificare il territorio delle Regioni ai sensi dell’art. 132,

comma 2, Cost., a maggior ragione dispone anche del potere “di sopprimere le Province esistenti

e distribuire diversamente fra le circoscrizioni rimanenti il territorio della Regione”49.

Questa tesi, come la precedente, non appare condivisibile. In Assemblea Costituente, nel corso

dei lavori preparatori dell’art. 133, comma 1, della Costituzione, erano emersi alcuni elementi

“utili a chiarire l’effettiva portata di tale disposizione”50. Poiché l’intento dei Costituenti era quello

per il quale l’istituzione di nuove Province o la modifica di quelle esistenti dovesse avvenire

partendo dal basso 51 , era stata espressamente prevista l’iniziativa dei Comuni. In ragione di

45

L’espressione è sempre di L. MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica delle circoscrizioni provinciali

nel d.l. n. 95/2012, op. cit., p. 4. 46

Cfr., D. SERVETTI, Sui criteri per il riordino delle Province e sulla legittimità costituzionale dell’art. 17, d.l.

95/2012, in www.dirittiregionali.org, 31 luglio 2012. 47

Cfr., V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.l. n. 95del 2012, convertito in

legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle Province e delle loro funzioni, op. cit., p. 9. 48

Ancora, a riguardo, V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.l. n. 95del

2012, convertito in legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle Province e delle loro funzioni, op. cit., p. 9. 49

Cfr., V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.l. n. 95del 2012, convertito in

legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle Province e delle loro funzioni, op. cit., p. 10. 50

Cfr., L. MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica delle circoscrizioni provinciali nel d.l. n. 95/2012,

op. cit., p. 4. 51

Il progetto originario dell’art. 133, comma 1, della Carta era: “L’istituzione di nuove Province è stabilita con

leggi della Repubblica, su iniziativa della Regione, sentite le popolazioni interessate”. Nella seduta del 17 luglio

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questo, parte della dottrina ha ritenuto l’iniziativa comunale come riservata 52 , in quanto per

l’inizio e la prosecuzione dello stesso è sempre necessaria la presenza di un atto di impulso che la

Carta riserva ai singoli (il corsivo è mio) Comuni interessati53. Si tratta di una lettura aderente ai

principi in materia di autonomia che hanno ispirato i lavori dell’Assemblea Costituente,

culminando nell’art. 554, chiave interpretativa di tutto il Titolo V del Testo fondamentale55. La

riserva dell’iniziativa a favore dei Comuni, infatti, se da un lato specifica quell’adeguamento da

parte della Repubblica alle esigenze dell’autonomia e del decentramento, dall’altro consente di

rendere funzionale il sistema provinciale ad eventuali esigenze di razionalizzazione dovute a

variazioni demografiche e/o istituzionali56, ma sempre, seppur con formule diverse tra l’art. 133,

comma 1, Cost., il comma 2 e l’art. 132, con il coinvolgimento delle popolazioni interessate57. In

materia, dunque, di mutamento delle circoscrizioni provinciali, il carattere rinforzato del

procedimento delineato dalla Carta non costituisce una singolarità, né può essere sostituito con

altri espedienti, bensì “rappresenta l’applicazione coerente di una scelta adottata dal Testo

costituzionale per tutti i casi di variazione delle circoscrizioni degli enti territoriali riconosciuti”58.

In ragione di queste prime considerazioni, appare evidente che il lavoro cui erano chiamati i Cal,

di elaborazione per la Regione dell’ipotesi di riordino, non poteva corrispondere all’iniziativa

comunale ex art. 133, comma 1, della Costituzione 59 . A parte il fatto che i Consigli delle

1947, veniva presentato il seguente emendamento: “L’istituzione di nuove Province è stabilità con leggi della

Repubblica, su iniziativa dei Comuni interessati, sentita la Regione cui appartengono”. Tale formula veniva

approvata ed motivata ritenendo che l’iniziativa avesse dovuto partire dal basso e non dalle Regioni: cfr., L.

MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica delle circoscrizioni provinciali nel d.l. n. 95/2012, op. cit., p.

4, nt. 14. 52

Cfr., P. GIOCOLI NACCI, Enti territoriali e mutamenti dei territori, op. cit., p. 149; E. FERIOLI; Art. 133

Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. III,

Torino, Utet, 2006, p. 2551 e L. MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica delle circoscrizioni

provinciali nel d.l. n. 95/2012, op. cit., p. 5. 53

Cfr., A. M. SANDULLI, voce Legge (Diritto Costituzionale), in Nss. D. I., Vol. IX, Torino, Utet, 1963, p. 634

e V. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1960,

p. 787 e ss. 54

Ancora, L. MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica delle circoscrizioni provinciali nel d.l. n.

95/2012, op. cit., p. 5. 55

G. BERTI, Art. 5 Cost., in G. BRANCA - A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della Costituzione,

Bologna, Zannichelli, 1990, p. 277. 56

Si esprime in questo senso A. STERPA, L’indisponibile autonomia: la riduzione delle Province, op. cit., p. 5. 57

Cfr., P. A. CAPOTOSTI, Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile al

procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 06 luglio 2012, come

convertito con l. 07 agosto 2012, n. 135, op. cit., p. 6. 58

Così, P. A. CAPOTOSTI, Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile al

procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 06 luglio 2012, come

convertito con l. 07 agosto 2012, n. 135, op. cit., p. 6. 59

Cfr., A. PIROZZOLI, Sulla legittimità costituzionale del riordino delle Province, op. cit., p. 6.

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autonomie locali non sono stati istituiti o concretamente funzionanti in tutte le Regioni60 e la loro

composizione non sempre può dirsi rappresentativa degli enti locali territoriali61, essi incarnano

una forma di raccordo e consultazione stabile tra Regioni ed enti locali ove non può certo

riscontrarsi una corrispondenza diretta tra l’interesse dei singoli Comuni e gli interessi

rappresentati da un organo “misto” quali appunto i Cal62, incaricati di “esprimere una sorta di

voce unitaria”63 degli enti rappresentati, cosa ben diversa ed irriducibile rispetto alla volontà dei

singoli Comuni interessati alla revisione del territorio della Provincia cui appartengono. Inoltre, la

previsione normativa dell’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012,

imponeva ai Consigli la formulazione dell’ipotesi di riordino64, sebbene questa non vincolasse né

la successiva attività della Regione, né dello Stato, ponendosi però in questo modo in diretta

violazione sia del carattere spontaneo delle iniziative comunali65, presupposto imprescindibile del

procedimento rinforzato descritto dalla norma costituzionale 66 e difficilmente aggirabile67 , sia

della stessa logica di funzionamento mutuabile sempre dall’art. 133, comma 1, Cost., dal

momento che il Governo veniva collocato in una posizione di predominanza sia rispetto all’avvio

dell’iter di riordino, con la deliberazione del Consiglio dei Ministri contenente i criteri che i Cal e

le Regioni dovevano rispettare in sede di formulazione, sia rispetto alla conclusione con un

proprio atto di iniziativa legislativa 68 . Ora, è vero che nella sentenza n. 347/1994, la Corte

costituzionale ha precisato come gli “adempimenti procedurali destinati a rinforzare il

60

Sul punto G. M. SALERNO, Sulla procedura di riordino delle Province e in particolare sulla fase dei CAL,

op. cit., p. 5. 61

Per una disamina in argomento, anche con riferimento ai nuovi Statuti regionali, M. CARLI, I rapporti

Regione-enti locali come problema di organizzazione e funzionamento della Regione, in P. CARETTI (a cura

di), Osservatorio sulle Fonti, Torino, Giappichelli, 2005, pp. 176-179. 62

Così si esprime A. PIROZZOLI, Sulla legittimità costituzionale del riordino delle Province, op. cit., p. 6. 63

Cfr., P. A. CAPOTOSTI, Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile al

procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 06 luglio 2012, come

convertito con l. 07 agosto 2012, n. 135, op. cit., p. 13. 64

Sul fatto che un’ipotesi di riordino non può considerarsi un’iniziativa ex art. 133, comma 1, Cost., in quanto,

sul piano tecnico-giuridico, non si configura come atto di impulso, si veda il parere di P. CIARLO, Sul riordino

delle Province di cui all’art. 17 del decreto-legge 06 luglio 2012, n. 95, come convertito in legge, con

modificazioni, dalla legge 07 agosto 2012, n. 135 e sulla conseguente deliberazione del Consiglio dei Ministri

del 20 luglio 2012, op. cit., p. 8. 65

Ancora, a riguardo, A. PIROZZOLI, Sulla legittimità costituzionale del riordino delle Province, op. cit., p. 6. 66

Sulla categoria delle leggi rinforzate T. MARTINES, Note sul procedimento di formazione delle fonti del

diritto, in Aspetti e tendenze del Diritto Costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, Vol. II, Milano,

Giuffrè, 1977, pp. 321-381. 67

Così B. CARAVITA DI TORITTO – F. FABRIZZI, Riforma delle Province. Spunti di proposte a breve e

lungo termine, op. cit., p. 4. 68

Cfr., A. DEFFENU, Il ridimensionamento delle Province nell’ epoca dell’emergenza finanziaria tra riduzione

delle funzioni, soppressione dell’elezione diretta e accorpamento”, op. cit., p. 25.

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procedimento” 69 possono intervenire in diverse fasi procedimentali, soprattutto qualora si

intervenga con decreto legislativo delegato (o in corso di formazione della legge di delegazione, o

in relazione alla formazione della legge delegata), ma questa diversa collocazione, la cui dubbia

costituzionalità sarà rilevata nel paragrafo 5, non può spingersi fino al punto di uno snaturamento

o annacquamento degli istituti coinvolti.

Anche con riguardo al ruolo della Regione, più ampio rispetto a quello previsto dallo stesso art.

133, comma 1, della Costituzione, consistente cioè nella formulazione della vera e propria

proposta di riordino da trasmettere al Governo, sorgono alcuni dubbi. Se, infatti, quelli risultanti

dalla Costituzione sono limiti negativi nell’ambito e nell’osservanza dei quali le opzioni contenute

nella legge e negli atti normativi aventi forza di legge rappresentano il frutto di valutazioni

politiche insindacabili da parte della Corte costituzione70, l’attribuzione di una competenza più

vasta, da parte dell’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012, non poteva non porsi in contrasto

proprio con questo limite. L’art. 133, comma 1, del Testo fondamentale, nel prevedere

l’espressione del parere, intende limitare e circoscrivere il ruolo delle Regioni ad ordinamento

comune unicamente a questa fase, funzionale solo ad offrire al legislatore statale il punto di vista

regionale in merito a variazioni di circoscrizioni provinciali ricadenti nel proprio territorio, la cu

iniziativa è sempre riconducibile ai Comuni. L’adesione alla tesi sopra riportata avrebbe

comportato uno stravolgimento della logica dell’art. 133, comma 1, Cost. Infatti, non solo il ruolo

della Regione non poteva dirsi “equivalente” a quello della norma costituzionale invocata a

parametro, in quanto un’ipotesi di riordino non è un’iniziativa71, ma ne stravolgeva anche la

finalità, dal momento che trasformava il punto di partenza del procedimento rinforzato nella

proposta regionale72. Inoltre, se nel caso di variazioni territoriali più rilevanti, quali il passaggio di

Comuni e Province da una Regione ad un’altra ai sensi dell’art. 132, comma 2, Cost., il parere

obbligatorio e non vincolante espresso dai Consigli regionali 73 ha come compito quello di

69

Così si esprime il punto 3 del cons. in dir. della sentenza n. 347/1994 Corte cost. Sul punto specifico M.

BETZU, Crucifige Provinciam! L’ente intermedio di area vasta al tempo della crisi, in www.federalismi.it, n.

21/2013, p. 9. 70

Cfr., L. PALADIN, Diritto Costitiuzionale, Padova, Cedam, 1998, pp. 164-165. 71

Cfr., P. CIARLO, Sul riordino delle Province di cui all’art. 17 del decreto-legge 06 luglio 2012, n. 95, come

convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 07 agosto 2012, n. 135 e sulla conseguente deliberazione del

Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, op. cit., p. 8. 72

Cfr., A. DEFFENU, Il ridimensionamento delle Province nell’ epoca dell’emergenza finanziaria tra riduzione

delle funzioni, soppressione dell’elezione diretta e accorpamento”, op. cit., p. 24. 73

Si veda, per un inquadramento del parere dei Consigli regionali nell’iter di modifica del territorio regionale ai

sensi del comma 2 dell’art. 132 della Carta, il lavoro di M. P. GORLERO, Le variazioni territoriali delle

Regioni, Vol. II, Padova, Cedam, 1991. Recentemente, poi, il contributo di I. CARLOTTO, Il parere dei

Consigli regionali nel procedimento di variazione territoriale di distacco-aggregazione ex art. 132, secondo

comma, della Costituzione, in Le Regioni, n. 3/2012, pp. 525-554.

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assicurare “l’emersione e la valutazione degli interessi locali contrapposti o anche non

integralmente concordanti con quelli espressi attraverso la soluzione della rigida alternativa

propria dell’istituto referendario” 74 , per quale ragione, in ipotesi di modifica territoriale più

contenute, il parere della Regione dovrebbe addirittura concretizzarsi in un’autonoma ipotesi di

riordino da trasmettere al Governo?

Infine, in merito all’utilizzo della legge della Repubblica quale fonte di produzione del diritto

idonea a procedere in via definitiva al riordino delle Province, il contenuto attribuitole dall’art. 17,

comma 475, del decreto-legge n. 95/2012 non poteva certo considerarsi in linea con l’art. 133,

comma 1. La lettura che viene data non sembra tener conto della finalità che la Costituzione

affida al Parlamento al momento della discussione della eventuale legge di modifica delle

circoscrizioni provinciali o istitutiva di nuove Province. La Corte costituzionale, nella sentenza n.

347/1994, aveva indicato contenuti e obiettivi della “legge della Repubblica” di cui al comma 1

dell’art. 133 Cost., consistenti nel valutazione dell’idoneità e l’adeguatezza dell’ambito territoriale

destinato a costituire la nuova Provincia, oppure ad essere oggetto di modifica76. La norma

costituzionale non esclude, secondo il giudice delle leggi, che gli interventi sul territorio delle

Province possano essere effettuati, “oltre che con legge formale delle Camere, anche mediante il

ricorso ad una delega legislativa, nel rispetto dei limiti richiamati dall’art. 76 della Costituzione”77,

né preclude adempimenti procedurali destinati a rinforzare il procedimento sia nella fase di

formazione della eventuale legge di delegazione, sia successivamente alla stessa78, ma non può

pervenire fino al punto di sopprimere Province esistenti e ridistribuirne il territorio tra quelle

rimaste, salvo che vi fosse un’iniziativa contemporanea di tutti i Comuni insediati all’interno di

una Provincia interessati al passaggio ad altra circoscrizione provinciale contermine e questa fosse

74

Così il punto 2.1. del cons. in dir. della sentenza n. 334/2004 Corte cost. 75

L’art. 17, comma 4, del decreto-legge n. 95/2012 parlava di “atto di iniziativa legislativa”, intendendo, con

questa espressione, un disegno di legge che il Governo doveva presentare alle Camere, non certamente un

decreto-legge come poi, invece, è stato fatto: cfr., V. ONIDA, Parere sui profili di legittimità costituzionale

dell’art. 17 del d.l. n. 95del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, in tema di riordino delle Province e delle

loro funzioni, op. cit., pp. 19-20. Ovviamente, prosegue Onida, l’atto legislativo che disponeva il riordino poteva

derogare ai requisiti minimi stabiliti con la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 24 luglio 2012,

trattandosi di atto di legislazione ordinaria, ossia dello stesso rango di quello che aveva disciplinato la procedura

di riordino. 76

Cfr., punto 4 del cons. in dir. della sentenza n. 347/1994. Si veda, a riguardo, F. FABRIZZI, La Provincia.

Analisi dell’ente locale più discusso, op. cit., p. 186. 77

Sulla non delegabilità delle leggi rinforzate A. CERRI, voce Delega legislativa, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè,

1993, p. 7 e ss. Parla, invece, di riserva di legge non formale, in senso conforme alla sentenza n. 347/1994 della

Corte costituzionale C. MAINARDIS, Art. 133 Cost., in S. BARTOLE – R. BIN (a cura di), Commenatrio breve

alla Costituzione, Padova, Cedam, 2008, p. 1144. 78

Questo era avvenuto nel caso sottoposto all’attenzione della Corte concernente l’istituzione della nuova

Provincia di Lodi in merito al parere della Regione. Si veda, su questo ulteriore passaggio della Corte

costituzionale, F. FABRIZZI, La Provincia. Analisi dell’ente locale più discusso, op. cit., pp. 185-186.

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valutata dalle Camere conforme all’interesse dell’intero ordinamento costituzionale. La legge

nazionale, dunque, secondo “lo spirito” dell’art. 133, comma 1, come del resto pare confermato

anche dalla pronuncia del giudice delle leggi sopra ricordata, assumerebbe esclusivamente un

ruolo sussidiario di garanzia del rispetto del procedimento e dei requisiti79, nonché di verifica della

conformità dell’iniziativa comunale all’interesse generale80, anche indipendentemente da un parere

regionale di modifica del contenuto della stessa81. Al rilievo per il quale solo in un contesto di

modifica della circoscrizione di una singola Provincia varrebbe la tesi esposta, si può replicare

richiamando il carattere fittizio della distinzione riordini complessivi e riordini puntuali delle

Province che si è cercato di dimostrare nel corso del secondo paragrafo del presente lavoro.

4. L’art. 133, comma 1, della Costituzione nella sentenza n. 220/2013 della Corte

costituzionale

Tra i mesi di gennaio e febbraio 2012 le Regioni ad ordinamento comune Piemonte, Lombardia,

Veneto, Molise, Lazio e Campania e le Regioni a Statuto speciale Valle d’Aosta/Valleè d’Aoste,

Friuli-Venezia Giulia e Sardegna avevano sollevato, in via d’azione ex art. 127, comma 2 Cost.,

questione di legittimità costituzionale sulle disposizioni normative82 del decreto-legge n. 201/2011

(c.d. salva Italia), convertito con modificazioni nella legge n. 214/2011, che ridisegnavano il

sistema elettorale e l’assetto della forma di governo dell’ente Provincia83. In seguito, con l’entrata

in vigore del decreto-legge n. 95/2012, convertito con modificazioni nella legge n. 135/2012, le

medesime Regioni, con l’esclusione della Valle d’Aosta/Valleè d’Aoste e l’aggiunta della Calabria,

avevano impugnato innanzi alla Corte costituzionale l’art. 17 del decreto n. 95/2012, invocando,

79

In merito alla tesi secondo la quale le Camere potrebbero soltanto sanzionare l’iniziativa dei Comuni,

accogliendola o respingendola, in quanto lo Stato, non avendo alcun potere di iniziativa, non potrebbe

modificare le proposte dei Comuni, si veda G. BALLADORE PALLIERI, Diritto Costituzionale, Milano,

Giuffrè, 1976, p. 484. Sulla stessa linea, A. BARDUSCO, Lo Stato regionale italiano, Milano, Giuffrè, 1980, p.

67. Quest’ultimo autore nega il valore costitutivo della delibera legislativa a favore della manifestazione di

volontà delle comunità locali. Contra, P. COSTANZO, Profili costituzionalistici dell’istituzione di nuove

Province, op. cit., p. 1351. 80

Cfr., punto 3 del cons. in dir. della sentenza n. 347/1994 e L. MOLLICA POETA, Il procedimento di modifica

delle circoscrizioni provinciali nel d.l. n. 95/2012, op. cit., p. 7. 81

Cfr., in merito all’inidoneità del parere regionale di modificare il contenuto dell’iniziativa comunale, E.

FERIOLI, Art. 133 Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla

Costituzione, Torino, Utet, 2006, p. 2551. 82

Si trattava dell’art. 23, commi dal 14 al 20 bis, del decreto-legge n. 201/2011. 83

Per un quadro dettagliato dei ricorsi e dei parametri invocati dalle Regioni si veda il contributo di A.

LORENZETTI, Le Province a giudizio: quadro sinottico dei ricorsi delle Regioni avanti la Corte costituzionale,

in www.forumcostituzionale.it, 26 ottobre 2012.

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tra i parametri di giudizio, proprio l’art. 133, comma 1, della Costituzione84. Per esse la normativa

introdotta dai commi 1 e 4 dell’art. 17 del provvedimento governativo d’urgenza sarebbe stata

illegittima, “in quanto il riordino territoriale delle Province potrebbe essere attuato soltanto con la

legge statale prevista dall’art. 133 Cost., che è legge-provvedimento a contenuto vincolato dalla

proposta, preceduta dall’iniziativa dei Comuni e dal parere della Regione interessata”85.

La discussione sulla portata applicativa dell’art. 133, comma 1, Cost., fino all’entrata in vigore

della normativa sul riordino delle Province, non aveva costituito argomento molto dibattuto86. Il

contributo del giudice delle leggi, pertanto, risulta particolarmente interessante, inserendosi nella

discussione sviluppatasi in dottrina nei mesi antecedenti la pronuncia della Consulta. I giudici

costituzionali, nel prendere in esame la normativa impugnata rispetto all’art. 133 della

Costituzione, hanno precisato l’ambito di applicazione della norma costituzionale in stretta

connessione con il tipo di fonte utilizzato dal Governo. In altri termini, l’Esecutivo sarebbe

incappato in un vizio di eccesso di potere, nella “misura in cui ha ritenuto di intervenire nella

materia de qua con lo strumento del decreto-legge87 e non attivando il procedimento legislativo nei

termini rinforzati di cui all’art. 133, primo comma, Cost., ovvero con una riforma organica

contenuta in un disegno di legge costituzionale88. Scegliendo la via della decretazione legislativa

d’urgenza, il Governo ha operato un’incompatibilità logica e giuridica89 tra il decreto-legge90, che

84

L’unica Regione a non aver invocato, nel proprio ricorso, l’art. 133, comma 1, della Costituzione, quale

parametro di costituzionalità, era il Piemonte. 85

Cfr., il punto 22.6 del cons. in fatto della sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale. 86

Cfr., M. BERTOLISSI, Art. 133 Cost., in V. CRISAFULLI – L. PALADIN (a cura di), Commentario breve

alla Costituzione, Padova, Cedam, 1990, p. 470. 87

Diverso il discorso per l’utilizzo della legge di delegazione ai sensi dell’art. 76 della Carta, su cui peraltro era

già intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 347/1994, dal momento che è strumento idoneo a

rispondere alle esigenze partecipative dei Comuni e, più in generale, è rispettoso della procedura rinforzata di cui

all’art. 133, comma 1, Cost.: sul punto de quo, A. SEVERINI, La riforma delle Province, con decreto-legge,

“non s’ha da fare”, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, luglio 2013, p. 3. La Corte, inoltre, circoscrive

l’uso del decreto-legge solo per interventi specifici e puntuali e non per riforme organiche e di sistema. Il

riferimento agli interventi specifici e puntuali non trova riscontro nell’art. 77, comma 2, Cost., che parla invece

di “provvedimenti provvisori”. Sul punto la dottrina è divisa: per alcuni (A. CELOTTO, L’abuso del decreto

legge, Padova, Cedam, 1997, p. 450 e ss.) la “provvedimentalità” del decreto presuppone comandi giuridici

puntuali e concreti, per altri (C. ESPOSITO, voce Decreto legge, in Enc. Dir., Vol XI, Milano, Giuffè, 1962, p.

844) il decreto-legge ben potrebbe introdurre norme generali ed astratte. Nella sentenza n. 220/2013 la Corte

costituzionale pare far propria la prima ricostruzione dottrinale. 88

Cfr., R. DICKMANN, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo d’uso del decreto-legge, in

www.giurcost.org., 2013, p. 4. 89

Sul punto si rinvia al recente contributo dottrinale di M. GORLANI, La “nuova” Provincia: l’avvio di una

rivoluzione nell’assetto territoriale italiano, in www.forumcostituzionale.it, 31 agosto 2014, pp. 10-11. 90

Va precisato, come peraltro evidenziato recentemente dalla dottrina (C. PADULA, Quale futuro per le

Province? Riflessioni sui vincoli costituzionali in materia di Province, op. cit., p. 382; G. BOGGERO, I limiti

costituzionali al riordino complessivo delle Province nella sentenza della Corte costituzionale n. 220/2013, in

www.astrid-online.it, 25 febbraio 2014, p. 21), che le norme del decreto-legge n. 95/2012 non producevano una

modifica dei confini territoriali, ma si limitavano a stabilire una procedura per l’esercizio dell’iniziativa dei

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può essere adottato unicamente in presenza dei presupposti giustificativi indicati all’art. 77,

comma 2, Cost., e la necessaria iniziativa dei Comuni 91 , frutto “di una maturazione e

concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto

quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni ed

interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali”92. Da questa premessa è possibile desumere

due punti fermi, tali da vincolare il legislatore ordinario ogniqualvolta decida di intervenire in

materia di variazione territoriale delle Province. Il primo consiste nella “indefettibilità” 93 del

procedimento rinforzato indicato nell’art. 133, comma 1, Cost., applicabile ad ogni tipo di

modifica o revisione delle circoscrizioni provinciali, già comunque ammesso implicitamente dalla

Corte costituzionale nella sentenza n. 230/2001, quando aveva riconosciuto ad una norma,

contenuta nello Statuto speciale della Regione Sardegna 94 , capacità derogatoria rispetto alla

generale disciplina di istituzione di nuove Province in quanto avente rango costituzionale95. Il

secondo punto fermo, che in realtà costituisce la base logico-giuridica del primo, consiste nella

giustificazione/spiegazione della scelta dei Costituenti di far iniziare il procedimento di modifica

delle circoscrizioni provinciali dall’iniziativa dei Comuni. Questa, assieme al parere obbligatorio

ma non vincolante dato dalla Regione, rappresenta il “particolare ed insostituibile presupposto

della stessa iniziativa legislativa”96 al fine di evitare, ha precisato la Corte, che ogni intervento in

termini di mutamento del territorio delle Province sia il portato di una decisione politica calata

dall’alto, ma il risultato di un’attività di impulso ad opera delle popolazioni interessate attraverso il

Comuni, necessitata (e non spontanea), integrata nel procedimento legislativo e non antecedente ad esso. Per

questo motivo la Corte “è stata costretta ad esprimersi sul requisito temporale dell’iniziativa dei Comuni”

(ancora G. BOGGERO, I limiti costituzionali al riordino complessivo delle Province nella sentenza della Corte

costituzionale n. 220/2013, op. cit., p. 21) ai fini della dimostrazione della incompatibilità logica tra decreto-

legge e riordino globale della geografia provinciale, sfociando però nell’obiter dictum. Palazzo della Consulta,

quindi, avrebbe dovuto censurare l’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012 per l’omessa previsione dell’iniziativa

legislativa come prevista dall’art. 133, comma 1, Cost., invece ha censurato il decreto-legge benché non

sopprimesse alcunché (così C. PADULA, Quale futuro per le Province? Riflessioni sui vincoli costituzionali in

materia di Province, op. cit., p. 382). 91

Ancora, R. DICKMANN, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo d’uso del decreto-legge, op. cit., p. 5. 92

Cfr., il punto 12.2. del cons. in dir. della sentenza n. 220/2013 Corte cost. Sulla contraddizione tra la natura

provvisoria e straordinaria del decreto-legge e la materia ordinamento delle Province-modifica della loro

circoscrizione cfr., N. MACCABIANI, Limiti logici (ancor prima che giuridici) alla decretazione d’urgenza

nella sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 2013, in Giur. Cost., n. 4/2013, p. 3247. 93

Si veda il punto 12.2. del cons. in dir. della sent. n. 220/2013 Corte cost. 94

Si trattava della delibera legislativa della Regione Sardegna del 14 aprile 2000, riapprovata il 6 giugno 2000,

concernente la “istituzione delle Province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell’Ogliastra e di Olbia-

Tempio”, ritenendo che essa comportava la violazione dell’art. 3, lettera b), dello Statuto regionale (legge

costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3). 95

Cfr., il punto 3.1. del cons in dir. della sent. n. 230/2001 Corte cost. 96

Cfr., R. DICKMANN, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo d’uso del decreto-legge, op. cit., p. 5.

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filtro dell’iniziativa comunale97. Il giudice costituzionale, in questo modo, conscio della supposta

mancanza nell’art. 133, comma 1, della Costituzione di un forte legame con la collettività

rappresentata, o meglio di una sorta di “garanzia minore” del territorio della Provincia rispetto a

quello degli altri enti autonomi98 (si pensi alle ipotesi di istituzione di nuovi Comuni e modifica

delle circoscrizioni comunali esistenti ex art. 133, comma 2, Cost. e alle variazioni territoriali delle

Regioni ex art. 132, commi 1 e 2, Cost.), vuole interrompere una prassi parlamentare99 evolutasi

“nel senso di ammettere l’avvio del procedimento legislativo anche in assenza dell’iniziativa delle

popolazioni o dei Comuni interessati da variazioni dell’ambito regionale o provinciale di

riferimento ai sensi degli artt. 132 e 133 Cost., acquisibili successivamente nel corso del

procedimento stesso”100, nonché precludere al legislatore ordinario ogni possibile declassamento

degli istituti coinvolti nell’iter di modifica territoriale previsto dalla norma costituzionale invocata

a parametro101, ad esempio trasformando l’iniziativa dei Comuni in un parere, peraltro ad opera

dei Consigli delle autonomie locali, come prevedeva l’art. 17 del decreto-legge n. 95/2012. Un

declassamento che non sarebbe legittimo anche se rispettoso del percorso ascensionale delineato

dall’art. 133, comma 1, del Testo fondamentale, poiché ridimensionerebbe il ruolo delle

popolazioni interessate, già fortemente compromesso dal legislatore costituzionale per la

“colposa dimenticanza” della menzione delle comunità provinciali102. Un ruolo di indubbio rilievo

costituzionale proprio in ragione del richiamo delle “popolazioni interessate” di Comuni e Province

da parte del novellato art. 132, comma 2, della Costituzione nell’ambito del procedimento di

variazione territoriale delle Regioni103.

97

Si prenda in considerazione il punto 12.2. del cons. in dir. della sentenza n. 220/2013 Corte cost. 98

Si esprime così L. TRUCCHIA, Variazioni territoriali e di Governo. La dimensione degli interesi e il ruolo

del territorio, in M. CAMMELLI (a cura di), Territorialità e delocalizzazione nel governo locale, Bologna, Il

Mulino, 2007, p. 646. 99

Si veda, in merito, R. DICKMANN, L’organizzazione del processo legislativo, Napoli, Jovene, 2006, pp. 237-

244. 100

Cfr., R. DICKMANN, La Corte costituzionale si pronuncia sul modo d’uso del decreto-legge, op. cit., p. 5,

nt. 10 e G. DI MUCCIO, La modifica dei confini delle Regioni: l’art. 132 della Costituzione nell’esperienza del

legislatore, in www.federalismi.it, n. 12/2013. 101

Sul problema del declassamento degli istituti coinvolti all’interno dell’art. 133, comma 1, della Costituzione

ad opera del decreto-legge n. 95/2012 si rinvia a A. SEVERINI, La riforma delle Province, con decreto-legge,

“non s’ha da fare”, op. cit., p. 4. 102

L’espressione è di P. GIOCOLI NACCI, Enti territoriali e mutamento dei territori, op. cit., p. 156. Anche

parte della dottrina ha manifestato una certa perplessità, soprattutto confrontando l’art. 133, comma 1, della

Costituzione con il comma 2 e l’art. 132: cfr., F. PIZZETTI, Il sistema costituzionale delle autonomie locali,

Milano, Giuffrè, 1979, p. 438. 103

Il fatto che l’art. 133, comma 1, del Testo costituzionale, diversamente dall’art. 132, commi 1 e 2, non

menzioni le popolazioni interessate, fa ritenere che il referendum, pur possibile, non è obbligatorio: in questo

senso B. CARAVITA DI TORITTO, voce Territorio, op. cit., p. 5.

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La necessità, dunque, secondo la Corte costituzionale, di seguire sempre e comunque la norma

dell’art. 133, comma 1, Cost. per ogni ipotesi di modifica del territorio provinciale è garanzia del

giusto contemperamento tra unità e pluralismo 104 . In una logica di pluralismo istituzionale

paritario, come quello delineatosi a seguito della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 di

riforma del Titolo V, ove i pubblici poteri sono distribuiti tra diverse organizzazioni, soprattutto

territoriali105 , è evidente che il territorio non assume semplicemente un valore geofisico, ma

rappresenta l’elemento costitutivo di una data comunità perché, in ogni sua parte, c’è l’intera

collettività106. Pertanto, la “rigidità” 107 ai cambiamenti territoriali non vuole costituire un ostacolo

alla revisione generale delle circoscrizioni provinciali, ma semmai il riconoscimento, alla luce

dell’art. 5 della Carta, del carattere esponenziale da parte dell’ente Provincia della popolazione che

sul territorio vive e coltiva i propri interessi, sebbene in un rapporto mediato dai Comuni108. In

altri termini, un vero e proprio ente, come lo qualificò Feliciano Benvenuti, idoneo ad individuare

“le esigenze della vita fisica e culturale della sua comunità”109, specialmente a seguito dell’entrata

in vigore della legge ordinaria dello Stato n. 142/1990110 ed il rafforzamento del sistema delle

autonomie operato dalla legge costituzionale n. 3/2001111.

In questo modo la Corte indirettamente puntualizza e richiama la posizione degli enti locali nella

Costituzione: essi, cioè, non sono tali in ragione del loro operare all’interno delle circoscrizioni

regionali, ma per quei caratteri che la dottrina prevalente ha messo in evidenza come loro

104

Cfr., I. CIOLLI, Il territorio rappresentato. Profili costituzionali, Napoli, Jovene, 2010, p. 164. 105

Così, A. PIZZORUSSO, Minoranze e Maggioranze, Torino, Einaudi, 1993, p. 72. 106

Cfr., M. BERTOLISSI, Un giorno dopo l’altro, Napoli, Jovene, 2010, p. 29. In dottrina, la comunità, di cui

l’ente è espressione, è stata definita “elemento reale” in perfetta sintonia con l’impostazione “personalista” e,

quindi, “realista” della Costituzione: si vedano le considerazioni condotte da M. NIGRO, Gli enti pubblici con

dimensione territorialmente definita: problemi vecchi ed esperienze nuove, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., n. 2/1976,

p. 533. 107

L’espressione è di I. CIOLLI, Il territorio rappresentato. Profili costituzionali, op. cit., p. 161. 108

Cfr., R. NANIA, La questione della Provincia tra istanza rappresentativa e sistema delle autonomie

territoriali, in M. MANETTI – A. FROSINI (a cura di), Riforma delle Province e sistema delle autonomie

locali, Rimini, Maggioli, 2012, p. 50. 109

Cfr., F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione Italiana. Linee positive e prospettive, Padova, Cedam,

1996, p. 150. 110

Per una ricostruzione dell’evoluzione delle autonomie locali territoriali in Italia G. VESPERINI, I poteri

locali, 2 Voll., Roma, Donzelli, 2001. Sempre sul punto, S. MANGIAMELI, La Provincia: dall’Assemblea

Costituente alla riforma del Titolo V, op. cit., p. 1 e ss.; P. AIMO, Stato e poteri locali in Italia. Dal 1848 ad

oggi, Roma, Carrocci, 2010. 111

Cfr., G. C. DE MARTIN, Il sistema delle autonomie dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in

www.astrid-online.it, 03 ottobre 2011, p. 1 e ss.

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propri112, ossia territorialità, autonomia amministrativa e di indirizzo politico e rappresentatività

delle rispettive comunità territoriali113.

5. L’art. 133, comma 1, Cost. contiene una riserva di legge formale?

Resta aperto un problema. Ci si potrebbe chiedere, infatti, se l’incompatibilità tra decreto-legge e

riordino globale delle Province possa valere anche se si dovesse intervenire con la legge ordinaria.

La Corte costituzionale, nella sentenza in commento, pare non voler prendere posizione114. Prima

la Corte riporta la tesi dell’Avvocatura sulla non applicabilità dell’art. 133, comma 1, Cost. a

riordini generale delle circoscrizioni provinciali, poi osserva che “a prescindere da ogni

valutazione sulla fondatezza del merito di tale argomentazione con riferimento alla legge

ordinaria, occorre ribadire che a fortiori si deve ritenere non utilizzabile lo strumento del decreto-

legge quando si intende procedere al riordino circoscrizionale globale, giacché all’incompatibilità

dell’atto normativo urgente con la prescritta iniziativa dei Comuni……115”. Ad avviso di chi

scrive, però, altri elementi della sentenza n. 220/2013 Corte cost. potrebbero aiutare a superare

l’impasse e a portare ad escludere un intervento del legislatore con legge ordinaria al di fuori

dell’ipotesi dell’art. 133, comma 1, della Costituzione. Esplicitando un principio inespresso nella

sentenza n. 230/2001116, quello della indefettibilità del procedimento rinforzato contenuto nella

norma costituzionale sopra richiamata, Palazzo della Consulta ha lasciato intendere che non vi

sono zone d’ombra sul piano dell’applicabilità dell’art. 133, comma 1, Cost., ossia il fatto che esso

non possa mai venir meno qualora si decida di intervenire sulla modifica delle circoscrizioni

provinciali. La Corte riferisce l’indefettibilità del procedimento non solo in relazione alla

particolare natura del decreto-legge, poiché, se così fosse e si ammettesse una sua deroga in

ipotesi di utilizzo di altre fonti-atto diverse dalla decretazione legislativa d’urgenza, esso

112

Si vedano, in proposito, i contributi di G.C. DE MARTIN, voce Enti pubblici territoriali, in Dig. Discipl.

Pubbl., Vol. VI, Torino, Utet, 1991, p. 3 e ss.; F. PIZZETTI, Sulla nozione di ente locale nel sistema

costituzionale, in Le Regioni, 1975, p. 1105 e ss. 113

Cfr., L. CASTELLI, Il territorio degli enti locali in Italia: caratteri, dimensioni, mutamenti, in S.

MANGIAMELI (a cura di), Federalism, Regionalism and Territory, Milano, Giuffrè, 2013, p. 357 e ss. Sebbene

le Province, al pari dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni, siano prive ex se di sovranità, sono

comunque formate da cittadini sovrani ai quali compete l’esercizio della sovranità “nelle forme e nei limiti della

Costituzione” come recita l’art. 1: così si esprime E. MINNEI, Territorio, in Federalismo Fiscale, n. 2/2008, p.

300. 114

In questa direzione C. PADULA, Quale futuro per le Province? Riflessioni sui vincoli costituzionali in

materia di Province, op. cit., p. 383 e G. MARCHETTI, Alcune considerazioni sul recente processo di riforma

del sistema delle autonomie territoriali, in www.csfederalismo.it, 30 giugno 2014. 115

Così nel punto 12.2 del cons. in dir. della sent. n. 220/2013 Corte cost. 116

Per un commento alla sentenza citata G. DEMURO, La istituzione di nuove Province tra principio di

uguaglianza e ragioni della specialità, in Le Regioni, n. 1/2002, p. 162 e ss.

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perderebbe l’attributo della indefettibilità, restando oggetto di valutazione discrezionale del

legislatore allorquando decide di intervenire con legge ordinaria. Inoltre, richiamando il dibattito

svoltosi all’interno dell’Assemblea Costituente durante la fase di approvazione dell’art. 133,

comma 1, Cost., la Corte ha precisato come l’esigenza di modificazione del territorio delle

Province richiedesse “iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i loro più immediati

enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte dall’alto” 117 ,

valorizzando in questo modo il carattere autonomistico e democratico delle iniziative comunali118.

Viene da chiedersi, allora, perché solo in caso di utilizzo del decreto-legge dovrebbe essere

garantita questa esigenza e non anche quando si intende intervenire con fonti diverse? Se così

non fosse, se il legislatore potesse, utilizzando la legge ordinaria, procedere a riordini generali

indipendentemente dall’art. 133, comma 1, Cost., si porrebbe in violazione non solo di un

procedimento di variazione di tipo ascensionale, ma soprattutto del principio che quel

procedimento cerca di rendere operativo: il rilievo per una concezione pluralistica della

democrazia 119 tesa ad aumentare i centri titolari del potere politico e non a restringerli o

diminuirli.

Infine, resta da chiedersi quali sono le conseguenze dell’applicazione del principio della

indefettibilità rispetto all’utilizzo, in materia di modifica della circoscrizioni provinciali o di nuova

istituzione, della legge di delegazione. La Corte costituzionale, riguardo alla vicenda della

Provincia di Lodi, aveva sostenuto, nella sentenza n. 347/1994, che l’iniziativa dei Comuni era

compatibile con la delegazione legislativa, potendo trovare collocazione prima dell’approvazione

della legge di delega, oppure prima dell’adozione del decreto legislativo delegato. Alla luce delle

valutazioni espresse dalla Corte nella sentenza n. 220/2013, si potrebbe ancora ritenere

insuperata questa giurisprudenza? A me pare che l’indefettibilità del procedimento di cui al

comma 1 dell’art. 133 della Carta non solo presupponga che l’iter legislativo sia rinforzato, per

dirla con Temistocle Martines, da adempimenti “aggiuntivi”120 in ogni ipotesi di intervento sul

territorio delle Province, ma che sia rispettata la loro precedenza rispetto alla fase antecedente il

deposito del disegno di legge. Infatti, com’è stato osservato, se l’iniziativa dovesse subentrare

117

Si veda sempre il punto 12.2. del cons. in dir. della sent. n. 220/2013 Corte cost. Fu l’emendamento proposto

dall’on. Raffaele Recca (Democrazia Cristiana), approvato il 17 luglio 1947, a cambiare il testo originario

dell’art. 133, comma 1, Cost. (“L’istituzione di nuove Province è stabilita con legge della Repubblica, sentite le

popolazioni interessate”). Il dato è riportato con precisione da G. BOGGERO, I limiti costituzionali al riordino

complessivo delle Province nella sentenza della Corte costituzionale n. 220/2013, op. cit., p. 22. 118

Cfr., M. MASSA, Come non si devono riformare le Province, in Le Regioni, nn. 5-6/2013, p. 1176. 119

Cfr., L. FERRARO, I referendum di variazione territoriale: un dibattito oltremodo attuale, in F. PINTO (a

cura di), Il nuovo regionalismo nel sistema delle fonti, Torino, Giappichelli, 2004, p. 54. 120

Cfr., T. MARTINES, Diritto Costituzionale, Milano, Giuffrè, 2013, p. 96.

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prima dell’approvazione della legge-delega, si ridurrebbe a mero presupposto per la conclusione

del procedimento, perdendo quella connotazione di condizione di ammissibilità per la

presentazione del disegno di legge121 , utile anche per la determinazione dei principi e criteri

direttivi richiesti dall’art. 76 della Costituzione; viceversa, se dovesse intervenire dopo la sua

approvazione e prima dell’adozione da parte del Governo del decreto legislativo delegato,

l’iniziativa “equivarrebbe ad un parere o ad un assenso o ancora, nel migliore dei casi, ad una

forma di partecipazione dei Comuni all’iniziativa legislativa”122. In altri termini, la presentazione

del disegno di legge-delega da parte del Parlamento dovrebbe essere sempre preceduta

dall’iniziativa comunale e dal parere della Regione123, sebbene l’organo legislativo rimanga libero

di approvare l’istituzione della nuova Provincia o la modifica di quelle esistenti. Tuttavia, dubbi

sorgono sulla stessa ammissibilità dell’utilizzo della delega legislativa in materia. È vero che il

giudice delle leggi, nella ricordata sentenza n. 347/1994, si era espresso favorevolmente, ma non

aveva sostenuto la tesi con solide argomentazioni, limitandosi semplicemente ad escludere il

principio di non delegabilità delle leggi-provvedimento, sul quale peraltro la Corte era già

pronunciata in senso favorevole con la sentenza n. 60/1957. In realtà quello che qui rileva è il

particolare contenuto della legge-provvedimento di cui all’art. 133, comma 1, della Costituzione

ed il ruolo del Parlamento al momento della discussione in merito all’istituzione di una nuova

Provincia o alla modifica delle circoscrizioni provinciali esistenti, consistente nella valutazione

della congruità dell’iniziativa comunale e del punto di vista espresso dal Consiglio regionale

rispetto all’interesse generale dell’intero ordinamento costituzionale. Si tratta di una verifica che

può avvenire solo a livello parlamentare, luogo di emersione e sintesi dei diversi interessi

contrapposti. La delega altererebbe questa dimensione di confronto, poiché l’adozione del

decreto legislativo delegato, istitutivo della nuova Provincia o modificativo di confini territoriali

già determinati, rispecchierebbe unicamente la valutazione della maggioranza politica che sostiene

l’Esecutivo, venendo meno così il momento di incontro-scontro di interessi potenzialmente. A

questa conclusione, però, si potrebbe replicare sostenendo che nulla esclude che la valutazione

venga effettuata al momento della discussione della legge di delega e che la stessa determinazione

121

Sul punto G. BOGGERO, I limiti costituzionali al riordino complessivo delle Province nella sentenza della

Corte costituzionale n. 220/2013, op. cit., p. 27. 122

Cfr., sul punto, G. BOGGERO, I limiti costituzionali al riordino complessivo delle Province nella sentenza

della Corte costituzionale n. 220/2013, op. cit., p. 27. Sul punto anche E. ROTELLI, Art. 133 Cost., op. cit. p.

207. 123

Qualora la Regione dovesse procastinare sine die la formulazione del suo punto di vista, ben potrebbe il

Parlamento sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale per omissione di un atto prescritto

dalla Costituzione.

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dei principi e criteri direttivi precluderebbe all’Esecutivo margini di manovra, stante

l’impossibilità da parte del Governo di individuare liberamente gli interessi da soddisfare 124 .

Tuttavia, al di là della mancanza di fondate ragioni tali da rendere ancora più complesso un

procedimento di per sé particolarmente articolato, va detto che, una volta ammessa la possibilità

di ricorre alla delega, in sede di adozione di un’eventuale legge delegata in tema di mutamento del

territorio delle Province o di nuova istituzione, al Governo deve spettare comunque una

valutazione circa la meritevolezza o meno dell’iniziativa comunale, altrimenti la delega sarebbe

inutile poiché disciplinerebbe già lei stessa l’intera materia e il decreto legislativo delegato sarebbe

ricondotto “ad una mera scansione linguistica delle previsioni dettate dal delegante”125, quando

invece all’Esecutivo dovrebbe competere di poter “valutare le situazioni giuridiche da

regolamentare e effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di “riempimento” che

lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di quella delegata”126.

Certo, il margine di scelta del Governo non può pervenire fino al punto di stravolgere la finalità

propria della legge di delegazione, ma questa finalità non potrebbe mai tradursi in una valutazione

della congruità della proposta di istituzione o di mutamento rispetto all’interesse generale, dal

momento che sarebbe cancellato qualunque margine di intervento ad opera del Governo.

Pertanto, proprio questo margine di apprezzamento rende la scelta priva di qualunque dialettica

politica. Quanto, infine, al carattere imperativo e non meramente autorizzatorio della legge di

delegazione, per cui una volta approvata il Governo non potrebbe che concludere nel senso

dell’istituzione della nuova Provincia o di variazione del territorio di una esistente, è opportuno

ricordare come parte della dottrina ravvisa nella legge di delega non un dovere, ma un potere

nuovo, con la conseguenza che il Governo non è obbligato ad esercitare la funzione delegata

qualora si trovi in dissenso con i principi e criteri direttivi stabiliti dal Parlamento127 e come

l’unica sanzione astrattamente ipotizzabile, in caso di mancato esercizio della delega, sia

124

Così L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 206-207. 125

Così il punto 5 del cons. in dir. della sent. n. 199/2003 Corte cost. 126

Cfr., il punto 2.1. del cons. in dir. della sent. n. 198/1998 Corte cost. Nella stessa direzione la sent. n.

158/1985, la sent. n. 362/1995 e la sent. n. 199/2003 Corte cost. 127

Cfr., F. CUOCOLO, Istituzioni di Diritto Pubblico, Milano, Giuffrè, 2003, p. 396. Contra G. ABBAMONTE,

Aspetti della delegazione legislativa, in Ann. Macerata, XXIII, Milano, Giuffrè, 1959 e A. BALDASSARRE –

A. CERRI, Decreti legislativi vincolati, in Giur. Cost., 1965, p. 813 e ss.

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unicamente di tipo politico128. Ne consegue, quindi, che sul punto ben potrebbe parlarsi di una

riserva di legge formale129.

Se, invece, si volesse perseguire la via dell’utilizzo della delega legislativa, si dovrebbe considerare

l’istituzione di una nuova Provincia o la modifica del territorio di una Province esistente come

una fattispecie a formazione progressiva, cioè non circoscritta solo all’intervento

istitutivo/modificativo, ma inclusiva anche di tutti gli aspetti concernenti la successione della

nuova Provincia, o di quella che vede “arrivare” i Comuni che si staccano da quella di

appartenenza, nei rapporti giuridici fino a quel momento in essere. Se, quindi, il Parlamento

valuterà l’iniziativa comunale conforme all’interesse generale dell’ordinamento, approverà la legge

di delega, che è legge ordinaria, soddisfando in questo modo la riserva dell’art. 133, comma 1,

Cost. e, nel contempo, potrà delegare al Governo la disciplina normativa concernente la

successione nei rapporti giuridici tra la “vecchia” Provincia e la “nuova”, o tra la “vecchia”

Provincia e quella cui ha teso l’iniziativa comunale.

6. L’art. 133, comma 1, della Carta costituzionale come norma sulla competenza?

Sebbene non costituisse un aspetto di quanto richiesto alla Corte costituzionale, è interessante

chiedersi se l’art. 133, comma 1, Cost., invocato a parametro dalle Regioni, costituisca o meno

titolo legittimante a favore del legislatore statale per interventi normativi 130 in materia di

variazione delle circoscrizioni provinciali. Infatti, a seguito della novella del 2001, con

l’abrogazione dell’art. 128 Cost.131, ci si era chiesti in dottrina132 se era possibile ravvisare una

competenza legislativa regionale di tipo residuale in materia di ordinamento degli enti locali

territoriali, da intendersi in senso ampio tale cioè da ricomprendere anche le variazioni del

128

Cfr., G. TARLI BARBIERI, La delega legislativa nei più recenti sviluppi, in AA. VV., La delega legislativa.

Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2008, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 194-

195. 129

Sul fatto che i procedimenti di variazione territoriale di Comuni, Province e Regioni implichino una riserva

formale di legge cfr., R. BIN – G. PITRUZZELLA, Le fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2012, p. 117. 130

Ad esempio, sulla scia dell’art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000 volti a coordinare le iniziative comunali,

ad indicare il numero minimo di abitanti della istituenda Provincia etcc. 131

Con la norma dell’art. 128 della Costituzione, abrogata dall’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18

ottobre 2001, n. 3, il Costituente aveva inteso da una parte superare il modello dell’autarchia proprio

dell’ordinamento comunale e provinciale allora vigente, dall’altra stabilire una riserva di legge (generale) statale,

cui era affidato il compito di definire i capisaldi dell’organizzazione di Comuni e Province, nonché le loro

funzioni: cfr., F. BENVENUTI, L’ordinamento repubblicano, Venezia, Libreria universitaria, 1965, p. 68 e ss.;

M. BERTOLISSI, Art. 128 Cost., in V. CRISAFULLI – L. PALADIN (a cura di), Commentario breve alla

Costituzione, Padova, Cedam, 1990, p. 764. 132

Cfr., C. NAPOLI, Il livello provinciale nella legislazione “anticrisi” del Governo Monti, op. cit., p. 17.

Riguardo al fatto che, dopo la riforma costituzionale del 2001, la definizione della “materia” sia tornata ad

occupare la scena della giurisprudenza costituzionale, si veda il saggio di R. BIN, I criteri di individuazione

delle materie, in Le Regioni, n. 5/2006, pp. 889-901.

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territorio degli enti locali (Comuni, Province e Città metropolitane), essendo lo Stato competente,

ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione esclusivamente in tema di “legislazione

elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”133. È proprio

sulla base dell’ appartenenza delle ipotesi di variazione territoriale alla materia ordinamento degli

enti locali che “la Corte costituzionale ha potuto riconoscere alle Regioni speciali la potestà di

istituzione di nuove Province (sentenza n. 230/2001) ed alle Regioni ordinarie di disciplinare con

proprie leggi le forme di consultazione delle popolazioni interessate al mutamento delle

circoscrizioni comunali (sentenza n. 94/2000)” 134 . Al di là di queste specifiche situazioni, la

giurisprudenza costituzionale sul punto è stata oscillante135. Se in alcune sentenze, quali la n. 43 e

la n. 377 del 2003 e la n. 159/2008136, la Corte aveva rilevato apoditticamente come il nuovo testo

dell’art. 117 della Costituzione aveva sostanzialmente confermato, attraverso un’interpretazione

estensiva del comma 2, lett. p)137, il previgente sistema ove alle Regioni ad ordinamento comune

era preclusa qualunque competenza in materia di ordinamento degli enti locali, salvo i casi (come

quelli sopra indicati) in cui vi fosse una specifica attribuzione data dalla Costituzione o da altre

leggi costituzionali, in altre, specialmente in materia di Comunità montane, come la n. 244 e 466

del 2005 e, per certi versi, anche la n. 237 del 2009138 e la recente sentenza n. 22/2014, la Corte

aveva negato l’esistenza in capo allo Stato di un titolo generale nella materia de qua, non bastando

133

In ragione del fatto che la materia “ordinamento degli enti locali” non è più richiamata tra quelle di

competenza concorrente, come avveniva in passato, allo Stato spetterebbero solo le tre sub-materie indicate

nell’art. 117, comma 2, lett. p) Cost.: in questo senso, F. MERLONI, Il destino dell’ordinamento degli enti locali

(e del relativo testo unico) nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, nn. 2-3 /2002, pp. 414-419.

Anche il legislatore aveva avvertito il problema se, già a partire dal 2002, riprendendo ipotesi abbozzate in seno

alla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali del 1997, voleva attribuire alle Regioni ordinarie il

compito di intervenire con propria legge per la modifica delle circoscrizioni provinciali. La proposta di legge

costituzionale n. 3457/2002 è stata la prima, dopo la riforma costituzionale del Titolo V, ad andare in questa

direzione. 134

Cfr., P. A. CAPOTOSTI, Parere in ordine all’interpretazione del quadro costituzionale applicabile al

procedimento di riordino delle Province previsto dall’art. 17 del decreto-legge n. 95 del 06 luglio 2012, come

convertito con l. 07 agosto 2012, n. 135, op. cit., p. 16. 135

Cfr., S. PAJNO, Lo strano caso della competenza legislativa in materia di enti locali. Un percorso attraverso

la giurisprudenza costituzionale, in www.federalismi.it, n. 2/2010, pp. 1-18. 136

Già a partire dalla sentenza n. 326/2008, la Corte costituzionale non aveva più affermato l’esistenza di una

competenza statale in materia di enti locali, ma, senza arrivare a riconoscerla in capo alle Regioni, aveva

individuato una sub-materia, “organizzazione degli uffici degli enti locali”, da collocare nell’area coperta

dall’art. 117, comma 4, Cost.: cfr., S. PAJNO, Lo strano caso della competenza legislativa in materia di enti

locali. Un percorso atraverso la giurisprudenza costituzionale, op. cit., p. 11. 137

Sulla necessità di superare il riparto per materie, M. BELLETTI, I criteri seguiti dalla Consulta nella

definizione delle competenze di Stato e Regioni e il superamento del riparto per materie, in Le Regioni, n.

5/2006, pp. 903-931. 138

Nel caso specifico, il problema era rappresentato dall’interferenza tra la materia coordinamento della finanza

pubblica e quella dell’ordinamento delle Comunità montane. In merito, si vedano le nota a sentenza di S.

MUTTONI, Punti fermi in tema di Comunità montane? Prime note a Corte cost., sent. 24 luglio 2009, n. 237, in

Il Diritto della Regione, nn. 3-4/2009, pp. 247-261 e G. DI COSIMO, C’erano una volta le materie residuali

(nota a sentenza n. 237/2009), in Le Regioni, n. 3/2010, pp. 623.

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la qualificazione di ente locale in favore delle Comunità montane per pervenire al riconoscimento

di una competenza statale esclusiva 139 , ad eccezione dei casi di intervento a titolo di

coordinamento della finanza pubblica.

Ad avviso di chi scrive, l’attribuzione in capo alle Regioni, ai sensi del comma 4 dell’art. 117

Cost., della competenza legislativa in tema di variazione territoriale delle Province, e più in

generale in tema di ordinamento degli enti locali, non è sostenibile per almeno tre principali

ragioni. La prima, che costituisce una premessa, è data dall’assenza di spazi rilevanti per la potestà

legislativa regionale residuale140 . Non è sicuramente un aspetto determinante e risolutivo del

problema, ma, anche a causa della vastità delle attribuzioni statali esclusive e ripartite, la potestà di

cui all’art. 117, comma 4, della Carta è stata costretta a muoversi nella ricerca di spazi

“interstiziali”141, da ricavarsi tra le due potestà rivali142. La stessa Corte costituzionale ha sostenuto

in alcune sue pronunce, quali la n. 303 e la n. 370 del 2003 e la n. 196 e n. 370 del 2004, che non

si può sic et simpliciter ricondurre una disciplina legislativa alla competenza residuale regionale per il

solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nel

secondo e terzo comma dell’art. 117 della Costituzione143. Premesso questo aspetto, non credo

possa ritenersi superata, a Carta costituzionale vigente, la giurisprudenza della Corte in materia di

ordinamento degli enti locali mutuabile dalle due sentenze del 2003 e da quella del 2008 sopra

richiamate. E’ vero che Palazzo della Consulta, soprattutto a partire dal 2005, pare aver cambiato

orientamento, ma le sue pronunce hanno fatto riferimento ad enti locali non dotati di autonomia

costituzionale (come le Comunità montane o le diverse forme associative tra Comuni)144, ossia ad

enti che non sono contemplati dall’art. 114 Cost.145. Del resto, quando la Carta, al comma 2

dell’art. 117 lett. p), parla di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, si serve di

un’espressione che non solo individua, secondo una parte della dottrina, una soglia minima ed

139

Ancora, S. PAJNO, Lo strano caso della competenza legislativa in materia di enti locali. Un percorso

attraverso la giurisprudenza costituzionale, op. cit., p. 9. 140

La potestà legislativa residuale delle Regioni è stata definita, utilizzando un kantismo, “noumeno vuoto”: così

S. PARISI, La competenza residuale, in Le Regioni, nn. 2-3/2011, p. 343. 141

Il termine è di G. TARLI BARBIERI, I rapporti tra la legislazione statale e la legislazione regionale, in E.

BETTINELLI – F. RIGANÒ ( a cura di), La riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza

costituzionale, Torino, Giappichelli, 2004, p. 256. 142

Cfr., B. CARAVITA DI TORITTO, L’attività statutaria, legislativa e regolamentare delle Regioni nella VII

legislatura (2000-2005). Introduzione, in www.federalismi.it, n. 6/2005, pp. 1-2. 143

Cfr., L. ANTONINI, Art. 117, commi 2, 3 e 4, Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a

cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, Utet, 2006, p. 2255. 144

Sul ruolo e gli spazi riservati alle Regioni in materia di ordinamento degli enti locali si rinvia al saggio di G.

MARCHETTI, Il governo sul territorio attraverso il princpio di collaborazione tra Regioni ed enti locali,

Centro studi sul federalismo, Torino, giugno 2010, pp. 1-43. 145

Cfr., il punto 4.2.2. del cons. in dir. della sent. n. 22/2014 Corte cost.

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indefettibile di funzioni amministrative da garantire a tutti gli enti locali territoriali146, ma anche,

unitamente alla riserva sugli organi di governo e sulla legislazione elettorale, presuppone una

competenza legislativa esclusiva statale sull’assetto istituzionale147 che non sarebbe mai opportuno

scindere da quello territoriale, in quanto, per mutuare un’espressione utilizzata dalla Corte nella

sentenza n. 220/2013 e poi richiamata anche nella recente sentenza n. 22/2014, “componenti

essenziali dell’intelaiatura degli enti locali” 148.

La seconda ragione, invece, attiene più ad un’argomentazione logica che giuridica. L’attribuzione

alle Regioni ad ordinamento comune della competenza legislativa riguardante il proprio sistema di

autonomie locali creerebbe un problema di coordinamento con l’art. 133, comma 1, della

Costituzione149. La Regione, infatti, si troverebbe a svolgere un doppio ruolo: da una parte di

persona giuridica pubblica che disciplina le condizioni, nel rispetto del procedimento indicato

dalla norma costituzionale, per pervenire a modifiche del territorio delle Province (numero

minimo di abitanti che deve possedere l’ istituenda Provincia o quella che subisce la modifica

della propria circoscrizione etcc.), dall’altra di ente chiamato ad esprimere un parere che, sebbene

non vincolante per il legislatore statale, assume inevitabilmente anche la veste di un controllo sul

rispetto delle condizioni contemplate dalla normativa regionale. Si potrebbe muovere l’obiezione

che questo vale anche se la competenza è attribuita allo Stato, ma, in realtà, il discorso è diverso.

L’esplicarsi della potestà legislativa dello Stato non solo è in grado di assicurare un’uniformità sul

territorio nazionale che le Regioni ordinarie difficilmente riuscirebbero a garantire, ma, come ha

dimostrato la prassi, la previsione normativa dell’art. 21, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 267/2000 ha

assunto un livello di cogenza molto limitato, in quanto ha come scopo unicamente quello di

indirizzare (e non vincolare) i promotori nella formulazione della proposta e il legislatore statale

nella sua valutazione. Sarebbe difficile per le Regioni fare la stessa cosa. Infatti, nell’espressione

del parere, la Regione non ha come parametro, a differenza dello Stato, l’interesse generale

dell’ordinamento, ma solamente la congruità della iniziativa comunale di modifica del territorio

146

Cfr., F. MERLONI, Il destino dell’ordinamento degli enti locali (e del relativo testo unico) nel nuovo Titolo

V della Costituzione, op. cit., p. 415 e A. D’ATENA, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma

del Titolo V, in Le Regioni, nn. 2-3/2002, p. 309. 147

Cfr., in merito, S. MANGIAMELI, Riassetto dell’amministrazione locale, regionale e statale tra le nuove

competenze legislative, autonomie normative ed esigenze di concertazione, in G. BERTI – G. C. DE MARTIN

(a cura di), Il sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Atti del convegno di Roma,

31 gennaio 2002, Roma, Luiss, p. 198 e ss., S. CIVITARESE MATTEUCCI, L’autonomia istituzionale degli

enti locali dopo la revisione del Titolo V , Parte II della Costituzione, in Le Regioni, nn. 1-2/2002, p. 461 e ss. 148

Così il punto 4.1.2 del cons. in dir. della sent. n. 22/2014 Corte cost. 149

Recentemente, la dottrina ha proposto di modificare l’art. 133, comma 1, della Costituzione, nel senso di

attribuire alle Regioni un ruolo di proposta, ai Comuni una funzione consultiva e allo Stato la decisione finale: F.

MERLONI, Qualche ulteriore riflessione sul “nodo delle Province”, in www.astrid-online.it, 06 novembre

2013, p. 6.

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provinciale rispetto al proprio sistema interno di articolazione territoriale delle autonomie locali.

Ne consegue che, se la competenza in materia di variazione delle circoscrizioni provinciali venisse

fatta rientrare nella potestà legislativa residuale, le indicazioni fornite da un’eventuale legge

regionale assumerebbero una cogenza molto più stringente con il pericolo di “comprimere” la

spontaneità di quel diritto all’iniziativa che l’art. 133, comma 1, riconosce in capo ai Comuni.

Inoltre, la questione non implica solo un problema di competenza legislativa, ma presuppone una

precisa decisione sul “ruolo costituzionale dello Stato e delle Regioni nel determinarsi delle

autonomie locali territoriali”150 . Nel nostro ordinamento costituzionale, fondato sul principio

dell’unità repubblicana ove, ai sensi dell’art. 5 Cost., si riconosce e promuove il decentramento

anche istituzionale, è inevitabile, quasi consustanziale, che sia le procedure di istituzione di un

nuovo livello ordinamentale, come la Città metropolitana, sia quelle di modifica delle

circoscrizioni provinciali o di istituzioni di nuove Province, proprio in ragione del fatto che si

interviene su enti dotati di competenze costituzionalmente previste e garantite, siano disciplinate

in modo unitario dalla legge dello Stato151.

La terza ed ultima ragione potrebbe, forse, discendere direttamente dalla lettera dell’art. 133,

comma 1, della Costituzione e dal combinato disposto con altre norme costituzionali. Infatti, in

tutti i casi nei quali la Carta del 1948 utilizza l’espressione “legge della Repubblica”, come nell’art.

122, comma 1, Cost., nell’art. 125, comma 1, Cost. o nell’art. 132, comma 2, Cost., essa è stata

sempre intesa quale legge statale.

7. Il territorio delle Province nella legge ordinaria dello Stato n. 56/2014 e l’uso improprio

dell’art. 133, comma 1, della Costituzione

L’approvazione da parte delle Camere della legge ordinaria dello Stato n. 56/2014 (c.d. legge

Delrio), pur non intervenendo sul piano del riordino di tutte le circoscrizioni provinciali, ma solo

riguardo la composizione degli organi e le funzioni amministrative, pone qualche problema di

costituzionalità, rispetto all’art. 133, comma 1, della Costituzione, laddove prevede la

soppressione 152 di quelle Province che insistono sul territorio di istituzione delle Città

150

Cfr., G. M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza all’istituzione delle

Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, in www.federalismi.it, n. 1/2014, pp. 11-12. 151

Ancora sul punto G. M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza

all’istituzione delle Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, op. cit., pp. 11-12. 152

Le Province, a seguito della istituzione delle Città metropolitane, scendono dal 107 a 97: cfr., A.

PIROZZOLI, La riforma delle Province: un’altalena normativa, in

www.associazioneitalianadeicostituzionalisti.it (Osservatorio), aprile 2014, p. 1.

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metropolitane indicate all’art. 1, comma 5153, della legge n. 56/2014154. Infatti, quando l’art. 1,

comma 6, della legge sopra menzionata prevede che “il territorio della Città metropolitana coincide con

quello della Provincia omonima”, opera direttamente il venir meno della circoscrizione della Provincia

interessata in assenza di qualunque richiamo alla procedura delineata nell’art. 133, comma 1, Cost.

In questo modo, il legislatore statale 155 interviene nel mutamento del territorio provinciale,

attraverso un’operazione soppressiva 156 , senza prevedere alcuna iniziativa comunale e il

coinvolgimento della Regione nell’espressione del parere e questo perché, con la riforma

costituzionale del 2001, alla costituzionalizzazione delle Città metropolitane non è seguito

l’inserimento di norme per la loro istituzione e per la loro eventuale modifica territoriale157. Si

tratta di un intervento autoritativo calato dall’alto158, di stampo giacobino, che non può essere

giustificato per il solo fatto delle istituzione delle Città metropolitane. L’indefettibilità del

procedimento contemplato nell’art. 133, comma 1, Cost., affermato da Palazzo della Consulta

nella sentenza n. 220/2013, non contempla deroghe né in base al tipo di mutamento, nel quale

comunque la Corte ricomprende anche la soppressione 159 , né in relazione alla finalità del

mutamento medesimo: “il profilo di illegittimità della legge si configurerebbe, dunque, non in

ordine alla sostituzione-soppressione della Provincia determinata dall’istituzione della Città

metropolitana con legge ordinaria, ma in quanto tale effetto è “il portato di decisioni politiche

imposte dall’alto”” e, pertanto, in violazione dell’art. 133, comma 1, della Carta costituzionale 160.

Ne vale a togliere il sospetto di incostituzionalità dell’art. 1, comma 6 la previsione per cui resta

ferma “l’iniziativa dei Comuni, ivi compresi i Comuni capoluogo delle Province limitrofe, ai sensi dell’art. 133,

primo comma, della Costituzione, per la modifica delle circoscrizioni provinciali limitrofe e per l’adesione alla Città

153

Si tratta delle Città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e

Reggio Calabria. 154

Criticità espresse in sede di discussione della legge n. 56/2014 si rinvengono nel contributo di P. L.

PORTALURI, Osservazioni sulle Città metropolitane nell’attuale prospettiva di riforma, in www.federalismi.it,

n. 1/2014, pp. 1-9. 155

Dubita della competenza dello Stato ad intervenire nella materia de qua M. CECCHETTI, Sui più evidenti

profili di possibile illegittimità costituzionale del d.d.l. A.S. n. 1212 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle

Province, sulle unioni e fusioni di Comuni), in www.federalismi.it, n. 3/2014, pp. 5-10. 156

L’art. 1, comma 6, non parla espressamente di soppressione, diversamente da quanto prevedeva l’art. 18,

comma 1, del decreto-legge n. 95/2012. 157

Così S. MANGIAMELI, Le Regioni e le riforme: questioni risolte e problemi aperti, in S. MANGIAMELI (a

cura di), Il regionalismo italiano tra tradizioni unitarie e processi di federalismo. Contributo allo studio della

crisi della forma di Stato in Italia, Milano, Giuffrè, 2012, p. 25. 158

Cfr., D. MONE, Città metropolitana. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle

funzioni, in www.federalismi.it, n. 8/2014, p. 10. 159

Si veda il punto 12.2 del cons. in dir. della sent. n. 220/2013 Corte cost. 160

Così D. MONE, Città metropolitana. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle

funzioni, op. cit., p. 18.

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metropolitana” 161 . Si tratta di una formulazione che, come ha rilevato di recente la dottrina,

sostituisce il procedimento imposto dalla Costituzione per la modifica del territorio delle

Province con un nuovo e diverso procedimento162 sia pure con un contenuto di più limitata

applicazione. L’art. 133, comma 1, Cost. non contempla strictu sensu la possibilità di una sua

azionabilità per la modifica di una circoscrizione provinciale a seguito dell’ iniziativa di un

Comune o di più Comuni che intendono aggregarsi ad una Città metropolitana contermine;

tuttavia, anche non rimanendo ancorati ad un’interpretazione eccessivamente letterale della

norma costituzionale, l’iniziativa comunale è inserita all’interno di un procedimento che vede un

rafforzamento del ruolo della Regione e dello Stato163 in antitesi alla logica dell’art. 133. Prosegue

l’art. 1, comma 6, della legge n. 56/2014: qualora “la Regione interessata, entro trenta giorni dalla

richiesta nell'ambito della procedura di cui al predetto articolo 133, esprima parere contrario, in tutto o in parte,

con riguardo alle proposte formulate dai Comuni, il Governo promuove un'intesa tra la Regione e i Comuni

interessati, da definire entro novanta giorni dalla data di espressione del parere. In caso di mancato

raggiungimento dell'intesa entro il predetto termine, il Consiglio dei Ministri, sentita la relazione del Ministro per

gli Affari regionali e del Ministro dell'Interno, udito il parere del Presidente della Regione, decide in via

definitiva in ordine all'approvazione e alla presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche

territoriali di Province e di Città metropolitane, ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione”.

In questo modo, da una parte alla Regione spetta il potere, in ipotesi di formulazione del parere

negativo in tutto o in parte sull’iniziativa dei Comuni, di interrompere la procedura per avviare

poi un’ulteriore fase “negoziale” che vede il Governo chiamato promuovere un’intesa tra i

Comuni e la stessa Regione 164 , dall’altra, attraverso il Presidente della Giunta, la Regione

interviene nuovamente, in caso di fallimento dell’intesa, per esprimere il proprio punto di vista in

ordine all’approvazione del disegno di legge di iniziativa governativa contenente le modifiche

territoriali di Province e Città metropolitane. Così non solo la legge n. 56/2014 istituisce una fase

161

Nel passaggio del d.d.l. dalla Camera dei Deputati alla Commissione Affari costituzionali del Senato della

Repubblica, veniva soppresso l’art. 3, comma 9, che consentiva ad un terzo dei Comuni compresi nel territorio

della Città metropolitana ovvero un numero di Comuni che rappresentasse un terzo della popolazione della

Provincia di deliberare la non adesione alla Città metropolitana, con la conseguenza di lasciare in vita la

Provincia di appartenenza per la parte corrispondente ai loro territori. Tale procedura, secondo una parte della

dottrina, “lasciava dei dubbi di costituzionalità in ordine al rispetto dell’art. 133 Cost. che prevede iniziative per

la costituzione di un nuovo ente e non per lasciare invariato lo status quo”: così D. MONE, Città metropolitana.

Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle funzioni, op. cit., p. 9. 162

Cfr., F. MONCERI, Spunti di riflessione sull’indefettibilità del principio di democrazia partecipativa nella

definizione delle circoscrizioni territoriali provinciali, in www.federalismi.it, n. 16/2014, p. 25. 163

In questo senso F. MONCERI, Spunti di riflessione sull’indefettibilità del principio di democrazia

partecipativa nella definizione delle circoscrizioni territoriali provinciali, in www.federalismi.it, op. cit., p. 25. 164

Parla di sub-procedimento F. MONCERI, Spunti di riflessione sull’indefettibilità del principio di democrazia

partecipativa nella definizione delle circoscrizioni territoriali provinciali, in www.federalismi.it, op. cit., p. 26.

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sub-procedimentale in assenza di qualunque riferimento costituzionale, ma attribuisce alle

Regioni sia un ruolo di veto nei confronti dell’iniziativa comunale 165 , quando per l’art. 133,

comma 1, Cost. le Regioni vengono solamente “sentite”, sia la possibilità di poter intervenire

anche in ipotesi di mancata intesa con ruolo politicamente e incisivamente forte rispetto al testo

del progetto di legge che il Governo presenterà alle due Camere, alterando l’equilibrio degli

istituti previsto dalla norma costituzionale dell’art. 133. Mi sembra difficile poter fornire della

disposizione normativa dell’art. 1, comma 6, un’interpretazione conforme a Costituzione,

ritenendo il parere regionale a seguito dell’esercizio dell’iniziativa dei Comuni obbligatorio ma

non vincolante166, poiché proprio l’espressione dello stesso in senso contrario, anche se parziale,

impedisce giuridicamente il prosieguo della prima fase, con conseguente apertura ed avvio di

quella negoziale167. Infatti, se il legislatore non lo considerasse vincolante, non avrebbe senso

l’avvio di una nuova procedura finalizzata a superare l’impasse determinato dal “veto” regionale,

ben potendo il Governo presentare il disegno di legge al Parlamento senza adempimenti

procedurali ulteriori. Inoltre, poco convincente appare l’interpretazione che una parte della

dottrina tende ad attribuire all’intervento del Governo, considerato a tutela dell’iniziativa

comunale 168 nell’ambito di un procedimento legislativo dove il contenuto della legge

parlamentare, se approvata (ma il Parlamento non ne è obbligato), non può discostarsi dal

contenuto dell’iniziativa comunale169. Infatti, la legge n. 56/2014, che è bene non dimenticarlo

opera ad art. 133, comma 1, vigente, interviene a normare un procedimento il quale, benché

limitato al distacco dei Comuni della Province limitrofe per l’aggregazione alla Città

metropolitana, rientra nella competenza della Costituzione e non in quella di una fonte statale

primaria ad essa subordinata170. Inoltre, nel procedimento dell’art. 133, comma 1, Cost. non

compare alcun riferimento al ruolo del Governo 171 e alla presentazione del disegno di legge

165

Utilizza l’espressione parere regionale “para o pseudo vincolante” M. CECCHETTI, Sui più evidenti profili

di possibile illegittimità costituzionale del d.d.l. A.S. n. 1212 (Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle

Province, sulle unioni e fusioni di Comuni), op. cit., p. 14. 166

La soluzione è proposta da D. MONE, Città metropolitana. Area, procedure, organizzazione del potere,

distribuzione delle funzioni, op. cit., p. 13. 167

In questa direzione G. M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza

all’istituzione delle Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, op. cit., p. 3. 168

Cfr., D. MONE, Città metropolitana. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle

funzioni, op. cit., p. 13. 169

Così ancora D. MONE, Città metropolitana. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle

funzioni, op. cit., p. 13. 170

Cfr., G. M. SALERNO, Sulla soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza all’istituzione delle

Città metropolitane: profili applicativi e dubbi di costituzionalità, op. cit., p. 4. 171

Sulla mancata contemplazione, da parte dell’art. 133, comma 1, della Costituzione, di alcuna discrezionalità

del Governo in ordine alla presentazione del disegno di legge alle Camere si rinvia a M. CECCHETTI, Sui più

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modificativo della Provincia limitrofa e di aggregazione dei Comuni interessati alla Città

metropolitana. Riguardo a quest’ultimo punto, la legge n. 56/2014 sembra attribuire all’Esecutivo

un’iniziativa legislativa riservata al di fuori dei casi ricavabili da un’esegesi sistematica delle norme

costituzionali.

Resta, prima di concludere questo paragrafo, un’altra obiezione e cioè che, sul piano formale, le

Province non sono soppresse, ne è modificata la loro circoscrizione, venendo le loro funzioni, il

loro patrimonio etcc…attribuite alle Città metropolitane le quali, ai sensi dell’art. 1, comma 47,

subentrano in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti in precedenza capo agli enti

provinciali172. Da questo punto di vista, quindi, non vi sarebbe il presupposto per l’applicabilità

dell’art. 133, comma 1, Cost. In realtà questa considerazione ritiene anche il territorio oggetto di

successione, quando la Costituzione conosce solo ipotesi di modificazione territoriale. A questo si

aggiunga che il territorio è elemento costitutivo di un singolo ente, lo connota, altrimenti ci si

troverebbe nella situazione per cui il territorio delle Città metropolitane non sarebbe loro proprio,

ma della Provincia preesistente, perdendo quella caratteristica di esclusività connaturata alla

componente territoriale.

8. L’art. 133, comma 1, Cost. come principio supremo dell’ordinamento e come limite alla

revisione costituzionale?

Nell’imminenza dell’entrata in vigore della legge ordinaria dello Stato n. 56/2014 (c.d. legge

Delrio) (173), il Governo ha presentato in Parlamento un disegno di legge costituzionale, già

approvato in prima deliberazione dal Senato della Repubblica (A.S. n. 1429) in data 08 agosto

2014, volto al superamento del principio del bicameralismo paritario e alla riforma del Titolo V

(174). Esso segna una svolta della strategia governativa in relazione al tema dell’ abolizione delle

evidenti profili di possibile illegittimità costituzionale del d.d.l. A.S. n. 1212 (Disposizioni sulle Città

metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni), op. cit., p. 14. 172

Il rilievo è di D. MONE, Città metropolitana. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle

funzioni, op. cit., p. 14. 173

Sulla difficoltà di procedere a riforme istituzionali prima di quelle costituzionali: A. POGGI, Sul

disallineamento tra il DDL Delrio ed il disegno costituzionale attuale, in www.federalismi.it, n. 1/2014, p. 4.

Criticità della legge n. 56/2014 sono rilevate da G. C. DE MARTIN, Il disegno autonomistico disatteso tra

contraddizioni e nuovi scenari problematici, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2014, pp. 1-15, ora in

Le Istituzioni del Federalismo n. 1/2014. 174

Per i primi commenti al d.d.l Boschi-Renzi, sebbene relativi alla sua formulazione non ancora definitiva, si

rinvia a M. LUCIANI, La riforma del bicameralismo, oggi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, n.

2/2014, pp. 1-12; L. ANTONINI, Il d.d.l. costituzionale del Governo Renzi: logica dell’uniformità versus logica

della responsabilità, in www.astrid-online.it, 19 aprile 2014, pp. 14; G. AZZARITI, Riforma del Senato.

Questioni di metodo e di merito, in www.astrid-online.it, 19 aprile 2014, pp. 1-11; R. BIN, Coerenze e

incoerenze del disegno di riforma costituzionale: considerazioni e proposte, in www.astrid-online.it, 22 aprile

2014, pp. 1-31; S. PRISCO, Una nuova stagione di proposte di revisione costituzionale: finale di partita?

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Province. Infatti, se in precedenza il Governo Letta aveva presentato alla Camera dei Deputati un

progetto di legge specifico, A.C. n. 1543 ( 175 ), il nuovo Esecutivo intende non separare il

problema Province da quello della modifica della forma di Governo e dell’intero Titolo V. La

proposta del Governo Renzi cancella la Provincia da tutti gli articoli della Costituzione in cui

compare e, quindi, abroga anche l’art. 133, comma 1176, della Carta.

Non si tratta del primo disegno di legge volto soppressione delle Province177, né quello che

presenta particolari elementi di novità. Tutti quelli passati proponevano l’espunzione del termine

dal Testo costituzionale. I progetti di legge costituzionale erano giustificati, anche in quei casi,

dalla necessità di tagliare le spese dello Stato, intervenendo sull’ente locale territoriale meno

sentito dai cittadini178. In realtà, la sorte delle Province non fu mai facile. Prima, in Assemblea

Costituente, durante il biennio 1946-1947, si discusse circa la necessità di mantenere l’ente

provinciale alla luce dell’ istituzione delle Regioni 179 , poi, negli anni’70, con l’avvio del

regionalismo, la sorte delle Province è stata nuovamente messa in discussione sebbene “in termini

meno incisivi, ma perciò stesso maggiormente insidiosi”180. Si assistette, infatti, al proliferare di

iniziative sia statali, sia regionali, intese alla individuazione di nuovi “enti intermedi”, ritenuti più

razionali ed efficienti delle vecchie Province181.

Il problema, però, è capire quali sono i margini d’ intervento della legge costituzionale. In altri

termini, ci si deve chiedere se, con una legge di revisione della Costituzione, è possibile

sopprimere o togliere la copertura costituzionale ad un ente territoriale intermedio come le

Province le quali, dopo la riforma del Titolo V, costituiscono una delle persone giuridiche

Scheda di prima lettura, in www.astrid-online.it, 22 aprile 2014, pp. 1-12; M. C. GRISOLIA, Ancora alcune

osservazioni sui problemi del metodo e del merito delle riforme, in www.astrid-online.it, maggio 2014, pp. 1-11. 175

Per un esaustivo commento sul disegno di legge costituzionale A.C. n. 1543 M. BETZU, Crucifige

Provinciam! L’ente intermedio di area vasta al tempo della crisi, op. cit., p. 20. 176

Recita l’art. 37, comma 13, del disegno di legge costituzionale A.S. n. 1429: “All’articolo 133 della

Costituzione, il primo comma è abrogato”. 177

Si segnalano, con riferimento alla XVI legislatura: A.C. n. 1694 d.d.l. cost. Nucara; A.C. n. 1836 d.d.l. cost.

Scandroglio, A.C. n. 1989 d.d.l. cot. Casini; A.C. n. 1990 d.d.l. cost. Donadi, A.C. n. 2010 d.d.l. cost. Versace e

A.C. n. 2264 d.d.l. cost. Pisicchio. 178

Cfr., F. FABRIZZI, L’eliminazione delle Province: più dubbi che certezze. Riflessioni a margine dei lavori

parlamentari, in www.federalismi.it, n. 17/2009, p. 1. La stessa Relazione di accompagnamento al disegno di

legge costituzionale A.C. 1543 ritiene che la soppressione delle Province rappresenti una risposta “a quelle

autorevoli sollecitazioni europee verso un contenimento della spesa pubblica dell’amministrazione territoriale

che erano state all’origine dell’intervento attuato con i citati decreti legge” (si intende il decreto-legge n.

201/2011 e il decreto-legge n. 95/2012). 179

Cfr., M. BERTOLISSI, Province, tutte da eliminare, in Il Mattino di Padova, 17 agosto 2011.

180

Si esprime così L. PALADIN, Il problema delle “nuove Province”, in Le Regioni, nn.1-2/1984, p. 66. 181

Così P. COSTANZO, Profili costituzionalistici dell’istituzione di nuove Province, op. cit., p. 1340. Tra questi

nuovi enti intermedi, si pensi all’istituzione delle Comunità montane, avvenuta con legge ordinaria dello Stato

03 dicembre 1971, n. 1102.

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pubbliche costitutive della Repubblica. Nella sentenza n. 220/2013 la Corte costituzionale, nel

punto 12.1. del considerato in diritto, risponde affermativamente alla domanda, sostenendo che

“sull’ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale,

indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall’art. 114 Cost., o

comunque si voglia togliere allo stesso la garanzia costituzionale”. Il giudice costituzionale,

quindi, ritiene non incompatibile con il principio fondamentale del riconoscimento (il corsivo è mio)

delle autonomie locali, di cui all’art. 5 della Carta, e con la norma dell’art. 133, comma 1, Cost.

che salvaguardia complessivamente l’esistenza delle Province sul piano territoriale, una riforma

costituzionale avente ad oggetto la soppressione di un livello di autonomia locale territoriale

come quello provinciale, anche al solo fine di eliminarne la garanzia costituzionale con possibilità

di una sua reintroduzione futura con legge ordinaria182. Sotto questo profilo il disegno di legge

A.S. n. 1429 recepisce in pieno l’obiter dictum della sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale.

Esso non abolisce le Province tout court, ma le degrada da ente costitutivo della Repubblica (183). Il

d.d.l. Boschi-Renzi, infatti, prevede all’art. 39, comma 4 (184), una sorta di potestà legislativa

ripartita, lasciando allo Stato il compito di normare i profili ordinamentali generali relativi agli enti

di area vasta e alle Regioni il disciplinare le ulteriori disposizioni in materia. In questo modo

verrebbe fatta salva la legge Delrio, in vigore dal 7 aprile 2014, anche al fine di evitare vuoti di

competenze (185), salvo i necessari aggiustamenti da operarsi a seguito dell’entrata in vigore della

riforma costituzionale. Ora, è evidente come il declassamento della Provincia, qualora entrasse in

vigore la riforma costituzionale, andrebbe ad incidere anche sul suo territorio il quale, una volta

abrogato l’art. 133, comma 1, non godrebbe più delle garanzie previste dalla norma

costituzionale. In questo modo il disegno di legge costituzionale A.S. n. 1429 pare tradire

un’opzione di fondo del Costituente posta a salvaguardia del territorio provinciale: la garanzia

della riserva di iniziativa dal basso per qualunque modificazione territoriale, espressione di una

182

Cfr., C. NAPOLI, Province: tutto (o niente?) da rifare, op. cit., p. 13.

(183

) Così recentemente C. PADULA, L’autonomia: un principio di scarso valore? La Carta europea

dell’autonomia locale e le recenti riforme degli enti locali (legge “Delrio” d.l. n. 95/2012), in

www.gruppodipisa.it, 2014. Si veda anche F. BILANCIA, Regioni, enti locali, e riordino del sistema delle

funzioni pubbliche territoriali, in www.associazioneitalianadeicostituzionalisti, n. 4/2014, p. 8.

(184

) Recita l’art. 39, comma 4, del disegno di legge costituzionale Boschi-Renzi: “Per gli enti di area vasta,

tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta

definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale. Il

mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su ini-ziativa dei

Comuni, sentita la Regione”.

(185

) Il pericolo che una cancellazione delle Province potesse porre problemi di vuoti di competenza era stato

evidenziato, già prima degli interventi normativi del Governo Monti, da A. LOIODICE, Ridefinizione del ruolo

delle Province nel sistema degli enti locali, in www.federalismi.it, n. 17/2009, p. 2.

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concezione pluralistica della democrazia (186), propria sia dello Stato-comunità, sia dello Stato-

persona che deve continuamente trasformare la propria legislazione per adeguarla ai superiori

principi dell’autonomia e del decentramento (187) di cui all’art. 5 Cost. (188). Pertanto, alla luce di

queste considerazioni, non credo possa trovare accoglimento quell’interpretazione dottrinale per

cui solo una legge costituzionale disporrebbe della possibilità di operare in deroga all’art. 133,

comma 1, Cost. tanto per sopprimere le Province o togliere loro la garanzia costituzionale,

quanto per riordini generali e complessivi189. Infatti, “il procedimento ex art. 133, 1 comma, Cost.,

nella sua complessa articolazione, ha inteso assicurare le esigenze di unitarietà, escludendo che le

possibili variazioni fossero frutto, ad esempio, di decisioni assunte a livello regionale, nonché la

massima partecipazione possibile dei cittadini, attraverso i Comuni”190, evitando modificazioni

territoriali calate dall’alto e garantendo in questo modo uno stretto collegamento tra popolazioni

e territori al fine di ridurre quest’ultimi a “contenitori concettuali che non ritrovano più la logica

costitutiva”191. Ne appare rilevante l’obiezione192 secondo la quale, non avendo le Province lo

stesso status costituzionale di Comuni e Regioni essendo solo apparente la loro equiordinazione

disposta dall’art. 114, comma 1, Cost., la loro soppressione non presupporrebbe l’osservanza

dell’art. 133, comma 1, Cost. In realtà si potrebbe replicare che la norma dell’art. 133, 1 comma,

la cui formulazione è rimasta immodificata dal 1948 e non è stata oggetto di modifiche da parte

della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, può anche prescindere da considerazioni inerenti

la pari dignità costituzionale delle Province rispetto alle Regioni ed ai Comuni, dal momento che

la sua ratio principale è quella di garantire le Province in sé stesse, ossia nella loro complessiva

(

186) Si esprime così, sia pure in riferimento ad ipotesi di modifica dell’art. 132, comma 2, Cost. L. FERRARO, I

referendum di variazione territoriale: un dibattito oltremodo attuale, op. cit., pp. 53-54. Sulla stessa linea F.

MONCERI, Spunti di riflessione sull’indefettibilità del principio di democrazia partecipativa nella definizione

delle circoscrizioni territoriali provinciali, in www.federalismi.it, op. cit., p. 32.

(187

) Cfr., F. MODUGNO, voce Principi generali dell’ordinamento, in Enc. Giur., vol. XXIV, Roma, Utet, 1991,

p. 21.

(188

) Sul ruolo dell’art. 5 della Costituzione non solo come norma di organizzazione della forma di Stato, ma

anche come norma di programma, ossia come direttiva vincolante per tutte le istituzioni pubbliche impegnate in

una costante tensione verso l’attuazione-implementazione del principio autonomistico cfr., R. BIFULCO, Art. 5

Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. I,

Torino, Utet, 2006, p. 136; V. TEOTONICO, Osservazioni in tema di federalizing process (con particolare

riguardo al caso italiano), in A. URICCHIO (a cura di), I percorsi del federalismo fiscale, Bari, Cacucci

Editore, 2012, p. 13. 189

Così S. STAIANO, Il Ddl Delrio: considerazioni sul metodo e sul merito, in www.federalismi.it, n. 1/2014, p.

6. 190

Così F. MONCERI, Spunti di riflessione sull’indefettibilità del principio di democrazia partecipativa nella

definizione delle circoscrizioni territoriali provinciali, in www.federalismi.it, op. cit., p. 32. 191

Cfr., L. RONCHETTI, Territorio e spazi politici, in www.gruppodipisa.it, giugno 2014, p. 25. Il concetto è

ripreso da E. SACCO, Politica di coesione e Regioni meridionali: tra centralizzazione e autonomia, in Stato e

Mercato, 2011, p. 278. 192

Cfr., M. RENNA, Brevi considerazioni su Province e altri “enti intermedi” o di area vasta, in www.astrid-

online.it, 2006, p. 1 e ss.

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esistenza193. Tutto questo non implica l’intangibilità, in sede di revisione costituzionale, dell’intero

art. 133 della Costituzione nella sua attuale formulazione, ma che ogni sua modifica debba

avvenire assicurando comunque un procedimento di tipo ascensionale o dal basso per poter

mutare il territorio delle Province.

193

Cfr., L. PALADIN, Diritto Costituzionale, op. cit., p. 544.