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54 Panorama | 16 marzo 2016 STAMPA & POTERE L’avvicinamento di Marchionne verso Palazzo Chigi. La virata di Repubblica a favore del premier. Il rapporto preferenziale tra Renzi e De Benedetti. Ecco come è nata l’alleanza che ridisegna la mappa dell’informazione italiana. Alla faccia della concorrenza. IL SUPERGIORNALE AMICO DEL GOVERNO S e ne sono sentite davvero di tutti i colori sulla «nuova era dei giornali», il «polo europeo», il «gruppo leader» e via via inebriandosi. È stato tirato in ballo il gene piemontese, si sono lucidati i blasoni delle grandi fami- glie (Agnelli, Perrone, Caracciolo, Falck, De Benedetti). Si è cercato il grande piano e il sommo regista. È John Elkann che vuol fare l’editore, ma globale con l’E- conomist per il quale ha speso 400 milioni di euro, quasi l’intero debito della Rcs. È l’Ingegnere che così ha sistemato l’eredi- tà. È Monica Mondardini, capo azienda dell’editoriale Espresso. Insomma, chi ne ha più ne metta. Del resto il ribaltone c’è e ridisegna la mappa dell’editoria italiana con ricadute ad ampio raggio sull’intera fabbrica delle notizie e sulla politica. Perché una cosa è sicura: la Repubblica s’è mangiata la Stampa, mentre la ritirata degli eredi Agnelli (restano azionisti del nuovo gruppo con appena il 5 per cento) ha messo nei pasticci il Corriere della Se- ra favorendo i concorrenti: prima c’erano tre quotidiani nazionali generalisti, ora ne rimangono due (al giornale torinese toc- ca un futuro regionale). La Restampa o Stampubblica (neologismo del Manifesto) o comunque la si chiami, controllerà il 22 per cento delle copie vendute in Italia, una concentrazione mai vista nel dopoguerra. E il risiko di carta è in mano a tre persone: Sergio Marchionne che ha ottenuto quel che voleva da tempo, Carlo De Benedetti che consuma la propria rivincita senile e Matteo Renzi che con l’Ingegnere ha stretto un rapporto preferenziale. Nasce il Gun (giornale unico della na- zione), organo del Pun (Partito unico della nazione)? Certo si crea un gran volume di fuoco amico. Il silenzio del governo non sembra esattamente il silenzio degli inno- centi. Tace il ministro della cultura Enrico Franceschini, tacciono le mosche cocchiere dell’intellighenzia (liberale, progressista e di sinistra). L’ordine è: bocche cucite. Eppure i tre burattinai non si erano sem- pre amati. Al contrario. «Renzi è la brutta copia di Obama, ma pensa di essere Obama. È il sindaco di una piccola povera città»: era il settembre 2012 e Marchionne rispondeva così al primo cittadino di Firenze che aveva attaccato l’addio al megapiano Fabbrica Italia. «Non ho mai immaginato Marchionne come modello di sviluppo dell’economia» aveva dichiarato Renzi, schernendo l’am- ministratore delegato della Fiat («andava ai congressi Ds quando c’erano D’Alema e Bersani, mentre Bertinotti ne parlava come il borghese buono») e appoggiando addi- rittura la Fiom contraria all’accordo per Pomigliano d’Arco. Passano diciotto mesi e Renzi prende in mano palazzo Chigi. «La Fiat è sempre stata filogovernativa» s’affretta a ricordare Marchionne che ha già innestato la marcia indietro. All’inizio a ritmo lento, tanto che considera il Jobs act poco influente sulle di Stefano Cingolani

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54 Panorama | 16 marzo 2016

STAMPA & POTERE

L’avvicinamento di Marchionne verso Palazzo Chigi. La virata di Repubblica a favore del premier. Il rapporto preferenziale tra Renzi e De Benedetti. Ecco come è nata l’alleanza

che ridisegna la mappa dell’informazione italiana. Alla faccia della concorrenza.

IL SUPERGIORNALEAMICO

DEL GOVERNO

Se ne sono sentite davvero di tutti i colori sulla «nuova era dei giornali», il «polo europeo», il «gruppo leader» e via via inebriandosi. È stato tirato in ballo il gene piemontese, si sono lucidati i blasoni delle grandi fami-glie (Agnelli, Perrone, Caracciolo,

Falck, De Benedetti). Si è cercato il grande piano e il sommo regista. È John Elkann che vuol fare l’editore, ma globale con l’E-

conomist per il quale ha speso 400 milioni di euro, quasi l’intero debito della Rcs. È l’Ingegnere che così ha sistemato l’eredi-tà. È Monica Mondardini, capo azienda dell’editoriale Espresso. Insomma, chi ne ha più ne metta. Del resto il ribaltone c’è e ridisegna la mappa dell’editoria italiana con ricadute ad ampio raggio sull’intera fabbrica delle notizie e sulla politica.

Perché una cosa è sicura: la Repubblica

s’è mangiata la Stampa, mentre la ritirata degli eredi Agnelli (restano azionisti del nuovo gruppo con appena il 5 per cento)

ha messo nei pasticci il Corriere della Se-

ra favorendo i concorrenti: prima c’erano tre quotidiani nazionali generalisti, ora ne rimangono due (al giornale torinese toc-ca un futuro regionale). La Restampa o Stampubblica (neologismo del Manifesto) o comunque la si chiami, controllerà il 22 per cento delle copie vendute in Italia, una concentrazione mai vista nel dopoguerra. E il risiko di carta è in mano a tre persone: Sergio Marchionne che ha ottenuto quel che voleva da tempo, Carlo De Benedetti che consuma la propria rivincita senile e Matteo Renzi che con l’Ingegnere ha stretto un rapporto preferenziale.

Nasce il Gun (giornale unico della na-zione), organo del Pun (Partito unico della nazione)? Certo si crea un gran volume di fuoco amico. Il silenzio del governo non sembra esattamente il silenzio degli inno-centi. Tace il ministro della cultura Enrico Franceschini, tacciono le mosche cocchiere dell’intellighenzia (liberale, progressista e di

sinistra). L’ordine è: bocche cucite.Eppure i tre burattinai non si erano sem-

pre amati. Al contrario. «Renzi è la brutta copia di Obama, ma pensa di essere Obama. È il sindaco di una piccola povera città»: era il settembre 2012 e Marchionne rispondeva così al primo cittadino di Firenze che aveva attaccato l’addio al megapiano Fabbrica Italia. «Non ho mai immaginato Marchionne come modello di sviluppo dell’economia» aveva dichiarato Renzi, schernendo l’am-ministratore delegato della Fiat («andava ai congressi Ds quando c’erano D’Alema e Bersani, mentre Bertinotti ne parlava come il borghese buono») e appoggiando addi-rittura la Fiom contraria all’accordo per Pomigliano d’Arco.

Passano diciotto mesi e Renzi prende in mano palazzo Chigi. «La Fiat è sempre stata filogovernativa» s’affretta a ricordare Marchionne che ha già innestato la marcia indietro. All’inizio a ritmo lento, tanto che considera il Jobs act poco influente sulle

di Stefano Cingolani

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Sbatti il Pun in prima paginaNell’elaborazione, la prima pagina dell’organo del Partito unico della nazione. S

tefano Carrara

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STAMPA & POTERE

scelte del Lingotto. Ma la musica cambia, arrivano i giri di valzer e la marcia trionfale. Il manager dal maglioncino nero proclama, al Festival dell’economia di Trento: «Il presi-dente del Consiglio mi piace molto perché è uno che fa». Renzi definisce «straordinaria, eccitante, esaltante» la fusione Fiat-Chrysler. Elkann e Marchionne presentano a palazzo Chigi la Jeep Renegade prodotta nello stabi-limento di Melfi. Renzi va in gita a Detroit. E quando Ferruccio de Bortoli in un edito-riale sul Corriere della Sera attacca il capo del governo, il capo della Fiat commenta: «Normalmente non lo leggo».

La virata di De Benedetti è più lenta, pe-rò la rotta resta la stessa. Mentre Marchionne loda Renzi («Ha fatto in undici mesi quel che non è stato fatto in anni interi»), l’Ingegnere arriccia ancora il naso. Giudica gli 80 euro «un regalo elettorale», invita a non abban-donare l’austerità. Sulla Repubblica l’omelia domenicale del fondatore, Eugenio Scalfari, scarica valanghe di critiche e ricorre persino allo sberleffo: «Vorrei che Renzi fosse intel-ligente, piuttosto che furbo».

Poi tutto si trasforma. Come mai? Mol-te cose sono accadute nel frattempo. È successo che la Fiat ha lasciato l’Italia, ha cambiato nome, identità e passaporto. E nessuno ha mosso un dito. Il governo lo ha apprezzato come segnale di internazio-nalizzazione, i sindacati, ormai sconfitti, hanno messo la coda tra le gambe. Renzi ha fatto da testimonial alla Ferrari in bor-sa. E tutti hanno sorvolato sul fatto che il quartier generale è a Londra e la Fca una compagnia olandese.

Anche De Benedetti ha trasferito la

propria residenza fiscale in Svizzera dal 2 gennaio 2015, mentre quel che resta del suo antico impero s’è via via sgretolato. Sorgenia è stata salvata dalle banche cre-ditrici. Le cliniche non sono mai decollate davvero. È rimasta l’editoria. Con le for-bici della Mondardini il gruppo Espresso ha salvato gli utili riducendo i ricavi. Ma il calo di lettori e di introiti pubblicitari accendono una luce rossa.

La svolta politica di Marchionne e De Benedetti non è solo frutto di interessi materiali, tuttavia quando i giochi si fanno

6 milioni di lettori

Il polo Espresso-Itedi

21 giornali

1 milione 272 mila copie quotidiane vendute

Alto Adige

Il Corriere delle Alpi

Il Centro

Gazzetta di Mantova

Gazzetta di Modena

Gazzetta di Reggio

Il Mattino di Padova

Il Messaggero Veneto

La NuovaVenezia

La Nuova Ferrara

La Nuova Sardegna

Il Piccolo

La Provincia Pavese

Il Trentino

Il Tirreno

La Tribuna di Treviso

La Città

La Sentinella del Canavese

La Stampa

Il Secolo XIX

La Repubblica

2.5 milioni di lettori sul web

7 periodicicon 1 milione 655 mila lettorie 375 mila copie vendute

3 radio (Radio Deejay, Radio Capital, M2O)

8 milioni di ascoltatori giornalieri

1.282 giornalisti

La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e 18 quotidiani locali, vedi cartina sotto

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Agosto 2014, Sergio Marchionne annuncia il suo prossimo ritiro da Fiat Chrysler: «È giusto che vadano avanti i giovani... dopo il 2018 farò sicuramente qualcos’altro... ci sono diverse cose che il prossimo amministratore delegato dovrà fare e che sono totalmente diverse da quelle che faccio io». A sua volta, da tempo, Carlo De Benedetti, aveva avviato il passaggio delle consegne ai figli conservando però il controllo del gruppo Espresso. Poi, di fronte alle ingenti perdite del suo gruppo ha dovuto riprenderne le redini. Sorgenia, gravata da quasi due miliardi di debiti e da un altro di perdite, passa nelle mani dei creditori, mentre Kos, azienda sanitaria, si aspetta un’iniezione di 400 milioni di euro del fondo F2i partecipato dalla Cassa depositi e prestiti, divenuta il braccio armato di Matteo Renzi nella finanza. Così sollevato dai debiti, l’Ingegnere trova un altro colpo di dadi. Sulla sua strada non c’è più l’avvocato Agnelli e la sua ambizione di egemonia nazionale, ma la dichiarata e opposta volontà di Marchionne di liberare Fiat da tutto ciò che è troppo italiano e non è automobile. Così il gruppo Espresso-Repubblica sta per inglobare la Stampa di Torino e il Secolo XIX di Genova. Anche in questo caso senza sborsare una lira. In cambio la holding della famiglia Agnelli avrà il 5 per cento di azioni del nuovo polo editoriale. «Un’intesa» sottolineano le parti «di lungo periodo» che prevede un patto di sindacato. Difficile capire il senso di tali impegni di fronte a una compravendita già perfezionata. A meno di immaginare una clausola di riserva, l’interesse convergente dei rispettivi eredi a lasciarsi le mani libere una volta che padri e padrini saranno usciti di scena. A quel punto, chissà, Rodolfo De Benedetti potrebbe seguire altre vocazioni industriali e John Elkann, potrebbe rinnovare un interesse per il mondo dell’informazione. In fondo è appena entrato nella proprietà dell’Economist, nel board della News Corp di Rupert Murdoch. Intanto, è nato «il più grande gruppo giornalistico italiano» hanno esultato protagonisti e corifei noncuranti dei limiti di legge alle concentrazioni editoriali su cui deve vigilare l’Antitrust. Intanto, nella compunta, notarile, presa d’atto del fatto compiuto da parte degli altrimenti loquaci difensori del pluralismo nell’informazione Marchionne prima si è sbarazzato del direttore Ferruccio De Bortoli e poi del suo giornale. E questa è la vera notizia: l’improvvisa solitudine del Corriere della Sera è il prezzo che Milano paga alla ritrovata libertà da quell’infausto e malsano intreccio tra politica, finanza, informazione e magistratura che era l’essenza dei poteri forti. E pazienza che sia frutto di un abbandono e non di una conquista. *ex ministro della Giustizia

MA SIAMO SOLO AL PRIMO CAPITOLOPer ora nel nuovo gruppo comanda la Cir. Ma chissà che in futuro l’equilibrio non si rovesci a favore di John Elkann.

duri il capitalismo diventa marxista. E qui entra in ballo la stampa. Il Corriere della Sera resta inaffidabile agli occhi del governo. Nella compagine azionaria ci sono antirenziani d’antan: il più autorevole è Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza della Banca Intesa che possiede il 4,1 per cento della Rcs. Diego Della Valle, che si ritrova senza volerlo primo socio con il 7,3, è passato dall’entente cordiale nel nome della Fiorenti-na, alla polemica aperta. Appartato Urbano Cairo, proprietario de La7 e del Torino, che ha il 4,6, ed è l’unico editore puro tra i soci Rcs.

Bazoli è in manovra per formare una cor-

data dell’Assolombarda. De Bortoli è tornato e forse non solo come editorialista. Ma per gio-care la partita, insieme a Mediobanca, Unipol, Pirelli, occorre tirar fuori altri quattrini per far fronte ai debiti, mentre sono stati venduti i libri alla Mondadori e la sede storica di via Solferino è finita al fondo americano Blackstone. Ora si parla di cedere persino la Gazzetta dello Sport.

Il comitato di redazione della Rcs accusa la Fiat e i suoi amministratori di aver «compiuto uno sfascio finanziario», imponendo come amministratore delegato Pietro Scott Jovane che veniva da Microsoft e aveva un piano la-crime e sangue. La Rcs non è stata risanata e la Fiat-Chrysler ha perso il controllo. Arriva così l’autunno quando insieme alle foglie cadono i direttori. Il 25 novembre scorso viene annun-ciato l’addio di Ezio Mauro da Repubblica e al suo posto va Mario Calabresi. È stato scritto che la soluzione era maturata alle sue spalle e senza informare Scalfari. Il fondatore terrà il muso finché non avrà le scuse dell’editore. Mauro invece ha svolto parte attiva.

Adesso De Benedetti, dalle colonne del Sole

24 Ore si esercita nel ruolo di gran consigliere. Renzi lo ascolta. Evidentemente gli piacciono le proposte dell’Ingegnere, spesso brillanti, anche se non sempre le stesse. Un tempo voleva una imposta patrimoniale, massiccia, per tagliare il debito pubblico, oggi invita a ridurre le impo-ste nonostante tutto. Del resto, le circostanze cambiano e con esse anche le idee. Ma non si stenta a credere che il capo del governo gradisca soprattutto i titoli della Repubblica. Una mano lava l’altra, entrambe lavano la crisi, quella dell’editoria e quella dell’Italia. O no?

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nne annuncia il suo prossimo r

di Claudio Martelli*

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58 Panorama | 0 mese 2016

STAMPA & POTERE

DUE PESIE DUE FUSIONI

È «bellissima» la fusione tra La Repub-

blica , La Stampa e Il Secolo XIX non perché unisce la militanza con l’ele-ganza, ma perché separa finalmente l’ideologia dall’editoria.

E infatti l’unione annunciata tra il gruppo L’Espresso della famiglia De

Benedetti e il gruppo Itedi delle famiglie Agnelli-Elkann e Perrone è una straordina-ria notizia perché dimostra che la fusione può essere eccezionale se a farla è il gruppo Espresso mentre è letale se a immaginarla è il gruppo Mondadori (editore di Panorama).

Per realizzare e sostenere questa nuova integrazione, i due gruppi non hanno esitato a utilizzare lo stesso paradigma industriale che ha spinto la Mondadori ad acquisire Rcs Libri. La premessa e lo svolgimento sono identici. Solo il fine è assai differente perché tradisce la radice imprenditoriale per essere un’operazione squisitamente politica: con-segnare al nuovo presidente del Consiglio,

Matteo Renzi, una piattaforma editoriale strepitosa (vedi articolo a pag. 54).

Dunque davvero questa azione di mer-cato è «un atto di coraggio», come ha scritto l’ex direttore della Repubblica, Ezio Mauro, perché solo con estremo coraggio un gior-nale poteva cambiare così repentinamente opinione e sostenere che la concentrazione e la fusione tra editori sia «ricchezza» e «responsabilità» quando a realizzarla è il suo proprietario.

Dopo l’ufficializzazione del 4 marzo, il gruppo Espresso e Itedi saranno un unico agglomerato con 6 milioni di lettori, oltre 1,2 milioni di copie quotidiane aggregate, una specialità in Europa, una novità. La con-correnza sarà a rischio? Lo stabilirà anche questa volta l’Antitrust che non potrà non riportare sotto la soglia prefissata per legge le dimensioni del nuovo polo.

Va ripetuto: le ragioni, almeno quelle addotte dai protagonisti della nuova fusio-ne, sono le stesse che a ottobre avevano convinto la Mondadori ad acquisire la Rcs Libri perché, come spiegava il presidente della Mondadori, Marina Berlusconi, «unire le forze ed essere sufficientemente grandi è una necessità per aumentare l’efficien-za e controllare i costi». Non era appunto la fantasia e l’indipendenza intellettuale che si volevano aggredire con quella pro-posta d’acquisto, ma era semplicemente la sopravvivenza e la competizione che ogni capitano d’industria ha il dovere di assicurare e preparare. Insomma, non era il dominio sul mercato dei libri che la Mon-dadori cercava ma solo l’evoluzione che inseguiva. E invece è stata incontenibile e irrefrenabile la solita voglia matta degli specialisti della «democrazia in pericolo»,

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Intellettuali e politici scatenati contro l’acquisto dei libri Rizzoli da parte della Mondadori, definita «una minaccia per la democrazia». Adesso che le stesse, identiche, ragioni imprenditoriali vengono poste alla base del matrimonio Stampa-Repubblica, stanno tutti zitti. E fanno finta di non vedere che nella realtà l’operazione è squisitamente politica.

di Carmelo Caruso

L’appello contro Mondadori-RizzoliIl 21 febbraio 2015 il Corriere della Sera ha pubblicato in prima pagina un appello promosso da alcuni scrittori contro l’acquisizione da parte della Mondadori della divisione libri della Rizzoli. L’appello era firmato da 48 autori, guidati da Umberto Eco e seguiti da Roberto Andò, Nanni Balestrini, Sergio Bambarén, Franco Battiato, Tahar Ben Jelloun, Ginevra Bompiani, Pietrangelo Buttafuoco, Rossana Campo, Furio Colombo, Mauro Covacich, Michael Cunningham, Andrea De Carlo, Roberta De Falco, Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Maurizio Ferraris, Mario Fortunato, Fausta Garavini, Enrico Ghezzi, Paolo Giordano, Giulio Giorello, Hanif Kureishi, Raffaele La Capria, Silvana La Spina, Lia Levi, Dacia Maraini, Mario Martone, Michela Marzano, Laura Morante, Carmen Moravia, Edoardo Nesi, Aldo Nove, Nuccio Ordine, Roberto Peregalli, Sergio Claudio Perroni, Aurelio Picca, Thomas Piketty, Lidia Ravera, Antonio Scurati, Amina Sboui, Toni Servillo, Simona Sparaco, Susanna Tamaro, Chiara Valerio, Giorgio Van Straten, Sandro Veronesi, Drenka Willen.

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5916 marzo 2016 | Panorama

i caschi blu della cultura, pronti a paraca-dutarsi sull’Antitrust per sabotare l’accordo tra Mondadori e Rcs e salvare addirittura il libro perché come avvertiva l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani «Non dobbiamo lasciare soli gli scrittori». Non si sa se in quanto ministro della Cultura o in quanto scrittore, anche Dario Franceschini, oggi silenzioso, allora si proclamò allarmato con un tweet: «È troppo rischioso che una sola azienda controlli metà del mercato». Per lo scrittore Sandro Veronesi l’unione tra Mondadori-Rcs era addirittura «insana». E fu quasi una chiamata alla resistenza lo strillo che La Repubblica dedicò alla fusione Mondadori-Rcs Libri: «Allarme editoria. Fermate il colosso Mondadori-Rcs». Non mancarono neppure in quell’occasione gli stanchi appelli dagli intellettuali, ancora i caschi blu del pensiero, per scongiurare il matrimonio, per impedire la sciagura che si prevedeva imminente.

Ormai è chiaro che gli appelli sono sem-pre nuvole di fumo, pensieri corti e spelac-chiati che spaventano e producono solo ombre apocalittiche come infatti è accaduto

con Mondadori e Rcs «un colosso che domi-nerebbe le librerie e ucciderebbe a poco a poco le piccole case editrici» avvertivano gli scrittori sul Corriere della Sera (vedi riquadro a pag.58). E adesso? Chiunque sa, anche il ministro Franceschini, che sono i giornali la palestra dell’opinione e ancora di più i giornali locali che sono sentinelle sparse sui territori. Più del libro sono i quotidiani a produrre coscienza a veicolare le idee. Il nuovo polo ne disporrebbe di 21. Ebbene, oggi che questo matrimonio editoriale si è celebrato, è evidente la doppiezza di giudi-zio, la parzialità con cui è stata valutata l’u-nione tra Mondadori e Rcs Libri e il giubilo di chi sta festeggiando adesso quella fra il Gruppo Espresso e Itedi.

Attenzione alle frasi. Sono le stesse

servite in passato per minacciare la cata-strofe culturale e che oggi invece servono a giustificare un’intuizione industriale. Non c’è motivo per non credere al presidente di Itedi, John Elkann, quando dice che «il nuovo progetto imprenditoriale nel mondo dei media è un atto di fiducia nei confronti

dei giornali e del Paese, perché creiamo un vero campione nazionale». E però, era lo stesso pensiero del presidente di Monda-dori alla vigilia dell’accordo con Rcs Libri: «Il nostro è un atto di fiducia nel libro e nel futuro del Paese». Ed è vero che unirsi è un bisogno come ha motivato l’amministratore delegato dell’Espresso, Monica Mondardini: «Il gruppo non fa altro che anticipare il ne-cessario processo di aggregazione del settore editoriale italiano». Ma pure questa analisi di mercato è speculare a quella avanzata dall’amministratore delegato di Mondadori, Ernesto Mauri, che così argomentava: «L’u-nione è necessaria per essere competitivi, economicamente sani e assicurare un traino al settore». Quindi vale la pena ammettere che ogni gruppo ha sempre le stesse mis-sioni comuni: la quadratura dei bilanci e i numeri in ordine che poi sono la garanzia di pensieri e informazioni chiare e credibili.

E certo non è stato per il timore della concentrazione o addirittura per «diversità antropologica», come scrisse La Repubblica, che il direttore editoriale Elisabetta Sgarbi ha lasciato la Bompiani e fondato La Nave

Trova le differenze

«Il nuovo progetto è un atto di fiducia nei confronti dei giornali e del Paese» John Elkann

presidente Itedi

«Il nostro è un atto di fiducia nel libro e nel futuro del Paese» Marina Berlusconi

presidente Mondadori

«L’unione è necessaria per essere competitivi, economicamente sani e assicurare un traino al settore» Ernesto Mauri

amministratore delegato

Mondadori

«Il gruppo non fa che anticipare il necessario processodi aggregazione del settore editoriale italiano» Monica Mondardini

amministratore delegato

Gruppo Espresso

ia i,

A confronto le dichiarazioni dei protagonisti delle operazioni Mondadori-Rcs Libri ed Espresso-Itedi.

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60 Panorama | 16 marzo 2016

STAMPA & POTERE

Dal Banco Ambrosiano a Sorgenia, da Omnitel a Sasea, la carriera dell’Ingegnere è costellata di scandali e incidenti.E ancora oggi... A

lla fine siete riusciti a non metterci più neanche una lira!». «Infatti: siamo stati bravi!»: botta e rispo-sta, un anno fa, tra uno dei ban-chieri più esposti verso Sorgenia, imbufalito, e Rodolfo De Benedet-ti, figlio dell’Ingegnere, azionista

ancora di controllo della semifallita socie-tà elettrica, che stava trasferendo senza pagare dazio alle banche creditrici. No-nostante quell’estrema provocazione, alla fine l’Ingegnere e il suo gruppo ebbero il loro miracolo, e lasciarono gratis alle banche la patata bollente. La Cir ne uscì pulita, senza minimamente contribuire a chiudere il buco da 1,8 miliardi accumu-lato nell’azienda. E le banche si tassaro-no, con la benedizione del tribunale di Milano, sostituendo debiti con capitale.

Miracolato seriale: destino roseo per l’Ingegnere. Migliore, certo, di quello dei 400 morti che la centrale Tirreno Power

di Teseo. È stato per ragioni manageriali e materiali, cioè economiche e non piuttosto o più banalmente per l’incomprensione feconda che ha sempre animato e sem-pre scuoterà la storia dell’editoria che tutti sanno essere un calendario di relazioni travagliate e di separazioni magnifiche, furiosi divorzi che servono a rinnovare il sapere e il talento. La Mondadori gettava le basi per l’egemonia economica e cultu-rale mentre oggi il Gruppo Espresso e Itedi sono un modello di sinergia tra media? Si trattava di un accordo tra due protagoni-sti del libro in Italia e non di una fusione imponente, strabiliante di 21 giornali, che coprono massicciamente l’intero territorio nazionale, come sta avvenendo con l’unio-ne tra gruppo Espresso e Itedi.

La verità è che non è stato mai un ten-tativo di monopolio fondere due case edi-trici. Ma altrettanto vero è che solo ora che si uniscono La Repubblica, La Stampa, Il

Secolo XIX insieme alla carovana di quo-tidiani locali, periodici e radio, la fusione non intimorisce più nessuno, ma anzi è «un’operazione da campioni». In realtà è proprio questa fusione che porta luce ed evidenzia la contraddizione di quel mondo, il gruppo Espresso, che ha esibito la supe-riorità antropologica come statuto morale e identitario. Era una superiorità fondata sulle radici, queste sì antropologiche, di un odio nei confronti di Silvio Berlusconi e di una storia editoriale.

Per questo è un sollievo e oggi fa anche un po’ sorridere leggere che il nuovo polo fra i quotidiani non costituirà un pericolo ma è «un forte segno di ottimismo di un Paese ripiegato su se stesso. Si può crescere, si può cambiare dimensione, si può osare, vale la pena scommettere sul futuro» ha scritto ancora l’ex direttore de La Repubblica Mauro. È così. Si può perfino cambiare opi-nione per opportunità e vantaggio persona-le. Grazie a questo matrimonio è possibile anche provare che era falso che Mondadori annientasse la concorrenza. Era invece vero che coloro che la avversavano, e tra tutti il gruppo Espresso, non si battevano per la salute dell’editoria ma solo per il profitto di un im-prenditore. Il loro.

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DE BENEDETTI O DELL’ETERNOMIRACOLATO

di Sergio Luciano

Imagoeconomica

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