Crollo civiltà

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 1. Che cosa si intende con “civiltà” e con “c rollo di una civiltà”? Secondo lo storico inglese Arnold T oynbee, una “ civiltà” nasce quando “un gruppo umano è in grado di rispondere a una sfida  che gli viene posta dall’ambiente naturale o dall’ambiente socia- le”, a condizione che questa sfida sia sopportabile, cioè forte in misura tale da provocare una reazione positiva. Il crollo di una civiltà, invece, avviene quando il gruppo umano non riesce più a rispondere  vittoriosamente alla sfida naturale o sociale” 1 . In questo senso, quindi, il concetto di civiltà è indipendente quello di storia; possiamo dunque parlare di civiltà preistoriche, che secondo il senso comune non sono “civilizzate”, così come di civiltà storiche. I Micenei certamente diedero vita a una civiltà, perché dominavano stabilmente un territorio, avevano un’economia centralizzata, e inoltre erano ben riconoscibili come popolazione, grazie a: una lingua scritta; parti col ar i t ec ni ch e ( ce ra miche, armi e armature, archite tt ur a); usa nze tip ic he (modo di sepoltura dei guerr ier i, che però cambia nel tempo; uso del le grotte come luogo di culto); un s ist ema sociale che è stato ricostruito con buon a pr oba bil ità (“c ast a” dei guerr ier i). Ognuno di questi punti rappresentava parte della risposta originale che i Micenei avevano dato alla sfida posta dall’ambiente-Egeo. Il concetto di “crollo di civiltà” è però più sfumato. In un libro recente, il biologo e antropo- logo Jared Diamond, dice che per “crollo di una civiltà” si intende “una riduzione drastica del numero della popolazione e/o della complessità politica, economica e sociale, in un’area estesa e nel corso di un prolungato lasso di tempo. Il fenomeno del crollo di una società è dunque la forma estrema tra vari e meno gravi tipi di decadenza , ed è arbitrario stabilire a che punto una crisi si possa definire crollo 2 ”. 2. Si può dire che la civiltà micenea “crollò”? La civiltà micenea si estende per un arco di tempo di 650 anni, dal 1750 circa al 1120 (o 1060) circa. (La datazione avviene con lo studio dei reperti archeologici e soprattutto delle ceramiche). In questo lungo periodo ci furono periodi di espansione e di decadenza, come è naturale in tut- te le civiltà. In particolare, l’espansione della civiltà Micenea comportò la sottomissione di una civiltà più antica, quella minoica, che non scomparve del tutto ma fu parzialmente inglobata da quella mi- cenea. 1 Pietro Rossi, Cultura e civiltà , Enciclopedia multimediale filosofica,  www .emsf.rai.it 2 Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere , Einaudi 2007, p. 5. Il crollo della civiltà micenea 

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1. Che cosa si intende con “civiltà” e con “crollo di una civiltà”?

Secondo lo storico inglese Arnold Toynbee, una “civiltà” nasce quando “un gruppo umano èin grado di rispondere a una sfida che gli viene posta dall’ambiente naturale o dall’ambiente socia-le”, a condizione che questa sfida sia sopportabile, cioè forte in misura tale da provocare unareazione positiva. Il crollo di una civiltà, invece, avviene quando il gruppo umano non riesce più a rispondere vittoriosamente alla sfida naturale o sociale”1.In questo senso, quindi, il concetto di civiltà è indipendente quello di storia; possiamo dunque

parlare di civiltà preistoriche, che secondo il senso comune non sono “civilizzate”, così come diciviltà storiche.I Micenei certamente diedero vita a una civiltà, perché dominavano stabilmente un territorio,avevano un’economia centralizzata, e inoltre erano ben riconoscibili come popolazione, graziea:• una lingua scritta;• particolari tecniche (ceramiche, armi e armature, architettura);• usanze tipiche (modo di sepoltura dei guerrieri, che però cambia nel tempo; uso delle

grotte come luogo di culto);• un sistema sociale che è stato ricostruito con buona probabilità (“casta” dei guerrieri).

Ognuno di questi punti rappresentava parte della risposta originale che i Micenei avevano datoalla sfida posta dall’ambiente-Egeo.

Il concetto di “crollo di civiltà” è però più sfumato. In un libro recente, il biologo e antropo-logo Jared Diamond, dice che per “crollo di una civiltà” si intende “una riduzione drastica delnumero della popolazione e/o della complessità politica, economica e sociale, in un’area estesae nel corso di un prolungato lasso di tempo. Il fenomeno del crollo di una società è dunque laforma estrema tra vari e meno gravi tipi di decadenza , ed è arbitrario stabilire a che punto unacrisi si possa definire crollo2”.

2. Si può dire che la civiltà micenea “crollò”?

La civiltà micenea si estende per un arco di tempo di 650 anni, dal 1750 circa al 1120 (o 1060)circa. (La datazione avviene con lo studio dei reperti archeologici e soprattutto delle ceramiche).In questo lungo periodo ci furono periodi di espansione e di decadenza, come è naturale in tut-te le civiltà.In particolare, l’espansione della civiltà Micenea comportò la sottomissione di una civiltà piùantica, quella minoica, che non scomparve del tutto ma fu parzialmente inglobata da quella mi-cenea.

1 Pietro Rossi, Cultura e civiltà , Enciclopedia multimediale filosofica, www.emsf.rai.it

2 Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere , Einaudi 2007, p. 5.

Il crollo della civiltà micenea 

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70 1750-1680 Primi reperti (Circolo B di Micene)

100 1680-1580 Circoli B e A Micene; primi contatti con l’Occidente

100 1580-1480 Espansione verso Occidente e nell’Egeo

1520-1425 circa Conquista di Cnosso (Creta)

1425-1370 circa Distruzione del palazzo di Cnosso (e sua successiva riedificazione)

50 1390-1340 Costruzione del sistema dei “palazzi”

50 1340-1270 Prime distruzioni di “palazzi” e loro ricostruzione

80 1270-1190 Distruzione dei “palazzi”

50 1190-1140 Ripresa economica, senza più centri palatini

1150-1100 Eventi sismici

1120-1060  Abbandono della popolazione; “crollo” vero e proprio della civiltà e sorgere di nuovi centri(Atene)

L’evento che normalmente è definito come “crollo della civiltà micenea” si colloca verso il 1200a.C., ed è contemporaneo alla scomparsa o alla decadenza di altre civiltà del Vicino Oriente:l’impero Hittita, Troia VI e la civiltà siriana di Ugarit; a queste si aggiunge un sicuro declino del-l’Egitto.

Nel caso della civiltà micenea, “crollo” ha un significato concreto, fisico: significa infatti la di-struzione delle parti più difese dell’imponente cittadella di Micene; la distruzione completa dicentri importanti come Prosymma; l’incendio di altri centri di questa civiltà.

Non si trattava del primo “crollo” dei palazzi. Come vediamo in cronologia, c’erano già statedistruzioni di palazzi, anche se isolate, forse un centinaio di anni prima; ma allora i centri palati-ni erano stati ricostruiti (Tirinto in particolare), ora invece i palazzi non vengono più riedificati.

Un tempo si pensava che questa data avesse segnato la fine drammatica e completa della civiltàmicenea. Le cose non stanno così, perché i Micenei continuarono ad abitare i loro territori,seppure in centri più piccoli; ci fu anche, probabilmente, una certa ripresa economica che durò

una cinquantina d’anni. Tuttavia, il sistema economico e di potere centralizzato non funzionavapiù; ed è facile supporre un calo della popolazione. Lentamente scompaiono anche le traccedelle ceramiche, delle armature e delle tombe dei guerrieri. (Ceramiche micenee successive aquesta data sono state tuttavia ritrovate nell’isola di Cipro).

Si può perciò concludere che la distruzione della Casa della Cittadella di Micene, di Tirinto, delpalazzo di Epano Engilanos, di Krisa, Gla, Prosymma e Zygouries, tutte avvenute simultanea-mente al 1200 a.C. segni l’inizio della fine della civiltà micenea, che si concluse nemmeno unsecolo dopo.

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3. Tre ipotesi sulle cause

Storici, archeologi e, oggi, anche paleo-geologi sono sempre stati affascinati dalle misteriose ra-gioni per cui le città micenee micenea abbiano subito un tracollo, tutto sommato, così rapido esoprattutto simultaneo.Sono state formulate tre grandi ipotesi:

(a) crollo a causa di invasioni;(b) crollo per cause naturali;(c) crollo per cause interne, sociali.

Le esamineremo isolatamente.

4. L’ipotesi delle invasioni: i “popoli del mare”

 Alla fine dell’Ottocento, archeologi e storici dell’antichità ipotizzarono che la decadenza inarre-stabile delle imponenti cittadelle micenee fosse stata causata dalla pressione aggressiva di  popoli navigatori di origine forse anatolica . L’egittologo francese Gaston Maspero li chiamò, nel 1881, “ po-

 poli del mare”, con riferimento a ciclo di bassorilievi egizi dell’epoca di Ramses III scoperti inun sito di Luxor.

Si tratta di rilievi e iscrizioni che raccontano la storia recente dell’Egitto, e testimoniano che ver-so il 1208 a.C. il Regno fu attaccato per mare e per terra da otto popoli che si allearono con laLibia.

Due di questi popoli guerrieri sono raffigurati con elmi piumati (o “a spazzola”), mentre com-battono una battaglia navale; altri guerrieri hanno elmi bassi adorni di corna. Nei rilievi che raf-figurano battaglie terrestri, tutti i guerrieri portano elmi piumati e manovrano carri a due ruote,trainati da buoi.

L’identificazione degli otto popoli citati da Ramses III ha costituito un problema tuttora dibat-tuto. Questi i nomi scritti dallo scriba di Ramses III; a fianco, riportiamo le supposizioni piùfrequenti.

Eqwesh Achei (??)

Shekelesh Sikelioi (Omero)

Lukka Lici

Sherden, Shardana Sardi

 Teresh Etruschi

Peleset Filistei

Denyen, Danuna Danai

 Tjekker Teucri

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L’iscrizione che accompagna il testo è l’unica fonte perattribuire un nome a questi popoli, che apparentementenon hanno lingua scritta.

Nelle raffigurazioni, i diversi popoli vengono distinti in

base al copricapo o all’elmo che indossavano (piumatoo con corna), del tutto differente da quello miceneo eda quello egizio. Si tratta di un elemento di un certosignificato, come vedremo.

Quanto ai nomi di questi popoli, l’analisi dei linguistirivela però una somiglianza solo superficiale tra i nomidei “popoli del mare” e quelli dei popoli antichi citati,fra gli altri, da Omero. Ai linguisti non appare probabileche i Tekker siano i Teucri e i Denyen i Danai.

L’origine e l’identificazione dei popoli delmare è una ricerca tuttora aperta. Laloro esistenza ha suscitato molte fan-tasie. In particolare, si pensa che gliSherden abbiano popolato la Sar-degna, dando origine al suo nome:Internet è piena di pagine con ipo-tesi suggestive al riguardo.Ma se è vero che nella Sardegnameridionale sono stati ritrovati re-

sti micenei, come spade e una te-stina in avorio di un guerriero conelmo chiaramente miceneo, non ci so-

no reperti sicuri dell’esistenza di un popolo Sherden che ne abbia popolato le co-ste, soprattutto meridionali. L’ipotesi è tutta da verificare.

È certo che i “popoli del mare” sono esistiti e hanno sconvolto le coste mediterranee e le terredel vicino Oriente, ma è probabile che si sia trattato di mercenari e pirati assoldati dalle diversepopolazioni del Nord Africa e della Libia (che era in lotta perpetua con l’Egitto). Che fosseromercenari, pare attestato dai rilievi egiziani che mostrano come essi portassero le famiglie al se-

guito, su carritrainati da buoi.

Dobbiamo orachiederci se èplausibile che i po-poli del mare, do-po aver tenuto inscacco l’Egitto,abbiano invaso e edistrutto Micene e

il suo sistema dipotere.

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L’elmo piumato dei pirati raffigurati a Luxor è considerato simile a quello presente su un vasodella stessa epoca ritrovato a Micene, il cosiddetto “Cratere dei guerrieri”, che su un lato mostra seiguerrieri con un elmo piumato che, secondo gli studiosi, è molto simile a quello dei “popoli del

mare” raffigurati nel bassorilievo egizio. Si tratta diun elmo che non ha riscontri nelle armature

micenee.

L’elmo piumato compareanche in un sigillo co-nico ritrovato in unsito miceneo a Ci-pro.

Elmi piumati oppu-re bassi, con corna,compaiono solo in

questo periodo nelle terremicenee: potrebbe essere una

prova dell’arrivo di popoli con diversearmature.

Si deve tuttavia rilevare che l’elmo piumato (ocomunque ornato di crini) di cui qui si parla era

un’armatura diffusa in diverse zone del vicino Oriente, e non è probabile attribuirne l’esclusivaa uno degli otto popoli del mare.

Ci sono quindi poche prove per sostenere che i “popoli del mare”, per quanto aggressivi, siano

penetrati in Micene tanto profondamente da sovvertirne l’ordinamento e prendere il potere,senza lasciare tracce più consistenti della loro raffigurazione sul Cratere.

Inoltre, per quanto veloce, la fine della civiltà micenea si svolge lungo circa ottant’anni duranteil quale, crollata Micene, sono ancora vivi piccoli centri (per esempio vicino a Tirinto) nei qualisi concentrano i “sopravvissuti” alla distruzione. I palazzi non sono ricostruiti ma c’è una certa

 vita economica (ceramiche). Durante questi decenni, non si trovano testimonianze di un’occu-pazione permanente del territorio miceneo da parte dei “popoli del mare”, il che rende piuttostodebole l’ipotesi che la fine della civiltà micenea sia stata dovuta all’invasione dei “popoli del ma-re”.

Si potrebbe quindi supporre che pirati e mercenari abbiano sì invaso il territorio miceneo, masolo dopo che quella civiltà si era già indebolita: l’invasione dunque potrebbero essere non tantouna causa  quanto una conseguenza del crollo miceneo.

5. L’ipotesi delle invasioni: i “popoli del nord” (Eraclidi e Dori)

Negli anni Sessanta, gli archeologi ipotizzarono che la fine della civiltà micenea fosse dovuta aun’invasione successiva a quella dei popoli del mare.

I micenei infatti avevano eretto un enorme muraglione a difesa dell’istmo di Corinto: è la provache temevano un’invasione; gli archeologi concludo che è quella stessa invasione di cui parlanoErodoto, Pausania e anche Tucidide: “Il fatto è che dopo la guerra di Troia la Grecia continuava a essere soggetta a migrazioni e a nuovi insediamenti… Il ritorno dei Greci da Ilio, avvenuto con ritardo, provocò nume- 

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rosi cambiamenti, e nella maggior parte delle città vi furono lotte interne, a causa delle quali gli esiliati fondava- no le nuove città… I Dori, ottanta anni dopo la presa di Troia, insieme agli Eraclidi occuparono il Peloponne- so… Con difficoltà e dopo molto tempo la Grecia ebbe la pace con la stabilità e non fu più turbata dalle migra- zioni”.

Eraclidi e Dori, per Tucidide, erano entrambe popolazioni del Nord. Sulla base delle sue paro-

le, e dei ritrovamenti archeologici, fra gli studiosi degli anni Sessanta si fece strada dunque l’ipo-tesi dell’“invasione dorica” che avrebbe portato al collasso la civiltà micenea.

Le prove archeologiche sembravano sostenere la testimonianza di Tucidide. Nei siti micenei siritrovava proprio in quegli anni, infatti, un particolare tipo di ceramica, chiamata barbarian ware ,impastata in maniera del tutto differente da quella locale, così come armi, fibule e rasoi moltodifferenti da quelli tradizionali micenei. Gli archeologi appurarono che non si trattava di impor-tazioni e che la ceramica era uguale per impasto e decorazioni a quella prodotta in certe areedanubiane-carpatiche e balcaniche.

Dunque, è certo che a Micene, Tirinto, Pilo fossero giunti gruppi provenienti da nord/nord-o- vest, e che essi si siano insediati stabilmente nelle città micenee. L’elevato numero di spade e digiavellotti lascia ritenere che ci fossero numerosi guerrieri, che avevano accesso al seppellimentonelle necropoli cittadine: dunque erano uomini liberi, non schiavi.Si può però anche supporre, al contrario, che si trattasse non già di un popolo invasore, quantodi un popolo reso schiavo dai micenei. E gli artigiani di quel popolo avrebbero continuato aprodurre per i Micenei gli oggetti della loro tradizione; i guerrieri avrebbero prestato serviziomilitare per i Micenei ottenendo l’onore di essere seppelliti da uomini liberi, come attestanonumerose tombe.

Se però non fosse così, e se i “popoli del nord” fossero davvero calati minacciosamente su Mi-

cene? Possiamo dunque parlare di un’invasione distruttiva da parte dei “popoli del nord”, in-torno al 1200? Le date non sembrano sostenere questa supposizione, perché ceramiche e ogget-ti “nordici” sono presenti in alcuni siti micenei già dal 1340-1270, dunque settanta-centoquaran-t’anni prima della data ipotizzata per la distruzione delle cittadelle.

I Dori: un approfondimento

L’esistenza dei Dori e degli Eraclidi di cui parla Tucidide merita un approfondimento.Il nome “Dori” ricorre spesso nelle pagine dei mitografi e degli storici greci. È il nome di unadelle tre stirpi greche secondo Erodoto, accanto agli Ioni e agli Eoli.Erodoto, Tucidide e Pausania sono concordi nel definirli un popolo ( ethnos   ) che proviene danord. Per questo, in un primo tempo, gli archeologi che studiavano la ceramica barbarica di Mi-cene credettero di averne finalmente trovato le tracce. L’ipotesi era che i popoli di areadanubiano.carpatica che avevano prodotto quella ceramica fossero proprio i Dori di cui ci par-lano Erodoto, Tucidide e Pausania.

Ma per gli autori greci l’esistenza “reale” di queste popolazioni è intrecciata con quello che anoi oggi appare francamente un mito di fondazione. Appare insomma difficile distinguere mitoe realtà dei Dori.

Secondo la mitologia greca, infatti, Zeus aveva stabilito che Eracle dovesse regnare su Micene e Tirinto. Morto Eracle, le due città furono governate da un’altra stirpe, quella di Pelope, da cuidiscende Agamennone. Ma, ottanta anni dopo la fine della guerra di Troia, i figli di Eracle (gliEraclidi) scendono con i Dori su Micene per rivendicarne il possesso. Oltre a Micene, conqui-

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stano Tirinto e poi tutto il Peloponneso; secondo il mito, comincia così una nuova fase nellastoria greca. La nuova fase è iniziata da Doro, figlio di Elleno, da cui il nome “Elleni” per autodefinirsi.

La fonte principale per l’invasione del Peloponneso da parte degli Eraclidi e dei Dori è lo stori-co e geografo greco Pausania (110-180 d.C). Egli parla di una invasione a più riprese da parte

dei Dori, che sferrarono un attacco anche per mare: “non vennero attraverso l’istmo di Corinto,come tre generazioni prima, ma ritornarono nel Peloponneso con le navi, sbarcando a Rhion”(VIII, 5, 6). Questo, perché i Micenei avevano fortificato l’istmo, che era inattaccabile.Pausania procede dettagliando gli attacchi portati dagli Eraclidi e dai Dori, le cui stirpi si eranounite, alle città del Peloponneso; parla anche della degli attacchi alle cittadelle micenee e dellaconquista di Corinto.Ma mille anni di storia separano il racconto di Pausania dalla realtà dei fatti, e la presenza delmito è molto forte.

Il mito dell’ “invasione” degli Eraclidi e dei Dori poteva serviva a spiegare e a unificare due av- venimenti storici diversi.Da un lato, il sicuro ingresso in Peloponneso, di popoli provenienti dai Carpazi o dal Danubio,accertato dai ritrovamenti di cui abbiamo detto. (Ma, come abbiamo detto, non si trattò diun’“invasione”).Dall’altro, la presenza accertata di un dialetto dorico e di una cultura dorica specifica, che esi-steva nei territori montuosi settentrionali, nella Macedonia e nell’Epiro, e che poi si era espansafino al Peloponneso e a parti dell’Egeo.

La cultura dorica possedeva elementi caratteristici (feste, rituali, calendario; architettura) e, natu-ralmente, un dialetto specifico che fu uno dei sei dialetti parlati nella Grecia antica. Ma non cisono prove che questa cultura avesse “invaso” la penisola greca, come il mito vorrebbe fare

credere. Resta probabile che nell’età oscura ci fossero scontri tra le città di cultura dorica.Dunque, mito a parte, l’origine di questa cultura “dorica” resta ancora da valutare.

6. Il crollo per cause naturali

Una delle ipotesi più suggestive riguardo al crollo della civiltà micenea vuole che essa sia scom-parsa in seguito a qualche catastrofe naturale. Viene spesso chiamata in causa l’eruzione del vul-cano Santorini, nell’isola di Thera, 100 km a nord di Creta. Un’eruzione imponente, che quasidistrusse l’isola e causò un maremoto. I paleo-geologi hanno stabilito che si sollevò un’ondamarina alta forse un chilometro e mezzo, e che furono scagliati 60 km3 di magma, il che la col-loca al secondo posto fra le eruzioni di cui l’uomo abbia notizia.

Di recente, e con buona sicurezza, si è datato il fenomeno al 1627-1628 a.C.: per quante distru-zioni possa avere causato, dunque, l’eruzione risale a 400 anni prima della fine della civiltà mi-cenea e a circa 200 anni prima della conquista di Creta da parte dei Micenei.

Certamente si trattò di un fenomeno straordinario, che dovette causare trasformazioni impor-tanti nell’area. Il ricordo di questo evento, forse, fu tramandato nel mito di Atlantide, citato daPlatone in due dialoghi: un continente scomparso in fondo al mare.

 Tuttavia, dopo questa data il palazzo di Cnosso fu ricostruito (crollerà solo con l’invasione mi-cenea, 200 anni dopo), mentre Micene inizia proprio allora la sua espansione nell’Egeo e versoOccidente.

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 Alcuni studiosi suppongono però che il vulcano abbia eruttato nuovamente in seguito, causan-do un secondo maremoto del quale non abbiamo ancora trovato traccia. I paleo-geologi in ge-nerale lo escludono.

È provato invece che tra il 1225 e il 1175, quindi proprio nei cinquant’anni che vedono la finedella civiltà micenea, la Grecia centro-meridionale fu colpita da frequentissimi terremoti di ele-

 vata magnitudo.Proprio la frequenza e l’intensità di questi terremoti – e dunque non un solo catastrofico eventosismico – possono aver impeditola ricostruzione dei palazzi.

7. Crollo per cause interne, sociali

Distruzione delle cittadelle e spopolamento potrebbero essere stati causati, secondo alcuni stu-diosi, da conflitti interni alla civiltà micenea.Per esempio, alcuni palazzi avrebbero mosso guerra ad altri; oppure ci potrebbero essere statiduri conflitti interni tra il potere centrale e alcune classi sociali. Questi conflitti interni avrebbe-ro spossato il sistema economico miceneo, che era fortemente controllato dal centro.

Una causa potrebbe essere quella del cambiamento nella produzione agricola . I resti vegetali di unodegli ultimi raccolti di Tirinto sono stati analizzati: ne risulta un raccolto di pessima qualità edanneggiato da infezioni parassitarie. Gli studiosi affermano che ciò potrebbe essere stato cau-sato da una prolungata monocultura e dalla mancanza di nuovi innesti. Troppo sfruttate, le col-tivazioni si sarebbero progressivamente impoverite, proprio in concomitanza con un enormesforzo economico per la ricostruzione dell’ultimo, monumentale palazzo di Tirinto, che avevarichiesto una forte pressione fiscale da parte del governo centrale.

Da qui, l’ipotesi di un periodo di carestia e disordini sociali che avrebbero accelerato il declinodefinitivo della civiltà micenea.

8. Un insieme di cause

Nessuna delle tre grandi ipotesi: invasioni, cause naturali, cause interne è sufficiente da sola aspiegare il tracollo della civiltà micenea. Molto probabilmente, fu un sistema di cause a deter-minarne il collasso.

Lo storico Massimo Cultraro offre questa ricostruzione: dopo le prime distruzioni (1340-1270),causate da terremoti, i palazzi di Micene e Tirinto vengono ricostruiti e modernizzati grazie aun irrigidimento del potere della cittadella: i clan locali forzano un gran numero di persone alavorare per edificare fortificazioni ancora più imponenti e per rifornire le cittadelle con grandiriserve di cereali e acqua. (Per esempio, per costruire le mura di Tirinto furono spostate 320.000tonnellate di terra).Micene, Tirinto, Midea e Atene vengono difese come mai prima d’ora, con strutture gigante-sche dotate di pochissimi punti di accesso. Secondo lo storico, il pericolo non proveniva da po-poli invasori, ma dalla minaccia da parte di un’altra cittadella. Le enormi cisterne progettate per

conservare l’acqua potrebbero essere state progettate per resistere in caso di assedio (non siesclude però l’ipotesi di siccità ricorrenti).

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Nelle cittadelle, e specialmente a Tirinto, erano già presenti gruppi “stranieri”, che non avrebbe-ro causato distruzioni di rilievo ma anzi si sarebbero inseriti nel tessuto produttivo della cittàproducendo ceramiche e oggetti della loro tradizione.I costi per la costruzione e la difesa dei palazzi devono essere stati così ingenti da causare unapressione fiscale insostenibile. Inoltre, per nutrire i lavoratori impiegati in queste opere di difesasarebbe stato necessario un aumento della produzione agricola, che invece non ci fu.

 Al contrario: la popolazione rurale diminuisce, forse decimata da un’epidemia; inoltre, lo sfrut-tamento sempre più intenso dei suoli porta a infezioni parassitarie e a una diminuzione dellaproduzione agricola.I clan non riescono più a forzare operai e artigiani a lavorare per loro, poiché questi sono vessa-ti da richieste esagerate di tasse. Anche gli “specialisti dell’arte della guerra” abbandonano i clandi riferimento.

In questa situazione entrano in gioco i “popoli del mare” che spadroneggiano nel Mediterraneoe impediscono il rifornimento di rame (da Cipro) e stagno (dal Mediterraneo occidentale), cioèdei metalli che servono per fondere il bronzo necessario alle armi.

 Tutto ciò accelera una crisi inarrestabile, che si compirà nel giro di un paio di generazioni.