Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

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OSSERVATORIO NAZIONALE SULL’AMIANTO ONA Onlus Atti degli Incontri di studio Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate Firenze, 15 aprile 2016 Auditorium della Regione Toscana Cecina, 16 aprile 2016 Palazzo dei Congressi

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OSSERVATORIO NAZIONALE SULL’AMIANTO

ONA Onlus

Atti degli Incontri di studio

Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

Firenze, 15 aprile 2016

Auditorium della Regione Toscana

Cecina, 16 aprile 2016

Palazzo dei Congressi

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©Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus

Proprietà letteraria riservata ISBN 978-88-99182-13-7

Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Via Crescenzio, 2 – 00193 – Roma

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Atti degli Incontri di studio

Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

Firenze, 15 aprile 2016

Auditorium della Regione Toscana

Cecina, 16 aprile 2016

Palazzo dei Congressi

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali

Prima edizione: 31 luglio 2016

ISBN 978-88-99182-13-7

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Organizzazione del Convegno

Segreteria Organizzativa Elia Vispi

Antonella Franchi

Anna Corbi

Atti a cura di Lorenza Fiumi

Ricercatore CNR – INSEAN, Membro Comitato Tecnico Scientifico ONA

Michele Rucco Segretario Generale ONA Onlus

Ha contribuito Carlo Meoni

Tecnico CNR - INSEAN

Grafica Marco Vinicio Zonin

Architetto

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Programma dei lavori Convegno del 15 aprile 2016

Auditorium Regione Toscana - Firenze

Il rischio amianto e la presenza di altri cancerogeni nelle Forze Armate. Aspetti tecnici, medico-legali e giuridici.

Relatori ed interventi:

Avv. Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus;

Dott.ssa Carla Fiumalbi e il Dott. Alessandro Mani, medici del lavoro in Firenze;

Dott.ssa Lucia Astore, medico legale in Firenze;

Dott. Paolo Tuccitto, Dottore in economia e commercio;

Antonio Dal Cin, Coordinatore Comitato ONA esposti e vittime dell’amianto tra i militari;

Lorenzo Motta, Coordinatore Dipartimento ONA tutela dei militari ed ex militari esposti all’uranio impoverito e vittime dei vaccini;

Antonella Franchi, Coordinatore Nazionale Comitato ONA Genitori studenti esposti ad amianto;

Avv. Saverio Rossi, Coordinatore Comitato ONA Firenze;

Luciano Macrì, Dirigente sindacale FLP – Federazione Lavoratori Pubblico Impiego;

Giacomo Giannarelli, Consigliere regionale;

Arianna Xekalos, Consigliere comunale di Firenze;

Giampiero Palazzo, Consigliere Comitato Quartiere 4 di Firenze.

Modera:

Dott.ssa Stefania Divertito, giornalista.

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Programma dei lavori Convegno del 16 aprile 2016

Palazzo dei Congressi – Cecina (PI)

Amianto e patologie collegate: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, tutele previdenziali e risarcitorie

Relatori ed interventi:

Dott.ssa Elia Vispi, Presidente Sezione di Cecina della F.I.D.A.P.A. - Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari ;

Avv. Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus;

Prof. Isidoro G. Lesci, docente Università di Bologna;

Dott. Claudio Marabotti, cardiologo, UO Cardiovascolare e UTIC Ospedale di Cecina;

Dott. Alessandro Vallebona, medico legale;

Dott.ssa Mirella Fedeli, psicologa;

Arch. Lorenza Fiumi, ricercatrice CNR INSEAN;

Dott. Mauro Lunardi, consulente ambientale, ditta Staccioli Servizi Srl;

Dott. Samuele Lippi, Sindaco di Cecina;

Dott. Alessandro Franchi, Sindaco di Rosignano Marittimo.

Modera:

Dott. Michele Rucco, Segretario Generale ONA Onlus

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Relazioni

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I dipendenti civili e militari del Ministero della Difesa esposti ad amianto tra la equiparazione alle vittime del

dovere e a quelle del terrorismo

Avv. Ezio Bonanni

Presidente Osservatorio Nazionale sull’Amianto Via Crescenzio, 2 – 00193 – Roma Tel. +39 0773 663593

e-mail: [email protected]

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I dipendenti civili e militari del Ministero della Difesa esposti ad amianto tra la equiparazione alle vittime del

dovere e a quelle del terrorismo

Avv. Ezio Bonanni

Presidente Osservatorio Nazionale sull’Amianto Via Crescenzio, 2 – 00193 – Roma Tel. +39 0773 663593

e-mail: [email protected]

I) L’evoluzione normativa. Con la legge 23 dicembre 2005 n. 266 (cui ha fatto seguito il regolamento

di esecuzione, fornito con il D.P.R. 243/2006) e precisamente in riferimento all’art. 1 commi 562, 563, 564 e 565, il legislatore ha inteso ridisegnare retroattivamente, ampliando la nozione preesistente di Vittime del dovere ed ha esteso ai dipendenti pubblici i benefici previsti per le “vittime del dovere” dall’art. 3 della l. 13 agosto 1980 n. 466 così estendendo, da una parte, la platea dei potenziali destinatari dei benefici e, dall’altra, ampliando la casistica delle attività in occasione delle quali si possono riportare lesioni o infermità, anche mortali, atte a far ottenere alla vittima lo status di vittima del dovere. In particolare l’articolo 1 comma 563 della succitata legge (l. 23 dicembre 2005 n. 266) costituisce ex novo la nozione di Vittima del Dovere, estendendola oggettivamente (non più solo ai soggetti menzionati nel vecchio art. 3 L. 466/80, ma in generale anche a tutto il pubblico impiego) ed oggettivamente (aggiungendo fattispecie tipiche, prima limitate solo a operazioni di soccorso, repressione della criminalità, ordine pubblico) rispetto alla previgente nozione.

Art. 1 comma 563 stabilisce che: “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’art. 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:

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a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento del servizio di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego

internazionale non aventi, necessariamente, carattere di ostilità”. Il comma 564 completa il sistema con la categoria dei “soggetti equiparati

alle vittime del dovere”, che sono coloro che abbiano perso l’integrità fisica in casi diversi da quelli, ritenuti ex se pericolosi dal legislatore e contemplati dal comma 563 appena richiamato, ossia in ogni tipo di missione, purchè comandata o autorizzata, che si riveli o diventi più pericolosa della norma, per la sussistenza o la sopravvenienza di particolari condizioni di maggior rischio.

Così recita il comma 564. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.

La legge, al comma 564, preannunciava e imponeva l’emissione di un successivo decreto, che venne emanato con il DPR 7 luglio 2006, n. 243 (in Gazzetta ufficiale, 8 agosto, n. 183) e avente ad oggetto: “Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell’articolo 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005 n. 266”.

L’art. 1 del DPR 243/06 riporta al comma b) le “missione di ogni genere” e al comma c) alle “particolari condizioni ambientali e operative”, quale ambito di operatività ed applicabilità dell’art. 1, comma 564, Legge 266/05:

1. Ai fini del presente regolamento, si intendono: a) per benefici e provvidenze le misure di sostegno e tutela previste dalle

leggi 13 agosto 1980, n. 466, 20 ottobre 1990, n. 302, 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e 3 agosto 2004, n. 204;

b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinate al dipendente;

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c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.

Tra i potenziali destinatari della disciplina ci sono, oltre alle categorie già elencate nella l. 466/1980 (magistrati ordinari, militari dell’Arma dei Carabinieri; militari di Corpo di finanza; appartenenti al Corpo delle guardie di pubblica sicurezza; del Corpo degli agenti di custodia; al personale del Corpo forestale dello Stato; funzionari di pubblica sicurezza; personale del Corpo di polizia femminile; personale civile dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena; vigili del fuoco; appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso), e anche tutti gli altri dipendenti pubblici, ovvero i dipendenti pubblici civili che siano incorsi in una di quelle situazioni disciplinate e che siano state considerate dal legislatore idonee a tal fine, i c.d. “soggetti equiparati”, ossia coloro che non abbiano riportato lesioni o la morte in una delle attività esercitata nelle funzioni sopra elencate che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma che abbiano riportate lesioni o la morte in altre attività, che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze occasionali (c.d. occasione di lavoro), ecco dunque la ragione dell’esistenza del comma 564 che ha creato quella che tecnicamente si definisce la categoria di “soggetti equiparati a vittime del dovere”, con identici benefici.

Sono, in ogni caso, equiparati alle Vittime del Dovere coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro o fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da cause di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative, quali l’impiego a bordo delle unità navali, ovvero sui mezzi o in infrastrutture militari nei quali era documentabilmente presente amianto (cfr. Parere del Consiglio di Stato n. 1693/2010 del 04.05.2010).

Tuttavia il Legislatore del 2010, se da una parte ‘si avvede della indefettibile necessità di interpretare autenticamente (sic!) la legge delega del 12.02.1955 n. 51’ (Riverso1), con l’art. 20 della legge 132 del 2010, approdato nella sua stesura definitiva nell’art. 20 della legge 183/2010, se da una parte cerca di intervenire in materia penale, dall’altro chiarisce che ‘I provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie eventualmente intraprese in ogni sede, dai soggetti danneggiati o dai loro eredi, per l’accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale

1 Roberto Riverso, NORME AD PROCESSUM E MORTI DA AMIANTO “VITTIME DEL DOVERE”, in Il lavoro nella giurisprudenza, 6/2011, IPSOA Editore.

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derivante dalle violazioni delle disposizioni del citato decreto n. 303 del 1956’, oltre all’accesso alle prestazioni dovute in qualità di vittime del dovere, per le quali dispone al primo comma, a decorrere dall’anno 2012 ‘l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 562, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è incrementata di 5 milioni di euro’ (art. 20 comma 1 legge 183/2010).

L’art. 20 della legge 183/2010, nella sua definitiva stesura, prevede sostanzialmente, pur in assenza di formale declaratoria, la equiparazione di coloro che hanno contratto patologie asbesto correlate nel corso e a causa dello svolgimento del servizio nella Marina Militare alle vittime del dovere: infatti, il primo comma dispone l’incremento di spesa stanziata dall’art. 1 comma 562 della legge 266 del 2005, che prevede l’estensione dei benefici previsti per le vittime di terrorismo e criminalità a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dell’art. 13 della legge 13.08.1980, n. 466.

Il comma 564 dispone che sono, quindi, equiparati ai soggetti elencati nel comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali ed operative. È significativo ai fini della presente domanda, che la norma non indica le attività specifiche per le quali si possa esprimere un giudizio di ascrivibilità ma volutamente è una norma aperta, che tutela tutto ciò che sia avvenuto in situazioni particolari ricomprese nel concetto di occasione o a seguito di “missioni”.

Attualmente, quindi, per i beneficiari, si estenderà la normativa di cui alla L. 266/2005 in presenza di evento lesivo o decesso riportato in occasione o a seguito di missione di qualunque natura effettuata dentro o fuori i confini nazionali e riconosciute dipendenti da causa di servizio dipendenti da particolari condizioni ambientali od operative.

Nell’ambito militare nulla si muove all’interno dei siti militari se non previa autorizzazione e/o comanda dell’Ufficiale preposto.

Proprio sulla base di tali precise indicazioni, il Consiglio di Stato sezione III ha risposto ad una serie di quesiti posti dal Ministero della Difesa, che riguardavano la localizzazione di tali missioni (se solo fuori dai confini nazionali o anche all’interno) e la natura delle stesse (se solo operative o anche di tipo addestrativo o logistico) e, infine, le modalità (se solo a bordo di mezzi militari ovvero anche nell’ambito di strutture e siti fissi). Il primo quesito è superato, a parere del Consiglio, dalla chiara dizione letterale della norma: quanto agli altri, il Consiglio ha ritenuto che il concetto di missione debba essere ricavato dallo stesso DPR 243/06 che all’art. 1 definisce la “missione di qualsiasi natura” come quella - quali che ne siano gli scopi autorizzata

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dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente”, in particolare quanto alla possibile varietà degli scopi della missione, la precisazione “di qualunque natura” e quella “quali che con scopo operativo o siano gli scopi” di cui al DPR 243/06 ha indotto il Consiglio di Stato a ritenere che in tale ambito debbano essere ricomprese non solo quelle di natura operativa, ma anche quelle di natura logistica e addestrativa. Si tratta di parere autorevole e che viene condiviso (la dizione “di qualsiasi natura”) presupponendo la varietà dei possibili scopi della “comanda”, ovverosia dell’ordine di mandare in un luogo preciso o per con un incarico specifico e imponendo quindi di non limitare la definizione di missione a quelle tipiche e cioè con scopo operativo e soprattutto chiarendo, una volta per tutte, che è missione anche quella eseguita a bordo ricoverate all’interno dei siti militari o nell’ambito delle strutture e dei siti militari stessi come gli arsenali militari dislocati nel territorio nazionale. Ancora, il comma 564 utilizza la dizione occasione o a seguito nel senso che la missione e le particolari condizioni ambientali, non necessariamente devono essere di lunga durata ma le particolari condizioni ambientali ed operative in cui il dipendente si è trovato ad operare potevano essere anche occasionali, ovvero di breve durata.

Per “particolari condizioni ambientali od operative” il Regolamento riporta che sono particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.

La volontà del legislatore del 564 è stata quella di includere i casi di stress dovuti ad uno svolgimento del servizio in condizioni non ordinarie come correlate all’insorgere essenzialmente di patologie tumorali e collegato alla durata ed “in occasione della missione” ed in ambienti rischiosi per la salute, con una occasionalità che si attaglia a qualsiasi situazione legata ad un fattore lesivo. In tal senso militano anche le specificazioni dei requisiti in questione contenuti nel Regolamento inerente la concessione delle provvidenze, ove si legge in particolari condizioni ambientali od operative, “le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. Ovverossia, una situazione di rischio superiore a quello normale che implica l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento di compiti di istituto per cui il dipendente era stato assunto. Così intendendo che le condizioni straordinarie sono quelle non ordinarie per tali dovendosi intendere

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quelle diverse, per livello di rischio od impegno, dai compiti normali. La Sezione esclude che nel percorso metodologico di accertamento di tali particolari condizioni si debbano individuare specifici eventi che abbiano determinato la dispersione, ad esempio, delle micro-fibre di amianto nei luoghi di lavoro del personale dipendente (militare e quindi civile occupato nei luoghi ove si svolgevano i compiti di istituto). La possibilità di effettuare tale indagine, sembra infatti da escludere alla luce di quanto dimostrato dalla scienza medico-legale in ordine sia al fatto che le patologie in esame non risulterebbero correlate alla cosiddetta dose killer, sia alla lunghissima gestazione delle stesse che ridurrebbe l’indagine in questione ad una probativo diabolica. Si devono invece considerare tali tutti i fatti che abbiano esposto il soggetto a maggior impegno psico-fisico o a maggiori rischi in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto. Con riferimento alla problematica “amianto”, ad esempio, la straordinarietà deve intendersi implicita nella stessa circostanza dell’imbarco su unità navali o dello svolgimento del servizio in strutture o mezzi che abbiano comportato esposizione all’amianto presenti su tali unità, in quanto il servizio prestato in luoghi in cui erano così diffusamente presenti gli agenti dannosi per la salute ha innegabilmente esposto il soggetto a maggiori pericoli rispetto al servizio in altre ordinarie condizioni. In conclusione per il Consiglio di Stato, ai fini del riconoscimento della condizione di equiparato alla vittime del dovere, è necessario e sufficiente che il soggetto abbia contratto l’infermità in occasione (nella dizione succitata di non esposizione a lunga durata) o a seguito dello svolgimento della propria attività di servizio a bordo di unità navali, ovvero su mezzi o infrastrutture militari nei quali era presente amianto. Significativa la motivazione del Consiglio di Stato nell’adunanza di Sezione Prima del 7 dicembre 2011 (numero affare 01648/2011) in un giudizio contro il diniego espresso dall’Amministrazione su una domanda presentata da un maresciallo dei Carabinieri deceduto per “mesotelioma pleurico maligno” contratta a seguito di esposizione ad amianto contenuto nella pavimentazione del plesso giudiziario del Tribunale di Taranto ove svolgeva servizio presso la Sezione di Polizia Giudiziaria. L’amministrazione aveva rigettato il ricorso sul presupposto dell’assenza di circostanze straordinarie in quanto il sottufficiale era abitualmente in forza a quella sezione di Polizia Giudiziaria e non vi fosse inviato per specifiche missioni. Il Consiglio di Stato nel procedimento richiamato, applicando i concetti espressi nel procedimento numero affare 01648/2011, sul presupposto dell’interpretazione citata di missione e particolari condizioni ambientali od operative, ammette il sottufficiale allo status di vittima del dovere.

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II) La natura di diritto soggettivo delle prestazioni in favore delle vittime del dovere e la giurisdizione del Giudice ordinario.

La speciale elargizione prevista dalla L. 302/90, l’assegno vitalizio e lo speciale assegno vitalizio, e le altre prestazioni cui hanno diritto le vittime del dovere e i loro familiari, sono diritti soggettivi, e come tali assoggettati alla giurisdizione del giudice ordinario (SS. UU. n 21927 del 2008; n. 26627 del 2007; n. 1377 del 2003; e ancora con sentenza n°16306/13 e Consiglio di Stato - sez. VI, n. 4568 del 2010).

Infatti, non vi può essere la giurisdizione del giudice amministrativo e qualsiasi eccezione in tal senso è infondata, "essendo la P.A. priva di ogni potestà discrezionale sia con riguardo all'entità della somma da erogare, prefissata dalla legge, sia con riguardo ai presupposti della derogabilità, rispetto ai quali l'Amministrazione svolge un accertamento che, ove dovesse avere carattere non semplicemente ricognitivo, ma valutativo, è estraneo al concetto di discrezionalità amministrativa" (Cass. SS. UU. 26627 del 2007) e perché si tratta di un indennizzo che viene erogato per esigenze di previdenza e assistenza, che trova nel rapporto di lavoro del militare con il Ministero un mero presupposto e non la sua causa e quindi qualsiasi eccezione che dovesse essere formulata dall’Avvocatura dello Stato per ottenere la declaratoria di giurisdizione del Giudice amministrativo deve ritenersi totalmente infondata2.

Ciò è stato ribadito anche dalla giurisprudenza di merito: Tribunale di Firenze – Sez. Lav., sentenza del 04.11.20143. L’interpretazione ed applicazione

2 L’Avvocatura dello Stato, in altri giudizi, ha sostenuto che ci sarebbe un difetto di giurisdizione del

Giudice ordinario poiché la pretesa di parte ricorrente si articolerebbe sulla base del rapporto di lavoro tra il militare e la Pubblica Amministrazione e che quindi ci dovrebbe essere la giurisdizione del giudice amministrativo, competente sulle controversie inerenti ai rapporti di impiego del personale non soggette alla privatizzazione, come quelle del personale militare. Questa eccezione è stata ritenuta infondata, poiché la domanda di riconoscimento dei benefici assistenziali derivanti dello status di Vittima del Dovere, in quando richiesta di assistenza obbligatoria, trova infatti nel rapporto di lavoro un mero presupposto e non la sua causa (ciò è stato confermato tra l’altro anche dai giudici di merito.

3 Il Tribunale di Firenze, con la sentenza 04.11.2014 ha affermato la sussistenza della giurisdizione del Giudice del lavoro in quanto nel caso di specie la PA è priva di ogni potestà discrezionale «sia con riguardo all'entità della somma da erogare, prefissata dalla legge, sia con riguardo ai presupposti della derogabilità, rispetto ai quali l'Amministrazione svolge un accertamento che, ove dovesse avere carattere non semplicemente ricognitivo, ma valutativo, è estraneo al concetto di discrezionalità amministrativa" (Cass. SS. UU. 26627 del 2007). Tali conclusioni non possono non valere anche per i benefici assistenziali previsti dalla legge per le Vittime del Dovere, poiché, l'art. 1 del D.P.R. n. 243 del 2006, in attuazione del comma 565 dell'art. 1 della L. n. 266 del 2005, estendendo l'elargizione dei benefici riconosciuti alle vittime del terrorismo e alla criminalità organizzata anche alle Vittime del Dovere, ha assimilato le posizioni soggettive delle due categorie, con un intervento perequativo che è poi proseguito nelle successive modifiche intervenute nella normativa di settore (cfr. Cons. Stato sez. IV, 4843 del 2012; Cons. Stato sez. IV, 6156 del 2013). Peraltro, non appaiono condivisibili le argomentazioni dei resistenti che, partendo dal fondamento della pretesa del ricorrente (individuabile, a loro dire, nel rapporto di lavoro tra il militare e la Pubblica Amministrazione), giungono a sostenere la giurisdizione del giudice amministrativo, competente sulle controversie inerenti ai rapporti di impiego del personale non soggette alla privatizzazione, come quelle del personale militare. Per contro, la domanda di riconoscimento dei benefici assistenziali derivanti dello status di Vittima del Dovere, in quando

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di queste norme nei termini in ultimo ribaditi da SS.UU. n°16306/13, ha trovato applicazione anche da parte del Tribunale di Savona, e da parte del Tribunale di Salerno.

III) Legittimazione passiva del Ministero dell’Interno, ai soli fini della opponibilità della pronuncia di accoglimento per l’aggiornamento della graduatoria unica ex art. 3 co. 3 del DPR 234/2006.

Il Ministero dell’Interno è legittimato passivamente nei giudizi per il riconoscimento della qualità di vittima del dovere dei dipendenti civili e militari del Ministero della Difesa che, in quanto esposti all’amianto, hanno contratto patologie asbesto-correlate, «unicamente ai fini di potergli opporre l'eventuale pronuncia di accoglimento, essendo tale amministrazione competente alla tenuta e all'aggiornamento della graduatoria unica ex art. 3, comma 3, D.P.R. n. 234 del 2006 (adempimento a sua volta presupposto necessario per la corresponsione dei benefici assistenziali richiesti)» (Tribunale di Firenze, sezione lavoro, sentenza del 04.11.2014; Tribunale di Savona, sezione lavoro, sentenza del 07.02.2012).

IV) Le condizioni operative dei dipendenti civili e militari del Ministero della Difesa.

Innanzitutto occorre dimostrare il nesso causale. Non si può prescindere dal fatto che il mesotelioma, come il tumore polmonare, le placche pleuriche, gli ispessimenti pleurici e l’asbestosi, siano contemplati nelle tabelle dell’INAIL, e che siano riconosciute come patologie asbesto-correlate anche dalla agenzie internazionali.

Rispetto al rischio amianto, non sussiste una soglia al di sotto della quale si annulla la possibilità di insorgenza di neoplasie, ragione per la quale l’unica forma di prevenzione sicuramente efficace è quella primaria.

Proprio nel procedimento penale a carico degli Alti Ufficiali della Marina Militare per la morte dei Sigg.ri Calabrò e Baglivo, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia e ha annullato la sentenza di assoluzione.

Infatti, la Corte ha confermato la sussistenza della legge universale della dose-dipendenza e l’obbligo di rispetto delle posizioni di garanzia anche a carico degli alti ufficiali della Marina Militare: “soltanto nel tempo di latenza o sul decorso della malattia, trattandosi comunque di esposizione prolungata nel tempo in assenza di strumenti di protezione individuali e di adozioni di misure di riduzione delle polveri ... la prosecuzione dell’esposizione ... comunque produrre un’accelerazione dei tempi della progressione della patologia e richiesta di assistenza obbligatoria, trova infatti nel rapporto di lavoro un mero presupposto e non la sua causa».

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conseguentemente incidere sul nesso causale tra l’esposizione stessa e l’evento morte. Il mesotelioma insorge dopo una lunga latenza ... la latenza diminuisce con l’incremento dell’esposizione. Si tratta di una legge scientifica sufficientemente radicata nella comunità scientifica e di carattere universale. Non esiste esposizione irrilevante ... l’esposizione lavorativa implica una latenza più breve ...” (conforme Corte di Cassazione, IV sezione penale, n. 18933 del 2014; e IV sezione penale, sentenza n. 33311 del 27.08.2012, ed ex multis).

La teoria della trigger dose è stata ritenuta, dalla Corte di Cassazione, l’effetto di un distorsione del pensiero di Irving Selikoff (Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza n. 33311 del 27.08.2012).

Nel V rapporto mesoteliomi, pubblicato da INAIL, sono stati censiti 621 casi tra i militari: non si può prescindere dai dati epidemiologici, come chiarito dalla Corte di Cass. 25.10.2005, n. 20665; SS.UU. 04.06.92 n. 6846, ed ex multis; e ciò anche per suffragare una qualificata probabilità - Cass. 5638/91; e Cass. 03.04.90, n. 2684, in un contesto, quello previdenziale e assistenziale, per cui è sufficiente la rilevante probabilità, ovvero le conclusioni della sussistenza del nesso causale, fondate sul principio del ‘più probabile che non’ (SS.UU. 581 del 2008 ed ex multis), diversamente che in sede penale, ove invece vige il criterio di giudizio dell’‘oltre ogni ragionevole dubbio’.

È sufficiente la probabilità qualificata4 (Cfr. Cass., Sez. Lav., 26.06.2009, n. 15078; Cass., Sez. Lav., 12.08.2009, n. 18246 e Cass., Sez. Lav., 29.03.2012, n. 5086), che, come detto, deve essere fondata sul principio del “più probabile che non”5 (Cfr. Cass., Sez. Lav., 08.10.2012, n. 17092 e Cass., Sez. Lav.,

4 È quindi sufficiente, per il collegamento casuale, la “probabilità qualificata” (Corte di Cassazione Civile,

24.01.2014, n. 1477, che richiama Cass. 12.05.2004, n. 9057), come già in precedenza affermato dalla stessa Corte (Cass. Sez. Lav., n. 5086/12), la quale puntualizza che anche in caso di più fonti di esposizione a polveri e fibre di amianto, sussiste comunque la responsabilità del datore di lavoro anche se l’esposizione che gli si attribuisce fosse inferiore a quella extraprofessionale oppure di altri datori di lavoro: “Pertanto, applicando i principi della "probabilità qualificata" e della "equivalenza causale" più volte affermati in materia da questa Corte (v. fra le altre Cass. 11-6-2004 n. 11128, Cass. 12-5-2004 n. 9057, Cass. 21-6-2006 n. 14308, Cass. 8-10-2007 n. 21021, Cass. 26-6- 2009 n. 15080, Cass. 10-2-2011 n. 3227, nonchè Cass. 3-5-2003 n. 6722, Cass. 9-9-2005 n. 17959, Cass. 4-6-2008 n. 14770, Cass. 17-6- 2011 n. 13361) la Corte di merito, sulla base delle risultanze della prova testimoniale ha accertato in particolare "la presenza di amianto nei rivestimenti della struttura dei forai di cottura, nei cui pressi il B. operava, nonchè nelle sconnessure dei circa 1.000 carrelli sui quali il materiale refrattario veniva collocato e nei materassini usati dai fuochisti" nonchè "l'inquinamento ambientale, provocato dallo sfarinamento delle guarnizioni delle porte dei forni e dalla presenza dei residui di amianto nell'ambiente di lavoro fino alle pulizie dei locali".

5 La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 1477 del 2014 puntualizza: “la prova del nesso causale consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale ossia del "più probabile che non" (v. fra le altre Cass. 16- 1-2009 n. 975, cfr. Cass. 16-10-2007 n. 21619, Cass. 11-5-2009 n. 10741, Cass. 8-7-2010 n. 16123, Cass. 21-7-2011 n. 15991)”. Quindi il nesso di causalità risiede nella regola della preponderanza ‘dell’evidenza o «del più probabile che non»’, in ragione della ‘diversità’ del processo civile rispetto al ‘processo penale’ (cfr. Cass. Sez. Unite, Sent. 581/08 ed ex multis Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619; Cass. 18 aprile 2007, n. 9238; Cass. 5 settembre 2006, n. 19047; Cass. 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. 21 gennaio 2000, n. 632), e quindi ai fini

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08.10.2012, n. 17172), valutata non in rapporto all’evento, bensì all’aumento del rischio (Cfr. Cass., Sez. Lav., 09.05.1998, n. 4721; Cass., Sez. Lav., 23.05.2003, n. 8204 e Cass., Sez. Lav., 19.08.2003, n. 12138), nel caso di specie non può essere negata la causa di servizio, ovvero la rilevanza delle condizioni di servizio del de cuius per l’insorgenza del mesotelioma, anche alla luce dei criteri “probabilistico-statistici ...” sulla base di una “seria probabilità di insorgenza ...” della malattia denunciata, che tenga conto anche del criterio epidemiologico e di vicinanza della prova (Consiglio di Stato, sentenza n. 837/16).

Tra l’altro, è sufficiente anche la concausa, per cui rileva qualsiasi esposizione anche se a soltanto aggravato la patologia, sia per il principio di equivalenza causale (art. 41 c.p.), essendo sufficiente anche l’aver favorito, ovvero aver abbreviato i tempi di latenza (a partire da Cass. 05.02.92 n. 1237, successivamente consolidato: Corte di Cassazione, Sez. lav. con Sentenza n. 22441 del 04 novembre 2010; Cass. 24.02.2010 n. 4512; Cass. 04.06.2008 n. 14770; Cass. 08.10.2007 n. 21021; Cass. 09.09.05 n. 17957; Cass. 18.07.2005 n. 1507): “la concorrenza di fattori causali professionali e non professionali, implica l’applicazione del principio dell’equivalenza delle condizioni recepito dall’art. 41 c.p., per cui va attribuita efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito – anche in maniera indiretta e remota – alla produzione dell’evento …” (Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza del 17.03.2006, n° 5932/06).

Il nesso causale trova conferma e quindi l’origine professionale della patologia che ha determinato la morte del militare, e quindi la sua qualità di vittima del dovere, per cui è tra l’altro sufficiente anche la semplice concausa, ovvero eventuali esposizioni ulteriori allo stesso cancerogeno, o eventualmente ad erionite e/o radiazioni (peraltro mai avvenute), non fanno venir meno il nesso causale, ovvero la causa di servizio.

Per poter escludere il nesso causale deve essere eccepito e dimostrato che le esposizioni a polveri e fibre di amianto che il deceduto ha subito nel periodo di servizio siano state ininfluenti, e non lo sono state, anche se nel tempo il deceduto fosse stato esposto per altre attività lavorative.

Tuttavia, proprio in ragione della legge universale della rilevanza della dose cumulativa, e quindi di ogni esposizione anche successiva, quantomeno per abbreviare i tempi di latenza, il nesso causale trova conferma, in quanto ogni esposizione anticipa la morte.

Circa la risalente conoscenza delle capacità fibrogene e cancerogene dell’amianto.

dell’accertamento e della condanna in sede civile è sufficiente per integrare il nesso causale la ‘probabilità qualificata’ (Cass., Sentenza 6388/98).

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La conoscenza dei danni che l’amianto è in grado di provocare, primo fra tutti il mesotelioma, risale ormai all’inizio del 1900 e in ogni caso gli effetti cancerogeni sono noti fin dal 1955, e il nesso tra esposizione ad amianto e mesotelioma è stato universalmente riconosciuto già nel 1964, in seguito all’intervento che Irving Selikoff tenne nel corso della conferenza internazionale sugli effetti biologici dell’amianto organizzata dall’Accademia delle Scienze di New York.

Gli atti furono pubblicati l’anno dopo e da allora il legame tra amianto e mesotelioma non fu messo in dubbio e ciò è confermato anche dalla giurisprudenza in relazione alla omessa predisposizione di efficaci misure di prevenzione6 (tra le tante: v. Cass. 23-5-2003 n. 8204; con riguardo ad una esposizione dal 1959 al 1970 v. Cass. 9-5- 1998 n. 4721, dal 1959 al 1971 v. Cass. 14-1-2005 n. 644 e dal 1975 al 1995 v. Cass. 1-2-2008 n. 2491; per un periodo dal 1975, da ultimo, v. anche Cass. 11-7-2011 n. 15156).

La Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza 49215/12, ha precisato che anche prima dell’entrata in vigore della L. 257/92 vi era il divieto di esposizione ad amianto e l’obbligo di rispetto delle misure cautelari, di prevenzione tecnica, ex artt. 4, 19, 20 e 21 del DPR 303/56 e di protezione tecnica di cui agli artt. 377 e 387 del DPR 547/55, e dell’utilizzo della migliore tecnologia possibile per la tutela della salute negli ambienti di lavoro, di cui all’art. 2087 c.c..

Anche nel caso in cui si ritenessero non applicabili le norme cautelari specifiche, comunque e in ogni caso rileva la norma di cui all’art. 2087 c.c.

Tutte le esposizioni a polveri e fibre di amianto, rileva sul piano giuridico, ai fini della sussistenza della responsabilità del datore di lavoro, in caso di insorgenza del mesotelioma, così come per ogni altra patologia asbesto correlata7:

Sul punto la Corte di merito, sulla scorta della CTU ha accertato che la pericolosità dell'amianto "era conosciuta dalla comunità scientifica già agli inizi del 900, mentre la conoscenza del rapporto causale tra amianto e mesotelioma pleurico risale quanto meno agli inizi degli anni 60" e che, nella fattispecie, dalla prova testimoniale (in specie testimonianza Sc.) è risultata esclusa "la presenza, nel locale dove operava il signor B., di sistemi di aspirazione delle polveri o l'esistenza di direttive aziendali che rendessero obbligatorio l'uso di strumenti di aspirazione nel caso di sostituzione delle guarnizioni in amianto, che comportavano la dispersione di polveri nell'ambiente di lavoro".

6 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 5086 del 29.03.2012. 7 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 5086 del 29.03.2012.

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Quanto al rapporto tra le regole cautelari specifiche e generiche. Sulle regole cautelari, e sugli obblighi connessi oltre che al datore di

lavoro, al titolare del sito, e all’imprenditore, quale committente, e a tutti gli altri titolari delle posizioni di garanzia, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la Sentenza n. 15159, secondo la quale testualmente:

“Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’art. 2087 c.c., come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l’integrità fisica del lavoratore (Cass. 18 novembre 1976, n. 4318, Cass., sez. lav., 9 maggio 1998, n. 4721, Cass., sez. lav., 23 maggio 2003, n. 8204, Cass., Sez. Lav., 14 gennaio 2005, n. 644).

E a nulla rileva che il rapporto di lavoro si sia svolto in periodo anche antecedente al 1980, in riferimento al quale è stata ravvisata l’insorgenza della patologia, manifestatasi, dopo un lungo periodo di latenza, solo nel 1993, mentre specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto sono state introdotte per la prima volta col D.P.R. 10 febbraio 1982, n. 15.

Invero, la pericolosità della lavorazione dell’amianto era nota da epoca ben anteriore all’inizio del rapporto di lavoro de quo. Come evidenziato già da questa Corte, con articolata ricostruzione della normativa in materia (Cass. 30 giugno 2005 n. 14010) il R.D. 14 giugno 1909, n. 442 che approvava il regolamento per il T.U. della Legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all’art. 29, tabella B n. 12, includeva la filatura e tessitura dell’amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l’applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l’esecuzione della legge su lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgt. 6 agosto 1916 n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13 e il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l’occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l’occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all’osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell’amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530, tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche. D’altro canto, l’asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del 900 e fu inserita tra le malattie professionali con la L. 12 aprite 1943, n. 455. In epoca più recente, oltre alla Legge Delega 12 febbraio 1955, n. 52

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che, all’art. 1, lett. F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 e alle visite previste dal D.P.R. 20 marzo 1956 n 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n. 1169 ove all’art. 1 si prevede specificamente, che la presenza dell’amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio; può infine ricordarsi che il premio supplementare stabilito dal T.U. n. 1124 del 1965, art. 153 per le lavorazioni di cui all’allegato n. 6, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi. D’altro canto l’imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.

[…] Si imponeva, quindi, il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all’impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all’art. 2087 c.c. ed al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro soggiungendo che “le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione”, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri.

Devono, altresì, esser tenute presenti altre norme dello stesso D.P.R. n. 303 del 1956, ove si disciplina il dovere dei datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: cosi l’art. 9, che prevede il ricambio d’aria, l’art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell’ambiente mediante aspiratori, l’art. 18, che proibisce l’accumulo delle sostanze nocive, l’art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l’art. 20, che difende l’aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l’uso di aspiratori, l’art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione (cfr., in tali termini, Cass. cit. 30 giugno 2005 n. 14010). (Cass. civ., Sez. lavoro, 11 luglio 2011, n. 15159 che conferma, pertanto, i principi di diritto dettati con la Sentenza della stessa Sezione Lavoro n. 15156 del 2011 e gli obblighi cautelari a carico del datore di lavoro in ordine al rischio amianto, conforme Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza n. 644/2005; e nel settore specifico che attiene ai militari della Marina la recente sentenza della Corte di Cassazione, IV^ sezione penale, n. 3615/2016, allegata con il n. 34).

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La Corte di Cassazione Civile, Sez. Lavoro, con la Sentenza n. 1477/14: “Del resto, come è stato chiarito da Cass. 30-6-2005 n. 14010, seppure all'epoca non fossero state ancora emanate specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto (introdotte col D.P.R. 10 febbraio 1982, n. 15), senz'altro si imponeva l'adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di tali materiali, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c., ed al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art.21, ove si stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri” e che assume specifico e centrale rilievo per il caso di specie, in quanto se le misure di prevenzione tecnica e di protezione individuale fossero state adottate la vittima primaria non si sarebbe ammalata di mesotelioma e non sarebbe deceduto.

Le attività dei militari esulavano dai “normali compiti di istituto”, per tutto il periodo lavorativo, ivi compresi i periodi in mare.

Il nesso di causalità e quindi la causa di servizio non può essere messa in dubbio e, nel caso di specie, vi è quel quid in più, costituito dall’esecuzione della missione (art. 1, comma 1, lettera b, DPR 243/06) e delle “particolari condizioni ambientali e operative” (art. 1, comma 1, lettera c, DPR 243/06), ai fini del riconoscimento di vittima del dovere con la liquidazione di tutte le prestazioni dovute.

In conclusione, è sufficiente tener presente che i militari, come pure il personale civile dipendente del Ministero della Difesa, ha ricevuto ordini specifici e perentori per lo svolgimento di attività straordinarie e comunque in condizioni particolari, ambientali e operative, che gli hanno determinato l’insorgenza della patologia di cui va riconosciuta la causa di servizio e in ogni caso con la qualifica del deceduto quale vittima del dovere.

Il decesso e/o le patologie causate dal servizio in esposizione all’amianto sono causate da un’attività che si connota di straordinarietà, in una particolare condizione ambientale.

V. Le prestazioni del personale civile e militare, vittime del dovere, e dei loro familiari.

La vittima del dovere e/o i loro familiari hanno diritto, prima di tutto, alla speciale elargizione ex art. 5 commi 1 e 5 comma 1 l. 206/04 e alle seguenti ulteriori prestazioni:

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- lo speciale assegno vitalizio, di € 1.033,00 mensili, oltre perequazioni, ex art. 5 commi 3 e 4 l. 206/04 con decorrenza ex lege dall’insorgenza della patologia, ovvero dalla data della domanda, per tutta la vita;

- l’assegno vitalizio ex art. 2 l. 407/98, con decorrenza indicata dall’art. 4 d.p.r. 243/06, 1 gennaio 2006, per un importo di € 500,00 oltre perequazioni (piuttosto che l’importo di € 258,23, in relazione alla tendenziale equiparazione delle vittime dell’amianto a quelle del terrorismo) con decorrenza ex lege dall’insorgenza della patologia, ovvero dalla data della domanda, per tutta la vita;

con la liquidazione di tutti i ratei medio tempore maturati. In caso di decesso, sia l’assegno vitalizio che lo speciale assegno vitalizio

vengono erogati in favore della moglie e dei figli a carico, che hanno anche una serie di altri diritti.

VI. La tendenziale equiparazione delle vittime dell’amianto alle vittime del terrorismo.

I dipendenti civili e militari del Ministero della Difesa che, in quanto esposti professionalmente a polveri e fibre di amianto, hanno contratto patologie asbesto-correlate, debbono piuttosto essere equiparati alle vittime del terrorismo, e per ciò stesso l’assegno vitalizio deve essere loro erogato nella misura di € 500,00, piuttosto che di € 258,23.

Il Tribunale di Genova, in funzione di Magistratura del Lavoro, con la sentenza n°631/14, ha puntualizzato che l’art. 1 comma 562 della l. 266/2005 deve essere letto e interpretato nella sua reale portata: “al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei successivi commi 563 e 564 una spesa annua nel limite massimo di 10.000.000 di euro a decorrere dal 2006”, con incremento in forza dell’art. 20 co. 1 della l. 183/2000, e che ai sensi dei successivi commi 563 e 564, “per vittime del dovere debbono intendersi i soggetti di cui all’art. 3 della l. 13.08.80, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito una invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano

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riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”;

Il Tribunale di Genova ha richiamato nel corpo della sua motivazione anche l’art. 1 comma 565 L. 266/05, che demandava al successivo regolamento la disciplina dei termini e delle modalità per la corresponsione delle provvidenze per le vittime del dovere entro il limite massimo di spesa stabilito al comma 562, ai soggetti di cui ai commi 563 e 564 ovvero ai familiari superstiti (pag. 4 della sentenza).

Il regolamento in questione è stato emanato con il DPR 343/2006. L’art. 1 di detto DPR, rubricato alla voce “definizioni” individua i benefici estesi alle vittime del dovere stabilendo che “ai fini del presente regolamento, si intendono … per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela prevista dalle leggi 13 agosto 1980, n. 466, 20 ottobre 1990 n. 302, 23 novembre 1998, n. 407 e loro successive modificazioni, e 3 agosto 2004, n. 206”. Il Tribunale prosegue “E’ questa, dunque, la norma che definisce i benefici oggetto di estensione e questa norma fa espresso riferimento anche alle successive modificazioni delle norme da applicare”. Quindi il Tribunale prosegue assumendo che “deve … intendersi richiamato anche l’art. 4 comma 238 legge n. 350/2003, ai cui sensi ‘con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell’assegno vitalizio di cui all’articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili’. L’art. 4 D.P.R. n. 243/2006, rubricato ‘ordine di corresponsione delle provvidenze’, disciplina, invece, esclusivamente la calendarizzazione della progressiva estensione dei benefici alle vittime del dovere. Tale disposizione si limita dunque a determinare la data di decorrenza dei benefici (nella già richiamata ottica della progressiva estensione dei benefici alle vittime del dovere), ma non disciplina l’importo di tali benefici, né lo potrebbe, perché l’art. 1 co. 565 legge n. 266/2005 ha demandato al regolamento la disciplina dei termini e delle modalità per la corresponsione delle provvidenze, ma non anche l’individuazione delle provvidenze oggetto di estensione e/o dell’importo delle stesse, importo che resta fissato dalla legge. Si aggiunga che lo stesso tenore testuale dell’art. 4 D.P.R. n. 24/2003, nel fare riferimento all’importo ‘originario’ dell’assegno ex art. 2 legge n. 407/1998, peraltro soggetto a ‘perequazione annua’, non esclude in realtà in alcun modo l’applicazione dell’aumento di cui all’art. 4 co. 238 legge n. 350/2003, limitandosi ad indicare l’importo del beneficio al momento della sua istituzione”. Il Tribunale quindi conclude “Tali principi non possono trovare applicazione esclusivamente alle vittime del terrorismo, come sostenuto dal Ministero, … l’estensione alle vittime del dovere dei medesimi benefici previsti per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata non può dunque non comportare anche l’estensione dei criteri di quantificazione dei benefici ed in

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particolare della valutazione anche del danno biologico e morale. Da ultimo, e con riferimento ad entrambi i benefici, deve rilevarsi che la tesi del Ministero per cui la progressiva estensione dei benefici alle vittime del dovere riguarderebbe anche l’importo dei benefici postulerebbe l’esistenza di una disposizione contenente una calendarizzazione dei tempi della (pretesa) graduale equiparazione - anche quanto all’importo - dei benefici, ma tale disposizione non esiste. Il Ministero convenuto deve pertanto essere condannato a corrispondere al ricorrente l’assegno ex art. 2 legge n. 407/1998 nell’importo mensile di euro 500,00, oltre perequazioni ex lege, a decorrere dal 1 gennaio 2006, detratto quanto già percepito …”. Pertanto, il Tribunale di Genova nell’accogliere la domanda avanzata da una delle vittime del dovere ha condannato il Ministero della Difesa a corrispondere l’assegno ex art. 2 L. 407/98 per l’importo mensile, con decorrenza dal 01.01.2006: “P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione, dichiara tenuto e pertanto condanna il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, a corrispondere al ricorrente l’assegno ex art. 2 legge n. 407/1998 nell’importo mensile di euro 500,00, oltre perequazioni ex lege, a decorrere dal 1 gennaio 2006, detratto quanto già percepito” (Tribunale di Genova, sentenza n. 631/2014 del Tribunale di Genova).

Il Consiglio di Stato ha avvalorato e sostenuto la fondatezza di queste domande con la decisione resa nell’ambito del procedimento n. 07395/2012 Reg. Ric., definito con provvedimento n. 06199/2013, Reg. Prov. Coll.8

8 “Il signor O. A. ha agito per il riconoscimento dei benefici spettanti alle vittime del dovere, esponendo che nel 1966, mentre prestava servizio come militare di leva in qualità di geniere, era rimasto vittima della deflagrazione di materiale incendiario, riportando gravi lesioni. Con sentenza 2 marzo 2011, n. 195, il Tribunale di Venezia in funzione di giudice del lavoro, ritenuta la propria giurisdizione, ha accolto la domanda. Nell’adempiere, il Ministero della difesa ha attribuito al signor A. l’assegno vitalizio previsto dall’art. 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, senza, però, corrispondergli i relativi aggiornamenti, quale quello ex art. 4, comma 238, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, a partire dal 1° aprile 2004. Il signor A. ha agito per l’ottemperanza della sentenza del giudice ordinario, proponendo ricorso, che il T.A.R. per il Veneto, sez. III, ha accolto con sentenza 9 agosto 2012, n. 1145. L’Amministrazione ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva. Il signor A. si è costituito in giudizio per resistere all’appello, che considera inammissibile (nella misura in cui farebbe valere difese destinate semmai a essere proposte nel giudizio civile, ove l’Amministrazione avrebbe solo inviato una memoria, giudicata irricevibile) e comunque infondato. La domanda cautelare è stata respinta dalla Sezione con ordinanza 6 novembre 2011, n. 4383. Nell’approssimarsi dell’udienza di discussione, la parte privata ha depositato una memoria. Alla camera di consiglio del 10 dicembre 2013, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione. La ricordata sentenza del giudice del lavoro ha riconosciuto al signor A., fra l’altro, il diritto all’assegno vitalizio previsto dall’art. 2 della legge n. 407 del 1998. La legge fissava l’importo di tale assegno in lire 500.000 mensili, soggetto alla perequazione automatica. L’art. 4, comma 238, della legge n. 350 del 2003, ha stabilito che “con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell’assegno vitalizio di cui all’articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili”. La tesi dell’Amministrazione, secondo cui tale aumento non spetterebbe all’interessato, per non avere il giudice del lavoro richiamato anche la legge ora citata, è palesemente infondata. Una volta accertato il presupposto (cioè

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(decisione resa dal Consiglio di Stato nell’ambito del procedimento n. 07395/2012 Reg. Ric., definito con provvedimento n. 06199/2013, Reg. Prov. Coll.).

In senso analogo il Consiglio di Stato, IV^ sezione, sentenza 20.11.2013 n. 61569.

L’art. 494 della L. 147/2013, testualmente: «494. Dopo il comma 3 dell'articolo 5 della legge 3 agosto 2004, n. 206, e successive modificazioni, sono inseriti i seguenti: «3-bis. A decorrere dal 1° gennaio 2014, al coniuge e ai figli dell'invalido portatore di una invalidità permanente non inferiore al 50 per cento a causa dell'atto terroristico subìto, anche se il matrimonio sia stato contratto successivamente all'atto terroristico e i figli siano nati successivamente allo stesso, è riconosciuto il diritto a uno speciale assegno vitalizio, non reversibile, di 1.033 euro mensili, soggetto alla perequazione automatica di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni. 3-ter. Il diritto all'assegno vitalizio di cui al comma 3-bis non spetta qualora i benefìci di cui alla presente legge siano stati riconosciuti al coniuge poi deceduto o all'ex coniuge divorziato o ai figli nati da precedente matrimonio e viventi al momento dell'evento. L'assegno vitalizio non può avere decorrenza anteriore al 1° gennaio 2014. 3-quater. Le disposizioni di cui ai commi 3-bis e 3-ter del presente articolo si applicano anche con riferimento all'assegno vitalizio di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni».

la titolarità dell’assegno vitalizio ex legge n. 407 del 1998), la conseguenza (vale a dire l’incremento della misura dell’assegno) opera di diritto, senza necessità di alcuno specifico richiamo nel provvedimento giurisdizionale che ha riconosciuto il diritto al beneficio. Qualunque argomento voglia poi trarsi in contrario dal decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2006, n. 243, deve tenersi per irrilevante, sia perché una fonte regolamentare non può incidere sulla titolarità di un diritto attribuito dalla legge, sia perché il d.P.R. ricordato si muove su un terreno diverso, in quanto – come detto nel titolo e nelle premesse – esso intende piuttosto disciplinare i termini e le modalità di attuazione di una diversa normativa (art. 1, commi 562, 563, 564 e 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266). Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto. Le spese seguono la soccombenza, conformemente alla legge, e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello,

come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Condanna l’Amministrazione soccombente alle spese del grado, che liquida nell’importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: …” 9 Se così non fosse, si verrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento tra categorie di soggetti posti sullo stesso piano in relazione alle conseguenze fisiche di tipo negativo riportate in occasione di eventi di violenza comune e terroristica. Ad escludere sul punto ogni distinguo sia soggettivo che oggettivo depone, infine, il fatto che anche alla luce delle successive modifiche intervenute nella normativa di settore è evincibile un intento perequativo del legislatore (cfr. Cons. Stato Sez. IV ordinanza 4843 del 6/11/2012). Per quanto sopra esposto, l'appello si appalesa infondato e va, conseguentemente, respinto”

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Il Consiglio di Stato è altresì intervenuto con un ulteriore parere richiesto dal Ministero dell’Interno nel corso dell’adunanza di sezione del 01.07.2015, n. affare 02961/2013 ed ha confermato la fondatezza delle richieste di parte ricorrente poiché nel rispondere al primo quesito ha puntualizzato: “il beneficio previsto in favore dei figli maggiorenni superstiti spetti nella misura di euro 500, ai sensi dell’art. 2 della legge 407 del 1998, ovvero nella misura di euro 258,23, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b) decreto del presidente della repubblica 243 del 2006”.

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Intervento medico-legale e psichiatrico forense

Dr.ssa Lucia Astore

Specialista in: Medicina Legale e delle Assicurazioni – Psichiatria Forense e Criminologia Clinica - Neurologia - CTU del Tribunale

Tel e Fax. 055. 2345154 - [email protected] - [email protected]

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Atti degli Incontri di studio Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

Firenze, 15 aprile 2016 - Cecina, 16 aprile 2016 1

Intervento medico-legale e psichiatrico forense

Dr.ssa Lucia Astore

Specialista in: Medicina Legale e delle Assicurazioni – Psichiatria Forense e Criminologia Clinica - Neurologia - CTU del Tribunale

Tel e Fax. 055. 2345154 - [email protected] - [email protected]

Abstract Di estremo interesse medico–legale è la valutazione dei rischi connessi all’esposizione ad Amianto durante alcune attività specifiche svolte nelle Forze Armate, derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici.

L’accertamento del nesso causale e temporale è fondamentale e determinante per intraprendere le due strade finalizzate all’ottenimento:

- della causa di servizio e dell’equo indennizzo

- dei privilegi in caso di riconoscimento del danno come Vittima del Dovere.

Recentemente anche l’INAIL ha cominciato ad affrontare concretamente questa problematica in questo ambito facilitandoci così la strada sotto il profilo causale e concausale.

Il danno psico-fisico, una volta accertato, acquisisce inoltre un valore fondamentale nel suo risarcimento in ambito civilistico, con i conseguenti risvolti anche sui familiari (danno psichico e/ o da rimbalzo) o sugli eredi in caso di decesso (danno biologico da lutto).

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Addio all’amianto dell’ITI Da Vinci? Ma resta l’esposizione!

Prof. Luciano Macrì ONA Firenze

Dirigente sindacale FLP – Federazione Lavoratori Pubblico Impiego Componente RSU dell’ITI L. da Vinci – Firenze

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Atti degli Incontri di studio Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

Firenze, 15 aprile 2016 - Cecina, 16 aprile 2016 2

Addio all’amianto dell’ITI Da Vinci? Ma resta l’esposizione!

Prof. Luciano Macrì ONA Firenze

Dirigente sindacale FLP – Federazione Lavoratori Pubblico Impiego

Componente RSU dell’ITI L. da Vinci – Firenze

Ogni tanto sembra che arrivi una buona notizia: entro il 2018 il biennio dell’ISIS Leonardo da Vinci, infarcito di amianto, verrà buttato giù. Ci vogliamo credere? Era il 1994 quando l’allora assessore Katia Franci disse la stessa cosa: il Biennio verrà buttato giù e rifatto tale e quale al Professionale Nuovo. Niente da fare.

Siamo nel 2016 e il Biennio è sempre lì tale e quale. Eppure, pare incredibile, sul Biennio dell’ITI Leonardo da Vinci pende dal 1997 un provvedimento di chiusura dell’ASL e dell’ARPAT mai eseguito e che tutte le volte che se ne parla o se ne scrive tutti stanno zitti e nessuno fiata, autorità comprese.

Ma continuano a dire che ci sono le misure delle fibre nell’aria che tranquillizzano! Ma mi faccia il piacere direbbe Totò, lasciamo perdere le misure che è meglio. Se l’intenzione del Comune di Firenze è quella di buttare giù il Biennio entro il 2018 chiudiamolo da subito, ha già fatto anche troppi danni.

E incredibile che alcuni insegnanti quando si recano al Biennio si equipaggino di una mascherina, perché loro non si fidano e vorrei vedere. Riteniamo che, come la Legge prescrive, occorra sottoporre a sorveglianza sanitaria tutto il personale insegnante, custodi e studenti che hanno frequentato la scuola Leonardo da Vinci negli ultimi 50 anni.

L’amianto non era presente solo al Biennio, ma come i documenti in nostro possesso attestano, si trovava un po’ dappertutto ed era in pessime condizioni. Era dappertutto: nel tetto del professionale vecchio, nel tetto delle Officine meccaniche, nei tetti dei magazzini accanto al Biennio, nel tetto del Professionale nuovo, nell’edificio della mensa, nelle tettoie dei motoristi, più in altre parti minori e dulcis in fundo utilizzato nelle esercitazioni di Laboratorio di Odontotecnica (così come di prassi in tutte le scuole d’Italia).

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Atti degli Incontri di studio Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

Firenze, 15 aprile 2016 - Cecina, 16 aprile 2016 3

I documenti parlano chiaro: tutta la scuola era impestata da amianto, quindi la sorveglianza sanitaria in casi come questi è obbligatoria per tutti coloro che l’hanno frequentata. E anche gli anni di esposizione devono essere riconosciuti a tutti coloro che ci hanno lavorato e studiato.

Da tempo chiediamo una indagine epidemiologica che comprenda tutti coloro che hanno lavorato o studiato in queste strutture, in quanto riteniamo molto strane tutte le patologie riscontrate all’ITI, ricorrenti e in gran parte letali. Da più di un anno la Magistratura sta valutando il caso dell’amianto all’ITI: noi attendiamo fiduciosi, ma andremo anche in altre sedi se si rendesse necessario.

Di scuole con l’amianto ce ne sono ancora a Firenze e il Comune le dovrebbe conoscere perché sono state oggetto di interrogazione a risposta scritta in Consiglio comunale. Se il Comune fa sul serio, se davvero l’annuncio non è politico, chiuda da subito il Biennio, abbiamo scherzato anche troppo con la salute, è arrivato il momento di affrontare una volta per tutte l’amianto, il killer silenzioso.

Ed anche le scuole di amianto chiuse, ma abbandonate (come la ex Sassetti Peruzzi e la ex succursale del Pascoli, attuale CPA in Via Villamagna) vanno demolite, onde evitare lo spargimento delle fibre di asbesto. A furia di dire che l’amianto non fa nulla si finisce per crederci: è solo un killer silenzioso che agisce a distanza di decine di anni attraverso un processo ben conosciuto. Non si tratta di fare il tifo per l’amianto si o amianto no, è in gioco la vita umana, non scherziamoci sopra.

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La presenza di amianto in alcuni edifici comunali

Giampiero Palazzo

Capogruppo Portavoce Consigliere Quartiere 4 di Firenze Movimento 5 Stelle

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Atti degli Incontri di studio Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

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La presenza di amianto in alcuni edifici comunali

Giampiero Palazzo

Capogruppo Portavoce Consigliere Quartiere 4 di Firenze Movimento 5 Stelle

Come Capogruppo portavoce Consigliere nel Quartiere 4 di Firenze per il Movimento 5 Stelle prendo la parola, a nome anche dei rappresentanti per il Comune e la Regione del Movimento, per effettuare l’ultimo intervento di chiusura esponendo la situazione a Firenze riguardante la presenza dell’amianto in molti edifici di proprietà comunale.

A grandi linee faccio un breve riassunto delle situazioni oramai tristemente note e più importanti (non per questo le altre sono meno interessanti o di rilievo, ma solo per una questione di tempistica mi limito a parlare solo di alcune).

SCUOLA ITI Leonardo da Vinci.

E’ una scuola dove permane la presenza massiva di amianto, abbiamo fatto diverse interrogazioni ed accesso atti per capire se vengono effettuati i dovuti controlli sanitari al personale, ma non abbiamo mai ricevuto gli atti richiesti per cui ad oggi pensiamo che la risposta sia “No”

Abbiamo presentato una mozione in merito che mi auguro sia discussa a breve, perché chiediamo con forza questi controlli sanitari, stabiliti dalla legge.

Non solo, sappiamo, dall'ultimo bilancio del Comune, che l'Amministrazione Comunale ha richiesto all'Inps i fondi per bonificare la scuola, ci auguriamo quindi che i fondi siano trovati velocemente.

CASE VIALE CANOVA

Una gran parte di edifici di proprietà mista Case SpA (a partecipazione comunale) e di privati (perché nel tempo alcuni appartamenti sono stati riscattati dai vecchi locatari) hanno le coperture realizzate con laterizi in cemento/amianto che con il tempo si sono deteriorate causando uno “spolveramento” della superficie.

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Atti degli Incontri di studio Amianto, altri cancerogeni e patologie collegate

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Solo pochi edifici sono stati oggetti di riqualificazione e bonifica (un terzo) mentre per gli altri non se ne è parlato finché il M5S non ha sollevato la problematica e facendo presente che potrebbero esserci stati correlazioni per una serie altissima ed impressionante di decessi (in quegli stabili) dovuti probabilmente alla presenza di amianto nelle coperture deteriorate.

Tutto questo ci ha portato a fare più sopralluoghi l'anno scorso scoprendo una grave situazione di case popolari piene di amianto.

Abbiamo avvertito le Istituzioni, dal quartiere al Comune, senza però ricevere una pronta risposta, ma vedendo sviare le responsabilità tra Comune e Regione.

Abbiamo quindi fatto un esposto, di cui sappiamo esserci un fascicolo aperto.

CAVALLACCIO

In un area abbastanza ampia del Q4 denominata quadrilatero verde del Cavallaccio, dopo la pressione di molti cittadine residenti in zona che hanno segnalato la possibilità di presenza di amianto ed altre sostanze inquinanti tramite una denuncia al nucleo dei Carabinieri del NOE, il Movimento 5 Stelle tramite i rappresentanti in Quartiere-Comune-Regione hanno lanciato l’allarme per capire cosa e quanto c’è realmente sotto quel terreno. Terreno che negli anni precedenti è stato oggetto di discarica e sottoposto a controlli e limitazioni da parte della stessa amministrazione comunale per rilevazioni del sottosuolo. Tra l’altro l’area è destinata dall’attuale regolamento urbanistico ad ospitare un impianto sportivo (di San Bartolo a Cintoia).

Abbiamo chiesto a Quartiere Comune e Regione di intervenire per effettuare i controlli del caso e di conoscere cosa c’è veramente sotto quell’area, ricevendo solo risposte contrastanti. Poi dopo una serie di “non so” e di rinvii, l’assessorato all’ambiente ha ammesso che potrebbero essere stati conferiti al Cavallaccio migliaia di metri cubi provenienti dall’area ferroviaria dismessa di Porta al prato . Temiamo che ci possano essere residui di amianto delle vecchie carrozze indicate dal pretore Deidda che nel 1989, a seguito del sequestro dell’Isochimica di Avellino dichiarava che molte carrozze non venivano bonificate ma ritornavano a Firenze non ripulite e qui se ne perdevano le tracce. Ma oltre al pericolo amianto temiamo che ci possano essere anche altre sostanze tossiche/nocive per la salute di persone ed animali.

Anche qui abbiamo presentato un esposto alla Procura della Repubblica, oltre a richiedere al Sindaco di poter essere autorizzati a prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose e per eseguire i rilievi tecnici grafici, planimetrici ecc. ecc. per verificare a nostre spese cosa c’è sotto quel terreno. Quest’ultima azione è stata intrapresa per l’evidente mancanza di risposta univoca certa e garantista da parte delle istituzioni, perché viene accampato sempre che c’è una mancanza di risorse economiche per effettuare tutte le cose e perché i cittadini si sono sentiti presi in giro quando alcuni esponenti della maggioranza (in quartiere) hanno detto loro che “i cittadini si devono fidare delle istituzioni di quanto viene detto loro per la salute pubblica e che sotto quel terreno non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi”.

Ho terminato il mio intervento. Spero di essere stato conciso e chiaro anche se non è molto facile. In tutti i casi resto a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito.

Buon lavoro e cordiali saluti.

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Slide

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Prof. Isidoro Giorgio Lesci Docente Università di Bologna

Problema amianto…… . quale futuro?

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Problema amianto…… quale futuro?

Isidoro Giorgio Lesci www.isidorogiorgiolesci.it

[email protected]

L’Italia è stata fino agli anni ‘90 tra i maggiori produttori mondiali di amianto e nel 1992, è stata tra le prime nazioni a bandire tale sostanza a scala internazionale, stabilendo con Legge n. 257 del 27/3/1992 il divieto di estrazione - importazione - esportazione - commercializzazione - produzione di amianto - di prodotti di amianto - di prodotti contenenti amianto.

L’Italia ha emanato numerose norme tecniche di settore tra cui le principali sono il D.Lgs.277/1991, D.M. 6/9/1994, D.P.R. 8/8/1994, D.M. 26/10/1995, D.M. 15/5/1996, D.M. 20/8/1999, L. 93/2001, D.M. 101/2003, D.M. 248/2004, D.Lgs. 81/2008.

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Amianto

Actinolite

Crocidolite Tremolite

Chrysotile - Mg3Si2O5(OH)4 (90% world prod.)

Amosite Antofillite

Caratteristica comune: silicati fibrosi

Classificazione dell’amianto

Fillosilicato di magnesio Mg3Si2O5(OH)4

Strato ottaedrico

(a = 0.54 nm and b = 0.94 nm)

Strato tetraedrico

(a = 0.50 nm and b = 0.87 nm)

Misfit dimensionale tra lo strato ottaedrico e tetraedrico

Struttura del crisotilo

O T O T

c

b a

c = 1.46 nm

SiO4 4 -

MO6 n-

T

O

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Struttura dei Serpentini Formula Cristallochimica: Mg3Si2O5(OH)4

Struttura degli Anfiboli Inosilicati a catena doppia con periodo pari a due tetraedri (SiO4)4-

A0-1B2C5T8O22(OH, F, Cl, O)2

A = Na+, K+ B = Na+, Li+, Ca2+, Mn2+, Fe2+, Mg2+ C = Mg2+, Fe2+, Mn2+, Al3+, Fe3+, Ti4+ T = Si4+, Al3+

MO6

n-

SiO4 4 - T

O

SiO4

4 - T

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A

Guarnizione in Amiantite Amianto spruzzato su struttura metallica a fini antincendio. Fig.26 Centrale termica con tubi

garzati con amianto e gesso.

Rivestimenti isolanti di tubazioni

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OFIOLITI

• dal greco , serpente, indicate in letteratura anche con il termine di “pietre verdi” per il loro colore più caratteristico • rappresentano porzioni di antica crosta oceanica incorporate nelle catene montuose durante l'orogenesi • gruppo di rocce magmatiche e metamorfiche mafiche e ultramafiche (Si02 <50% c.)

• componenti essenziali: peridotiti, basalti, gabbri e serpetiniti.

...alla ricerca delle PIETRE VERDI...

DOVE SI TROVANO

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Pietra Mogolana (PR)

Pietra Parcellara (PC)

L’Ambiente delle zone ofiolitiche: i particolari fenomeni naturali: la vegetazione, i minerali, i metalli pesanti nel suolo

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Il sinonimo di amianto, asbesto, dal greco , significa inestinguibile, incombusto, per la sua caratteristica di resistenza al calore, agli agenti corrosivi. Il suo impiego per farne vesti adatte alla cremazione e per scopi “magici” e “rituali”:risale ai tempi antichi.

In questo senso si intendeva immacolato, infatti, il fuoco lo rendeva bianco e puro, perciò i sudari confezionati con esso facevano in modo da evitare la contaminazione delle ceneri reali.

Questo particolare uso dell'amianto è riportato da Plinio il Vecchio (23-79 d.

C.) nella sua Naturalis Historia, dove lo definisce sostanza rara e preziosa, impiegata nella confezione dei manti funebri dei Re.

Sempre Plinio il Vecchio ne riporta un ulteriore impiego, che consisteva nel porre intorno al tronco degli alberi da abbattere un panno di amianto per attutire il rumore degli stessi durante la caduta.

Una credenza popolare diceva che l'amianto fosse la “lana della salamandra”, l'animale che per questo poteva sfidare il fuoco senza danno. Marco Polo ne “Il Milione” sfata questa leggenda e racconta che nella provincia cinese di Chingi-talas, il materiale veniva filato per ottenere un tessuto da tovaglie.

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“… egli riferiva che in quel fango vi era un minerale che aveva una specie di fili come lana. Tali fili vengono seccati al sole e poi pestati in un mortaio di bronzo e successivamente lavati con acqua, così da essere separati dalla terra; la terra poi si getta via e i fili di lana vengono filati e con essi si fanno in seguito delle stoffe” (da “Il Milione” – Marco Polo – XIII sec)

• Risale al ‘600 la ricetta del medico naturalista Boezio che dimostra l'uso dell'amianto nelle medicine dell'epoca. L'amianto è rimasto presente nei farmaci sino agli anni '60 per due tipi di preparati: una polvere contro la sudorazione dei piedi ed una pasta dentaria per le otturazioni.

Antica illustrazione sulla proprietà dell’amianto di essere tessuto e di fornire tessuti antifuoco (da Boot, Anselmo Boetius, 1647)

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La prima utilizzazione dell'amianto da parte dell'industria risale agli ultimi decenni dell'800. Un primato alla diffusione dell'amianto spetta anche all'Italia quando nella seconda metà del '800, una gentildonna lombarda, tale Candida Medina Coeli Ferganzi di Gordona Val Chiavenna, si adoperò per valorizzare le cave della Val Malenco (So) di sua proprietà. L'Italia presentò alcuni campioni del minerale all'Esposizione Universale di Parigi nel 1878. Il mercato mondiale per circa dieci anni fu mantenuto dagli Italiani fino a quando, sul finire del secolo, non vennero scoperti giacimenti più ampi di quelli italiani e ricchi di materiale più pregiato in: Canada, Rhodesia (attuali Zambia e Zimbabwe), Australia e Russia.

La rivoluzione industriale

La nascita dell’Eternit Nel 1901, l'austriaco Ludwig Hatschek ottiene il brevetto per l'uso del composto cemento-carta-amianto e battezza la sua invenzione "ETERNIT" dal latino "aeternitas“ (= eternità). • Nel 1902 il commerciante Alois Steinmann acquista la licenza per la produzione e apre nel 1903, a Niederurnen, la SCHWEIZERISCHE ETERNITWERKE AG. • Nel 1907 nasce lo stabilimento ETERNIT di Casale Monferrato (Al, Piemonte, Italy): 94000 metri quadrati di estensione, di cui 50000 coperti, fondato dall'ingegnere italiano Adolfo Mazza (tra l'altro fu proprio l'ingegnere italiano a costruire nel 1912, la prima macchina per la produzione di tubi a pressione in cemento-amianto). • L'ETERNIT di Casale M.to rappresentò il più grande stabilimento di manufatti in cemento-amianto d'Europa. Dal 1907 al 1986 le persone circa 5000; negli anni '50 occupava circa 1000 persone, salite a circa 2000 nel '65 e stabilizzate intorno a 1000 sino agli anni '80; negli anni successivi il numero di addetti diminuì progressivamente fino alla chiusura dello stabilimento di Casale M.to avvenuta nel giugno 1986.

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In Italia l’estrazione di amianto grezzo veniva effettuata principalmente nella miniera di Balangero (TO) 2.000.000 tonnellate di prodotto all’anno tra il 1975 e il1990

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In questi ottant'anni, l'ETERNIT divenne popolarissima, nel 1915 vengono messe in commercio le famose fioriere, nel 1933 fanno la loro comparsa le lastre ondulate, in seguito usate spesso per tetti e capannoni; sino alla fine degli anni ‘60 i tubi in fibrocemento rappresenteranno lo standard nella costruzione di acquedotti. Venne impiegato in scuole, ospedali, palestre, cinema oltre che in tutti i settori industriali. Nella seconda metà degli anni '50 proprio in seguito ad un incendio di carrozze ferroviarie, allora isolate con sughero, anche in Italia si impose l'esigenza di coibentare tutte le carrozze ferroviarie con amianto, l'uso si diffuse quasi contemporaneamente anche nella coibentazione delle navi.

Le fotografie sono tratte da VIGLIANI E.C.: "Studio sulla asbestosi nelle manifatture di amianto" Ente nazionale

prevenzione infortuni, Torino, 1940

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• Inizi anni 80’ iniziò un contenzioso medico-legale portato avanti dall'INCA-CGIL di Casale M.to, dove venivano contestate circa 2000 malattie professionali riconosciute negli ultimi trent'anni. • 1981, ebbe inizio un'importante causa civile contro l'ETERNIT e l'INAIL; si accertò, nei tre gradi di giudizio. • 1987, il sindaco di Casale M.to ha emanato un'ordinanza di divieto di utilizzo dell'amianto nel proprio territorio (prima ordinanza in Italia),

Inizio del declino ……

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•Nel 1908 prima segnalazione di fibrosi polmonare interstiziale in esposti ad amianto •Nel 1927 descrizione completa e formale definizione di “asbestosi” •Nel 1933 indagine su lavoratori inglesi, e primo tentativo di regolamentare i rischi •Nel 1935 prima descrizione di un caso di carcinoma polmonare in esposti ad amianto •Nel 1939 – 40 (Vigliani) alla Confederazione Fascista degli Industriali proposta di limite di 200 fibre/litro (limite identico all’attuale massimo tollerabile ai sensi del D.L.gs n° 277/91) •Nel 1943 inserimento dell’asbestosi nell’elenco italiano delle malattie con obbligo di assicurazione contro le malattie professionali •Nel 1947 evidenziato il nesso eziopatogenetico amianto – mesotelioma •Dal 1960 innumerevoli studi epidemiologici sulla associazione fra asbestosi, carcinoma polmonare e mesoteliomi •Nel 1991 recepimento della Direttiva Europea in materia di esposizione professionale ad amianto, con D.L.gs n° 277 •Nel 1992 emanazione di norme per la cessazione dell’uso di amianto, con Legge n° 257

Alcune “tappe” di conoscenza e “presa di coscienza” della pericolosità dell’amianto:

La prima evidenza di due stati patologici assai probabilmente riconducibili al mesotelioma avvenne nel 1769, attribuita al medico francese Joseph Lieutad che praticò 3000 autopsie.

1965: la comunità scientifica internazionale suggellò definitivamente l’ esistenza di effetti cancerogenetici dell’ amianto: infatti nel 1965 furono pubblicati gli atti della Conferenza organizzata nel 1964 dalla New York Academy of Sciences sugli effetti biologici dell’ asbesto. ( Annals of New York Academy of Sciences 1965)

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Patologie correlate all’esposizione ad amianto

• Asbestosi: è una malattia cronica dell’apparato respiratorio. È caratterizzata da fibrosi polmonare che va ad aggravarsi fino a condurre ad insufficienza respiratoria accompagnata da complicazioni cardiocircolatorie.

• Carcinoma polmonare: è una grave malattia dell’apparato

respiratorio che può insorgere anche per basse esposizioni ad amianto. Il fumo di sigarette potenzia enormemente l’effetto cancerogeno dell’amianto.

• Mesotelioma: è un raro tumore che colpisce le membrane sierose del rivestimento polmonare (pleura) o dell’intestino (peritoneo). È stata dimostrata un’elevatissima specificità in riferimento all’inalazione di amianto

Le malattie asbesto-correlate riconosciute ed indennizzate in Italia, dalle norme vigenti, sono le seguenti: • Asbestosi; • Placche ed ispessimenti pleurici con o senza atelettasia rotonda; • Mesotelioma della pleura; • Mesotelioma pericardico; • Mesotelioma peritoneale; • Mesotelioma della tunica vaginale e del testicolo; • Carcinoma polmonare.

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Il grafico descrive la previsione dell’andamento delle morti per mesotelioma in confronto alla curva del consumo di amianto pro-capite. Le curve si seguono con circa quaranta anni di ritardo a conferma del lungo tempo di latenza della patologia.

dossier lega ambiente 2011

Crisotilo minerale

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AVVOLGIMENTO DEGLI STRATI OTTAEDRICI E TETRAEDRICI NEL CRISOTILO

CHRYSOTILE FIBERS

OCTAHEDRAL - Mg(OH)2

TETRAHEDRAL- (Si2O5)n2n

7,3 Å

Chrysotile TEM Images

TEM images indicate that the walls of each tubular crystal have a nearly uniform and almost

continuous along the cylinder axis electron density, while core has a lower electron density

suggesting the absence of material or the presence of an amorphous phase. A value of about 71

nm for the central hole diameter has been determined.

500 nm

7 21 35 49

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Inorganic nanotubes for the preparation of new nanowires

ctrl chry syn0

5

10

15

20

25

30

35

oute

r LD

H(%

vs

tota

l LD

H)

*

Induction of oxidative stress

Natural, but not synthetic, chrysotile fibers showed a in vitro cytotoxic effect, checked as leakage of intracellular LDH activity.

E. Gazzano, E. Foresti, I.G. Lesci, M. Tomatis, C. Riganti, B. Fubini, N. Roveri, D. Ghigo, Pharmacology, 2005, 206(3), 356.

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Intracellular content of iron in MH-S cells incubated for 24 h in the absence (ctrl) or presence of 6 μg/cm2 UICC A chrysotile (chry), synthetic chrysotile (syn), synthetic chrysotile doped with 0.94% iron (syn 0.9% Fe), or 1 µM ferric nitrilotriacetate (FeNTA). Intracellular iron was measured by ICP-MS

E. Gazzano, F. Turci, E. Foresti, M. G. Putzu, E. Aldieri, F. Silvagno, I. G. Lesci, M. Tomatis, C. Riganti, C. Romano, B. Fubini, N. Roveri and D. Ghigo. 2007. Chem. Res. Toxicol. 20, 380–387

Possibile ruolo della superficie delle fibre inalate sulla loro tossicità.

1) Forma fibrosa e ipotesi di Stanton:

la forma degli amianti è originata principalmente dalla loro struttura mineralogica di anfiboli (crocidolite) o serpentini (crisotilo).

2) Composizione: si intendono almeno tre, diversi aspetti: •composizione mineralogica, cioè contemporanea presenza di altri minerali sovente anch’essi in forma fibrosa; •composizione chimica del minerale •caratteristiche della superficie, ad esempio esposizione in superficie di ioni metallici reattivi

3) Ioni metallici di transizione:

La presenza di ioni di metalli di transizione può impartire specifiche proprietà alle fibre, che, a livello biologico incidono su due fronti: la propensione alla coordinazione di molecole e la capacità di subire reazioni di ossidoriduzione

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4) Struttura atomica:

la superficie non è una struttura statica bensì dinamica: le posizioni atomiche degli atomi superficiali sono leggermente diversi da quelle interne, ma ugualmente debbono rispettare neutralità di carica e la composizione stechiometrica.

5) Carica superficiale:

l’elevata eterogeneità superficiale degli asbesti naturali influisce sulla distribuzione locale elettronica e sul potenziale elettrostatico, originando uno “stato superficiale” con proprietà chimico-fisiche caratteristiche della superficie, e differenti da quelle del materiale al suo interno, che influiscono sulla reattività chimica in generale ed ovviamente anche con le molecole biologiche o cellule viventi.

6) Idrofilicità e idrofobicità La superficie determina le caratteristiche di idrofilicita o idrofobicità di una fibra. Un materiale che presenta superficie eteropolare è idrofilo, poiché gli ioni esposti di questo interagiscono con i dipoli elettrici delle molecole d’acqua. Superfici omopolari tendono ad essere idrofobiche. Poiché il crisotilo è idrofilo, e la crocidolite è idrofoba ci si può aspettare una diversa interazione con cellule e proteine.

Ulteriori parametri chimici che inducono patogenicità

Biopersistenza: è logico presumere che l’efficienza nel generare patologie sia direttamente correlata al tempo di permanenza della fibra all’interno dell’apparato respiratorio.La biopersistenza è definita come la resistenza della fibra alla dissoluzione

Produzione di radicali liberi: S’ipotizza che i radicali liberi, e altre specie reattive dell’ossigeno (ROS), siano implicati nel meccanismo, o nei meccanismi per i quali l’amianto produce il danno cellulare

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ruolo del metallo di transizione sulla superficie

Mn+

metalli di transizione con bassi stati di coordinazione potrebbero essere presenti in superficie e dare origine a reazioni redox

Origine del metallo •Composizione chimica del solido •Sostituito da altri metalli •Impurità dovuto all’ambiente esterno

Il ferro sulla superficie delle fibre può generare Reactive Oxygen Species (ROS) e altri radicali

ruolo del ferro nella generazione di radicali liberi

Fen+

H2O2, R-H ROS, R

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inhaled fibres: mechanisms of action

damage to target cells

clearance

macrophage activation: release of oxidants, cytokines, growth factors; recruitment of AM and PMN

cell death reaction with extracellular matter

direct action on target cells

uptake

clearance

Human Serum Albumin Structure

1

3

2

4

Starting sub-domain conformations

Chrysotile plane

Adsorption of human serum albumin on the chrysotile surface: a molecular dynamics investigation

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Geometries of the (a) starting and (b) initial adsorption states of the zone 1 on the chrysotile surface in the dielectric medium: the aminoacids close to the surface locally optimize their interactions with the chrysotile planes by partially loosing their secondary a-helicals structure.

Initial adsorption

Final adsorption

R. Artali, A. Del Pra, E. Foresti, I. G. Lesci, N. Roveri and P. Sabatino. J. R. Soc. Interface (2008) 5, 273–283

Fibra estratta dal polmone di un paziente morto di mesotelioma

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Il problema ambientale-sanitario

Problema ambientale: approccio chimico

La determinazione dell’amianto presenta diverse difficoltà intrinseche (considerate anche nel D.M. del 6 Settembre 1994).

Non esiste un unico metodo d’analisi, ma diverse tecniche rispondenti alle differenti esigenze.

Diverso è l’approccio a seconda che si debba fornire una valutazione:

QUALITATIVO:

SEM-EDS

MOLP

QUANTITATIVO:

SEM-EDS

MOCF

FTIR

DRX

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Immagini SEM-EDAX

Crisotilo

Crocidolite

Amosite

Atomic ratio Mg:Si=3:2

Atomic ratio Mg:Si:Fe=2:8:5

Atomic ratio Na:Si:Fe=2:8:5

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Fe

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Grazie per vostra attenzione!

[email protected]

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Dott. Claudio Marabotti Cardiologo, UO Cardiovascolare e UTIC Ospedale di Cecina

Possibili legami tra esposizione ambientale all’amianto e malattie cardiovascolari

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Possibili legami tra esposizione ambientale all'amianto e malattie cardiovascolari

Dott. Claudio Marabotti

UO Cardiovascolare – UTIC Ospedale di Cecina

Istituto di Fisiologia Clinica CNR - Pisa

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PNEUMOCONIOSI

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Cuore normale

Ipertensione polmonare

Cancer, cardiovascular disease, and diabetes share common risk factors / pathways: - Unhealthy diet - Tobacco - Physical inactivity - Chronic inflammation - Environmental pollution

Natura non facit saltus.

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“Proliferazione cellulare atipica, afinalistica e progressiva”

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Figure 2. Effect of allocation to aspirin versus control on risk of death due to cancer during the trial treatment periods in a pooled analysis of the 23 535 patients in seven trials17, 18, 19, 20, 21, 23 and 24

Peter M Rothwell, F Gerald R Fowkes, Jill FF Belch, Hisao Ogawa, Charles P Warlow, Tom W Meade

Effect of daily aspirin on long-term risk of death due to cancer: analysis of individual patient data from

randomised trials

The Lancet 2011, Volume 377, Issue 9759, 2011, 31–41

Figure 1. The effect of aspirin on risk of metastasis due to any incident cancer diagnosed during five trials of aspirin versus controlAnalysis is based on time from randomisation to diagnosis of metastasis during or after the trials. Part A shows definite sit...

Peter M Rothwell, Michelle Wilson, Jacqueline F Price, Jill FF Belch, Tom W Meade, Ziyah Mehta Effect of daily aspirin on risk of cancer metastasis: a study of incident cancers during randomised controlled

trials The Lancet 2012, Volume 379, Issue 9826, 2012, 1591–1601

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GRAZIE PER L’ATTENZIONE!

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Dott. Alessandro Vallebona

Medico Legale

Patologia da amianto: Valutazione Medico Legale

Page 76: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

PATOLOGIA DA AMIANTO: VALUTAZIONE

MEDICO LEGALE Dott. Alessandro Vallebona

Spec. Medicina legale e delle assicurazioni

Medico legale ASL nordovest – zona Bassa Val di Cecina

Medico competente

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OBBLIGO DI REFERTO ART 365 CP Chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne all'Autorità indicata nell'articolo 361, è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

LA DENUNCIA ART. 139 DPR1124/1965 E' obbligatorio per ogni medico, che ne riconosca l'esistenza, la denuncia delle malattie professionali, che saranno indicate in un elenco da approvarsi con decreto …. La denuncia deve essere fatta all'ispettorato del lavoro competente per territorio, il quale ne trasmette copia all'Ufficio del medico provinciale. I contravventori alle disposizioni dei commi precedenti sono puniti con l'ammenda da lire mille a lire quattromila.

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(DLgs.38/2000 art. 10 c.4) La trasmissione della copia della denuncia di cui all'articolo 139, comma 2, del testo unico …. è effettuata, oltre che alla azienda sanitaria locale, anche alla sede dell'istituto assicuratore competente per territorio IL CERTIFICATO ART. 52 DPR 1124/1965 La denuncia delle malattie professionali deve essere trasmessa sempre con le modalità di cui all'art. 13 dal datore di lavoro all'Istituto assicuratore, corredata da certificato medico, entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d'opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia. Il certificato medico deve contenere, oltre l'indicazione del domicilio dell'ammalato e dei luogo dove questi si trova ricoverato, una relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dall'ammalato stesso e di quella rilevata dal medico certificatore. I medici certificatori hanno l'obbligo di fornire all'Istituto assicuratore tutte le notizie che esso reputi necessarie.

Sospetta

MP

REFERTO CERTIFICATO DENUNCIA

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AUTORITA’ GIUDIZIARIA (REATO) INAIL – DTL - ASS FINI STATISTICO - EPIDEMIOLOGICO LE MALATTIE DA AMIANTO PER CUI SUSSISTE L’OBBLIGO DI DENUNCIA ART. 139 Revisione pubblicata su GU 12.09.2014 LISTA I: MALATTIE LA CUI ORIGINE LAVORATIVA E’ DI ELEVATA PROBABILITA’ GRUPPO 4 MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO ESCLUSI I TUMORI Asbestosi polmonare Placche e/o ispessimenti della pleura GRUPPO 6 TUMORI PROFESSSIONALI Mesotelioma pleurico, Mesotelioma pericardico Mesotelioma peritoneale Mesotelioma della tunica vaginale del testicolo Tumore del polmone Tumore della laringe

LISTA II: MALATTIE LA CUI ORIGINE LAVORATIVA E’ DI LIMITATA PROBABILITA’ GRUPPO 6 TUMORI PROFESSONALI Tumori della faringe Tumore dello stomaco Tumore del colon retto LISTA III: MALATTIE LA CUI ORIGINE LAVORATIVA E’ POSSIBILE GRUPPO 6 TUMORI PROFESSONALI Tumori dell’esofago

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NUOVA TABELLA MALATTIE PROFESSIONALI DPR 1124/1965 Revisione pubblicata su GU 21.07.2008 Malattie da asbesto (esclusa l’asbestosi*) Dovute a lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto Placche e ispessimenti della pleura con o senza atelettasia rotonda Mesotelioma pleurico Mesotelioma pericardico Mesotelioma peritoneale Mesotelioma della tunica vaginale del testicolo Carcinoma del polmone

INDENIZZO PER

MALATTIA

PROFESSIONALE

CASO NEGATIVO

6-15% danno biologico liquidato

Morte senza superstiti

0-6% non indennizzo INAIL

16-100% assegno mensile

Morte con superstiti*

* La segnalazione si deve fare entro 180 giorni da quando l’avente diritto (superstite) viene a conoscenza del fatto

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328. Esiti di exeresi polmonare segmentaria o atipica, in assenza o con sfumata ripercussione funzionale Fino a 8 329. Esiti di exeresi lobare, in assenza o con sfumata ripercussione funzionale Fino a 12 330. Esiti di exeresi polmonare totale monolaterale Fino a 25 331. Danno anatomico (a tipo: placche pleuriche; ovvero esiti di processo specifico; esito di scissuriti) in assenza o con sfumata ripercussione funzionale Fino a 5 332. Danno anatomico riferibile a nodulazioni parenchimali, in assenza o con sfumata ripercussione funzionale, a seconda dell'estensione Fino a 6 333. Insufficienza respiratoria lieve, secondo i parametri di cui all’all. 2 parte A Fino a 15 334. Insufficienza respiratoria media, secondo i parametri di cui all’all. 2 parte A Fino a 40 335. Insufficienza respiratoria grave, secondo i parametri di cui all’all. 2 parte A Fino a 60 336. Insufficienza respiratoria severa, secondo i parametri di cui all'all. 2 parte A > 60

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Dott.ssa Mirella Fedeli Psicologa

Inquinamento e Psicologia

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Inquinamento e psicologia

“La nostra psiche è costruita in armonia con la struttura

dell’universo, ciò che accade nel macrocosmo accade ugualmente negli infinitesimi e più soggettivi

recessi dell’anima” Jung

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Inquinamento

Eternit

Amianto significa “incorruttibile” Asbesto significa “inestinguibile”

… da qui il neologismo eternit queste virtù si sono tradotte in maledizioni.

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riflessioni… su quello che succede a livello psicologico alle persone vittime dell’inquinamento… (cioè noi)

Su quali effetti collaterali possono avere gli inquinanti

sulla psiche?

“Ci sono pochi dubbi : La crisi ecologica

è la maggior emergenza planetaria e si tratta di fatti nostri,

sia perché noi umanità l’abbiamo provocata, sia perché tocca a noi subirla.” Mainardi

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La crisi ambientale rappresenta il risultato

dell’interruzione dell’equilibrio, che, in senso circolare, dovrebbe esserci tra il mondo dell’uomo

e il mondo della natura.

Inquinamento e psiche

Ipotesi sugli effetti psicologici dell’inquinamento

Page 87: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

Inquinamento e psiche

Privare della bellezza la natura. vivere ogni giorno

circondati da tonalità innaturali scure, con strade e palazzi grigi o rossastri

a seconda delle polveri minerali presenti in zona ;

con il cielo più grigio avvolto dai fumi delle ciminiere;

Inquinamento e psiche

Il mare è “tinto” da diverse sostanze rilasciate in esso

attraverso gli scarichi e sversamenti; anche l’olfatto viene

attivato e bombardato dal cattivo odore,

con una sensazione di pesantezza dell’aria

Page 88: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

Inquinamento e psiche

Inquinamento e psiche

Page 89: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

Inquinamento e psiche

In questi contesti è facile assumere un tono dell’umore depresso

congruente con l’ambiente; vivere come sottofondo

inavvertitamente un continuo senso di minaccia e di pericolo

generalizzato e indefinito base privilegiata

per l’ansia ed il panico.

Inquinamento e psiche

La maggiore incidenza di mortalità nelle aree vicino

alle fonti dirette di inquinamento aumenta la paura

di ammalarsi. Il continuo aumento

della percezione del rischio crea una conflitto tra

il dato di realtà e il desiderio di vita.

Page 90: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

Inquinamento e psiche

Il sospetto continuo che organi di stampa,

dirigenti aziendali, politici, ricercatori, organi di controllo,

possano aver diffuso dati falsi sulla reale situazione ambientale; che i dati delle indagini

epidemiologiche possano essere stati alterati e o ritardati;…

Inquinamento e psiche

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la consapevolezza di essere “condannati”;

di essere costantemente sottoposti ad emissioni inquinanti

non consentite, ha degli effetti sul nostro

“Ben-Essere”

L’inquinamento scatena reazioni di ansia e paura

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L’inquinamento scatena reazioni di ansia e

paura

Da una ricerca fatta nel 2011 dalle università di Bristol e Southampton

pubblicata dalla rivista Neuropsychophacology

Respirare aria inquinata, oltre ad avere effetti negativi sul nostro

corpo come lo sviluppo di malattie respiratorie, di asma, allergie e maggiore incidenza di patologie

cardiovascolari genera ansia e mette in agitazione il nostro equilibrio psichico.

L’inquinamento scatena reazioni di ansia e paura

I ricercatori britannici sostengono che: essere immersi in un ambiente

eccessivamente saturo di emissioni

di anidride carbonica

( dal 7,5 di CO2 in su)

Genera nella nostra mente stati

emotivi ansiogeni, generando una

serie di comportamenti

solitamente associati alla paura.

Page 93: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

L’inquinamento scatena reazioni di ansia e paura

Questa è l’ennesima prova, di come l’inquinamento ambientale

minacci la qualità della vita , la salute pubblica,

l’equilibrio psicofisico oltre che, ovviamente,

procuri ingenti danni agli ecosistemi.

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Inquinamento e lavoro

È una questione che presenta da sempre un aspetto di

ambivalenza tra i danni prodotti dall’inquinamento

e i benefici prodotti dai posti di lavoro .

È possibile tenere insieme la produttività con il rispetto per l’ambiente ?

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Inquinamento e lavoro Si crea un vero e proprio

“ conflitto psichico”. Si è costretti nella condizione

di dover scegliere un proprio diritto costituzionale per rifiutarne un altro;

Entrambe le scelte portano ad un pericolo.

Inquinamento e lavoro questo può aggredire

l’identità sociale frantumando aspetti

di coesione del sé tra protezione del lavoro

e protezione dell’ambiente

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Inquinamento e lavoro

e aspetti

di coesione sociale tra gruppi di cittadini

che chiedono l’un l’altro la negazione

di un diritto fondamentale il sostentamento o la vita.

La riflessione non può fermarsi qui;

la questione non si gioca solo a livello degli uomini

ma tra gli uomini e l’ambiente che ci ospita, il pianeta.

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“non è sufficiente prendere coscienza per produrre un cambiamento; è necessario ottenere certi cambiamenti perché si possano

aprire spazi mentali per poter pensare e quindi poter cambiare”

Garcia Badaracco

Inquinamento e psiche

Tutto … porta ad una inevitabile situazione di mancanza di fiducia,

di tradimento subito, di senso di solitudine,

di rifiuto della realtà, di iposensibilizzazione, di eccesso di rabbia…

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Inquinamento e psiche

Inconsapevolmente ci difendiamo

svalutando il dato di realtà, rendendoci passivi,

perdendo sensibilità, negando con il disinteresse l’angoscia

esistenziale.

Inquinamento e psiche … che può immobilizzare

portare a comportamenti violenti ; se ben canalizzata invece, può sviluppare comportamenti adattivo - riparativi come le associazioni ed i movimenti ambientalisti.

Page 99: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

Inquinamento e psiche

Molti livelli di difficoltà si sommano: clima, ambiente, energia,

risorse naturali, cibo, rifiuti, economia.

Eppure la minaccia della catastrofe non sembra far paura a nessuno

Inquinamento e psiche Come fare?

Serve una nuova intelligenza collettiva.

il cambiamento deve partire da noi

dalle case alle abitudini, dai consumi d’acqua ai trasporti, dai rifiuti alle energie rinnovabili,

dall’orto all’impegno civile.

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La resilienza sociale

… è la capacità di far fronte in maniera

positiva ad eventi traumatici.

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La resilienza sociale è la Capacità di un gruppo a formare strutture di coesione, appartenenza e identità. Sviluppa modi affrontare eventi e situazioni promuovendo azioni e interventi che consentono la sopravvivenza.

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La mappatura delle coperture in cemento-amianto Un caso applicativo: La via Tiburtina

Lorenza Fiumi*, Carlo Meoni*, Simonetta Spinelli** e Mario Di Francesco**

*CNR-INSEAN, Via di Vallerano, 139-00128 Roma, mail: [email protected] **ASL ROMA 5 (ex ASL ROMA G) Dip. di Prevenzione UOC Prevenzione e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro,

Via Tenuta del Cavaliere, 1 – 00012 Guidonia Roma, mail: [email protected]

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La mappatura delle coperture in cemento-amianto Un caso applicativo: La via Tiburtina

Lorenza Fiumi*, Carlo Meoni*, Simonetta Spinelli** e Mario Di Francesco**

*CNR-INSEAN, Via di Vallerano, 139-00128 Roma, mail: [email protected] **ASL ROMA 5 (ex ASL ROMA G) Dip. di Prevenzione UOC Prevenzione e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro,

Via Tenuta del Cavaliere, 1 – 00012 Guidonia Roma, mail: [email protected]

Introduzione In questo lavoro, si presentano alcuni dei risultati raggiunti dal CNR, nell’ambito di una collaborazione con la ASL ROMA 5, pubblicati nel volume: “la mappatura delle coperture in cemento-amianto. Un caso applicativo: la via Tiburtina”.Il volume edito dal CNR evidenzia le potenzialità del telerilevamento per la mappatura delle coperture in cemento-amianto, in particolare, vuole essere un esempio di come sia possibile, con una metodologia riproducibile su vasta scala, ricavare molte altre informazioni sul territorio oggetto d’indagine.

Per condurre la ricerca è stata utilizzata una metodologia di telerilevamento tramite sensore MIVIS (Multispectral Infrared Visible Imaging Spectrometer) e i risultati sono stati integrati con dati ISTAT, dati cartografici e provenienti dagli archivi della ASL ROMA 5 competente sul territorio analizzato.

L’antica via consolare Tiburtina Valeria, con oltre 2000 anni di storia ed oggi periferia ad Est della città di Roma, ha rappresentato un interessante banco di prova.

Per comprendere la vastità del problema amianto si precisa che l’applicazione più diffusa, (circa il 70%), si è avuta nell’industria delle costruzioni, in particolare nella produzione di lastre in cemento-amianto. Ancora oggi, a distanza di 23 anni dalla Legge 257 del 1992, non esistono stime esatte sulla presenza di coperture in cemento-amianto sul nostro territorio, tanto meno sulla dismissione dell’amianto.

Alcune stime

Le mappe ottenute dall’elaborazione del dato tele rilevato MIVIS, (Figura 1), con un’accuratezza pari al 95,9% hanno caratterizzato: nell’anno 1998, m2 305.808 (297 coperture); nell’anno 2004, m2 119.574 (116 coperture); nell’anno 2010, m2 61.822 (60 coperture).

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Grafico 1 – Quantificazione della presenza di cemento-amianto negli anni 1995, 2004 e 2010.

I risultati evidenziano, una diminuzione delle coperture in cemento-amianto pari al 79,8% nell’intervallo di tempo tra il 1998 e 2010 e del 60,9% nel periodo di tempo più breve, compreso tra gli anni 1998 e 2004.

Attraverso l’integrazione di dati MIVIS con la Carta Tecnica Regionale (CTR), sono state ricavate informazioni sulla destinazione d’uso degli edifici in particolare quelli con copertura in eternit.

Figura 1 – Caratterizzazione delle coperture in cemento—amianto negli anni 1995,2004 e 2010 ottenuta dalle elaborazioni dei dati telerilevati MIVIS. A sinistra il dettaglio dell’elaborazione

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Al 2004, complessivamente nell’area di studio i fabbricati totali risultano essere 3.749, dei quali il 3,4% (128) risultano avere una copertura in cemento-amianto (totale o parziale). Di questi ultimi, il 41,4% (53) ha un uso residenziale, ed il 47,7% (61) ha un uso industriale, mentre il rimanente 10,9% (14) ha un altra destinazione d’uso.

Al 2010 si registra una riduzione della presenza in cemento-amianto rispetto al 2004, passando dal 3,4% di fabbricati coinvolti del 2004, all’1,8% (70) con copertura in cemento-amianto (totale o parziale) del 2010. Di questi, il 21,5% (15) risulta ad uso residenziale mentre il 67,1% (47) presenta un uso industriale, ed il rimanente 11,4% (8) è classificato come Altro (tettoie, locali tecnici, ecc.).

Da una lettura dei dati si evidenzia che la dismissione del cemento-amianto ha interessato in particolare modo i fabbricati destinati ad un uso residenziale. Al 2004 questi risultavano essere il 41,4% (53), al 2010 raggiungono il 21,5% (15).

Dall’integrazione dei dati telerilevati MIVIS con la CTR è stato possibile ottenere informazioni anche sulle dimensioni delle coperture. Risulta come il maggior numero di superfici contenenti amianto è compreso nell’ intervallo tra m2 100 e 499, per poi stabilizzarsi negli anni 2004 e 2010, nel range tra m2 36 e 99. Si tratta di piccole coperture di tettoie, locali tecnici, magazzini o garage. Al contrario, le grandi coperture con una superficie di oltre m2 5.000 al 1998 risultano essere 8, nel 2004 si riducono a 3, per diventare 2 nel 2010, (Grafico 2).

Grafico 2 - Presenza di coperture in cemento-amianto nell’anno 2010 in m 2, suddivisa in classi di superfici ottenuta dall’integrazione dei dati telerilevati MIVIS e CTR (Carta Tecnica regionale)

A questo proposito, gli autori evidenziano che le grandi coperture di capannoni industriali, pur rappresentando un numero esiguo rispetto al totale, complessivamente costituiscono una presenza significativa di eternit sul territorio. Ad esempio, nei dati del 1998 sono state caratterizzate 8 coperture, con la superficie maggiore di m2 5.000, la cui somma delle superfici è di m2 160.604, rappresentando la classe con la maggiore presenza in assoluto nell’area di studio. A tal proposito, è doveroso ribadire come il rischio amianto, seppur a volte abbia indotto a conclusioni allarmanti, non sia rappresentato dal numero di coperture presenti e neppure dalla quantità di superfici presenti, bensì dallo stato di conservazione o deterioramento delle superfici.

Infatti, le coperture, esposte all'azione degli agenti atmosferici, alle piogge acide, all’erosione eolica con il tempo si degradano, (sfaldamento, rottura, crepe, fessure, ecc.) rilasciando le fibre che vengono immesse nell'ambiente. La nocività del materiale dipende dalla particolare struttura delle

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fibre liberate nell’aria che se respirate penetrano nell’apparato respiratorio causando purtroppo le note malattie degenerative.

Un ulteriore elemento da tenere in considerazione nel problema del rischio delle coperture in amianto è il contesto in cui è inserita la copertura in cemento-amianto. Infatti, la presenza di scuole o luoghi di cura nelle vicinanze di edifici con presenza di tali materiali, a maggior ragione se in

stato di deterioramento, può determinare l’opportunità di intervenire data la presenza di popolazione esposta. A questo proposito, il lavoro evidenzia la possibilità di realizzare delle mappe (Figura 2) che oltre a caratterizzare le coperture in cemento-amianto contestualizzato gli edifici industriali, residenziali, nonché quelli pubblici, nello specifico ospedali, chiese e scuole, oltre alla viabilità principale (l’antica via Tiburtina Valeria, l’Autostrada A1 ed il GRA).

L’elaborazione in Figura 2, mette in evidenza la convivenza di fabbricati con coperture in amianto con attività produttive ed edifici residenziali, insieme a numerosi edifici pubblici, scuole e chiese, in un contesto disordinato e casuale.

I dati ISTAT del censimento 2011, con 688 sezioni di censimento esaminate ricadenti nell’area di studio, hanno permesso di produrre delle mappe con caratterizzate le coperture in eternit che descrivono sia la densità abitativa (residenti su Km2) (Figura 3), che quantità di cemento-amianto (m2) per popolazione esposta (residenti+addetti alle imprese) (Figura 4).

Figura 2 – Caratterizzazione di fabbricati con coperture in amianto, attività produttive ed edifici residenziali, edifici pubblici, scuole e chiese. A sinistra il dettaglio dell’elaborazione.

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Appare evidente dalle mappe prodotte che le concentrazioni in assoluto più elevate di coperture in cemento-amianto, con percentuali comprese tra m2 21,31 e 95,77 di cemento-amianto per esposto, si trovano in particolar modo nella zona industriale interna al GRA (San Basilio – Casale dei Cavallari). Anche le zone industriali lungo la via Tiburtina, all’interno del Comune di Guidonia (Setteville – Albuccione), all’interno dell’abitato di Tivoli (Bagni di Tivoli – Villalba) e nella zona di Villa Adriana attestano valori elevati compresi nel range tra m2 21,31 e 95,77 per esposto (Figura 4).

Figura 3 – Mappa con caratterizzata la densità abitativa (residenti su Km2). A sinistra il dettaglio dell’elaborazione.

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La collaborazione con la ASL ROMA 5

La collaborazione con la ASL ROMA 5, ha permesso, grazie ad una cooperazione sinergica e dal carattere multidisciplinare, di conoscere i compiti delle ASL nella tutela dell’ambiente e della salute, ed in particolare di avere una dettagliata descrizione degli interventi di bonifica attuati sia nel territorio di loro competenza che sull’area di via Tiburtina, oggetto dell’indagine.

I dati presentati, ed estratti dagli archivi della ASL ROMA 5, evidenziano il lavoro svolto sul territorio dal gruppo di lavoro coordinato dalla dott.ssa Simonetta Spinelli. In circa 12 anni il trend di crescita registra percentuali pari al 189,9%, con 159 piani di bonifica esaminati al 2002 per arrivare a 461 nell’anno 2013, con un picco nel 2012 di 505 piani di bonifica, per una somma complessiva di 3.444 piani di bonifica esaminati. L’incremento del numero di interventi di bonifica dal 2004 al 2010 è stato del 99,5% da 193 a 385. Nel periodo più recente, dal 2010-2013, l’incremento è stato pari a 19,8%, passando da 385 a 461 interventi (Grafici 3-4).

E’ stato osservato inoltre come l’incremento sia particolarmente evidente negli ultimi anni, in quanto i lavori di bonifica hanno riguardato anche piccoli interventi come la semplice rimozione di serbatoi d’acqua o canne fumarie, che si aggiungono a grandi interventi come la sostituzione di coperture in capannoni industriali. A tal proposito, è importante sottolineare come gli incentivi statali abbiano spesso favorito la sostituzione delle coperture in cemento-amianto con impianti fotovoltaici.

Figura 3 – Mappa con caratterizzata la quantità di cemento-amianto (m2) per popolazione esposta (residenti+addetti alle imprese): A sinistra il dettaglio dell’elaborazione.

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Grafico 3- 4- Piani di Bonifica lavorati dalla ASL ROMA 5 dal 2002 al 2013

Tabella 1 – Tipologia di materiale Compatto e Friabile rimosso nel territorio della ASL ROMA 5 dal 2002 al

2013.

Anno Piani di Bonifica

2002 159

2003 163

2004 193

2005 205

2006 196

2007 245

2008 251

2009 255

2010 385

2011 426

2012 505

2013 461

Compatto Quantitativo (in kg)

coperture 634.315,34

serbatoi/canne fumarie/tubazioni 57.285,00

mattonelle 0,00

altro 15.107,00

Totale 706.707,34

Friabile Quantitativo (in kg)

Corde/funi/tessuti/pannelli/guarnizioni 40

Rivestimenti a spruzzo/isolanti/ 20

Rivestimenti isolanti di tubazioni e caldaie 1.600

altro 0

Totale 1.660

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Attraverso un dettagliato lavoro di catalogazione sono stati raccolti nell’archivio della ASL ROMA 5, i dati relativi ai piani di bonifica di coperture in eternit, ricadenti nell’area di studio riferiti al periodo 2002-2012.

Dei 63 piani di bonifica analizzati gli interventi di rimozione sono stati la totalità: di essi il 58% (pari a 41 piani) ha interessato le abitazioni civili, il 21% (pari a 15 piani) edifici commerciali, il 20% (pari a 14 piani) fabbricati di tipo produttivo, ed infine l’1% (1 piano) ha riguardato edifici di tipo civile o pubblico.

Temporalmente, il 63,5% degli interventi, pari a m2 19.087 di materiale rimosso, è stato svolto nel triennio 2010-2012, favoriti, come già detto, dagli incentivi statali.

Dai piani di bonifica esaminati è emerso che, la destinazione del rifiuto (materiale rimosso) contenete amianto è oramai da tempo l’impianto di stoccaggio, a causa dell’assenza di discariche idonee nella Regione Lazio. Dall’analisi dei dati, risulta inoltre che circa il 46% dei rifiuti sono stati stoccati in impianti nella Provincia di Roma, il 33% in impianti regionali fuori Provincia ed il restante 21% in impianti fuori Regione.

L’attività condotta dal gruppo di ricerca CNR attualmente sta proseguendo sul problema della mappatura dell’amianto con un progetto che ha l’obiettivo di approfondire e sviluppare le conoscenze in merito alla presenza di amianto a bordo delle navi, sia nel passato che nel presente al fine di superare la frammentarietà, parzialità delle informazioni ad oggi disponibili, che ancora oggi caratterizza la questione amianto nel settore marittimo.

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Dott. Mauro Lunardi Consulente ambientale

Gestione dei manufatti d'amianto

rimozione e smaltimento

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PRATICHE DI TRATTAMENTO DEI MANUFATTI DI AMIANTO

A) RIMOZIONE: trattasi di smantellamento con asportazione dell’amianto

B) CONFINAMENTO: trattasi d’isolamento con contro pareti dell’amianto

C) INCAPSULAMENTO: trattasi di verniciatura con più strati dell’amianto

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PRIMO CONTATTO CON CLIENTE

A) Il Proprietario del manufatto di amianto ci contatta per lo smaltimento

B) Effettuazione del sopralluogo con Tecnico specializzato per verifica lavorazioni da eseguire

C) Preventivazione dei lavori da eseguire per la rimozione e smaltimento

ACCETTAZIONE PREVENTIVO DA PARTE DEL CLIENTE

A) Il Proprietario del manufatto di amianto accetta il preventivo

B) Compilazione del Piano di Lavoro per la rimozione e smaltimento

C) Comunicazione delle lavorazioni da eseguire al Servizio Sanitario (SST)

SISPC Sistema Informativo Sanitario di Prevenzione Collettiva

D) Comunicazione della data di intervento

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ESECUZIONE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

A) Allestimento cantiere con confinamento ambientale B) Vestizione Operatori in cantiere

C) Preparazione pallet contenitivo manufatti di amianto D) Trattamento manufatti di amianto con soluzione fissativa tramite pompa a bassa pressione

E) Taglio sistemi di ancoraggio manufatti di amianto

F) Rimozione e messa a terra in sicurezza manufatti di amianto

ESECUZIONE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

G) Eventuale trattamento manufatti di amianto con soluzione fissativa tramite pompa a bassa pressione del lato non trattato in precedenza

H) Composizione del pallet e chiusura con PVC e apposizione etichetta

I) Controllo e bonifica eventuali detriti rilasciati della lavorazione

L) Carico pallet, compilazione FIR formulario rifiuti per trasporto in discarica autorizzata

M) Svestizione operatori

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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FOTOGRAFIE LAVORO DI RIMOZIONE E SMALTIMENTO

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Appendice

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Appendice

Locandina Cecina 16 aprile 2016

Locandina Firenze 15 aprile 2016

Il caso dell’ITI Leonardo da Vinci

Rassegna Stampa – Gonews 27.5.2016 Rassegna Stampa – Nove 27.05.2016 Rassegna Stampa – LaSpiaPress 02.06.2016

Il caso del finanziere Dal Cin

Riconoscimento causa di servizio per asbestosi pleurica Rassegna Stampa – Affaritaliani 31.05.2016 Rassegna Stampa – LaSpiaPress 02.06.2016

Il caso dell’amianto in Marina Militare

Rassegna Stampa – ANSA 09.06.2016 Rassegna Stampa – LaSpiaPress 08.06.2016 Rassegna Stampa – BioEcoGeo 10.06.2016

Rassegna Stampa – Tecnologie Trasporti Mare Mag/Giu 2016: L’Amianto nelle navi – Ricerca del CNR ISEAN

Interrogazione a risposta scritta n. 13467 presentata il 10.06.2016 dall’on. Luigi Di Maio

Il caso Uranio Impoverito

Rassegna Stampa – ANSA 05.03.2016

Sentenza TAR Lazio n. 4345 del 19.03.2015

Sentenza Consiglio di Stato n. 5544 del 29.02.2016

Giancarlo Ugazio: Da Uranio Impoverito a Sensibilità Chimica Multipla

In memoria del dott. Paolo Pitotto

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Locandina Firenze

15 aprile 2016

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Locandina Cecina

16 aprile 2016

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Il caso dell’ITI Leonardo da Vinci

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Amianto Killer AbnegazioneTestarda di Antonio Dal CinRiconosciuta causa di servizio.Chiesta chiusura IstitutoIndustriale Leonardo da Vinci diFirenze.

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Evidenziato
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Il caso

del

Finanziere Dal Cin

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Il caso dell’amianto

in

Marina Militare

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A M I N AV I DATA B A S E

L’amiantonelle naviRicerca del CNR INSEAN sulla presenza del mineralea bordo tra passato e presente

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Il lavoro condotto da un gruppo di ricerca del CNR INSEAN,analizza, tramite fonti bibliografiche e archivistiche, gliaspetti legati alla presenza di amianto a bordo delle navi,sia nel passato, che nel presente.Viene inoltre presentata la banca dati AMINAVI, messa apunto con l’obiettivo di superare la frammentarietà, par­zialità e complessità di reperimento delle informazioni adoggi disponibili, che ancora oggi caratterizza la questione

amianto nel settore marittimo.

L’amianto nell’ industria navale L’amianto (o asbesto) è un minerale naturale appartenente allaclasse chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpen­tino e degli anfiboli, facilmente ricavabile dalla lavorazione della roccia. É stato largamente usato per le sue ottime caratteristiche di in­combustibilità, isolamento al calore, fonoassorbenza, flessibili­tà, inattaccabilità da parte degli acidi, filabilità e per il basso costo.

LORENZA FIUMI, ALESSANDRO CIARRAVANO, CARLO MEONI*

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A M I N A V I D A T A B A S E

L’uso dell’amianto nell’industria navalerisale agli inizi del 1900. Nella primaversione della Convenzione Internazio­nale per la Salvaguardia della VitaUmana in Mare (1914), le cui origini sirifanno al disastro del Titanic (1912), siprescrivono caratteristiche di isola­mento, incombustibilità, resistenza alfuoco ed al calore: caratteristiche che levarie strutture della nave devono pos­sedere per evitare la propagazione delfuoco da una zona all’altra (paratie ta­gliafuoco, piani dei ponti) e danni allepersone in caso d’incendio. L’amiantoha rappresentato in assoluto il materia­le elettivo per questo tipo di impiego.Con la sostituzione delle macchine al­ternative a vapore con i motori a turbinae a scoppio (1925 circa), l’impiegodell’amianto aumenta notevolmente.Furono elaborati protocolli dettagliatiper la coibentazione con amianto di cal­daie, camini, tubazioni e valvole; inoltrehanno fatto il loro esordio guarnizioni ecoppelle costruite con impasti conte­nenti percentuali variabili di fibre delminerale.A partire dal 1930, la necessità di coi­bentare superfici sempre più vasteportò all’introduzione dell’applicazio­ne dell’amianto a spruzzo in miscelacon acqua e collanti sulle paratie e sof­fitti di strutture di alloggi, di sale mac­chine, di stive e di molti altri locali, ascopo antitermico e fonoassorbente.Furono anche introdotti pannelli diamianto puro e compresso, ricoperto dilaminato plastico (capisolite, marinite)al posto del legno per la tramezzaturadegli alloggi. Per l’allestimento di un grosso transa­tlantico moderno dell’epoca venivanoutilizzati pannelli in amianto per una superficie totale da 50.000 a 120.000 m2

per un peso complessivo variabile da500 a 1.500 tonnellate. Solo sul finire degli anni ‘70, sull’ondaanche delle conoscenze pluridecennalicirca gli effetti negativi (cancerogeni) alungo termine sulla salute dell’uomo, vi

fu un progressivo abbandono dell’uti­lizzo dell’amianto nei cantieri navali. La lunga latenza della malattia, oggi sti­mata dal Re.Na.M. (Registro Nazionaledei Mesoteliomi) a 46 anni, ne fanno unproblema attualissimo: solo nel 1992con la Legge 257 è cessato l’usodell’amianto. Dalle statistiche riportate nell’ultimo rapporto Re.Na.M. 2015, per categorieeconomiche coinvolte nell’esposizionead amianto, i Cantieri navali risultanoessere al quarto posto, pari al 4,9%, nelperiodo compreso tra 2009­2012. In questo elenco risulta prima l’Ediliziacon 16,2%, a seguire l’ Industria me­talmeccanica con 9,5% e l’Industria tes­sile con il 7,0%. Dai dati raccolti, l’attivitàdei Cantieri navali risulta che va ridu­cendosi progressivamente. Infatti, nelperiodo 1993­1996 registrava un 12,8%,nell’ultimo periodo di indagine 2009­2012 è scesa al 4,9% tra le attività coin­volte nell’esposizione ad amianto.I dati di Confitarma relativi alle navi(oltre 100gt) stimavano la flotta italianaal 2011 di 1619 navi, di queste solo l’ 11%ha un’età over 20 anni.Se nel secolo scorso la cantieristica na­vale ha costituito un serio aspetto diesposizione professionale, oggi la rimo­zione, lo smaltimento e la manutenzio­ne rappresentano il maggiore rischio diesposizione. Ad esempio le vibrazioni della nave, la corrosione della salsedinerichiedono continui interventi di ma­nutenzione che presuppongono la ri­mozione del coibente. Tali interventi, seeffettuati in presenza di amianto e inmancanza di adeguate misure di sicu­rezza, finiscono per causare contamina­zioni ambientali della nave.

La ricercaNell’ambito delle attività di ricerca delCNR INSEAN, è stato avviato il progettoAMINAVI, finalizzato ad approfondire esviluppare le conoscenze sulla presenzadi amianto a bordo delle navi, nel passa­to e nel presente, nonché vagliare gli

Ferodo argano dell’ancora della nave Cassiopea che conteneva amianto Ferodo salpancore, esempio di manufatto che conteneva amianto

The work carried out by a CNR INSEAN(Italian national research council –editor’s note) research group analyses, through bibliographic andarchival sources, aspects linked to thepresence of asbestos on board ships,both past and present. It also presents the AMINAVI database, developed with the aim of overcoming thefragmentation, partiality and complexity ofobtaining information available to date, whichstill characterises the asbestos issue in themaritime sector. The use of asbestos in the shipbuilding industry dates back to early 1900s. In the firstversion of the International Convention forthe Safety of Life at Sea (1914), whose originshark back to the Titanic disaster (1912), characteristics of insulation, flammability,resistance to fire and heat are prescribed:characteristics that the various structures ofthe ship must meet to prevent the spread offire from one area (fireproof bulkheads, deckplans) and injury to persons in case of fire.With the replacement of steam engines withturbines and internal combustion engines(about 1925), the use of asbestos greatlyincreased. As part of the CNR INSEAN research, the AMINAVI project has been launched, which aims to deepen and developknowledge about the presence of asbestos onboard ships, in the past and present, as wellas to explore aspects related to the occupational exposure of seafarers. The project is currently under way: throughthe setting up of a database, they plan toovercome the fragmented nature of the information available to date and to make adetailed estimate of asbestos disposal in themaritime sector. The data collected is currently related to 377 vessels from the beginning of the twentieth century. The analysis, structuring and systematising of theinitial information for a total of 76 ships or20.21% of the total has produced the firstresults, summarised below. Minesweepers add up to 20%, followed byCorvettes 8%, Frigates and Rescue Vessels7%, Destroyers 6%, finally Patrol Boats 5%and Training Ships 5%

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51Tecnologie Trasporti MareMaggio­Giugno 2016

aspetti connessi all’esposizione professionale dei marittimi, (personale di bordo, tecnici delle costruzioni navali, ecc.) Il progetto è attualmente in corso: attraverso la messa a puntodi una banca dati, si intende superare la frammentarietà delleinformazioni ad oggi disponibili e a stimare dettagliatamente ladismissione dell’amianto nel settore marittimo. La raccolta e catalogazione delle informazioni di ciascuna unitànavale, ad esempio Varo, Radiazione, Cantiere di Costruzione,Rapporti delle Attività bonifica, Ricostru­zione della carriera lavorativa nominativadelle parti offese, ecc., oltre a permettere ilrecupero di dati sommersi, consentono didelineare una visione d’insieme ad oggimai realizzata. I dati raccolti attualmente sono relativi a 377 unità navali dall’inizio del XX secolo.L’analisi, la strutturazione e sistematizza­zione delle prime informazioni per un tota­le di 76 navi pari al 20,21% hanno eviden­ziato i primi risultati, di seguito riassunti. I Dragamine risultano essere pari al 20%, aseguire Corvette l’ 8%, Fregate e Mezzi di Soccorso il 7% , Cacciatorpedinieri il 6% , in­fine i Pattugliatori di squadra 5%, e le Naviscuola 5% , ecc. Per ciascuna unità navale sono state raccol­te le informazioni tecniche costruttive equelle legate alla presenza di amianto abordo. Ad esempio la nave Artigliere F 582, Pattu­gliatore di squadra, deriva dalla Classe Sol­dati Tipo Lupo, fu impostata nel 1982, vara­ta nel 1983, entrata in servizio nel 1994 ed èfuori servizio dal 2013, nel 2015 risulta or­meggiata presso l’Arsenale di Taranto.Realizzata nel Cantiere Navale di Ancona(C.N.R.), il sistema di propulsione tipoCODOG (combinato diesel o gas), con velo­cità di 35 nodi ed una autonomia di 5.000miglia a 15 nodi. L’equipaggio era compo­sto da 16 ufficiali e 169 tra marinai e sot­toufficiali.Quanto alla presenza di amianto, risultanoeffettuati dei lavori di bonifica presso l’Ar­senale di La Spezia nell’anno 2001 e 2002,volti ad eliminare sia le guarnizioni conte­nenti amianto sulle flange delle condotte discarico delle calderine Stone Plate, sia le ca­lotte spegni carico in amianto su interrut­tori elettrici. Dai verbali dell’ispezione visi­

va a bordo dell’unità nel 2008 e dalle analisi di laboratorio deicampioni prelevati, risulta; “la presenza di manufatti in amiantonella stiva in particolare di giunti, ferodo freno, guarnizioni, pia­stre di cucina, del tipo crisotilo”. Il buono stato di conservazionedi questi manufatti non ha richiesto interventi urgenti di boni­fica: per quelli in cattivo stato di conservazione si è provvedutoalla rimozione previa realizzazione di un’area confinata.I campionamenti di fibre aerodisperse effettuati a bordo nel lo­

cale mensa equipaggio, per un totale di480 litri campionati, non hanno rilevato ilsuperamento del limite di soglia di 20 ff/lcome previsto dal D.M. 06/04/94.Dai primi dati elaborati relativi alla bancadati, risulta che il 92% delle navi è stata ra­diata, pertanto non più in circolazione.Sull’8% delle rimanenti navi, impostate inun periodo compreso tra il 1954 ed il 1988,su tutte, sono stati effettuati interventi dibonifica (rimozione e sostituzione conmateriali certificati, o confinamento incasi di limitata accessibilità).L’interrogazione della banca dati, unavolta completata, non solo potrà delineareun quadro d’insieme mai oggi realizzato,ma permetterà di fornire stime attendibilisulla dismissione dell’amianto nel settoremarittimo utili anche al monitoraggio dipatologie asbesto­correlate condottedagli Enti competenti (Ministero della Sa­lute, Re.Na.M. dell’INAIL, Centri RegionaliAmianto, ASL ed Osservatori).L’esperienza maturata dal gruppo di ri­cerca nel settore amianto del CNR INSEANha evidenziato come questo campo appli­cativo della ricerca è denso di prospettive.Pertanto, il contributo di chiunque possaessere interessato è più che gradito, au­spicando l’apporto di nuove idee, lo scam­bio di informazioni e la promozione dinuove iniziative.#

***

Gli autori desiderano ringraziare il dott.Omero Negrisolo della Procura di Pado­va, l’avvocato Margherita Borgo, il dott.Sandro Scarpa. Inoltre il dott. MicheleRucco dell’Osservatorio NazionaleAmianto (ONA)

*CNR­INSEAN

Manufatti di amianto rimossi dalla nave Chimera (Arsenale di Augusta) Pianta schematica delle strutture in amianto

A M I N A V I D A T A B A S E

PER SAPERNE DI PIÙPiolatto G., Massola A. L’amianto: dall’ambiente di lavoro all’ambiente di vita. Nuovi indicatori per futuri effetti’. Fondazione Salvatore Maugeri,IRCCS, Pavia 1997;12:261­268.Fazzo L., De Santis M., Comba P. Pleural mesothelioma mortality and asbestos exposure mapping in Italy. American Joumal of Industriai Medicine 2012 a) Jan;55 (l):11­24Zannini D., Bogetti BE., Ottenga F. Il rischio e la prevenzione dell’asbestosi nelle lavorazioni navali. Med. Lav. 63, 221­244, 1972.Vigliani EC. Nella medicina del lavoro il progresso è legato al progresso. Tempo Medico 1966;48:30­37.INAIL Quinto Rapporto. Il Registro Nazionale dei Mesoteliomi. Ediz. 2015 https://www.inail.it/cs/internet/docs/ucm_207055.pdf

Nave Artigliere F 582 Marina Militare

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Il caso

Uranio Impoverito

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DA URANIO IMPOVERITO

A SENSIBILITÀ CHIMICA MULTIPLA

Prof. Giancarlo Ugazio

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URANIO IMPOVERITO

INTERVISTA di GIULIA DI PIETRO a FALCO ACCAME [COMMENTI BIOMEDICO-SOCIALI di GIANCARLO UGAZIO]

Edito da Malatempora, 2006 ISBN 8884250366 101 pagine, € 10,00

Gratis per i lettori di www.vittimeuranio.com

PRESENTAZIONE Cos’è l’uranio impoverito? È una scoria nucleare. Un sottoprodotto di scarto delle centrali nucleari che viene utilizzato per rafforzare gli

armamenti. Molto più economico del tungsteno, facilita contemporaneamente due cose: rende più efficienti le armi e aiuta a disperdere delle scorie che altrimenti non si saprebbe dove andare a nascondere. Insomma, si sono inventati un modo per

risparmiare e contemporaneamente per perfezionare il grande mostro bellico. La domanda è: è pericoloso? Non è accertabile, tuttavia si sono ammalate e sono

morte molte persone. Militari, ma anche gente comune. È lecito pensare che, essendo una scoria nucleare, qualche problema debba pur portarlo. Come gli americani hanno avuto le loro sindromi di guerra, anche noi abbiamo la

nostra “Sindrome dei Balcani”. Ma cosa è effettivamente una sindrome, non è dato sapere.

Alla luce degli eventi, sotto questo termine trovano rifugio non solo le malattie che l’esposizione all’uranio ha causato, ma soprattutto la coltre di reticenze, silenzi, camuffamenti messi in atto per nascondere la verità. Non dare un nome preciso alle

cose è un modo politichese per non far esistere quelle stesse cose, per relegarle nel limbo del “difficile da definire” dunque “difficile da imputare”.

Come in un circolo vizioso, questo crea delle disattenzioni da parte delle istituzioni. Lo Stato che dovrebbe proteggere si trasforma nello Stato che si autoprotegge per nascondere le proprie responsabilità. E qui si parla delle minime regole di assistenza e

norme di protezione che dovevano essere approntate prima, durante e dopo le issioni. E che invece sono state disattese. Questo è il vero problema.

Il libro è una lunga intervista a Falco Accame, presidente e ricercatore operativo dell’ANAVAFAF (Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze

Armate e Famiglie dei Caduti), nata nel 1983 con l’intento di tutelare, prevenire e limitare il numero dei morti nelle forze armate in tempo di pace, e presidente dell’AUI (Aboliamo l’Uranio Impoverito). Da sempre in prima linea sulle questioni che

riguardano i militari, dal dramma del nonnismo alle questioni strategiche, non poteva non interessarsi anche dell’uranio impoverito.

Dal 1994 Accame si occupa del problema dell’uranio in Italia, da quando ha cominciato ad insinuarsi il dubbio su alcune morti sospette. La conoscenza delle questioni militari e l’interessamento ormai decennale al problema, ne fanno una fonte e un testimone

attendibile, storico. Dopo anni di lettere a vuoto, d’interrogazioni, di richieste perchè fossero

istituzionalmente riconosciute le responsabilità per la morte e le malattie dei soldati e fossero adeguatamente compensate da elargizioni in denaro, è giunto a questo libro. Che vuole essere una contro-lettura, una contro-relazione del fenomeno rispetto alle

dichiarazioni ufficiali. A pochi giorni di distanza dall’uscita della Relazione della Commissione d’Inchiesta del

Senato, una relazione che si sperava fosse determinante nell’accertamento delle

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responsabilità e si è invece rivelata vuota, si è cercato di ricostruire gli eventi, gli

aspetti giuridici e istituzionali e perchè no, additare le colpe attraverso una serrata critica della relazione stessa.

Qui si propone una sorta di storia, punto per punto, di tutto ciò che il tema dell’uranio impoverito ha comportato ed è stato di volta in volta presentato. Le omissioni e i segreti della Difesa, la mancata attuazione delle norme di protezione, la negazione

degli indennizzi, qual è effettivamente la pericolosità dell’uranio, se e come potevano essere evitate tante morti. Perchè va bene che la guerra uccide, ma qui uccidono

anche le cosiddette “missioni di pace” e quella che sembra una tranquilla attività all’interno dei poligoni. Tutto questo si è scelto di farlo con il supporto di documenti ufficiali, di articoli di

giornale, di leggi, di audizioni parlamentari e attraverso le parole severe e il linguaggio di Accame, così da avere per le mani un nuovo documento che raccoglie un’infamia

del nostro tempo. Un libro definitivo? Probabilmente no, fintanto che le istituzioni (politiche e militari) non si assumeranno le proprie responsabilità invece di coprirsi a vicenda.

Qui si cerca di dare un po’ di chiarezza. Non è un libro facile, ma ci sono le prove per dimostrare che non è stato fatto quello che si doveva e ancora non si continua a fare.

Giulia di Pietro

URANIO IMPOVERITO. LA VERITÀ

- Cominciamo dalla fine: come si puo’ sintetizzare il problema dell’UI? Il problema principale dell’Uranio impoverito è un problema di responsabilità politiche e militari per non aver applicato le norme di precauzione necessarie.

Infatti, sono state applicate con sei anni di ritardo, mettendo a rischio la salute di moltissimi militari coinvolti nelle operazioni.

Il legame tra i tumori e il fumo è probabilistico e così il legame tra i tumori e l’amianto, e così pure i tumori e l’avaria alla Centrale Cernobyl. Lo stesso vale per il legame tra i tumori e l’uranio impoverito.

Non si può dire con certezza né che l’uranio impoverito sia la causa dei tumori né che non sia la causa. L’unica certezza è che vale il principio di precauzione! Principio che

può essere adottato per militari e operatori civili che operano in zone contaminate, ma non per gli abitanti di tali zone. Per questi abitanti l’unica sicurezza può essere costituita solo dall’abolizione dell’impiego dell’uranio impoverito. [1]

- Ora torniamo indietro. Com’è nato il suo interessamento all’uranio impoverito?

Potrebbe riassumere la storia dell’uranio impoverito in Italia? L’ANAVAFAF ebbe un primo approccio con il problema dell’uranio impoverito nel 1994 al termine delle operazioni in Somalia per la Restore Hope.

Il primo caso sospetto per l’ANAVAFAF riguarda il Maresciallo Marco Mandolini. Il Maresciallo si ammalò gravemente in Somalia di quella che fu definita una

“rarissima malattia tropicale”. Ma sorse il dubbio che si trattasse di un’affezione dovuta a contaminazione da uranio impoverito. Venne anche chiesta dai familiari, ma non concessa, la riesumazione della salma.

La “Fondazione Nino Pasti”, attraverso il suo segretario Paolo Pioppi, chiese informazioni all’Action Center dell’ex Ministro della Giustizia USA Ramsey Clarck, il

promotore degli studi contenuti nel libro “Il metallo del disonore”. Invitammo due volte in Italia il Ministro (la seconda volta presso il Senato) che ci fece

un’amplissima illustrazione dei pericoli dell’uranio impoverito riscontrati durante la Guerra del Golfo e ci ragguagliò circa i numerosissimi casi che si erano riscontrati tra la popolazione irachena e tra i reduci dei reparti USA. [2]

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La prima interrogazione parlamentare sulla problematica dell’uranio impoverito fu

presentata dalla Senatrice Tana de Zulueta. In Italia un primo allarme della pericolosità dell’uranio impoverito si ebbe in occasione

dell’incendio che assunse dimensioni assolutamente insolite di un aereo civile in Giappone. La causa di questo incendio venne attribuita alle barre di uranio contenute nei timoni di direzione (anche alla Malpensa, poi, si verificò un caso analogo).

Comunque le prime segnalazioni sulla pericolosità dell’uranio impoverito vennero dai tests eseguiti in Australia nei primi anni ’50. Peraltro l’idea di usare l’uranio (naturale)

per impiego nelle armi risale all’Ammiraglio Speer, Ministro della Difesa di Hitler, nel 1942. Il secondo caso (il primo che riguarda la Bosnia) fu segnalato all’ANAVAFAF in

Sardegna da un militante di Pax Christi, Antonello Repetto, e si riferiva al militare Salvatore Vacca ammalatosi dopo una permanenza in Bosnia. Repetto espresse il

sospetto che il militare Vacca si fosse ammalato in Bosnia da possibile contaminazione da uranio. Il Ministero della Difesa negò, in una risposta all’interrogazione parlamentare del Sen.

Russo Spena, che l’uranio fosse stato impiegato in Bosnia. [3] L’ANAVAFAF inviò al Ministero della Difesa tutta la documentazione USA rilasciata dal

Pentagono che invece comprovava in maniera inequivocabile l’uso di armi all’uranio in Bosnia. Tale uso, del resto era ben conosciuto nella base di Aviano (base al comando

di un Colonnello dell’Aeronautica italiana) da cui erano partiti gli aerei che hanno bombardato la Bosnia. Il Comando aveva impartito gli ordini di operazione relativi e aveva ricevuto i relativi rapporti di operazione. Quindi il Ministero poteva e doveva

essere a conoscenza di quest’uso. Passò molto tempo, peraltro, prima che il Ministero della Difesa ammettesse l’uso

dell’uranio impoverito in Bosnia, e quando lo ammise riferì che almeno 10.000 proiettili erano stati sparati in Bosnia. Fondammo l’Associazione AUI (Aboliamo l’uranio impoverito) che ebbe l’adesione di

numerosi enti e organizzazioni e manifestammo di fronte all’Altare della Patria a Piazza Venezia a Roma. Era presente, tra l’altro, il Prof. Giovanni Caselli inviato del

Governo nei Balcani che, purtroppo, alcuni anni dopo morì di un tumore. Alla notizia relativa al Caporalmaggiore Vacca ne seguirono in breve tempo altre relative ad altri militari: Colombo, Di Giacobbe, Carbonaro, Antonaci, Melone.

Nel frattempo si fece strada anche il sospetto che si fossero verificati anche in Italia dei casi di contaminazione nei poligoni di tiro.

Chi ha lanciato il primo allarme per quanto accadeva nella zona del Poligono di Salto i di Quirra furono il Sindaco di Villaputzu, Antonio Pili, oncologo presso l’ospedale di Cagliari, e il fratello medico condotto. Avevano notato un eccesso ingiustificabile di

casi di tumore. Ne diffuse notizia il piccolo periodico locale, “Il Sarrabus”. Siamo molto grati ai fratelli Pili. [4]

Contro il sindaco venne indetta una campagna politica e così perdette l’incarico. Successivamente si tentò di metterlo sotto processo in relazione ad una vecchia miniera di arsenico. Vi era qualcuno che tentava di attribuire i casi di malattia

riscontrati proprio all’arsenico. Una vicenda inqualificabile. Il primo caso fu quello di Giuseppe Pintus a cui seguirono quello di Bonincontro,

Cappellano, Cardia. Tra i primi giornalisti che si occuparono della materia furono Piero Mannironi de La Nuova Sardegna, Stefano Mannucci de Il Tempo, Lorenzo Sani de Il Resto del Carlino,

Vincenzo Tessandori de La Stampa. Purtroppo la storia ci insegna che anche in passato non ci si è adeguatamente

preoccupati della sicurezza. Senza risalire troppo nel tempo, riferendoci alla II Guerra Mondiale, il pensiero va a quei soldati che inviammo nell’Epiro e che tornarono con i

piedi congelati perchè le scarpe avevano le suole di cartone. [5]

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5

Ma il nostro pensiero va anche all’Armata in Russia (ARMIR) e alla mancanza di

protezione dal freddo dei nostri uomini. In Russia avemmo a che fare con “centomila gavette di ghiaccio”, come reca il titolo un famoso libro su quella campagna. Anche a

Nassiriya, per esempio, le vittime dell’autobomba sono legate al fatto che non sono state predisposte adeguate difese esterne. Anche dell’amianto, così largamente usato ad esempio sulle navi, è stato detto per

anni che era assolutamente innocuo. Oggi, di fronte alle migliaia di drammatici casi che si sono verificati, forse siamo propensi a ripensare che quelle fossero delle

sciocchezze (o peggio)! [6] - Nell’aprile di quest’anno alcuni giornali nazionali hanno riportato i dati relativi al

numero di malati e di morti. Risultano 28 decessi e 158 casi di neoplasie. In tre anni si sono triplicati i malati tra i reduci dai Balcani. Ma le associazioni parlano addirittura di

circa 50 casi di morte conosciuti e di 300 ammalati. Quindi il conteggio dei morti non è ancora definitivo. Come mai? Manca un sistema istituzionale nell’Amministrazione della Difesa che riguardi l’individuazione dei decessi del personale in servizio e le

infermità che causano il successivo decesso? Questo fa parte della coltre del segreto sull’uranio.

È vero, non esistono dati definitivi. Soprattutto non esiste un sistema relazionato tra le varie associazioni o enti ai quali le vittime fanno riferimento.

Così ci si ritrova una serie frammentaria di dati e numeri difficilmente confrontabili. Inoltre, siamo nell’impossibilità pratica di conoscere dati essenziali in possesso del Ministero della Difesa. Questo in violazione della legge 241/90 sulla trasparenza

informativa. Nel 2003 feci una richiesta formale al Ministro Martino affinchè fossero resi pubblici, ma è caduta nel vuoto.

- La maggior attenzione sembra essere rivolta ai militari, sicuramente in prima linea. Spesso sono dimenticati i civili, le popolazioni che abitano in territori di guerra e

soprattutto i danni ambientali derivanti dall’esposizione all’UI. Si sono verificati casi di morte tra i civili italiani di cui lei e a conoscenza?

Certamente. Come quella del Prof. Giovanni Caselli. Caselli era vicepresidente dell’Abusdef e docente all’Università di Firenze. Aveva operato nel 1999 in Kosovo nell’ambito della missione Arcobaleno come

commissario inviato dalla Presidenza del Consiglio e tra le attività svolte c’era quella di monitorare le condizioni delle case colpite dai bombardamenti. Era quindi esposto

senza saperlo a ingenti concentrazioni di uranio impoverito. Cercandolo per informarlo della mia richiesta che fosse invitato dalla Commissione sull’uranio del Senato, sono venuto a sapere con grande dispiacere dalla moglie che

era morto il 5 gennaio del 2005. Inoltre, il prof. Waldemaro Marchiafava, un dermatologo che aveva l’incarico di

visitare civili mandati in Kosovo, ha rilevato nove casi di melanoma fra gli ottocento Vigili del Fuoco visitati. Questo fatto si riferisce ormai al 2001 e aveva trovato spazio anche in un articolo de “Il Manifesto” in data 25 novembre. Non abbiamo mai saputo

l’esito delle analisi che forse il Ministero dell’Interno conosce.

- E il pericolo ambientale? Per ciò che riguarda la questione ambientale tutto si fa ancora più fumoso. Ad esempio, è stato messo in evidenza il rischio per la selvaggina. A tal proposito una

nota dell’Ansa del 30 gennaio 2004 informava che 10 tonnellate di selvaggina arrivate in Italia dall’ex Jugoslavia erano state fatte incenerire perchè provenienti da zone

contaminate da uranio impoverito. Anche in un articolo sul quotidiano “Avvenire” del 25 settembre 2004 si mette in evidenza il possibile inquinamento dei viveri. Ad oggi,

comunque, non si sa più nulla. [7]

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6

Per quanto riguarda l’inquinamento del terreno, le indagini che sono state condotte

non hanno dato luogo a risultati univoci. Bisogna tener presente che è estremamente difficile separare nelle misurazioni l’uranio “naturale” esistente nel terreno dall’uranio

“indotto” dai bombardamenti. Secondo alcune rilevazioni non c’è un accrescimento di pericolosità, ma secondo altre questo accrescimento esiste. Quindi siamo in una situazione d’incertezza, che porta

all’esigenza di adottare misure di precauzione. Ad esempio, come ci ricorda lo stesso Stato Maggiore della Difesa nel foglio 7 giugno

2000, nelle sperimentazioni eseguite in Serbia sono risultati alti tassi di inquinamento. Si legge testualmente nel rapporto “Armi a uranio impoverito. Effetti e precauzioni” del Ministro dell’Ambiente in data 26 maggio 2000 e trasmesso dallo Stato Maggiore:

«In Serbia il Prof. Polic ha analizzato campioni di terreno e ha riscontrato una presenza di uranio impoverito e un tasso di radioattività di alcune centinaia di volte

più elevato rispetto alla norma. Lo scienziato, che lavora su campioni di terreno e di miele prelevati in Serbia e analizzati da un gruppo di ricercatori italiani, ha sottolineato la difficoltà di lavorare in assenza di informazioni specifiche sulle aree in

cui sono stati utilizzati armamenti ad uranio depleto». Da osservare che il pericolo d’inquinamento nel terreno deriva non solo dai proiettili

anticarro del diametro di poco più di 1 cm, ma anche da proiettili dell’artiglieria navale nel tiro contro-costa e anche dai missili da crociera e dalle bombe di profondità

oltrechè dagli ostacoli che sono stati colpiti e quindi contengono un’elevata quantità di pulviscolo di uranio impoverito. E si tratta di oggetti assai più inquinanti di quanto non lo sia un piccolo proiettile anticarro.

- Nell’audizione dell’11 maggio 2005 del Ministro della Difesa Martino e nella relazione

del Ministero della Difesa alla Commissione d’Inchiesta del Senato sull’uranio impoverito si esclude la pericolosità dell’uranio impoverito. Contrariamente ai dati sopra riportati si esclude qualsiasi impatto negativo sulla salute dell’uranio impoverito

e si precisa che non si e evidenziato alcun aumento di tumori o mortalita. Si precisa che nei rapporti UNEP viene messa in evidenza la presenza accertata

laboratoristicamente in alcuni proiettili di tracce di elementi transuranici (Plutonio e Nettunio) e 236 U e che i militari impiegati all’estero non corrono nessun pericolo rispetto all’uranio impoverito. Non lo usano loro e non lo usano i militari di altri Paesi

che collaborano con loro. Si afferma, inoltre, che la paventata pericolosità dell’uranio impoverito, quando è emersa la prima volta, non è stata ne’ ignorata, ne’ sottaciuta,

ne’ sottovalutata. Si precisa inoltre che fin dall’ingresso dei nostri soldati in Kossovo sono state adottate misure di protezione, monitoraggio ambientale, ampia attivita informativa, bonifica del territorio con reparti militari NBC specializzati nella protezione

e decontaminazione di personale e materiale. Si precisa inoltre che ogni unita militare dispone di nuclei specializzati NBC per tali operazioni. Questi nuclei che operano in

modo preventivo nelle aree in cui si dispongono i nostri reparti, sin dall’inizio sono stati rinforzati da un ulteriore compagnia specializzata. Cosa ha da dire in proposito? Queste affermazioni sono del tutto opinabili. È facile smontarle mettendo in evidenza

la situazione quasi kafkiana presente in Italia: mentre il Ministro afferma ciò, contemporaneamente sono state emanate dalle autorità militari una serie di norme di

protezione per consentire ai soldati di proteggersi dallo stesso uranio impoverito che dal Ministro non è definito pericoloso! Questo è un chiaro paradosso in base al quale è lecito supporre che non sia poi così tanto innocuo. Per quanto riguarda il monitoraggio

e la protezione, questi provvedimenti non sono stati attuati tempestivamente e ciò ha messo in pericolo moltissime persone. Sostengono anche che il problema non è stato

sottaciuto, sottovalutato o ignorato, ci sarebbe molto da dire in proposito! [8]

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- Veniamo dunque alle norme di protezione. Esistono diverse misure emanate da

organi militari italiani e internazionali e studi che affermano il grado di pericolosita del’UI a diversi livelli. Potrebbe dirci quali sono queste norme?

Le Norme NATO nel 1984. Le Norme USA per la “Restore Hope” in Somalia nel 1993. Le misure NATO per basse radiazioni nel 1996.

Le disposizioni della KFOR del 22 novembre 1999. Le disposizioni dello Stato Maggiore della Difesa del 6 dicembre 1999.

Le disposizioni della Folgore dell’8 maggio 2000. A queste si aggiungono le comunicazioni del Capo della Sanità Militare USA in data 6.08.1993, dell’UNEP, del CISAM (Centro Interforze Studi Applicazioni Militari), del

nostro Ministero dell’Ambiente e numerose valutazioni fatte da esperti nazionali e internazionali. A questa normativa si può aggiungere anche un documento

dell’aeronautica americana, ossia il rapporto sulle sperimentazioni nel poligono di Eglin in Florida, fatte tra l’ottobre 1977 e l’ottobre 1978, che mette in guardia sui pericoli dell’uranio impoverito.

- Cosa dicevano le Norme NATO nel 1984?

Generalmente si prende in considerazione solo il pericolo dell’uranio in caso di impatto con un ostacolo solido, impatto in cui si sviluppa una temperatura altissima di circa

3000 gradi. Ci si dimentica così che è pericoloso anche a freddo quando lo si maneggia. Di questo pericolo l’Italia era stata avvertita fin dal 1984 da parte della NATO (1). Si trattava infatti di norme per il maneggio a temperatura ambiente delle

barre all’uranio impoverito che vengono usate per timoni di direzione negli aerei e missili. In proposito si stabiliva che “the following precautions should be observed”:

1) Personnel handling the balance weights should wear gloves, 2) Industrial eye protection should be worn, 3) Respirator mask should be worn to ensure no radioactive dust particle ingestion.

Gloves, wrapping material, wiping cloths, respirator filters, or any other articles used in the handling of damaged balance weight should be discarded and appropriately

labeled as radioactive waste and disposed of accordingly”. Potremmo per inciso ricordare, in merito a queste direttive, che va menzionato anche il pericolo che s’incontra nel trattare il materiale tornato dalle aree d’impiego e

stoccato nei depositi. Infatti, in Italia si sono verificati casi di sospetta contaminazione di militari addetti a depositi di materiale (veicoli e vestiario) rientrato dai teatri

operativi spesso senza che fossero state effettuate appropriate misure di disinquinamento. L’Italia era dunque al corrente, anche prima delle operazioni in Somalia e nei Balcani,

del rischio dell’uranio impoverito, non solo in relazione all’esplosione nell’impatto, ma anche nel semplice maneggio a freddo. [9]

Quanto all’esistenza di pericoli legati all’uso dell’uranio impoverito, il 6 dicembre 1999 lo stesso Sottocapo di Stato Maggiore alla Difesa pro tempore Ten. Gen. Gianfranco Ottogalli ha emanato delle norme assai rigorose che testimoniano della pericolosità

che veniva dallo Stato Maggiore attribuita alle armi all’uranio (2). Si precisa, ad esempio, in queste disposizioni che “nel raccogliere i proiettili (sia dardi, sia residui di

contenitori), questi dovrebbero essere depositati in un contenitore metallico munito di coperchio da disporre in zona custodita e appartata (possibilmente al chiuso) e in maniera che il personale non possa avvicinarsi a meno di 5 metri”.

- In proposito, il Ministero dell’Ambiente cosa ha affermato?

Nelle precauzioni per l’impiego delle armi all’uranio impoverito, impartite dal Ministero dell’Ambiente in data 26.05.2000 (3), si legge: - verificare, attraverso misure e controlli, l’effettivo uso di proiettili al DU;

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- stabilire l’estensione dell’area contaminata e se necessario delimitarla;

- raccogliere i pezzi di proiettile e confezionarli per il trasporto secondo le modalità in

annesso 1 (imballaggio, trasporto e custodia di proiettili al DU); - raccogliere campioni di matrici ambientali per i controlli di laboratorio.

Si precisa, inoltre, che “Tale attività potrebbe scaturire sulla base della segnalazione d’allarme pervenuta da Unità o da fonti informative”.

Potremmo aggiungere a queste testimonianze quella del Ministro dell’Ambiente della 13ª legislatura, noto Professore di fisica nucleare all’Università di Roma (e quindi, si presume, con qualche competenza in merito alla materia trattata!). Il Ministro ha

infatti scritto: “L’UD (uranio depleto) è radioattivo e chimicamente tossico e quindi pericoloso soprattutto per inalazione e ingestione di particolato (polvere nerastra)

derivante ad esempio dalla collisione del proiettile con un blindato o altra superficie resistente” . Sul fatto che l’uranio risulti pericoloso vi sono testimonianze in numerosi documenti,

oltre quelli sopraccitati, emanati dal Ministero della Difesa oltre che dal Ministero dell’Ambiente.

Del pericolo si fa cenno perfino nella stessa 2ª e 3ª relazione della Commissione Mandelli. In proposito, nella terza ed ultima, si afferma a pag. 21 che “esiste un eccesso,

statisticamente significativo, di casi di Linfoma di Hodgkin. L’eccesso di LH nel gruppo di militari impegnati in Bosnia e/o Kosovo emerge anche dal confronto con i

Carabinieri mai impegnati in missioni all’estero. Questa popolazione è confrontabile con quella dei militari impegnati in Bosnia e Kosovo in quanto si tratta comunque di una popolazione militare: inoltre la distribuzione per area geografica di provenienza

dei Carabinieri non è molto diversa da quella dei militari impegnati in Bosnia e/o Kosovo”.

Anche se la metodologia usata è assi discutibile, resta comunque la denuncia fatta dalla stessa Commissione Mandelli.

Peraltro, Mandelli ha preso in considerazione solo l’aspetto radioattivo del pericolo derivante dall’uranio.

- Infatti, la pericolosità dell’uranio impoverito e sia chimica che radioattiva. Le norme delle nostre Forze Armate prendono in considerazione entrambi gli aspetti?

Le stesse relazioni Mandelli (2ª e 3ª), dalle quali il Ministero Difesa trae la conclusione della assoluta innocuità del metallo, non negano la possibilità che la causa dei Linfomi di Hodgkin sia legata alla contaminazione da uranio impoverito.

Ma, a parte quanto scritto in queste relazioni, forse può essere utile rileggere quanto dichiara il Col. Osvaldo Bizzari, specializzato NBC (Nucleare Batteriologico Chimico),

nelle disposizioni di sicurezza per le forze della KFOR operanti nei Balcani in data 22 novembre 1999, disposizioni che, appunto, recano la sua firma. Ecco dunque quanto si legge in alcuni punti delle disposizioni suddette:

“...Evitate ogni mezzo che sospettate essere colpito da munizionamento UI o missili da crociera Tomahawk. Non raccogliere o collezionare munizionamento UI trovato sul

terreno, informate immediatamente il vostro comando circa le aree che voi ritenete contaminate da munizionamento UI.... ....La contaminazione con la polvere UI inquina cibo ed acqua. Non mangiate

assolutamente cibo non controllato. Particelle che fossero state inalate possono causare danni ai tessuti interni nel lungo termine. Se pensate di essere esposti alla

polvere UI fate immediatamente un test delle urine nelle successive 24 h per analizzare la presenza U 238, U 235, U 234 e creatina. Il personale risultato positivo al test dovrebbe assumere agenti specifici per rimuovere il più possibile le particelle

contaminate presenti nel corpo.....

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.....I veicoli ed i materiali dell’Esercito Serbo in Kosovo possono costituire una

minaccia alla salute dei militari e dei civili che dovessero venire a contatto con gli stessi. I veicoli e gli equipaggiamenti trovati distrutti, danneggiati o abbandonanti

devono essere ispezionati e maneggiati solamente da personale qualificato. I pericoli per la salute possono derivare dall’Uranio impoverito in conseguenza dei danni dovuti alla campagna di bombardamento NATO relativamente a mezzi colpiti direttamente o

indirettamente...... .....L’UI emette radiazioni Alfa a bassi livelli di radiazioni Beta e Gamma. Le normali

uniformi da combattimento sono sufficienti per prevenire l’assorbimento attraverso la cute. Tuttavia la reale minaccia è rappresentata dalla possibile inalazione di UI...... ......L’UI provoca un avvelenamento da metallo pesante ed il personale deve

assolutamente evitare i mezzi sospettati di essere stati colpiti da UI. La minima istanza di sicurezza non deve essere inferiore ai 50 mt. Se ci si deve avvicinare

ulteriormente è necessario indossare maschera e guanti per evitare di assorbire la polvere radioattiva...... .....L’UI è un metallo pesante chimicamente tossico e radioattivo con un peso specifico

quasi doppio rispetto al piombo....... ....L’UI emette radiazioni Alfa, Beta e Gamma con un tempo di dimezzamento di 4,5

miliardi di anni. La sua pericolosità radioattiva è dovuta alle radiazioni alfa......” Le norme di sicurezza si concludono con le seguenti ‘Regole d’oro’ (4), che parlano da

sole: “Rimani lontano da carri-mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili da crociera. Se lavori entro 500 metri di raggio da un veicolo o costruzione distrutti indossa protezioni

per le vie respiratorie. Inalazioni di polvere insolubile UI sono associate nel tempo con effetti negativi sulla salute quali il tumore e disfunzioni nei neonati. Questi potrebbero

non verificarsi fino a qualche anno dopo l’esposizione”. Mi auguro sinceramente che il Col. Osvaldo Bizzari, che dovremmo considerare competente della materia, in quanto specializzato NBC, non abbia voluto diffondere

“notizie false e tendenziose” tra i nostri soldati facendo credere loro l’esistenza di un pericolo inesistente!

A sostegno di quanto scrive il Col. Bizzari sono le affermazioni del Col. Fernando Guarnieri contenute nelle disposizioni emanate l’8 maggio 2000 alla Brigata Folgore Nembo Col. Moschin (5) dove si legge: “La pericolosità dell’uranio si esplica sia per via

chimica, che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve termine, sia per via radiologica che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità

per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno (contaminazione interna)”. Il Col. Fernando Guarnieri formula anche il criterio per stabilire chi può essere definito

“soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio” e cioè chi deve far parte del numero dei militari potenzialmente a rischio. Solo una piccola parte dei circa 40.000

presi in considerazione come potenzialmente esposti nelle relazioni Mandelli rispondono a questo criterio. Ricordiamo, allora, quanto scrive in merito il Colonnello: “In relazione alla

partecipazione del contingente italiano alle attività di supporto alla pace in Kosovo, può essere definito soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio colui che

abbia soggiornato ed operato in prossimità di un obiettivo colpito da munizionamento ad uranio impoverito o in aree ove siano stati individuati proiettili o un frammento di essi”.

In questa formulazione del criterio del soggetto a rischio dovrebbe essere peraltro inclusa (in base alle disposizioni NATO succitate del 1984) anche colui che

semplicemente maneggia delle armi ad uranio impoverito.

- Cosa e stato detto sulla pericolosità dagli esperti italiani?

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È ancora in ambito dei componenti della stessa Commissione Mandelli che possiamo

trovare una valutazione di notevole rilevanza come quella apparsa nell’intervista che il quotidiano ‘Metro’ del 2 ottobre 2003 ha fatto al Prof. Martino Grandolfo (fisico,

Direttore di Ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità e appunto membro della Commissione Mandelli). L’intervista non è neppure smentita dal titolo “Non abbiamo mai escluso che l’uranio fosse letale”.

Il Prof. Grandolfo dichiara di aver rilevato un eccesso di casi di linfomi di Hodgkin e afferma che l’uranio potrebbe essere la causa del linfoma. In merito il Prof. Grandolfo

specifica “infatti nella terza relazione abbiamo fortemente auspicato un prolungamento di indagini”. Prolungamento che peraltro non è stato concesso dal Ministero della Difesa per motivi che non conosciamo.

- Ha parlato anche di esperti all’estero. Quali sono le preoccupazioni internazionali?

Circa le preoccupazioni per l’impiego dell’uranio impoverito all’estero non è vero che all’estero non esistano preoccupazioni sulla questione dell’uranio impoverito. Basta leggere il libro pionieristico a cura del gruppo di scienziati dell’Action Center,

presieduto dall’ex Ministro della Giustizia USA Ramsey Clarck, “Il metallo del disonore”! Anzi vi si leggono preoccupazioni ben più gravi delle nostre.

Tra l’altro all’estero c’è chi ha espresso preoccupazione addirittura per la presenza di plutonio nelle munizioni all’uranio impoverito.

A parte questo, su Internet si possono trovare le loro valutazioni nei siti dei reduci di guerra stranieri (le organizzazione dei veterani degli USA, Canada, Gran Bretagna). Si potrebbe citare quanto afferma una delle più prestigiose istituzioni scientifiche

inglesi, la Royal Society, che si è espressa numerose volte sulla pericolosità dell’uranio e ha anche chiesto il ritiro delle forze operanti in Iraq.

Ma forse la citazione più specifica che viene da una fonte militare estera, certamente “affidabile al di là di ogni dubbio”, è quella del capo della sanità militare USA in data 16 agosto 1993 (6). Questa recita testualmente: “During peace time, exposure must

be kept as far below the NRC limits (specified in a. above) as is reasonably achievable. There are no comparable limits for wartime. When soldiers inhale or ingest

DU dust, they incur a potential increase in cancer risk”. E se lo dice il capo della Sanità Militare USA che ha potuto avvalersi di tutta la esperienza fatta tra i reduci della guerra del Golfo e si è potuto basare sulle capacità

di analisi scientifiche USA (certamente ben più approfondite delle nostre), credo che ci sia materia su cui riflettere.

Ci sono anche le norme di protezione per le forze USA emanate in Somalia il 14 ottobre 1993 (7) e le disposizioni NATO per la protezione dalle basse radiazioni. Alcune valutazioni espresse da enti qualificati degli USA sono presenti nel libro “Il

metallo del disonore”. Si tratta di valutazioni conosciute da circa 10 anni. Ne riporto qualcuna:

“Se l’uranio impoverito penetra nell’organismo, è in grado di produrre conseguenze cliniche significative. I rischi associati alla presenza di uranio impoverito nell’organismo sono di carattere chimico e radiologico”. [10]

“Il personale militare presente all’interno o in prossimità di veicoli colpiti da penetratori all’uranio impoverito potrebbe ricevere dosi significative di radiazioni”.

Dal documento dell’Army Environmental Policy Institute (AEPI), Health and Environmental Consequences of Depleted Uranium Use in the U.S. Army, pubblicato nel 1995.

“Gli effetti a breve termine dell’assorbimento di dosi elevate possono condurre al decesso, mentre dosi meno massicce, a lungo termine, possono produrre alterazioni

neoplastiche”. “L’esposizione dei soldati all’uranio presente in sospensione nei campi di battaglia

potrebbe essere rilevante, con potenziali effetti radiologici e tossicologici”.

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Dal resoconto dello Science Applications International Corporation (SAIC), inserito

come appendice (D) in Kinetic Energy Penetrator Long Term Strategy Study, pubblicato a cura dell’AMMCOM nel luglio 1990. Questo resoconto è stato ultimato sei

mesi prima dell’operazione Desert Storm. “Gli ossidi insolubili che sono stati inalati possono essere trattenuti a lungo nei polmoni rischiando di generare alterazioni tumorali dovute alle radiazioni. La polvere

di uranio impoverito ingerita rappresenta un rischio radioattivo e tossicologico”. Operation Desert Storm: Army Not Adequately Prepared to Deal With Depleted

Uranium Contamination, United States General Accounting Office (GAO/NSIAD-93-90), gennaio 1993, pagg. 17.18. Ad ogni modo, in forma estremamente evidente, in questi documenti, non si nega la

possibilità che la causa delle patologie LH possa essere dovuta all’uranio impoverito. E, quando non c’è la certezza che una patologia non sia provocata da una determinata

causa, deve valere il principio di precauzione! [11] - Dunque si ritorna al problema messo in evidenza all’inizio, ossia la mancata

tempestività nell’adozione delle norme di protezione in Italia. Alla luce di tutto cio, come risponde alle affermazioni del Min. Martino?

Le misure di protezione sono state adottate con sei anni di ritardo rispetto agli USA. Non dimentichiamo infatti che le prime norme emanate dall’Italia (e il rischio

dell’uranio impoverito era stato ufficialmente comunicato dalla NATO all’Italia fin dal 1984, come abbiamo detto) sono state emanate il 22 novembre 1999 (e sono quelle di cui abbiamo fatto cenno a firma del Col. Osvaldo Bizzari).

Gli USA hanno emanato le norme sei anni prima e precisamente in occasione dell’operazione ‘Restore Hope’ in Somalia (in data 14 ottobre 1993). Mentre i militari

USA applicavano le norme, i nostri non le applicavano. Un fatto che meriterebbe un’accurata analisi per individuarne i motivi. Come molti militari che hanno prestato il servizio in Somalia hanno testimoniato (ad

esempio il Maresciallo Marco Diana e il paracadutista Giambattista Marica) e come hanno testimoniato alcuni defunti (come il Maresciallo Umberto Pizzamiglio) i nostri

ragazzi stavano in calzoncini corti, canottiera e in caso di situazioni di combattimento giubbotto antiproiettile. Mentre i militari USA operavano, sia pure alla temperatura di 40 gradi all’ombra, con

tuta, occhiali, maschere, ecc. In particolare, non è vero che le prime misure siano state adottate fin dall’ingresso dei

nostri soldati in Kossovo. Dalla primavera del 1999 al novembre del 1999 passano circa 5 mesi. A parte il fatto che i nostri soldati, prima ancora che in Kossovo, hanno operato senza norme di protezione in Somalia e in Bosnia dal 1993 al 1996.

E non è vero neppure che la questione della paventata pericolosità dell’uranio impoverito è emersa solo al momento delle operazioni in Kossovo. Infatti, l’Italia era

stata informata dalla NATO, come già citato, fin dal 1984 delle norme da adottare, anche per il semplice maneggio. E d’altra parte, test sulla pericolosità dell’uranio impoverito erano stati effettuati addirittura negli anni ’50 in Australia. Una vasta

letteratura precedente alle operazioni in Somalia, in Bosnia e nel Kossovo, testimonia dei rischi relativi all’uso dell’uranio. Purtroppo, come ho già detto, quando si verificò il

primo caso sospetto in Bosnia (Salvatore Vacca) venne negato addirittura che in Bosnia fosse stato impiegato l’uranio impoverito.

- Leggo qui, su un comunicato Ansa del 5 febbraio 2002, che a un certo punto si è creduto che i decessi per leucemia dei soldati inviati nei Balcani fossero causati da

alcune “vaccinazioni selvagge”, invece che dall’uranio. Per un certo periodo si e’

parlato del vaccino-killer Neotyf, come causa scatenante della malattia. E questo un

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reale problema o, piuttosto, un modo per distogliere l’attenzione dall’uranio

impoverito? Intanto, se la causa di quanto è accaduto è da attribuirsi ai vaccini, è ovvio che ci

siano delle responsabilità gravissime da parte di chi ha autorizzato l’uso di questi vaccini senza adeguate verifiche preventive. E’ risultato che in molti casi i vaccini sono stati iniettati in forma massiccia anziché

secondo una ponderata distribuzione nel tempo. Questo comporta due questioni. Innanzi tutto l’indebolimento delle difese immunitarie dei soldati sottoposti ad un

dosaggio in un’unica soluzione e poi l’eventuale pericolosità intrinseca del vaccino. C’è peraltro da osservare che si sono ammalati anche civili e militari nei poligoni ai quali non era stato somministrato alcun vaccino previsto per il personale che si reca

all’estero. È deplorevole sia l’uso sconsiderato di un medicinale, sia il fatto che il problema,

soprattutto se già esistevano sospetti, sia stato sollevato molto tardi, solo nel 2005 e durante le indagini della Commissione d’Inchiesta. Non risulta, nonostante molte segnalazioni, che siano state effettuate indagini in merito da parte del Ministero della

Salute e che siano stati presi provvedimenti nei riguardi di chi ha trasgredito le modalità di somministrazione previste. [12]

- C’e poi il dibattito francese dell’Istituto St. Denis su maternita e uranio, del tutto

sconosciuto in Italia. E quello sulle malformazioni alla nascita, che esulano propriamente dalle patologie tumorali. Agli atti del Parlamento c’e l’audizione del 20

aprile 2004 del Generale medico Michele Donvito. In quell’occasione l’on Pisa (DS) e il Gen. Angioni hanno accennato al fatto che al personale militare fossero state fatte

alcune raccomandazioni affinché’ non mettesse al mondo figli per almeno tre anni dopo il rientro dalle missioni. Tuttavia questo problema, cosi come quello delle malattie neurologiche, non viene mai menzionato.

Si sono verificati casi di nascita di bambini malformati. E ciò anche tra i civili in zone incluse nei poligoni di tiro. Ad esempio, ad Escalaplano, un paese dell’area del

poligono di Salto di Quirra. Le problematiche delle malformazioni alla nascita non sono state prese nemmeno in considerazione dalla Commissione Mandelli e sono state escluse addirittura nel

mandato. Non è stata neppure invitata ad indagare in merito, pur essendo noto ciò che era successo nella Guerra del Golfo per i reduci USA e per tanti cittadini iracheni.

E pur essendo i rischi di malformazioni alla nascita presi in considerazione come possibili effetti dalla contaminazione da uranio impoverito nelle “Norme di protezione” emanate il 22 novembre 1999 dalla Forza Multilaterale nei Balcani a firma del Col.

Osvaldo Bizzari. Comunque, queste disposizioni sono arrivate con grande ritardo. I militari USA si erano preoccupati della questione subito dopo la guerra del Golfo. E i

militari francesi avevano emanato questa disposizione anni prima. Inoltre, bisognerebbe sapere molto di più circa la quantità e la qualità delle informazioni che al

riguardo sono effettivamente arrivate ai nostri militari. - Secondo il Min. Martino e il Ministero della Difesa, l’uranio impoverito ha trovato e

trova impiego presso alcuni paesi nella produzione di munizionamento anticarro, ma l’Italia non ha mai usato l‘uranio impoverito e non ha alcun interesse a farlo.

Secondo la relazione del Ministro, i nostri militari impiegati all’estero non corrono nessun pericolo riguardo all’uranio impoverito, non lo usano loro e non lo usano militari di altri paesi che collaborano con loro. Quest’ultima affermazione è a dir poco

sorprendente. Se le armi all’uranio non sono state usate da Paesi che collaborano con le nostre Forze Armate, c’è allora da chiedersi se, ad esempio, USA e Gran Bretagna

che impiegano armi all’uranio non siano da considerarsi Paesi che collaborano con noi!

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Peraltro, se fosse vero che l’uranio impoverito non presenta alcuna pericolosità, coloro

che hanno emanato le norme di protezione le avrebbero emanate sconsideratamente, diffondendo notizie false e tendenziose ai nostri militari.

Quanto al fatto che l’uranio, com’è stato detto, sia impiegato solo nelle armi anticarro, questo non è esatto. Infatti l’uranio è impiegato anche nei missili da crociera (con barre di stabilizzazione da 300 Kg). Non a caso i missili da crociera Tomawak sono

espressamente menzionati nelle norme di sicurezza emanate dalla KFOR il 22 novembre 1999.

L’uranio impoverito è usato anche nelle bombe di profondità, quelle che servono a distruggere i bunker sotto terra. Quanto all’impiego da parte dell’Italia di armi all’uranio impoverito, c’è comunque da

osservare che questo impiego è necessario per testare la resistenza alla penetrazione nei riguardi delle corazzature dei mezzi blindati e delle strutture protettive.

Quale grado di sicurezza per il personale avrebbero i nostri carri armati se le corazzature non fossero testate nei riguardi delle armi di maggior capacità penetrativa da cui possono essere colpiti? E se l’Italia non usa armi all’uranio impoverito, allora chi

effettua tali tests? Del resto, nella scorsa legislatura, si sviluppò un’ampia polemica in merito ad un lotto

di armi (IMI 1.1.1985) all’uranio che si disse l’Italia avesse acquistato da Israele e poi inviato in Somalia. Di ritorno dalla Somalia sarebbero state stoccate in vari depositi

tra cui quello delle “Casermette” a Bibbona (Cecina). Gli addetti a quel deposito protestarono perchè dovendo ripulire le armi, in quanto leggermente ossidate, avevano espresso timori per la loro salute chiedendo

l’intervento della struttura sanitaria locale. Alle interrogazioni parlamentari del Sen. Russo Spena e dell’On. Ballaman fu risposto

negativamente, così come del resto negativamente era stato risposto riguardo la presenza di uranio impoverito in Bosnia. Per l’uranio impoverito in seguito risultò che era ben presente in Bosnia oltrechè in Kossovo. [13]

- Ora i nostri soldati sono in Iraq. Come sono messi?

Per quanto riguarda il personale attualmente impiegato in Iraq è assai discutibile l’affermazione del Ministero della Difesa secondo cui questo personale non corre alcun pericolo.

Purtroppo una simile affermazione è stata fatta anche per coloro che per sei anni (dal 1993, in Somalia prima e in Bosnia poi) non hanno adottato misure di sicurezza.

Tra l’altro non sembra che in Afghanistan e in Iraq si stiano facendo applicare correttamente le misure di protezione ai nostri militari. Infatti, come milioni di italiani hanno potuto constatare dai filmati televisivi che

mostrano i nostri militari impegnati in operazioni di pattugliamento in quelle zone, in vicinanza di obiettivi distrutti, non vi è alcuno che adotti misure di protezione, come

maschere e occhiali. Ad ogni modo è importante, oggi, conoscere esattamente le coordinate geografiche degli obiettivi colpiti sia dalle forze inglesi (gli inglesi sembra abbiano comunicato i

dati relativi) e da quelle USA. Sappiamo che, da quanto ha recentemente dichiarato il Commissario

dell’UNEP, il Finlandese Pekka Haavisto, per ciò che riguarda i bombardamenti inglesi in quella zona sono state sganciate circa due tonnellate di armi ad uranio impoverito. Non sappiamo, invece, quante tonnellate ne abbiano sganciato gli USA, anche se nella

relazione ministeriale dell’Aprile 2005 (pag. 6) si legge che i dati sarebbero stati comunicati all’ Ambasciata italiana a Washington il 23 settembre 2004.

Tra l’altro, c’è da osservare che prima di inviare i nostri reparti nei luoghi bombardati da forze inglesi ed USA, avremmo dovuto chiedere ed ottenere le mappe con le

indicazioni degli obiettivi colpiti, il che purtroppo non è stato fatto!

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Un fatto è certo, dall’Iraq è tornato il maresciallo elicotterista Giovanni Pilloni malato

di un tumore agli organi genitali. Anche se non può dirsi se l’origine del tumore sia collegabile alla presenza in Iraq oppure a missioni precedenti. [14]

- Dunque, quali sono i teatri operativi nei quali sono stati impiegati reparti italiani e dove si puo’ affermare sia stato usato l’uranio impoverito?

Innanzi tutto la Guerra del Golfo nel 1991. Poi la Somalia nel 1993, i Balcani (Serbia, Bosnia, Kosovo) dal 1994, l’Afghanistan e, infine, l’Iraq. Bisogna dire, però, che anche

i militari che operano in zone confinanti con queste possono essere esposti. Ad esempio, per quanto riguarda i Balcani, andrebbero presi in considerazione anche i territori dell’Albania e della Macedonia.

- Pero, fino al 2000 il Ministero della Difesa ha negato l’uso da parte degli alleati di

armi all’uranio in Bosnia. In Bosnia furono usati proiettili all’uranio impoverito nell’operazione “Deliberate Force” del 1995. L’allora Ministro della Difesa pro tempore, On. Mattarella negò, in risposta

ad un’interrogazione del Sen. Giovanni Russo Spena relativo al caso di Salvatore Vacca, tornato ammalato dalla Bosnia, che armi all’uranio fossero state usate in quel

paese. Ma in seguito risultò che in Bosnia erano stati sparati almeno 10.000 proiettili all’uranio impoverito. Per non parlare dei missili da crociera.

C’è da osservare in merito che dell’esistenza di tali proiettili le nostre squadre NBC (che in altra parte della relazione ministeriale si afferma che garantiscono la protezione ai soldati) non si erano accorte! In proposito c’è da chiedersi quali garanzie

queste operazioni delle squadre NBC assicurano nei riguardi della localizzazione delle armi all’uranio impoverito! Per alcune apparecchiature la striscia esplorata è di 10 cm,

cioè praticamente insignificante, e occorre avanzare a passo d’uomo. C’è da osservare, inoltre, che gli aerei che avevano lanciato i proiettili erano partiti nella grande maggioranza dei casi dalla base di Aviano, base al comando di un

colonnello dell’Aeronautica Italiana. Negli ordini di operazione e nei rapporti di volo relativi alle missioni compiute (ordini e

rapporti che erano ovviamente a conoscenza del Comando) sono contenute tutte le indicazioni circa l’uso delle armi da impiegare e impiegate. Nei rapporti di volo il pilota deve, infatti, precisare quante e quali armi sono state

usate e le coordinate temporali e spaziali degli obiettivi colpiti. Quindi la base di Aviano era perfettamente al corrente, fin dalle prime missioni del 1995, dell’uso di

queste armi, uso che invece il Ministero ignorava. - Lei si e molto battuto per far riconoscere anche la Somalia come teatro in cui e’ stato

utilizzato l’uranio impoverito. Tuttavia sembra che questo sia un teatro dimenticato e che l’attenzione sia rivolta solo ai Balcani.

Beh, le Norme USA per la “Restore Hope” (1993) indicavano ai soldati le precauzioni da prendere. Questa può essere una prova indiretta dell’impiego di armi all’uranio. I nostri reduci hanno raccontato come sembrassero dei marziani i soldati USA che

vestivano tute protettive e maschere sotto il sole somalo. [15] Ho, inoltre, già accennato al caso del deposito di Bibbona.

Ci sono poi numerosi sospetti per la morte di militari che hanno operato in Somalia. - Lei si e spesso trovato in polemica con il Maresciallo Domenico Leggiero,

responsabile nazionale del settore Forze Armate dell’Osservatorio Militare. Soprattutto siete in contrasto proprio per ciò che riguarda la Somalia. Infatti, Leggiero ha sempre

negato che vi fossero state usate armi all’Uranio. Sono principalmente due i motivi di disaccordo.

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Il primo è la tesi che il Maresciallo Leggiero sostiene, sintetizzata in un comunicato

dell’AGI del 24 febbraio 2002 dal titolo: ‘Osservatorio: militari morti per vaccini non per uranio’.

È una tesi che non ritengo valida perchè la questione della pericolosità dell’uranio riguarda molte centinaia di civili abitanti nei luoghi colpiti, che certamente non avevano ricevuto vaccinazioni. E riguarda anche militari e civili in Italia che non hanno

ricevuto le vaccinazioni previste per chi si reca all’estero. La seconda tesi che non ho condiviso riguarda quanto il Maresciallo affermò circa il

non uso dell’uranio impoverito in Somalia. Infatti, si può leggere sul quotidiano “L’Adige” di Verona del 2 febbraio 2001, in un articolo dal titolo ‘Maresciallo morto. L’uranio non c’entra’, che il Mar. Leggiero

dichiarò “Non ci sono nessi e collegamenti tra la sua morte e l’uranio impoverito e chiunque sostiene il contrario fa disinformazione” in rapporto al sospetto avanzato

dalla vedova del Maresciallo Umberto Pizzamiglio che il marito si fosse ammalato e fosse poi deceduto per possibile contaminazione da uranio impoverito.

- Recentemente e stato pubblicato il libro di Leggiero dal titolo “Uranio, storia di

un’Italia impoverita. A pagina 21 riporta un’intervista reperita da Internet dove si dichiara accertabile l’uso di armi all’uranio impoverito in Somalia. Seppur

indirettamente, questa puo’ definirsi un’ammissione? A quanto pare sì. Mi pare abbia successivamente cambiato opinione sia sull’uso dell’uranio in Somalia,

sia sul problema dei vaccini.

- Torniamo a casa nostra, parliamo del problema dei poligoni sardi. Nei poligoni di tiro di Salto di Quirra ci sono stati casi di patologie tumorali e di nascite anomale tra gli abitanti della zona. Ma forse non riguarda solo casa nostra, perchè problemi simili si

sono creati anche all’estero, ad esempio nel poligono portoricano di Vieques. È vero. La cosa particolare che riguarda quel poligono è che a rendere pubblico il

problema fu il cantante Ricky Martin, appoggiando le voci su una connessione tra l’aumento dei tumori nella zona e le sperimentazioni sulle munizioni della marina militare americana.

Ma anche in Scozia, come si legge sul “Sunday Herald” del 4 aprile 1999, si sospetta che nel poligono di Dundrennan vengano studiate armi all’uranio, causa di casi di

leucemia. Per quanto riguarda le patologie che si sono verificate nelle zone del poligono di Salto di Quirra, sembra che si voglia addebitarne la responsabilità ad una vecchia miniera di

arsenico! C’è qualcosa di comico in tutto questo.

Infermità si sono verificate anche nelle zone del poligono di Teulada e in quello di Capo Frasca, ma in vicinanza di questi poligoni non ci sono delle vecchie miniere di

arsenico! E ciò a prescindere dal fatto che la dipendenza dall’arsenico dei tumori del sistema emolinfatico non credo sia provata da alcun trattato medico.

- Ma come si legano questi fatti all’uranio impoverito?

Nei poligoni di tiro si testano le armi. È lecito pensare che tra queste ve ne siano anche all’uranio impoverito. Questo pone una questione su cui spesso si tace, ossia quella delle “zone non

bonificabili”. Quando in un poligono si genera un enorme accumulo di residui di proiettili e oggetti

distrutti si viene a determinare un’area non bonificabile. Questo terreno diventa inaccessibile. Negli Stati Uniti sono stati costituiti dei “santuari”, zone che per legge

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debbono considerarsi come escluse dal territorio nazionale e sono considerate zone di

sacrificio nazionale. Ovviamente le operazioni sono sottoposte al segreto. Per avere un minimo di

trasparenza sarebbe necessario desegretare tutto ciò che si riferisce alle sperimentazioni nei poligoni: rendere note le posizioni dei bombardamenti, le persone che hanno partecipato alle operazioni, le zone di raccolta materiali, i bandi

internazionali di uso delle armi all’uranio impoverito, le procedure di verifica, ecc…

- Il Ministero della Difesa, nella stessa audizione alla Commissione d’Inchiesta, sostiene che nei poligoni italiani non e permesso ne autorizzato l’impiego di munizionamento speciale nel cui ambito e compreso quello dell’uranio impoverito.

Inoltre, afferma che“la Difesa ha sempre operato con la massima trasparenza e

disponibilità per fugare ogni dubbio, dimostrando come peraltro sempre sostenuto, che presso tale poligono (Salto di Quirra) non sono mai stati utilizzati proiettili

all’uranio impoverito”.

In poligoni come quello di Teulada si effettua il tiro contro costa, non solo da parte di

navi italiane ma anche di navi straniere. E ovviamente le navi straniere e italiane sperimentano le armi che hanno in dotazione e non altre. E paesi come gli USA,

l’Inghilterra, la Francia hanno in dotazione armi all’uranio impoverito. E’ da tener presente che i proiettili navali usati nel tiro contro costa raggiungono un diametro di 30 cm e oltre, ben superiore cioè a quello dei proiettili anticarro che è

poco più di 1 cm. Quindi si pongono problemi particolarmente gravi per l’inquinamento.

Circa l’uso di uranio nei poligoni stranieri si legge a pag. 11 della Relazione ministeriale dell’Aprile 2005 che in Germania è stato riscontrato l’uso di munizioni DU

presso i poligoni alleati. Ciò d’altra parte è ovvio, perché l’armamento USA come quello inglese e francese è largamente composto di armi di uranio impoverito. Si rileva, in primo luogo, che il fatto che non sia “previsto” né “autorizzato” il

munizionamento speciale (nel cui ambito è compreso quello all’uranio impoverito) sta evidentemente a dimostrare che il Ministero della Difesa ritiene tale impiego

pericoloso. L’Uranio impoverito ha maggiore efficacia di quello tradizionale al tungsteno e costa di meno, e quindi il suo impiego è vantaggioso. Infatti, per ciò che riguarda il punto di

vista dell’efficacia, l’armamento all’uranio. [16] Quindi solo il rischio che è connesso al suo impiego può consigliare di non utilizzarlo.

A prescindere da ciò, non risulta che siano stati emanati bandi internazionali che facciano divieto a forze armate straniere o ditte straniere di usare tali armamenti nelle loro sperimentazioni. E’ bene tener presente, in proposito, che le sperimentazioni che

si eseguono nei poligoni si riferiscono alle armi in uso (o in fase di progettazione soprattutto quelle sperimentate dalle ditte) e le armi in uso presso moltissimi paesi

sono, appunto, quelle all’uranio. Se tali bandi esistono devono, ovviamente, essere fatti conoscere. Anzi, avrebbero dovuto essere resi noti, nel momento in cui sono stati emessi, alle autorità civili

(Regione, Provincia, Comune) relative al territorio interessato. Ma finora non sono mai stati resi noti.

Nel caso che esistano, deve anche essere specificato se tali bandi si riferiscono, oltre che alle sperimentazioni effettuate da enti militari, anche alle sperimentazioni effettuate da ditte civili. Deve anche essere specificato quali sarebbero le sanzioni da

applicare nei riguardi di chi trasgredisce i bandi stessi, altrimenti i bandi sono privi di effetto.

In mancanza di questo, dire che “non è previsto” né “autorizzato” l’uso di armi all’uranio impoverito, significa pressoché niente. [17]

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Se le cose stanno così, non sembra del tutto improprio nutrire dei dubbi sull’uso

dell’uranio impoverito nei nostri poligoni. Tra l’altro, come si è fatto cenno, nei poligoni non si svolgono solo operazioni militari (e quindi sotto il controllo delle

autorità militari), ma si svolgono anche sperimentazioni di ditte civili. Sperimentazioni che sfuggono, in larga parte, al controllo militare. Basti pensare, ad esempio, che nella base di S. Lorenzo, nel poligono di Salto di Quirra, hanno operato stranieri e in

particolare paesi non appartenenti alla NATO (tra l’altro anche Paesi che qualcuno ha chiamato “Paesi canaglia”) come la Libia e l’Iraq.

Nel Poligono di Salto di Quirra opera una ditta come la Vitrociset, attualmente presieduta da un ex capo di Stato Maggiore della Difesa. Ciò ripropone la problematica del “complesso militare-industriale”, cioè il passaggio di

alte cariche militari nell’ambito industriale degli armamenti e dei rapporti tra apparato militare ed industria bellica. [18]

Se nei poligoni venissero sperimentate armi più obsolete rispetto a quelle all’uranio impoverito, c’è da chiedersi a cosa servirebbe la sperimentazione. Visto che, ovviamente, chi esegue le sperimentazioni nel poligono le esegue per

ricavare dati sull’efficacia e sul possibile futuro impiego delle armi in dotazione, non delle armi che non vengono impiegate.

I nostri carri armati e blindati debbono essere “testati”, per quanto concerne la loro resistenza nei riguardi dei proiettili del tipo più perforante da cui possono venir colpiti

e cioè quelli all’uranio impoverito. Dunque c’è la necessità, anche da parte italiana di usare, almeno a questo scopo, armi all’uranio impoverito nei poligoni, là dove si eseguono test delle nostre attrezzature.

Se non lo si facesse per i carri armati e i blindati, così come per altri sistemi protettivi, non si avrebbe la conoscenza della loro resistenza nei riguardi di armi che potrebbero

essere usate contro di loro nei teatri operativi da parte di quei paesi che hanno in dotazione le armi all’uranio impoverito. E questa si configurerebbe come una gravissima negligenza per quanto riguarda la sicurezza dei militari che operano con

quei mezzi.

- Questi tests si legano al problema dell’inquinamento del terreno nei poligoni. Secondo la Difesa, nel poligono di Salto di Quirra non e individuabile alcuna traccia di uranio che non abbia un’origine diversa da quella naturale. Si afferma che nel marzo

2002 vennero effettuate alcune misurazioni di campionature del terreno del poligono alla presenza degli organi di stampa. Queste consentirono di rilevare che i valori di

radioattivita nelle aree controllate erano nella norma. Tali controlli diedero, peraltro, la possibilita di riscontrare la presenza di altri metalli pesanti dovuta verosimilmente alle attivita minerarie preesistenti nella zona. Pertanto, venne deciso di procedere

all’effettuazione di una mappatura a tappeto del poligono, estendendo l’analisi anche al territorio circostante, con il prelievo di un significativo numero di campioni; cio’ con

l’obiettivo di costituire una banca dati finalizzata alla predisposizione di un piano di controllo ambientale sistematico. A questo scopo, la Difesa ha commissionato all’Universita degli Studi di Siena uno studio per stabilire lo stato dell’ambiente della

zona del poligono di Salto di Quirra, il cui responsabile scientifico era il Prof. Riccobono. L’ateneo senese ha reso disponili i risultati degli studi svolti relativi ad oltre

1.500 campioni. Lo studio ha rilevato che, in alcune zone al di fuori del poligono, interessate da attività minerarie pregresse, le concentrazioni di alcuni elementi tossici nei fanghi di miniera raggiungono valori molto superiori ai limiti accettabili. L’intera

area e’ stata di interesse minerario e, al di fuori del perimetro del poligono, in localita Baccu, e’ presente una ex miniera, gestita dalla Società Rumianca dal 1938 al 1965,

anno della sua dismissione. Tali materiali - estremamente inquinati da elementi tossici, soprattutto arsenico – sono al momento oggetto dell’erosione fluviale e

dell’azione del vento che li ridistribuiscono continuamente su piu vaste superfici,

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propagando questa anomalia geochimica artificiale fino al mare. I risultati dello studio

sono stati resi noti alle competenti autorità istituzionali e al Presidente della Regione Sardegna e sono inoltre consultabili sul sito Internet del Ministero della Difesa. Cosa

puo’ dirci in proposito? Queste indagini (le cui modalità avrebbero dovuto, in base alle vigenti consuetudini scientifiche, essere rese note in tutti i dettagli al pubblico e agli studiosi in modo da

poterne verificare la idoneità) non avrebbero dovuto essere state eseguite in “punti a casaccio”, ma nei punti colpiti dalle armi.

Dato che, per necessità di valutazione dei risultati, nei poligoni si conoscono le coordinate dei punti d’impatto nel terreno, relativi alle armi che sono state usate. Questi dati figurano anche nei documenti relativi alle sperimentazioni delle ditte civili.

L’inquinamento è causato non solo dai proiettili che penetrano nel terreno, ma anche dagli obiettivi distrutti, come carri armati, case distrutte, casematte, ecc., dove si

accumula il “particolato”, ossia una polvere sottilissima prodotta dalle esplosioni. Inoltre, i prelievi avrebbero dovuto essere stati effettuati nei punti in cui vengono messe in atto le cosiddette “operazioni Vulcano”, cioè quelle operazioni che consistono

nel raccogliere in determinati luoghi (crateri) un grande quantitativo di residui di armi facendole poi esplodere tutte in una volta (brillamento).

Un filmato di Rai News 24 mostra come questo tipo di operazioni veniva svolto in Bosnia. In particolare mostra come un gran numero di soldati, a mani nude,

raccogliesse residui di proiettili portandoli poi nel “cratere”. Il filmato mostra anche l’effetto della esplosione che crea un “fungo” di fumo dell’altezza di molte centinaia di metri, “fungo” che poi si deposita nel terreno. [19]

Riguardo a queste operazioni “Vulcano” effettuate nei poligoni e ai rischi che comportano sono state presentate, in passato, anche interrogazioni parlamentari

(peraltro senza alcun esito), sottolineando la loro nocività. In secondo luogo, in un poligono come Salto di Quirra, che si estende per circa 13.000 ettari in terra (e più del doppio in mare), non erano certamente sufficienti i “tre”

secchielli di terra prelevati la prima volta dal Prof. Riccobono dell’Università di Siena. Uno di questi rilievi venne fatto presso il ristorante dove l’equipe aveva pranzato.

Nessun commento! [20] Nè sono sufficienti i 1.500 campioni che si afferma siano stati prelevati una seconda volta, non si sa con quali criteri di scelta dei luoghi. Dato che, come ho detto, per ogni

sperimentazione esiste un rapporto, si sarebbero dovuti innanzi tutto individuare i punti di caduta delle armi segnati negli stessi rapporti.

Questa operazione di prelievo avrebbe, tra l’altro, dovuto essere sottoposta a controllo degli enti civili affinché potesse avere un minimo di credibilità. Inoltre tenendo conto che il raggio di inquinamento nel terreno coinvolto da un

proiettile del tipo anticarro (visto che è solo di questi proiettili che sembra ci si preoccupi) è di circa 10-15 cm, pare ovvio che almeno un prelievo per ettaro fosse un

minimo assoluto (necessario anche se non sufficiente). Il che porterebbe il numero dei prelievi occorrenti ad almeno 13.000 per la parte terrestre del poligono. Dunque, ben scarsa validità (a parte il fatto sopra accennato che non sono state rese

note le modalità con cui è stata effettuata l’analisi), può essere attribuita alle sperimentazioni eseguite.

Inoltre, a una richiesta rivolta alle Autorità del poligono di Salto di Quirra di rendere nota l’attività effettuata nel poligono stesso (e qui ci si riferisce solo all’ambito militare) fu risposto che era disponibile solo la documentazione degli ultimi 10 anni.

Precisamente il Sottosegretario alla Difesa Salvatore Cicu affermò, in una conferenza stampa del 7 marzo 2002, che non era possibile dire se fossero stati sparati a Quirra

proiettili all’uranio impoverito prima del 1992, perché mancava la documentazione. Purtroppo il Sottosegretario non ci ha detto perchè questa documentazione manca e

se qualcuno abbia dato ordine di distruggerla.

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Ma l’esigenza di ricavare dati sulla pericolosità dell’uranio risale a tempi molto

precedenti, giacché le prime sperimentazioni note sono quelle eseguite in Australia nei primi anni ’50. Ma soprattutto le sperimentazioni ebbero uno sviluppo dagli anni ’70 in

poi. Dunque un periodo molto antecedente a quello degli ultimi 10 anni. Il personale che è stato impiegato nella raccolta dei residui di proiettili o materiale colpito ha operato a mani nude, mentre era ben noto che il maneggio dell’uranio a

mani nude era pericoloso, come fu comunicato ufficialmente all’Italia dalla NATO fin dal 1984.

Occorre perciò che sia messa a disposizione tutta la documentazione riguardante la condotta di operazioni nei poligoni. In particolare debbono essere messe a disposizione le mappe dettagliate dei punti

colpiti nelle sperimentazioni e le posizioni delle “fosse” e “gallerie” utilizzate, nonché le direttive impartite al personale.

Di particolare rilevanza ai fini dell’inquinamento sono naturalmente quelle armi (missili da crociera, proiettili per il tiro contro-costa, bombe di profondità) dotate di quantità di uranio di gran lunga superiore a quelle dei proiettili anticarro. Infatti, mentre un

proiettile anticarro contiene qualche grammo di uranio impoverito, i proiettili navali impiegati nel tiro contro-costa ne contengono ben di più. Ma tali armi non vengono

neppure menzionate nelle varie relazioni, quasi che non siano in uso. [21]

- Veniamo ora alle molto discusse “Relazioni Mandelli”.

Sono state pubblicate tre relazioni: la prima il 19.03.2001, la seconda il 20.05.2001 e

la terza l’11.06.2002. Di tutte sono state piu volte messe in evidenza le manchevolezze ed errori. Potrebbe dirci quali sono?

Innanzi tutto vi sono state delle carenze nel mandato ricevuto dalla Commissione Mandelli. Poi delle imprecisioni nella raccolta dati, nella scelta del campione, nel calcolo del numero dei soggetti a rischio e, dunque, errori statistici.

Senza scendere nei particolari, altro grave errore che si riferisce alla prima relazione Mandelli, riguarda il fatto che venne adottata la distribuzione di Gauss al posto di

quella di Poisson. Questo è un errore sul modello di distribuzione delle probabilità. Inoltre, non sono stati presi in considerazione il pericolo chimico, i problemi neurologici o le malformazioni alla nascita.

- Cosa intende per “carenze nel mandato ricevuto”?

Il mandato ricevuto da parte del Ministero della Difesa in data 22 dicembre 2000

recita al primo comma “Viste le informazioni emerse circa i casi di patologie tumorali di varia natura che hanno interessato personale militare impiegato in missioni operative nei Balcani…” e nell’art. 1 si citano nuovamente i “militari che hanno svolto

attività operativa nei Balcani”. E invece le relazioni Mandelli hanno preso in considerazione solo il personale che ha

operato nella Bosnia e nel Kossovo. Nonostante, ad esempio, si sia trovato un inquinamento del suolo molto rilevante in Serbia. Mancano i casi verificatisi in Albania e Macedonia (ad esempio ci sono noti i casi Melis,

Grimaldi e Meloni), e in altri paesi come gli Emirati Arabi durante la Guerra del Golfo del ‘91, la Somalia del 1993/94 e anche altre aree operative come i poligoni.

- Esistevano le condizioni per uno studio epidemiologico, quale e nella fattispecie quello della commissione Mandelli?

Si legge a pag. 14 della Relazione ministeriale dell’aprile 2005 che “la Commissione ha prodotto effettivamente una valutazione epidemiologica retrospettiva verificando le

incidenze delle sole neoplasie maligne (e non di malformazioni genetiche nella prole)

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tra i militari impiegati in Bosnia e Kossovo, e confrontando il dato con i dati omologati

nazionali nel settore militare”. Ma alla Commissione Mandelli non poteva essere commissionato un appropriato studio

di natura epidemiologica perché uno studio di questo genere non può essere incominciato se non dopo che il fenomeno da esaminare sia da considerarsi concluso. Altrimenti rischia di essere incompleto e contraddetto da eventuali dati che emergono

successivamente. E, in base a queste considerazioni, ritengo che la Commissione Mandelli non avrebbe

dovuto accettare l’incarico perché non esistevano le premesse per dar corso ad uno studio epidemiologico degno di tale nome. La Relazione, invece, è stata iniziata e conclusa mentre il fenomeno era in pieno

sviluppo. Teniamo anche presente che alcune “incubazioni” da tumore hanno una durata che va fino a 20 anni. I casi emersi dopo l’inizio dei lavori della Commissione

sono almeno altrettanti se non di più di quelli che erano stati presi in considerazione. - Sono state fatte delle adeguate sperimentazioni?

Nel lavoro della Commissione Mandelli è completamente mancata una componente di sperimentazione in “corpore vili”, cioè una sperimentazione che doveva e poteva

essere eseguita con le ovvie cautele previste. [22] Si tratta di sperimentazioni di armi all’uranio contro vari obiettivi (carri armati,

strutture protettive, ecc.) e dell’analisi dei possibili effetti di nocività prodotti. Non si capisce perché questa problematica non sia stata neppure presa in considerazione. Si tratta di una questione che è stata fatta anche rilevare dal prof. E.

Lodi Rizzini dell’università di Brescia e che lavora anche presso il CERM di Ginevra. In un’intervista sul “Corriere della Sera” del 21 marzo 2001 afferma “Quello di Franco

Mandelli è solamente un lavoro statistico che non chiarisce nulla. In realtà avrebbero dovuto far esplodere 15 o 20 dei proiettili sotto accusa e quindi osservare gli effetti…” … “Perché sono stati interpellati oncologi e ematologi e non scienziati nucleari?” … “Io

poi vorrei vedere se Mandelli è davvero convinto delle conclusioni del suo rapporto” … “Non credo che dopo l’esplosione di un proiettile ad uranio impoverito andrebbe a

raccogliere i frammenti a mani nude senza alcuna protezione”. Altra questione riguarda la strumentazione usata per il controllo dell’inquinamento del terreno. Nella relazione del Ministero Difesa del 5 aprile 2005 si parla dei nuclei NBC e

dell’opera di individuazione di armi all’uranio impoverito che è stata effettuata a protezione preventiva del personale.

Come si è detto altrove, nonostante che in Bosnia siano stati sparati almeno 10.000 proiettili, non risulta che vi siano stati riscontri da parte dei nuclei NBC, dato che il Ministro della Difesa pro tempore, On. Mattarella, dichiarò che in Bosnia l’uranio non era stato impiegato. [23]

Forse questo fatto dipende anche dal particolare che, come si legge in un documento

ufficiale “L’intensimetro RA141B, attualmente in dotazione alle Unità NBC per la rivelazione della contaminazione radioattiva, data la sua limitata sensibilità dovuta a

specifiche tecniche studiate per uno scenario operativo caratterizzato dall’impiego di ordigni nucleari, consente di rivelare esclusivamente pezzi consistenti di DU con misure effettuate a distanza minore di 10 centimetri”. [24]

Pensiamo, ad esempio, a quanti anni sarebbero necessari per ispezionare, con fasce di 10 cm di ampiezza e procedendo a passo d’uomo, l’area di un poligono come quella di

Salto di Quirra di circa 130 Kmq (8). - Quali sono le insufficienze nella raccolta dei dati?

Recentemente all’Associazione ANAVAFAF sono stati resi noti due casi di patologie tumorali tra i militari che avevano partecipato alla Guerra del Golfo, cioè operazioni

risalenti a circa 13 anni fa.

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Però, in queste relazioni, non sono stati presi in considerazione i casi sospetti

verificatisi dopo la prima guerra del Golfo, dopo la Restore Hope in Somalia e in zone limitrofe al Kossovo come l’Albania e la Macedonia e inoltre nei poligoni.

Per limitarsi a casi apparsi sulla stampa (e quindi non incomunicabili per motivi di privacy), ad esempio, questa Associazione ha registrato i seguenti casi: 1) nel Golfo Persico (Ceccarini, Boscaino, Del Vecchio, Maramarco);

2) in Somalia (Diana, Marica, Pizzamiglio, D’Alicandro, Marini); 3) in Albania e Macedonia (Grimaldi, Melis, Meloni);

4) nei poligoni (Garofalo, Buonincontro, Pintus, Cappellano, Serra, Faedda, Cardia, Falzarone, Medda). Peraltro prima che i lavori della Commissione Mandelli potessero avere inizio,

occorreva che fosse svolta tutta una serie di analisi preliminari, per dir così “a monte” dello studio, che invece non hanno avuto luogo. Tra queste, quella che riguarda la

raccolta e la valutazione dei dati di partenza. Innanzi tutto esiste il problema dei dati forniti alla commissione dagli organi della Difesa. Ho chiesto più volte, anche ai sensi della legge 241/90, al Ministero della

Difesa ai Capi di Stato Maggiore di conoscere il nome del responsabile per l’invio di questi dati alla Commissione, senza avere alcuna risposta.

Ad esempio, è mancata la raccolta dei dati dei bombardamenti effettuati sulla Bosnia da parte di aerei della base ad Aviano individuando in base ai rapporti di volo le

coordinate geografiche dei punti colpiti e la natura degli eventuali obiettivi, la qualità e quantità di armi che erano state impiegate, le date in cui le operazioni erano state effettuate. Doveva così essere costruita la mappa degli obiettivi colpiti.

Occorreva stabilire dove e quando erano stati dislocati i nostri reparti rispetto a questi obiettivi colpiti e stabilire, dunque, la loro distanza dagli obiettivi nelle varie fasi di

impiego. Inoltre, occorreva stabilire quando e per quanto tempo detti reparti avevano sostato nella zona inquinata.

Infatti non è certo la stessa cosa per una persona trovarsi a 10 metri di distanza rispetto ad un carro armato distrutto o ad una casa bombardata, oppure trovarsi a 10

Km! Così come non è la stessa cosa per una persona trovarsi sul luogo al momento del bombardamento di un obiettivo, oppure trovarvisi dopo un mese o un anno!

E così non è la stessa cosa trovarsi a Sarajevo all’atto di un bombardamento in quella zona oppure trovarsi a Bania Luca che è dalla parte opposta della Bosnia.

Considerare chi si trova a Bania Luca nelle stesse condizioni di rischio rispetto a chi si trova a Sarajevo è, evidentemente, un errore grossolano. [25] Per quanto riguarda i criteri per un’accurata raccolta dei dati possiamo, per esempio,

riferirci alle disposizioni che sono state impartite dal Ministero dell’Ambiente nel Foglio “Armi ad uranio impoverito. Effetti e precauzioni” del 25.05.2000 dove si segnala che

“Al riguardo è necessario che il Comando Responsabile dell’area di operazioni richieda, alle autorità militari competenti, l’elenco dettagliato delle località nelle quali sono stati utilizzati proiettili al DU e le tipologie dei proiettili stessi, fornendo tali informazioni al

Comando dell’Unità incaricata dell’effettuazione della rivelazione di controllo”. E certamente la Commissione Mandelli non si è potuta avvalere di tali mappe (e per la

Bosnia non risulta, almeno a questa Associazione, che esistano mappe neppure oggi). Altrettanto grave l’errore di considerare, ad esempio, a pari rischio tutti coloro che si trovano in Kossovo essendo l’area del Kossovo più colpita quella meridionale, e non

prendere in considerazione, invece, i nostri militari che hanno operato al confine con il Kossovo meridionale in Albania e Macedonia, anche se l’Albania e Macedonia non sono

state bombardate (9).

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Tra i nostri militari, molti sono stati impiegati in operazioni di accompagnamento dei

profughi dal Kossovo verso l’Albania e la Macedonia e quindi hanno operato al confine (a volte pernottando in zona kossovara).

Questi militari, in terra di Albania e Macedonia, si sono trovati certo molto più vicini ai posti bombardati, rispetto ad altri militari operanti nello stesso Kossovo ma più lontani dalle zone bombardate.

Al confine geopolitico del Kossovo non c’è qualche doganiere che impedisca alle particelle di uranio di varcare il confine perché prive di passaporto!

- Dunque c’è stata un’errata valutazione dei rischi? Molto tardivamente, dopo che la Prima Relazione era già stata varata, sembra si sia

manifestato, tra i membri della Commissione, il sospetto che vi fossero stati degli errori circa la presa in esame delle aree colpite e dei soggetti a rischio.

Infatti si legge nella Rivista “Epidemiologia e Prevenzione” del giugno 2001 (anche se la valutazione è abbastanza imprecisa e incompleta) che i professori/autori dell’articolo riconoscono “che occorre prendere in considerazione solo i militari che si

trovano nelle zone bombardate”. Cioè solo quelli ubicati a distanze relativamente brevi, non tutti quelli che si trovano anche a rilevanti distanze dai paesi bombardati.

In altre parole, non si possono prendere in considerazione, nella stessa maniera, i militari che si trovano distanti dalle zone bombardate insieme a quelli che, invece, si

trovano in prossimità di esse. Si legge infatti nel citato articolo “poiché non tutte le aree dove sono stati impiegati i militari sono state bombardate, sempre allo scopo di avere informazioni su eventuali

esposizioni all’uranio impoverito, si sta cercando di differenziare i contingenti impiegati secondo la loro collocazione sul campo”.

Vivaddio! Se ne sono accorti anche loro! Ma purtroppo, queste considerazioni avrebbero dovuto essere state fatte prima che si fosse dato inizio ai lavori della Commissione!

Andava richiesta la storia dell’esposizione dei singoli reparti per individuare dove e quando si trovavano rispetto ai bombardamenti.

Comunque nessuna correzione è stata apportata, nemmeno dopo la redazione della prima relazione. Infatti, sia nella seconda relazione che nella terza sono stati presi in considerazione, in

modo del tutto indiscriminato, circa 43.000 militari, mettendo in un unico calderone, oltrechè persone non protette, anche persone protette, persone a rischio e non a

rischio, persone vicine e persone lontanissime dalle zone bombardate, persone che avevano inalato forti dosi di ossido di uranio e persone che forse non avevano inalato nulla. E tutto ciò non tenendo conto della “distanza temporale” rispetto a quando

erano avvenuti i bombardamenti, cioè persone che si erano trovate in zone bombardate al momento dei bombardamenti e persone che si sono trovate nelle

stesse zone ma anni dopo, come ho già detto. Tra l’altro il problema era stato posto dal Colonnello Guarnieri nel documento relativo alle norme di protezione della Folgore dell’8 Maggio 2000, là dove il Colonnello

definisce chi debba intendersi come “soggetto a rischio”. Quando si parla di “soggetto a rischio”, naturalmente si pone una questione che non

riguarda un dato assoluto ma un dato relativo. Il soggetto può, infatti, trovarsi a rischio altissimo, oppure alto, medio, basso, secondo dei criteri che devono essere preliminarmente specificati. E ciò, dunque, andrebbe ben stabilito, ma nelle relazioni

Mandelli di queste essenziali differenze non si fa il minimo cenno. Ad esempio, la Royal Society britannica ha stabilito tre diversi livelli di rischio:

1) esposizione alta per militari presenti all’interno di veicoli colpiti da proiettili al DU 2) esposizione mediana: militari che hanno operato all’interno o in prossimità di veicoli

già colpiti

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3) esposizione bassa: militari che hanno operato sottovento rispetto all’impiego di

proiettili DU oppure che possono aver soggiornato in siti contaminati a livello di suolo o risospensione in aria.

Come si è detto, ovviamente corre un rischio più alto chi è più vicino ad un obiettivo colpito, chi vi sta più a lungo e chi vi si trova a breve tempo dal momento del bombardamento. L’obiettivo può essere, ad esempio, un carro armato distrutto, una

fortificazione distrutta o una casa danneggiata. Il rischio è, evidentemente, legato alla dose d’inalazione subita. E d’altra parte è

legato anche alla mancata protezione. [26] Per esempio raccogliere a mani nude proiettili è certamente assai rischioso, perché basta una screpolatura nella pelle affinché l’ossido di uranio possa penetrare nel

sangue. E centinaia di proiettili sono stati raccolti a mani nude per portarli presso un cratere e farli poi esplodere tutti insieme, non adottando alcuna misura di protezione.

- Lei ha parlato di un errore “Trilussa” riguardo all’analisi statistica del campione

fatta dalla commissione Mandelli. Potrebbe spiegare cosa intende? Ovviamente, un conto è la “classe’” dei militari che non hanno adottato misure di

protezione (e questo è il caso dei reparti italiani che hanno operato prima del 22 novembre 1999 nella Guerra del Golfo, in Somalia e poi in Bosnia), un conto invece è

la “classe” di coloro che hanno operato adottando le misure di protezione, dopo il 22 novembre 1999. Così come un conto è trovarsi sotto la pioggia provvisti d’impermeabile e di ombrello e

un conto è trovarvisi sprovvisti. Non si possono conteggiare insieme delle classi disomogenee, come ad esempio fichi

secchi e ciliegie… [27] Si tratta, in sostanza, del tipico errore della “tentazione statistica”, denunciato dal poeta Trilussa che diceva, scherzosamente, che non si può mettere assieme chi ha lo

stomaco pieno e chi ha lo stomaco vuoto. Affermava che se c’è un pollo da mangiare e se si è in due e se il pollo se lo mangia solo uno dei due, qualche statistico potrebbe

essere tentato a pensare che il pollo se lo sono mangiato metà per uno, cioè al 50% ciascuno! [28] A questo proposito, un altro grave errore che ritroviamo in tutte e tre le relazioni

Mandelli riguarda il numero dei militari considerati come “esposti” alle radiazioni (a parte il fatto che il pericolo non è soltanto quello radioattivo).

Le relazioni prendono in considerazione all’incirca 40.000 militari dimenticando che almeno 12.000 militari, cioè quelli che hanno operato dopo il 22 novembre 1999, dovevano aver ormai adottato le norme di protezione e quindi non erano da

considerarsi tra quelli a rischio. Ciò vuol dire che, dal totale considerato di 40.000 soggetti ne andrebbero sottratti 12.000 (quasi un terzo), perchè ovviamente vanno

considerati solo i “soggetti a rischio” e non i “soggetti non a rischio”! (10) Altra questione riguarda il fatto che nella relazione avrebbero dovuto essere stati

precisati i soggetti in base alle aree geografiche in cui hanno operato. C’è, per esempio, chi ha operato solo in Bosnia e chi ha operato solo in Kossovo o solo in Albania o solo in Macedonia. Ma c’è chi ha operato invece in più di una di queste

aree. C’è, anche, chi prima della Bosnia ha operato in Somalia o nella Guerra del Golfo.

In effetti sono stati messi in un unico calderone tutti soggetti supposti a rischio senza tener conto di una necessaria loro suddivisione in relazione alle missioni effettuate. Inoltre c’è differenza tra la condizione “particolare” dei militari e quella, invece,

“globale” dei civili. La “popolazione dei militari” si distingue da quella dei “civili in genere” in quanto la popolazione militare è soggetta a visite mediche per poter essere

assunta in servizio, oltrechè a visite mediche periodiche per poter restare in servizio. È quindi particolarmente selezionato.

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Inoltre per chi si reca in missione sono previste ulteriori visite mediche. Dunque, si

tratta di una popolazione da considerarsi più “sana” rispetto a quella raffigurata globalmente dalla popolazione di tutti i cittadini e dunque, anche per questo motivo, il

confronto che è stato fatto è improprio. Infine c’è un’altra questione. La popolazione dei militari è certamente una popolazione prevalentemente “sudista”, mentre i registri dei tumori riguardano prevalentemente la

popolazione “nordista”. E dunque, anche sotto questo aspetto, il confronto è improprio. Tutte questioni dimenticate nelle relazioni Mandelli.

- E per ciò che riguarda l’assenza nell’analisi del pericolo chimico, dei problemi

neurologici e delle malformazioni alla nascita? Anche a questo proposito non si comprende perché non sia stata inclusa nel mandato

la esigenza di indagare sulla componente di rischio chimico pur essendo stata evidenziata nelle norme di protezione.

Forse se il mandato della relazione Mandelli fosse stato formulato dal Ministero della Sanità (che sembra essere il Ministero che avrebbe dovuto occuparsi delle questioni in argomento) simili carenze non si sarebbero verificate.

Anche se, osservo, mi sembra che avrebbe dovuto essere cura della Commissione stessa pretendere che l’indagine riguardasse anche questi aspetti trascurati nel

mandato. Questo, infatti, non è un comandamento assoluto: qualora chi lo riceve riscontra delle improprietà, ha il diritto-dovere di chiederne la rettifica. Sotto questo aspetto le relazioni Mandelli, limitate alla componente “radiologica”,

hanno ovviamente solo un valore parziale. L’uranio, data la sua caratteristica di metallo pesante (anzi pesantissimo!) è perciò stesso pericoloso.

Tra l’altro i problemi medici non si sono limitati a forme tumorali. Vi sono state anche forme neurologiche, malformazioni alla nascita dei figli e altri disturbi di maggiore o minore gravità sia tra il personale militare che tra i civili. [29]

Tutto ciò era mancante nel mandato affidato alla Commissione, anche se l’eventualità che l’uranio possa provocare malformazioni alla nascita era già ben precisata nelle

norme di protezione della KFOR in data 22 novembre 1999. Inoltre, nel mandato della Relazione Mandelli non sono state prese in considerazione nè le patologie neuropsichiche, né quelle cronico-degenerative e neurologiche. In

particolare la sclerosi amiotrofica laterale, che si è verificata in tanti casi tra i reduci negli USA e almeno in un caso ci è stato segnalato in Italia (anche se non si è potuta

conoscere la identità del malato, perché protetta da privacy). Non sono state rese note disposizioni che sembrano essere state impartite in relazione al pericolo di malformazioni alla nascita.

Eppure si sono verificati molti casi tra i militari (e anche tra i civili, abitanti nell’area dei poligoni).

La gravità di questa dimenticanza è ovvia tanto più che l’Italia era bene al corrente della materia (perfino in televisione sono stati proiettati dei filmati sui casi di

malformazioni alla nascita che si verificarono tra i reduci dei militari USA che avevano operato nella Guerra del Golfo). Esiste nelle cineteche un importante documentario in merito!

Si è già fatto cenno all’audizione del Generale Capo della Sanità Militare Michele Donvito e dei commissari On. Pisa e On. Angioni, riguardo a questa questione. Si

tratta comunque di una questione che riguarda la maternità. Problematica che è passata, invece, completamente sottotono. Anche se nelle Forze Armate ora operano anche le donne. Certo è che non sappiamo esattamente se siano state impartite, a

tutto il personale, disposizioni circa la non messa al mondo di figli per tre anni. Si tratta di una grave questione non chiarita. Comunque, se si afferma che l’uranio non

presenta rischi, è difficile capire perchè s’inviti il personale che è stato nelle zone

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contaminate a non mettere al mondo figli per tre anni. Problema peraltro di difficile

soluzione perchè molti militari eseguono missioni ad intervalli assai minori di tre anni. Inoltre, bisognerebbe ricordare più spesso che lo stesso problema riguarda anche i

civili che operano nelle stesse zone e gli abitanti stessi… Chi si è mai preoccupato di loro?

- Ci sono state verifiche circa il numero dei casi di patologie riscontrate? Nella relazione Ministeriale dell’aprile 2005 si afferma che i casi di linfomi di Hodgkin

al settembre 2003 si attesta su 14 casi (tra malati e deceduti). Occorre una verifica di questo dato, come di altri. Il Ministero della Difesa erroneamente ritiene che solo i suoi dati facciano testo (del

tipo “Non avrai altro Dio all’infuori di me”). [30] Non sembra si sia posto neppure il dubbio sull’esigenza di confrontare i dati in suo

possesso con i dati in possesso di altri enti, tenendo conto del fatto che un confronto tra i dati su cui si basa uno studio è qualcosa che è ovviamente previsto in ogni procedura di tipo scientifico.

Nella succitata relazione si legge anche che i valori di incidenza dei linfomi di Hodgkin sono stati calcolati con l’utilizzo di dati di incidenza dei linfomi di Hodgkin tra i militari

dell’Arma dei Carabinieri. E perchè mai si è scelto questo campione come rappresentativo di tutte le Forze

presenti? C’è da osservare che la Forza Armata dei Carabinieri si differenzia per molteplici caratteristiche dal resto dei reparti dell’Esercito e delle altre Forze Armate e pertanto è

improprio considerarla come un “campione” di validità generale. Altra questione riguarda il termine di paragone assunto nelle relazioni Mandelli per

stabilire se i casi riscontrati si dovevano considerare in eccesso o in difetto rispetto a questo termine. Ma il termine di paragone che è stato assunto come riferimento (cioè il numero che

rappresenta la “media italiana dei tumori”) è ampiamente arbitrario. [31] Com’è noto, in Italia non esiste che un numero limitatissimo di registri di tumori (circa

15) che non possono dar luogo, quindi ad una definizione attendibile di “media nazionale”. Non solo i registri sono in numero limitatissimo, ma sono tra di loro eterogenei come

“confezionatura”. [32] Si riferiscono a dati ospedalieri relativi a determinate località non tenendo conto che molti ricoveri non sono stati fatti in ospedali ma in altre

strutture (e spesso neppure nella città a cui il registro si riferisce). Inoltre, tra le località cui si riferiscono i registri tumori, ve ne sono alcune che erano ad elevato rischio. Esse, quindi, alterano in modo “maggiorativo” la media.

Questi si limitano per lo più a registrare i dati fino al 1996 e manca quindi una comparazione con tutto ciò che è successivo al 1996, e ciò appare incongruo col fatto

che le relazioni della Commissione Mandelli si riferiscono per lo più a casi verificatisi intorno al 2001. Ma casi di malattie e di morte si sono verificati anche dopo il 2001 e si stanno (siamo

nel 2006) ancora verificando. Improprio quindi un confronto tra i dati, perché manca il corretto riferimento

temporale da prendere in considerazione. Inoltre, i registri tumori prendono in considerazione persone di tutte le età, diciamo da 0 a 100 anni, mentre la “popolazione dei militari” impiegata nelle operazioni è in età,

diciamo, tra i 20 e i 50 anni. Quindi un paragone tra una popolazione che riguarda tutte le età e una popolazione che riguarda solo un certo numero di anni, è

assolutamente inappropriato. Inoltre la popolazione dei militari è selezionata attraverso visite mediche di idoneità, a diversità della popolazione civile.

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E’ ovvio, data la selezione medica dei militari, che l’incidenza di tumori sia

necessariamente minore rispetto a quella della popolazione civile. Qualunque confronto deve tener presente queste diverse condizioni di base.

Infine, c’è una sproporzione tra Nord e Sud: i registri si riferiscono prevalentemente al Nord Italia mentre l’apparato militare si riferisce prevalentemente a personale del Sud.

Altra questione riguarda il numero dei militari presi in esame; c’è per esempio chi ha denunciato che il proprio nome è stato conteggiato tre volte (ma, ovviamente, il

potenziale soggetto a rischio era solo uno e cioè lui stesso). Quindi la cifra complessiva (43.058 secondo l’ultima relazione Mandelli) appare, anche per questo motivo, poco credibile.

Perciò si era chiesto al Ministero un confronto e una verifica dei dati, ma questo confronto è stato negato. La richiesta formale, a firma dell’Avvocato Vilardo, ha

ricevuto una risposta negativa. Inoltre alcuni dei soggetti presi in considerazione hanno effettuato delle missioni, magari durate solo poche ore, e magari svoltesi, per quanto riguarda il territorio balcanico, solo in un aeroporto.

Ci si riferisce, ad esempio, a quel personale dell’Aeronautica che si è recato in un aeroporto come Sarajevo magari per portarvi documentazioni o strumentazioni e dopo

breve tempo ha ripreso il volo di ritorno. Difficile pensare che il rischio di queste persone si potesse considerare pari a quello di

chi ha soggiornato per lungo tempo in un’area colpita da armi all’uranio, oppure che ha sostato a lungo in una casa colpita dai bombardamenti, oppure chi ha sostato, magari anche solo per un tempo breve, ma in prossimità di un obiettivo ad alta

concentrazione di uranio, come ad esempio un carro armato o una casa distrutti.

- Una cosa del genere porta a un’assoluta incertezza nel conteggio dei casi di malattia e morte, non e cosi? Il numero dei casi di morte e di malattia presi in considerazione, che è stato precisato

(e con un tono di grande certezza) nella relazione ministeriale del 5 aprile 2005, è in realtà un numero ampiamente discutibile e non può considerarsi in nessun modo

come una “verità rivelata”. E ciò in primo luogo perché non tutti coloro che si sono ammalati hanno sospettato che la causa della malattia potesse essere stata l’uranio impoverito.

Moltissimi non ne avevano neppure sentito parlare. Ciò sia per l’insufficienza di informazioni circa l’uranio impoverito che è stata fornita al

personale e alle loro famiglie (in particolare le informazioni circa i rischi che la missione incontrava) sia perché le dichiarazioni rese dal prof. Mandelli in televisione, nella Conferenza stampa svoltasi a seguito della Prima Relazione, furono fortemente

(ma indebitamente) tranquillizzanti. In particolare si affermò che nessuno degli indicatori di rischio era stato superato.

Ciò ha indubbiamente contribuito al fatto negativo che persone ammalate non sospettassero che la causa della malattia potesse essere attribuita a contaminazione da uranio.

E’ pur vero che la seconda e la terza relazione Mandelli hanno messo in evidenza che, almeno per quanto riguarda i linfomi di Hodgkin questi risultano in quantità molto

superiore a quella che poteva attendersi… Ma purtroppo, mentre a seguito della prima Relazione è stata tenuta una conferenza stampa con una vastissima diffusione sui mass media, a seguito della seconda e terza

relazione non è stata tenuta alcuna conferenza che rettificasse le conclusioni della prima. Anzi, è calato il massimo silenzio.

Circa il fatto che il numero dichiarato nella relazione non è necessariamente da considerarsi realistico, ciò deriva anche dalla circostanza che chi si ammala può non

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rendere note le sue condizioni di salute per motivi di privacy, per paura di perdere il

posto di lavoro o per altri motivi. Infine il Ministero della Difesa non ha tenuto alcun conto dei dati in possesso di

Associazioni alle quali si erano rivolti i militari o le loro famiglie. L’Associazione che ho l’onore di presiedere aveva offerto al Ministero della Difesa la massima collaborazione indicando un gruppo di scienziati (gruppo “Scienziati contro la

guerra” del prof. Zucchetti) che si era offerto gratuitamente a collaborare ai lavori della Commissione. [33]

Ma anche se la legge garantiva all’ANAVAFAF (per le caratteristiche proprie dell’Associazione stessa) la possibilità di intervenire attivamente nelle indagini, il Ministero della Difesa ha negato la partecipazione alle indagini.

E così non è stato possibile fornire alcun contributo esterno ai lavori della Commissione Mandelli. Le cui elaborazioni, peraltro, salvo ciò che appare nelle

relazioni finali, non sono state rese note e quindi non hanno permesso neppure un’analisi e un confronto, come è consuetudine nel campo scientifico. Con dispiacere si deve rilevare che il mantenere la segretezza sui dati è criterio

esattamente opposto a quello che deve vigere nella ricerca scientifica, ossia della trasparenza e della mutua confrontabilità di dati.

- Le relazioni Mandelli sono state in Italia fortemente dibattute. Tuttavia, hanno

rappresentato per le istituzioni una base scientifica per consolidare la tesi di “non

pericolosita’” dell’uranio impoverito. Esistono comunque altri studi che supportano

questa opinione o che potrebbero rafforzarla. Ad esempio il progetto SIGNUM che lei

definisce delle “mille cavie”.

Questo progetto è del tutto inaccettabile! Si afferma a pag. 28 del documento del Ministero della Difesa in data 5 aprile 2005, che per il SIGNUM è stato scelto il teatro iracheno per il quale fonti ufficiali hanno

riferito un impiego significativo di uranio impoverito (non meno di 300 tonnellate di munizionamento a DU nel corso della Guerra del Golfo del 1991).

In proposito si osserva che sembra strano che ci si preoccupi del teatro iracheno nei riguardi di quanto è accaduto 13 anni fa e non anche in riguardo a quanto è accaduto nel recente passato (2003).

C’è anche da notare che, se il ritiro dei nostri reparti avverrà entro il 2006 (stando a fonti governative), non si vede come possano essere svolti gli esperimenti per una

durata decennale sulle mille “cavie”. A proposito dei bombardamenti del 2003, sarebbe necessario, conoscere le mappe delle località colpite dalle forze inglesi ed USA nel 2003, per poter avere un’idea dei

rischi nelle varie zone interessate. Comunque se gli uomini “cavia” opereranno per un decennio (?) superprotetti, come

ha affermato il Gen. Donvito nella sua audizione presso la Commissione Difesa della Camera del 29 giugno 2004, non si capisce che senso abbia il valutare il rischio da uranio impoverito.

A pag. 13 del verbale della seduta del 29 giugno 2004 si legge che: “L’equipaggiamento in dotazione del personale schierato in Iraq comprende un facciale

NBC completo di borsa a doppio filtro, un indumento protettivo permeabile da indossare sulla tuta da combattimento per proteggere la pelle da aggressivi chimici e biologici”.

Infatti, se il personale “cavia” adotterà tutte queste protezioni (come una specie di “doppio airbag”), si può presumibilmente dire in partenza che non correrà alcun

rischio da uranio impoverito o da altre sostanze inquinanti. [34] Ma ciò non vorrà dire affatto che, chi opera senza protezione (come è stato il caso dei

nostri reparti dal 1993 al 1999), non abbia corso rischi e non corra rischi.

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Teniamo conto, quando consideriamo le sperimentazioni, che è passato un tempo

lunghissimo rispetto ai bombardamenti del 1991 e un tempo molto più breve rispetto ai bombardamenti del 2003. E si sa che gli effetti nocivi dell’uranio impoverito si

indeboliscono nel tempo. Il rischio riguarderà dunque situazioni diverse da quelle che hanno incontrato gli uomini che si sono trovati a operare in tempi ravvicinati rispetto ai bombardamenti. Anche per questo motivo pare che la valutazione di rischio che si

dovrebbe fare con i 1000 è ben poco significativa nei riguardi dei rischi che corre chi, senza protezione, si trova ad operare in vicinanza dei luoghi bombardati, soprattutto

se vi si trova a breve distanza di tempo dai bombardamenti. - Nel 2002 il Prof. Franco Nobile, docente in Semeiotica Chirurgica dell’Universita di

Siena e specialista in Oncologia, ha pubblicato, a cura della “Lega contro i Tumori”,

un libro dal titolo “La prevenzione oncologica nei reduci dei Balcani. Il libro si

presenta bene. E su carta patinata pesante sul modello rivista militare e corredato da un ampio apparato iconografico. In sostanza, pero, anch’esso assolve l’uranio. Cosa ne pensa?

Il prof. Nobile nelle sue analisi eseguite dopo il 22 novembre 1999, cioè dopo che era stato ordinato l’impiego di misure di protezione, ha riscontrato (come del resto era

ovvio e prevedibile prima delle analisi) che i militari che adottavano le misure di protezione non erano soggetti ad alcun rischio. Questo è un po’ come chi constata che indossando l’impermeabile e aprendo

l’ombrello non ci si bagna sotto la pioggia! Peccato che nella relazione il prof. Nobile non ha precisato, in partenza, questo

“piccolo particolare”, cioè che i militari che ha analizzato erano militari che avevano applicato le misure di protezione!

Quindi la relazione del prof. Nobile è del tutto irrilevante ai fini della valutazione del rischio che corrono i militari che operano senza protezione. Può semmai servire ad affermare che le misure di protezione fanno il loro mestiere di

proteggere chi le adotta. Ma questo lo sapevamo già, non c’era certo bisogno di un apposito studio!

Questa relazione non doveva quindi nemmeno essere presa in considerazione, in rapporto al problema di rischio di esposizione che corrono i militari, perché questo problema riguarda i militari che operano senza misure di protezione e non quelli che

adottano le misure di protezione. [35] Ma è stata presentata al pubblico senza specificare questo aspetto essenziale!

E, come il solito, ci si riferisce solo ai militari tralasciando i civili. - Veniamo infine agli studi della Dott.ssa Antonietta Morena Gatti. In virtu di questi

suoi studi, e stata chiamata anche dalla Commissione d’Inchiesta per portare elementi di chiarimento sulla pericolosita dell’uranio e sulla sua incidenza nei casi di tumore. La

Gatti non e laureata in medicina e quindi si astiene giustamente dal fare deduzioni che sconfinano nel campo medico. Ma le sue dichiarazioni hanno dato luogo alle piu disparate interpretazioni. Quali sono i risultati delle sue ricerche e che valore hanno?

In sostanza, per quanto ho potuto conoscere circa questi lavori, La Dott.ssa Gatti ha scoperto la presenza nel corpo di militari morti per possibile contaminazione da uranio

impoverito di nano-particelle di vari metalli, escluse però quelle di uranio impoverito. Lo studio non ha preso in considerazione, almeno a quanto mi sembra, la ricerca dell’uranio impoverito nelle ossa, ma è limitata solo ai tessuti interni.

Da questo venne dedotto che l’uranio sarebbe una specie di “mandante occulto”, mentre i “killer” sarebbero le nanoparticelle degli altri metalli.

A tal proposito uscì un articolo su “La Stampa” del 3 agosto 2004 che recita nel titolo “Avvalorata l’ipotesi delle autorità militari. Il killer dei Balcani non è l’uranio

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impoverito. Una scienziata di Modena: i 25 soldati morti per un cocktail di polveri di

bombe”! Comunque, non si hanno certezze riguardo gli effetti che queste nanoparticelle

possono avere sull’insorgenza di tumori o altre malattie. [36] Inoltre, questi studi si riferiscono in particolare ai rischi dell’uranio nel momento in cui l’arma, impattando con un ostacolo solido, sviluppa una temperatura di circa 3000

gradi. Una temperatura che è superiore a quelle che si producono con impatti di armi costituite da altri metalli (che comunque sono temperature anch’esse altissime). Ad

esempio, anche i cosiddetti proiettili “a carica cava” producono temperature assi rilevanti, tuttavia l’uranio impoverito ha soprattutto la caratteristica di essere piroforico.

Senza entrare nel merito delle varie questioni, e cioè se la presenza delle nano-particelle ritrovate possa essere o meno causa di tumori, si deve osservare che il

rischio da uranio impoverito non è solo quello che si crea all’impatto di un proiettile con un ostacolo solido, ma è presente anche nel maneggio del metallo a temperatura ambiente (come da Norme NATO dell’84).

Gli studi della Dott.ssa Gatti non toccano questo aspetto. Nella stessa relazione del Ministero della Difesa dell’aprile 2005 si esprimono alcune

perplessità, che recitano così: “è evidente come i risultati dello studio della Dott.ssa Gatti, condotto su pochi soggetti ammalati, costituiscano al momento solo ipotesi.

Essi suscitano notevoli perplessità in quanto, fra l’altro, prive dell’indispensabile metodologia statistica di supporto: la mancanza di un idoneo gruppo di controllo costituito, ad esempio, da campioni bioptici di neoplasie provenienti da pazienti con

anamnesi negative per esposizioni in aree balcaniche, oppure da cellule di soggetti sani, costituisce un elemento d’inaffidabilità. A riprova di ciò, quanto essa ha

affermato non ha trovato sino ad ora riscontro in alcuna pubblicazione scientifica recensita a livello nazionale ed internazionale… Risulterebbe in ogni caso indispensabile, in via preliminare, l’individuazione

sperimentale qualitativa e quantitativa delle fattispecie, metalliche o no, liberate in forma di nano-particolato in esito all’impatto di proiettili al DU con infrastrutture

rinforzate o con armature corazzate. Una siffatta indagine, mutuata dai canoni della medicina occupazionale, permetterebbe infatti di accertare ed, eventualmente, scartare o meglio precisare possibili fattispecie di rischio espositivo che, al momento,

possono essere solo oggetto di ipotesi, essendo pressoché impossibile stabilire in modo inequivocabile un nesso plausibile causa-effetto sulla sola base di accertamenti

eseguiti su tessuti di soggetti ammalati.” [37] - Tutti questi studi dimostrano che non esiste un rapporto di causa-effetto tra uranio

impoverito e l‘insorgenza delle malattie. Non sussistendo il rapporto di causalità, non potendo pertanto essere chiaramente incolpato l’uranio, allora si mettono le mani

avanti e non si fa nulla. Lei ha piu volte parlato di “probabilità qualificata, puo’

spiegare cosa intende? Si afferma, nella documentazione ministeriale, che le ricerche scientifiche non hanno dimostrato l’esistenza di un nesso di causalità tra l’utilizzo del munizionamento

contenente uranio impoverito e le patologie riscontrate dai militari. In merito occorre osservare che bisogna stabilire, prima di tutto, che cosa si intenda

per “nesso di causalità”. Infatti occorre stabilire se con questo nesso si vuole indicare la certezza che ad una causa segua un determinato effetto oppure la probabilità (o plausibilità) che ad una

certa causa segua un determinato effetto. [38] E’ evidente che tra i tumori e le cause non c’è e non ci può essere un nesso di

certezza. Tutti sanno, ad esempio, che un nesso di certezza non c’è tra il fumo da

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tabacco e i tumori. Anche se nelle scatole delle sigarette c’è scritto “IL FUMO

UCCIDE”, tutti sanno bene che il nesso è solo di probabilità. Così anche per il nesso tra amianto e tumori. C’è un nesso di probabilità e non di

certezza. Per quanto riguarda l’uranio, tra l’altro, essendo un metallo pesante è pericoloso di per sé. Del resto noi non conosciamo l’eziopatologia dei tumori. E questo solo fatto impedisce

che si possa stabilire un nesso di certezza tra causa ed effetto. [39] Comunque in tutte le situazioni in cui non si ha la certezza che un determinato fattore

sia la causa dei tumori deve valere il principio di precauzione. Del resto, è un criterio ovvio: chi è protetto non è a rischio, lo dice la parola stessa. Se infatti è vero che non c’è un nesso causale di certezza tra uranio e tumori, è vero

anche che in molte sentenze la Suprema Corte viene affermato che ai fini della sussistenza del rapporto di causalità, è sufficiente che l’effetto (evento tumore)

consegua dalla causa in termini di “probabilità” (C.C. sez. lav.. n. 1573 del 18.02.199.4: C.P. sez.. IV n. 3567 del 20.03.2000; C.C. sez. lav.. n. 12909 del 29.09.2000).

In una sentenza del TAR Marche n. 1287/03 si legge, ad esempio: “Non è necessario che la correlazione tra servizio ed infermità risulti estrinsecamente dimostrata, ma è

sufficiente che il rapporto eziologico sia desumibile con apprezzabile grado di probabilità, nel qual caso l'incidenza deve essere risolta senz’altro in senso più

favorevole al dipendente”. - Il Ministero della Difesa sostiene che sono state prese iniziative assistenziali e di

sostegno in favore del personale che ha contratto patologie. Corrisponde al vero questa affermazione?

E’ assai improprio affermare che i militari italiani (o almeno una larga parte di essi) abbiano ricevuto l’assistenza dovuta e ciò sia sotto gli aspetti medici, sia sotto gli aspetti economici e infine sotto gli aspetti morali.

Molti malati non sono stati sottoposti a sufficienti controlli né prima della missione, né al rientro dalla missione, né negli anni successivi.

Non dimentichiamo che gli effetti dell’uranio impoverito si verificano anche fino a circa 20 anni di distanza nel tempo, anche se possono verificarsi in tempi assai più brevi. In particolare, per ciò che riguarda l’effettuazione delle visite mediche previste dai

protocolli per gli anni successivi al rientro dalla missione del personale, varie interrogazioni parlamentari, ad esempio del Sen. Luigi Malabarba, hanno evidenziato

che nel Triveneto almeno due ospedali militari che potevano (e dovevano?) effettuare questi controlli sono stati chiusi e che molti controlli non sono stati effettuati. La situazione di questi mancati controlli dovrebbe essere attentamente studiata e

dovrebbero essere adottati adeguati provvedimenti. Inoltre, un gran numero di militari colpiti da patologie gravissime si è dovuto curare a

proprie spese perchè non è stata riconosciuta loro la “causa di servizio”. A proposito delle carenze di assistenza sotto l’aspetto economico, posso fare qualche esempio, raccontando brevemente la storia di alcune persone possibilmente

contaminate. Sergio D’Angelo

Il Maresciallo Sergio D’Angelo, sminatore nei Balcani, che ha passato anni a contatto con le armi distrutte al suolo, si è gravemente ammalato ed è morto poi al Pio Albergo Trivulzio di Milano.

In proposito c’è da chiedersi se è possibile che in una città come Milano, dove esiste un importantissimo ospedale militare, un Maresciallo che ha “super-benmeritato” per

la Patria muoia al Pio Albergo Trivulzio? Non sembra il miglior esempio di assistenza.

Maresciallo di Feltre

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Per un Maresciallo di Feltre malato di tumore, rimasto anonimo, si è dovuto giungere a

fare una colletta tra colleghi. E questo anche se le collette sono proibite nelle forze armate.

Ma questo era l’unico modo per consentire cure urgenti. Stefano Melone I familiari del Maresciallo Stefano Melone, deceduto, hanno dovuto fare causa allo

Stato. In prima istanza è stato loro concesso un risarcimento di 500.000 euro, ma l’Avvocatura di Stato si è opposta (non sembra uno splendido esempio di volontà

assistenziale!) e ha chiesto la sospensione dell’erogazione di questa indennità. Nel processo di seconda istanza, tuttavia, la richiesta di sospensione della pensione non è stata accettata dal tribunale ed è stato ingiunto allo Stato il pagamento della somma.

Circa le misure di assistenza la “Relazione Ministero Difesa” dell’Aprile 2005 parla di assistenza fornita nei riguardi di coloro che hanno operato nei teatri della Bosnia e

Kossovo. In primo luogo c’è da chiedersi perché questa asserita assistenza sia da riferirsi solo al personale che ha operato in Bosnia e Kossovo e non, invece, a tutto il personale

dislocato nei Balcani, compreso quello che ha operato in Albania e Macedonia. Tra l’altro, in Albania e Macedonia si sono verificati numerosi casi di contaminazione

(ad esempio quelli di Melis, Grimaldi e Meloni). Si tratta di personale che ha operato ai confini con il Kossovo meridionale, zona fortemente colpita. I militari italiani che vi

hanno operato si sono trovati a brevissima distanza dai luoghi bombardati, una distanza certo inferiore rispetto a quella a cui si è venuto a trovare altro personale stanziato in Bosnia e Kossovo.

Ma a parte il personale che ha operato nei Balcani, l’assistenza doveva riferirsi anche al personale che ha operato in altre zone. Infatti vi sono stati numerosi casi di

possibile contaminazione relativi a personale che ha operato nella Guerra del Golfo (come quelli di Maramarco, Dionisi, Ceccarini, Del Vecchio) e altri casi che si sono verificati dopo le operazioni in Somalia (come Diana, Marica e Pizzamiglio) o nei

poligoni (come Pintus, Serra, Faedda, Bonincontro, Ledda, Cappellano, Cardia, Vargiu).

In proposito alle carenze nell’assistenza sotto l’aspetto morale, molti sono i militari e le loro famiglie che hanno espresso la loro amarezza perché si sono sentiti dimenticati dalle istituzioni proprio quando ne avevano più bisogno. Per evitare affermazioni

generiche, è forse conveniente riferire letteralmente quanto si è appreso da alcuni organi di stampa.

Valery Melis In proposito si legge su “L’Unione Sarda” del 6.02.2000: “L’Esercito non lo ha aiutato nemmeno quando bussava alle porte calvo, pallido, indebolito dalla chemioterapia.

Gliele chiusero in faccia. Nessun militare in quattro anni è andato a trovarlo in ospedale, nemmeno a Natale”.

Salvatore Carbonaro Si legge su “La Repubblica” del 31.01.2001 a proposito di Salvatore Carbonaro, morto a Pavia il 5 novembre 2000: “Aveva avviato una causa di servizio per sapere se era

stata questa la causa del suo male. Nessuno gli ha mai risposto. Quando si è ammalato l’hanno congedato e basta senza occuparsi di lui, lasciato solo a lottare con

la morte” … “non l’hanno aiutato neppure per i funerali”. Armando Paolo Si legge sul periodico “Il Caffè” di Latina del 4.03.2004 la dichiarazione seguente:

“L’Esercito Italiano mi ha lasciato solo, malato e senza lavoro. Mi hanno abbandonato”.

Fabio Cappellano Fabio Cappellano narra la sua vicenda a “L’Unione Sarda” (11.03.2004): “Dopo un

anno di convalescenza sono stato riformato e nessuno si è degnato di chiedermi come

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stavo. Le Autorità Militari hanno inviato un telegramma di condoglianze ai miei

genitori. Si rammaricavano per la mia morte”. Evidentemente i Comandi da cui dipendeva il Cappellano non seguivano con grandissima attenzione le vicende del loro

dipendente, tanto che non sapevano neppure se era vivo o morto! Fabio Porru e un Maresciallo (rimasto anonimo) di Oristano In un’intervista all’Unione Sarda il padre del Caporal Maggiore Fabio Porru afferma:

“Dopo i funerali di Stato ci hanno abbandonato”. Un Maresciallo rimasto anonimo di Oristano in un’intervista su L’Unione Sarda del 12 marzo 2004 afferma: “L’Esercito si è

dimenticato di me”. Antonio Milano Si legge in un comunicato ANSA del 5 luglio 2002 la dichiarazione della madre: “Nei

sei mesi della malattia” dice la mamma Anna in lacrime, “nessuno si è degnato di fare nemmeno una telefonata. Solo ieri al funerale ho visto qualche divisa”

Marco Diana Il Maresciallo Marco Diana, che di ritorno dalla Somalia accusò i sintomi della malattia che lo aveva colpito (un carcinoma all’intestino) affermava: “Muoio di cancro – Lo

Stato mi ha abbandonato”. In una memoria, lo stesso Maresciallo scriveva: “Ma tutto questo avviene perché nell’Esercito non esiste un sindacato. Si è sempre sotto

schiaffo, in balia dei superiori. Se pretendi di rispettare le leggi magari ti rovinano con le note caratteristiche”. Il Maresciallo si rammaricava anche in relazione alla scarsa

osservanza delle norme di precauzione: “Per esempio i manuali che dovevamo studiare noi istruttori lanciamissili prescrivono una serie di norme di sicurezza che noi non abbiamo mai rispettato. La distanza dai bersagli per le esercitazioni – che

emanano raggi infrarossi – doveva essere almeno 75 metri, noi abbiamo sempre sparato a sagome sistemate a non più di 50 metri, senza maschere e cuffie. E poi

certe esercitazioni dovevano essere svolte in 3-4 mesi, per evitare i contatti troppo prolungati con certe sostanze, usate per preparare le bombe o per pulire mortai, lanciamissili e armi. Invece no, le prove duravano spesso 3-4 settimane, poi via in

missione”. Al Maresciallo Diana le Autorità dissero che gli avrebbero sequestrato l’auto per riavere i soldi della pensione che gli era stata in un primo tempo concessa. In una

lettera del 10 settembre 2002 al Presidente della Repubblica il Maresciallo scrive: “tutta la sofferenza aggiunta che sto avendo la devo a tutti voi che dovreste rappresentare le istituzioni difendendo la volontà del popolo italiano, garantendoci i

diritti previsti dalla Costituzione; inoltre il mio patire è dovuto anche allo scarso interessamento e all’insensibilità che viene dimostrato dai rappresentati sopracitati. La

prego di scusarmi, Signor Presidente, se non riesco a trovare le parole adatte per esprimerle tutta la mia indignazione. Sono sicuro che Lei capirà i miei sentimenti. Il riconoscimento della causa di servizio mi dà la possibilità di avere una pensione, per

quanto modesta, è per me l’unica fonte di reddito e poter goderne significa riuscire a sopravvivere”. Tra l’altro il Maresciallo rese noto che non aveva disponibilità

economiche per acquistare gli integratori alimentari, di cui aveva bisogno. Lo ascoltò il Presidente della Regione Sardegna che si recò a trovarlo a casa sua e gli assicurò immediatamente, a titolo del tutto gratuito, gli integratori alimentari e le altre cure.

Questo è un bellissimo gesto, venuto però da un’autorità civile, non militare. Il Maresciallo è ricorso alle vie legali e alla fine lo Stato ha dovuto riconoscergli danni

alla salute nei termini del cosiddetto “danno ambientale”. - Allora, sembra che molti militari e le famiglie siano stati lasciati da soli,

contrariamente alle affermazioni del Ministero. E non essendo appurato un nesso di causalità tra la malattia e l’Uranio, in realtà le vittime vivono e muoiono in un limbo di

non riconoscibilità. Si è di fronte a una sorta di circolo vizioso per cui non sussistendo di fatto la causa della malattia, allora non e’ riconoscibile neanche la realta’ della

malattia stessa. E di conseguenza, neanche le eventuali responsabilita’. Dunque, si

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puo affermare che sia questo il motivo del mancato riconoscimento delle “cause di

servizio?

In proposito alla questione di che cosa si intenda per nesso di causa-effetto, in relazione alle conseguenze sociali che comporta, cioè in relazione alle condizioni di

vita delle vittime, si osserva che le Commissioni Mediche Militari, purtroppo basandosi sul giudizio espresso in seguito alla prima Relazione Mandelli (la Seconda e la Terza Relazione non escludevano la possibilità che vi fosse quantomeno una dipendenza tra

tumori e linfomi di Hodgkin), non hanno concesso la “causa di servizio” secondo la falsa premessa che non vi era un nesso di certezza.

Non dimentichiamo che la “causa di servizio” viene concessa, invece, in moltissimi casi su basi semplicemente probabilistiche e non solo su basi di certezza. Ad esempio, sono state concesse migliaia e migliaia di cause di servizio per artrosi a personale

esposto a umidità o intemperie. E queste cause di servizio sono basate sul semplice nesso probabilistico. [40]

Non si capisce quindi come possano essere adottati pesi e misure così diversi. E’ da ritenere che, a maggior ragione, se non si è certi che possa essere causa di tumori l’esplosione di una barra di uranio da 300 Kg contenuta in un missile Tomawak, non si

è neppure certi che non vi siano dei rischi. E se si ritiene che un rischio per la salute possa essere costituito da qualche grammo

di tabacco, è probabile che ci sia un rischio di salute anche per l’esposizione al “fumo” di ossido di uranio emesso da una barra di uranio, come quella sopra menzionata! Non dimentichiamo che viene considerato a rischio addirittura chi è soggetto a “fumo

passivo” di tabacco! Quanto al fatto che la decisione sull’assegnazione della dipendenza da causa di

servizio sia in ultima istanza affidata ad un organismo del Ministero dell’Economia sembra assai discutibile. Ma, indipendentemente dalle cause delle gravissime malattie, è inconcepibile che un

militare (per di più volontario, ora che esiste un esercito di soli volontari!) sia costretto a curarsi a sue spese e non abbia alcun sostegno dall’amministrazione, anzi

sia completamente abbandonato. Il fattore di coesione dovrebbe essere nelle forze armate un fattore d’importanza fondamentale, specie nella tradizionale retorica delle forze Armate che si considera

come “una grande famiglia militare”. È triste constatare come in realtà tanti militari siano “orfani”. [41]

Al personale volontario/di carriera non è stato riconosciuto neppure il modestissimo indennizzo detto della “speciale elargizione” previsto dalle leggi 308/81 e 280/91, indennizzo che spetta a chi è stato sottoposto ad un evento dannoso durante il

servizio militare. Inoltre, nel caso di contaminazione da uranio, andrebbero considerati ben altri

risarcimenti come quello per “danno biologico”. Tuttavia, è stato riconosciuto in pochi casi, ad esempio al Maresciallo Stefano Melone nella misura di 500.000 euro. E questo

grazie al lavoro di un bravo e accorto avvocato di Orvieto e alla determinazione della vedova, alla quale va la nostra ammirazione. Ma quante famiglie delle vittime hanno la possibilità di avvalersi di un avvocato?

- Potrebbe spiegare cosa prevedono queste leggi?

La legge 308/81 è nata da un progetto legislativo del 1977 del sottoscritto, quando ero Presidente della Commissione Difesa della Camera. Secondo questa legge, così come la successiva 280/91, risulta che l’indennizzo spetta

a tutti coloro che, per causa di servizio o anche indipendentemente dal fatto che esistano le condizioni per una causa di servizio, vengano colpiti da un evento dannoso

purchè si trovino nella condizione di “continuità di servizio”, ossia di rivestire lo “status

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militare”. Inoltre, spetta a tutti i militari di ogni categoria: militari di leva, di carriera,

volontari, ecc… Per stabilire in quali casi di infortunio grave spetta l’elargizione si è fatto riferimento

alle tabelle infortunistiche A e B della legge 313/63 sulle pensioni di guerra. Va tenuto presente che la “speciale elargizione” è di 50 milioni di vecchie lire. Per la concessione dell’indennizzo non deve essere presa in considerazione il tipo di

attività svolta. Per aggirare il problema della “causa di servizio”, che richiederebbe l’accertamento di un nesso di causa/effetto, si stabilì che la condizione per concedere

l’elargizione fosse che i militari si trovassero nella condizione di “continuità di servizio”. Ciò significa che l’indennizzo viene concesso in relazione al fatto di trovarsi “sotto le armi”, indipendentemente dalle condizioni poste per l’avvio della pratica delle

cause di servizio.

- Le leggi 308/81 e 280/91 sono state disattese. E l’ennesimo esempio di disattenzione da parte degli organi competenti? Forse qualcuno pensa che concedere la “speciale elargizione” alle vittime del’uranio

impoverito possa rappresentare un’ammissione di responsabilità! Inoltre, bisogna tener conto dei costi. Ad esempio, nella vicenda dell’uranio impoverito

ci troviamo, secondo alcune stime con circa 40-50 morti e con circa 300 ammalati. Secondo altre stime con circa 30 morti e circa 80 ammalati. I dati esatti non sono

conosciuti.. È ovvio che la cifra degli infortunati gravi sia maggiore di quella dei deceduti. Dato che le leggi prevedono che la concessione della “speciale elargizione” sia dovuta a partire dal 1° gennaio 1969 si tratta ovviamente un numero elevato di

risarcimenti, senza considerare i molti casi di malattia e morte tra i civili che nessuno sembra ricordare.

- Di fatto, nonostante esista una legge che consentirebbe ai malati di usufruire della “speciale elargizione”, questa viene negata in piu istanze. In che modo le autorita’

riescono ad aggirare il problema? Fondamentalmente si tratta di un difetto interpretativo.

La legge è stata male interpretata in due modi. Innanzitutto, si considerano solo i militari di leva e non i volontari, poi solo i casi di morte e non di infortunio grave. In pratica, è stato erroneamente ritenuto che l’indennizzo spettasse solo ai militari di

leva deceduti, cioè ai superstiti o parenti aventi diritto. Invece spetta anche ai volontari. E quasi tutti i possibili contaminati da uranio impoverito sono volontari.

Finalmente questo è stato attestato da una risposta della Difesa ad un’interrogazione in merito in data 10 novembre 2005. In effetti, le leggi 308/81 e 280/91 già nel titolo specificano che si tratta di “norme in

favore dei militari di leva e di carriera”. E nell’art. 1 della 280/91 si legge che l’elargizione spetta a coloro “i quali subiscano per causa di servizio o durante il periodo

di servizio un evento dannoso che provochi la morte o che comporti una menomazione dell’integrità fisica ascrivibile a una delle categorie di cui alla tabella A e B, annesse alla legge 18 marzo 1968, n. 313”. Tra l’altro, in queste tabelle, figura anche il

tumore, che ovviamente è un infortunio grave! Del resto, è ovvio che se due militari, uno di leva e uno volontario, trovano la morte in

uno stesso incidente, si devono prevedere indennità per entrambi. Ora poi che i militari di leva non ci sono neppure più, se queste leggi fossero valide solo per loro non avrebbero più motivo di esistere!

Alcuni genitori di questi soldati hanno speso delle somme ingenti per curare i loro figli e nei casi più drammatici di morte si sono addossati anche le spese dei funerali.

Il Ministero della Difesa, in violazione della legge esistente, non ha risarcito finora (aprile 2006) un rilevante numero di personale volontario/di carriera e/o i loro

familiari. Ad esempio i casi di Pilloni, Porru, Melis in Sardegna. Ad esempio, Valery

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Melis ha contratto un Linfoma di Hodgkin ed è morto nel 2004. Ai genitori non è stata

riconosciuta la “speciale elargizione”, perchè la malattia non era riconducibile alla fattispecie dell’evento dannoso. Forse, secondo il Ministero un tumore non è da

considerarsi un evento dannoso! Inoltre, Melis era un militare di carriera, non di leva (soltanto ai quali secondo il Ministero spetta l’indennizzo).

Ebbene, l’evento dannoso può ben essere il caso di una malattia. Basta pensare ad un militare che muore di meningite per una epidemia in caserma oppure ad un tumore

contratto per l’uso di particolari sostanze cancerogene, come il benzene e lo xilene. Può accadere anche mentre un militare dorme, come è successo nel caso del crollo di una caserma.

Secondo la legge, il militare deve trovarsi “in continuità di servizio”. In altre parole, deve “indossare le stellette”. [42]

Dunque, l’indennizzo spetta a tutto il personale, di leva e di carriera. E soprattutto spetta anche ai malati in vita che si devono curare, non solo ai parenti di quelli morti.

- Non esiste un organo di controllo? Come e possibile che venga cosi macroscopicamente elusa la legge?

Ci sono stati alcuni organi che hanno rilevato l’incoerenza nell’interpretazione della legge.

Il 12 gennaio del 2000 la Iª Commissione affari Costituzionali della Camera ha affermato che tra i destinatari della norma rientrano anche i militari di carriera. Lo stesso giorno, anche la Commissione Bilancio parla di “militari di leva e di carriera

infortunati o caduti durante il periodo di servizio” nel puntualizzare alcuni aspetti salienti relativi alla concessione della “speciale elargizione”.

Ma la cosa più assurda è che il Ministero della difesa agisce addirittura contro il parere del Consiglio di Stato. Nel 31 marzo 1998 questo si è pronunciato sulla questione su richiesta del Ministero stesso. E include tra i destinatari delle leggi 308/81 e 280/91 la

categoria dei militari volontari e di carriera “anche per eventi non strettamente connessi al servizio” (11).

Questo fatto è certamente inquietante: il Ministero della Difesa aveva un dubbio, ha interpellato il Consiglio di Stato, ma poi non è stato rispettato ciò che questo aveva sancito!

E ancora più incredibile è il fatto che, se esistevano dubbi sull’interpretazione di queste leggi, non sia mai stata chiesta al Parlamento per oltre vent’anni una legge di

interpretazione autentica. - Lei sostiene che se si accettasse la tesi del Ministero della Difesa, secondo cui gli

indennizzi spettano solo al personale di leva e non al personale volontario di carriera, le leggi 308/81 e 280/91 sarebbero incostituzionali. Questa e un'accusa molto grave

per il Parlamento. Se cosi fosse, il Ministero della Difesa avrebbe dovuto protestare per l'emanazione di leggi che escludono dagli indennizzi tutta la componente volontaria di carriera, che tra l'altro oggi e la sola rimasta visto che la leva e stata

abolita. Altrimenti sembrerebbe che queste leggi non servano piu. Per quanto concerne il problema della costituzionalità/incostituzionalità, questo

problema ha trovato un’espressione in due documenti: uno del Consiglio di Stato del 31 agosto 1998 e uno della 1ª Commissione Affari Costituzionali del 12 gennaio 2000. Dice il Consiglio di Stato: "Non può non rilevarsi d'altronde che su un piano equitativo

generale parrebbe del tutto priva di giustificazione l’esclusione dei benefici in parola dei soli militari nella predetta posizione di volontari e trattenuti, per cui una

interpretazione delle norme di legge in esame che risultasse in qualche modo discriminatoria nei confronti delle anzidette categorie farebbe sicuramente sorgere seri

dubbi sotto il profilo della legittimità costituzionale delle norme in questione.

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Similmente, dice la lª Commissione Affari Costituzionali che nella Legge 308/81

"rientrano anche i militari di carriera la cui mancata esclusione tra i beneficiari potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità sotto il profilo della disparità di

trattamento per violazione dell'Art. 3 della Costituzione" (12). Sarebbe stato importante che la Commissione d'Inchiesta del Senato si fosse espressa nelle conclusioni su questa fondamentale questione. A causa della quale

probabilmente, data la ricorrenza dal l° gennaio 1969, non sono stati concessi benefici di legge ad almeno 10.000 infortunati gravi e deceduti.

- Ancora una questione. Ho notato nelle risposte a richieste di speciale elargizione che si tende a escludere, come infortuni gravi da indennizzare, i casi di tumore o altre

gravi patologie non facendoli rientrare nei casi di violenza. Eppure mi sembra che simili casi possano considerarsi infortuni gravi, anzi gravissimi, di rilevante dannosita.

Questo fatto mi ha molto stupito anche perché il foglio del Ministero della Difesa, Direzione Generale per il personale militare, VI Reparto, in data 21 marzo 2003, riconosce che anche le gravi malattie sono da considerarsi infortunio grave.

Si legge infatti che "a tal proposito giova richiamare un parere richiesto al collegio medico-legale della difesa sulla qualificazione di "evento dannoso" e causa della

morte: in tale parere si specifica che l'evento dannoso non deve necessariamente essere caratterizzato dalla natura violenta della causa e pertanto una malattia insorta

improvvisamente ad evoluzione rapidissima che causi la morte del militare si identifica con l'evento dannoso previsto dalla Legge". Forse si potrebbe precisare che se alcune gravi malattie hanno uno sviluppo rapido in

altri casi non è così, ma il danno resta ugualmente gravissimo e tali restano quindi le esigenze di indennizzo.

- Al personale volontario e di carriera deceduto a Nassirya e stata concessa la speciale elargizione pari a circa 400 milioni di vecchie lire (200.000 euro)! Dunque, secondo il

Ministero della difesa, “in alcuni casi”, l’indennizzo spetta anche ai volontari.

Ovviamente, questa disparità di trattamento ha origine da questioni politiche legate alla guerra in Iraq. Ci sono evidentemente volontari di serie A e di serie C! Non c’è stata univocità di

valutazione. In un appunto del ministero della Difesa del 3 febbraio 2004, si dice che la legge fatta per i morti di Nassirya risponde ad una ratio diversa. Con essa, infatti, lo

Stato vuole segnalare una forte attenzione nei riguardi del personale militare particolarmente esposto in operazioni militari internazionali, ed in particolar modo riguardo all’aggravarsi del fenomeno del terrorismo.

Mi chiedo, che differenza c’è tra il volontario che muore a Nassirya e il volontario che muore in Italia durante il servizio?

E che differenza c’è tra un volontario che muore per l’esplosione di una bomba e uno che muore per la contaminazione da una bomba all’uranio impoverito?

Il terrorismo non c’entra. Infatti, il terrorismo riguarda i civili disarmati e non i militari. Se si attacca un reparto armato non è un atto terroristico, ma un atto di guerriglia. Sono due cose ben diverse.

E’ stata dunque compiuta un’enorme ingiustizia nei riguardi del personale volontario/di carriera risarcendo, arbitrariamente, alcuni sì e alcuni no.

Da anni l’Associazione che presiedo protesta anche con manifestazioni in piazza riguardo il trattamento riservato specialmente ai volontari. Coloro che, con la più ipocrita delle retoriche, vengono chiamati i “nostri ragazzi” o i

“nostri amati ragazzi”, mentre mi pare vengano trattati troppo spesso come i “ragazzi di nessuno”. [43]

A mio parere, per tutte le “vittime del dovere” dovrebbe esistere un uguale trattamento, che soprattutto non dipenda da opportunità politiche.

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- Cosa fanno le Procure civili e militari? Per quanto riguarda le procure civili, nell’audizione del 2 febbraio 2006 presso la

Commissione d’Inchiesta del Senato il Dott. Raffaele Guarniello, procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Torino, ha affermato che sono in corso dei procedimenti relativi a ipotesi di reato di omicidio colposo e lesioni personali colpose,

ma che in assenza di un accertamento del nesso di causalità esistente tra uranio e malattie non è possibile procedere.

Viene da domandarsi per quale motivo non sono stati auditi dalla Commissione anche il sostituto Procuratore Generele di Roma Giancarlo Capaldo e la Procura Militare di Roma competente ad indagare i fatti che riguardano i militari italiani all’estero.

In ogni caso, il problema di fondo sul quale le Procure devono indagare è l’attuazione delle norme di protezione con sei anni di ritardo rispetto a quando sono state applicate

dai reparti USA. Ed è bene ricordare ancora una volta che non sono implicati solo i militari italiani, ma anche molti civili.

- Ma esistono degli obblighi precisi, stabiliti da leggi esistenti, che riguardano la salute, la sicurezza dei militari e l’informazione necessaria a mettere in atto le opportune

precauzioni? La legge 626/94 di sicurezza sul lavoro, e l’art. 1 della 277/91 stabiliscono le

responsabilità della antinfortunistica anche in ambito militare. Le Forze Armate sono del resto destinatarie anche degli obblighi stabiliti dall’art. 2087 c.c., come previsto dall’art. 1 della Legge 25 del 18/2/1997.

In applicazione alla normativa antinfortunistica, le forze armate hanno l’obbligo di garantire la salute e la sicurezza di tutti i militari italiani anche a mezzo

dell’acquisizione di tutte le informazioni necessarie per fornire ai militari dipendenti le dovute precauzioni. Anche la Cassazione si è espressa in merito: "In caso d’infortunio mortale sul lavoro

occorso nell'ambito di uno stabilimento militare, i vertici di tale stabilimento possono esser chiamati a rispondere del delitti di omicidio al pari di ogni altro dirigente di uno

stabilimento industriale, in quanto anche nell'ambito di strutture militari vige l'obbligo del rispetto della normativa antinfortunistica" (Cass. Pen. sez. IV, 14/5/2002, n. 34345).

Un’altra sentenza dice: "In tema di responsabilità colposa per violazione di norme prevenzionali, la circostanza che la condotta antidoverosa, per effetto di nuove

conoscenze tecniche e scientifiche, risulti nel momento del giudizio produttiva di un evento lesivo, non conosciuto quale sua possibile implicazione nel momento in cui è stata tenuta, non esclude la sussistenza del nesso causale e dell'elemento soggettivo

del reato sotto il profilo della prevedibilità, quando l'evento verificatosi offenda lo stesso bene alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesto dalla

norma, e risulti che detto comportamento avrebbe evitato anche la lesione in concreto attuata" (Cass. pen. sez. IV, 11/7/2002, n. 988).

- In alcuni casi i nostri militari hanno operato adottando il Codice Penale Militare di Guerra, in altri adottando il Codice Militare di Pace. Cosa e previsto da questi Codici in

relazione alla sicurezza del personale? Entrambi i Codici mettono in rilievo il dovere dei comandi di garantire il massimo possibile di protezione agli uomini. Il che è ovvio in condizioni di guerra, ma la

questione è contemplata anche in condizione di pace. Occorrerebbe collegare l’uranio impoverito all’infortunistica militare e alle norme del

codice di pace.

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Il comandante, in tal senso, è equiparato ad un datore di lavoro. L’art. 117 del Codice

Penale Militare di Pace stabilisce specifiche sanzioni per chi non svolge un compito affidatogli.

Se si parte dal fatto che la Legge 626/94 sopra nominata è valida anche per l’ambito militare, l'incarico dei comandanti di garantire sicurezza agli uomini loro affidatili è un dovere che deve essere espletato. In mancanza di espletamento, vige l'Art.117 del

Codice Penale Militare di Pace che recita: (Omessa esecuzione di un incarico) – Il comandante di una forza militare, che, senza

giustificato motivo, non esegue l’incarico affidatogli, è punito con la reclusione militare fino a tre anni. La condanna importa la rimozione. Se l’incarico non è eseguito per negligenza, la pena è della reclusione militare fino a un anno.

- Tornando per un attimo al nesso di causalità, in un articolo del 2001 Mandelli ritratta

e afferma che non si possa escludere una relazione tra tumori e uranio impoverito. Questo dovrebbe inficiare molte affermazioni ufficiali. Infatti.

In un articolo a firma dei Professori Mele e Mandelli pubblicato sulla rivista medica “Epidemiologia e prevenzione” del maggio-giugno 2001, relativo alla seconda

relazione, si segnala che un eccesso di linfomi di Hodgkin era già stato notato nella seconda relazione.

E aggiungo che sarebbe certamente emerso già nella prima relazione, se fosse stata presa in considerazione la distribuzione di Poisson anzichè quella di Gauss, che invece è stata erroneamente utilizzata.

Si legge comunque che “per quanto riguarda poi l’associazione tra l’eccesso di Linfoma di Hodgkin e uranio impoverito, come è stato discusso nella relazione, attualmente

siamo in presenza di una carenza di conoscenze per cui non siamo in grado di escludere che l’uranio impoverito possa essere causa di tale patologia” Si legge inoltre “d’altro canto gli stessi studi autorizzano a riflettere su una possibile

relazione di causalità tra l’esposizione all’uranio e l’eccesso di alcune patologie neoplasiche. Inoltre non si deve trascurare che le conoscenze sul destino metabolico

dell’uranio prefigurano la possibilità dell’insorgenza di neoplasie dei tessuti linfatici”. Si può osservare che se si dichiara che nella seconda relazione si è riscontrata una “carenza di conoscenza”, questo fatto avrebbe dovuto essere a maggior ragione

evidenziato e reso pubblicamente noto all’atto della presentazione della prima relazione! Ma in questa forse non a caso si è taciuta una mancanza di conoscenze.[44]

- Veniamo ora al problema della trasparenza informativa. Su “Metro” del 1˚ ottobre 2003 usci un articolo dal titolo “Volevo avvisare i soldati.

Mi hanno mandato via”. Un funzionario della sanita militare della Difesa, contrario al

regime del silenzio e rimasto anonimo dice” i responsabili dei settori chiave della

Difesa sono militari. E parlare di certe cose, sollevare certi argomenti, significa intaccare la grande maggioranza dei vertici militari, il loro potere, il potere di quelli

che da anni mandavano i soldati nei Balcani…”Questo articolo, alla luce anche di ciò

che si e detto finora, rivela la barriera del segreto che circonda il tema dell’uranio impoverito. E contrasta le affermazioni della Difesa secondo le quali c’è stata la

massima trasparenza informativa e la massima disponibilità verso l’esterno. Circa la disponibilità potremmo ricordare che l’Associazione che presiedo rese noto al Ministero che un gruppo di scienziati (il gruppo del Prof. Zucchetti) era disponibile alla

più ampia collaborazione nello svolgimento dei lavori, ma questa collaborazione fu nettamente rifiutata. [45]

Poi darò due esempi contro l’idea che le informazioni militari in Italia siano chiare e trasparenti.

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Il governo italiano, rispondendo ad una interrogazione parlamentare sulla morte del

militare sardo Salvatore Vacca, rispose che la causa della sua morte (il militare era stato in Bosnia) non poteva certo attribuirsi all’UI (come si sospettava) perchè in

Bosnia l’UI non era stato impiegato. Un anno dopo dovette clamorosamente smentire il fatto. Tra l’altro, come già detto, gli aerei che avevano usato armi all’uranio in Bosnia erano

partiti per la maggior parte dalla base di Aviano e dovevano essere noti al Comando italiano della base.

Quindi la risposta fornita dal Governo al Parlamento era falsa. [46] Il secondo esempio riguarda il numero di militari che sono stati esposti alle armi all’uranio essendo privi di misure di protezione.

Nella prima Relazione Mandelli ne figurano circa 40.000, nell’ultima circa 43.000. Ma questa cifra è priva di significato perché include in un unico gruppo personale che ha

operato in Bosnia senza protezione (almeno fino al 22 novembre 99, data in cui vennero emanate le disposizioni di sicurezza della KFOR) e personale che aveva operato dopo quella data. E soprattutto personale che aveva adottato le misure di

protezione e quindi non poteva più essere considerato come personale a rischio. In realtà il personale a rischio che aveva operato senza protezioni, e quindi esposto al

rischio, è molto inferiore a quello indicato nella relazione. Ovviamente questo ha causato delle errate valutazioni del rischio.

Ad esempio, ad oggi non si sa ancora quanti casi di possibile contaminazione dobbiamo prendere in considerazione. Non sono stati mai forniti dati precisi in merito. Quelli forniti dal Ministero della Difesa sono molto diversi dai dati in possesso di altre

organizzazioni. E potremmo anche citare quanto affermò il Sottosegretario alla Difesa Salvatore Cicu

nella Conferenza che tenne presso il poligono di Salto di Quirra, in cui affermò che non si potevano fornire informazioni sull’attività del poligono relative all’epoca anteriore al 1992.

L’informazione è quanto mai vaga e carente. Per non parlare dell’assenza d’informazioni chiare e complete fornite ai soldati. Vari

militari hanno detto che non conoscevano le istruzioni per proteggersi. Ancora meno informati erano (e sono) i civili. La legge 241/90 sulla trasparenza amministrativa che era stata concepita come una

legge per rendere accessibile ai cittadini il massimo numero di informazioni si è trasformata nel suo opposto, perché attraverso i decreti applicativi è diventata una

legge delle “eccezioni alla trasparenza” e quindi una legge che mira alla massima intrasparenza possibile. Tanto da poter dire che l’Italia può essere considerata una Repubblica fondata sul

segreto (per lo più abusivo!)

- A proposito dell’aspetto politico della questione, riguardo all’uranio impoverito ci sono state pesanti sottovalutazioni governative. In comune i governi hanno la stessa sudditanza all’apparato militare.

Nel senso che il problema di fondo è che per tutto ciò che riguarda le questioni tecnico-militari, i politici affidano la risposta ai militari stessi, anche in casi come

questo in cui ci sono fortissime ripercussioni a livello sociale. Forse è giusto precisare che, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, dove i parlamentari possono avvantaggiarsi dei pareri di grandi organismi di studio anche in

campo militare, in Italia tali organismi indipendenti dall’apparato militare non esistono.

E quindi è impossibile confrontare pareri divergenti e formarsi un’opinione indipendente.

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- Il 17 novembre 2004 e stata istituita con deliberazione del Senato la Commissione

parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, che si e’ chiusa con la Relazione al Presidente del Senato approvata il 1° marzo 2006. Quali sono secondo lei i problemi

che la Commissione non ha affrontato e che invece sono essenziali? È da precisare, innanzi tutto, che il mandato conferito alla Commissione è stato un mandato assolutamente restrittivo e che soprattutto evadeva il tema fondamentale

della questione. E cioè, com’è stato possibile che i nostri reparti abbiano operato nelle missioni in

Somalia e in quelle nei Balcani per oltre sei anni senza adottare, a differenza di quanto hanno fatto le Forze degli Stati Uniti, misure di protezione? Del tutto mancante nel mandato un’altra questione fondamentale e cioè la valutazione

dei risultati della Commissione Mandelli, sia per quanto riguarda il mandato affidato a tale Commissione, sia per ciò che concerne il modo in cui furono raccolti ed elaborati i

dati, sia riguardo all’analisi degli errori compiuti nella relazione (tra cui quello relativo allo stesso metodo di calcolo che ha previsto l’impiego della distribuzione di Gauss al posto di quella di Poisson).

La Commissione avrebbe dovuto anche esaminare il grave fatto che dopo la prima conferenza stampa, basata su dati errati, non siano stati rese noti con simili

conferenze stampa i risultati delle successive relazioni. Questo in modo da rendere note al pubblico le correzioni che dovevano essere apportate a quanto asserito nella

prima. E cioè il numero anomalo e ingiustificato dei linfomi di Hodgkin che risultò evidente fin dalla seconda relazione e così pure gli altri gravi rilievi di cui ho parlato. E’ dunque mancato nella Commissione ogni dibattito sulle responsabilità che vi sono

state in relazione a quanto accaduto perché, è bene ribadirlo, quanto è accaduto non è dovuto né al fato né al destino cinico e baro. [47]

- Lei ha dichiarato ad alcune agenzie stampa che c’e’ stata una immotivata assoluzione dell’uranio impoverito. Infatti secondo la Commissione non c’e’ alcuna

prova che l’uranio impoverito sia pericoloso. Lei ha ritenuto questa opinione impropria, ingiustificata e assai dannosa per la valutazione del grave fenomeno che si e’

verificato. Ha anche sostenuto che secondo lei era meglio che i cinque senatori che si sono astenuti avessero “votato contro” per manifestare il loro netto dissenso. O,

quantomeno, avessero presentato una “relazione di minoranza.”Puo spiegarci il

perche del suo atteggiamento? Credo che ci sia stata una tentazione da parte di qualche membro della Commissione

di trasformarsi da senatore in epidemiologo. Questa tentazione ha spostato il dibattito verso un campo estraneo alla competenza del Parlamento. Il Parlamento deve confrontarsi con problemi di comportamento e di responsabilità sul

piano politico e militare. Si tratta dei problemi che stanno “dietro” a ciò che, nel caso dell’uranio impoverito, è accaduto con i tanti casi di malattia e di morte che si sono

verificati. Non si trattava di accertare se l’uranio impoverito fosse pericoloso o meno, problema di non facile soluzione che comunque, semmai, dovrebbe essere di competenza di un

congresso medico ad alto livello, visto che non si conosce ancora l’eziopatologia dei tumori. [48]

In merito alla questione comunque una cosa è certa ed è che l’uranio è un metallo pesante e quindi intrinsecamente pericoloso. Di conseguenza il suo trattamento implica l’adozione di misure di protezione. Sulla materia è bene ricordare comunque

che si dispone di un’ampissima letteratura medica, precedente e seguente alla guerra del Golfo del 1991, che quindi prende in considerazione i numerosissimi casi di

malattia, di morte e di malformazione alla nascita che si sono verificati tra i reduci della guerra del Golfo.

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Da questa letteratura si ha la conferma della necessità di adottare norme di

protezione e di fatto, come si è accennato nel corso di questa intervista, fin dal 1984 (almeno per quanto è a nostra conoscenza) erano state emanate norme di

precauzione, come l’uso di maschere, guanti, occhiali, tute impermeabili ecc., che riguardavano addirittura l’impiego dell’uranio a freddo. Per inciso nel dibattito che vi è stato in Commissione si è parlato solo di quanto

concerneva gli effetti dell’uranio ad altissima temperatura in seguito alla esplosione delle armi contro ostacoli solidi ma non si è parlato di quanto concerne il maneggio a

freddo, ad esempio nei depositi. C’è da osservare che da quando i nostri reparti hanno adottato le norme, i casi di tumore e altre gravi infermità si sono drasticamente ridotti. I militari come pure (anzi

ancora di più) i civili dovevano essere avvertiti in tempo utile dei rischi. Perfino sui pacchetti di sigarette c’è un “avviso ai naviganti” del tipo «il fumo uccide».

Nessuno per sei anni ha reso noti i rischi da uranio impoverito ai militari e ai civili. Inoltre, il ‘voto’ di astensione ha facilitato l’assoluzione dell’uranio. Un’assoluzione del tutto infondata, che peraltro ha effetti negativi su tutta la

problematica degli indennizzi.

- Lei e stato molto critico anche per ciò che riguarda i poligoni di tiro. Ritiene che la Commissione non abbia fatto quanto era necessario e doveroso fare?

Ripeto quanto ho affermato prima circa il fatto che la Commissione ha avuto un tempo relativamente troppo breve a disposizione e non ha quindi potuto recarsi in vari poligoni in Italia come quelli nel Triveneto, nel Lazio (ad esempio l’importantissimo

poligono di Nettuno), nelle Puglie, ma si è limitata solo a rendersi conto della situazione relativa a due poligoni della Sardegna.

E’ comunque bastato questo sopralluogo per mettere in evidenza vari gravissimi problemi. La Commissione avrebbe dovuto, io credo, pronunciarsi in modo molto deciso su tali

problemi. Il più grave di tutti è l’inesistenza di controlli sulle ditte civili che per tanti anni hanno operato senza riferire alcunché alle autorità preposte alla gestione dei

poligoni e cioè alle autorità regionali e locali e alle autorità sanitarie competenti per le singole zone. Le conseguenze sui civili abitanti nelle aree circostanti il poligono sono stati sempre

trascurati, nessuno si è preoccupato di quanto accaduto e va tenuto presente che nei poligoni della Sardegna hanno operato con sperimentazioni militari e civili anche paesi

sulla cui affidabilità si potrebbe avanzare qualche riserva. Come si può affermare, in relazione ai poligoni della Sardegna, che non è stato impiegato uranio impoverito se non si è minimamente controllato quanto è avvenuto

circa la sperimentazione delle ditte civili? Sull’attività dei poligoni c’è stata, certamente, molta più segretezza nei riguardi dei

nostri concittadini che degli stranieri. In proposito, quali “nulla osta di segretezza” sono stati concessi agli stranieri operanti nei poligoni? Il problema della segretazione che ha reso praticamente impossibile la conoscenza di

dati fondamentali che concernono anche le condizioni ambientali della sicurezza delle persone credo dovesse essere affrontata in modo più approfondito nelle conclusioni

della Relazione, formulando precise richieste di precisazioni alle Forze Armate, al Ministero della Difesa, al Ministero dell’Interno e al Ministero della Salute. Altro problema di non poco impatto riguarda i modi in cui sono stati condotti i test

ambientali nei poligoni per accertare (si fa per dire) l’inquinamento. Credo che fosse importante che la Commissione chiedesse al Ministero della Difesa, al

Ministero dell’Ambiente nonché al Ministero della Salute precisazioni su come è stato possibile effettuare tali test e soprattutto su come è stato possibile dedurre da questi

test che il personale nella zona non avrebbe corso alcun rischio.

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Altra questione delicatissima riguarda come la Commissione abbia potuto constatare

l’esistenza in alcuni poligoni di zone “non bonificabili”. E’ un caso di notevole rilevanza perché queste zone sono praticamente sottratte al territorio italiano.

Credo che anche a questo proposito sarebbe stato necessario includere nelle conclusioni della Commissione delle specifiche richieste di spiegazione ai Ministeri della Difesa, dell’Interno e dell’Ambiente per conoscere chi ha consentito che si

creassero simili zone nel nostro territorio e che cosa si intende fare in merito in futuro. Quanto alla irregolarità delle operazioni compiute nel poligono è stato reso noto

recentemente sul quotidiano “Il Giornale di Sardegna” del 30 marzo 2006 e su “La Nuova Sardegna” del 31 marzo il fatto che un funzionario del Ministero dell’Economia, il quale ha posto tutta una serie di questioni relative alla gestione dei poligoni, è stato

rimosso dall’incarico. [49]

- Lei ha posto una serie di rilievi su un’altra questione sulla quale a suo parere la

Commissione avrebbe dovuto esprimersi e che riguarda le operazioni NBC e il monitoraggio dei reduci. Ripeto ancora una volta che il tempo concesso alla Commissione è stato troppo breve

e questo giustifica in parte l’accaduto. Tuttavia alcune questioni sia pure in forma provvisoria avrebbero dovuto comparire

nelle conclusioni della relazione finale. Per quanto riguarda le operazioni NBC c’è da chiedersi com’è stato possibile che siano stati impiegati strumenti assolutamente inadeguati alla rivelazione delle radiazioni da

uranio impoverito. Basti pensare che la fascia esplorata dagli strumenti, procedendo a passo d’uomo, è di 10 cm. Conseguenza: in Bosnia si è potuto affermare ufficialmente

da parte del Ministero della Difesa che non vi era traccia di uranio. [50] Credo che la Commissione avrebbe dovuto chiedere conto, sempre nelle conclusioni del suo lavoro, di come sia potuta avvenire questa grave leggerezza che ha fatto

ritenere ai nostri reparti che non corressero alcun rischio. C’è anche la questione su quali valutazioni abbiano fatto, per quanto riguarda la sfera

della Magistratura, le Procure militari e civili che sono state interessate al problema. Circa il monitoraggio, la Commissione Mandelli aveva fatto presente nei suoi suggerimenti l’esigenza di un piano relativo ai “reduci” militari e civili delle missioni.

Questo piano, come risulta anche dalle affermazioni di persone audite dalla Commissione, è fallito.

Mi pare che la Commissione avrebbe dovuto chiedere al Ministero della Difesa e al Ministero della Salute precise spiegazioni sul fallimento del piano di monitoraggio e chiedere che venissero accertate le relative responsabilità. Del resto numerose

interrogazioni parlamentari avevano messo in chiara luce l’esistenza del problema.

- Come si è posta la Commissione rispetto al paventato pericolo dei vaccini? La problematica dei vaccini è una questione che è stata discussa nella Commissione

del Senato. Ma credo che, come le altre questioni sopra accennate, dovesse concludersi con la richiesta di accertamenti su quanto è accaduto. La problematica dei vaccini ha riguardato due aspetti sui quali non è ammissibile che

non si faccia chiarezza con urgenza. Il primo aspetto concerne il fatto che vi è chi ritiene che alcuni vaccini contengano

delle sostanze cancerogene come il Neotyf, mentre il secondo riguarda il fatto che molti militari hanno lamentato che le vaccinazioni, che avrebbero dovuto essere somministrate secondo un’adeguata tempistica, sono state invece somministrate tutte

insieme con ovvi effetti negativi. Collegata alla questione dei vaccini è poi quella che riguarda la mancata proibizione

dei solventi contenenti sostanze cancerogene come il benzene e lo xilene. Tra l’altro,

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per l’uso dei solventi occorre adottare adeguate misure di protezione e nessuna

risposta si è avuta in merito. [51] Come per le altre questioni sopra accennate, credo che la Commissione nella sua

relazione finale avrebbe dovuto avanzare esplicite richieste di chiarimento al Ministero della Salute (per quanto riguarda la eventuale pericolosità intrinseca dei vaccini) e alla Direzione della Sanità Militare (per quanto riguarda le modalità con cui sono stati

propinati i vaccini). Un altro aspetto della questione, ed è di particolare gravità, riguarda i civili che hanno

operato in zone contaminate da uranio impoverito, in relazione ai vaccini e alle norme di protezione (questione alla quale è interessato il Ministero dell’Interno).

- Tra i temi da lei accennati c’è lo studio Signum, uno studio che e stato approvato dal Parlamento con un costo elevatissimo senza che peraltro al Parlamento fossero state

rese note le specifiche modalità con il quale si intendeva mettere in atto questo progetto. Credo che la Commissione anche a questo riguardo avrebbe dovuto chiedere, nelle

conclusioni, dei precisi chiarimenti al Ministero della Difesa e al Ministero della Salute, e ciò a partire dall’impiego dei mille militari “cavia”.

Sembra infatti che sia stato previsto che tutto il personale sul quale si dovrebbe effettuare la sperimentazione debba adottare le misure di protezione previste per i

pericoli ambientali anche con qualche “aggiunta” rispetto a quanto finora stabilito. E allora se tali protezioni, come si afferma, garantiscono una sicurezza pressoché completa dai pericoli dell’uranio è assai prevedibile che già prima di iniziare la

sperimentazione si possa arguire che nessuna di queste “cavie” potrà essere contaminata. Il che ovviamente non significa affatto che se ne possa trarre la

conclusione che tale personale, qualora privo delle misure di protezione, non corra rischi.

- Altro problema da lei messo in rilievo e l’accordo Stato-Regioni. Questo accordo, di cui si è molto parlato, non ha funzionato per ammissione stessa di

personale audito dalla Commissione. Il decreto legge del 29 dicembre 2000 n. 393 convertito con modificazioni dalla legge del 28 febbraio 2001 n. 27 riguarda tra l’altro solo le aree del Kossovo e della Bosnia.

E così come era accaduto per la relazione Mandelli, vengono trascurati altri paesi dei Balcani (ad esempio Albania e Macedonia) e le altre zone operative come il Kuwait

(1991), la Somalia (1993), i poligoni nei quali, pure, si sono registrate delle possibili contaminazioni da uranio impoverito. Ci sarebbero da porsi alcune domande sia sul modo in cui l’accordo è stato impostato,

sia sui motivi del suo fallimento, sia sulla mancata applicazione di adeguate correzioni da quando è stato emanato ad oggi. Tenuto anche conto delle interrogazioni

parlamentari che sono state avanzate in merito. - Infine, l’ultima questione sui cui del resto si è ampiamente fatto cenno in questa

intervista, e cioè la questione degli indennizzi. A questo proposito, nella relazione finale della Commissione, sono contenuti degli

errori per quanto riguarda l’applicazione delle leggi 308/81 e 280/91. In particolare, a pag. 32 della suddetta relazione, si auspica che venga emanata una legge apposita per concedere gli indennizzi (in particolare la “speciale elargizione”)

indicati nelle leggi. Il che starebbe a significare che le leggi esistenti non consentono, così come sono

formulate oggi, di provvedere agli indennizzi. E così verrebbero giustificati i mancati indennizzi che si sono, purtroppo, verificati.

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Ma ciò non è affatto vero, in quanto le leggi esistenti già garantiscono questi

indennizzi. E quindi, quanto scritto nella relazione serve solo a coprire delle responsabilità non

lievi di chi finora non ha concesso i suddetti indennizzi provocando danni gravissimi alle vittime gravemente infortunate e ai familiari dei deceduti. Infatti finora l’indennizzo denominato “speciale elargizione” (nella miserrima cifra di

50 milioni di vecchie lire) per la morte (od infortunio grave) di un militare, non è stato concesso, o più precisamente, non è stato concesso nei riguardi di quelle vittime che

si possono considerare di serie C. Ciò per precisare che vi sono anche delle vittime di serie A – che non sono le vittime per possibile contaminazione da uranio impoverito – le cui famiglie hanno percepito questa speciale elargizione nella misura di circa 400

milioni di vecchie lire. Una grandissima ingiustizia è stata compiuta per le vittime del dovere. Non deve

esserci differenza tra chi muore per l’esplosione di una bomba o chi muore per le esalazioni di una bomba. Inoltre le predette leggi prevedono che la concessione fosse dovuta sia ai militari di

leva (deceduti o infortunati gravi) sia ai militari volontari/di carriera (deceduti o infortunati gravi) ed invece il Ministero della Difesa ha erroneamente ritenuto che la

speciale elargizione spettasse solo ai superstiti dei militari di leva deceduti, escludendo quindi il personale di leva gravemente infortunato e il personale volontario/di carriera

deceduto e infortunato grave. Per inciso, per i civili non è stato nemmeno preso in considerazione il problema degli indennizzi. Inoltre è stata completamente trascurata tutta la questione che riguarda il “danno

ambientale” che lo Stato ha però dovuto pagare nella misura circa 500 mila Euro alla famiglia di un militare deceduto che ha fatto causa allo Stato su questo argomento.

Vorrei far rilevare che ho scritto al Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta e ai Commissari in merito alla relazione che è stata presentata ed approvata segnalando alcune di queste problematiche.

E c’è da chiedersi, in particolare, se non dovesse essere stata fatta seguire alla relazione una modifica per correggere gli errori esistenti.

Non ho avuto ancora alcun cenno di risposta. Ho scritto in merito anche al Presidente del Senato Sen. Marcello Pera due lettere che hanno avuto una risposta assai deludente. Eppure si tratta di una questione così

delicata che riguarda la vita e la morte dei cosiddetti “nostri ragazzi”. Abbiamo parlato in questa intervista soprattutto delle questioni interessanti i militari

impegnati in zone di possibile contaminazione da uranio impoverito ma è bene non dimenticare che l’Italia non ha inviato solo militari ma anche civili e che il trattamento dei civili in fatto di informazione sui rischi da uranio impoverito e sulle misure di

protezione da adottare è stata ancor più carente di quello che ha riguardato i militari. E le vittime sono state ancora più ignorate. E ciò è veramente desolante.

Ma non va dimenticato il problema più grande di tutti, quello dei civili abitanti nelle zone che sono state bombardate con armi all’uranio e nelle aree limitrofe per le quali evidentemente nessuna protezione di sicurezza sarebbe stato possibile adottare.

E ciò pone il problema veramente di fondo rappresentato dalle armi ad uranio impoverito per le quali l’unica soluzione possibile è quella della abolizione delle armi

stesse. E questo, credo, avrebbe dovuto essere anche l’auspicio della Commissione Senatoriale d’Inchiesta in nome di elementari principi umanitari.

Carta D’Identità dell’uranio impoverito L’uranio impoverito (UI o DU nella dizione inglese “Depleted uranium”) è il nome

scientifico per indicare quello che più comunemente si chiama “scoria nucleare” o “rifiuto radioattivo”.

L’uranio “naturale” è composto da quattro isotopi: U-234, U-235, U-236 e U- 238.

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L’U-234 e l’U-236 hanno una percentuale di concentrazione minima, mentre è in gran

parte costituito da U- 235 (0,7196 %) e U-238 (99, 2749 %). L’uranio “naturale” è radioattivo, ma non è in grado di attivare una combustione

all’interno dei reattori nucleari, perciò viene sottoposto ad un processo di arricchimento tramite l’apporto di isotopi fissili U-234 e U-235. Il sottoprodotto di scarto derivato (uranio impoverito) ha una percentuale ridotta di U-

235 (0,2015 %) ed è composto per il 99 % da U-238. Si può ricavare l’uranio impoverito anche dal riprocessamento del combustibile

nucleare esaurito (scorie dei reattori nucleari). A seconda del processo subito si ottengono due tipi di uranio impoverito: 1) UI “pulito” ossia gli scarti della preparazione del combustibile nucleare durante il

processo di arricchimento dell’uranio “naturale”. 2) UI ”sporco” ossia il residuo del riciclaggio del combustibile nucleare esaurito.

Contiene l’80% della radioattività dell’uranio naturale e tracce di U-236 e di altri elementi transuranici (nettuno, plutonio, americio, tecnezio 99) che derivano dalla fissione nucleare. Tali elementi non sono presenti in natura e sono particolarmente

pericolosi per l’uomo e l’ambiente. L’uranio impoverito ha un’emivita media (o tempo di dimezzamento) di circa 4,5

miliardi di anni. Durante il processo di decadimento genera alcuni isotopi (torio 234, proattinio 234, U-

234) che determinano la radioattività. Alla fine di questo processo, l’uranio si trasforma in piombo. L’uranio impoverito che decade emette raggi Beta, Gamma e Alfa.

Le particelle Alfa agiscono solo a breve distanza e risultano più pericolose per la salute solo dopo il contatto con il corpo. Sono per lo più innocue se la sorgente è esterna

all’organismo, ma diventano un forte agente mutageno se emesse all’interno. Inoltre, minori sono le dimensioni del frammento di uranio impoverito, maggiore è la possibilità che le particelle Alfa siano contaminanti. Ad esempio, se l’Uranio impoverito

si trova sotto forma di polvere, è più facile che le partcelle Alfa emesse fuoriescano ad irradiare un organo.

L’uranio impoverito è usato in campo militare per la costruzione di proiettili, missili e corazze. Quest’uso deriva da due qualità principali del metallo.

Innanzi tutto l’alta densità (circa 1,7 volte maggiore di quella del piombo) che ne rende più efficace la capacità di penetrazione.

Poi la piroforicità, cioè la capacità di prendere fuoco spontaneamente nell’impatto con un bersaglio resistente. Può raggiungere temperature di 3000 gradi e produrre un aerosol (polvere) di particelle di ossido d’uranio facilmente inalabili o ingeribili.

BIBLIOGRAFIA Libri - International Action Center, Il metallo del disonore, Asterios Editore, 1999

- Stefania Divertito, Uranio. Il nemico invisibile, Infinito, 2005

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Giornali - Antonio Maria Mira, Gli accordi segreti? Illegittimi, “Avvenire” 3.08.1995

- Gabriele Masiero, Caso Mandolini: mio fratello ucciso dai militari, “L’Unità”

20.08.1997 - F.A., Uranio impoverito dietro la morte dei due militari sardi?, “La Nuova Sardegna””

19.12.1999

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46

- Falco Accame, Uranio impoverito, il governo tace, “Liberazione” 12.05.2000

- Nel Kosovo “italiano” quattro tonnellate di uranio impoverito, “L’Unione sarda”

14.11.2000

- Mauro Giacon, ≪Le Forze armate dicano il vero≫, “Gazzettino” 21.12.2000

- Carlo Corradini, ≪Una pioggia di uranio sui nostri soldati≫, “Il Tempo” 22.12.2000

- Mario Cervi, Uranio, tutti sapevano tranne i soldati, “Il Giornale” 4.01.2001

- Alessandro Cassinis, Armi all’uranio usate in Somalia, “Il Secolo XIX” 6.01.2001

- Alessandro Farruggia, L’Italia vuole altre mappe dalla Nato, “La Nazione”

17.01.2001 - Massimo A. Alberizzi, Documento americano. Proiettili all’uranio usati anche in

Somalia, “Corriere della Sera” 21.01.2001 - La Procura di Bari avvia un’indagine sulle basi pugliesi, “ Il Tempo”26.01.2001

- Marina Marenna e Maria Nudi, Uranio, il para ucciso sara’ riesumato, “La Nazione”

27.01.2001 - Alberto Selvaggi, ≪Io, dopo il Golfo malato di leucemia≫, “Gazzetta del

Mezzogiorno” 30.01.2001 - A. N., Il caso Mandolini un giallo all’uranio, “Liberazione” 31.01.2001

- Colletta per il maresciallo malato, “Il Corriere delle Alpi” 1.02.2001

- Uranio. Caso di malattia a Feltre, “Gazzettino” 1.02.2001

- Stefano Citati, “Tute e maschere sotto il sole somalo”, “La Repubblica” 1.02.2001

- Tiziana Paolocci, ≪Quei sei mesi in Somalia che uccisero mio marito≫, “Il Giornale”

2.02.2001 - Alessandra Vaccari, Maresciallo morto l’uranio non c’entra, “L’Arena” 2.02.2001

- Alessandra Vaccari, ≪Voglio certezze≫. Replica la vedova, “L’Arena” 3.02.2001

- Angela Nocioni, ≪A Salto di Quirra sperimentavano armi radioattive≫, “Liberazione”

7.02.2001 - Stefano Mannucci, Munizioni all’uranio per gli italiani in Somalia, “Il Tempo”

10.02.2001 - Stefano Mannucci, La Commissione Difesa indagherà sulle morti dei soldati in

Somalia, “Il Tempo” 13.02.2001

- Ang. N., ≪Verità’ sull’uranio≫. Militari in piazza, “Liberazione” 25.02.2001

- Michele Garbato, Cronaca di un inferno, “Del Sarrabus” n. 8, marzo 2001

- Alessandra Farkas, Una ≪sindrome dei Balcani≫ anche a Portorico, “Il Corriere della

Sera” 7.03.2001 - Falco Accame, I misteri di Cecina, “Liberazione” 21.03.2001

- Massimo A. Alberizzi, Uranio, molti punti oscuri, “Corriere della Sera” 22.03.2001

- «Uranio a Bibbona≫, “L’Unione Sarda” 23.03.2001

- M. B., ≪Non c’e uranio alle Casermette≫, “Il Tirreno” 23.03.2001

- Proiettili all’uranio impoverito in un deposito militare toscano, “Libero” 23.03.2001

- Stefano Mannucci, ≪Armi da Israele, un acquisto proibito≫, “Il Tempo” 25.03.2001

- Anna Biban vedova Pizzamiglio, ≪Perché’ non ha preso in considerazione i militari in

Somalia?≫, “Liberazione” 5.04.2001

- Stefano Citati, Uranio impoverito: “Errori nei calcoli della commissione, “La

Repubblica” 19.05.2001

- Maria Lina Veca, Contrordine…L’uranio impoverito e’ pericoloso, “Rinascita”

27.05.2001

- Stefano Citati, Uranio: “Eccesso di linfomi tra i soldati”, “La Repubblica”

30.05.2001 - Maria Lina Veca, Accame replica a Mandelli, “Rinascita” 14.06.2001

- G. Battista Marica, Lo Stato si assuma le proprie responsabilita, “La Nuova”

7.09.2001

Page 225: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

47

- Alfonso Mele e Franco Mandelli, Gli studi sull’uranio impoverito devono continuare,

“EP-Epidemiologia e Prevenzione” anno 25 (4-5), luglio ottobre 2001 - Falco Accame, Ancora armi all’uranio?, “Liberazione” 12.10.2001

- Maria Lina Veca, Bosnia: il melanoma colpisce i civili italiani, “Rinascita” 1.11.2001

- Melanomi sospetti, “Il Manifesto” 24.11.2001

- Piero Mannironi, ≪Voglio che sia fatta chiarezza sulle nascite anomale in paese≫, “In

Sardegna” 6.03.2002 - Piero Mannironi, ≪Onorevole Cicu, ecco le mie proposte≫, “In Sardegna” 20.03.2002

- Walter Falgio, Uranio, l’inchiesta degli scienziati contro la guerra, “Liberazione”

19.05.2002 - Falco Accame, Uranio, l’Italia scarica i soldati malati di cancro, “Liberazione”

22.08.2002 - Davide Madeddu, Malato di tumore, lo Stato rivuole indietro la pensione, “L’Unità”

12.09.2002 - Stefania Divertito, Uranio, l’Italia sapeva dal 1984, “Metro” 27.05.2003

- Gian Marco Chiocci, Gli Usa avvisarono D’Alema: ≪L’uranio impoverito uccide≫, “Il

Giornale” 28.05.2003 - Stefania Divertito, Morti per l’uranio il balletto delle carte, “Metro” 29.05.2003

- Sabrina Deligia, Ecco i figli malformati dell’uranio. Vittime italiane della “Sindrome

del Golfo”, “Liberazione” 29.05.2003

- Sabrina Deligia, Uranio impoverito, vittime e menzogne, “Liberazione” 3.08.2003

- Stefania Divertito, “Volevo avvisare i soldati mi hanno mandato via, “Metro”

1.10.2003 - Stefania Divertito, “Non abbiamo mai escluso che l’uranio fosse letale, “Metro”

2.10.2003 - M.L.V., Mandelli e Mele ammettono: l’uranio impoverito puo’ causare linfomi di

Hodgkin, “Rinascita” 16.10.2003 - Gabriele Canè, Aiuti in memoria di Nassiriya anche agli eroi di tutti i giorni, “La

Nazione” 17.11.2003 - ≪Una commissione sui poligoni≫, “L’Unione Sarda” 11.03.2004

- ≪Il killer dei Balcani non e l’uranio impoverito≫, “Stampa di Torino” 3.08.2004

- Falco Accame, I famigliari delle vittime hanno ragione: siamo una Repubblica fondata

sul segreto, “Liberazione” 11.08.2004 - Falco Accame, Un apparecchio poco utile, “Polizia e Democrazia” n. 90, agosto-

settembre 2004 - Sabrina Deligia, Uranio, Diana resta fuori, “Liberazione” 23.09.2004

- Antonio Maria Mira, Uranio impoverito. Controlli sanitari non ancora partiti,

“Avvenire” 25.09.2004 - Mario Prignano, Caduti di Nassiriya, il mistero dei risarcimenti, “Libero” 26.09.2004

- Antonio Maria Mira, Uranio impoverito, indignazione per i ritardi. Ora si reclama la

commissione d’inchiesta, “Avvenire” 26.09.2004

- Paolo Micheletto, ≪Risarcimenti impossibili per i volontari≫, “Adige” 14.04.2005

- Angelo Pinti, Forse la legge 308 e uguale per tutti, “Panorama difesa” maggio 2005

- Maria Rosaria Sergio, L’uranio impoverito? Non esiste…, “Sicurezza e Difesa” luglio

2005 - Paola Medde, Reduci dal Kosovo: analisi flop. La Asl non ha i nomi dei militari, “Il

Sardegna” 20.10.2005 - Carlo Mercuri, Nassiriya, croce d’oro ai caduti, “Il Messaggero” 12.11.2005

- Falco Accame, Uranio impoverito: assoluzione per insufficienza di prove,

“Liberazione” 3.03.2006 - Alessandro Zorco, Chiede sicurezza nei poligoni alla fine il ministero lo “silura”, “Il

Sardegna” 30.03.2006

Page 226: Convegni Firenze e Cecina 15-16.04.2016

48

- Marco Nese, Uranio impoverito, 28 soldati italiani morti, “Il Corriere della Sera”

5.04.2006

Agenzie stampa - Adnkronos, 23.11.2000 Kosovo: CISAM, non c’e’ alcun rischio uranio impoverito

- Ansa, 25.11.2000 Bosnia: ANAVAFAF, nel 1995 fu usato uranio

impoverito - Ansa, 15.12.2000 Difesa: uranio; Accame, serve commissione d’inchiesta

- Ansa, 19.12.2000 Difesa: uranio; usato in Kosovo e Bosnia, sospetti su Somalia

- Ansa, 19.12.2000 Difesa: uranio; Accame, finora solo indagini sull’ambiente

- Ansa, 21.12.2000 Uranio: Accame, come e’ possibile che si sappia solo oggi?

- Adnkronos, 21.12.2000 Uranio: Carratelli, se governo Berlusconi fosse stato attento.

Accame, i soldati ricevettero istruzioni per proteggersi? - Ansa, 21.12.2000 Difesa: uranio; a magistratura registri Capo Teulada

- Ansa, 22.12.2000 Uranio: Accame, militari non potevano non sapere

- Ansa, 22.12.2000 Uranio: Intelisano, non ci sono indagati, ma lavoro a 360 gradi

- Ansa, 22.12.2000 Uranio: Verdi, grave sottovalutazione di Scognamiglio

- Ansa, 15.01.2001 Uranio: Accame; usato in Somalia, Usa facevano test medici

- Ansa, 24.01.2001 Uranio: dopo analisi Kosovo, UNEP preoccupata per isotopo 236

- Ansa, 16.02.2001 Uranio, UNEP, trovate infime tracce plutonio in proiettili

- Agi, 24.05.2001 Uranio impoverito: Royal Academy conferma ”e’ pericoloso”

- Ap, 28.05.2001 Australia conferma: in test nucleari inglesi uranio impoverito. La

polvere di uranio e’ cancerogena - Ansa, 4.07.2001 Forze armate: parenti vittime manifestano a Montecitorio

- Ansa 8.11.2001 Morto ex militare che chiese danno biologico dopo Kosovo

- Adnkronos, 23.11.2001 Uranio: Accame, 9 casi melanoma su 800 inviati nei Balcani.

- Ansa, 10.12.2001 Usa: Morbo di Gehrig colpisce veterani Guerra Golfo

- Agi, 10.01.2002 Uranio impoverito: riconosciuta causa di servizio a ex para

- Ansa, 15.01.2002 Afghanistan: Calzolaio (DS), usate munizioni all’uranio?

- Adnkronos, 24.01.2002 Uranio: Sindaco sardo chiede monitoraggio in zone militari

dopo morti sospette per linfoma di alcuni pastori - Agi, 24.02.2002 Osservatorio: militari morti per vaccini non per uranio

- Adnkronos 25.02.2002 Uranio: Oss. Militare, individuato killer leucemia in Balcani

- Adnkronos, 29.04.2002 Uranio: commissione ambiente diffuse precauzioni da

osservare, Nato comunica di aver impiegato proiettili con uranio - Ansa, 29.04.2002 Uranio: Comitato ambiente, prendete proiettili con pinze. Accame,

queste regole non rispettate in Bosnia e poligoni - Dire, 5.03.03 Iraq. Uranio impoverito, Accame: rapporto Mandelli mente

- Ansa, 17.04.2003 Iraq: GB, Royal Society chiede rimozione uranio impoverito

- Ap, 24.04.2003 Iraq/L’ONU chiede bonifica dall’uranio impoverito

- Dire, 2.02.2004 Uranio impoverito. Accame: nel 2001 Mandelli non escludeva rischi

- Apcom, 5.02.2004 L’esercito: nessun nesso con il linfoma di Hodgkin

- Adnkronos, 9.02.2004 Uranio: Accame, in Iraq e Afghanistan

inapplicate protezioni. “Sganciate tonnellate di armi all’uranio impoverito”

- Asca, 04.03.2004 Uranio impoverito: Realacci, sospenderne uso in via precauzionale

- Dire, 9.03.2004 Uranio. Accame: altra morte sospetta (e dimenticata) a Siena.

Eticamente vergognoso il comportamento del Ministero della Difesa - Dire, 8.06.2004 Uranio. Accame. Rivedere decisioni su cause di servizio. Mandelli

afferma connessione con malattie su rivista scientifica - Dire, 5.07.2004 Uranio. Accame. Strumenti indatti, soldati cotaminati dal DU

- Dire, 27.07.2004 Uranio. Accame: ma a reduci dicono ≪niente figli per tre anni≫. Lo

ha detto il Generale Angioni in un’audizione a Montecitorio

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49

- Ansa, 2.08.2004 Uranio: forse non e il vero “killer dei Balcan”. Sempre piu

consistente pista polveri microscopiche - Ansa, 22.09.2004 Uranio: presidio familiari vittime con militare malato davanti a

Palazzo Chigi, chiedono approvazione legge - Dire, 23.09.2004 Uranio. Accame: ma Governo non riceve militare malato di cancro.

Reduce dalla Somalia per 8 (inutili) ore davanti a Palazzo Chigi - Ansa, 25.09.2004 Uranio: Anavafaf, allarmante reazione a Parlamento su militari

reduci da Balcani, ritardi nei controlli - Dire, 11.02.2005 Uranio. Accame: tra vittime Caselli, direttore Missione Arcobaleno

- Dire, 17.10.2005 Uranio. Associazione: 2 nuovi possibili casi, un morto, un malato.

In commissione si parla di rilevatori assolutamente inefficaci - Ansa, 12.11.2005 Iraq: Nassiriya; Accame, non dimentichiamo gli altri morti

- Dire, 15.11.2005 Uranio. Bonatesta (AN): vaccino killer, cresce il ”giallo”

- Ap, 12.12.2005 Serbia/uranio impoverito: quasi completata la decontaminazione

Studi - Prima “Relazione Mandelli” in data 19.03.2001

- Seconda “Relazione Mandelli” in data 20.05.2001

- Terza “Relazione Mandelli” in data 11.06.2002

- Prof. Franco Nobile, La prevenzione oncologica nei reduci dei Balcani, a cura della

“Lega contro i Tumori”, 2002 - Progetto SIGNUM (Ex art. 13 ter della Legge 12 Maggio 2004 n.68) - Studio della Dott.ssa Antonietta Gatti

- Studio del “Comitato scienziati contro la guerra” - Relazione del Gruppo St. Denis su maternità e uranio

Norme di protezione - Norme NATO nel 1984

- Norme USA per la “Restore Hope” in Somalia nel 1993

- Misure NATO per basse radiazioni nel 1996

- Disposizioni della KFOR e dei Nuclei NBC del 22.11.1999

- Disposizioni dello Stato Maggiore della Difesa del 6.12.1999

- Disposizioni della Folgore dell’8.05.2000

- Disposizioni del Capo della Sanità Militare USA in data 16.08.1993

- Disposizioni del Ministero dell’Ambiente in data 26.05.2000

- Studi del CISAM (Centro Interforze Studi Applicazioni Militari)

- Studi dell’UNEP

- Documento del Ministero della Difesa, «Elementi di documentazione sell’interazione

tra uranio impoverito e salute umana nelle operazioni militari», aprile 2005

LEGISLAZIONE Nesso di causalità e probabilità - Sentenza TAR Marche n. 1287/03

- C.C. sez. lav. N. 1573 del 18.02.1994

- C.P. sez. IV n. 3567 del 20.03.2000

- C.C. sez. lav. N. 12909 del 29.09.2000

Indennizzi - Proposta di legge presentata l’11.02.1977 (Atto della Camera n. 1141) d’iniziativa dei

deputati Accame e Achilli recante «Provvedimenti a favore di militari in servizio in caso di infortunio grave o di morte»

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- Legge 308/81 recante «Norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti

alle Forze armate, ai Corpi armati ed ai Corpi militarmente ordinati, infortunati o

caduti durante il periodo di servizio e dei loro superstiti» - Legge 280/91 recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 3 giugno 1981, n. 308»

- Legge 626/94 per «l’igiene e sicurezza sul lavoro»

- Legge n. 369 del 24.12.2003 recante «Disposizioni urgenti in favore delle vittime

militari e civili di attentati terroristici all’estero»

Pareri sull’attribuzione della “speciale elargizione” - Consiglio di Stato in data 31.03.1998

- Commissione Bilancio in data 12.01.2000

- Iª Commissione Affari Costituzionali della Camera in data 12.01.2000

Atti parlamentari Esistono circa 330 interpellanze, mozioni, interrogazioni, assemblee davanti alla

Camera dei Deputati e al Senato. Tutte reperibili su Internet. Commissione parlamentare d’inchiesta - Relazione al Presidente del Senato sulle risultanze delle indagini svolte dalla

Commissione parlamentare d’inchiesta in data 1.03.2006 RINGRAZIAMENTI

Sento il dovere di dire grazie a tutte le vittime della possibile contaminazione da uranio impoverito e alle famiglie dei deceduti e in particolare a tutti coloro che si sono

rivolti all’ANAVAFAF. Tra i casi di cui l’Associazione ha avuto modo di occuparsi, vi sono i seguenti: Inghilleri, Cappellano, D’Alicandro, Bruno, Melis, Porru, Antonaci, Di Zazzo, Ceccarini,

Maramarco, Marini, Marica, Senatore, Pizzamiglio, Manicone, Vargiu, Cardia, Garofalo, Stagni, Melone, Cappellano, Meloni, Grimaldi, Calcagni, Venarubrea, Pilleri, Sepe,

Campagna, Falsarone, Vacca, Pintus, D’Inverno, Buonincontro, Cecchettin, Di Raimondo, Serra, Faedda, Di Giacobbe, Sanese, Diana, Milano, D’Angelo, Floris, Bernardo, Medda, Carbonaro, Boscaino, Del Vecchio St., Del Vecchio Se., Del Vecchio

A., Fotia, Picciuto, Ceccherini, De Marco, Michelini, Laccetti, Gozzo, Paolo, Pilloni, Benetti, D’Alessio, Romanotto, La Monaca

Un grazie particolare a Salvatore Pilloni, padre di Giovanni Pilloni, che pur versando in difficilissime condizioni di salute ha voluto prestare una mano generosa anche ad altri. Altri ringraziamenti sono dovuti:

all’ex Ministro della Giustizia USA Ramsey Clarck, curatore del libro ‘Il metallo del disonore’, che pionieristicamente ha posto all’attenzione del pubblico il problema

dell’uranio impoverito A Paolo Pioppi, efficientissimo segretario della Fondazione Pasti, che ha messo un in più d’animo nel dar vita all’Associazione AUI (Aboliamo l’uranio impoverito).

Al ricercatore Marco Saba, un pioniere della problematica dell’uranio impoverito già componente di “Stop Uranio 238”

Alla Segretaria dell’ANAVAFAF, Sig.ra Concetta Conti, che nonostante non poche difficoltà ha cercato di mantenere i contatti con molte delle famiglie delle vittime.

All’obiettore di coscienza Antonello Repetto, perchè senza la sua segnalazione del primo caso verificatosi in Sardegna, quello di Salvatore Vacca, forse ci sarebbero stati dei grandissimi ritardi nella conoscenza del fenomeno.

Al presidente della Regione Sardegna, che ha avuto la sensibilità di recarsi personalmente a casa di uno dei malati gravi.

Ai Fratelli Pili di Villaputzu, rispettivamente Sindaco e Medico condotto, che hanno coraggiosamente segnalato per primi la situazione anomala dei tumori che si era creata nella zona del poligono di Salto di Quirra.

A tutti gli esperti che hanno voluto collaborare con l’ANAVAFAF tra cui, in particolar modo, il Prof. Evandro Lodi Rizzini dell’Università di Brescia e del CNR di Ginevra e il

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gruppo degli “Scienziati contro la guerra” facente capo al Prof. Massimo Zucchetti

dell’Università di Torino. All’Assodipro, al Giornale dei Militari, al Giornale dei Carabinieri che hanno prestato

particolare attenzione al fenomeno dell’uranio impoverito. Alla LIDU, la Lega per i diritti dell’uomo, ricordando in particolare la sua segretaria, Orietta De Marchi, recentemente scomparsa, il Presidente Prof. Pasquale Angeloni, la

Dott.ssa Patrizia Ravagnan e Aldo Barbona. Alla UIL Puglia, che ha voluto dar vita ad una Associazione di vittime dell’uranio

impoverito nella sua Regione e ha sollecitato l’intervento della Magistratura. Ai giornalisti che hanno avuto la sensibilità di dar voce ad una vicenda sulla quale si è cercato di calare il massimo del silenzio possibile, tra questi Stefano Mannucci de “Il

Tempo”, Piero Mannironi de “La Nuova Sardegna”, Lorenzo Sani de “Il Resto del Carlino”, Vincenzo Tessandori de “La Stampa”, Sabrina Deligia di “Liberazione”.

Un particolare grazie all’interesse dimostrato dalle agenzie di stampa, con specifico riferimento all’ANSA, e a Radio Base di Venezia che ha personalmente seguito tanti casi.

Agli Avvocati Antonella Schirripa, Pasquale Vilardo, Antonio Siffu, Nico Putignano. Ai Parlamentari che con atti ispettivi hanno tenuto vive, in questi anni, le

problematiche dell’uranio impoverito. Una parola di ringraziamento è dovuta ai tanti che si sono adoperati in vari modi per

la causa delle vittime, tra i quali Angela Bellei, Simona Frezza, Marilina Veca, il sito Tibereide, Joachin Lau e quanti non posso ricordare ma so essere ben presenti. E soprattutto un grazie di cuore a Giulia Di Pietro, che ha curato con competenza e

vigilanza critica questa intervista.

Didascalie 1. Norme USA del 1984 2. Norme dello Stato Maggiore della Difesa

3. Le disposizioni precauzionali del Ministero dell’Ambiente 4. Le “Regole d’oro” secondo le norme di protezione emanate dalla KFOR

5. Le norme comportamentali della Folgore 6. Le disposizioni del Capo della Sanità Militare USA 7. Norme Usa del 1993 per l’operazione “Restore Hope” in Somalia Mappa dei siti in

Kosovo colpiti da proiettili all’uranio impoverito fornita dalla NATO all’UNEP 8. L’intensimetro RA141B in dotazione ai nuclei NBC

9. Mappa dei siti in Kosovo colpiti da proiettili all’uranio impoverito fornita dalla NATO all’UNEP 10. Tabella della distribuzione della popolazione, per Forza armata, presa in

considerazione dalla Commissione Mandelli e anno di partecipazione alle missioni. Negli anni 2000/2001 sono conteggiati più di 12.000 casi che non avrebbero dovuto

prendere in considerazione perchè posteriori all’adozione delle norme di protezione. 11. Il parere favorevole del Consiglio di Stato 12. Il parere favorevole della Iª Commissione affari Costituzionali della Camera

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[COMMENTI BIOMEDICO-SOCIALI di GIANCARLO UGAZIO] La diversità delle culture tra gli esseri umani offre aspetti positivi pari a quelli della

biodiversità tra gli organismi, animali e vegetali, che abitano l’orbe terracqueo. Tuttavia, il caso della disparità dei livelli e dei contenuti dell’informazione culturale e scientifica, che interessa i soggetti operanti nella miriade di fattispecie delle attività umane, potrebbe comportare anche una reciproca incomprensione. Tale impressione è stata suggerita al sottoscritto, attento e rispettoso studioso dell’intervista di Di Pietro ad Accame, dalla lettura del suddetto documento. Del resto, l’interdisciplinarietà è un approccio virtuoso suggerito da qualche saggio cultore delle scienze e delle pratiche biomediche; esso potrebbe fornire alla collettività vantaggi di salute e di benessere ancor più copiosi della semplice multidisciplinarietà, troppo spesso un’etichetta priva di contenuto.

Queste sono le radici culturali che hanno suggerito al sottoscritto di presentare i seguenti commenti allo splendido e interessantissimo dialogo suesposto.

La comprensione del tema trattato nel documento Di Pietro-Accame potrebbe essere facilitata dalle premesse della relazione presentata dal sottoscritto al Convegno organizzato da Trani (040615) dall’ADGI. Esse dicono: Il personale militare è costituito da esseri umani perfettamente equiparabili ai cittadini comuni non in divisa. Quindi, anche il loro organismo non obbedisce alle leggi dello stato - ne’ a quelle del tempo di pace ne’ a quelle del tempo di guerra - ma quelle della natura, un corpus iuris non inscritto nelle pandette, ma che include l’approccio dell’homo sapiens di fronte ai veleni ambientali in quel tiro alla fune che gli permette di vivere nella “salute ambientale” oppure che lo trascina nella “patologia ambientale”. In molti casi, la patologia ambientale, costituita anche da un’ampia varietà di affezioni morbose oltre al cancro, è il preludio di un exitus anticipato degli individui esposti ai veleni presenti nell’ambiente.

Inoltre, va da se’ che l’organismo umano, naturalmente, non è facilmente programmabile da un altro uomo perchè ha già provveduto la natura stessa, attribuendogli un personale patrimonio genetico, attraverso l’opera dei genitori. Un genetista potrebbe tentare di riprogrammarlo, senza tener conto che l’homo sapiens è altra cosa da una pianta da frutto: e non meriterebbe proprio di essere trasformato in un OGM, nemmeno per finalità terapeutiche.

[1] Il nesso di causalità – o eziologico - tra i cancerogeni veicolati dal fumo di tabacco e il

tumore, tra l’amianto e il tumore, tra gli isotopi radioattivi emessi dal reattore nucleare fi Cernobyl entrato in avaria e il tumore, tra l’uranio impoverito e il tumore, sempre al plurale, puo’ sembrare solo probabilistico agli occhi del profano di arte sanitaria, meglio sarebbe dire, di biomedicina. Alla forma mentis del militar-soldato si puo’ concedere, che nel cranio o nel petto di un fucilato – un individuo passato per le armi, ovverossia un giustiziato, in un paese in cui non sia stata abolita la pena di morte - il piombo della pallottola faccia tale danno organico e funzionale da risultare incompatibile con la sopravvivenza, cioè è mortale senza ombra di dubbio. Però, quando si parla del fumo di tabacco, dell’asbesto, degli isotopi fuggiti da Cernobyl, dell’uranio impoverito sparato nel distribuire pace, sarebbe razionale – ancorché facoltativo - tener conto che, la tappa dell’eziologia è seguita dalla fase della patogenesi, del tumore, delle degenerazioni, della flogosi, e di tanti altri malanni correlati. In altre parole, il veleno ambientale, eventualmente dopo aver prodotto i primi danni a carico delle strutture anatomiche che gli fanno da via d’ingesso nell’organismo, in primis l’orificio orale o le coane, entra nell’apparato gastroenterico o in quello respiratorio, rispettivamente, per poi entrare nel circolo emato-linfatico attraversando le mucose che rivestono gli apparati suddetti.

A questo punto, il sistema circolatorio funge da rete di transito del veleno che, generalmente, si puo’ distribuire ubiquitariamente, in tutti i tessuti dell’organismo. Infine, l’agente patogeno puo’ localizzarsi in qualunque organo, anche in dipendenza dalla sua idrosolubilità e/o dell’Idro insolubilità. Per esempio, i solventi come la trielina e il benzene, tra gli altri, possono legarsi ai lipidi del tessuto adiposo, e non di meno al tessuto epatico. Al profano, la diversità tra queste due localizzazioni potrebbe non suggerire alcuna idea sensata, invece, mentre l’adipocita ha un ruolo metabolico limitato e funziona da magazzino di grassi, l’epatocita è un meraviglioso laboratorio biochimico, e trasforma le molecole alogenate in pericolosi radicali liberi e il benzene in benzene-epossido, il cancerogeno terminale che, sul midollo osseo emopoietico, svolge la sua azione tumorigena = leucemia.

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Valutiamo ora quantitativamente il rischio, il legame, tra benzene e leucemia, prendendo in considerazione i rapporti tra l’agente patogeno e l’effetto nocivo. Il veleno ambientale puo’ venirci addosso a elevate concentrazioni, nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nei cibi che mangiamo. In seguito, l’ingresso nel circolo puo’ avvenire con un rendimento variabile in dipendenza da molte condizioni organico-funzionali dei tessuti-organi di transito. Poi ha una grande importanza la tempistica dell’esposizione: si puo’ passare da un’esposizione mono episodica e di breve durata, accidentale, ad un’esposizione prolungata nel tempo. Il primo caso configurerebbe un episodio accidentale, il secondo puo’ corrispondere a un’esposizione occupazionale, che si sviluppa, generalmente, in otto ore il giorno, per cinque giorni settimanali, magari per un’intera vita lavorativa. L’esposizione prolungata nel tempo facilita l’accumulo del veleno ambientale nei tessuti di localizzazione o di trasformazione metabolica. La trielina accumulata nel tessuto adiposo è un deposito rischioso, perchè la molecola puo’ essere liberata, ritornare in circolo, fuoriuscire attraverso le vie aeree e infine esporre altri soggetti, attraverso l’aria espirata dagli uni e inspirata dagli altri; un destino equivalente caratterizza i rapporti tra benzene e tessuto adiposo. Le cose vanno diversamente se questi due solventi si localizzano nel fegato. Qui, gli enzimi delle membrane microsomali degli epatociti li trasformano la trielina in radicali liberi, causa di una severa epatopatia costituita da necrosi cellulare, steatosi, cirrosi; mentre il benzene-epossido, fuoriuscito dal fegato, entra in circolo, vi transita e infine puo’ raggiungere l’organo effettore della sua azione leucemogena (tumorale). Va da se’ che la dose di esposizione al veleno ambientale, eventualmente elevata e/o prolungata nel tempo, costituisce per se stessa un parametro quantitativo di rischio per qualunque agente patogeno.

A questo punto, l’operatore biomedico, mediante la raccolta della storia anamnestica, da un lato, e le determinazioni semeiologiche, strumentali, puo’ già farsi un’idea piuttosto fedele del rischio ambientale, valutando le condizioni dette sopra e valutando gli indicatori biologici d‘esposizione, quali i livelli ematici e/o tessutali del veleno ambientale, dopo che sia entrato nell’organismo e sia pronto a far dei guai. Dopo questa fase primaria, giunge il momento dell’esordio della condizione clinica patologica con la comparsa dei primi sintomi soggettivi, piu’ o meno gravi, quali dolori, disturbi funzionali delle strutture colpite ecc. A sintomatologia conclamata, il sanitario ha la possibilità di osservare e registrare alcune caratteristiche peculiari delle conseguenze morbose: la precocità, la frequenza – o prevalenza - in una popolazione, la gravità delle lesioni, la difficoltà di essere trattate efficacemente con farmaci, la recidività dopo l’exeresi chirurgica, nel caso di neoplasia, la mortalità. Nelle diverse popolazioni esposte a rischio ambientale, questi parametri nosologici possono variare rispetto alle attese epidemiologiche. Ciò è dovuto a diversi fattori, uno è la suscettibilità individuale, cioè una predisposizione essenzialmente basata sul patrimonio genomico, ma altri, non meno importanti, sono il sinergismo e/o il potenziamento tossicologico. Per sinergismo, s’intende l’effetto di esaltazione della nocività dei veleni ambientali derivato dalla presenza simultanea di diversi agenti patogeni, sia chimici sia fisici. Per esempio, la presenza di cromo esavalente nei tessuti, non certo congenita ma acquisita per esposizione occupazionale e/o non lavorativa all’elemento patogeno, comporta un aggravamento dell’azione cancerogena dell’asbesto (Omura, 2006). Per potenziamento, s’intende un incremento della trasformazione metabolica del benzene in benzene-epossido dopo che peculiari molecole esogene, quali i barbiturici, quando somministrati come sonniferi e/o antidolorifici, oppure l’etanolo contenuto da bevande alcoliche, ipertrofizzano gli epatociti, conferendo loro un maggior rendimento metabolico nel trasformarli quale loro substrato specifico. Questo è il caso dell’incremento del rischio leucemogeno, per esempio, in un addetto alle pompe di benzina-verde che curi i dolori da carie dentaria, o l’insonnia, con i barbiturici, oppure che, a pasto, assuma una modesta quantità di bevanda alcolica, sufficiente a produrre un effetto eupeptico, ma ancora lontana dalla dose epatotossica.

Riassumendo, tutto questo quadro tossicologico implica il rapporto diretto di un veleno ambientale con l’organismo esposto a uno o piu’ agenti patogeni, in condizioni basali oppure dopo un dannoso aumento del rendimento metabolico dei tessuti dedicati naturalmente in tali attività funzionali. Però, il nostro organismo può presentarsi in condizioni normali oppure in condizioni meiopragiche di fronte all’insulto dei veleni ambientali. La parte principale di queste difese dipende dal patrimonio genomico individuale, soprattutto per quanto concerne le difese contro la cancerogenesi. Giacché il momento d’esordio di questo processo morboso contempla l’alterazione della doppia elica della molecola del DNA del nucleo cellulare, per alterazioni dell’avvolgimento

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tridimensionale di essa, oppure per apposizione di molecole o composti estranei, un sistema enzimatico naturale interviene a riparare i danni del DNA. In determinate circostanze, quelle previste dalla dose eccessiva o dalla prolungata esposizione ai patogeni, le capacità riparative, difensive, di questo primo fronte di difesa possono essere sopraffatte. La cellula lesa e non riparata, diviene cancerosa a tutti gli effetti.

Però, a questo punto, la natura ci garantisce un secondo fronte di difesa contro il cancro. Esso è costituito dalla risposta del sistema immunitario che equivale a quella che l’organismo mette in campo nel rigetto di un trapianto di tessuto eterologo, non immunocompatibile. Infatti, la cellula cancerosa è riconosciuta come non-self, così come capita per un cuore, per un rene, per un lembo di cute, non riconosciuti come tessuti immunologicamente compatibili. Il rigetto del tessuto tumorale è un prezioso meccanismo di difesa, al contrario di quello trapiantato, risposta che frustra le attese del chirurgo e del soggetto che fruisce del trapianto. A prima vista, questo secondo fronte di difesa contro il cancro sembrerebbe potenzialmente sufficiente per proteggerci, ma non è sempre così. Infatti, la letteratura scientifica biomedica ci insegna che un grave stress psicogeno nel soggetto portatore di un cancro puo’ bloccare la risposta immunitaria rivolta al rigetto del tessuto neoplastico.

Oltre a questi fenomeni basilari descritti in precedenza, già per se stessi piuttosto complessi, le condizioni ambientali, occupazionali o di vita, comprese le abitudini alimentari, insieme con quelle voluttuarie, possono variare ulteriormente l’equilibrio tra il nostro organismo e l’ambiente piu’ o meno inquinato. In una vera miriade di fattispecie. Citando una volta ancora le premesse della relazione al Convegno di Trani (040615), rimando il lettore ai fattori che, da un lato, favoriscono e potenziano gli effetti nocivi degli agenti patogeni, e a quelli che, dall’altro, agiscono in senso contrario, coadiuvando la conservazione della salute e della vita.

Soprattutto, nell’allegoria collocata del TIRO ALLA FUNE tra i fattori favorevoli e i fattori nocivi, per la tutela della salute e della vita, tre successivi momenti della prestazione sanitaria, sono molto importanti per capire la dinamica della bilancia Salute Ambientale / Patologia Ambientale. Una sufficiente conoscenza dei principi esposti in questo commento garantisce che si possa attuare la MEDICINA PREVENTIVA. Tutti parlano, talora inconsapevolmente, di “prevenzione”, tra essi anche l’incolto uomo della strada. Però, pochi si rendono conto del significato e del valore di questa scelta di civiltà. Infatti, nei giorni nostri, altrettanto pochi si rassegnerebbero a rinunciare, o a moderare, il godimento dei benefici del “progresso” che, da un lato, ci rendono la vita piu’ comoda e piu’ piacevole, ma, dall’altro, ci espongono a rischi sempre piu’ impegnativi per la nostra salute, e troppo spesso l’homo sapiens ci lascia le penne anzitempo. Un approccio virtuoso implicherebbe la prevenzione primaria dei rischi, evitando e/o la diffusione nell’ambiente di vita e di lavoro di tutti i veleni, soprattutto i cancerogeni. Non sarebbe impossibile, purché si fosse informati adeguatamente e si rinunciasse ad inseguire il PIL trascurando del tutto la salute, la Cenerentola dei nostri tempi.

Va da se’ che, superata incoscientemente la prima tappa e, fallita la prevenzione primaria, con il superamento dell’orizzonte clinico, compaiono i primi segni dei danni: siamo ormai nel territorio della Patologia Ambientale e cominciamo a ricorrere alla MEDICINA CURATIVA. Medici e Chirurghi sono a disposizione, con tutto il loro sapere – tanto - per aiutare i cittadini divenuti pazienti, con i piu’ aggiornati strumenti e tecnologie diagnostiche e con i farmaci, i primi, con il bisturi, i secondi. A questo punto, sempre piu’ numerosi cittadini-pazienti riescono ad apprezzare la convenienza di applicare la prevenzione secondaria.

Ciononostante, la sorte puo’ essere infausta, e anticipando l’exitus, quel destino che l’UE, tempo addietro, ha definito “morti evitabili”, senza tener conto che le uniche certezze per tutti gli esseri viventi sull’Orbe terracqueo, uomo compreso, sono la nascita e la morte. L’ultima tappa della patologia ambientale puo’ solo esser detta “morte anticipata”, non “evitabile”. Questo termine è intrinsecamente scorretto e fallace, salvo che l’UE non abbia voluto scientemente ricorrere a un’espressione falsa, per sfruttare l’effetto psicologico sui minus habentes. Infine, a babbo morto, entra in azione la MEDICINA DEI MORTI. Quest’area professionale sanitaria vede all’azione due categorie di medici: gli Anatomopatologi e gli Epidemiologi. I primi, attraverso i riscontri autoptici e le ricerche istopatologiche, nei limiti del possibile, forniscono alla società il nesso di causalità (eziologico) tra le alterazioni anatomiche e l’exitus. I secondi, un tempo, facevano la conta dei defunti usando carta e matita, ora, lo fanno con i piu’ moderni strumenti informatici. Il prodotto finale di tutta questa ricerca biomedica postuma è pur sempre un risultato importantissimo e

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insostituibile per la società: la possibilità di attuare la prevenzione terziaria e quaternaria, sebbene tardiva.

In queste tre fasi iniziali, moltissimi esseri umani hanno pagato sofferenze fisiche e morali incalcolabili – i costi emozionali della malattia e della morte non sono quantizzabili - nella realtà vera, non in un’aura probabilistica, mentre gli inquinatori dell’ambiente, proprio col fumo di tabacco, con l’asbesto, con gli isotopi di Cernobyl, di Fukushima e d’altri reattori nucleari, con l’uranio impoverito, e moltissimi altri veleni, hanno realizzato grandi profitti pecuniari e/o di ritorno d’immagine, oltre che potere politico di quella consorteria globalizzata che, da oltre mezzo secolo (1954), programma il Nuovo Ordine Mondiale per tutti noi contemporanei e per i nostri discendenti.

L’intervistato afferma, tra l’altro: per questi abitanti l’unica sicurezza può essere costituita solo dall’abolizione dell’impiego dell’uranio impoverito. Una volta di piu’, al sottoscritto pare indispensabile specificare con estrema chiarezza che, nei teatri di guerra dove – si dice – si coltiva la pace, sia per il personale militare impegnato nelle operazioni di peace keeping, sia per gli abitanti civili delle zone devastate, all’unisono, l’abolizione dell’uso dell’uranio impoverito è l’unico provvedimento intelligente da applicare, come prevenzione primaria dei rischi da UI.

La conoscenza di tutti questi dati, a beneficio sia degli studenti delle Scuole Mediche del Bel Paese sia, non meno, degli allievi delle Scuole Militari (Esercito, Marina, Aviazione) potrebbe conferire alla salute pubblica grandi vantaggi nel presente e per il futuro. Il sottoscritto, medico-non-pentito e scienziato-non-in-vendita, desidererebbe far sapere al pubblico dei lettori che la salute non è il premio di una lotteria ma una cosa seria con cui non si puo’ mai scherzare.

[2] Ramsey Clarck, ex Ministro della Giustizia USA, promotore del libro “Il metallo del

disonore”, illustrò i rischi dell’uranio impoverito basandosi sui casi clinici osservati tra la popolazione irachena e tra i reduci americani della Guerra del Golfo. Il libro “Casualties of Progress” di Alison Johnson, tra le sue 57 storie cliniche di malati di SCM, definiti “canarini della miniera”, riporta diversi casi di veterani gravemente malati e bisognosi di tutto per sopravvivere ma abbandonati dalle autorità militari e civili, e qualcuno è stato definito mentecatto dai sanitari di turno. Alcuni reduci hanno manifestato vergogna di aver prestato servizio militare per quello stato. Anche in USA, le autorità distano anni-luce dai sudditi e dalla loro salute.

[3] Ma anche al Bel Paese non manca niente in questo abisso tra la casta, ignorante,

improvvida, mendace, e il cittadino elettore-contribuente, candidato a diventare paziente, via C.U.P. Per di piu’, chi piu’ lungo ha il naso alla Pinocchio, potrà fare una carriera ancor piu’ fulgida, basta solo che, nelle ricorrenze principali, deponga una corona d’alloro all’Altare della Patria, sulla tomba del Milite Ignoto.

[4] L’avventura dei fratelli Pili rammenta quella del Dr. Thomas Stockmann, medico delle

terme di una cittadina norvegese, che facendo il suo dovere rivelando i problemi ambientali delle terme, scatenò un uragano mediatico in città, per cui fu definito “nemico del popolo”. Suo fratello, borgomastro, fu un suo acerrimo nemico. Al contrario, a Villaputzu, i due fratelli Pili, entrambi medici, di cui uno sindaco, sono stati perfettamente solidali tra loro, e hanno dato un immenso regalo alla collettività.

[5] Il Bel Paese vanta preclare tradizioni di improvvisazione, soprattutto quando si prepara

ad uccidere in guerra e si fa chiamare Patria. Negli anni 1940, tanti fantaccini furono mandati in Epiro e sul Don calzati con scarpe con la suola di cartone, fronteggiando nemici calzati con soffici e caldi valenki.

[6] La secolare bugia che l’asbesto non faccia male affonda le sue radici nei primi anni del

XX secolo, all’esordio della rivoluzione industriale, ed è stata documentata magistralmente da Lilienfeld (1991) che spiegò il SILENZIO degli imprenditori omicidi – voluto e organizzato - su questo grave problema sanitario.

[7] Ci si puo’ pensare che per puro caso quelle dieci tonnellate di selvaggina

verosimilmente contaminate da UI non abbiano preso la via della terra dei fuochi, o peggio della vendita al dettaglio a possibili consumatori, per opera della criminalità organizzata.

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[8] L’intervistato (FA) definisce quasi kafkiana la situazione presente allora nel Bel Paese

riguardo all’UI. Un tragico miscuglio di smaccate falsità con dolosi occultamenti di verità scomode e preoccupanti rende quello scenario veramente allucinante in generale, ma soprattutto perchè implicava la salute della collettività. Su tutto ciò, è preferibile conoscere la verità storica, anche in ritardo, affinché il cittadino-elettore si adegui in merito, piuttosto che smontare le bugie con un approccio accademico.

[9] Come sempre, non c’è peggior sordo di chi non vuol udire, peggior cieco di chi non vuol

vedere, peggior muto di chi non vuol parlare. Le tre scimmiette cinesi sono il simbolo piu’ veritiero di questa gente canaglia, parte dell’esecutivo. Il cittadino-elettore ha pur sempre in mano uno strumento per vendicarsi di essa, sebbene tardivamente, negandole la croce del voto con la matita copiativa e annullando la scheda.

[10] Da sempre è risaputo che le radiazioni nucleari emesse dall’UI sono raggi alfa, di low

level energetico, costituiti da elioni, nuclei di elio, con numero di carica 2+ e numero di massa 4. Il rischio radiologico dell’UI dipende dall’irradiazione interna: ogni cellula dei tessuti dell’organismo che viene in contatto con un elione è destinata a morire. Il rischio chimico dipende dal fatto che l’UI è un metallo pesante e come tale potrebbe entrare a favore dei cancerogeni nel TIRO ALLA FUNE, com’è per il piombo.

[11] La prevenzione primaria riferita in precedenza, espressione naturale di uno dei cardini

della Patologia/Salute ambientale, equivale al termine leguleo-politichese “il principio di precauzione”. L’essenziale è che vogliano dire la stessa cosa.

[12] Due dei piu’ diffusi ingredienti dei vaccini possono svolgere un ruolo rischioso per la

salute del vaccinato. (1) Il metilmercurio svolge un’azione di preservazione del preparato farmaceutico contro le spore fungine, però è fortemente neuro- e nefro-tossico. (2) L’alluminio fa parte degli adiuvanti della risposta del sistema immunitario del vaccinato: la resa della vaccinazione è implementata, ma il Sistema Nervoso Centrale puo’ lasciarci le penne. Questi rischi per la salute pubblica rimangono deliberatamente occultati dal produttore – in ordine al segreto industriale – in combutta col dicastero dell’esecutivo devoluto alla sanità, secondo i dettami della lobby segreta internazionale che mira al Nuovo Ordine Mondiale.

[13] Anche tra l’esecutivo e nella casta le bugie hanno le gambe corte, mentre è sempre

lungo il naso di Lor signori, come quello di collodiana memoria. (Cittadino –elettore, svegliati!) [14] Tra le linee guida della Patologia Ambientale, vista da un medico, c’è la certezza che i

veleni ambientali non hanno mai premura di nuocere all’ospite. Il superamento dell’orizzonte clinico avviene nel momento in cui l’equilibrio del TIRO ALLA FUNE si è rotto a favore della patologia, quando hanno ceduto le difese. E questo momento non è sempre prevedibile con certezza per un “ordine di servizio” delle autorità militari, civili, o politiche. Un caso simile a quello rilevato da FA trova una corrispondenza rappresentativa della storia clinica n. 18 (James) tra i cinquantasette “canarini della miniera” di Alison Johnson (Vittime del Progresso).

[15] E’ vero, questi diari di guerra potrebbero comprovare indirettamente l’impiego di armi

all’uranio già nello scenario della Somalia, ma soprattutto evidenziano la bassezza del livello culturale di certe truppe del Bel Paese che dileggiavano le truppe USA che non facevano altro che quello che avrebbero dovuto fare loro stessi per la loro salute. Senza mancare di rispetto a questi Italiani in armi, il loro comportamento richiama alla memoria, secondo la letteratura sul tema, quello degli Alpini della Julia sul Don che, all’ordine: “Rompete le righe, si salvi chi puo’” spararono nelle botticelle di cognac, lo bevvero a garganella, entrarono in ebbrezza alcolica, fecero pochi passi a -200C, e morirono assiderati, non uccisi dall’Armata Rossa.

[16] Le ragioni tecnologiche, oltre a quelle del profitto, che hanno promosso e spinto l’uso

balistico dell’UI collimano perfettamente con quelle che hanno favorito, un secolo fa, l’ingresso

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dell’asbesto nel mondo produttivo e poi nell’ambiente dell’orbe terracqueo. Il minerale cancerogeno è ora così capillarmente diffuso in ogni dove per cui i nostri discendenti non se ne liberanno facilmente e ne subiranno le conseguenze per la salute.

[17] Quasi tutto ciò che l’intervista a FA ha rivelato non è tollerabile che sia accaduto in

campo aperto nei teatri di guerra che sono stati la palestra per la somministrazione della pace, nel Golfo, in Somalia, nei Balcani, ecc.. Però è assolutamente intollerabile che sia capitato nei poligoni di tiro, spazi confinati o almeno delimitati, dove vigevano le prescrizioni “non è previsto” né “autorizzato” l’uso di armi all’uranio impoverito, che non solo significano pressoché niente, ma l‘inosservanza di esse costituisce un grave attentato alla salute pubblica

[18] La formazione di complessi militari-industriali – nell’ambito dell’industria degli

armamenti - è il piu’ efficace passaporto per la realizzazione di enormi profitti da parte di attori nella società che operano in uno smaccato conflitto d’interesse. La vicenda incresciosa del Poligono del Salto di Quirra richiama alla mente quella che si sta verificando ora nella Silicon Valley (USA) tra una ricercatrice molto performante, Elizabeth Holmes che, con Henry Kissinger e un manipolo di ex alti funzionari della Difesa USA, ha messo su la Theranos Inc., apparentemente per produrre e commerciare prodigiose tecnologie diagnostiche in campo sanitario.

[19] Alla fine del XX secolo, in Bosnia, le truppe del Bel Paese hanno, mantenuto le tradizioni di impreparazione, improvvisazione, incoscienza dei loro predecessori in Epiro e sul Don (anni 1940). I contemporanei potrebbero almeno pretendere che chi le comandava e che aveva la responsabilità delle tutela della loro incolumita’, oltre tutto a giorno dei suggerimenti NATO, evitasse che si comportassero come i bimbi che s’improvvisano astronauti spedendo in cielo, per gioco, un missile fatto in casa. (Colpa o dolo? O entrambi?)

[20] Per un professionista “studiato”, tale incoscienza potrebbe significare un arretramento

dell’homo sapiens al Pitecantropo. [21] Gli autori delle relazioni fanno come la colf che nasconde la polvere sotto al tappeto,

invece di rimuoverla con l’aspirapolvere. Nell’ipotesi migliore per pigrizia. Nella peggiore, piu’ verosimile, in ossequio della “congiura del silenzio” messa in atto per le verità scomode, del tipo asbesto, cromo 6+, ecc., ecc. [22] E’ verosimile pensare che l’omissione di una sperimentazione in corpore vili da parte della commissione dipendesse dalla incompletezza dei compiti richiesti dalle autorità. Certo è che tale lacuna dimostra una consistente carenza della scientificità del gruppo di esperti ingaggiati. [23] Tra la conoscenza pregressa che in Bosnia fossero stati sparati almeno 10.000 proiettili all’UI e la dichiarazione negativa del ministro della Difesa pro-tempore (SM) ci corre un’evidente bugia, di tipo collodiano. Perchè? Il cittadino-elettore puo’ solo sperare che, in seguito, il portatore del naso ipertrofico abbia imparato la verità. [24] Se questo qui-pro-quo tecnologico è capitato casualmente, evidenzia solo un’improvvisazione della preparazione professionale degli organizzatori delle spedizioni belliche, del tipo delle scarpe con suola di cartone. Se invece è stato voluto e programmato tal quale, significa dolo, frode, inganno, per mascherare la verità, con l’aggravante dell’inganno di determinazioni eseguite con uno strumento adatto per prestazioni diverse. [25] Analogamente, il grossolano errore di non considerare la tempistica tra l’esposizione e l’osservazione, così come le distanze tra i luoghi dell’esposizione, mostra insipienza, da un lato, oppure dolo, dall’altro

[26] Altrettanto è lavoro scientificamente non corretto omettere di valutare tutti gli elementi che possono aver delimitato la dose di esposizione all’UI, incluse la completezza, la precarietà oppure l’assenza di misure individuali di protezione. Nel teatro bellico tutte queste condizioni

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corrispondono fedelmente a quelle occupazionali di un lavoratore in fabbrica. Anche in questi casi, è ignoranza o dolo? [27] L’aver messo insieme nello studio entità non omogenee evidenzia il consueto dualismo tra ignoranza e dolo. [28] Per gli estensori delle relazioni, l’essere soggiaciuti alla “tentazione statistica” citata dall’intervistato (FA) fa propendere per la variante dolosa dell’imbroglio. Gli autori sono esperti del tema, non sono degli sprovveduti di primo pelo, e la loro topica pare finalizzata a taroccare i risultati della ricerca. [29] Verissimo è tutto ciò che afferma l’Intervistato (FA). Non si muore di solo tumore, ma non si muore nemmeno di solo mesotelioma pleurico quando, nel TIRO ALLA FUNE tra asbesto e altri fattori sinergizzanti, da un lato, e le difese dell’organismo contro il cancro, dall’altro, vincono i primi e soccombono i secondi. Per esempio, due-tre mg di asbesto nel cervello o nel cervelletto, soli o in compagnia di un po’ di cromo esavalente, possono provocare l’insorgenza di un glioblastoma multiforme, o di un astrocitoma, neoplasie cerebrali che non lasciano scampo (Omura, 2006). Nell’elenco delle affezioni morbose causate dai veleni ambientali, l’intervista propone le neuropatie. E’ del tutto valido anche questo suggerimento. Per quanto alluminio, asbesto, manganese, mercurio e altri malfattori sono neurotossici, è inevitabile, per i soggetti esposti, contrarre un morbo di Alzheimer, un morbo di Parkinson, una Sclerosi Laterale Amiotrofica o altro ancora. Ma, domandiamoci, non tanto quanti Generali, Ammiragli e simili, naturalmente profani del problema, piuttosto quanti Medici, persino quanti Neurologi sono oggigiorno, all’inizio del XXI secolo, informati di questi rischi? Verosimilmente pochissimi. In seguito, l’elenco cita le malformazioni alla nascita nei figli di civili e militari esposti ai veleni ambientali, UI incluso. A questo punto, la logica e il buon senso suggeriscono che il nome di “malformazioni”, come espressione di embrio- e/o feto-tossicità diretta comprende anche tutte le alterazioni del genoma paterno e materno che possono essere trasmesse tal quali alla prole attraverso i cromosomi del sincarion. Infatti, anche chi comandava su queste tristi vicende umane, in un soprassalto di rispetto del principio di precauzione, ha suggerito ai reduci di guerra, o di pace che dir si voglia, di astenersi per tre anni dal procreare. Un medico-non-pentito domanda: “Perchè proprio tre anni, o non cinque, o per un periodo piu’ lungo? Sono forse i nostri figli equiparabili a batterie elettriche, del tipo AA o AAA, a farmaci, a cibi inscatolati, a pellicole fotografiche, che hanno tutti una data di scadenza, entro cui si consiglia di usufruire del bene di consumo?” La bio-medicina, una disciplina diversa dalla scienza bellica, ci toglie l’illusione che l’essere umano segua queste scadenze commerciali. Le alterazioni genomiche durano per tutta la vita fertile dei possibili riproduttori. Poi, varcato il punto di non ritorno specifico, andropausa e menopausa, rispettivamente, il rischio di mettere al mondo figli con difetti congeniti è svanito. Queste precisazioni hanno lo scopo di far capire anche all’uomo della strada che anche un difetto embrio- e/o feto-tossico, in origine è celato, ma viene inevitabilmente alla luce del sole. In questa fase, persino lo strillone di giornali, al pari di un giornalista free lance, puo’ accorgersi di un labbro leporino, di una palato-schisi, di un idrocefalo, di una spina bifida, di un’atresia ani, di una sindattilia, di un‘esadattilia, e di altre malformazioni neonatali. Al contrario, i news men d’alto bordo, soprattutto quelli che annualmente partecipano alla riunione mondiale di quella società segreta che ha progettato (1954) e sta realizzando il Nuovo Ordine Mondiale, sono perfettamente a giorno dei misfatti sanitari dovuti al loro “progresso”, ma l’appartenenza li fa attivi nel concretare la congiura del silenzio, la piu’ efficace cinghia di trasmissione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in combutta con sanitari ignoranti, concussi, corrotti. [30] La pulsione etico-culturale che fa dire ai responsabili del Kieg Ministerium: “Non avrai altro Dio all’infuori di me” è boria, presunzione, pura e semplice. [31] Anche in questo caso, epidemiologi di strapazzo, mettono insieme cocomeri e ciliegie, e non potrebbero fare diversamente perché, mentre l’istituzione dei Registri Tumori e il loro efficace funzionamento sono prescritti per legge, queste istituzioni soffrono di gravi carenze

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quantitative e qualitative, per cui non possono che partorire che dati parziali e incompleti, ben lontani dai livelli qualitativi richiesta da un’attività sanitaria seria e onesta. [32] Infatti, non tutte le regioni hanno ottemperato all’obbligo dell’istituzione del Registro Tumori prescritto dall’ordinamento giuridico del Bel Paese. L’Alighieri espresse l’epilemma: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”. Del resto, la casta che materializza l’esecutivo, che forse avrebbe anche l’obbligo di controllare l’applicazione delle leggi, e di farle applicare, abbagliata dall’idolatria del P.I.L., per risparmiare risorse pubbliche, ha abolito l’I.S.P.E.S.L., affidando l’incarico di verificare la salubrità degli ambienti di lavoro all’istituzione nazionale che riscuote dai lavoratori i contributi assicurativi sugli incidenti da lavoro e che, poi, nega i risarcimenti dei danni biologici che i prestatori d’opera dovessero subire, che sono costretti a ricorrere al patrocinio legale. Da ultimo, gli stessi frustoli deleteri della casta suddetta, per contrarre i costi di produzione degli staff operativi dei Registri Tumori lesinano al massimo sugli avvicendamenti e sulle sostituzioni del personale addetto, con le conseguenze del caso citate in precedenza. [33] Il rifiuto del MdD è avvento secondo copione. Di solito, sia nella vita civile, sia in quella militare, quando un capo s’accorge di non essere proprio una cima, crea e incrementa la distanza dai suoi sottoposti scegliendoli tra i piu’ cretini sulla piazza. Ecco perchè la proposta di una persona tecnicamente valida e moralmente per bene, non poteva essere accettata; nel regno dei ciechi, un monocolo è il re.

[34] Fortunatamente, il potenziale organizzatore dell’esperimento con le cavie umane, isolate a dovere dai veleni ambientali UI-correlati, con adeguati dispositivi di protezione individuale, si è reso conto anticipatamente dell’inutilità della prova, ed è riuscito a risparmiare un po’ di denaro dell’erario.

[35] La relazione in oggetto ha scoperto l’acqua calda, non aveva alcun valore, ed è stato superfluo prenderla in considerazione. Altrettanto sarebbe stato l’esperimento SIGNUM. [36] L’intervistato afferma categoricamente che, comunque, non si hanno certezze riguardo agli effetti che le nanoparticelle possono avere sull’insorgenza di tumori o altre malattie. FA puo’ dire questo perchè non ha mai letto le pubblicazioni di Oberdorster et al. degli anni 1990. Questo gruppo di ricercatori ha dimostrato che un composto particolarmente diffuso ma altrettanto nocivo, il TiO2 possiede un’azione cancerogena per il polmone dell’animale sperimentale 25 volte maggiore, quando è situato in nanoparticelle di diametro inferiore a 100 nm, rispetto a quando è veicolato in particelle fini con diametro compreso tra 100 nm e 2,5 μm. Anche di fronte a questo dubbio, la biomedicina ha il dovere di rammentare che, se un carro armato non fosse stato colpito con un penetratore all’UI, avrebbe continuato la sua corsa distribuendo distruzione e morte, invece è inciampato in un po’ di UI che l’ha incendiato e, portando tutto a 3000 oC, ha creato una miriade di nanoparticelle, di Cr, Fe, CD, Al, Hg, oltre che dell’asbesto costitutivo della coibentazione termica e acustica della cabina di guida del carrista, che si sono diffuse nell’aria per essere infine inalate e/o ingerite dagli individui esposti, nel cui organismo puo’ scoccare la scintilla della cancerogenesi. Questo è il siparietto verace offerto dalla bio-medicina al profano che alberga il dubbio sul nesso di causalità tra la presenza di nanoparticelle nei tessuti e l’insorgenza del cancro. [37] Il sottoscritto capisce che la mentalità pragmatica del militar-soldato pretenda di trovare immancabilmente la prova lampante dell’atto omicida: la pistola con la canna fumante. Questa pretesa, pur sempre da rispettare, deve essere interpretata col suggerimento di Capurro (1970): “Se vedi in una stanza abitabile un cadavere scorticato e insanguinato, e accucciato lì vicino c’è un leone che si lecca i baffi, chi vuoi che sia stato l’assassino?” Il dubbio dell’Intervistato mi collega alla mia interpretazione della frase di Capurro: “Se si fa una commissione di studio dell’assassinio, solo se a maggioranza le teste d’uovo stabiliscono che il felino pasciuto non beli, non miagoli, non abbai, ma ruggisca, allora hanno individuato il colpevole.” Per un cancerogeno come l’asbesto, Voytek et al. (1990) hanno trovato che il minerale diventa cancerogeno quando è trasformato in asbesto-epossido. Heller et al. (1996) ha contato, col Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) 1,7 x 106 fibrille di asbesto per grammo di tessuto umido di adenocarcinoma ovarico. Però, con il

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SEM attuale, nessuno potrà mai assistere alla tragica e meravigliosa trasformazione di una fibrilla d’asbesto in asbesto–epossido, tanto meno anche nel momento in cui produca l’addotto sulla molecola del DNA del nucleo di una cellula candidata a divenire cancerosa. Altrettanto di puo’ dire a proposito della scoperta di Ahmad (2011) che il talco, di per se stesso, senza contaminazione d’asbesto, è cancerogeno attraverso gli effetti perossidativi intermedi sul protoplasma cellulare: incremento dei ROS (Reactive Oxigen Species) e della MDA (Malonil Di Aldeide), calo del GSH (Glutatione Ridotto) e dei PUFA (Poli Unsaturated Fatty Acids). Anche in questa circostanza, l’autore non ha assistito de visu al divenire dell’intera cancerogenesi, ma ha documentato le diverse tappe della catena di eventi biochimici. In definitiva, riguardo al medico occupazionale, basterebbe già chiedergli che lavori sempre, in fabbrica, senza conflitto d’interesse con l’imprenditore che, da un lato, da’ la paga a lui e ai suoi lavoratori, e talora a questi sottrae salute e vita in cambio della mercede in condizioni ambientali insalubri, astenendosi dal pretendere il miracolo. [38] Dal momento che l’organismo umano, civile o militare, è una macchina meravigliosa, tanto complessa quanto delicata, ribelle ad ogni normativa stabilita dal legislatore ed idolatrata nei templi della giustizia, ma prona alle leggi della natura, il nesso di causalità puo’ consistere in una semplice probabilità o plausibilità della consecutio tra causa eziologica ed effetto sanitario. (cfr commento n. 37) [39] La scelta di accettare di non conoscere attualmente l’eziopatogenesi del cancro è inattendibile e obsoleta. . (cfr commenti n. 29 & 37) [40] Le discrepanze illogiche nell’applicazione delle “cause di servizio” per le artrosi ad eziologia occupazionale e non per le neoplasie mortali potrebbero derivare, ignoranza o dolo a parte, dal fatto che chi decide non crede in ciò che non vede, il precedente del labbro leporino, ben manifesto, e le alterazioni genomiche, nascoste, puo’ insegnare qualcosa. [41] Non si puo’ non condividere il rammarico che, nella grande famiglia militare, per quanto fosse vera e non un’espressione retorica, tanti militari siano “orfani” loro, e vittime sacrificali le vedove e gli orfani naturali. [42] “Dura est lex, sed lex” Stellette su, stellette giù. Ma il militar soldato continua ancora a essere un essere umano anche dopo il TFR, un’entità umana del tutto diversa da una piletta AAA dotata di una data di scadenza, oppure un lavabiancheria che entra in avaria il secondo giorno dopo la data di scadenza della garanzia. Certo è che, sotto il profilo assicurativo-finanziario, tutto ciò ha un costo, però il buon senso, facoltativo ma prezioso, e lo spirito di umanità non guastano mai. [43] La retorica deil’affermazione “nostri amati ragazzi” merita lo stesso triste commento del punto [41] [44] Giovanni Favilli disse che la Scienza non produce salute se non è accompagnata dalla Coscienza. In questo caso, mancano entrambe. Del resto il MdD non deve produrre salute, c’è già il Dicastero apposito, la deve solo rispettare. [45] L’approccio monopolistico del MdD nell’attività di ricerca richiesta dalle circostanze è scontato, per le motivazioni dette in precedenza, una per una tutela ad personam di personaggi non proprio aquile, l’altra per occultamento preventivo della verità scomoda. (cfr commento n. 33) [46] Qui la bugia, con le sue corte gambe e con il suo lungo naso collodiano, la fa da padrona a tutto campo. Una volta in piu’ sarebbe utile rinnovare il caldo invito: “Cittadino-elettore, svegliati!”

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[47] E’ verosimile ritenere che la Commissione, conscia che il disastro ambientale-sanitario non fosse dovuto al destino cinico e baro, ma a deliberate e sciagurate scelte umane, abbia protetto le responsabilità di avvenimenti disdicevoli prevenendo la discussione di esse. [48] Come riferito nel commento n. 37, non è verosimile la tesi che non si conosca ancora l’eziopatologia dei tumori. Poi, la proposta di assegnare il compito di stabilire la possibile nocività dell’uranio impoverito a un congresso medico di alto livello appare piuttosto ingenua giacche’, se non si esclude preventivamente il conflitto d’interesse di ciascuno dei candidati membri, non verrà mai fuori la verità. Il caso di Joseph Biederman (NY Times) insegna. [49] Il fatto denunciato dal quotidiano Nuova Sardegna” che ha visto un funzionario del Ministero dell’Economia, non della Difesa o della Sanità, porre domande scabrose su problemi gestionali dei poligoni ed essere perciò rimosso dall’incarico, evidenzia un ennesimo episodio di inutilità e di pericolosità di certi settori e di certi funzionari della pubblica amministrazione asserviti ai poteri forti nazionali e sovranazionali, attori della congiura del silenzio. [50] Riguardo all’esecuzione delle operazioni NBC con strumentazione inadeguata, la topica è stata resa possibile da due tipi d’ipotesi: 1) la stupidità pura e integrale, equivalente a quella dei gerarchi del glorioso ventennio che mandarono i fantaccini del Bel Paese a combattere nel gelo calzando scarpe fatte con suola di cartone, oppure, peggio, 2) per deliberato dolo, al fine di occultare preventivamente una verità scomoda, sostituendola con una falsità già bevuta dal MdD, partendo dal capo del dicastero per arrivare all’ultimo usciere, e da far poi bere a tutti gli Italiani

[51] Per finire, la scienza bio-medica, competente e al di sopra delle parti, si guarderebbe bene dal proibire indiscriminatamente questo o quello tra diffusi beni di consumo, come potrebbero essere i vaccini, da un lato, e i solventi con alto valore tecnologico, dall’altro.

La vaccinazione attiva è attuata somministrando antigeni che, nel soggetto vaccinato, stimolano il sistema immune a produrre anticorpi, e questi lo proteggono contro microrganismi o tossine patogeni. Fin qui, nulla di male. I problemi delle vaccinazioni compaiono a causa 1) dell’ingordigia di profitto del produttore del vaccino, da un lato, e 2) dall’ingenuità della sanità militare che intende proteggere le truppe che invia nei teatri bellici. In primis, talora il produttore di vaccini opera, nel pieno segreto industriale, una protezione del preparato addittivandolo con una molecola antifungina, il metilmercurio, un potente veleno neuro- e nefro-tossico; poi, frequentemente, aggiunge adiuvanti per accrescere il rendimento della risposta immunologica, quando gli adiuvanti contengono alluminio, interviene un forte rischio di tossicità per il Sistema Nervoso Centrale. In secundis, i medici con stellette risparmiano tempo e denaro, ma sperperano salute dei cittadini in armi somministrando loro una grande varietà di vaccini in un periodo di pochissimi giorni. Va da se’ che il buon senso, dote facoltativa, potrebbe essere prezioso.

A proposito della domanda sul problema dei solventi, benzene e xilene, impiegati dai militar-soldati, due domande potrebbero rispondere. 1) Perchè il MdD non equipaggia la truppa con adeguate maschere a filtri assorbenti? e, 2) Perchè l’esecutivo non proibisce la preparazione e la vendita della benzina cosiddetta “verde”? Questo carburante moderno contiene apprezzabili percentuali di benzene in funzione antidetonante, al posto del Tetra Etile di Piombo di un tempo.

Giancarlo Ugazio

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VALUTAZIONI DEI COMMENTI BIOMEDICO-SOCIALI DI GIANCARLO UGAZIO SULL”INTEVISTA DI GIULIA DI PIETRO A FALCO ACCAME SUI PROBLEMI

CIVILI E MILITARI DELL’URANIO IMPOVERITO

DP -> GU 200715 11:52 Caro Dott. Ugazio, purtroppo questi giorni non sono riuscita a prendere le sue telefonate poiché mi trovavo a lavoro... stiamo coprendo i turni dei colleghi in ferie e i ritmi sono piuttosto serrati e stressanti... Ho comunque potuto leggere con molto interesse i Suoi commenti al libro sull'UI e li ho trovati illuminanti. In particolar modo mi ha fatto riflettere il discorso sulla multifattorialità, un concetto abbastanza semplice in effetti, ma sul quale non avevo mai prestato attenzione e che mi ha fatto rileggere il testo con uno spirito diverso. E per questo la ringrazio! Spero di riuscire a tenere il passo e mi spiace non poter essere solerte come vorrei nelle risposte. Domani ho il mio giorno di riposo e contando di racimolare qualche minuto libero la contatterò sicuramente per parlare con la dovuta tranquillità. Le auguro una buona giornata, saluti. Giulia Di Pietro

FA -> GU 200715 12:19 Gentile Prof. Ugazio, ho finalmente letto (in dettaglio) tutti i suoi commenti alla mia intervista sull’uranio e la ringrazio tanto per l’acutezza delle analisi delle singole questioni. E soprattutto per l’essersi soffermato su tanti punti della questione. Davvero un commento molto “generoso” ancor prima che scientifico. Grazie davvero. Spero anche che il suo lavoro possa essere di utilità per la Commissione Uranio Impoverito della Camera che dovrebbe essere costituita a breve. Mi auguro infine che la presa di contatti con la dottoressa Giulia Di Pietro abbia avuto esiti positivi. A presto risentirla, e congratulazioni per la sua attività. Falco Accame Queste valutazioni, espresse spontaneamente da persone informate dei fatti, di grande levatura intellettuale e morale, valgono molto di piu’ dei pareri strumentali erogati dai cosiddetti peer reviewer, quella fauna scientifica onnipotente che, prona allo spirito del Flexner Report (1910), frequentemente collabora nella realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, remando contro la salute e la vita delle collettività e favorendo il profitto sulla malattia e sulla morte, in ambiente sia civile sia militare. Con questo spirito, mi sto accingendo ora a realizzare un’intervista a distanza con Giulia Di Pietro per dibattere e divulgare alcuni aspetti biomedici e sociali di una spaventosa sindrome che configura la devastante condizione clinica propria della Sensibilità Clinica Multipla. Soprattutto nei paesi sviluppati, ampie frazioni della popolazione generale (si parla dall’1 al 10 %) sono a rischio di perdere irreversibilmente la tolleranza ai veleni ambientali diffusi dai tre principali settori produttivi, il primario (l’agricoltura), il secondario (l’industria), e il terziario (i servizi). Alison Johnson, affetta in prima persona dalla condizione clinica, ha definito i malati di SCM come “vittime del progresso”. Considerando che la salute è un bene indisponibile, ancor piu’ che la libertà, e che con la salute non è permesso scherzare, nell’intervista non avranno diritto di domicilio bugie di gambe corte e di naso lungo, del tipo di quelle che sono capitate e che sono state stigmatizzate nella trattazione dei problemi derivati dall‘impiego balistico dell’uranio impoverito.

Giancarlo Ugazio

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In memoria

del

dott. Paolo Pitotto

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In memoria del

dott. Paolo Pitotto

Saluto rivolto il 12 aprile 2016 al dott. Paolo Pitotto, venuto a mancare improvvisamente il giorno 9 aprile 2016

L’ ONA, l’Associazione Nazionale sull’Amianto, è qui oggi per partecipare alla commemorazione del Dott. Paolo Pitotto.

Perché abbiamo sentito il dovere di venire o meglio il DESIDERIO di essere presenti oggi ... perché il Dott. Paolo Pitotto era la nostra guida, il faro a cui rivolgersi ogni qualvolta avessimo bisogno.

Una guida per tutte le figure coinvolte in questa associazione: gli esposti all’amianto e quindi i suoi pazienti, ma anche i familiari di questi, spesso distrutti dal dolore della perdita di un proprio caro per causa dell’amianto, ed infine, ma non semplicemente alla fine, una guida anche per tutte le persone di legge, nonché i colleghi medici coinvolti nella nostra Associazione.

Questo perché il Dott. Pitotto era un bravissimo medico del lavoro ma non solo, in caso di necessità, soprattutto come diceva lui “in caso di carenze organizzative” si trovava a risolvere in maniera egregia anche pratiche amministrative piuttosto che giudiziarie.

Ebbene sì, le sue anamnesi lavorative e non solo, erano perfette, argute, nulla lasciavano al caso, qualsiasi dettaglio veniva colto e correttamente ed appropriatamente utilizzato quando necessario.

Ma lui andava oltre la medicina del lavoro, perché era capace di combinare tutti i tasselli complementari a questa in qualsiasi situazione, per definire un quadro completo; era capace di orchestrare un pezzo o come lui stesso diceva “di suonare nella propria mente una sinfonia ancor prima di eseguirla”.

Perché era capace di tutto ciò?

Perché era in grado di ascoltare, cosa oggi molto rara, non solo come medico, spesso anche come padre, fratello, amico...

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Era disponibile con tutti fino all’inverosimile, a costo di sacrificare i propri spazi e probabilmente anche la propria salute.

Era in grado di ascoltare e di consolare, di aiutare gli altri nel trovare la soluzione giusta ai propri problemi. Si preoccupava delle cose che avrebbero fatto piacere agli altri piuttosto che di quelle che potevano far piacere a lui stesso.

Era in grado di ascoltare ma amava anche essere ascoltato ... tanto ... soprattutto quando spiegava qualcosa, con capacità didattiche insuperabili da vero “Dottore in Professore”, come amava definirsi. E in tali situazioni guai a contraddirlo ... si arrabbiava tantissimo se le cose non venivano fatte ed organizzate correttamente: “ANIMALI”, diceva con tono sostenuto, probabilmente scimmiottando qualcuno di sua conoscenza, per apostrofare chi non capiva, chi non distingueva come diceva lui “la lana dalla seta, la cacca dalla cioccolata”.

Intelligentissimo, brillante, acuto osservatore, finissimo intenditore, vulcanico e tumultuoso nelle idee ed in tutte le sue attività, ma anche modesto, schivo, uomo alla mano, raggiungibile da tutti, amante delle cose semplici che trasmettessero tranquillità.

Stimatissimo ed amatissimo Paolo hai avuto la MORTE DEI GIUSTI, ma sei venuto a mancare troppo presto, lasciando in sospeso tantissime cose e soprattutto un’eredità che nessuno potrà ereditare, un vuoto che nessuno potrà colmare …

L’ONA era per il Dott. Pitotto sicuramente un “lavoraccio”.

Il Dott. Pitotto per l’ONA era tutto questo …