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02 luglio 2015

di ANTONIO VALENTINI

L’audacia si svela quando lasci la strada consueta per imboccarne una nuova.Senza prevederne gli sbocchi. Si dirà che, a fronte delle grandi manifestazionidi temperamento che nei secoli hanno contraddistinto taluni esemplari umani,smettere di fare l’architetto restauratore per dedicarsi alla produzione del vino,dopotutto, è roba da ultimi posti della scala del coraggio. Però gettarsi a corpomorto nel segmento dell’enologia, dopo l’ubriacatura (e i grandi profitti) di finesecolo e alla vigilia della crisi, non è roba comune. Eppure Luisa Silvestrini,con una solida fama professionale in piazze opulente come Pavia e Milano,non ci pensò più di tanto: a un certo punto mollò tutto e andò a vivere aMontescudaio, entroterra di Cecina, dove acquistò un piccolo ma bellissimopodere, vi piantumò vigneti su cinque ettari e curò l’oliveta che si estende suuna superficie inferiore a meno della metà di quella destinata all’uva. La storiadi “Colline di Sopra”, nata in un momento complicato e in una zona Doc darivitalizzare, è minimale. E sta tutta qui.

«Fummo io e mio marito, Paolo Zucco, a decidere di trasferirci in Toscana -racconta l’architetto Silvestrini -. Lui fa il medico ortopedico a Milano, Biella eVercelli e ogni settimana viene giù. Si toglie il camice e va a lavorare in vigna».Rispetto al gigantismo di certe aziende vinicole, i vigneti di “Colline di Sopra”sono proprio un fazzoletto. Ben curato, però, e assai appagante sul pianoestetico: i filari disegnano il profilo del poggio, delicato e sinuoso, e guardanola valle scavata dal fiume Cecina ridotto a un rigagnolo. «È stata una sceltamolto impegnativa, ma quando guardo fuori dalla finestra, mi rincuoro», spiegal’architetto che ha dovuto fare corsi accelerati di enologia e agronomia. E

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Il mio paradiso sulle “Colline diSopra”Dall’architettura all’enologia, una scelta di vita: «Arrivammo aMontescudaio per combinazione, fu un colpo di fulmine»ddii AANNTTOONNIIOO VVAALLEENNTTIINNII

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infatti quando Luisa e Paolo decisero d’investire in Toscana, erano a digiuno diconoscenze specifiche. A spingerli fu il vento della passione: «Siamo semprestati legati al mondo della terra, alla produzione del riso e dei pioppi. Lafamiglia di mio marito possedeva una cascina e questo ricordo, lontano neltempo ma vivo nella sua memoria, ha avuto un peso fondamentale.Arrivammo a Montescudaio per combinazione. Tenevamo ormeggiata unabarca a vela all’Elba o a Scarlino. L’uomo che venne a ripararci le sartie, unpaziente di mio marito, ci parlò di questo luogo. Venimmo a vederlo e fu uncolpo di fulmine. Noi di terra sapevamo poco o nulla, fummo solo fortunati atrovare dei bravi consulenti: l’agronomo Mauro Carrara e l’enologo GiovanniBailo. Dalle indagini condotte da Carrara assieme a Giacomo Pinzauti -specialista in cloni e porta-innesti - risultò che i terreni sono limosi e argillosi.L’esposizione a nord favorisce la maggiore escursione termica e la buonaventilazione. Fattori indispensabili per la produzione biologica».

Impiantare nel 2007 ha significato fare i conti con la crisi da sovra-produzionee con quella economica. Ma, soprattutto, con la contrazione dei consumi sulmercato interno: «Noi abbiamo sei etichette - aggiunge Luisa Silvestrini -,produciamo poche migliaia di bottiglie. E ci siamo messi a lavorare conl’estero: Germania, Danimarca, Florida, Boston e Shanghai. Le maggiorisoddisfazioni, devo dire, giungono dalla Svizzera: è un mercato maturo; iconsumatori elvetici non amano solo i grandi nomi, ma sono curiosi e voglionoscoprire anche i produttori di nicchia». Poi bisogna fare i conti con le mode e laloro fugacità. Di questi tempi, ad esempio, si assiste alla riscossa dei bianchi,con il vermentino toscano in gran spolvero e capace di opacizzare la vernacciadi San Gimignano: «Sì, è vero - commenta l’architetto folgorata sulla via delsangiovese e del merlot -, però a me piacciono i rossi. Non so perché. Forseper una questione fisica: tollero male la solforosa e, se bevo bianco, subito miviene il mal di testa. E poi i rossi sono più sensuali...».

Di solito una rottura tanto drastica con il passato produce una sottile, maindomabile nostalgia. Sicura, signora Silvestrini, di non essere tentata ditornare indietro? «Se si riferisce al mio lavoro di architetto, le rispondo subitodi no. Ero finita a fare poca progettazione e tante pratiche amministrative. Cosìmi sono messa a lavorare per me stessa, partendo dalla cantina. È stato il mioprimo lavoro di progettazione dal nuovo, prima di allora mi dedicavo alleristrutturazioni. Quindi mi sono occupata della casa, del cuore del podere, cheho ristrutturato mantenendo i volumi inalterati e cercando di conservare, perquanto possibile, l’esistente».

L’ottimismo della volontà è un’arma potentissima. È l’autentica molladell’emancipazione umana, ammantando di positivo ogni cosa. Tinge di rosale esperienze, ne riempie le crepe e ne livella i dossi. Ovvero, le trasforma insuperfici piane rendendone piacevole il ricordo. Possibile che tutto sia semprefilato liscio come l’olio? «Io sono venuta in Toscana per lavorare - rispondeSilvestrini -. A Montescudaio mi trovo bene e qui a “Colline di sopra” misembra di aver fatto un buon lavoro. Qualche seccatura, devo dire, me l’hadata Internet: il satellite, l’Adsl, l’antenna... Ora pare che tutto sia stato risolto,mi trovo contenta».

Difficile darle torto. Ciascuna delle sei etichette aziendali possiede unapersonalità ben definita. Prendiamo, ad esempio, il Luis, un moscato biancoda meditazione, piacevole e fruttato. Mi capitò di stapparlo una sera a cena,portato in regalo da amici. Fu una sorpresa, con quei sentori di albicocca esalvia, gli zuccheri ben calibrati, capace di evocare il miele al palato e diesigere un motivato bis. Oppure il Sopra, sangiovese in purezza di grandestruttura e potenzialità d’invecchiamento. E poi il Tredici, un moscato biancofresco e di buona struttura: «Si chiama così in ricordo dell’annata, il 2013 -spiega ancora Luisa Silvestrini -. Tutto nacque da un incidente di percorso.L’uva moscato, per produrre il Luis, la facciamo appassire sulla pianta. Maquell’anno pioveva e dovemmo anticipare il raccolto. Pressammo tutto e ce lodimenticammo in cantina. Un giorno del febbraio successivo l’enologo Bailosalì con un bicchiere in mano e ci chiese di assaggiare: il vino aveva svolto glizuccheri, era profumato al naso e secco al palato. Insomma un bel bere. Nefacciamo poche bottiglie e non sempre: quando ci saranno le condizioni,produrremo il Luis. Altrimenti devieremo sul Tredici». Amare i rossi e scoprirecasualmente un bel bianco, non è roba che capita a tutti. A proposito, avete

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intenzione di espandervi? «Questo investimento è stato enorme- conclude l’architetto Silvestrini -. Produciamo 27.000 bottiglie, arriveremo a33.000. Potendo, mi espanderei. Ma l’azienda deve stare in piedi da solaquanto a costi e ricavi; ci siamo quasi, ma il traguardo non l’abbiamo ancoratagliato».

@amvalentini

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