Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e · 2016-09-02 · antalgiche successivamente...

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© SanitanovaSrl - Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e gestire - Modulo 4 1 Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e gestire Responsabili scientifici: Dr Sergio Mameli, Responsabile U.O.C. Terapia del Dolore, Presidio Ospedaliero A. Businco, ASL 8 Cagliari Dott. Michele Fanello, Senior Executive Consultant di Sanitanova, società di consulenza e formazione in sanità Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento standard n. 12 del 07/02/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Data inizio corso: 20/12/2015; ID evento: 12-145403 Modulo 4 – Storia della terapia antalgica ed epidemiologia del dolore Autore: Dr.ssa Claudia Laterza, pediatra ed esperta in cure palliative, Bari Obiettivi formativi Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di: conoscere la storia della terapia antalgica; valutare l’epidemiologia del dolore. Riassunto La storia dell’uomo è connessa alla storia della lotta contro il dolore. Nei secoli, le diverse culture hanno interpretato in modo differente l’origine del dolore e hanno di conseguenza imposto dei modelli culturali di reazione al dolore stesso (quali il fatto che se il dolore è una punizione divina, la sopportazione del dolore diventa una forma di espiazione dei peccati. Conoscere la storia consente di interpretare meglio la realtà attuale. Realtà attuale che ipotizza che in Italia sono affetti da dolore cronico 13 milioni di persone, con costi sociali pari a 4.557 euro, di cui 1.400 per costi diretti a carico del SSN (farmaci, ricoveri, diagnostica) e 3.156 per costi indiretti. Keyword Dolore, storia della terapia del dolore, epidemiologia, costi sociali Il dolore nella storia Il dolore accompagna da sempre la vita umana, assumendo molteplici significati e, fino a poco tempo fa, l’umanità non ha conosciuto mezzi efficaci per ridurlo efficacemente o eliminarlo. Considerato a lungo

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Il dolore: una malattia da riconoscere, curare e gestire Responsabili scientifici: Dr Sergio Mameli, Responsabile U.O.C. Terapia del Dolore, Presidio Ospedaliero A. Businco, ASL 8 Cagliari Dott. Michele Fanello, Senior Executive Consultant di Sanitanova, società di consulenza e formazione in sanità

Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento standard n. 12 del 07/02/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Data inizio corso: 20/12/2015; ID evento: 12-145403

Modulo 4 – Storia della terapia antalgica ed epidemiologia del dolore

Autore: Dr.ssa Claudia Laterza, pediatra ed esperta in cure palliative, Bari

Obiettivi formativi Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di:

conoscere la storia della terapia antalgica; valutare l’epidemiologia del dolore.

Riassunto La storia dell’uomo è connessa alla storia della lotta contro il dolore. Nei secoli, le diverse culture hanno interpretato in modo differente l’origine del dolore e hanno di conseguenza imposto dei modelli culturali di reazione al dolore stesso (quali il fatto che se il dolore è una punizione divina, la sopportazione del dolore diventa una forma di espiazione dei peccati. Conoscere la storia consente di interpretare meglio la realtà attuale. Realtà attuale che ipotizza che in Italia sono affetti da dolore cronico 13 milioni di persone, con costi sociali pari a 4.557 euro, di cui 1.400 per costi diretti a carico del SSN (farmaci, ricoveri, diagnostica) e 3.156 per costi indiretti.

Keyword Dolore, storia della terapia del dolore, epidemiologia, costi sociali

Il dolore nella storia Il dolore accompagna da sempre la vita umana, assumendo molteplici significati e, fino a poco tempo fa, l’umanità non ha conosciuto mezzi efficaci per ridurlo efficacemente o eliminarlo. Considerato a lungo

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soltanto come sintomo o conseguenza inevitabile di una patologia, solo in tempi molto recenti il dolore è stato studiato anche sotto il profilo di condizione morbosa in sé. La storia del dolore comprende due aspetti: da un lato tocca il modo con il quale, attraverso il tempo e attraverso i luoghi, è stata concepita e spiegata la presenza del dolore nell’esperienza umana, dall’altro prende in considerazione il modo con il quale il dolore stesso è stato combattuto e, nel tentativo di vincerlo, studiato e conosciuto sempre meglio. Hanno percorso la prima via le religioni, con le teologie connesse, e le filosofie; hanno percorso la seconda le scienze, la fisiologia e soprattutto lo studio del sistema nervoso (neurobiologia, neurofisiologia, ecc.). Naturalmente fra i due aspetti intercorrono rapporti e vi sono senza dubbio reciproche influenze, importanti o addirittura determinanti; diversi modi di intendere il dolore creano, ognuno all’interno di una comunità, la propria cultura del dolore. Per molti secoli e nelle culture di tutto il pianeta, si è ritenuto che la malattia e il dolore provenissero dalla Divinità, ovviamente variamente concepita: la malattia e il dolore potevano essere causate da demoni e divinità malvagie che agivano indipendentemente o con l’assenso delle divinità “buone” e il dolore poteva essere inflitto all’uomo per motivi diversi (prova di fede, sacrificio, castigo, punizione, capriccio). Per questo il medico è stato per secoli solitamente anche stregone e viceversa; il rimedio somministrato non avrebbe avuto l’effetto sperato se non accompagnato o preceduto da qualche pratica magica. Solo in tempi più moderni è intervenuta una netta separazione dei ruoli: al filosofo e al religioso sono affidati la comprensione delle cause metafisiche del dolore e della sofferenza e l’eventuale “rituale propiziatorio” (invocazioni, preghiere, esorcismi); al medico è affidata la terapia, finalizzata a eliminarne la causa o lenire il sintomo in sé. Ne deriva che la trattazione della storia del dolore è obbligata a muoversi su due piani, ora in contatto stretto l’uno all’altro e ora separati fino all’antagonismo: quello fisico e quello metafisico, entrambi, in ogni caso, irrinunciabili. Il piano fisico si divide, a sua volta, in due regioni contigue che comprendono rispettivamente la nascita e lo sviluppo delle conoscenze neurofisiologiche e la lunga strada percorsa per arrivare alla somministrazione di specifiche sostanze e tecniche con lo scopo di ottenere l’eliminazione o l’attenuazione di uno stato di dolore (anestesia, analgesia, ecc.). La storia tramanda l’uso delle punture e delle scariche elettriche per la terapia dei dolori da artrite gottosa; si crede che proprio da “nàrke”, una specie di pesci le cui scariche elettriche davano stupore, sia derivata la parola narcotici (latino Narcoticus, greco ò), termine che si pensa sia stato coniato dal medico di epoca romana Galeno (Pergamo, 129 d.C. – Roma, 216 d.C.).

Dalla preistoria all’età romana

È ormai opinione condivisa dagli studiosi che la comparsa dell’Homo Erectus nel paleolitico inferiore risalga a circa due milioni di anni fa, ma è solo dopo l’8.000 a.C. che si costituiscono le prime comunità stanziali di cacciatori/agricoltori cui sono attribuiti pittogrammi, precursori della scrittura cuneiforme e delle successive forme di scrittura che ci permettono di acquisire informazioni sul “dolore” nella preistoria. Prima di tale epoca possiamo solo supporre che l’uomo primitivo provasse dolore e cercasse istintivamente di

contrastarlo con elementi naturali, magari con il freddo della neve o il calore del fuoco. Curiosamente le prime testimonianze di cui disponiamo sono di una modernità sconcertante! Nella città di Nippur, una delle più antiche della Mesopotamia e sede il culto del dio sumerico Enlil, signore dell'universo, è stata ritrovata una tavoletta d’argilla, appartenente probabilmente al 2.500 a.C. e scritta in caratteri cuneiformi, sulla quale figura quella che sembra essere la prima invocazione contro la sofferenza di cui vi sia testimonianza tangibile: “Il dolore ha afferrato il mio corpo; liberami o Dio dal dolore”, esclamazione che si avvicina in modo impressionante all’invocazione ancora presente nelle litanie della Chiesa cattolica, “Ab omni malo, libera nos Domine”. Nella vicina Babilonia un’altra tavoletta contiene una ricetta antidolorifica di incredibile attualità: “il mal di schiena, il mal di capo e il male alle gambe provengono dai denti. Tu guarirai se ti estrarranno i denti”! Un’altra tavoletta di argilla, proveniente da Nippur e databile al 2500 a.C., contiene, a proposito della cura della carie dentaria, quello che viene considerato il primo accenno a una pratica di anestesia locale; si introduceva, infatti, nella

Figura 1 Tavoletta sumerica, Nippur 2200-2100 a.C., fronte. Sul retro, sono riportate 15 prescrizioni mediche. È il più antico ricettario giunto a noi.

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cavità del dente un cemento fatto con semi di giusquiamo e mastice di gomma per calmare il dolore. Nella biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.) si rinvengono altre indicazioni per curare il mal di denti con applicazioni di senape, mandragora, papavero e cannabis mentre presso altre comunità primitive si praticavano impacchi di alghe e di valeriana e i protosardi ricorrevano al miele amaro. In Mesopotamia era usata la birra (che si suppone fosse a elevato tasso alcolico) per detergere le ferite e la lipotimia causata dalla compressione delle carotidi consentiva di effettuare brevi interventi senza causare eccessivo dolore al paziente o più probabilmente facilitando il compito all’operatore. Le origini dell’uso di alcune sostanze narcotiche e antidolorifiche si perdono nella notte dei tempi. In Mesopotamia, nell’antico Egitto, in India e via via in una molteplicità di culture gli effetti dell’oppio sono noti, al di là di ciò che è documentato. Resta invece avvolto nel mistero il fenomeno mesolitico della “trapanazione dei crani”; dal Marocco, all’Ucraina, (7300 a.C.), dall’Alsazia (5100 a.C.) alla Francia e all’area danubiana, non tralasciando Cina, Medio Oriente e territori Incas in Sud America (vedi Figura 1), crani umani con segni ‘chirurgici’ di trapanazione sono stati scoperti un po’ ovunque; in Italia il più antico esempio (V millennio a.C.) è rappresentato dal cosiddetto “Cranio di Catignano” ma è molto ben conservata anche “Sisaia”, la donna sarda di 4000 anni sopravvissuta a trapanazione cranica eseguita con fine tecnica operatoria, mediante l’uso di un trapano cilindrico, con estrazione e successiva riapposizione del disco osseo e perfetta saldatura. Qualcuno ha ipotizzato che le trapanazioni fossero praticate per trattare alcune patologie, poiché in alcune isole del Pacifico meridionale le trapanazioni del cranio erano praticate, fino a poco tempo fa, come rimedio contro l’epilessia, il mal di testa e la pazzia. Ciò non esclude tuttavia che avessero invece il significato di liberare il corpo posseduto da spiriti maligni responsabili di svariate sofferenze. A epoche molto antiche si fanno risalire anche l’agopuntura e la moxibustione, pilastri della Medicina Tradizionale Cinese e classificate tra i Patrimoni orali e immateriali dell'umanità dall'UNESCO nel 2010. In Cina sono state ritrovate pietre affilate, conosciute come Bian shi, usate per fare uscire dal corpo il demone responsabile di dolore e ciò suggerisce che l’inizio di tale pratica possa essere datato al neolitico o forse addirittura prima. Geroglifici e pittogrammi, risalenti alla dinastia Shang (1600–1100 a.C.), suggeriscono che l’agopuntura fosse ampiamente praticata in Cina e nelle zone limitrofe, insieme alla moxibustione che consiste nel tenere vicino alla cute un sigaro acceso costituito da foglie essiccate di artemisia; questa procedura causa un eritema reattivo curativo e antalgico; nonostante i miglioramenti nella metallurgia nel corso dei secoli, fu solo dopo il II secolo a.C., durante la dinastia Han, che gli aghi in pietra, bambù e osso furono sostituiti dagli aghi di metallo. Ciò che molti ignorano tuttavia è che in tutta l’Eurasia, durante l'età del bronzo, si ricorresse a pratiche simili all'agopuntura; in Europa gli esami sul corpo mummificato di Ötzi, la Mummia del Similaun, nelle Alpi Retiche, vecchio di quasi 5000 anni, hanno individuato tatuaggi per i quali è escluso un significato decorativo, dato il clima rigido, e che venivano fatti in corrispondenza delle articolazioni e su punti classici dell’agopuntura contemporanea, a scopo quasi certamente antalgico. Sulla cute veniva praticata un’incisione con una lesina ottenuta da un sottile osso cavo e all’interno veniva fatta colare una soluzione di acqua e cenere; la ripetizione della pratica in ben quarantanove punti ha fatto ipotizzare una certa efficacia. Da ricordare che nella cura delle malattie gli indù praticavano anche la suggestione e l’ipnotismo, in appositi templi che ricordavano gli asclepiadei dell’occidente, anticipando di decine di secoli le esperienze che, in proposito, saranno fatte anche in Europa. In Egitto, grazie alla fiorente attività commerciale con l’Oriente, vennero importate molte pratiche antalgiche successivamente tramandate alle civiltà greca e romana; la civiltà egizia si caratterizza per il diffuso e sapiente impiego di piante a scopo antalgico, per uno studio più sistematico del paziente e dei segni e sintomi della malattia e per una grande specializzazione nelle tecniche chirurgiche. La medicina

Figura 2 Crani di epoca incaica e preincaica che presentano trapanazione. Museo Nazionale di Archeologia, Antropologia e Storia di Lima, Perù

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della civiltà egizia, per quanto primitiva e infarcita di superstizioni e pratiche per allontanare le divinità del male, non era molto diversa, come impostazione, da quella praticata in Europa fino al Rinascimento. Gli Egizi ci hanno lasciato papiri che possiamo considerare veri e propri “trattati di medicina”: vi si trovano descritte le indicazioni di molte sostanze, il giusquiamo (Hyosciamus niger, contenente scopolamina), il papavero, importato dalla Mesopotamia, la senna (calmante dei dolori viscerali), il coriandolo. Grande uso, a scopo ipnotico, si faceva nell’antico Egitto della mandragora, che per il suo aspetto antropomorfo ha attirato su di sé leggende, credenze e superstizioni; in un la regina Nefertiti offre la pianta di mandragora al suo sposo sofferente di cefalee ricorrenti... La cultura assiro-babilonese e la cultura egizia hanno sicuramente influenzato la medicina ebraica, benché in questa civiltà la religione abbia fortemente condizionato il concetto di sofferenza; si tratta della punizione divina per i peccatori, riservata a chi non rispetta la legge data da Dio, benché in alcuni brani della Bibbia il dolore è inflitto da Dio per educare, purificare e far maturare il suo popolo; il dolore può essere una prova permessa da Dio ai giusti affinché essi possano fornire prova della saldezza della loro virtù e del loro attaccamento a Dio. Nella Bibbia (Siracide 38) vi è un vero e proprio elogio del medico, che tuttavia deve prestare attenzione ad agire sempre per il tramite di Dio: “Onora il medico come si deve secondo il bisogno; anch'egli è stato creato dal Signore. Dall'Altissimo viene la guarigione, anche dal re egli riceve doni. La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i grandi. Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza.” Anche nell’antica Grecia la cultura del dolore e della malattia è frutto delle numerose contaminazioni assiro-babilonesi ed egizie; persiste il concetto della sofferenza inflitta e mutuata dalle divinità ma l’amore per la sapienza e l’avvento del pensiero filosofico introducono il concetto di equilibrio, di salute, di corretta alimentazione e della benefica attività fisica. Soprattutto, in Grecia nasce la “scuola” medica ippocratica, all’interno dei templi di Asclepio (o Esculapio), luoghi di riferimento per medici ma anche per i malati; famosi sono quelli di Epidauro e Kos. Molto in voga in epoca greca sono le piante medicinali per trattare il dolore, con un uso meno frequente dell’oppio rispetto all’aconito, la mandragora, l’elleboro, l’atropa, il giusquiamo, ecc. Saranno medici stranieri, per lo più greci, a esercitare la professione medica nell’antica Roma; i romani Celso e Plinio il Vecchio sono da considerare eccellenti studiosi ed eccezionali enciclopedici che sono riusciti a raccogliere numerose e preziosissime informazioni giunte fino a noi, ma chi ha esercitato a Roma la professione medica, ritenuta arte servile, sono stati i medici etruschi e quelli greci. Nonostante il mistero che avvolge la civiltà etrusca, i reperti in nostro possesso ci consentono di ipotizzare che gli etruschi fossero abili fitoterapeuti: sul Monte Soratte, in un collegio sacerdotale preparavano farmaci dotati di potere ipnotico e sfruttavano gli effetti analgesici del Lilium candidum e del Colchicum autumnalis; erano inoltre grandi conoscitori delle proprietà delle acque termali, che impiegavano nella cura di molte malattie. Le sorgenti salutari erano santuari specializzati, in cui la possibilità di accedere alle acque seguiva tappe obbligate, come il preventivo acquisto delle parti anatomiche che rappresentavano la parte affetta (ex voto anatomici) e la loro affissione sulle pareti del tempio o la loro immersione nelle acque il che dimostra quanto anche la medicina etrusca fosse di tipo teurgico. Il campo in cui la scienza medica etrusca si distinse al di sopra di ogni altro popolo dell’antichità fu, però, l’odontoiatria, non solo per la cura delle algie da carie dentaria con miscugli di bosso e aglio e infusi di salice ma poiché grazie alla loro abilità nella lavorazione dei

metalli, gli etruschi utilizzarono le tecniche della lavorazione orafa per creare protesi dentarie di ottima fattura, ancora visibili nei teschi ritrovati presso le loro necropoli. I denti che dovevano sostituire quelli mancanti sostenuti da ponti in oro, erano ricavati in prevalenza da animali e quindi sagomati e adattati perfettamente al sistema masticatorio del paziente. A scopo analgesico si è fatto ricorso probabilmente fin dai tempi antichi, anche all’uso del freddo. Oribasio (325-403), uno dei massimi medici bizantini, descrive l’esecuzione di una ureterotomia dopo ripetute applicazioni di pezze bagnate con acqua gelida. Tra i medici più illuminati dell’epoca romana va ricordato sicuramente Galeno da Pergamo, che identifica anatomia e fisiologia di ciascun organo e si rivela grande studioso del sistema nervoso e dei suoi collegamenti con gli organi di

Figura 3 Tavola anatomica di Galeno

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senso, confermando sia il carattere di organo nervoso del cervello sia la distinzione tra nervi delegati al movimento (nervi pesanti) e nervi incaricati delle sensazioni (nervi leggeri); giunse a postulare un’origine neurologica nelle paralisi, nelle disfunzioni sensoriali e nel dolore causato da malattie e da traumi. Galeno approfondisce il tema del dolore non solo valutandone le caratteristiche (pulsante, opprimente, tensivo e pungente) e l’intensità, ma ritenendolo malattia di per sé. Abilissimo nel preparare farmaci personalizzati (“galenici”!) riserva all’oppio un ruolo terapeutico fondamentale (“sine opio medicina claudicat”). Con le invasioni barbariche e il crollo dell’impero si apre un lungo periodo di oscurantismo per la medicina: la cura degli infermi sarà per lungo tempo affidata alla pietà di istituzioni ecclesiastiche e centri conventuali. La medicina araba, con Avicenna (936 - 993), contribuisce in maniera significativa a sviscerare il “problema dolore”, descritto come sintomo di malattia ma anche come condizione morbosa in sé; egli descrive quindici forme di dolore (tra cui quello renale, auricolare, articolare, ecc.) e propone svariati rimedi quali l’esercizio fisico, la sedazione, il calore, il massaggio, le applicazioni di acqua gelata e neve, l’uso di analgesici potenti, quali l’oppio e la mandragora, o più blandi, quali le bacche di ginepro, il piretro, la ruta, la maggiorana, il lauro, la camomilla, la rosa, gli estratti di edera. I medici arabi (tra cui vanno ricordati oltre ad Avicenna, Abulcasi, Averroè e Malmonide) vanno anche ricordati per l’estrazione di principi attivi dalle piante attraverso distillazione, sublimazione, calcinazione e filtrazione e per l’introduzione di innovative preparazioni, come gli sciroppi, gli alcoli, il giulebbo (bevanda composta da zucchero bollito in acqua o sughi d'erbe e chiarita con albume d'uovo) e i correttori di sapidità come l’acqua di rose, gli estratti di arancia o la gomma adragante (emulsionante e addensante).

Dal Medioevo all’Ottocento

Nell’alto Medioevo la medicina è prevalentemente monastica e praticata nei conventi e abbazie dei monaci benedettini i quali, disponendo degli antichi testi della cultura medica greca e romana, non solo provvedono alla loro attenta trascrizione ma li utilizzano per la preparazione di rimedi per la cura del dolore, usando le erbe coltivate negli orti dei conventi. In particolare si delinea la figura del Pater Infirmarius, un religioso con buone conoscenze scientifiche, che ha accesso alla biblioteca e alla farmacia e che, con l’aiuto di altri fratelli, assiste gli infermi ricoverati in ambienti protetti e con i minimi requisiti igienici. L’uomo comune di quest’epoca, tuttavia, ricorre spesso alle fattucchiere, alle streghe, all’esorcismo e porta al collo amuleti e talismani per allontanare malattie e sofferenza. Espressione di rinascita medica in Italia nel X-XI secolo è la Schola Medica Salernitana, che non solo ha ospitato prestigiosi medici (tra cui anche donne!) ma ha provveduto alla traduzione del Canone di Avicenna e alla redazione di testi di medicina in latino, utile alla formazione di giovani medici di diversa provenienza. Fu elevata a università nel 1231 da Federico II e soppressa da Gioacchino Murat nel 1811; restituì dignità all’arte medica e diede l’avvio all’apertura di importanti Università (Bologna, Padova…), sedi di formazione dei medici europei. Nel resto d’Europa ricordiamo che in Inghilterra nel XIV e XV secolo, si faceva uso della miscela di Dwale, mistura di fiele di maiale, succo di cicuta, lattuga, oppio, giusquiamo (lassativo) e aceto sciolti nel vino, mistura che induceva un sonno della durata di tre giorni consentendo interventi chirurgici più complessi! Nella pratica popolare, in questa epoca, in presenza di affezioni dolorose si procedeva con il ricorso dapprima a rimedi casalinghi frutto di usanze locali tramandate per generazioni e infarcite di credenze superstiziose; poi ci si rivolgeva allo speziale o al medico che spesso ricorreva ai salassi; se infine la malattia richiedeva un intervento chirurgico se ne occupavano i barbieri per la risoluzione di casi semplici o i cerusici (chirurghi) per interventi più complessi. In questo caso un’anestesia e un’analgesia più o meno blanda si ottenevano con il vino o con preparazioni a composizione variabile, più o meno complessa ma contenente oppio, giusquiamo, mandragora e altre erbe che nei secoli si erano dimostrate efficaci.

Un prototipo di anestetico “gassoso” fu la spongia somnifera, spugna di mare nella quale erano fatti assorbire i succhi dell’oppio mescolati con la mandragora e il giusquiamo e fatta essiccare al sole. Al momento dell’uso era immersa nell’acqua e posta vicino alle narici dell’operando che, inspirandone i vapori, si addormentava. Per svegliare il paziente si poneva succo di radici di finocchio in prossimità delle narici.

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Nel Rinascimento Leonardo da Vinci (1452-1519) e Andrea Vesalio (1514-1564) ripropongono il cervello come punto di arrivo di tutte le sensazioni e si perfezionano i metodi di anestesia e analgesia (uso di erbe, freddo, compressione carotidea, spugna soporifera, ecc.); quale illustre scienziato si afferma Teofrasto Bombasto di Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541), che nel 1530, distillando in parti eguali alcool ed acido solforico, ottiene l’olio di vetriolo dolce, chiamato in seguito etere, che sperimentò sulle galline e propose come analgesico, senza tuttavia intuirne l’uso come anestetico volatile. Analogamente, Albert le Grand produce l’aqua ardens, precursore del cloroformio. In quest’epoca vengono anche studiati rimedi per favorire la guarigione delle ferite da arma da fuoco, evitando complicanze infettive ed emorragiche: il grande chirurgo francese Parè introdusse la legatura dei vasi in caso di amputazione e, studiando il dolore da arto fantasma, fu il primo a collegare la sezione di un nervo alla scomparsa del dolore cronico. Nel Seicento, René Descartres (1596-1650), meglio conosciuto come Cartesio, utilizzando lo scetticismo metodologico, pone le basi del razionalismo, movimento basato sulla sperimentazione: apre una discussione, offre uno schema di riferimento, ridefinisce e rinnova le conoscenze precedenti ponendo le premesse non solo dell’anatomia topografica, ma anche della fisiologia. Ritenuto il primo pensatore moderno, ha fornito un quadro filosofico di riferimento per la scienza moderna, cercando di individuare i principi fondamentali che possono essere conosciuti con assoluta certezza; nello specifico, la rielaborazione meccanicistica di Descartes permette di ricondurre tutte le funzioni biologiche del vivente alla sola conformazione anatomofisiologica dell'organismo, disfacendosi di ogni ricorso a fenomeni comportamentali o qualità occulte. A lui di devono i numerosi studi sulla trasmissione nervosa e la teoria del dolore come campanello d’allarme (esperimento della fiamma sul dito). Thomas Sydenham (1624 – 1689) è considerato uno dei padri della medicina inglese, famoso per il trattamento del vaiolo e l’uso del laudano, ed è il primo, nel 1619, a stabilire la percentuale sicura (10%) di oppio nella tintura di oppio che da questo momento trova una più sicura e ampia applicazione rispetto ai secoli precedenti in cui l’incertezza posologica favoriva sovradosaggi spesso letali. Pur essendo più largamente utilizzato, l’oppio applicato nel sedare i dolori e calmare l’iperemotività e l’agitazione resta avvolto da una certa istintiva diffidenza da parte della classe medica tanto che nell’edizione del 1757 del Ricettario Sanese figura l’avvertenza “Ne si ponga in opera senza l’approvazione di prudente medico e sempre con gran circospezione”. Va infine celebrato Marcello Malpighi (1628 – 1694) medico, anatomista e fisiologo italiano cui si deve l’intuizione della specificità degli organi di senso. Anche se non sembra rispondere a verità la scoperta attribuitagli delle cellule nervose, il Malpighi comincia a delineare i rapporti tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso periferico, con particolare riferimento alle papille della lingua (che egli ritiene essere le estremità di fibre nervose in funzione di recettori) e alle papille dermiche che scoprirà nel 1666. Nel Settecento si focalizza l’attenzione sul sistema nervoso e sulla sua regolazione e torna alla ribalta l’etere; si scopre il protossido d’azoto, detto gas esilarante, e sul finire del XVIII secolo Erasmus Darwin, nonno di Charles, anticipa la teoria dell’intensità del dolore. Friedrich Wilhelm Adam Sertürner, farmacista tedesco, nel 1804 isola la morfina dall'oppio, fornendo all’umanità un efficace analgesico, privo degli effetti collaterali dell’oppio, ben dosabile, maneggevole e poco costoso. Nel 1811 Charles Bell, autore di pregevoli incisioni che raffigurano il sistema nervoso, illustra diverse funzioni dei nervi in corrispondenza con le zone cerebrali da cui si dipartono e dimostra, con esperimenti condotti su animali, che le radici dorsali dei nervi spinali hanno funzione sensitiva, mentre le radici ventrali ne hanno una motoria. Nel 1828 Leroux isola la salicina e scopre le proprietà antalgiche dell’acido salicilico che nel 1893 Felix Hoffman, chimico della Bayer, riuscirà a produrre su scala industriale.

Nel Novecento

Saranno i primi decenni del XX secolo quelli che rivoluzioneranno la terapia del dolore. Nel Novecento il dolore fu studiato seguendo due direzioni principali:

1) neurofisiologica: furono descritte le aree cerebrali implicate nella percezione di stimoli nocivi e perfezionate le conoscenze precedenti sulle vie nervose coinvolte nella trasmissione dell’input sensoriale dalla periferia corporea al cervello;

2) psicologica: si comprese che il dolore rappresentava un’esperienza sensoriale complessa, soggettiva, che dipendeva dall’amalgama di fattori cognitivi, emozionali, ambientali, culturali e sociali.

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Considerevoli passi in avanti nella definizione dell’algesia furono compiuti da William Livingston (1892-1966): riprendendo le idee di Sherringhton sul dolore, nella sua opera “Pain mechanisms” diede due definizioni del concetto di algesia, una fisiologica e l’altra psicologica. Il capitolo sulla fisiologia del dolore contiene la seguente osservazione: “il dolore è un segnale cosciente che si aggiunge al riflesso protettivo in risposta a uno stimolo dannoso o pericoloso”. Nell’accezione psicologica, l’algesia è definita da Livingston (1943) come “un’esperienza sensoriale; soggettiva e individuale, [che] dipende da fattori culturali; la risposta individuale al dolore varia in relazione all’equilibrio fisico ed emotivo della persona”. Per la prima volta, in un manuale medico era inserito un intero capitolo sulla psicologia del dolore a dimostrazione che non può esistere un approccio al dolore senza considerare la dimensione soggettiva e individuale che lo caratterizzano. Il giapponese Otojiro Kitagawa (1861-1922) introduce l’anestesia spinale e inietta per primo (1901) la eucaina (20 mg) e la morfina (10 mg) nello spazio sub-aracnoideo per il trattamento del mal di schiena da spondilolistesi. Nel 1912, W. G. Spiller e F. Martine eseguono la prima cordotomia chirurgica (analgesia che si instaura su tutto un emisoma con la conservazione della motilità, interrompendo quindi la conduzione spino-talamica derivante dalle radici posteriori) per alleviare i dolori neoplastici monolaterali. Max Kappis, nel 1918, propone il blocco dei nervi splancnici e successivamente, nel 1925, Felix Mandl esegue il blocco del simpatico per via transtoracica; entrambe le tecniche vengono proposte per combattere le algie da carcinoma pancreatico. Achille Mario Dogliotti (1897-1966) propone l’iniezione nello spazio sub-aracnoideo di alcool puro e, giocando sulla posizione da far assumere al paziente sul tavolo operatorio, arrivava a “bagnare” le radici nervose posteriori del tronco spinale che sono responsabili del dolore; si ottiene così una rizotomia chimica dei nervi che si dipartono dalla zona dolente (1931). È merito dell’italo-americano J. J. Bonica (1917-1994) se viene impressa una svolta decisiva alla terapia antalgica: autore del primo trattato sul dolore, “The Management of Pain”, rende il blocco nervoso il primo moderno metodo di terapia antalgica, determinando uno stato di analgesia senza compromettere la psiche. Nel 1967, seguendo la teoria del gate control o del “cancello”, ideata da Roland Melzack e Patrick D. Wall (1965), come pure le indicazioni di P. H. Sweet e dello stesso P. D. Wall (1967), si introduce l’elettrostimolazione transcutanea nel trattamento del dolore. La teoria del gate control, per cui Melzack e Wall ebbero il premio Nobel, offre una spiegazione logica a osservazioni sperimentali, quali ad esempio l’utilità del massaggio nella terapia antalgica; in sostanza, l’attivazione delle fibre nervose di diametro maggiore attraverso sistemi elettrici o semplicemente con il tatto ha la capacità di inibire le fibre nocicettive, di diametro minore. Sempre nel 1967, Norman C. Shealy, J.T. Mortimer e J. Reswik introducono elettrodi nello spazio peridurale posteriore, in contatto con la dura madre, dapprima con una piccola laminectomia e successivamente per via transcutanea; si dà così inizio alla stimolazione midollare, la Spinal Cord Stimulation, indicata in particolare nell’ischemia critica degli arti. Nel 1978, La Tremoliére propone la somministrazione di morfina per via sub-aracnoidea nel paziente con dolore da cancro: la notevole riduzione del dosaggio (un ventesimo di quello somministrato per via parenterale), cui fa seguito la riduzione degli effetti collaterali, ne favorisce la larga diffusione. Da allora vi è stata una crescita progressiva dell’utilizzo della via epidurale (soprattutto a scopo anestesiologico) e subaracnoidea per il controllo del dolore cronico e, successivamente, della spasticità con l’immissione in commercio di sistemi parzialmente (port sottocutaneo collegato a catetere spinale + pompa esterna) o completamente impiantabili (pompe d’infusione sottocutanee collegate a cateteri spinali) e di farmaci specifici per la via intratecale (baclofen e ziconotide).

Epidemiologia del dolore In epidemiologia la prevalenza è la proporzione di persone che presentano la malattia (o la condizione patologica) in una determinata popolazione, al tempo dell’osservazione (variabile da un istante ad alcuni mesi). La prevalenza “lifetime” è la proporzione di persone che in un certo momento della loro vita (sino al momento della valutazione) ha avuto la malattia. Negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati numerosi studi osservazionali basati su campioni di popolazione o review prevalentemente descrittive che riprendono studi precedenti con risultati che differiscono talora

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notevolmente a causa della non univoca definizione della malattia “dolore cronico”, delle diverse metodiche di campionamento e dimensioni dei campioni. La definizione ufficiale di dolore è stata delineata dalla IASP, International Association for the Study of Pain, che nel 1979 la descrive come "un'esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”, ponendo l’accento soprattutto sulla natura soggettiva della sensazione dolorosa. Si parla di dolore cronico se, dopo la fase del dolore acuto, la sensazione dolorosa perdura, viene meno la sua utilità biologica e diviene essa stessa vera e propria malattia: è un dolore che dura almeno per 3 mesi o che comunque permane oltre il tempo normale di guarigione (Bonica, 1953), potendo determinare modificazioni affettive e comportamentali, incidendo negativamente sulla qualità di vita e sulle perfomance lavorative, producendo risvolti gravemente negativi sulla vita di familiari e amici e causando addirittura invalidità e/o disabilità e isolamento sociale. Le cause che possono determinare dolore cronico sono molteplici; la più comune è l’osteoartrite/artrite (nel 42% dei casi), seguita da patologie tumorali, disturbi del disco intervertebrale, fratture, cefalee, neuropatie, sclerosi multipla, diabete, infezioni, ferite, sindromi delle fasce muscolari, postumi della toracectomia, infezioni da herpes zoster, ecc. Qualunque sia la causa scatenante, si ritiene ormai il dolore cronico come una malattia a sé stante, che non solo influisce in maniera significativa sulla qualità della vita ma comporta risvolti economici, generando costi considerevoli. Tra gli studi epidemiologici sul dolore il più noto è sicuramente quello di Breivik e coll., del 2006, denominato “Chronic Pain in Europe”, interessante sia per la metodologia adottata (Computer Assisted Telephone Interview), sia per le dimensioni del campione (46.394 persone) sia per la possibilità di effettuare un confronto tra la prevalenza rilevata nei diversi Paesi europei (15 Paesi europei e Israele). Dallo studio è emerso che il 19% degli intervistati (circa 75 milioni di persone se riportato alla popolazione dei Paesi considerati) riferiva di avere sofferto in passato di dolore moderato o severo per almeno 6 mesi e di averne sofferto diverse volte nell’ultimo mese; l’ultimo episodio doloroso era stato di intensità ≥5, su una scala ordinale numerica da 1 (nessun dolore) a 10 (massimo dolore immaginabile). La prevalenza del dolore cronico così identificato è risultata essere compresa tra il 12% (Spagna) e il 30% (Norvegia); in Italia del 26% (vedi Figura 4).

Figura 4 – Paesi studiati e numero di telefonate in ogni Paese: dallo studio Pain in Europe si ricava che il dolore affligge circa un quinto della popolazione adulta in Europa (75 milioni di persone, pari al 19%).

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La maggior prevalenza si verifica in Norvegia, Polonia e Italia, la più bassa in Spagna, benché comunque superiore a un intervistato su dieci (12%). Tra i pazienti selezionati, 4839 persone, circa 300 in ogni Paese, hanno risposto a un secondo questionario di approfondimento e l’indagine ha mostrato che il 66% aveva avuto dolore di intensità moderata (gravità 5-7), il 34% aveva sofferto di dolore severo (gravità 8-10), il 46% aveva dolore costante, il 54% dolore intermittente, il 59% aveva sofferto di dolore in un periodo compreso tra i 2 e i 15 anni e il 21% aveva avuto una diagnosi di depressione. Un terzo delle famiglie europee lamenta almeno un caso di dolore cronico al suo interno (vedi Figura 5).

Figura 5 – Prevalenza del dolore cronico per paese e intensità.

Chronic Pain in Europe: la situazione italiana

In particolare, per quanto riguarda l’Italia, dallo studio di Breivik si ricava che, all’epoca dello studio: un italiano su quattro (26%) soffriva di dolore cronico; il 58% delle persone sofferenti erano donne; la distribuzione regionale era variabile:

o Nord Ovest 27,7% o Nord Est 20,9% o Nord/Centro 32,2% o Sud/Centro 24,1% o Sud 21,7%

Per quanto concerne la durata del dolore i dati risultano abbastanza inquietanti (vedi Figura 6):

in media, i sofferenti sono vissuti con il dolore cronico per 7,7 anni; quasi un quinto è vissuto con il dolore per oltre 20 anni.

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Figura 6. Durata del dolore riferita dai sofferenti di dolore cronico – Italia – (n=300) Gli intervistatori hanno inoltre valutato lo stato d’animo dei dichiaranti in funzione del loro dolore. I dati sono raccolti in Figura 7.

Figura 7 – Stato d’animo dei dichiaranti rispetto al dolore Un quarto dei pazienti dello studio ha dichiarato che il dolore ha influito sulla propria vita professionale e sul piano emotivo. La Figura 8 riporta i dati italiani.

Figura 8 – Influenza del dolore sulla vita lavorativa ed emotiva Le cause più frequenti del dolore cronico riportate nello studio sono l’artrite e l’osteoartrite (34%), mentre la localizzazione più frequente è la lombalgia (low back pain) (vedi Figura 9).

2 5

27

20 22

7

17

0

5

10

15

20

25

30

6 Monthsto <1Year

1 to <2Years

2 to <5Years

5 to <10Years

10 to<15

Years

15 to<20

Years

20 Yearsor More

17

28

20 22

05

1015202530

Lavoro Perso Cambio diResponsabilità

al Lavoro

Cambio diLavoro

DiagnosticataDepressione

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

I feel tired all the time

My pain is just part of my medical condition

My pain keeps me from thinking or concentrating clearly

I feel much older than I really am

I cannot remember what it feels like not to be in pain

I am in too much pain to take care of myself and other people

Being in pain makes me feel helpless

I cannot function normally

I feel alone with my pain

Some days the pain is so bad, I want to die

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Figura 9 – Cause più comuni di dolore riportare da pazienti affetti da dolore cronico (n=4.292)

I dati relativi all’intensità del dolore sono riportati in Figura 10; da notare che un terzo degli intervistati dichiara di aver avuto nel corso dell’ultimo attacco un dolore così grave da non poter pensare di riuscire a tollerarne un possibile aumento.

Figura 10 – Livelli di tolleranza per un aggravamento del dolore (n=4,785) Se i pazienti italiani (n = 294) presentano nel 76% dei casi dolore da movimento, l’analgesia è considerata adeguata solo dal 53% dei pazienti (n = 96) o, ribaltando il punto di vista, il 47% dei pazienti considera l’analgesia inadeguata. L’opinione dei pazienti sul trattamento è riportata nel grafico di Figura 11.

Figura 11 – Opinione dei pazienti sul trattamento del dolore

31% 47% 18% 4%

0% 100%

My pain was so severe, Icould not tolerate any moreI could tolerate a little morepainI could tolerate somewhatmore painI could tolerate a lot morepain

0 10 20 30 40 50 60 70

I worry about the side effects of pain medicine

I would rather take medication for my illness than my pain

I am always willing to try a new treatment for pain

I am afraid of being addicted to pain medicine

I would spend all my money on pain treatment if I knew it would work

My pain is not severe enough to take pain medicine

I am taking so many medicines, I do not want to take pain medicine too

34

15

12

8

7

6

4

4

4

3

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Arthritis/osteoarthritis

Herniated/deteriorating discs

Traumatic injury

Rheumatoid arthritis

Migraine headaches

Fracture/deterioration of spine

Nerve Damage

Cartilage Damage

Whiplash

Surgery

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Nello studio Chronic Pain in Europe risulta che solo il 39% dei medici misura il dolore e la percentuale scende al 28% se si considera quanti di questi ripostano i dati in cartella (vedi Tabella 1). Tabella 1 - Utilizzo di tool di valutazione del dolore

Paese N % MMG che utilizzano tool di

valutazione del dolore

% MMG che utilizzano tool di

valutazione del dolore ma non

registrano i risultati in cartella

Total 1309 48 17

Belgium 102 42 23

Denmark 101 36 19

France 100 60 15

Germany 100 59 12

Ireland 101 37 8

Italy 100 39 28

The

Netherlands 100 42 10

Norway 100 63 5

Poland 100 65 22

Portugal 100 48 38

Spain 101 52 11

Sweden 100 56 16

UK 104 26 22

Vale la pena, ricordare lo stretto rapporto esistente tra depressione e dolore cronico. I pazienti con depressione spesso presentano un complesso insieme di sintomi di tipo sia emozionale sia fisico. Diversi studi hanno riportato l’esistenza di una associazione tra depressione e dolore, specificando che il rischio di depressione aumenta in funzione dell’aggravamento del dolore (frequenza, durata e numero dei sintomi). Pazienti con sintomi multipli di dolore (es. mal di schiena, mal di testa, dolore addominale, dolore al collo e dolore al viso) risultano avere una probabilità di essere depressi da 3 a 5 volte maggiore rispetto ai soggetti senza dolore e questo dato è stato confermato da uno studio di Magni e coll. sulla popolazione generale, che ha messo in evidenza che i soggetti con dolore cronico hanno una probabilità tre volte superiore di cadere in depressione rispetto a quelli senza dolore cronico.

Per quanto riguarda l’assunzione dei farmaci, sempre facendo riferimento allo studio Chronic Pain in Europe (2006), i pazienti cronici che riferiscono un qualsiasi trattamento in corso per il dolore in Italia (n=299) dichiarano nel 58% dei casi di non curarsi, contro un 42% che dichiara di curarsi. I farmaci prescritti per trattare il dolore sono iniziati ma poi interrotti nel 55% dei pazienti, mai iniziati nel 22% dei casi e solo il 23% dei pazienti dichiara di effettuare il trattamento al momento dell’indagine. Per quanto riguarda le classi di farmaci utilizzati, esse sono riassunte nel grafico di Figura 12.

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Figura 12 - Classi di analgesici e adiuvanti prescrittiin Italia (Dati ottenuti dalle interviste; n=90) La differenza di consumo dei farmaci nei vari paesi è riassunta nella Tabella 2. Tabella 2. Consumo delle diverse classi di analgesici nei diversi paesi (da Chronic Pain in Europe) Weighted

Total

UK

(n=300)

France

(n=300)

Germany

(n=302)

Italy

(n=300)

Spain

(n=301)

Poland

(n=300)

Sweden

(n=300)

Norway

(n=304)

Denmark

(n=303)

NSAIDs 44% 23% 25% 54% 68% 49% 71% 27% 24% 38%

Weak

Opioids

23% 50% 19% 20% 9% 13% 28% 36% 50% 8%

Paraceta-

mol

18% 38% 38% 2% 6% 8% 8% 26% 45% 0%

COX-2

Inhibitors

6% 3% 6% 8% 7% 2% 1% 7% 11% 8%

Strong

Opioids

5% 12% 4% 4% 0% 1% 4% 3% 6% 11%

Degna di nota è inoltre la valutazione del consumo di morfina nei vari paesi europei; i dati sono riassunti nella Figura 13.

Figura 13 – Consumo di morfina pro-capite nei principali paesi europei (dati 2003)

68%

9% 6% 7% 0% 4% 3% 6%

0% 0% 5%

0% 0%

100%

0

20

40

60

80

100

120

Eu

rop

eA

vera

ge

A

ustr

ia

D

enm

ark

F

inla

nd

F

ran

ce

G

erm

an

y

I

rela

nd

I

taly

Ne

the

rla

nds

S

pa

in

S

wed

en

Sw

itzerl

an

d

U

nited

Kin

gdo

m

34

114

78

5

38

25

14 4

15 10

33 29

44

Mil

lig

ram

mi

Paese

Milligrammi di Morfina pro capite: 2003

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Lo scarso numero di pazienti trattati con morfina si ripercuote sull’utilizzo dei farmaci antinfiammatori non steroidei, che risulta proporzionalmente superiore a quello dei principali paesi europei (vedi Figura 14). Nell’ambito dei medicinali da banco, gli italiani dichiarano di consumare antinfiammatori non steroidei nel 79% dei casi; solo il 3% dichiara di utilizzare paracetamolo e una cifra analoga oppioidi deboli.

Figura 14 – Consumo percentuale di farmaci antinfiammatori non steroidei, oppioidi deboli e oppioidi forti nei principali paesi europei Infine lo studio di Breivik et al. fornisce la frequenza del ricorso alle visite mediche: il 60% di coloro che avevano dichiarato di soffrire di dolore cronico, durante gli ultimi 6 mesi a causa del dolore era andato dal medico da 2 a 9 volte e l’11% almeno 10 volte. Il 35% aveva consultato un solo medico, mentre il 54% ne aveva consultati da 2 a 6 differenti. Il 70% dei soggetti faceva riferimento al medico di famiglia e il 27% faceva riferimento a uno specialista ortopedico. La maggior parte dei rispondenti (69%) era seguita regolarmente da un medico che si occupava del trattamento del loro dolore. Analoghe informazioni erano fornite per quanto riguarda le assenze dal lavoro e le uscite precoci dalle attività lavorative. Il 44% degli intervistati era attualmente occupato, a tempo pieno o parziale. Il tempo medio di lavoro perso a causa del dolore, negli ultimi 6 mesi, era stato di 7,8 giorni (in particolare, il 56% non aveva perso alcuna giornata lavorativa, l’11% aveva perso da 1 a 3 giorni, il 12% da 4 a 9 giorni, il 9% da 10 a 15 giorni e il 13% almeno 16 giorni).

La situazione italiana dopo la Legge 38/2010

In Italia, la Legge 38/2010 (vedi Modulo 1) rappresenta a livello mondiale una legge-modello sul tema in quanto conferisce la piena legittimità al “diritto a non soffrire inutilmente”, contrastando la vecchia e radicata concezione del dolore e della sofferenza come componenti ineludibili della malattia, da accettare in quanto tali, fino a rassegnarsi alla sopportazione. Dalla pubblicazione della Legge in Gazzetta Ufficiale, il dolore e la sofferenza devono essere considerati, riconosciuti, misurati e trattati, per limitarne l’impatto sulla qualità di vita e per restituire dignità alla persona. Si impegna tutto il sistema sanitario nella lotta contro il dolore inutile e contro la sofferenza, attraverso l’introduzione del diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore in ordine a momenti e fasi dell’esistenza umana, connessi alla convivenza con malattie croniche-degenerative, a

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Euro

pe

UK

(n=300)

Fra

nce

(n=300)

Germ

any

(n=302)

Italy

(n=300)

Spain

(n=301)

Pola

nd

(n=300)

Sw

eden

(n=300)

Norw

ay

(n=304)

Denm

ark

(n=303)

NSAIDs/COX-2 Weak Opioids Strong Opioids

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condizioni protratte di sofferenza e di dolore, riconoscendo l’importanza del mantenimento dell’autonomia e della qualità di vita della persona; la garanzia di erogazione delle prestazioni di assistenza palliativa e terapia del dolore è contemplata nei Livelli Essenziali di Assistenza e pertanto i servizi devono essere erogati in condizioni di appropriatezza, di efficienza e di adeguato livello qualitativo. Nonostante il quadro normativo definito dalla legge 38/10 e le successive disposizioni in sede di Conferenza Stato-Regioni, la piena esigibilità del diritto non è a tutt’oggi ancora assicurata nel nostro Paese . Una recente review della letteratura, condotta nel 2011 da Reid e coll., ritiene che, sulla base degli studi, la prevalenza a 1 mese del dolore cronico non oncologico di gravità da moderata a severa possa essere stimata pari al 19%. della popolazione; da un altro studio del 2013, condotto da van Hecke e coll., è risultato che il dolore cronico non oncologico colpisce il 20% della popolazione europea ed è più frequente nelle donne, nella popolazione anziana e nelle persone con fattori di rischio di tipo sociodemografico, clinico, psicologico e biologico. Infine, un recente studio italiano riporta una stima della prevalenza del dolore cronico (superiore a 3 mesi) pari al 21,7% nell’intera popolazione italiana, che corrisponde a circa 13 milioni di persone; di questi il 41% dichiara di non avere ricevuto un adeguato controllo del dolore, il che porta a ritenere che in Italia la risposta assistenziale alla persona con dolore sia purtroppo ancora scarsa. La Legge 38 ha semplificato la prescrizione di oppioidi per favorirne l’uso: in base alle disposizioni di Legge, il Ministero provvede a monitorare i dati relativi alla prescrizione e all'utilizzazione di farmaci nella terapia del dolore, in particolare dei farmaci analgesici oppiacei. La tracciabilità riguarda tutti i farmaci acquistati dalle diverse strutture presenti sul territorio nazionale, indipendentemente dalla modalità di erogazione e dispensazione (consumo ospedaliero, distribuzione diretta, farmaceutica convenzionata, sia a carico del SSN sia acquisto privato). Il monitoraggio sull’utilizzo dei medicinali nella terapia del dolore fornisce dati incoraggianti sull’incremento dell’impiego degli analgesici oppiacei nella terapia del dolore, come evidenziato dai dati relativi alla spesa e al consumo di farmaci oppioidi nel triennio 2012-2014 riportati nella Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 38/2010 pubblicata nel 2014 e che sono illustrati in Tabella 3. Nella fattispecie, si evidenzia un trend di spesa generale in aumento ma un consumo che rimane a livelli bassi per farmaci oppioidi forti, come la morfina, l’idromorfone e la buprenorfina, persistendo un consumo prevalente di oppioidi deboli (associazione paracetamolo e codeina e tramadolo) il cui uso non è più raccomandato da diversi Autori e dai recenti alert di EMA e AIFA (http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/codeina) (vedi Figura 15). Tabella 3. Farmaceutica territoriale. Dati nazionali sulla spesa e il consumo di farmaci oppioidi nel triennio 2012-2014

Principio attivo ATC 2012 2013 2014

Spesa Quantità Spesa Quantità Spesa Quantità

Morfina N02AA01 3.788.663,75 499.906 3.923.432,59 528.203 3.915.507,07 513.511

Idromorfone N02AA03 5.866.985,26 182.511 5.362.792,76 157.466 4.575.894,11 132.849

Oxicodone N02AA05 31.237.025,18 1.228.457 40.987.307,19 1.546.820 51.279.040,93 1.920.784 Oxicodone +

Paracetamolo N02AA55 13.061.594,70 853.699

14.158.999,80 925.426 14.774.284,56 965.640 Paracetamolo

+ Codeina N02AA59 28.873.150,51 6.086.762

29.426.617,18 6.750.418 27.433.125,88 6.441.522 Petidina N02AB02 0 0 38,16 4 10,51 1 Fentanil N02AB03 54.439.723,13 1.601.964 61.086.985,57 1.730.907 66.147.367,90 1.813.025 Pentazocina N02AD01 23.700,90 5.955 19.476,28 4.896 15.832,44 3.978 Buprenorfina N02AE01 9.051.808,91 315.866 8.448.755,95 292.329 7.927.695,15 271.747 Morfina +

Atropina N02AG01 1.246,20 335

1.484,28 399 948,6 255 Tramadolo N02AX02 20.773.117,19 3.000.361 20.304.311,93 2.908.962 20.057.490,26 2.845.917

Tapentadolo N02AX06 15.355.510,16 492.419 24.818.949,59 740.665 34.393.040,29 999.497

Paracetamolo N02AX52 3.022.801,20 279.889 3.402.921,60 303.833 3.718.635,20 332.021

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+ Tramadolo

Totale

185.495.327,09 14.548.124 211.942.072,88 15.890.328 234.238.872,90 16.240.747 Da: Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010

Figura 15. Consumo farmaci oppioidi nel triennio 2012-2014

Da: Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010 I dati regionali della spesa per farmaci oppioidi evidenziano un aumentato generalizzato in tutto il territorio nazionale. In alcune regioni, quali Valle d’Aosta, Lombardia, P.A. di Trento, Lazio, Marche, Molise, Puglie e Sardegna la percentuale di crescita della spesa nel triennio 2012 – 2014 supera il 30%; l’incremento totale della spesa farmaceutica per la spesa regionale dal 2012 al 2014 si attesta intorno al 26%. Per quanto concerne tutti gli altri farmaci anti-dolorifici (anti-infiammatori non steroidei, ansiolitici, anti-depressivi, anti-epilettici, ecc.), il consumo di tali farmaci nel corso del triennio 2012-2014 ha evidenziato un utilizzo elevato di diclofenac, ibuprofene, e ketoprofene, seguiti dal etoricoxib; consumo confermato dai dati riportati nel Rapporto Osmed, che evidenziano in Italia, in particolare in alcune regioni, una importante inappropriatezza. Il Libro Bianco sul Dolore Cronico in Italia, presentato a ottobre 2014, ha evidenziato come, anche a fronte di un aumento nell’impiego di analgesici oppioidi negli ultimi quattro anni, il confronto di vendite con i FANS sia ancora sbilanciato a favore di questi ultimi, nonostante i loro possibili effetti collaterali e in controtendenza con le Linee Guida, i warning delle Autorità regolatorie e i dati di letteratura. Nel 2013 i costi della terapia con i FANS hanno toccato quota 240 milioni di euro, contro i 179 degli oppioidi, di cui 101 per quelli forti. Tra i principali Paesi Europei, l’Italia si conferma così all’ultimo posto per uso di oppioidi e al primo per impiego di FANS. Anche il dato sulla spesa pro-capite in oppioidi forti evidenzia il ritardo del nostro Paese e le barriere culturali che ancora ostacolano l’impiego di questi farmaci: si attesta a 2,11 euro, mentre in Germania la stessa spesa sale a oltre 10 euro (il valore più alto in Europa); viceversa la spesa pro-capite dei FANS in Italia risulta la più elevata, pari a 3,91 euro, a fronte di 1,82 euro nel Regno Unito. Nel 2014 il Libro Bianco per la prima volta, ha fornito una fotografia, tutta italiana, anche se basata su stime di massima, dei costi sociosanitari legati al dolore cronico. “La prevalenza del fenomeno è circa di 13 milioni di pazienti (come riportato da Fanelli e coll.); di questi, si può ritenere che un terzo non si curi o lo faccia da

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sé, in privato, pertanto sono circa 8 milioni i pazienti rilevanti per gli effetti economici sulla spesa pubblica. Sulla base delle risorse impiegate per far fronte al problema e dei loro costi unitari in Italia, è stato calcolato, con una stima al ribasso, il costo sociale medio annuo del dolore cronico per ogni paziente: 4.557 euro, di cui 1.400 per costi diretti a carico del SSN (farmaci, ricoveri, diagnostica) e 3.156 per costi indiretti (giornate lavorative perse, distacchi definitivi dal lavoro). Moltiplicando i costi diretti per 8 milioni di pazienti, si arriva a un onere annuo per il Servizio Sanitario Nazionale pari a 11,2 miliardi di euro, con un’incidenza sulla spesa sanitaria pubblica complessiva del 9,6%. Sempre sulla stessa base il totale dei costi indiretti ammonta invece a 25,2 miliardi. Dalla somma con l’importo dei costi diretti, la stima del costo sociale del dolore cronico in Italia ammonta a 36,4 miliardi all’anno, corrispondenti al 2,3% del PIL”, ha illustrato Carlo Lucioni, Senior Health Economist di Health Publishing and Services. Nel complesso, si può affermare che i dati di costo del dolore presentati in questo studio sono da ritenere sottostimati, perché non sono stati considerati i costi sanitari sostenuti nel privato né quelli riferibili alla informal-care né i costi cosiddetti intangibili; e anche perché la base epidemiologica appare conservativa , almeno nella stima dei costi indiretti. Non si è tenuto conto, per mancanza di dati specifici riferibili all’Italia, neppure dei costi derivanti da un utilizzo inappropriato dei farmaci analgesici. Ad esempio, è importante sottolineare come uno studio canadese abbia stimato che il costo diretto medio/paziente/die dei pazienti che assumevano in modo inappropriato FANS era di 3,5 volte superiore a quello dei pazienti che non li assumevano, a causa principalmente di ospedalizzazioni per problematiche gastrointestinali oltre che per l’assunzione di farmaci gastroprotettori. A risultati simili sono giunti uno studio condotto negli Stati Uniti e uno condotto nel Regno Unito. Il tentativo, compiuto in questo studio, di arrivare a una stima di tali costi per quanto riguarda l’Italia, poggia ancora su troppe ipotesi, approssimazioni e carenze di dati nazionali. Sembrerebbe allora opportuno avviare delle ricerche ad hoc, a partire dall’utilizzo delle risorse sanitarie in questo campo secondo l’effettiva prassi clinica italiana. In tali ricerche si dovrebbe anche cercare di isolare il più possibile la componente specifica del dolore cronico rispetto alla totalità dei costi propri del paziente che di quello è portatore.

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Questionario ECM

1) La civiltà egizia si caratterizza a) per il diffuso e sapiente impiego di piante a scopo antalgico b) per uno studio più sistematico del paziente e dei segni e sintomi della malattia c) per una grande specializzazione nelle tecniche chirurgiche d) tutte le risposte indicate

2) Il dolore affligge cronicamente quale percentuale di pazienti adulti in Italia? a) circa il 5% b) circa il 10% c) circa il 20% d) circa il 40%

3) Gli obiettivi dello studio “Pain in Europe” erano?

a) stimare la prevalenza del dolore cronico in Europa b) capire e quantificare le cause di dolore cronico c) esplorare l’impatto sulla qualità della vota dei sofferenti d) tutte le risposte indicate

4) L’incidenza del dolore cronico ricavata dallo studio “Pain in Europe” risultava:

a) identica in tutti i paesi europei coinvolti nello studio b) mai inferiore all’11% c) molto simile (deviazione inferiore ai 3 punti percentuali) tra i vari paesi d) molto variabile da paese a paese (da meno del 5% a oltre il 50% di persone sofferenti)

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5) La durata del dolore cronico in Italia

a) è mediamente inferiore a due anni b) raramente supera i 10 anni c) è mediamente superiore a cinque anni d) nel 55% complessivo supera i 10 anni

6) Le principali cause di dolore cronico sono le seguenti eccetto:

a) artrite/osteoartrite b) degenerazioni/ernie del disco c) traumi d) dolore chirurgico

7) I farmaci prescritti per trattare il dolore sono più spesso:

a) iniziati e interrotti b) mai iniziati c) assunti regolarmente (terapia in corso) d) nessuna delle risposte indicate

8) Il consumo medio di oppioidi forti in Italia è:

a) in linea con la media europea b) leggermente inferiore al consumo in Germania c) molto inferiore alla media europea d) superiore alla media europea

9) Il rapporto Osmed rileva:

a) un eccessivo consumo di FANS per il trattamento del dolore b) un incremento progressivo del consumo di oppiodi c) un basso consumo di oppioidi in Italia, rispetto agli altri Paesi d’Europa d) tutte le risposte indicate