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SOMMARIO: 1. Rapporti fra partiti politici, sistemi elettorali e forma di governo parlamentare in Italia. – 2. Trasformazione dei partiti, riforme elettorali e ‘presidenzializzazione’ della politica. – 3. Verso una nuova (contrastata) co- stituzione materiale: riforme elettorali, disgregazione del sistema politico- partitico e affermazione di ‘partiti personali’. 1. Rapporti fra partiti politici, sistemi elettorali e forma di governo par- lamentare in Italia L’analisi (dell’evoluzione) della forma di governo parlamentare del Paese impone alcune osservazioni metodologiche introduttive. Ac- canto a un metodo giuridico formale, fondato su tipologie di governo basate sul principio di separazione dei poteri fra gli organi costituzio- nali, la ricerca costituzionale – nel tempo – non ha potuto sfuggire alla stessa utilizzazione di un metodo ‘realista’, nel quale trovasse adeguata considerazione lo stretto rapporto esistente tra quadro normativo-co- stituzionale e sua concreta traduzione nella realtà 1 . Una mancata inte- * Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato, Università della Calabria. 1 Sul punto cfr., almeno, L. Elia, Governo (forme di), in Enc. del dir; S. Bartole, Costi- tuzione materiale e ragionamento giuridico, in Scritti in onore di V. Crisafulli, Padova, 1986; M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giu- ridico, 1963; C. Mortati, Costituzione (dottrine generali), in Enciclopedia del diritto; M. Nigro, Costituzione ed effettività costituzionale, in Rivista di diritto e procedura civile, 1969; G. Guarino, Sulla normatività della costituzione materiale, in Il foro penale, 1957; F. Modu- gno, Il concetto di costituzione, in Aa.Vv., Scritti in onore di Costantino Mortati, I, Milano, 1977; M. Dogliani, Spunti metodologici per un’indagine sulle forme di governo, in Giur. cost., 1973. Sul punto cfr. anche, nella manualistica di diritto pubblico comparato, C. Mortati, Le forme di governo. Lezioni, Padova, 1973; G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pub- SILVIO GAMBINO * La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto

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SOMMARIO: 1. Rapporti fra partiti politici, sistemi elettorali e forma di governoparlamentare in Italia. – 2. Trasformazione dei partiti, riforme elettorali e‘presidenzializzazione’ della politica. – 3. Verso una nuova (contrastata) co-stituzione materiale: riforme elettorali, disgregazione del sistema politico-partitico e affermazione di ‘partiti personali’.

1. Rapporti fra partiti politici, sistemi elettorali e forma di governo par-lamentare in Italia

L’analisi (dell’evoluzione) della forma di governo parlamentare delPaese impone alcune osservazioni metodologiche introduttive. Ac-canto a un metodo giuridico formale, fondato su tipologie di governobasate sul principio di separazione dei poteri fra gli organi costituzio-nali, la ricerca costituzionale – nel tempo – non ha potuto sfuggire allastessa utilizzazione di un metodo ‘realista’, nel quale trovasse adeguataconsiderazione lo stretto rapporto esistente tra quadro normativo-co-stituzionale e sua concreta traduzione nella realtà1. Una mancata inte-

* Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato, Università dellaCalabria.

1 Sul punto cfr., almeno, L. Elia, Governo (forme di), in Enc. del dir; S. Bartole, Costi-tuzione materiale e ragionamento giuridico, in Scritti in onore di V. Crisafulli, Padova, 1986;M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giu-ridico, 1963; C. Mortati, Costituzione (dottrine generali), in Enciclopedia del diritto; M.Nigro, Costituzione ed effettività costituzionale, in Rivista di diritto e procedura civile, 1969;G. Guarino, Sulla normatività della costituzione materiale, in Il foro penale, 1957; F. Modu-gno, Il concetto di costituzione, in Aa.Vv., Scritti in onore di Costantino Mortati, I, Milano,1977; M. Dogliani, Spunti metodologici per un’indagine sulle forme di governo, in Giur. cost.,1973. Sul punto cfr. anche, nella manualistica di diritto pubblico comparato, C. Mortati,Le forme di governo. Lezioni, Padova, 1973; G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pub-

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La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto

grazione fra i due momenti analitici – formale il primo, sostanziale ilsecondo – incorrerebbe nello stesso rischio di non consentire di poterattingere l’oggetto del proprio studio quando ci si apprestasse a stu-diare la natura (e lo stesso rendimento istituzionale) del parlamentari-smo (contemporaneo) e, al suo interno, in modo più specifico, le pro-blematiche relative alla funzionalità complessiva del Governo, in ra-gione della natura monocratica ovvero collegiale dell’organo2, del tipodi relazioni intercorrenti fra quest’ultimo e il Parlamento, degli im-patti che sull’insieme di tali relazioni (rappresentative e di governo)producono tanto il formato dei partiti quanto il (tipo di) sistema elet-torale utilizzato per tradurre i voti in seggi parlamentari.

La più avvertita dottrina costituzionale italiana (ed europea), datempo e con lucidità anticipatrice, aveva sottolineato tali problemati-che di ordine metodologico e sostanziale, sia con riguardo alla centra-lità del sistema dei partiti e al relativo condizionamento (secondo unprincipio di effettività) dell’indirizzo politico e di governo3, sia con ri-guardo alle complesse interazioni fra partiti, regole elettorali utilizzatee funzionamento complessivo della forma di governo parlamentare.Per l’insieme di tali influssi, quest’ultima rappresenta un unicum nellatradizione politico-costituzionale europea nei due secoli di storia delloStato democratico. Nell’ottica appena richiamata, intendiamo rife-rirci, in particolare, all’analisi della ‘razionalizzazione’ della forma digoverno parlamentare, intesa sia in termini di assetto e di funziona-mento delle istituzioni di governo che nei termini del relativo rendi-mento politico4. Ci riferiamo altresì a ciò che, nella risalente dottrinacostituzionale italiana e in quella più recente, si vuole intenderequando si fa riferimento a nozioni come quelle di ‘costituzione mate-riale’, ‘vivente’, ‘reale’.

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blico comparato. Problemi di metodo, Milano, 1986; A. Pizzorusso, Sistemi giuridici compa-rati, Milano, 1995; G. Bognetti, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Torino,1994; G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, 2007; G. Morbidelli, L.Pegoraro, A. Reposo, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Torino, 2007.

2 Cfr. A. Ruggeri, Il Consiglio dei ministri nella Costituzione italiana, Milano, 1981; G.Pitruzzella, Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’organizzazione del Governo, Padova,1986; G. Pitruzzella, M. Villone, P. Ciarlo, L. Carlassare, Il Consiglio dei Ministri. Art. 92-96, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca e A. Pizzorusso, Bologna-Roma,1994.

3 Cfr. M. Duverger, Les partis politiques, Paris, 1951.4 Cfr. B. Mirkine-Guetzévitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel, II ed.,

Paris, 1936; dello stesso A., Le costituzioni europee, Milano, 1954 (nella trad. ital.).

Accanto all’analisi dei rapporti fra i poteri dello Stato osservabilinelle forme di governo operanti nel quadro del costituzionalismo con-temporaneo, così, occorre anche accostarsi (per integrarne l’analisinell’approccio politico-costituzionale) ai partiti politici, come soggettipolitico-comunitari che, da più di un secolo, si sono fatti carico di di-namizzare il funzionamento delle originarie meccaniche istituzionaliaccolte nelle forme parlamentari di governo e, più in generale, le mul-tiformi manifestazioni della democrazia partecipativa contempora-nea5. Solo approfondendo tali dinamiche politico-istituzionali po-tremo cogliere le evoluzioni registrate nel parlamentarismo contempo-raneo a seguito della crisi dei partiti politici di massa, in breve a causadella complessa fenomenologia politico-istituzionale, colta anchecome conseguenza della ‘democrazia maggioritaria’ e, più in generale,della deriva populistica, da tempo in corso nella vita politico-istituzio-nale del Paese, sia pure secondo formule politico-istituzionali ancoranon consolidate e non stabilizzate in forma giuridica6. Con tale nuovoe più complesso approccio, il costituzionalista potrà più agevolmenteaccedere alla comprensione dei differenziati ‘modelli di legittima-zione’ del Governo, le cui linee di elaborazione teorico-costituzionalee la cui stessa evoluzione nel tempo appaiono assolutamente necessa-rie da ricostruire se si vogliono cogliere gli elementi di continuità (maanche di discontinuità) nel parlamentarismo ‘razionalizzato’ delle co-stituzioni contemporanee7.

Senza risalire alle origini storico-istituzionali e alle evoluzioni piùrecenti della forma parlamentare di governo, così, deve sottolinearsicome, almeno in una parte della dottrina costituzionale, si contesti lostesso presupposto che ne è alla base e cioè il principio-dogma dellaseparazione dei poteri, assumendo perfino come monche e fuorvianti,

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5 Sul punto, cfr. anche i nostri Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977; Crisiistituzionale e riforma della Costituzione, Pisa, 1983; Crisi del partito di massa, forma di go-verno e riforme costituzionali. Dal ‘semipresidenzialismo debole’ al ‘premierato assoluto’, inG. Giraudi (a cura di), Crisi della politica e riforme istituzionali, Soveria Mannelli, 2005.

6 Cfr. A. Spadaro, Costituzionalismo versus populismo. Sulla c.d. deriva populistico-ple-biscitaria delle democrazie costituzionali contemporanee, in Aa.Vv., Scritti in onore di Lo-renza Carlassare, Napoli, Vol. V, 2009; L. Carlassare, Diritti e garanzie nel riaffiorare dei mo-delli autoritari, in www.costituzionalismo.it.

7 Sul punto, cfr. anche il nostro Forma di governo e rappresentanza politica fra costitu-zione materiale e prospettive de jure condendo. Riflessioni introduttive, in S. Gambino (acura di), Forme di governo. Esperienze europee e nord-americana, Milano, 2007; A. Di Gio-vine, A. Mastromarino (a cura di), La presidenzializzazione degli esecutivi nelle democraziecontemporanee, Torino, 2007.

sotto il profilo euristico, quelle analisi che si fondano sui criteri tipo-logici adottati dalla dottrina costituzionalistica classica e come inutiliz-zabili le tradizionali tipologie di governo basate sulla mera distribu-zione del potere fra gli organi costituzionali in base al classico princi-pio di separazione dei poteri; ciò senza che tale approccio siaccompagni e si integri con la contestuale evoluzione registrata dallaforma di Stato e dal rilievo occupato, al suo interno, dai partiti poli-tici, secondo quanto richiama la pregnante formula del ParteienStaat,efficacemente coniata dalla dottrina tedesca nel primo ventennio delsecolo scorso. Una formula descrittiva indubbiamente efficace, da co-gliere tanto come ‘Stato di partiti’, tanto come (legittimante un) ‘go-verno di partiti’!

La natura complessa e la rilevanza (privato-pubblica) dei partitipolitici negli ordinamenti costituzionali contemporanei e nel costitu-zionalismo ‘vivente’ del Paese costituisce, dunque, un dato piena-mente riconosciuto dalla dottrina8. Tale orientamento pone termine auna lunga e contrastata evoluzione nel corso della quale si sono con-frontate due opposte letture dottrinarie: una che individua nel partitopolitico la natura di associazione privata e l’altra che, al contrario, necoglie una natura a rilevanza pubblicistica, di organo o quasi-organodello Stato. L’orientamento dottrinario orientato a sottolineare nel si-stema dei partiti – oltre all’elemento della ‘concorsualità’ nella defini-zione delle politiche nazionali – un processo complesso, dialettico etuttora incompiuto di trasformazione dell’originario modello dellademocrazia rappresentativa, si afferma già a partire dagli anni ’20 delsecolo scorso, trovando linee di riflessione comune alla dottrina costi-tuzionale classica e a quella che possiamo cogliere come ‘più mo-derna’9.

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8 Sul punto, fra gli altri, cfr. anche il nostro Note su partiti politici e forme di governo:il contributo di Leopoldo Elia al rinnovamento del metodo giuridico nella scienza costituzio-nale, in Scritti in onore di Leopoldo Elia, Milano, 1999, nonché S. Bonfiglio, Forme di go-verno e partiti politici, Milano, 1993; R.L. Blanco Valdés, Los partidos politicos, Madrid,1990; M. García Pelajo, El Estado de partidos, Madrid, 1986.

9 Cfr. P. Virga, Il partito nell’ordinamento giuridico, Milano, 1948; V. Crisafulli, I par-titi nella costituzione italiana, in Studi per il XX anniversario dell’Ass. Cost., II, Firenze,1969; C. Esposito, I partiti politici nella Costituzione italiana, in C. Esposito, La Costitu-zione italiana, Padova, 1954; M.S. Giannini, Prefazione a Burdeau, Il regime parlamentarenelle costituzioni europee del dopoguerra, Milano, 1950; T. Martines, Partiti, sistema dei par-titi, pluralismo, in Studi parl. e di pol. cost., 1979; L. Elia, Governo (forme di), in Enc. deldir.; G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico, cit.; M. Dogliani, Spunti metodolo-gici, cit.

Le ragioni teoriche di tale evoluzione sono da individuare soprat-tutto nella ricerca di meccanismi di ‘razionalizzazione del potere’, con-cepiti come strumenti per nuovi equilibri/bilanciamenti fra i poterifondamentali dello Stato. Poteri che, nella transizione dal costituzio-nalismo liberale (originario) a quello sociale (contemporaneo), appari-vano significativamente sfasati a causa dell’ingresso sulla scena poli-tico-istituzionale, in modo organizzato, del popolo, inteso sia nella suaglobalità, sia – e forse soprattutto – nelle sue articolazioni interne digruppi sociali portatori di interessi disomogenei e confliggenti10.

Nel corso degli ultimi decenni, l’analisi dottrinaria relativa ai rap-porti (nel diritto e nella realtà) fra partiti politici e Stato – nel quadrodi una tendenza al superamento delle concezioni tradizionali del di-ritto che, se non comporta il superamento del rigido approccio forma-listico ai problemi del diritto (e dello Stato), favorisce una più attentariconsiderazione dei complessi rapporti esistenti tra la realtà sociale eil complesso delle norme –, così, s’inscrive in un tentativo di ricono-scimento del continuum pregiuridico-giuridico che solo riesce a ren-dere la complessità dell’ordinamento giuridico vigente, la c.d. ‘costitu-zione vivente’11. Nella prospettiva di tale sforzo di rinnovamento me-todologico, la novità fondamentale costituita dai partiti politici (e dalloro inserirsi fattualmente nell’organizzazione costituzionale delloStato), considerati sia nel loro aspetto sociologico (partiti ‘di massa’ o‘di quadri’, partiti ‘istituzionali’ o ‘anti-sistema’, ecc.), che nel loroaspetto di sistema, consiste nel fatto che essi costituiscono un ele-mento fondamentale per giungere all’identificazione della forma delloStato e del suo modello organizzativo, la forma di Governo. Sia l’unache l’altra non si definiscono più in termini astrattamente fissi quantopiuttosto in funzione dinamica, come parti del diritto costituzionale“vivente”, non potendosi più trascurare le reciproche influenze e in-terferenze che vanno instaurandosi tra le due figure, fino al punto chel’instabilità dell’assetto governativo opera in termini negativi sullastessa vitalità e sopravvivenza della forma dello Stato. In questo rinno-vamento metodologico, che ha imposto alla dottrina costituzionaleuna verifica di forme e di contenuti, trova piena giustificazione il ten-tativo di assumere il sistema dei partiti come un elemento imprescin-

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10 Sul punto, cfr. almeno H. Kelsen, I fondamenti della democrazia, Bologna, 1955.11 Sul punto, cfr. anche il nostro Forma di governo, partiti politici e sistemi elettorali:

assetti politico-istituzionali e profili problematici della lunga transizione italiana, in ScudieroM. (a cura di), Stabilità dell’esecutivo e democrazia rappresentativa, Napoli, 2009.

dibile nello studio dei governi parlamentari, come un elemento fonda-mentale per comprendere il funzionamento del meccanismo costitu-zionale complessivo e le stesse questioni poste dalle forme istituzionalida seguirsi per assicurare l’equilibrio fra i poteri costituzionali12.

La concezione dello Stato contemporaneo come ‘Stato di partiti’,così, costituisce un apporto rilevante a una moderna teoria dello Statodemocratico-rappresentativo. Una teorica in gran parte elaborata dalladottrina tedesca degli anni ’20 del secolo scorso e solo successiva-mente fatta propria dalla restante dottrina costituzionale europea, se-guendo un approccio metodologico – quello mortatiano della ‘costitu-zione materiale’13 – che, nella realtà (almeno a livello tendenziale), in-vero, risulta – e per molti profili – giustificare le prassi di occupazioneindebita dei poteri/organi costituzionali da parte dei partiti politici.Con tale orientamento sembra farsi maggiore chiarezza su tutta unaserie di problematiche che il costituzionalismo classico non riuscivapiù ormai a risolvere, fermo com’era a concezioni asettiche e statichedelle forme di Stato e di Governo, in cui non trovavano posto i mo-derni e complessi problemi imposti dalla crisi non solo del parlamen-tarismo ma anche dei partiti. Tale impostazione, che si era affermataanche nella dottrina più tradizionale14, finisce però con il concentrarel’attenzione sulle relazioni tra i partiti e le istituzioni tipiche del si-stema di governo parlamentare (sostanzialmente sul binomio partiti-Parlamento e partiti-Governo), mettendo in secondo piano elementifondamentali della fenomenologia dei rapporti politici che pure ave-vano dato corpo alla crisi del sistema stesso.

Salvo a tornare successivamente su questo tema, che costituisceuna questione centrale nella presente riflessione, occorre ora accen-nare, anche se in modo essenziale, alle principali novità metodologi-che registrate a partire dagli anni ’70 del secolo scorso e ai più signifi-cativi risultati conseguiti nell’analisi dei partiti (considerati sia uti sin-guli sia nel loro complesso), di volta in volta colti nella dottrinagiuridica (ma anche in quella politologica) come sistema multipartitico‘esasperato’, ovvero ‘temperato’, come sistema ‘tendenzialmente bi-

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12 Sul punto, cfr. anche il nostro Note su partiti politici e forme di governo … cit.13 Così C. Mortati, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell’ordinamento

italiano, in Scritti in memoria di V. E. Orlando, II, Padova, 1957, 114 ss.; Id., La costituzionein senso materiale (ristampa inalterata con una premessa di G. Zagrebelsky), Milano, 1998.

14 Cfr. G. Maranini, Miti e realtà della democrazia, Milano, 1958; Id, Il tiranno senzavolto, Milano, 1963.

partitico’ ovvero a ‘bipartitismo esasperato’, di tipo ‘personale’, ecc.Nella dottrina costituzionale italiana, uno spazio del tutto specifico eparticolare nella direzione appena richiamata è occupato dagli studisulle forme di governo e i partiti politici svolti da Leopoldo Elia, unofra gli studiosi che hanno mostrato maggiore sensibilità alla compren-sione dei condizionamenti di natura extragiuridica in sede di attua-zione delle norme costituzionali, a ciò pervenendo sulla base di unametodologia giuridica deformalizzata, ‘realista’, per effetto della qualel’organizzazione strutturale dei poteri viene analizzata unitamente allacomprensione dei relativi momenti funzionali e dinamici, e fornendo,per tale via, rinnovati e più congrui strumenti ed esiti conoscitivi nellostudio costituzionalistico e comparatistico delle forme di governo.

Unitamente al rilievo occupato dai sistemi partitici nel funziona-mento concreto dei governi parlamentari, tanto di quelli a base multi-partitica che di quelli a base bipartitica, un ruolo specifico, particolar-mente condizionante il funzionamento complessivo della forma di go-verno parlamentare, è svolto dai sistemi elettorali con i quali siaccompagnano le specifiche esperienze di governo. In tale visione, sianegli studi costituzionalistici che in quelli politologici si assume che isistemi elettorali devono essere intesi non semplicemente come stru-menti tecnico-giuridici per la trasposizione dei voti in seggi, bensìcome un fondamentale elemento di riqualificazione della rappresen-tanza politica e di garanzia della ‘governabilità’, potendo gli stessi svol-gere una delicata quanto fondamentale funzione istituzionale finaliz-zata alla trasformazione della stessa forma di governo verso un mo-dello (prevalente nelle democrazie rappresentative contemporanee)ispirato al ricambio della classe di governo e all’alternanza al potere frapartiti (o coalizioni di partiti) alternativi, tutti comunque legittimati agovernare, realizzando in tal modo una democrazia ‘compiuta’ e ‘go-vernante’15.

Gli obiettivi assegnati alla legislazione elettorale (e alla sua ri-forma), nel quadro più ampio del dibattito istituzionale in materia pre-sente in quasi tutti i Paesi europei, in tal senso, da una parte, miranoa individuare meccanismi capaci di assicurare (una maggiore) stabilità,forza e autorevolezza all’Esecutivo (riassunti nella formula politolo-gica della ‘governabilità’), rafforzando le coalizioni di governo attra-verso i vantaggi assicurati dalla distribuzione dei seggi parlamentari ef-fettuata con un sistema elettorale di tipo (prevalentemente) maggiori-

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15 Cfr. G. Moschella, Rappresentanza politica e costituzionalismo, Rimini, 1999.

tario; dall’altra, sembrano ricondursi a logiche di democrazia ‘imme-diata’, che potrebbero riassumersi – con una formula politologica cheha avuto molto successo – nella “restituzione dello scettro al prin-cipe”16 – i cittadini-sovrani, appunto –; uno scettro occupato, conscarsa qualità rappresentativa, dai partiti politici (ormai stabilmentecostituiti in oligarchie autoreferenziali sempre più ristrette, cristalliz-zate e ossificate al loro interno). Da strumenti di partecipazione poli-tica, gradualmente, si sono andati costituendo come un vero e propriodiaframma fra i cittadini (titolari della “concorsualità” nella determi-nazione della politica nazionale, ai sensi dell’art. 49 Cost.) e le istitu-zioni rappresentative17.

Con riguardo a tale tematica, nel dibattito politico-costituzionaledel Paese e nella ricerca comparatistica, sono andate emergendo econsolidando tendenze verso modelli di democrazia che, con formula-zioni mutuate dalla dottrina d’oltr’alpe, sono state anche definite ‘im-mediate’ per sottolineare un rapporto di diretta investitura dei governida parte del corpo elettorale. Un nuovo orientamento a favore di si-stemi elettorali a base maggioritaria (più o meno sistemici), che altrovesono stati sperimentati da tempo e con relativo successo (rispetto agliobiettivi loro assegnati), viene presentato e motivato come maggior-mente idoneo a dare risposta alle aspettative del corpo sociale relati-vamente alla valorizzazione del conflitto democratico e alla garanziadell’alternanza al governo fra forze politiche, in una parola alla realiz-zazione di un processo di maggiore trasparenza dei (e nei) rapporti fraistituzioni rappresentative e di governo e con il corpo elettorale.

Rispetto all’emersione di tale modello di democrazia, appare signi-ficativamente recessivo il modello di democrazia che è stato sperimen-tato nella gran parte delle esperienze europee, nell’ultima metà del se-colo appena trascorso: un modello di democrazia ‘mediata’, di tipo‘consociativo’, fondato sul ‘pluripartitismo esasperato’ (benché talorabilanciato al suo interno da clausole preclusive, nella formazione deigoverni, verso i partiti ritenuti ‘antisistema’). A fronte delle opportu-nità rappresentative assicurate dal modello di democrazia ‘mediata’, ditipo eminentemente proiettive, che si avvale di sistemi elettorali a baseproporzionale, il modello di democrazia ‘immediata’ o ‘di investitura’,che più di recente tende ad affermarsi nei Paesi europei, appare ispi-

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16 Cfr. G.F. Pasquino, Restituire lo scettro al principe, Bari, 1985.17 Cfr. anche il nostro Rappresentanza e governo, fra riforme elettorali (partigiane), par-

titi politici (sregolati) e governi (deboli), in Politica del diritto, 2008, n. 2.

rato a valorizzare una logica ‘competitiva’ fra le forze politiche incampo. In tal modo, si sottolinea la ricerca di un rapporto di maggioreprossimità del cittadino sovrano nel suo potere d’influenza nella deter-minazione della politica nazionale, soprattutto in sede di legittima-zione degli organi rappresentativi e dei vertici degli esecutivi, la cui de-terminazione, in tal modo, viene sottratta alla disponibilità dei partiti.Secondo tale diversa (e nuova) formula, il modello di democrazia ri-sulta particolarmente agevolato, trascorrendosi, in tal modo, da una‘cultura della coalizione’ a una ‘cultura dell’alternanza’, che vienecolta, in tale prospettiva, come la formula elettorale e istituzionale piùadeguata, secondo un criterio di tipo sistemico, ad assicurare il pienofunzionamento della logica interna, della relativa regola aurea, delleforme parlamentari di governo18.

Sotto tale profilo, le sottolineature critiche nei confronti di unaprospettiva orientata verso forme di ‘democrazia immediata’ – come èstato anche definito lo scenario politico-istituzionale in cui s’inscrivela strategia della riforma elettorale accolta in Italia – colgono nelsegno, nel loro costituire una lucida attualizzazione del dibattito dot-trinario sulle forme e sui limiti della democrazia rappresentativa (cheè in discussione da Rousseau in poi e che è di pregnante attualità a par-tire dalle analisi del Kelsen sulla “fiction representative”). Si può osser-vare che tale orientamento di pensiero, probabilmente, appare troppocondizionato dall’avere assunto in modo rigido una categoria – quelladi ‘democrazia immediata’ – che, da Vedel a Duverger in poi, non po-teva certamente assurgere a categoria dogmatico-prescrittiva, doven-dosi unicamente limitare a una categorizzazione della volontà d’inte-grare circuiti di comunicazione politica non limitati esclusivamente aquelli partitici19. Si deve, peraltro, sottolineare che la sperimentazioneche se ne è fatta negli ultimi anni deve far riflettere sui rischi di deriveplebiscitarie e populistiche a cui una simile strategia istituzionale puòandare incontro, soprattutto se non si affrontano, regolandole inmodo adeguato, le centrali questioni dell’informazione e della pro-prietà dei mezzi di comunicazione di massa. Se, dunque, le forme di

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18 Cfr. R. Ruffilli, A. Capotosti (a cura), Il cittadino come arbitro, Bologna, 1988; O.Massari, G. Pasquino, Introduzione: per eleggere rappresentanti e governanti, in O. MassariG. Pasquino, Rappresentare e governare, Bologna, 1994; G. Pasquino, Restituire lo scettroal principe, Roma-Bari, 1985.

19 Sul punto cfr. anche, fra gli altri, M. Duverger, Le nuove frontiere della democrazia,in Rassegna parlamentare, 1996, n. 2; L. Elia, Stabilità del Governo e regime parlamentare,in Aa.Vv., La riforma delle istituzioni, Roma, 1995.

‘democrazia immediata’ non possono fondarsi su una concezione dellarappresentanza del corpo sociale riunificata in senso spirituale inun’unità che trascende l’articolazione delle sue parti20, l’analisi deicosti della ‘democrazia immediata’ – nella citata direzione plebiscita-rio/populistica – andrebbe, se non proprio capovolta, (almeno) inte-grata per interrogarsi sui ‘costi’ della presente democrazia, tuttora sre-golata e indisponibile ad ogni soluzione (in sede legislativa o di auto-riforma dei partiti politici) di riqualificazione dei processi di selezionedella classe politica e di democrazia interna ai singoli partiti. È in talequadro soltanto, così, che si può comprendere e giustificare la ricercadi forme più adeguate – che rimangono comunque condizionate dai li-miti intrinseci del modello teorico-costituzionale della democraziarappresentativa e dai limiti materiali imposti dall’art. 139 Cost.21 – peril superamento della crisi di rappresentatività dei partiti ed il ripristinodella piena capacità rappresentativa e decisionale delle assemblee par-lamentari e, più in generale, per l’attuazione di una forma di governostabile e responsabile nel suo indirizzo.

2. Trasformazione dei partiti, riforme elettorali e ‘presidenzializzazione’della politica

La stessa legislazione elettorale e i relativi rapporti con la forma digoverno costituisce una vexata quaestio fin dal dibattito costituente,caratterizzandosi, soprattutto a partire dagli anni ’80-’90 del secoloscorso, come oggetto di una riforma avvertita come opportuna e/o ne-cessaria, che potesse operare a disciplina invariata delle disposizionicostituzionali in materia di forma di governo. Tuttavia, tale capacitàdelle regole elettorali di assicurare un equilibrio accettabile fra fun-zioni di rappresentanza politica e di stabilità governativa fu messa benpresto in questione a favore di una strategia istituzionale volta a inter-venire direttamente sul livello costituzionale, riadeguando secondoformule diverse le stesse modalità di legittimazione dell’Esecutivo erafforzandone il relativo ruolo secondo formule che, nel testo di revi-

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20 Sul punto, cfr. anche M. Luciani, Il voto e la democrazia, Roma, 1991.21 Cfr. anche il nostro La revisione della Costituzione fra teoria costituzionale e tentativi

(falliti) di ‘decostituzionalizzazione’. Limiti sostanziali e ‘costituzione materiale’, in S. Gam-bino, D’Ignazio (a cura di), La revisione costituzionale e i suoi limiti. Teoria costituzionale,diritto interno ed esperienze straniere, Milano, 2007.

sione costituzionale respinto nel referendum costituzionale (del 25-26giugno 2006), inseguono un modello di ‘premierato assoluto’22, inparte secondo le soluzioni del cancellierato tedesco ed in parte se-condo quelle della forma di governo israeliana (successivamente, essastessa revisionata)23.

Richiamandosi alle stesse scelte del costituente, una riflessione inmateria impone di tenere strettamente legate le esigenze proprie dellaforma di governo con quelle della forma di Stato, secondo i principiispiratori del vigente costituzionalismo. In tal modo, si vogliono sotto-lineare le forti ed innovative scelte seguite dal legislatore costituzionalerepubblicano al momento di disciplinare (per la prima volta in formacostituzionale) l’individuazione dei partiti politici come strumenticoncorsuali nella partecipazione alla formazione della politica nazio-nale; uno strumento – quest’ultimo – accompagnato da un ricco appa-rato di formule e di strumenti costituzionali d’integrazione della de-mocrazia rappresentativa con quella partecipativa. In tale quadro,pare necessario sottolineare come le soluzioni accolte e quelle che sivorranno in futuro ancora prevedere in tema di riforme elettorali de-vono dimostrare, per tabulas, la stessa capacità di assolvere da parte ditali centri di potere politico-comunitari alle funzioni di partecipazionepolitica per essi costituzionalmente previste. In tale ottica, si ritienenecessario richiamare, sia pure per grandi linee, le tematiche relativeal rapporto fra riforme elettorali, sistema politico-partitico e parteci-pazione politica, colte secondo un approccio non attento in modo pre-valente alle technicalities quanto piuttosto alla logica sistema cui deveispirarsi.

La riflessione sulle problematiche costituzionali poste dalla demo-crazia dei partiti ma anche all’interno degli stessi, nel quadro piùampio di una forma di Stato e di democrazia fondata sui partiti, ha ori-gine nel ‘compromesso costituzionale’ fra culture, ideologie e partitipresenti nel dibattito costituente, conoscendo un seguito importantenell’immediato secondo dopo-guerra. Nei primi anni ’90 del secoloscorso, essa si sviluppa in occasione del varo delle nuove leggi eletto-

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22 Cfr. L. Elia, Il Premierato assoluto, Relazione al Seminario ASTRID sul progetto go-vernativo di riforma della Seconda Parte della Costituzione (Roma, 22 settembre, 2003), inastridonline.it.

23 Sul punto, cfr. almeno F. Bassanini (a cura di), Costituzione, una riforma sbagliata,Firenze, 2004; P. Calderisi, F. Cintioli, G. Pitruzzella (a cura di), La Costituzione promessa,Soveria Mannelli, 2004; D. Gallo, F. Ippolito (a cura di), Salviamo la Costituzione, Taranto,2005; L. Vandelli, Devolution ed altre storie, Bologna, 2005.

rali per la Camera, per il Senato, per le amministrazioni locali e per leregioni. Il tema centrale di tale riflessione s’incentra tanto sulla dina-mica (formale e sostanziale) dei rapporti fra sistema dei partiti e isti-tuti costituzionali del circuito di rappresentanza e di governo, quantosulla questione della democratizzazione della vita interna dei partiti esulla previsione di una diversa disciplina dei relativi rapporti con gliorgani e i poteri costituzionali dello Stato (e delle assemblee rappre-sentative territoriali), da realizzarsi con una disciplina legislativa dellepiù significative attività a rilevanza pubblicistica svolte da parte diquesti ultimi. Tale ultima esigenza trovava la sua giustificazione nellaconsiderazione fattuale secondo cui i partiti si erano ormai trasfor-mati, prima in modo embrionale e in seguito in modo sempre piùnetto, in macchine organizzative chiuse in sé, autoreferenziali e, in al-cuni casi, più di recente, in veri e propri ‘partiti personali’ (o ‘partiti-azienda’)24. Fatti penalmente rilevanti, disvelati a partire dai primianni ’90, confermavano come simili ‘macchine’ avessero ormai persoparte significativa della capacità e della qualità rappresentativa, perconcentrarsi su tecniche di ricerca del consenso secondo modalità chepoco avevano a che fare con le funzioni proprie del partito.

L’orizzonte di fondo in cui s’inscrivono queste riflessioni in temadi riforme elettorali e del relativo impatto con la forma di governo, di-versamente da talune tesi pessimistiche sostenute da autorevoli stu-diosi25 – per i quali la legislazione elettorale più recente, di tipo preva-lentemente maggioritaria, avrebbe definitivamente distrutto i partiti dimassa (così come conosciuti almeno nell’ultima metà del secoloscorso) – è nel senso di ritenere tutt’altro che conclusa la funzione rap-presentativa degli stessi a favore di modalità rappresentative di tipopersonalistico, assicurate dal ruolo svolto dalle leadership, che trove-rebbero il loro pendant costituzionale nella prospettiva di nuovi assettidi “presidenzializzazione della politica”26 e delle istituzioni di governo

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24 Cfr. M. Calise, Il partito personale, Roma-Bari, 2000; Id., Il governo di partito in pro-spettiva costituzionale, in M. Calise (a cura di), Come cambiano i partiti, Bologna, 1992; IId., La Terza Repubblica. Partiti contro Presidenti, Roma-Bari, 2006; G. Giraudi (a cura di),Crisi della politica e riforme istituzionali, Soveria Mannelli, 2005; S. Ceccanti, S. Vassallo,Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema poli-tico italiano, Bologna, 2004.

25 Cfr. G.U. Rescigno, A proposito di prima e seconda Repubblica, in Studi parl. e di pol.costituzion., 1994 e Democrazia e principio maggioritario, Relazione al Convegno AIC, De-mocrazia maggioritaria e referendum, Siena, 3-4 dic. 1993.

26 Cfr. L. Elia, La presidenzializzazione della politica, in associazione dei costituzionalisti.it

del Paese27. Rispetto alle diverse proposte di riforma costituzionaleprospettate con riferimento a ipotesi più o meno radicali di presiden-zialismo e di “personalizzazione della politica”, esse devono ritenersidel tutto inadeguate quando si rifletta al fatto che una parte significa-tiva degli stessi studiosi degli Stati Uniti ritengono la forma di governopresidenziale inadeguata rispetto alle esigenze di ‘governabilità’ delPaese. Discorso omologo può farsi anche per il semipresidenzialismo,per ragioni che sembra trovare ormai d’accordo la maggioritaria dot-trina costituzionale28. La prospettiva istituzionale/costituzionale voltaall’accoglimento di forme costituzionali di ‘presidenzializzazione’della politica, con le relative conseguenze di accentuata ‘personalizza-zione’ delle cariche istituzionali (di vertice e non), allo stato (e nono-stante affermazioni isolate di leaders politico-istituzionali), non sem-bra affermarsi; in tale quadro, dunque, rimane confermato che i par-titi politici continuano a costituire (nonostante la relativa crisi)strumenti qualificati ed insostituibili per assicurare le funzioni di rap-presentanza politica e di necessaria mediazione rispetto alla compositacongerie degli interessi rappresentati in Parlamento, ancorché glistessi non possano rivendicare ruoli di ‘esclusività’ nell’esercizio di talefunzione, che in passato hanno politicamente preteso e praticato.

Quanto alla crisi dei partiti, essa non riguarda solo la funzione diconcorso dei cittadini alla determinazione della politica nazionale –che costituiva e costituisce tuttora un modello avanzato di democraziapolitica – quanto piuttosto il processo di condizionamento degli or-gani costituzionali di governo operato dagli stessi (con ciò che ne con-segue in termini di deresponsabilizzazione e di confusione istituzio-nale). Lungi da ogni pretesa di svalorizzazione delle più recenti mani-festazioni del concorso dei cittadini alla formazione della politicanazionale, tale orientamento di pensiero assume che il principio de-mocratico e quello partecipativo devono ulteriormente e più adegua-tamente diffondersi sia nell’ambito delle organizzazioni partitiche sia

1651La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto

(29.11.2005) e M. Calise, Presidentialization, Italian Style, in T. Poguntke, P. Webb, ThePresidentialization of politics in democratic societies, Oxford, 2004.

27 Sul punto, cfr. anche il nostro Presidenzialismo e parlamentarismo nella Va Repub-blica francese e nelle proposte di riforma costituzionale in Italia, in L. Mezzetti, V. Piergigli,Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi, cit.

28 Fra gli altri, sul punto, cfr. anche il nostro Crisi del partito di massa, forma di governo,cit.; M. Volpi, Il presidenzialismo all’italiana ovvero dello squilibrio tra i poteri, in F. Bassa-nini (a cura di), Costituzione una riforma sbagliata, Firenze, 2004; S. Ceccanti, O. Massari,G. Pasquino, Semipresidenzialismo. Analisi delle esperienze europee, Bologna, 1996.

attraverso l’utilizzazione di nuovi e più efficaci strumenti di forma-zione della volontà politica. Ciò soprattutto dopo la scelta operata conle (ormai non più recenti) leggi di riforma elettorale dei primi anni ’90(leggi 4 agosto 1993, n. 276 e n. 277) che non hanno conseguito gliobiettivi sistemici ai quali si erano ispirate, irrigidendo ulteriormenteil carattere oligarchico ed autoreferenziale dei partiti politici.

Va tuttavia rilevato, a questo proposito, che l’approccio con cuiper lungo tempo sia la dottrina costituzionale che (e soprattutto) i par-titi politici hanno affrontato la questione elettorale si è rivelato deltutto strumentale ed insufficiente. Solo nel dibattito teorico e parla-mentare più recente la riforma della rappresentanza politica, infatti,viene presa in considerazione non più solo come valore autonomobensì come elemento da considerare in stretta correlazione conl’obiettivo sistemico identificabile nella definizione di una forma digoverno ispirata al principio di alternanza e a quello, correlato, dell’ef-fettualità della responsabilità del ceto politico (di governo e di oppo-sizione) nei confronti del corpo elettorale e delle dinamiche costituzio-nali maggioranza/opposizione. Quest’ultima verrebbe conseguitaanche attraverso una valorizzazione del peso decisionale del voto (nonpiù solo per la scelta delle rappresentanze parlamentari ma per l’inve-stitura quasi diretta dello stesso Governo e come ‘voto-sanzione’). Inun orientamento di pensiero che è stato maggioritario nel Paese (e cheattualmente s’interroga sui limiti di riforme elettorali non accompa-gnate da riforme istituzionali e costituzionali nella direzione della ga-ranzia delle minoranze, della par condicio nell’accesso ai mezzi di co-municazione di massa e del rispetto del divieto di concentrazione deglistessi)29 si era ritenuto che le distorsioni presenti nel sistema politico,che avevano la loro manifestazione più evidente nella crisi della rap-presentanza, nella carente funzionalità degli apparati istituzionali digoverno (circuito Parlamento-Governo) e ancor di più nell’occupa-zione partitica dello Stato, fossero aggredibili attraverso il supera-mento del carattere ‘bloccato’ e incompiuto della forma di democra-zia conosciuta nel Paese (e della cosiddetta ‘prassi consociativa’), ispi-randosi a concetti di democrazia di tipo sistemico.

Pur sottolineandosi tutti i rischi (almeno tendenziali) di deriva po-

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29 Fra gli altri, in tal senso, cfr. anche S. Gambino, G. Moschella, La riforma elettoralein Italia: un modello discutibile di democrazia maggioritaria, in S. Gambino, G. Ruiz-RicoRuiz, Forme di governo, sistemi elettorali, partiti politici: Spagna e Italia, Rimini, 1996; S.Gambino, Diritto costituzionale comparato ed europeo. Lezioni, Milano, 2004.

pulistico-plebiscitaria connessi allo sviluppo delle forme della ‘demo-crazia referendaria’30, in tale quadro, uno degli obiettivi del movi-mento referendario che si era attivamente impegnato, nei primi anni’90 del secolo scorso, per l’abrogazione delle leggi elettorali a baseproporzionale al tempo vigenti (nonché per la soppressione delle pre-ferenze multiple), era appunto di giungere ad un pieno dispiegamentodel modello democratico-parlamentare attraverso la trasposizionedelle regole istituzionali proprie dei regimi costituzionali cosiddettidell’alternanza, che si caratterizzano per un’accentuata competitivitàdelle forze politiche rappresentate in Parlamento, per la funzione dicritica, controllo e di rappresentanza di posizioni alternative sulle sin-gole issues svolte dall’opposizione, della quale viene pertanto garantita‘istituzionalmente’ la possibilità reale di sostituirsi al/i partito/i dimaggioranza (battendolo/i alle elezioni politiche) nel governo delPaese. In tale contesto, l’avvio di un processo di riforme elettorali si ri-proponeva l’obiettivo del superamento dei processi consociativi con ilimiti che, in sede di ‘costituzione reale’, avevano caratterizzato laforma di governo del Paese nell’ultima metà del secolo appena allespalle.

Nel concreto svolgimento dei rapporti fra (funzioni di) rappresen-tanza politica e (funzionalità/stabilità degli) organi di governo, infatti,la mancata alternanza fra forze politiche ed in particolare l’operativitàdi convenzioni preclusive verso alcune forze politiche, a sinistra e a de-stra dello schieramento parlamentare, si erano accompagnate conprassi consociative, sia nell’ambito legislativo che nella stessa ammini-strazione, secondo moduli convenzionali ispirati ad un modello di ‘go-verno spartitorio’31. Corresponsabilizzando impropriamente (sia purecon diverso grado) le forze parlamentari di governo e quelle di oppo-sizione, tale prospettiva (di natura consociativa) aveva reso difficileper il cittadino-sovrano l’esercizio del voto-indirizzo e del voto-san-zione, essendo quest’ultimo, in tal modo, limitato ad esprimere, so-stanzialmente, un mero voto-mandato al partito (e al sistema dei par-titi). I limiti di un simile ‘governo spartitorio’, coniugandosi con le ri-gidità imposte dalla ‘crisi fiscale dello Stato’ e con le resistenze delsistema politico-istituzionale a varare riforme organiche nella dire-zione della razionalizzazione delle istituzioni pubbliche, avevano ali-mentato un convincimento diffuso sulle positive opportunità offerte

1653La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto

30 Su cui cfr., fra gli altri, M. Fedele, La democrazia referendaria, Roma, 1994.31 Cfr. G. Amato, Economia, politica e istituzioni in Italia, Bologna, 1977.

da una riforma elettorale che si proponesse di conseguire l’obiettivo diuna maggiore responsabilizzazione della rappresentanza politica, ri-spondendo meglio all’esigenza di sciogliere i principali nodi eviden-ziati nel sistema politico-istituzionale. In tale contesto, la questioneelettorale era affrontata con riferimento alle reali condizioni del si-stema politico ed a quella che era stata definita la ‘costituzione mate-riale’ realizzata dai più importanti centri di potere politico-comunitari,partiti politici in primis. In tale chiave interpretativa, la revisione delsistema elettorale si collocava come un elemento di assestamento isti-tuzionale rispetto ai profondi mutamenti registrati sul piano della ‘co-stituzione materiale’, che si riconducevano, fondamentalmente, allacrisi della concezione di “esclusività” nella rappresentanza politica ri-tenuta dai partiti politici, anche al di là della previsione costituzionale,nonché all’inadeguatezza del modello consociativo a definire unaforma compiuta di democrazia parlamentare.

L’evoluzione del costituzionalismo italiano (ma analogo discorsopuò farsi per tutti gli ordinamenti costituzionali europei) dalla fase ori-ginaria (liberal-democratica) a quella contemporanea, per come si ègià ricordato, impone di accogliere – accanto alla disciplina dei rap-porti fra Stato e cittadini (posta a presidio delle libertà civili e politi-che) e a quella relativa alle diverse relazioni fra i soggetti costituzionali– la presenza e l’operatività di attori sociali differenziati, di centri dipotere politico-comunitari, che organizzano – rendendolo efficace –l’esercizio della libertà di partecipazione politica e che, in qualchemodo, mettono in questione – condizionandoli significativamente – lastessa attività e l’indirizzo degli organi costituzionali di governo, in ciòconcretizzandosi il modello della ‘democrazia di partito/i’. Per il tipodi rapporti che sono andati intessendo con lo Stato e la manifestazionesociale e pubblica dei relativi poteri, tali centri di potere comunitario– e soprattutto i partiti politici, che ne costituiscono l’espressione piùstabile, organizzata e per questo qualificata – possono ben cogliersicome qualificate strutture di associazione/organizzazione sociale e alcontempo come organi ausiliari dello Stato (se non proprio come veripropri organi statali, come pure sono stati definiti da autorevole dot-trina, nei primi anni ’50 del secolo scorso).

All’interno delle forme di governo degli Stati contemporanei, a li-vello embrionale nella fase originaria (come quella delineata dalla Co-stituzione italiana del ’48) e in modo compiuto in quella più recente,così, i partiti politici, per le modalità di svolgimento delle funzioniconnesse alla rappresentanza politica (e alla mediazione fra gli inte-

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ressi sociali), diventano sempre più, sia pure nella sola via fattuale, or-gani a rilevanza quasi costituzionale, capaci di determinare o anchesolo d’incidere in modo determinante sulla formulazione e sull’eserci-zio dell’indirizzo politico. Ma essi sono, al contempo, per come si è giàricordato, associazioni di tipo privato e come tali sono fortemente in-sediate nella società, apparendo difficile, anche per tale ragione, la ri-composizione strutturale e funzionale in una lineare, soddisfacente,definizione della relativa natura giuridica. In un simile quadro, il di-battito sulle forme di governo32 ritrova una sua nuova attualità dopo lariforma elettorale italiana dei primi anni ’90 del secolo scorso, a se-guito del pronunciamento referendario sulla parziale abrogazionedella previgente legge elettorale per la Camera e per il Senato. Per ri-chiamare, in modo essenziale, con qualche interesse ai fini della com-parazione con altri sistemi le soluzioni offerte dalla riforma elettoraledei primi anni ’90 e accostarsi alle problematiche che essa ha dischiusonell’analisi giuridica e nel dibattito politico del Paese, occorre inqua-drare l’intera tematica ora in considerazione nella più generale proble-matica posta dalla riforma istituzionale (e costituzionale), avviata datempo, e che ha conosciuto una sua accelerazione, soprattutto a par-tire dai primi anni ’80 del secolo scorso, con le proposte orientate auna riforma costituzionale nella prospettiva di ‘governi presidenziali’o ‘semipresidenziali’, ovvero anche di ‘governi di legislatura’. In que-sto contesto, le riforme elettorali venivano individuate come snodoobbligato per affrontare le problematiche istituzionali dell’instabilitàgovernativa e della connessa difficoltà di assicurare la coesione dellecoalizioni di governo e l’omogeneità dei relativi indirizzi politici33.

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32 Cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit.; G.U. Rescigno, Forme di Stato e forme di go-verno, in Enciclopedia giuridica Treccani; C. Pinelli, Forme di Stato e forme di Governo.Corso di diritto costituzionale comparato, Napoli, 2009.

33 Dal punto di vista più strettamente politico, l’esperienza italiana si caratterizzava,fino al 1993, come è stato osservato anche dagli osservatori stranieri, per una costante in-disponibilità ad aprire le coalizioni di governo alle forze politiche collocate a destra e so-prattutto a sinistra delle tradizionali coalizioni governative. Un’autorevole dottrina avevacolto in tale assetto materiale l’esistenza di una vera e propria ‘conventio ad excludendum’,che delineava scenari di ‘democrazia zoppa’, una democrazia, cioé, nella quale risultava as-sente la ‘regola aurea’ del parlamentarismo liberal-democratico – l’alternanza al governofra forze politiche – intesa come principio di trasparenza e di effettualità della responsabi-lità politica, rispettivamente, del Parlamento e del Governo (cfr. L. Elia, Governo (formedi), cit., 654).

3. Verso una nuova (contrastata) costituzione materiale: riforme eletto-rali, disgregazione del sistema politico-partitico e affermazione di‘partiti personali’

Così richiamata la filosofia istituzionale ispiratrice della riformaelettorale dei primi anni ’90, rimane ora da chiedersi, dopo un venten-nio di sperimentazione, quali effetti concreti essa ha esercitato sullacostituzione materiale del Paese (soprattutto in tema di coesione in-terna ai governi ‘di coalizione’); rimane, inoltre, da riproporsi il que-sito se la stessa sia stata (o meno) capace di assicurare quegli obiettiviattesi di ‘governabilità’ ai quali si era ispirata (e che il corpo elettoraleaveva fatto propri con un esito referendario particolarmente chiaro).

Nell’accostarsi a un tema che appare indubbiamente complesso,attesa anche la prossimità storica alla fase politico-istituzionale oggettoora di analisi, può dirsi, in una prima valutazione generale, che la ri-forma elettorale dei primi anni ’90 ha indubbiamente conseguito unodegli obiettivi per il quale era stato richiesto e approvato, quello cioèdi consentire l’effettività dell’alternanza al governo fra forze politichecontrapposte. Nelle due legislature più recenti, infatti, due partiti (agliantipodi fra di loro) che in precedenza erano stati ritenuti ‘antistema’e per questo erano stati esclusi dalla formazione dei governi per unametà di secolo – sia pure in uno scenario politico-istituzionale nuovo,caratterizzato dalla ridefinizione delle relative ragioni sociali e danuovi programmi/statuti politici – hanno potuto accedere per la primavolta al governo, all’interno di coalizioni che li ricomprendevano. Contale accesso all’interno delle maggioranze parlamentari di turno, si èparimenti determinato un secondo importante effetto, quello dellaloro piena legittimazione (nell’accesso al governo) e di una loro reci-proca legittimazione in quanto forze politiche pienamente democrati-che. Sotto tale profilo, dunque, non può che sottolinearsi il successodi un sistema elettorale che ha visto allargata la base di formazione deigoverni, confermando, in tal senso, la fondatezza delle aspettative inesso riposte sia da parte del corpo referendario sia da parte del Parla-mento e della dottrina che ne aveva sostenuto (almeno parzialmente)le ragioni. Tuttavia, problemi non erano mancati soprattutto con rife-rimento alla debolezza dei vincoli di lealtà esistenti all’interno dei par-titi della coalizione (soprattutto di governo). Mentre nel corso dellaprima delle due richiamate legislature basate sul nuovo sistema eletto-rale (prevalentemente) maggioritario tale debolezza determinava unpersistente ricorso alla risalente prassi (contra Constitutionem) delle

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crisi extra-parlamentari (con l’abbandono della maggioranza governa-tiva del tempo da parte di una delle sue componenti partitiche più cri-tiche), successivamente, tale debolezza del vincolo coalizionale si ma-nifestava come rafforzamento relativo di una delle componenti dellamaggioranza governativa (Lega Nord), che aveva buon gioco, in talequadro, di ricorrere ad un potere di ‘minaccia della crisi’ per conse-guire una negoziazione politico-programmatica di favore.

Quanto al rapporto fra partiti politici e nuove leggi elettorali, seil nuovo sistema elettorale (prevalentemente maggioritario) non ap-pariva direttamente responsabile della crisi del partito di massa34, lasua pratica si era accompagnata con tale crisi. Le relative manifesta-zioni apparivano di comune osservazione; fra queste ultime, sono darichiamare, almeno, l’indebolimento del vincolo di lealtà politica fraeletti e partiti (con lo sviluppo abnorme del ‘transfughismo’), la costi-tuzione di una molteplicità di gruppi parlamentari (con la crescita pa-rimenti abnorme del numero dei parlamentari iscritti al gruppo mistosia alla Camera che al Senato) e il rafforzamento della tendenza alla‘personalizzazione’ del potere (soprattutto, ma non solo, negli esecu-tivi).

L’affermazione di ‘partiti personali’, del c.d. ‘partito-azienda’(Forza Italia, ora Popolo della libertà), costituisce, in tal senso, il sin-tomo di un processo più vasto e profondo, che si accompagna con laperdita progressiva del modulo partecipativo nella scelta dei candidatia favore di decisioni che si trasferiscono direttamente nelle mani delleader/Premier, ovvero nelle (egualmente ristrette) segreterie politiche(di norma esclusivamente nazionali). È a questo livello, in particolare,così, che trovano una loro giustificazione quegli orientamenti, chesono stati già richiamati in precedenza, circa l’opportunità/necessitàche la riforma elettorale (prevalentemente) maggioritaria si accompa-gnasse con la ripresa di un’attenzione riformistica relativa alla demo-crazia interna ai partiti e con la stessa apertura da parte di questi ul-timi rispetto alla scelta dei candidati alle elezioni politiche e agli organiesecutivi di vertice non solo al proprio interno ma aprendosi anche acandidature provenienti dalla società civile (elezioni primarie aperte),

1657La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto

34 Sul punto, cfr. almeno R. Blanco Valdés, Crisi del partito di massa e razionalizzazionedella forma di governo, in S. Gambino (a cura di), Democrazia e forme di governo, cit.; P.Ciarlo, Partiti in trasformazione e revisione costituzionale, in S. Gambino (a cura di), Demo-crazia e forme di governo, cit.; S. Gambino, Crisi del partito di massa, forma di governo, cit.

secondo un metodo disciplinato in via legislativa35. Ma, come si è giàsottolineato in precedenza, ciò non si è verificato. Una delle ragionidel fallimento delle nuove regole elettorali risiede appunto nella man-cata adesione da parte del sistema politico-partitico verso quest’aper-tura alle regole della democrazia interna dei partiti e nella stessa man-cata apertura (formale) del procedimento elettorale, da una parte, alsistema delle ‘elezioni primarie aperte’ e, dall’altra, alle candidaturefemminili nelle liste elettorali.

La legislazione elettorale prevalentemente maggioritaria dei primianni ’90, in tale quadro, pare aver risolto una delle questioni centralinella formazione delle maggioranze parlamentari, quella dell’investi-tura elettorale diretta (o quasi diretta) dei relativi leaders nelle carichedi governo, la cui capacità di trascinamento elettorale riflette effettipositivi sulla (almeno tendenziale) stabilizzazione della forma di go-verno, in un quadro che, come si è già detto, restava comunque carat-terizzato dal ricorso a governi di coalizione. La nuova ‘costituzionemateriale’ determinata dalla riforma elettorale sottrae materialmenteal Presidente della Repubblica l’individuazione del leader incaricatodella formazione del Governo; pur restando formalmente libero nel-l’esercizio di tale onere costituzionale, il capo dello Stato riceve un in-dubbio e inequivoco indirizzo da parte del corpo elettorale, risultan-done condizionato in modo sostanziale. Ciò che invece le nuove regoleelettorali non potevano assicurare era la coerenza di azione dei partitiall’interno di governi che erano (e restavano) di coalizione, con la con-seguenza che alla parziale stabilità conseguita dall’Esecutivo attra-verso l’investitura del suo leader non si accompagnavano la forza, lacoesione interna e pertanto la stessa autorevolezza delle relative sceltepolitico-programmatiche. Qualora assunto come obiettivo positivo daconseguire (come, tuttavia, non assumiamo, in ragione della diversa erisalente storia parlamentare del Paese), tale obiettivo avrebbe dovutoessere conseguito ricorrendo a un diverso sistema elettorale, piena-mente maggioritario, a base uninominale. L’effetto di una simile for-mula elettorale sul sistema politico del Paese, in tale caso, avrebbe po-tuto, più coerentemente e con logica sistemica, operare secondo un’at-tesa logica bipolare; tale sistema avrebbe consentito, probabilmente, lastessa presenza parlamentare di un partito eminentemente regionale,

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35 Sul punto, cfr. anche Aa.Vv. (a cura di S. Gambino), Elezioni primarie e rappresen-tanza politica, Soveria Mannelli, 1995.

come la Lega Nord, al pari di quanto è dato osservare nel sistema bri-tannico per lo Scottish party, esso stesso partito con base regionale.

La formula elettorale utilizzata in Gran Bretagna, inoltre, e comeè ben noto, più che ‘investire’ un leader legittimandolo direttamentenell’esercizio della funzione di capo del Governo, consente la scelta daparte degli elettori di un partito, chiamandolo direttamente alla re-sponsabilità di governo e sostenendolo nel suo indirizzo politico. Talescelta, in un’ottica che è appunto di tipo (almeno tendenzialmente) bi-polare, si accompagna con regole parlamentari particolarmente strin-genti, che sono volte ad assicurare al Governo una sua continuità nel-l’indirizzo politico fra maggioranza parlamentare e maggioranza di go-verno, accompagnata dalla stabilità della sua compagine istituzionale;con la conseguenza che, in caso di inadeguatezza di quest’ultimo o diun contrasto ritenuto negativo da parte della maggioranza parlamen-tare di sostegno, quest’ultima potrà liberamente decidere di sostituireil Premier senza dover ricorrere alle più complesse e macchinose pre-visioni di bilanciamento, come quelle di riconoscere al Premier un po-tere di scioglimento delle Camere e a queste ultime di poterlo comun-que sostituire ricorrendo ad altro leader appartenente alla stessa mag-gioranza parlamentare (come si prevedeva nell’ultimo testo direvisione costituzionale).

Come si può osservare, la riflessione appena svolta richiama l’uti-lità del ricorso alle esperienze comparatistiche in tema di ‘democraziamaggioritaria’; ciò anche in considerazione del fatto che l’attesa stabi-lità del Governo, in Italia, è stata sicuramente assicurata, ma non parepotersi affermare che tale successo si estenda anche alla coerenza in-terna al Governo. I governi fondati su un bipolarismo (almeno ten-denziale) sostenuto dalla legislazione elettorale (prevalentemente)maggioritaria adottata nei primi anni ’90 si sono rivelati, nella realtà,per quelli che istituzionalmente essi sono, cioè ‘governi di coalizione’,in altri termini, governi sostenuti da forze politiche e fondati su ac-cordi elettorali intorno ad un leader, le quali, nel Parlamento, rivendi-cano (comprensibilmente) visibilità e responsabilità rappresentativa.Quali che siano i meccanismi utilizzati, dunque, non pare conseguitol’atteso obiettivo di una legislazione elettorale a sostegno di un ‘go-verno del Premier’.

Il tema ritorna così a riproporsi negli stessi termini dei primi anni’90, allorché si era manifestato nel Paese un orientamento indiscussoverso la ‘democrazia maggioritaria’, fatta in gran parte di scelte d’inve-stitura diretta dei vertici degli esecutivi e di semplificazioni elettorali e

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partitiche, in breve, di formule orientate nella direzione della ‘perso-nalizzazione’ della politica e della ‘presidenzializzazione’ del potereesecutivo.

Che la soluzione seguita dalla più recente riforma elettorale (l. n.270 del 2005) costituisca una risposta plausibile appare del tutto di-scutibile, se non per una evidente volontà volta verso una strategiaelettorale a breve termine, al fine cioé di ricavarne un possibile vantag-gio competitivo da parte della maggioranza parlamentare del tempo.Al contrario, se l’obiettivo fosse stato quello di affrontare in modoadeguato il tema di un necessario ed equilibrato rapporto da preve-dersi fra esigenze della rappresentanza politica ed esigenza di ‘gover-nabilità’, nel dibattito dottrinario del Paese e nell’esperienza di altripaesi è dato individuare soluzioni adeguate a soddisfare ambedue i ri-chiamati valori. Fra le esperienze di razionalizzazione, in tale ottica, sipuò richiamare quella tedesca36 (con il ricorso ad un sistema elettoraleproporzionale con soglie di sbarramento), oppure, in un’alternativache si vedrebbe comunque in continuità con l’opzione in favore di si-stemi a base maggioritaria, quella francese37, basata su un sistema elet-torale maggioritario a doppio turno.

L’analisi può ora concludersi con alcune (brevi) riflessioni relativealle linee salienti della vigente legge elettorale a base proporzionalecon premio di maggioranza e alle sue evidenti discontinuità rispettoalle aspettative ‘maggioritaristiche’ sollevate dai primi referendumdegli anni ’90 (1991, 1993), nonché alle relative previsioni legislativedi riforma. L’approccio cui c’ispireremo, in tale analisi, sarà quello diindagare sulla logica sistemica sottesa alla nuova legge elettorale, po-nendo interrogativi sulla relativa idoneità a farsi carico, al contempo,delle esigenze di rappresentanza e di governabilità e sugli effetti che lastessa potrà avere relativamente alla previsione delle ‘liste bloccate’nell’individuazione dei candidati e degli eletti. Una scelta – quest’ul-

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36 Fra gli altri, sul punto, cfr., almeno, L. Mezzetti, La forma di governo tedesca, in S.Gambino (a cura di), Forme di governo e sistemi elettorali, Padova, 1995; V. Götz, L’espe-rienza tedesca: modello costituzionale e prassi, in S. Gambino (a cura di), Democrazia e formedi governo, cit.; V. Götz, Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi: l’espe-rienza tedesca, in L. Mezzetti, V. Piergigli, Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamen-tarismi, cit.

37 Fra gli altri, sul punto, cfr., almeno, A. Di Virgilio, Semipresidenzialismo e doppioturno nella Quinta Repubblica francese. Un modello di successo, in S. Gambino (a cura di),Forme di governo e sistemi elettorali, cit.; S. Gambino, Presidenzialismo e parlamentarismonella Va Repubblica francese, cit.

tima – di dubbia legittimità, che rischia di allontanare ulteriormente ein modo (forse) definitivo i cittadini dai partiti, riaffermando, in talmodo, quel principio di ‘esclusività’ nella funzione di rappresentanzae di mediazione politica che già in precedenza si è diffusamente criti-cato.

Così richiamati i temi ora oggetto di analisi, può sottolinearsi comela nuova legge di riforma elettorale (l. n. 270/2005) costituisca, sottoognuno dei profili richiamati, un netto abbandono dei princìpi siste-mici che avevano in passato ispirato la riforma (prevalentemente)maggioritaria (essi stessi, invero, molto incerti). Tale opzione, tuttavia,non sembrerebbe seguire un criterio formale di disinteresse istituzio-nale verso l’obiettivo della governabilità, quando si consideri che (al-meno) alcune disposizioni sono previste in tale prospettiva (art. 1, Vco., legge ult. cit.), come, ad es., la presentazione alla Camera di un“programma elettorale” e l’indicazione dei dati personali del leader in-dicato dai partiti o dai gruppi politici organizzati quale “capo dellaforza politica”, indici – questi ultimi – che farebbero assumere un in-teresse verso la formazione di coalizioni guidate da un leader certo. Masi tratta, come si può osservare, di disposizioni ampiamente inade-guate rispetto all’obiettivo atteso della stabilità e della coesione internadella maggioranza di governo, soprattutto se comparate con le piùstringenti formule del sistema elettorale previgente, sia nella indivi-duazione del leader capofila delle coalizioni sia nei meccanismi di tra-sformazione dei voti in seggi parlamentari. Rispetto a questa incer-tezza di fondo nella garanzia della ‘governabilità’, infatti, appaiono in-congrue e irrazionali le farraginose soluzioni accolte con riferimentoalla distribuzione del premio di maggioranza, fino a doversi sostenere,in unum con gli orientamenti della prevalente dottrina che si è fin quioccupata della questione, che siamo in presenza di una ‘irrazionalitàcomplessiva’ della legge, che, per questa ragione, dovrebbe essere cen-surata dal Giudice delle leggi (qualora adito). Da una parte, infatti, lalegge non prevede (ma forse non poteva, quando si consideri la previ-sione accolta nell’art. 67 Cost.) alcuna sanzione per le coalizioni diforze politiche che, dopo aver fruito del premio di maggioranza, im-mediatamente dopo decidano di sciogliersi per confluire in altre forzepolitiche, violando in tal modo il principio di eguaglianza del voto ealterando di conseguenza le condizioni della competizione elettorale;dall’altra – e soprattutto – occorre sottolineare la scarsa (e per questoirrazionale) capacità premiante del ‘premio di maggioranza’, quandosi consideri come la stessa, in sede di assegnazione dei seggi al Senato,

1661La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto

finisca in realtà per annullarsi all’interno di ogni singola regione, nonproducendo quell’atteso effetto premiante e di stabilizzazione dellacoalizione di forze politiche vittoriose alle elezioni per assicurare allestesse almeno il 55% dei seggi, a garanzia della stabilità governativa.Un premio regionale – quest’ultimo – che diviene manifestamente un“non premio” a livello nazionale in quanto i differenti, singoli, premipossono finire per annullarsi (come è appunto avvenuto al Senatonelle elezioni del 2006). Si tratta, in conclusione, di un sistema eletto-rale a base proporzionale corretto con premio di maggioranza e sbar-ramenti (variegati) che, tuttavia, non risulta idoneo ad assicurare iprincìpi proiettivi propri dei sistemi elettorali a base proporzionale, néad assicurare il ruolo di rappresentanza attraverso gli eletti.

Rimane, infine, da sottolineare la distanza di una simile riformaelettorale rispetto alla filosofia-ingegneria istituzionale posta a base deltesto di revisione costituzionale (poi respinto in sede referendaria)38.Quest’ultimo pareva ispirarsi a una ‘nuova’ democrazia, fondata sulla(pressoché esclusiva) investitura diretta dei governi, accompagnandosicon la volontà di attutire (fino quasi a farli scomparire) meccanismi diequilibrio che i costituenti del ’48 avevano assegnato al capo delloStato ed alla Corte costituzionale; equilibri – questi ultimi – che nelcomplesso hanno ben funzionato, nel loro ruolo di equilibratori del si-stema fondato comunque sulla rappresentanza e sul Parlamento. Nelprimo caso, infatti, si sarebbero determinato in modo compiuto leconseguenze piene della ‘democrazia d’investitura’, per la quale il Par-lamento viene esautorato da ogni potere concreto d’indirizzo e di con-trollo sull’Esecutivo, a meno di non utilizzare come extrema ratiol’arma (letale e autodistruttiva) della mozione di sfiducia (o quella, pa-rimenti difficile da utilizzare dal punto di vista politico, di una mo-zione di sfiducia construens). Rispetto al secondo rapporto, la riformaavrebbe ridotto, fino a distruggerlo, il ruolo di ‘potere neutro’ del Pre-sidente della Repubblica, che tanta moderazione e saggezza può ap-portare (ed ha apportato) al sistema politico-costituzionale nei mo-menti di particolare crisi in cui quest’ultimo può venire a trovarsi (e siè concretamente trovato nel corso del tempo).

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38 Cfr. F. Bassanini (a cura di), La riforma elettorale, Firenze, 2007; L. Elia, Riflessionisui sistemi eletttorali, in Astrid Rassegna (30/11/2007); S. Stammati, Sul sistema elettoraletedesco e sulla sua applicazione in Italia, Seminario Astrid, 20/XI/2007; F. Bassanini, Sul pro-getto di riforma elettorale del Partito democratico (Osservazioni sulla c.d. bozza Vassallo), inAstrid Rassegna, n. 19 del 2007; S. Gambino, Riforme elettorali e modelli di democrazia, infederalismi.it, 2006, n. 2.

Al contrario, il modello di governo prospettato nel testo di revi-sione costituzionale (respinto in sede referendaria) si allontanava dalmodello britannico per avvicinarsi alla (fallimentare) esperienza israe-liana. Non richiamava, infatti, il modello britannico perché il Premieringlese non dispone materialiter del potere di scioglimento delle Ca-mere39 (e d’altra parte lo stesso può essere sostituito dalla sua maggio-ranza con altro leader, come è puntualmente avvenuto nell’avvicenda-mento fra la Thatcher e Major, fra Tony Blair e Gordon Brown)40; siavvicinava fortemente, invece, a quello israeliano41, cioè ad un premie-rato espressamente elettivo con potere di scioglimento, modello di cuiperaltro Israele si era presto disfatto per i suoi conclamati limiti d’in-stabilità politica di quella formula di governo. In altri termini, parevavolersi inseguire un modello di allontanamento dell’investitura dellamaggioranza parlamentare a favore di una leadership solitaria, cioèquella del capo del Governo, dominus, nella fase di formazione delGoverno e nella sua vita istituzionale, del potere di risolvere la crisiogni volta che essa insorgesse, ricorrendo alle risorse istituzionali/co-stituzionali piuttosto che a quelle, più corrette, di un dialogo strin-gente fra il Premier e la sua maggioranza parlamentare. In breve, si ri-correva a una ‘scorciatoia’ costituzionale che era assolutamente insquilibrio rispetto al mix di ‘pesi e contrappesi’ che sono necessari inuna democrazia parlamentare e perfino in una forma presidenziale,come hanno insegnato gli stessi costituenti nord-americani.

Il clima di transizione in cui, da più di un ventennio, versa il si-stema politico del Paese, e nel quale sono stati sperimentati (reiterati,ancorché vani) tentativi di riforma costituzionale volti a realizzare lastrategia istituzionale del sostegno alle finalità partecipative e a quelladella garanzia della stabilità governativa, solleciterebbe, da ultimo,una riflessione sul dibattito in corso in tema di riforme elettorali. In unquadro di riferimento che auspica (e che assume comunque come de-terminante) un raccordo con la riforma costituzionale della forma digoverno, queste ultime assumono una loro non superata centralità

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39 In tal senso cfr. anche G.F. Pasquino, Capi di Governo, Bologna, 2007.40 Sul punto, cfr. anche T.E. Frosini, Premierato e scioglimento delle Camere, in federa-

lismi.it (2006/1), e S. Ceccanti, Il premierato. Matrici ideali e traduzione nell’oggi, inwww.spbo.unibo.it/pais/ceccanti.

41 Su cui cfr. anche R. Toniatti, Una forma di governo parlamentare iperrazionalizzata: lasoluzione dell’elezione diretta del primo ministro in Israele, in L. Mezzetti, V. Piergigli (a curadi), Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi, cit.; F. Clementi, La riformadella Legge fondamentale sul Governo in Israele, in Quaderni costituzionali, 2001, n. 2.

nella discussione politica e istituzionale del Paese. Le formule eletto-rali maggiormente richiamate (e discusse) nel più recente dibattito po-litico e in quello dottrinario sono date, da una parte, da quella accoltanel sistema elettorale tedesco e, dall’altra, da quella accolta dal legisla-tore elettorale spagnolo. Se, al contrario, la riflessione seguisse il crite-rio sistemico, costituito dall’integrazione fra legge elettorale, stabilitàdel governo e garanzia della rappresentanza, occorrerebbe sottoli-neare come, fra tutti i sistemi elettorali in campo, quello più prossimoa farsi carico dell’insieme degli obiettivi politico-istituzionali richia-mati sarebbe il sistema elettorale francese. Tale sistema parrebbe co-stituire il logico e coerente sviluppo della legislazione elettorale (pre-valentemente maggioritaria) dei primi anni ’90 (vigente fino all’ado-zione della l. n. 270 del 2005). Tuttavia, tale analisi non ha incontratoil consenso della coalizione delle forze di centro-destra, costituendotale sistema elettorale, da più di un decennio, l’opzione istituzionaleaccolta nei programmi politici dei DS, almeno prima che questo par-tito (fondasse e) confluisse nel PD. Gli orientamenti che precedono,in ogni caso, esprimono una mera valutazione tecnica, di coerenza po-litico-istituzionale, e non certo una preferenza personale nei riguardidel sistema elettorale d’oltr’alpe, limitandosi a sottolineare come essocostituisca la formula maggiormente coerente all’esito referendario deiprimi anni ’90 (che andava rispettata, al momento di progettare unnuovo sistema elettorale) e soprattutto al sistema elettorale adottato avalle di tale pronunciamento referendario. Nel considerare gli effettidi tale sistema elettorale sul sistema politico francese – ormai stabili dapiù di un trentennio – così, non può non prendersi atto come, sotto lostesso profilo della rappresentanza parlamentare, tale sistema abbiaconsentito un’efficace garanzia della stabilità e della ‘governabilità’ at-traverso la presenza parlamentare, a supporto del Governo, di almenodue forze politiche, e la stessa articolazione si è registrata nell’opposi-zione parlamentare42.

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42 A. Di Virgilio (Semipresidenzialismo e doppio turno nella Quinta Repubblica francese,cit.) parla della conformazione del sistema politico-partitico francese secondo l’efficace me-tafora di una ‘quadriglia bipolare’.