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Freud - Il disagio della Civilt 1929

IL DISAGIO DELLA CIVILTA' (1929)

Opere vol. 10 pp. 555 -630

1.

Scritta nell'intervallo tra le due Guerre Mondiali, allorch il mondo si trovava in uno stato d'instabilit politica, economica e psicosociologica molto elevato, quest'opera mette la psicoanalisi alla prova sul terreno della sociologia. L'intento di Freud da ricondurre al volere dimostrare ci che nel primo capitolo espresso en passant: "nella vita psichica il passato pu essere conservato e non necessariamente va distrutto". Ora il passato arcaico legato alle pulsioni, che continuano a funzionare secondo la logica loro propria dell'appagamento, e la Civilt si definisce come una struttura di controllo, di repressione e di canalizzazione delle pulsioni. Il conflitto perenne e insormontabile tra natura e cultura il tema centrale del saggio.

L'esordio non potrebbe essere pi chiaro: "il programma del principio del piacere stabilisce lo scopo dell'esistenza umana. Questo principio domina il funzionamento dell'apparato psichico fin dall'inizio; non pu sussistere dubbio sulla sua efficacia, eppure il suo programma in conflitto con il mondo intero, tanto con il macrocosmo quanto con il microcosmo. E' assolutamente irrealizzabile, tutti gli ordinamenti dell'universo si oppongono ad esso; potremmo dire che nel piano della Creazione non incluso l'intento che l'uomo sia felice" (p. 568). Gi vincolata dalla costituzione stessa dell'uomo, che non pu provare che piaceri transitori, l'aspirazione alla felicit che, nella sua pienezza assicurata solo da uno scatenamento pulsionale ("il senso di felicit derivante dal soddisfacimento di un moto pulsionale selvaggio, che l'Io non controlla in alcun modo, incoparabilmente pi intesno di quello che si ottiene saziando una pulsione addomesticata" p. 571) deve fare i conti con la sofferenza che minaccia l'uomo da tre parti: "dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non pu eludere quei segnali di allarme che sono il dolore e l'angoscia, dal mondo esterno che contro di noi pu infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che tra origine dall'ultima fonte viene da noi avvertita come pi dolorosa di ogni altra; proprendiamo a considerarla in certo qual modo un ingrediente superfluo, quantunque possa essere non meno fatalmente inevitabile della sofferenza di provenienza diversa" (pp. 568 - 569).

Contro la sofferenza l'uomo pone in azione diverse strategie: la pi rozza l'intossicazione chimica, un'altra pi ambiziosa la mortificazione dei desideri, un'altra ancora la sublimazione, vale a dire smistare le spinte pulsionali verso obbiettivi elevati (scienza, letteratura, arte, religione), un'altra infine l'amore, che si avvicina all'obbiettivo pi di tutte le altre ma espone essa stessa al rischio della delusione e della perdita della persona amata. Occorre riconoscere per che "il programma impostoci dal principio di piacere (raggiungere la felicit) irrealizzabile; tuttavia non dobbiamo, anzi non possiamo abbandonare il tentativo di accostarci a questo adempimento. Si possono prendere molte strade diverse in questa direzione; o mettere innanzi il contenuto positivo della meta: il conseguimento del piacere, oppure il contenuto negativo: l'elusione del dispiacere. Per nessuna di queste strade possiamo ottenere tutto ci che desideriamo la saggezza che nasce dall'esperienza della vita ci consiglier di non attenderci tutto il soddisfacimento da una sola aspirazione" (p. 575).

Se questi sono i limiti della felicit umana, riconducibili alla struttura intrinseca dell'uomo, occorre aggiungere ad essi un altro fattore sorprendente, che riguarda gli uomini contemporanei: "gran parte della colpa della nostra miseria va addossata alla nostra cosiddetta civilt; saremmo molto pi felici se vi rinunciassimo e trovassimo la via del ritorno a condizioni primitive" (p. 577); "l'uomo diventa nevrotico perch incapace di sopportare il peso della frustrazione che la civilt gli impone affinch egli possa mettersi al servizio dei suoi ideali civili" (p. 578). Com' mai possibile questo se "la parola "civilt" designa la somma delle relaizzazioni e degli ordinamenti che differenziano la nostra vita da quella dei nostri progenitori animali e che servono a due scopi: a proteggere l'umanit dalla natura e a regolare le relazioni degli uomini tra loro" (p. 580)?

La risposta univoca: " impossibile ignorare in quale misura la civilt sia costruita sulla rinuncia pulsionale, quanto abbia come presupposto il non soddisfacimento (repressione, rimozione o che altro?) di potenti pulsioni. Questa "frustrazione civile" domina il vasto campo delle relazioni sociali degli uomini" (p. 587). Di tale frustrazione occorre considerare due aspetti. Il primo riguarda l'Eros. Progenitore della civilt umana in quanto ha contribuito alla formazione della famiglia, delle reti parentali e delle reti amicali, nel corso dell'evoluzione esso andato incontro ad una progressiva repressione che ha raggiumto il suo massimo a livello contempotaneo: "non v' dubbio che la civilt odierna intende permettere le relazioni sessuali solo sulla base di un legame unico e indissolubile tra un uomo e una donna, non accetta la sessualit come fonte di piacere fine a se stessa ed dispotsa a tollerarla solo come mezzo dimostratosi finora insostituibile per l'accrescimento della specie" (p. 594). In conseguenza di questo, "la vita sessuale dell'uomo civile in effetti seriamente danneggiata, talora d l'impressione di una funzione in via d'involuzione" (p. 594).

L'altro aspetto riconducibile alla necessit di porre sotto controllo l'aggressivit, che tenderebbe a disgregare la civilt. Sull'esistenza di un'aggressivit innata e senza limite Freud non ha dubbio: "l'uomo non una creatura mansueta, bisognosa d'amore, capace al massimo didifendersi quando attaccata; vero invece che bisogna attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressivit. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale soccorritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui pu magari sfogare la propria aggressivit, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo e uccidere. Homo homini lupus: chi ha il coraggio di contestare quest'affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della storia? Questa crudele aggressivit di regola in attesa di una provoca, oppure si mette al servizio di qualche altro scopo, che si sarebbe potuto raggiungere anche con mezzi meno brutali. In circostanze che le sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che solitamente la inibiscono cessano di funzionare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela nell'uomo una bestia selvaggia, alla quale estraneo il rispetto della propria specie" (p. 599). Dato che "per via di questa ostilit primaria degli uomini tra loro, la societ civile continuamente minacciata di distruzione la civilt deve fare di tutto per porre limiti alle pulsioni aggressive dell'uomo" (p. 600).

Come si realizza di fatto il controllo sociale dell'aggressivit? In due modi: attraverso la sanzione penale, che punisce i trasgressori, e il giudizio sociale, che li emargina, dall'esterno, attraverso il senso di colpa dall'interno. Rifiutando l'attribuzione all'uomo di un bisogno sociale, Freud riconduce il senso di colpa ad un'istanza psichica - il Super-io -, derivata dall'originaria identificazione del bambino con le figure genitoriali e con gli educatori, che mantiene in vigore i valori culturali da essi trasmessi in virt della paura di perdere il loro amore e di essere punito. La preoccupazione fondamentale del Super-io, che riflette la preoccupazione dell'ordinamento civile, consiste nel tenere a freno l'aggressivit innata dell'uomo. Il Super-io in breve rende l'uomo civile e adattato al suo contesto culturale nella misura in cui riesce a piegare alle esigenze sociali l'egoismo individuale sotteso dalle pulsioni, che, in s e per s, non hanno altra meta che non sia la soddisfazione dell'individuo. In conseguenza di questo, "infuria in ogni individuo la lotta tra due tendenze, quella verso la felicit individuale e quella a congiungersi con gli altri esseri umani; cos si contrappongono ostilmente i due processi dello sviluppo individuale e dell'incivilimento, costretti a disputarsi il campo l'un l'altro" (p. 626). Via via che l'incivilimento progredisce, tentando sempre pi di tenere sotto controllo l'aggressivit, tanto pi la frustrazione pulsionale che viene richiesta dalla societ e rappresentata psicologicamente dal Super-io aumenta. La civilt, insomma, "presume che l'io dell'uomo sia psicologicamente in grado di sottostare a qualsiasi richiesta, che l'Io abbia un potere illimitato sul suo Es. Questo un errore, e anche negli uomini cosiddetti normali la padronanza dell'Es non pu superare un certo limite. Esigendo di pi, si produce nell'individuo la rivolta o la nevrosi, o lo si rende infelice" (p. 628). Si d dunque una "patologia delle comunit civili" riconducibile al fatto che alcune epoche civili, come la nostra, "sono divenute nevrotiche per effetto del loro stesso sforzo di civilt" (p. 629).

La conclusione cui giunge Freud merita di essere citata: "il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l'evoluzione civile riuscir a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttiva degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all'ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicit, apprensione. E ora c' da aspettarsi che l'altra delle due "potenze celesti", l'Eros eterno, far uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario parimenti immortale" (p. 630).

2.

E' inevitabile considerare che Il disagio della civilt risente del periodo storico in cui stato scritto: un periodo appunto d'inquietudini contrassegnato da una crisi economica epocale che avrebbe contribuito potentemente alla nascita del nazismo eall'avvio della seconda guerra mondiale. Freud ha una viva percezione del pericolo e dell'infelicit che pervade la societ occidentale, ma non ha grandi competenze sociologiche o storiche. In conseguenza di questo la sua analisi volge inesorabilmente nella direzione di uno psicologismo esasperato da un riferimento biologista, secondo il quale, nella sua pi intima natura, l'uomo ed destinato a rimanre una "bestia selvaggia". Sulla base di questo presupposto - una notte nera ideologica - tutte le vacche diventano nere. L'incivilimento una dura necessit finalizzata ad impedire che gli uomini si sterminino a vicenda. Esso per richiede un prezzo da pagare: l'infelicit di una bestia addomesticata solo superficialmente.

E' vero che Freud sottolinea le eccessive richieste che la civilt pone all'uomo, e identifica in esse la causa primaria dell'infelicit, come pure che, giungendo ad ipotizzare una patologia delle comunit civili, egli d espressione ad un'intuizione geniale. Il problema che, accettando il presupposto di un'aggressivit innata e senza controllo, non possibile intravvedere alcuna soluzione di tale patologia.

A posteriori, la diagnosi di Freud risulta poi smentita dai fatti. La liberazione sessuale, almeno per alcuni aspetti, che concernono l'incanalamento coniugale e riproduttivo, avvenuta. Anche l'aggressivit, in una certa misura, si liberata, se vero che il nostro mondo aspramente competitivo e tendenzialmente litigioso. Il principio di autorit, ai cui eccessi Freud riconduceva l'infelicit dei cittadini, si di gran lunga allentato. Per effetto del liberismo, l'individuo si sottratto alla soggezione nei confronti della comunit e rivendica addirittura di essere al di sopra dello Stato.

Il nostro mondo, insomma, pi "pulsionale" rispetto all'epoca di Freud. Cionondimeno, il malessere psicologico, anzich essersi ridotto, si va estendendo a macchia d'olio. Che cosa pu significare questo? Presumibilmente che la matrice del conflitto tra natura umana e cultura pi profonda rispetto a quella meccanicistica ipotizzata da Freud. Essa, a mio avviso, va ricondotta alla doppia natura dell'uomo, all'esistenza di un bisogno di socialit e di un bisogno d'individuazione intrinsecamente conflittuali. Se la civilt gerarchica ancora imperante all'epoca di Freud mortificava il secondo, quella attuale individualistica mortifica il primo. Progettare sulla carta una civilt che consenta a tutti gli individui di realizzarsi secondo una formula di equilibrio dialettico, che non pu essere sempre la stessa, non impossibile. Ma a tanto, evidentemente, la nostra civilt non arrivata.