Il curricolo di Italiano tra continuità e...

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SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “PIAZZA GARIBALDI” – UDINE Il curricolo di Italiano tra continuità e disciplinarità Anno di prova per i docenti neoassunti Insegnante: prof. Roberto Passoni Anno scolastico 2007/2008

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SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

“PIAZZA GARIBALDI” – UDINE

Il curricolo di Italiano

tra continuità e disciplinarità

Anno di prova per i docenti neoassunti

Insegnante: prof. Roberto Passoni

Anno scolastico 2007/2008

1

Premessa……………………………………………………………………………………………........................................ p. 3

CAPITOLO PRIMO. Rifondare la scuola italiana

1.1. Dalla scuola dei programmi alla scuola del curricolo: le ragioni di un cambiamento necessario…………….. p. 5

1.2. Le Indicazioni per il curricolo: i caratteri generali e il loro valore per il futuro……………………….............. p. 10

CAPITOLO SECONDO. L’organizzazione dei saperi nella scuola del curricolo

2.1. Il rapporto fra disciplinarità e continuità………………………………………………………………............ p. 13

2.2. Tra disciplinarità e continuità: quale identità per il curricolo di Italiano?…………………………………… p. 15

2.3. L’Italiano e le altre discipline: la continuità orizzontale dei saperi……………………………………………. p. 18

2.4. L’Italiano e la sua rinnovata identità all’interno delle Indicazioni per il curricolo…………………………….. p. 22

2.5. L’Italiano e il suo valore educativo: l’urgenza di far apprendere una “lingua viva” alle nuove generazioni….. p.28

CAPITOLO TERZO. Costruire un curricolo di Italiano

3.1. Riscoprire la propria disciplina. Dalla riflessione sui nuclei epistemici all’individuazione dei saperi irrinunciabili……………………………………………………………….................. p. 31 3.2. Quale Italiano per il curricolo?............................................................................................................................. p. 36 3.3. Il problema della continuità verticale: prime considerazioni…………………………………………………... p. 38 3.4. Un modello tridimensionale per la progettazione del curricolo………………………………………………... p. 42 3.5. Alcune proposte………………………………………………………………………………………………… p. 45 Conclusioni………………………………………………………………………………………………………….. p. 50 Bibliografia…………………………………………………………………………………………………………... p. 56

I N D I C E

2

Premessa

Un insegnante dovrebbe possedere un entusiasmo inesauribile per il proprio lavoro. Certo, il

contesto professionale potrebbe già averlo abituato a un susseguirsi di continue proclamazioni

annuncianti grandi cambiamenti, che spesso si sono risolti in poco, o in nulla. Potrebbero sorgere, in

chi già lavora da tanto tempo nella scuola, cinismo, rassegnazione, amarezza, disillusione.

Io credo che, nei casi di necessità, l’esigenza di cambiamento dovrebbe nascere spontanea in un

insegnante, indipendentemente da qualsiasi iniziativa ministeriale. Assistere passivi agli

avvicendamenti istituzionali, rinunciando persino a comprendere le ragioni dell’urgenza di un

rinnovamento, non porterà il nostro sistema formativo da nessuna parte. Il mondo della scuola non

va cambiato per obbedire a un ministro, per assecondare decreti o indicazioni: la spinta a rinnovarsi

dovrebbe sorgere da motivazioni culturali e sociali profonde, dall’ansia di trasformare la scuola in

un ambiente veramente significativo, ove tutte le parti coinvolte (insegnanti, studenti, genitori,

personale dirigente e amministrativo, soggetti del territorio) concorrano a creare uno spazio che

valorizzi al massimo le persone.

Il vero cambiamento dovrebbe partire dal basso, dal lavoro concreto svolto nelle scuole. Le

prescrizioni di un decreto servono a poco: solo la convinzione di lavorare per il conseguimento di

reali vantaggi (maggiore efficacia del sistema educativo e didattico, valorizzazione del proprio

status professionale) potrà essere una fonte di autentica motivazione per intraprendere la via verso

un proficuo risultato.

La scuola non può essere lasciata sola in questo cammino, che richiede notevole impegno, energia,

competenze: ci vorrebbero certezze maggiori, punti di riferimento indipendenti da qualsiasi

legislatura. Nel momento in cui viene proposta una riforma, gli organi istituzionali dovrebbero

3

necessariamente fornire consulenza, stanziare fondi, seguire da vicino il lavoro fatto nelle scuole,

supervisionandolo e valorizzando le proposte fatte.

Il riscatto della scuola italiana, l’urgenza di adeguarla alle nuove competenze richieste da un mondo

sempre più complesso, sono a mio avviso elementi che trascendono qualsiasi linea politica di

governo. Non ha senso aspettare le proposte di un nuovo ministro: le linee guida sono state ormai

tracciate da tempo e difficilmente si potrà tornare indietro. L’autonomia scolastica, infatti, è ormai

un processo avviato ed irreversibile: con il Regolamento dell’autonomia1 il processo delle

dinamiche formative viene focalizzato sul discente, il quale assume una centralità e un’importanza

tali da rendere ormai obsoleti i vecchi programmi ministeriali, i quali dovranno essere sostituiti dai

curricoli progettati nelle singole scuole.

Difficilmente, insomma, si ritornerà alla logica dei vecchi programmi: questa soluzione

rappresenterebbe per l’Italia uno scacco matto che la lascerebbe ai margini. Il lavoro fin qui fatto

sui curricoli non è quindi da buttare, anche se la legislatura che lo ha promosso è finita.

Indipendentemente da come andranno le cose, il valore del lavoro svolto ha un’importanza che va al

di là della sua effettiva utilità agli occhi di chi, nel prossimo futuro, ci governerà: è stata

un’occasione per ripensare la scuola, per riflettere sul suo rapporto col mondo; è stata

un’opportunità per confrontarsi (orizzontalmente e verticalmente), valorizzando differenze,

condividendo opinioni e a volte (ma fa bene anche questo) scontrandosi. È stato anche un modo, per

ogni insegnante, di conoscere in maniera diversa la propria disciplina, riscoprendone i nuclei

fondativi e individuando relazioni, forse mai prima sospettate, con altre materie d’insegnamento

(grazie alla proficua ambiguità tra l’identità disciplinare e la sua polivalenza all’interno di un’area,

o di un più ampio sistema di discipline).

1 D.P.R. 275/1999, Regolamento dell’autonomia; l’articolo 8 introduce il problema della definizione dei curricoli

scolastici.

4

Ciò che è stato fatto, quindi, non ci potrà essere tolto da nessuno. Costituisce una pietra angolare,

una base resistente su cui sarà possibile costruire qualcosa, speriamo di positivo.

5

CAPITOLO PRIMO

Rifondare la scuola italiana

1.1. Dalla scuola dei programmi alla scuola del curricolo: le ragioni di un cambiamento

necessario

Molte persone, sentendo parlare di Indicazioni per il curricolo2, si chiedono quale sia la natura della

trasformazione a cui va incontro la scuola italiana e soprattutto quali siano le motivazioni di quella

che ormai appare sempre di più come un’urgenza di cambiamento. La risposta a queste domande

potrebbe essere questa: la vecchia scuola ha perso l’aureola (per usare un’espressione

baudelairiana); non è più un punto di riferimento autorevole per la società, in quanto è sempre meno

capace di essere un luogo di vita significativo, ove i ragazzi possano diventare persone in grado di

rispondere alle richieste sempre più complesse di un mondo che cambia in continuazione. Ciò

starebbe accadendo perché il sapere che viene trasmesso nella scuola non è più in grado di

decodificare la realtà, né è capace di dotare i ragazzi di strumenti e competenze adatte ad affrontare

problemi concreti (nel mondo del lavoro, ma anche semplicemente nella vita quotidiana).

I vecchi programmi ministeriali3 risalgono ad un periodo storico in cui il sapere era concepito

idealisticamente, come immagine di una realtà universale e stabile, immutabile. Questa visione del

mondo (e la conseguente creazione di saperi disciplinari tassonomicamente ordinati, parcellizzabili

in singole conoscenze e procedure, trasmissibili attraverso un’azione didattica “frontale”) è stata

2 Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di

istruzione, allegate al Decreto ministeriale del 31/07/2007. 3 Per un confronto tra la logica del curricolo e i programmi ho consultato diverse fonti. Mi riferisco in particolare ai

contributi pubblicati su periodici, quali “Scuolainsieme” e “Scuola e didattica”. Indicherò più precisamente i riferimenti

in seguito.

6

certamente confortante (e forse funzionale) in passato, ma oggi si sta sbriciolando di fronte a una

realtà che richiede diversi approcci (spesso non semplicemente razionali, ma “laterali”), nuove

competenze e rinnovati codici per conoscere, interpretare, comunicare conoscenze4. Un sapere che

non è più in grado di dare significato al mondo è un sapere morto.

La scuola dei vecchi programmi non è più efficace per due motivi principali:

• l’era in cui viviamo è sempre più complessa e soggetta a repentine trasformazioni. Sfugge a

qualsiasi tentativo di definizione, e gli abbondanti paradigmi (politici, culturali,

antropologici, filosofici) non riescono a descriverla una volta per tutte. È un’epoca storica

(non la prima, in verità) in cui potrebbe sembrare vero tutto e il contrario di tutto: è il mondo

della globalizzazione, ma anche del particolarismo; è il tempo del progresso scientifico e

delle telecomunicazioni, ma anche l’età di nuove barbarie, della grande solitudine interiore e

dell’incapacità di comunicare veramente. È un mondo che richiede capacità critiche notevoli

(per essere nel mondo senza essere del mondo), adattabilità a contesti sempre nuovi

(“un’adattabilità consapevole e rispettosa di sé stessi e degli altri”)5;

• il sapere non è più un’entità universale e definita una volta per sempre. Oggi i saperi si

moltiplicano, si intrecciano, a volte si contraddicono nel difficile tentativo di dare significato

al mondo. La conoscenza è un magma ribollente: non è definibile e parcellizzabile come un

tempo, attraverso rigide tassonomie e inquadrature idealistiche che ne consentivano

l’identificazione esatta e ne guidavano la trasmissione da generazione a generazione. I

vecchi programmi, in un contesto ormai completamente estraneo ad essi, danno ai nostri

ragazzi una visione falsata della vita, trasmettono conoscenze sterili, statiche, stereotipate,

costruiscono abilità prettamente procedurali, utili tutt’al più allo svolgimento di semplici

4 Si legga la prefazione di G. Fioroni alle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di

istruzione, allegate al Decreto ministeriale del 31/07/2007. Per un’analisi del contesto socioculturale in cui la scuola si

trova ad operare si rimanda alle sezioni introduttive dello stesso documento (“Cultura Scuola Persona”). 5 Un libro interessante, che ha alimentato queste mie riflessioni, è A. BARICCO, I Barbari. Saggio sulla mutazione,

Roma, Fandango Libri, 2006.

7

mansioni. Oggi bisogna aiutare i ragazzi a stabilire rapporti significativi con la realtà

complessa e proteiforme; sono necessarie competenze spendibili concretamente e capaci di

apportare senso alla vita, in ogni sua dimensione.

• Se la vita è difficile ed incomprensibile e non ho i mezzi (cognitivi, spirituali e materiali) per

affrontarla, la odierò, sarò destinato a perdermi, a finire ai margini, ad alienarmi. Questo è il

rischio che le generazioni contemporanee corrono. Da qui l’urgenza di concentrarsi sulla

centralità della persona e in particolare, parlando di educazione e apprendimento, sulla

centralità del discente rispetto al sapere6. Il vecchio sistema scolastico concepiva l’allievo

come un semplice destinatario passivo: uno spirito molle, una sagoma di cera destinata a

ricevere l’impronta di un sapere monolitico e non scalfibile. Le teorie curricolari, invece,

vedono nell’allievo il punto di partenza su cui costruire la conoscenza. Il discente è l’attore

principale del processo di apprendimento: è dentro di lui che dovrà avvenire la magica

trasformazione di conoscenze e abilità in competenze, una trasformazione aiutata da energie

vivificanti, quali la curiosità, la capacità di stupirsi di fronte a ciò che ancora non si

comprende, la motivazione a crescere e migliorarsi sempre.

Solo una scuola che progetti a misura del discente7 potrà incuriosire, sorprendere, motivare,

far crescere. Con la progettazione del curricolo, gli insegnanti sono chiamati a creare intorno

agli allievi contesti educativi e didattici favorevoli, rispondenti a concrete istanze. Scuola e

docenti dovranno riflettere per stabilire i nuclei fondativi e irrinunciabili delle proprie

discipline, dovranno comunicare in modo nuovo, creando reti di significati tra insegnamenti,

predisponendo adeguate metodologie, condividendo strategie e sussidi. E tutto ciò andrà

fatto avendo sempre davanti agli occhi le persone con i loro reali bisogni, attuali e futuri.

6 Cfr. R. PALERMO, Nuove Indicazioni: la parola agli esperti, “Scuolainsieme”, 1, ottobre-novembre 2007, pp. 4-6. Si

possono leggere interventi di Mauro Ceruti, Italo Fiorin, Mario Guglietti. 7 Ciò, naturalmente, non significa abbassare la scuola al livello dell’allievo e indebolire il tenore dell’insegnamento.

Progettare una scuola a misura del discente significa compiere un’attenta e dettagliata analisi dei bisogni formativi

8

La vecchia scuola dei programmi, calati dall’alto, non vedeva i ragazzi ma si limitava a

immaginarli e ad attendere risultati. La necessità nuova è vedere, sentire, riconoscere le

persone e il contesto in cui vivono. Non bisognerà dimenticare - elemento ben evidenziato

dalle Indicazioni - che ogni persona (e ogni comunità di apprendimento) è sempre in

relazione con il contesto in cui vive (il territorio fisico, sociale, culturale, economico; lo

spazio umano interpersonale e lo spazio intrapersonale). Un programma imposto in modo

rigido, che pretende risultati prima ancora di conoscere le persone con cui ha a che fare, non

potrà intercettare questi universi umani così complessi: l’esito sarà quello di dare

un’immagine falsa e semplificata della realtà, di non preparare i ragazzi a vivere nel mondo

come persone autonome e responsabili, di imporre loro uno sforzo demotivante e fine a sé

stesso, per apprendere cose che a volte non hanno più un reale significato.

I frutti della filosofia curricolare dovrebbero maturare grazie all’osservazione dei fatti e

della quotidianità scolastica. L’idea di curricolo privilegia un sapere ravvivato dalla

problematizzazione, teso verso l’esplorazione della complessità, corroborato

dall’orchestrazione interdisciplinare; bisogna abituare l’allievo a scorgere fili rossi,

corrispondenze, tracce, legami, interdipendenze, differenze e analogie. L’alternativa è il

vecchio sistema trasmissivo-nozionistico, il cui massimo risultato potrebbe essere, al giorno

d’oggi, un’erudizione fine a sé stessa.

Il curricolo dovrebbe essere un percorso di crescita, tracciato con la convinzione che ciò che

parte da un’esigenza profonda è sempre vitale per la persona. Un percorso di apprendimento

per la vita: sorgivo e vivificante, perché rispondente a istanze intime (la curiosità,

l’interesse, la voglia di compiere esperienze formative), che sole possono far sì che il sapere

diventi veramente una “sete” e l’apprendimento “l’atto del dissetarsi”.

9

Le motivazioni per cambiare, quindi, non mancano. Ma se gli aspetti appena trattati non fossero

sufficienti a dare un’idea dell’urgenza di un prossimo cambiamento, sarà necessario prendere in

considerazione un ulteriore elemento: l’attuale imbarazzante posizione della scuola italiana nella

scala di valutazione OCSE-PISA8. Qualcuno potrebbe polemizzare, sostenendo che i pessimi

risultati del sistema scolastico italiano non siano da ricondurre necessariamente al tradizionale

modo di fare scuola. E sia pure; rimane però l’evidente e oggettiva incapacità della nostra scuola di

formare ragazzi competenti.

Il problema non si può risolvere solo sul piano della scelta tra curricolo d’istituto e programma

centralizzato. Si tratta di decidere su modi completamente diversi di fare scuola. Il curricolo

dovrebbe diventare il cuore dell’autonomia scolastica e delle sue potenzialità progettuali. Non si

tratterà solo di scrivere un pezzo di carta, ma di mettere in conto anche un rinnovamento radicale

che permetta di realizzare ciò che è stato scritto9: si dovrà intervenire a livello di classi di concorso,

organici, organizzazione oraria dell’insegnamento, compresenze per rendere significativa

l’interdisciplinarità, formazione degli insegnanti, rapporti tra scuola e territorio, verticalità tra

diversi ordini scolastici, sistemi di valutazione e verifica dei risultati.

L’opportunità di rinnovare la scuola è questa, e ci viene data anche la possibilità di cambiarla “dal

basso”, grazie alle proposte delle scuole. Rimanere fermi o tornare indietro significherebbe restare

ai margini, isolati in un paesaggio di mediocrità culturale ed economica: il mondo di oggi (il lavoro,

ma anche la semplice quotidianità) non dà premi e risposte a chi procede credendo ancora di

potersela cavare con il solito vecchio “bagaglio di conoscenze”.

1.2. Le Indicazioni per il curricolo: i caratteri generali e il loro valore per il futuro. 8 Cfr. M. FALANGA, Rapporto OCSE-PISA. Dove va la scuola italiana?, “Scuola e didattica”, 9, 15 gennaio 2008. 9 Cfr. S. STEFANEL, Le Indicazioni e il problema del cambiamento, “Scuola e didattica”, 12, 1 marzo 2008.

10

Le Indicazioni per il curricolo sono state pubblicate assieme al decreto ministeriale del 31 luglio

2007. Con questa iniziativa, il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni ha fatto sì che il

nuovo documento prendesse il posto di quello allegato al decreto legislativo 59/2004.

Le Indicazioni per il curricolo sono nate dal lavoro di più di 70 persone, tra cui una commissione di

esperti presieduta da Mauro Ceruti e tre gruppi tecnici per il lavoro specifico sui tre gradi scolastici

a cui il documento si riferisce: la scuola dell’infanzia e il primo ciclo scolastico (composto dalla

scuola primaria e dalla scuola secondaria di primo grado).

È interessante presentare subito la struttura del documento, significativa già nella sua

articolazione10. Il testo comprende:

• una cornice culturale comune (“Cultura scuola persona”), relativa ai diversi gradi scolastici.

Potrebbe, ad una prima lettura, apparire un po’ retorica e pretenziosa. Ma l’idea di

inaugurare un nuovo Umanesimo, anche grazie ad una scuola rinnovata, è affascinante e

risponde ad un desiderio di riscatto umano, culturale e professionale che molti custodiscono;

• un’introduzione al lessico connesso all’idea di curricolo;

• il testo delle Indicazioni, distinto in due sezioni: scuola dell’infanzia e scuola del primo ciclo

(scuola primaria e scuola secondaria di primo grado). Per ognuno dei segmenti scolastici è

stata redatta una breve introduzione che introduce il senso di ogni ciclo scolastico all’interno

di una logica curricolare;

• in seguito, il documento procede analiticamente nell’esplorazione dei diversi segmenti

scolastici:

- La scuola dell’infanzia viene articolata al suo interno in cinque campi di esperienza;

10 Cfr. G. CERINI, Le Indicazioni per il curricolo. Due anni per farsi “buone” domande,

(www.scuolaoggi.org/download/cerini_curricolo.doc). Si veda inoltre G. DOMINICI e F. FRABBONI (a cura di),

Indicazioni per il curricolo. Scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, Erickson, Trento 2007.

11

- Le scuole del primo ciclo sono caratterizzate dalla presenza di dieci discipline,

raggruppate all’interno di tre aree disciplinari.

Per ogni campo di esperienza e/o disciplina viene definita una cornice di inquadramento concettuale

e viene stilata una dettagliata serie di traguardi di competenza da conseguire al termine di ogni

livello scolastico. Le discipline del primo ciclo sono raggruppate in tre aree disciplinari (Area

linguistico-artistico-espressiva, Area storico-geografica, Area matematico-scientifico-tecnologica),

per ognuna delle quali viene fatta una presentazione.

Il disegno e la struttura del documento sono già, di per sé, molto significative. In trasparenza si può

notare che l’intera architettura del testo ricalca la logica della continuità verticale (un documento

unico, che raccorda tre tappe scolastiche in un continuum educativo-didattico, dai 3 ai 14 anni). Il

testo appare abbastanza tradizionale, invece, se si considera l’aspetto della disciplinarità che,

sostituendosi gradualmente ai campi di esperienza della scuola dell’infanzia, si fa sempre più

marcata nei successivi livelli scolastici. Questa tradizionale logica disciplinare appare però

controbilanciata da una forte interdisciplinarità, che dovrebbe crearsi all’interno delle aree, ma

anche tra materie appartenenti ad ambiti diversi.

Le Indicazioni definiscono i parametri di riferimento nazionale cui uniformarsi, ma per il resto il

documento ha carattere soprattutto propositivo: è stato affidato alle scuole, a cui viene chiesto

(nell’arco di un biennio) di discuterlo, verificarne l’attuabilità, sperimentarne l’efficacia ispirandosi

ad esso per creare modelli curricolari.

Ora che il governo che ha introdotto le Indicazioni è caduto ed è stato sostituito, il rischio è

l’immobilismo o una situazione di stallo che potrebbe essere fatale per la scuola italiana. Speriamo

12

che l’attuale legislatura sappia valorizzare il lavoro già fatto dalle scuole e non lo spazzi via per

nuove frettolose soluzioni, solo per imporre un marchio politico di rottura con il passato.

Anche se i limiti che possono essere attribuiti al documento delle Indicazioni sono molti, bisogna

comunque ricordare che si tratta di un testo che non impone, ma chiede consenso e collaborazione

alle scuole. Non si tratta solo di un’umiltà che fa perdonare eventuali leggerezze, ma di una

prospettiva che ribalta la vecchia logica dell’imposizione dei programmi ministeriali: il documento,

con un vasto respiro culturale e professionale, fornisce un quadro di riferimento (non più solo

nazionale, ma europeo e mondiale), e definisce una cornice entro cui le scuole, nella loro

autonomia, potranno progettare liberamente.

Il testo è intriso di motivazioni culturali notevoli:

• la centralità della persona (il valore di chi cresce e impara, il valore di chi insegna, il

valore della comunità);

• l’auspicio per l’avvio di un nuovo Umanesimo;

• la connessione dei saperi, dalla quale sorge una testa ben fatta11;

• la promozione di una cittadinanza aperta al mondo, ricordandosi che la cultura è poca

cosa, anzi può essere distruttiva, se non aiuta le persone a crescere, a perfezionarsi, ad

aiutarsi, a migliorare il mondo.

11 E. MORIN, La testa ben fatta, Raffaello Cortina editore, Milano 2000.

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CAPITOLO SECONDO

L’organizzazione dei saperi nella scuola del curricolo

2.1. Il rapporto fra disciplinarità e continuità

Anche una lettura sommaria delle Indicazioni per il curricolo è sufficiente per comprenderne la

logica, che imposta la continuità del percorso di formazione disegnando un’unica parabola

educativo-didattica, dai 3 ai 14 anni. La continuità è maggiormente visibile dove, a garantire la

verticalità, c’è la presenza sempre più marcata delle discipline: queste, in effetti, distinguono la

scuola del primo ciclo dalla scuola dell’infanzia (dove, al posto delle “materie”, ci sono i campi di

esperienza).

Ciò che, grazie alla presenza dei diversi insegnamenti (e delle aree disciplinari), salda

verticalmente scuola “elementare” e “media”, è la stessa struttura delle discipline. Per l’Italiano,

ad esempio, sia nella scuola primaria che nella scuola secondaria di primo grado, si fa riferimento

alle quattro fondamentali abilità testuali (ascoltare, parlare, leggere, scrivere), e alla riflessione

sulla lingua.

Si può invece notare, nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria, una progressiva e

sempre più marcata focalizzazione sulla disciplinarità specifica, cioè verso i saperi organizzati in

discipline ben definite e distinte. Ovviamente, tutto questo corrisponde anche ad un apparato

organizzativo e didattico diverso (molte discipline = molti insegnanti = molti libri di testo = molti

contenuti diversi = molti linguaggi = molte diverse metodologie, ecc.). Questa situazione è ormai

14

considerata normale, ma non è certo la migliore fra le possibili soluzioni. Il curricolo verticale

dovrebbe garantire all’allievo una continuità e un passaggio più armonico:

• dall’ambiente della scuola primaria a quello della scuola secondaria;

• da poche richieste uniformi (pochi insegnanti) a molte richieste diversificate (molti

insegnanti);

• da pochi testi a molti libri (manuali);

• dall’uso di pochi codici (che fanno riferimento a modi prevalentemente esperienziali) a

molti codici differenti, corrispondenti ai sistemi di rappresentazione formale delle varie

discipline.

Il curricolo dovrebbe essere progettato garantendo un proficuo equilibrio fra le polarità capaci di

generare la giusta tensione educativa-didattica12. Queste sono:

• la CONTINUITÀ , che però non si deve risolvere in uniformazione. Raccordare e

armonizzare non significa omologare. Il rischio di un curricolo troppo sbilanciato verso la

continuità rischierebbe di nascondere al bambino la differenza tra tappe scolastiche

successive (ci si sente grandi e si cresce anche perché stimolati dalla percezione che si va in

una scuola “per grandi”, dove le cose cambiano, i contesti mutano e vengono fatte richieste

nuove e “più difficili”);

• la DISCIPLINARITÀ , che deve rispettare l’evoluzione cognitiva dei ragazzi. Gli allievi

sono accompagnati verso l’esplorazione di ambiti diversi, di differenti epistemologie, di

sistemi di rappresentazione formale che solo le discipline possono veicolare (le discipline

12 Cfr. G. CERINI, Le Indicazioni per il curricolo. Due anni per farsi “buone” domande,

(www.scuolaoggi.org/download/cerini_curricolo.doc)

15

propongono molte formae mentis, tra cui i ragazzi si aggirano, esplorandole, saggiandole,

facendole proprie, integrandole e sviluppandole in modi originali).

Eppure, anche un curricolo troppo sbilanciato verso la disciplinarità avrebbe esiti negativi.

Porterebbe i ragazzi a credere che il sapere sia frazionato: i codici delle diverse discipline

apparirebbero tra loro non comunicanti. Ciò sarebbe particolarmente grave al giorno d’oggi,

in un mondo che richiede di saper usare e combinare linguaggi e sistemi simbolici diversi, a

volte anche apparentemente antitetici.

L’idea che il sapere sia un’unità molteplice (una struttura, un sistema) dovrà risultare in modo

gradualmente sempre più evidente anche nel fare scuola quotidiano, grazie all’intelligenza di un

curricolo che preveda e consenta maggiori interazioni tra le discipline, maggiore comunicazione tra

gli insegnanti e più proficue abitudini interdisciplinari.

2.2. Tra disciplinarità e continuità: quale identità per il curricolo di italiano?

L’interdisciplinarità prevista all’interno delle aree è una strategia chiave per la didattica di una

scuola rinnovata, ma l’identità disciplinare non può venire indebolita o frantumata a causa di

collegamenti generici e improvvisati. Anche l’Italiano dovrà tenersi in equilibrio tra una

disciplinarità che non deve diventare un vincolo e un’interdisciplinarità che, per non essere

dannosa, dovrà essere costruita con intelligenza, individuando solo i rapporti significativi e

produttivi tra saperi diversi.

Per addentrarci nella definizione disciplinare dell’Italiano, dobbiamo prima chiederci che cosa

significhi precisamente il termine disciplina. Tra le molte definizioni possibili, possiamo partire da

quella proposta da Edgar Morin, secondo il quale “la disciplina è una categoria organizzativa in

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seno alla conoscenza scientifica”13. Una disciplina coinciderebbe quindi con un ambito del sapere

omogeneo, a cui possiamo assegnare una precisa etichetta epistemologica. Nella misura in cui da

questa identità scientifica, astratta, accademica deriviamo contenuti di apprendimento e

metodologie specifiche per la loro trasmissione, la “disciplina in astratto” si trasforma nell’oggetto

di un processo di insegnamento/apprendimento (Disciplina, dal latino discere: imparare). Da questo

punto di vista, perciò, la disciplinarità è il risultato di un processo di riduzione-selezione-

mediazione didattica, finalizzato alla trasmissione scolastica del sapere.

Nella Raccomandazioni14 per la scuola primaria, il MIUR introdusse una terminologia di

riferimento di un certo interesse. In particolare venivano definiti i seguenti termini:

• SCIENZA, ossia il tentativo di mettere ordine nell’esperienza quotidiana, attraverso

operazioni logiche e cognitive caratterizzate da una propria specificità, un proprio

metodo e un proprio linguaggio;

• MATERIA (o disciplina intesa in senso astratto, accademico), ossia l’oggetto della

scienza, il suo argomento. Si tratta di un sapere ancora estraneo al processo di

insegnamento/apprendimento (è cioè l’argomento e il contenuto della scienza inteso in

modo astratto rispetto alla sua trasmissibilità didattica);

• DISCIPLINA (di studio), ossia il vero e proprio sapere da offrire al discente. Essa è il

risultato di un processo di selezione-riduzione finalizzato, in cui assume notevole

importanza il rapporto tra scienza (sapere) e il “Chi” (cioè colui che impara), il “Come”

(la metodologia didattica), il “Dove e il Perché” (cioè il contesto di apprendimento, la

comunità, la motivazione e le finalità).

In conclusione, la parola disciplina può essere intesa in due modi diversi: 13 E. MORIN 2000, p.111. 14 MIUR, Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i “Piani di Studio Personalizzati” nella

scuola primaria, Bozza del 24/07/2002; documento a corredo delle Indicazioni Nazionali allegate al Decreto

Ministeriale 100 del 18/09/2002.

17

1. Disciplina/Disciplinarità (primo significato, trascendente la realtà dell’allievo): è

l’oggettiva identità di un ambito scientifico, precedente alla sua mediazione didattica.

2. Disciplina/Disciplinarità (secondo significato, centrato sul discente): è la soggettiva

esperienza di confronto tra il soggetto che impara (discente) e il sapere. È il risultato di

una mediazione didattica finalizzata all’apprendimento.

Chi si accinge a progettare un curricolo dovrà considerare attentamente quanto è stato appena

detto. Riferendosi al primo significato di disciplina, il curricolo dovrà tenere conto degli aspetti

epistemologici oggettivi, che permetteranno di rispettare l’identità scientifica di un sapere.

Riflettendo sul secondo significato, chi progetta il curricolo dovrà tenere presente che la ragion

d’essere della parola disciplina è il discente (cioè colui che impara) e dovrà perciò ricordarsi che

le discipline sono strumenti, mezzi, veicoli che facilitano il percorso di conoscenza compiuto

dell’allievo.

Il risultato dovrebbe essere una disciplinarità in equilibrio con la continuità, in un curricolo

rispettoso delle peculiarità disciplinari, ma anche capace di assecondare l’evoluzione del profilo

cognitivo e affettivo degli allievi, individuando i punti critici di passaggio da una generale forma

di conoscenza (la scienza esperienziale del bambino, che prende vita grazie ai campi di

esperienza) a forme cognitive più sistematiche e organizzate (discipline), che pur sempre

mantengono tra loro relazioni (ambiti disciplinari).

È chiaro che in un contesto tradizionale (la scuola dei programmi ministeriali), la disciplinarità

intesa nel primo senso costituisce un punto di forza, ma una sua troppo accentuata centralità può

essere rischiosa, perché ripropone la durezza e la rigidità di costruzioni didattiche e organizzative

precostituite, a fronte di una visione più olistica del sapere, centrata sul soggetto che apprende.

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Tra questi due diversi modi di intendere la disciplina si costruirà anche la futura identità

dell’Italiano. È necessario che questa materia conservi una propria specificità, ma è anche

indispensabile un’apertura maggiore verso le esigenze dell’allievo e del contesto in cui vive. Ciò

significherà compiere selezioni notevoli all’interno degli argomenti tradizionalmente insegnati,

accentuando in modo sensibile la funzione trasversale dell’educazione linguistica. L’Italiano, in

questo modo, diventerebbe una materia ancor più transdisciplinare, funzionale alla

comunicazione e all’apprendimento di tutti gli altri saperi. In tal caso l’insegnamento della

lingua italiana non riguarderebbe più soltanto l’insegnante di lettere, ma dovrebbe coinvolgere

tutti i docenti del consiglio di classe. Al professore di italiano rimarrebbe una funzione di

riferimento, di controllo, di insegnamento indirizzato a campi specifici. È evidente che una

situazione di questo tipo potrebbe essere ricca di conseguenze positive, ma richiederebbe un

approccio culturale completamente diverso al modo di fare scuola.

L’Italiano si trova quindi in bilico tra passato e futuro, fra vecchie e nuove identità, tra una

disciplinarità “storica” e una scuola futura che intende superare le barriere disciplinari e puntare

verso la maggiore integrazione possibile tra insegnamenti.

2.3. L’Italiano e le altre discipline: la continuità orizzontale dei saperi

La scuola italiana ci ha abituati a pensare che la presenza di molte discipline sia un tratto

caratterizzante normale nell’ordine secondario di studi: sostituendosi alla maggiore indistinzione

dell’ordine primario, le discipline compaiono in modo sempre più definito nei segmenti

scolastici successivi; questo fenomeno raggiunge l’apice in ambito universitario, dove domina

una spiccata specializzazione e settorializzazione dei saperi.

19

Le attuali Indicazioni cercano di rimediare ai danni di una eccessiva separazione tra

insegnamenti diversi e, in molti punti del documento, si ribadisce l’importanza di creare

connessioni tra i saperi. L’introduzione delle aree disciplinari anche nella scuola media

proverebbe il passaggio da una logica del’analisi, cioè della distinzione disciplinare, a una logica

della sintesi, cioè dell’incontro interdisciplinare, che diverrebbe così la strategia pedagogica

portante della nuova scuola e del curricolo. In altre parole, il paradigma della scuola primaria

viene applicato anche all’ordine secondario di primo grado. Non si tratterebbe di un mera

uniformazione, ma di una maggiore armonizzazione tra scuole diverse e complementari per la

formazione delle persone all’interno di un unico processo di apprendimento15.

C’è da riflettere attentamente su un punto. Alcuni insegnanti hanno ancora la tendenza ad

irrigidirsi su posizioni che mirano a tutelare l’identità disciplinare della propria materia di

insegnamento, perché credono che questo sia il modo migliore per rendere efficace l’azione

didattica. Al contrario, spesso, la forza di un insegnamento sta nel sapere mettere in luce le

ambiguità della propria materia, i rapporti con le altre discipline, le aree di intersezione tra

saperi. Non esiste la disciplinarità allo stato puro: nessun sapere è monolitico e senza agganci

con altri campi della conoscenza.

In ambito didattico esistono diverse forme di rapporti tra discipline, e differenti strategie per

metterle in relazione tra loro, creando particolari ecosistemi disciplinari16.

• La MULTIDISCIPLINARITÀ: è una modalità didattica che si basa sull’apporto delle

competenze metacognitive di materie affini su un determinato argomento o tema; si tratta

in sostanza della presenza simultanea di più discipline senza alcuna forma di relazione 15 L’estensione degli ambiti disciplinari nella scuola media è forse l’elemento più visibile di continuità tra scuola

primaria e secondaria. 16 Cfr. A.M. BARONE, Interdisciplinarità: convergenza dei saperi sull’uomo e per l’uomo, in “Rivista digitale della

didattica” (www.rivistadidattica.com/elenco_alfabetico.htm). Le definizioni riportate dal saggio sono tratte dagli atti di

un convegno organizzato dal CERI-OCSE (Nizza, 1972), sul tema: “Interdisciplinarità: problemi di insegnamento e di

ricerca nell’Università”.

20

reciproca. È la modalità didattica più diffusa nella scuola; per esempio quando la storia

riceve un contributo integrativo (di contenuto e/o di codice simbolico, di linguaggio)

dalla geografia o da altri studi sociali; quando le scienze ricevono un analogo contributo

dalla matematica, dalla geografia, dall’ecologia, ecc.

• La PLURIDISCIPLINARITÀ: è una strategia che si attua quando più discipline si

coordinano per portare il loro apporto di contenuti e metodologie su un determinato

oggetto di studio.

• L’INTERDISCIPLINARITÀ: è una modalità di trasmissione del sapere (e di

apprendimento) che implica l’apporto di competenze mono e metacognitive da parte di

più discipline, ottenendo talvolta quadri concettuali nuovi e produttivi.

Fra i termini appena descritti, l’interdisciplinarità è quello maggiormente impiegato per descrivere i

rapporti tra discipline. È una parola troppo spesso fraintesa e usata impropriamente, ad esempio per

riferirsi ad attività che semplicemente affiancano più figure di insegnanti, oppure per descrivere

generici rapporti fra diversi campi del sapere.

L’Italiano presenta questa stessa ambiguità e viene proposto talvolta come “disciplina

interdisciplinare”: infatti, è per sua natura un insieme di contenuti, abilità e competenze che

appartengono a settori diversi (la fonologia, la semiotica, la sociolinguistica, la retorica, la storia

della lingua e della letteratura, ecc.), che sono state raggruppate nell’Italiano scolastico, affidato a

un’unica figura di insegnante. L’Italiano ha una natura epistemologica complessa, è un corpus di

discipline diverse ma comunicanti: possiamo perciò dire che possiede una forte interdisciplinarità

interna. Questa consente la comunicazione e il dialogo con gli altri insegnamenti, creando in tal

modo anche un’interdisciplinarità esterna (tra discipline diverse): da qui nasce la natura trasversale

e dell’Italiano.

21

Come ho già precedentemente spiegato, un’interdisciplinarità male impostata rischia di essere

dannosa a un Italiano che ancora non abbia pienamente compreso la propria peculiare identità. Dal

momento che l'interdisciplinarità significa apertura, complessità e destrutturazione, un

insegnamento potrebbe indebolirsi ulteriormente a danno della sua identità. Dobbiamo perciò

distinguere tra gli effetti che le due forme di interdisciplinarità, interna ed esterna, potrebbero

produrre.

L’interdisciplinarità interna dell’Italiano potrebbe essere messa in evidenza (anche sul piano

didattico) per dare l’idea della ricchezza di questa materia, evidenziando le connessioni esistenti tra

aspetti diversi (ad esempio le relazioni tra fonologia e semantica in una poesia).

L'interdisciplinarità esterna è senza dubbio una strategia vincente, ma bisognerebbe fare attenzione

alle modalità con cui viene attuata: il rischio è dare un’immagine di una materia che, per giustificare

la propria presenza, è sempre alla ricerca di collegamenti esterni o si pone in modo semplicemente

strumentale e servile rispetto ad altri insegnamenti.

Concludendo, se l'interdisciplinarità è una strategia epistemologica e didattica importantissima, la

disciplinarità non deve indebolirsi troppo. In questo senso, l’Italiano deve perseguire due importanti

obiettivi:

1. non perdere la propria riconoscibilità in quanto disciplina;

2. offrire un contributo significativo all'interno di un progetto autenticamente

interdisciplinare17.

17 Questa ideale condizione di equilibrio tra disciplinarità e interdisciplinarità è sottolineata anche dalle Indicazioni (p.

43): “La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello

della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello della impostazione trasmissiva. Rispetto al primo, le

discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative. I

problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che diversi punti di vista disciplinari dialoghino e che si presti

attenzione alle zone di confine e di cerniera fra discipline.”

22

Il problema è forse proprio quello di creare vera interdisciplinarità: la soluzione può giungere

proponendo un apprendimento attraverso situazioni problematiche (problem solving)18. Questo tipo

di didattica, forse tra le più efficaci per lo sviluppo di reali competenze, abitua le persone ad

integrare tra loro conoscenze, abilità e competenze sviluppate in campi disciplinari diversi; nello

stesso tempo rende visibili e apprezzabili gli specifici contributi di ciascun insegnamento.

Un buon curricolo, perciò, dovrà essere progettato creando un giusto equilibrio fra disciplinarità e

apertura interdisciplinare: la disciplina non è lo scopo ultimo dell’apprendimento, ma è uno

strumento utile per risolvere i problemi che ci pone la realtà (problemi che per loro natura sono

“interdisciplinari”).

2.4. L’Italiano e la sua rinnovata identità all’interno delle Indicazioni per il curricolo19

Nelle Indicazioni per il curricolo, l’apprendimento delle competenze linguistiche ricopre grande

importanza, in quanto ha un ruolo fondamentale per il raggiungimento di quattro grandi finalità:

• la crescita della persona;

• l’esercizio della cittadinanza;

• l’accesso critico a tutti gli ambiti culturali;

• il raggiungimento del successo in ogni settore di studio.

18 La didattica per problem solving è forse la più efficace per il conseguimento di competenze, se con questo termine

intendiamo i saperi “in movimento”, complessi, fatti di conoscenze, abilità e attitudini che consentono alla persona di

essere efficace all’interno di contesti reali, più o meno problematici. La scuola media, optando per un più frequente

impiego del problem solving come strategia didattica, otterrebbe ulteriori vantaggi: 1) avrebbe strumenti adeguati per

compiere un’oggettiva certificazione delle competenze; 2) l’impiego del problem solving (e del PSO, Problem solving

per l’orientamento) diventerebbe un’utilissima risorsa per l’orientamento scolastico. 19 Queste riflessioni nascono dalla lettura delle Indicazioni per il curricolo; i passi riportati sono tratti dallo stesso

documento. Un testo di riferimento è stato L. CEPPARRONE, L’Italiano nelle Indicazioni per il curricolo. Strumento

fondamentale per affrontare il cambiamento ed essere protagonisti nella società di domani,

(www.dirisp.interfree.it/curricolo/internet/internet.htm).

23

Ho già parlato del peculiare statuto dell’Italiano nel nuovo contesto curricolare che si sta

delineando: questo insegnamento non potrà più essere inteso come semplice disciplina,

accademicamente circoscritta e definita, ma anche come un ambito di sapere organico, polivalente e

trasversale. La complessa natura dell’Italiano, infatti, è resa particolarmente interessante anche dalla

sua naturale e necessaria trasversalità. L’Italiano andrebbe perciò vivificato, liberandolo dai vincoli

più stretti della sua disciplinarità, almeno da quelli che rischierebbero di appiattirlo ad una

dimensione prevalentemente autoreferenziale e nozionistica. Nella scuola dell’autonomia, entro un

contesto curricolare che fa fulcro sul discente e sul concetto di competenza, tutte le tradizionali

discipline scolastiche sono chiamate alla coralità, alla collaborazione. In questo modo,

l’insegnamento della lingua italiana, visto il suo valore transdisciplinare, non sarebbe più compito

esclusivo dell’insegnante di Lettere, ma richiederebbe un lavoro di orchestrazione a cui tutti i

docenti dovrebbero contribuire. Un’azione educativo-didattica così concepita valorizzerebbe

l’importanza dell’apprendimento linguistico, esaltando soprattutto le potenzialità metacognitive

della lingua e dei linguaggi. È sufficiente pensare alle quattro abilità linguistiche fondamentali:

ascoltare, parlare, leggere e scrivere. Si tratta di abilità e competenze chiaramente trasversali, senza

le quali la costruzione del sapere non potrebbe compiersi in nessun ambito dell’esperienza umana. I

motivi di ciò sono essenzialmente due:

• la lingua è strumento di comunicazione e trasmissione dei saperi;

• l’apprendimento della lingua è generatore di competenze di tipo metacognitivo

(corrispondenza lingua-pensiero).

24

L’insistenza sulle competenze trasversali e metacognitive caratterizza tutto il documento delle

Indicazioni, distribuendosi opportunamente su tutte e quattro le abilità linguistiche. Analizziamo

alcuni punti:

Ascoltare e parlare. L’apprendimento della lingua orale è legato indissolubilmente al concetto di

ambiente, società, comunità. Non c’è apprendimento della lingua se non attraverso le relazioni, i

rapporti che l’individuo crea con gli altri (“È nell’interazione che si sviluppa l’identità linguistica di

ogni soggetto e si creano le premesse per elaborare significati accettati dall’intera comunità”).

L’importanza dell’Italiano, in questo caso, deriva dall’idea che non può esistere linguaggio senza

società, ma è il linguaggio che forgia e nutre il consorzio sociale, permettendo lo scambio di

informazioni, l’interazione, la costruzione e la trasformazione di significati, la condivisione di

esperienze e conoscenze.

Leggere. L’attribuzione di valore metacognitivo alla lettura non richiederebbe lunghe spiegazioni,

ma è significativo il fatto che le Indicazioni per il curricolo lo sottolineino con forza e insistenza.

La lettura va praticata “su una grande varietà di testi, per scopi diversi e con strategie funzionali al

compito”. Oltre a questa “strumentalità del leggere”, viene messo in risalto il valore della lettura per

“sviluppare la capacità ci concentrazione e di riflessione critica, (…) per favorire il processo di

maturazione dell’alunno”.

La lettura dovrà essere curata da “ogni insegnante” (non solo dal docente di Italiano!), in quanto è

un’attività in grado di “attivare i numerosi e complessi processi cognitivi sottesi al comprendere”.

E inoltre: “Il valore educativo della lettura poggia su due piani, in rapporto tra loro: la lettura

individuale, come momento di introspezione, di interrogazione dei testi per cercare risposte e

significati, come ricerca autonoma di saperi; la lettura di gruppo, come momento di socializzazione

e di discussione dell’apprendimento dei contenuti”.

25

Scrivere. Anche della scrittura viene messo in risalto il valore strumentale, proponendone

l’esercizio per la produzione di “una grande varietà di testi funzionali e creativi”. Le competenze

metacognitive sono attivate durante l’intero processo di produzione scritta: l’ideazione, la

pianificazione, la stesura, la revisione richiedono “specifiche strategie di apprendimento”, che

concorrono a “sviluppare la capacità di ordinare, raggruppare, esplicitare tutte le informazioni

necessarie al raggiungimento dello scopo”.

Riflessione sulla lingua. Nelle Indicazioni per il curricolo, anche la grammatica appare vivificata

da una forte vocazione trasversale e metacognitiva: in questo caso le Indicazioni danno anche un

suggerimento di metodo, che dovrebbe essere di tipo induttivo e dovrebbe far apprendere i corretti

modi grammaticali partendo “dall’osservazione degli usi linguistici” per arrivare gradualmente a

“generalizzazioni astratte”. La grammatica viene intesa come funzionale alla comunicazione, e

dovrebbe condurre la persona ad “apprendere e riformulare frasi”, aiutandola anche nello studio di

“altre lingue europee, fornendo la base per riferimenti e per confronti che hanno lo scopo di

individuare similitudini e differenze, relazioni”.

Il testo introduttivo riguardante l’Italiano nella scuola del primo ciclo si conclude sottolineando

l’importanza della lingua come matrice di tipo cognitivo: “L’uso della lingua è espressione delle

facoltà intellettive e aiuterà l’alunno a rendere rigoroso il suo pensiero. In questa prospettiva

metacognitiva anche la riflessione sulla lingua servirà per sviluppare le capacità di categorizzare, di

connettere, di analizzare”.

Le Indicazioni introducono la questione del rapporto tra lingua e multimedialità, entrando in tal

modo nell’ambito del legame - pieno di implicazioni didattiche – tra apprendimento comunicativo-

linguistico e nuove tecnologie. In particolare, i nuovi strumenti informatici consentono opportunità

didattiche mai avute prima; essi infatti:

26

• sono un potenziale supporto per lo studio in ogni ambito disciplinare;

• permettono all’allievo di apprendere procedure operative di importanza trasversale, quali la

raccolta di dati, la classificazione, la gestione, la rielaborazione, ecc;

• offrono la possibilità di apprendere in modo semplice ma rigorosamente logico quei processi

di transcodificazione e di integrazione fra linguaggi diversi, che sono più volte individuati

come traguardi di competenza nelle Indicazioni per il curricolo. L’ipertesto, in questo senso,

è la forma più tipica dei linguaggi multimediali: non è un caso che, sempre più spesso, il

formato e la struttura dei libri di testo (nonché i vari sussidi ad essi allegati: cd audio, cd-

rom) si stiano sempre di più avvicinando al modello ipertestuale.

Come si trasformerebbe il ruolo dell’insegnante di Italiano in questo nuovo contesto, che evidenzia

la natura trasversale e interdisciplinare dell’apprendimento linguistico? Il docente di Lettere

rimarrebbe uno specialista a cui spetterebbe una mirata azione didattica, tesa a coordinare e

orchestrare i contributi linguistici dei singoli insegnamenti (per esempio: l’integrazione dei

linguaggi appartenenti alle diverse discipline; lo studio dei rapporti esistenti tra repertori lessicali

specifici, campi semantici, linguaggi settoriali e specialistici). Inoltre rimarrebbe compito

dell’insegnante di Italiano dare veste scientifica e rigore metodologico all’apprendimento di

specifiche abilità (strategie di ascolto, comprensione e produzione dei testi, capacità di sintesi,

stesura di appunti). In questo senso anche le Indicazioni sono chiare, affermando che

l’interdisciplinarità non deve risolversi “in un’abolizione delle discipline che rischierebbe di creare

generiche mescolanze di insegnamenti”; si ritiene importante invece che “nel delineare un curricolo

dell’area, la dimensione trasversale e quella specifica di ogni disciplina vadano tenute entrambe

presenti; si devono favorire gli apprendimenti disciplinari specifici e l’integrazione dei linguaggi

per ampliare la gamma delle possibilità espressive”.

27

L’importanza dell’Italiano non sarebbe quindi compromessa all’interno di un contesto di

trasversalità ed interdisciplinarità, ma anzi avverrebbe il contrario. Le Indicazioni sottolineano con

vigore la centralità dell’apprendimento linguistico all’interno dell’area linguistico-espressiva, che

viene concepita come “area sovradisciplinare, in cui i linguaggi più diversi ritrovano la comune

matrice antropologica nell’esigenza comunicativa dell’Uomo e nell’esplicazione di facoltà uniche e

peculiari del pensiero umano”.

L’area linguistico-espressiva è strutturata in modo da favorire un lavoro interdisciplinare sui

linguaggi (non solo sulle lingue!), soprattutto per promuovere l’integrazione tra codici comunicativi

diversi. Infatti, “nella realtà quotidiana raramente un solo linguaggio assolve il compito di realizzare

una comunicazione efficace. Non solo nella comunicazione espressiva ma anche in quella

funzionale, propria della realtà quotidiana, i vari linguaggi si supportano e si integrano a vicenda,

allo scopo di creare forme di comunicazione potenziata”.

Il curricolo di Italiano, quindi, non potrà essere circoscritto da contenuti e da obiettivi non correlati

alla realtà polisemica dei contesti di vita (il mondo in cui i ragazzi fanno esperienza e crescono).

All’interno dell’area dei linguaggi l’Italiano dovrebbe diventare una sorta di matrice capace di

generare strumenti cognitivi, metacognitivi, simbolici ed estetici, utili all’integrazione dei linguaggi

più diversi, mirando all’ampliamento delle potenzialità (fàtiche, informative, conative, poetiche ed

espressive, metalinguistiche) della comunicazione.

Inutile ribadire che un lavoro di questo tipo richiederà una diversa e più ampia formazione

dell’insegnante di Italiano, il quale dovrà essere un esperto non solo della propria lingua, ma dovrà

innanzitutto possedere competenze nell’ambito più generale dei linguaggi (verbali, non verbali,

simbolici, sonori, musicali, iconici, corporei, cinematografici, informatici, ecc.) e delle scienze della

comunicazione20.

20 Per creare una vera continuità tra scuola primaria e scuola secondaria, c’è bisogno di dare veramente senso alle aree

disciplinari nella secondaria di primo grado. Per fare ciò non è sufficiente improvvisare l’interdisciplinarità, ma ci vuole

28

2.5. L’Italiano e il suo valore educativo: l’urgenza di far apprendere una “lingua viva” alle

nuove generazioni.

Una parte della tradizionale didattica dell’Italiano ha avuto forse un’eccessiva caratterizzazione

normativa, dimenticando che la lingua si costruisce anche spontaneamente nell’ambito relazionale,

attraverso lo scambio comunicativo quotidiano. Ci si è dimenticati, insomma, che la nostra non è

una lingua morta, e perciò andrebbe cercata e studiata non solo sui libri, ma soprattutto tra le sue

reali, naturali, sorgive, vitali, ordinarie manifestazioni.

Lo studio della nostra lingua, ridotto a stereotipo scolastico, ha contribuito a creare un’immagine

altrettanto stereotipata dell’insegnante di Italiano: custode severo di un insieme di regole

ortografiche e morfosintattiche da imparare “a memoria” o meccanicamente, di frasi da analizzare,

di testi letterari che una didattica non sempre motivante ha fatto sembrare poco interessanti e poco

attuali.

La nuova prospettiva curricolare mette contenuti e obiettivi al loro giusto posto: la finalità

dell’apprendimento è intercettare la persona e promuoverne la crescita; contenuti, obiettivi e

competenze sono solo strumenti, mezzi, indicatori che dovrebbero facilitare e guidare il processo di

apprendimento. Se chi insegna terrà sempre presente che il sapere è una risorsa al servizio

dell’Uomo (e non viceversa), allora sarà in grado di restituire alla sua materia quell’afflato vitale,

quello slancio che lo terrà lontano dal ridurre l’apprendimento a uno sterile studio mnemonico.

L’insegnante di Italiano, quindi, dovrà prima di tutto motivare i suoi allievi e, per fare ciò, dovrà

essere capace di presentare la lingua come in realtà essa è nella vita (e non suoi libri): una risorsa

esistenziale, a disposizione di tutti, senza la quale gli uomini non saprebbero né potrebbero

comprendere sé stessi e gli altri. La lingua andrebbe presentata come se fosse un organismo che,

una diversa formazione dei docenti, che dovranno diventare esperti su più campi del sapere. Si legga G. C. SACCHI,

Rifondiamo la scuola “media”?, in “Scuola e didattica”, 9, 15 gennaio 2008, pp. 11-13.

29

regolato da meccanismi logici e razionali (ma che lasciano grande spazio alle possibilità creative e

anche ludiche), vive e fa vivere, si trasforma e ci trasforma, è parlata e nello stesso tempo ci parla,

condizionando pensieri e azioni. Quando si insegna Italiano, anche la norma, proprio perché è molto

importante, dovrebbe essere spiegata come se fosse un affascinante congegno che permette alla

lingua di funzionare, di vivere, di esercitare ed espandere le sue possibilità di significato: perciò, per

capirla, non sempre è vantaggioso partire dal libro di grammatica, ma è preferibile riflettere sull’uso

linguistico comune, concreto, spontaneo e quotidiano. Da qui poi, induttivamente, l’insegnante

accompagnerebbe gli allievi verso gli aspetti normativi.

Questo saldo legame (o meglio l’identità) tra lingua e vita mi conduce a considerare il valore

fortemente educativo dell’apprendimento linguistico. Ho già ampiamente descritto come la lingua

(e, più in generale, il linguaggio) nasce e si evolve solo all’interno della dimensione interrelazionale

e sociale. Perciò la comunicazione, il dialogo, lo scambio di opinioni, la condivisione e la

negoziazioni di significati, il confronto ma anche lo scontro, possono riconsegnare la lingua

all’Uomo, collocandolo in una dimensione umana e civile nuova e più ricca.

Non è possibile insegnare Italiano come se fosse una lingua morta: al contrario, è una linfa che ci

nutre, è un fluido che intride i nostri pensieri, condiziona mente e corpi, muove le persone, le fa

incontrare e separare; le parole, per comunicare meglio, chiedono aiuto alle nostre mani, ai nostri

volti; le parole possono diventare suono, ritmo, canto, danza. È questa dimensione vitale della

lingua che dovrebbe risaltare con chiarezza nei curricoli: una dimensione pubblica e intima,

pragmatica e poetica. Una dimensione che riguarda anche la formazione civica: la lingua è

“condizione indispensabile per l’esercizio della cittadinanza”. La lingua è una “chiave magica”,

capace di aprire tutte le porte che danno accesso all’esperienza umana.

30

La lingua, però, non è solo uno strumento di cittadinanza grazie al quale stabilire rapporti tra sé e il

mondo; la lingua con cui parliamo ad alta voce è la stessa con cui pensiamo silenziosi, con cui

intraprendiamo discorsi con noi stessi; è la lingua del nostro continuo chiacchiericcio mentale.

Ho voluto sostenere, in questo breve paragrafo, la necessità di restituire alla didattica dell’Italiano

uno slancio umano, esistenziale, antropologico. Credo che la scuola tradizionale, guardando

l’allievo attraverso la lente opaca di contenuti e prestazioni, abbia trascurato il valore della persona.

Ora la scuola del curricolo vuole ristabilire la centralità del soggetto che apprende. Si propone

inoltre di inaugurare un “nuovo Umanesimo”. Se l’ottica prevalente sarà questa, l’apprendimento

dell’Italiano acquisirebbe un valore addirittura maieutico. Migliorare il proprio italiano

diventerebbe, all’interno di questa nuova dimensione, un bisogno vitale, così come nutrirsi e

prendersi cura di sé. Perché, come urlava Nanni Moretti in un suo famoso film: “Chi parla male

pensa male e vive male”.

31

CAPITOLO TERZO

Costruire un curricolo di italiano

3.1. Riscoprire la propria disciplina: dalla riflessione sui nuclei epistemici all’individuazione dei

saperi irrinunciabili

La progettazione di un curricolo di italiano che garantisca la continuità dai 3 ai 16 anni è un lavoro

che non può essere improvvisato e che richiederà tempo, analisi approfondite, confronti e

progettazione comune, sperimentazioni e verifiche. Sarà inoltre indispensabile una formazione

continua e univoca dei professionisti coinvolti nell’impresa.

L’educazione linguistica si troverà a dover definire traguardi formativi comuni irrinunciabili, il cui

raggiungimento dovrebbe essere assicurato a tutti gli allievi. Ciò non significa abbassare le

aspettative di apprendimento, quanto piuttosto far sì che sia garantita a tutti l’assimilazione di quei

nuclei essenziali e indispensabili della disciplina, capaci di generare futuri apprendimenti, e senza i

quali risulterebbe compromessa la crescita cognitiva e linguistica.

Alla scuola viene richiesto di lavorare per creare e certificare competenze21, che sono qualcosa di

molto più complesso delle semplici conoscenze e abilità. Per avere un’idea delle attuali necessità, in

fatto di competenze, i punti di riferimento sono tanti: si possono scorrere le pagine delle nuove

Indicazioni e, se volessimo avere un’idea di ciò che viene richiesto per il nuovo termine

dell’obbligo scolastico, potremmo leggere l’Allegato tecnico al Regolamento sull’obbligo di

21 Cfr. P. CATTANEO, Progettare e valutare per competenze. Curricolo d’Istituto, long life learning, qualità

dell’insegnamento-apprendimento, “Scuola e didattica”, 16, 1 maggio 2008.

32

istruzione, che riporta le “Competenze chiave per la cittadinanza”22. Si tratta senza dubbio di

traguardi ambiziosi, ma importanti per affrontare la complessità e per sviluppare competenze in una

prospettiva di apprendimento permanente. Tali risultati saranno il prodotto del curricolo di

apprendimento che le scuole devono costruire (entro scadenze brevi): per progettare curricoli

efficaci, basati sulla coerenza e sulla continuità, flessibili ma non dispersivi, sarà necessario stabilire

criteri chiari e condivisi per la selezione e l’organizzazione dei saperi irrinunciabili.

Il problema può essere affrontato cominciando dalla riflessione sulla propria disciplina e dall’analisi

dei suoi nuclei epistemici: per quanto riguarda l’educazione linguistica, la letteratura è abbondante e

non sempre concorde, anche per il diverso approccio a questa materia di insegnamento (l’Italiano è

una disciplina o un sistema di discipline riunito per convenzione sotto un’unica etichetta

scolastica?). Dal confronto di alcune fonti23, comunque, risulta abbastanza agevole definire, in

modo abbastanza generico, cosa si intenda per nucleo epistemico di una disciplina: esso è un

concetto, un nodo epistemologico e metodologico capace di definire e strutturare una disciplina; il

nucleo epistemico ha anche una funzione generativa di nuove conoscenze (esso avrebbe perciò una

sua “forza centripeta”, capace di attirare a sé nuove conoscenze, accrescendo i saperi disciplinari e

garantendo agganci produttivi con altri campi del sapere).

A questo punto risulta indispensabile fare una distinzione importante: occorrerà precisare la

differenza tra nuclei epistemici e nuclei fondanti disciplinari (o saperi irrinunciabili) .

22 Cfr. M. CASTOLDI, Le competenze chiave di cittadinanza: una sfida per la scuola, “Scuola e didattica”, 15, 15

aprile 2008. Le otto competenze chiave di cittadinanza sono state così individuate: 1. Imparare ad imparare, 2.

Progettare, 3. Comunicare, 4. Collaborare e partecipare, 5. Agire in modo autonomo e responsabile, 6. Risolvere

problemi,

7. Individuare collegamenti e relazioni, 8. Acquisire e interpretare l’informazione. È evidente che l’Italiano si colloca in

modo trasversale rispetto a tutte queste competenze. 23 Tra le varie fonti consultate, menziono, per la sua chiarezza ed essenzialità, il contributo di A.M. BARONE,

Discipline di studio: epistemologia e didattica. Dalla scienza alle discipline di studio, “Rivista digitale della didattica”,

(www.rivistadidattica.com/elenco_alfabetico.htm).

33

I nuclei epistemici possono essere definiti come nodi strutturanti la disciplina in re, intesa nella sua

identità accademica e trascendenti ogni mediazione pedagogico-didattica.

I nuclei fondanti disciplinari (o saperi irrinunciabili, o nuclei fondanti di apprendimento) si ricavano

invece da un’attenta riflessione sui precedenti, seguita da una loro selezione e rielaborazione a fini

didattici. Si tratta di “punti di appoggio”, da cui partire per la costruzione di un curricolo scolastico:

sono i concetti più significativi, ricorrenti e generativi di conoscenze in una disciplina. Essi si

ricavano per selezione, dopo attenta riflessione e analisi, tenendo conto di un insieme di criteri:

• aspetti storico-epistemologici della disciplina;

• aspetti pedagogici e didattici;

• competenze necessarie per padroneggiare attuali e futuri contesti di vita (Traguardi per lo

sviluppo di competenze, obiettivi di apprendimento, competenze chiave di cittadinanza,

ecc.);

• attese sociali;

• caratteristiche del contesto di vita.

Qui di seguito riporterò uno schema che può riassumere quanto esposto. Ho messo in evidenza la

distinzione tra nuclei epistemici della disciplina e nuclei fondanti disciplinari (nuclei fondanti per

l’apprendimento, saperi irrinunciabili). Ho quindi cercato di rendere chiaro come debba avvenire la

riflessione e l’analisi sui primi, per ottenere i secondi. L’operazione di selezione (mediazione

didattica), che avrà come risultato i contenuti irrinunciabili attorno a cui costruire il curricolo, è

guidata dai criteri già esposti.

In seguito, come allegato, ho inserito una tabella (tav. 4) che illustra una esempio di individuazione

dei contenuti irrinunciabili partendo dall’analisi di un nucleo fondante: il testo. Si tratta di

34

un’ipotesi di lavoro nata nell’ambito dei lavori sul curricolo di italiano, svolto assieme ad alcune

colleghe24.

L’importanza di una accurata selezione dei contenuti disciplinari è enorme: troppo spesso, in

passato, si è cercato di far coincidere i programmi scolastici con la struttura accademica della

disciplina, senza pensare al bisogno di una scelta ragionata degli argomenti, mediata da necessità

didattiche e da criteri extradisciplinari (il contesto sociale di vita, le competenze realmente

necessarie al giorno d’oggi). Ciò ha contribuito a creare una perniciosa separazione tra la vita e la

scuola, tra le richieste del mondo del lavoro e l’istruzione, tra le attese sociali e la preparazione

culturale dei ragazzi.

24 Prof.sse Paola Longhino (Lettere), Flavia Virgilio (Lettere), Anna Maria Pittino (Arte). Abbiamo scelto di partire dal

testo in quanto nucleo epistemico condiviso da più discipline dell’area linguistico-artistico-espressiva. L’intenzione è

individuare possibili strategie comuni all’interno dell’area. La proposta qui presentata riguarda però solo l’Italiano ed è

ancora da discutere e validare.

35

Tav. 1

Identità disciplinare definita Identità disciplinare costruita

da attraverso

SELEZIONESELEZIONESELEZIONESELEZIONE/ MEDIAZIONE PEDAGOGICO/ MEDIAZIONE PEDAGOGICO/ MEDIAZIONE PEDAGOGICO/ MEDIAZIONE PEDAGOGICO----DIDATTICADIDATTICADIDATTICADIDATTICA Criteri: 1. Competenze per padroneggiare attuali e futuri contesti (traguardi delle Indicazioni per il curricolo) 2. Attese sociali 3. Tradizione e innovazione 4. Altro

DISCIPLINARITÀ DISCIPLINARITÀ DISCIPLINARITÀ DISCIPLINARITÀ dell’ITALIANO dell’ITALIANO dell’ITALIANO dell’ITALIANO

Possibili livelli di

significato

1° significato1° significato1° significato1° significato

DISCIPLINA = SCIENZA, CAMPO

DEL SAPERE.

• Intende il sapere in senso

astratto e assoluto

• È una categoria organizzatrice

di significati nell’ambito della

conoscenza scientifica

NUCLEI NUCLEI NUCLEI NUCLEI

EPISTEMICIEPISTEMICIEPISTEMICIEPISTEMICI

2° significato2° significato2° significato2° significato

DISCIPLINA = OGGETTO DI APPRENDIMENTO, inteso come rapporto tra discente, mondo e sapere.

• È un sapere trasmesso in modo funzionale al discente;

• È un sapere fortemente collegato al contesto di vita

• È un sapere da ridefinire nel tempo e in relazione al mutare delle esigenze

NUCLEI FONDANTI NUCLEI FONDANTI NUCLEI FONDANTI NUCLEI FONDANTI

DISCIPLINARIDISCIPLINARIDISCIPLINARIDISCIPLINARI (o SAPERI IRRINUNCIABILI(o SAPERI IRRINUNCIABILI(o SAPERI IRRINUNCIABILI(o SAPERI IRRINUNCIABILI, o , o , o , o

NuNuNuNuclei fondanti per clei fondanti per clei fondanti per clei fondanti per

Trasm

issibilità:

Trasm

issibilità:

Trasm

issibilità:

Trasm

issibilità: sapere

dichiarativo, gerarchia di

conoscenze

Trasm

issibilità:Trasm

issibilità:Trasm

issibilità:Trasm

issibilità: curricolo, traguardi di com

petenza.

Analisi

Analisi

Analisi

Analisi

Riflession

Riflession

Riflession

Riflession ee ee

36

3.2. Quale Italiano per il curricolo?

Progettare un curricolo di Italiano è senza dubbio una buona occasione per restituire l’educazione

linguistica alla sua funzione fondamentale, cioè l’apprendimento e l’uso (razionale, espressivo,

creativo, funzionale o anche ludico) di strumenti in grado di promuovere le possibilità comunicative

e interrelazionali tra persone.

Il curricolo di Italiano dovrebbe promuovere un’idea rinnovata della lingua: intesa come realtà

dinamica e vitale, ove l’aspetto normativo dovrebbe assumere un significato che superi il

tradizionale approccio analitico e descrittivo. La progettazione dell’attività didattica (non solo nella

scelta dei contenuti, ma anche nella metodologia) potrebbe partire da alcune considerazioni:

• la lingua è uno strumento al servizio dell’uomo e non viceversa. L’educazione linguistica

richiede studio, applicazione, impegno, ma non bisognerebbe mai scordare che il risultato di

un curricolo linguistico dovrebbe essere una persona che sappia comunicare in modo

efficace nelle situazioni più diverse, operando con le risorse a sua disposizione25. Le sole

conoscenze analitiche e dichiarative della grammatica non garantiscono il loro corretto uso

nella comunicazione pragmatica;

• la lingua è viva, si evolve, contamina e si fa contaminare: esiste un modello linguistico solo

per convenzione. È nostro compito conoscerlo e farlo conoscere, ma senza dimenticare che

25 Il Common European Framework, nel 1996, individuava un doppio ordine di competenze linguistiche: 1.

Competenze generali-metacognitive (sapere, saper fare saper essere, saper apprendere); 2. Competenze specificamente

linguistico-comunicative, distinte in competenze linguistiche (fonologiche, grammaticali, lessicali, semantiche),

sociolinguistiche (applicate alle convenzioni e alle relazioni sociali, sfruttando le varietà della lingua), pragmatiche

(funzioni della comunicazione, schemi di interazione sociale).

Nell’attuale Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli (European Qualifications Framework – EQF), la conoscenza

della lingua a fini comunicativi è asse portante, costituendo la base per lo sviluppo di molte altre competenze

(comunicazione nella madrelingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenza matematica-scientifica-

tecnologica, competenza digitale, imparare ad imparare, competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e

imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale)

37

l’Italiano è anche varietà in continua evoluzione, ricchezza di sfumature e di repertori

linguistici;

• la lingua della scuola deve dialogare e confrontarsi con la lingua della vita quotidiana; ciò

non significa abbassare il livello del “buon italiano”, ma vuol dire, ad esempio, tentare un

approccio diverso al cosiddetto errore. L’errore linguistico (di tipo ortografico,

morfosintattico, lessicale e semantico, nel parlato e nello scritto) dovrebbe rivestirsi di un

forte valore euristico: la deviazione dalla norma è sempre significativa e testimonia una

saussuriana manifestazione del rapporto tra langue e parole26. Da ciò può nascere una

didattica che valorizzi lo “sbaglio” linguistico come vettore di apprendimento; è ancora

diffuso, nella scuola e nella società, un atteggiamento semplicemente sanzionatorio verso gli

errori (soprattutto quelli di tipo ortografico) che, didatticamente parlando, non produce

effetti positivi.

• la lingua italiana, pur mantenendo la sua specificità, dovrà sempre più spesso confrontarsi

con altri linguaggi e altre lingue27. Il plurilinguismo è ormai una dimensione fondamentale

dell’attuale società e non si può pensare a un italiano tagliato fuori da questo contesto. Credo

che l’unico modo per salvaguardare l’identità della nostra lingua sia aprirla ad un confronto

positivo e critico con codici appartenenti ad altri popoli e culture. Il protezionismo

linguistico non funziona: una lingua rimane forte e sopravvive solo se i parlanti la trovano

significativa e vedono in essa uno strumento indispensabile ed irrinunciabile per esprimersi;

• la valutazione estetica e stilistica della lingua non può esserci senza prima averne compreso

la funzione pragmatica. Non possiamo pretendere che un allievo apprezzi una pagina ben

26 Cfr. F. de SAUSSURE, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 2000, pp. 21-30. 27 Un’interessante e completa analisi della posizione della nostra lingua all’interno dei nuovi contesti sociali,

comunicativi e mediatici è stata compiuta da G. ANTONELLI, L’italiano nella società della comunicazione, Il Mulino,

Bologna 2007.

38

scritta o lo stile dei nostri autori letterari, se prima non ha un’adeguata padronanza degli

strumenti linguistici basilari. Da qui l’importanza di saper strutturare il curricolo in modo

razionale ed efficace, privilegiando e anticipando nel tempo l’apprendimento della lingua

funzionale, abituando i ragazzi ad apprezzarne e a sfruttarne la duttilità, l’infinita possibilità

di adattamento alla varietà delle situazioni comunicative quotidiane28 (varianti diafasiche,

diastratiche, diamesiche, diatopiche, diacroniche). Lo studente deve essere prima di tutto

guidato verso la competenza comunicativa (che certo si basa sulla competenza linguistica,

ma non solo): deve padroneggiare codici verbali e non verbali, facendoli interagire tra loro,

operando scelte coerenti con gli scopi e le situazioni.

3.3. Il problema della continuità verticale: prime considerazioni

Affinché l’apprendimento della lingua italiana sia proficuo, serve un curricolo coerente e armonico,

che si ottiene raccordando tra loro i segmenti scolastici frequentati dall’alunno dai tre anni all’età

dell’obbligo. Un curricolo di educazione linguistica dovrebbe essere fondato su alcuni importanti

elementi, che darebbero senso alle conoscenze, alle abilità e alle competenze da conseguire. Questi

elementi, opportunamente collocati, possono aiutare nella costruzione di un percorso di

apprendimento dotato di continuità29:

• DIALOGICITÀ

• OPERATIVITÀ

28 Cfr. G. BERRUTO, Le varietà del repertorio, in A. A. SOBRERO (a cura di), Introduzione all’italiano

contemporaneo, Laterza, Bari-Roma 1993. 29 Cfr. GISCEL, Idee per un curricolo di educazione linguistica democratica oltre i provvedimenti del ministro Moratti,

(www.giscel.org/idee%20per%20un%20curricolo.htm)

39

• TESTUALITÀ

• VARIABILITÀ

Con la parola dialogicità si fa riferimento all’acquisizione di conoscenze, al conseguimento di

abilità e competenze per mezzo dello scambio linguistico, dell’interazione, della condivisione,

praticate nelle attività scolastiche quotidiane.

L’ operatività riguarda il fare: la vera comprensione e la produzione di buoni testi, la scoperta delle

regole e la loro efficace applicazione, la costruzione e la generalizzazione dei significati si

realizzano anche attraverso la prassi (manipolazione dei testi, applicazione pratica delle abilità

linguistiche).

Con il termine testualità si indica la conoscenza e l’uso dei meccanismi testuali. La fruizione,

all’inizio ingenua e in seguito sempre più mediata didatticamente ed approfondita, porta l’allievo

verso la scoperta di significati e regole di interazione tra gli elementi che costituiscono l’ordito

testuale. La presentazione di testi di diverso tipo, poi, conduce l’allievo a capire gli elementi che

caratterizzano alcune loro specifiche funzioni (informare, esprimersi, persuadere, argomentare,

stabilire e controllare un contatto) e a imitarne i modelli e la struttura nella fase di produzione.

La variabilità è indice della ricchezza e della varietà della lingua; si riferisce alla familiarità che

l’allievo dovrebbe avere con gli usi molteplici della lingua, come strumento comunicativo duttile,

variabile in funzione del contesto in cui si agisce.

Questi quattro parametri costituiscono una guida per la costruzione di un curricolo di educazione

linguistica, orientandolo correttamente verso le scelte che dovrebbero garantire un armonico

sviluppo verticale dell’itinerario di apprendimento. La dialogicità, l’operatività, la testualità e la

40

variabilità sono caratteri sempre presenti all’interno del curricolo, ma si distribuiscono in maniera

diversa lungo il percorso, caratterizzando la specificità di ogni grado scolastico senza però creare

cesure e salti.

Nella scuola primaria, il curricolo di lingua italiana è caratterizzato da un forte accento posto su

dialogicità e operatività, in accordo con le caratteristiche psicologiche e cognitive di questa fascia

scolare. Prevale infatti un apprendimento linguistico fondato su aspetti relazionali (dialogicità) e

concreti (operatività): l’uso della lingua per rispondere a bisogni ed esigenze immediate, per

ricevere e dare istruzioni, per narrare e descrivere riferendosi a cose concrete, legate ai vissuti

personali. La testualità e la variabilità sono certamente presenti, ma sono mediate da un prevalente

approccio dialogico ed operativo.

Nella scuola secondaria di primo grado c’è invece una prevalenza della testualità e della variabilità;

si passa verso una maggiore specificità della disciplina, che si presenta in modo formalizzato. La

lettura dei testi spazia da quelli funzionali a quelli espositivi (legati alle attività di studio e di

ricerca), dai testi ricreativi alle opere letterarie. La fruizione dei brani si spinge fino all’analisi delle

caratteristiche profonde del testo (analisi narratologica, strutturale, estetica e stilistica, ecc.).

La riflessione sulla lingua si fa più sistematica e approfondita: vengono studiati i rapporti logici e

sintattici esistenti tra le parti del testo (parole, sintagmi, frasi semplici e periodi, paragrafi). Ciò

aiuta gli allievi a sviluppare capacità metacognitive più sicure, che li guidano nei processi di

ricezione e produzione, avviandoli anche verso un uso più personale della lingua (in forma orale e

scritta).

41

La continuità di un curricolo poggia sulla sua coerenza: i diversi segmenti scolastici, pur rimanendo

distinti, devono costituire un processo educativo-didattico logico e unitario30. Per ottenere questa

coerenza, il curricolo deve essere caratterizzato da:

1. Ricorsività

2. Progressione

3. Sistematicità

4. Pertinenza

La ricorsività non è ripetitività. Una proficua ricorsività consiste nella ripresentazione di argomenti

già affrontati, per raggiungere però obiettivi nuovi. Un argomento può essere quindi riproposto più

volte, ma la prospettiva di studio e il livello di approfondimento devono cambiare. Senza tutto ciò

abbiamo solo ridondanza.

Il curricolo è un percorso, un cammino verso traguardi; la progressione avviene grazie

all’integrazione dei nuovi apprendimenti con i vecchi, in modo tale che il sapere di una persona

venga accresciuto e soprattutto riconfigurato. La progressione è indice dello sviluppo di un iter

formativo, lo orienta nel tempo e ne disegna la direzione.

Per far sì che i nuovi apprendimenti si leghino con i vecchi, è necessaria sistematicità, ossia la

concatenazione logica tra il percorso già compiuto e quello successivo. I nuovi apprendimenti

dovranno ricadere nella zona di sviluppo prossimale dell’allievo31, permettendogli di individuare in

modo autonomo le relazioni tra vecchio e nuovo. Affinché ciò si realizzi è necessaria la pertinenza:

il docente deve scegliere e proporre contenuti significativi, dotati di rilevanza e coerenti con il

percorso che l’allievo deve compiere.

30 Cfr. M. DODMAN, Per un curricolo linguistico unitario dalla scuola dell’infanzia alla scuola superiore,

(www.educazione.sm/inglese/programmazione/Curricolo_Linguistico.pdf) 31 Cfr. L.S. VYGOTSKIJ, Il processo cognitivo, Boringhieri, Torino 1980.

42

3.4. Un modello tridimensionale per la costruzione del curricolo

La progettazione del curricolo di italiano è senza dubbio un’impresa complessa, vista la particolare

natura di questa disciplina, caratterizzata da una intensa vocazione interdisciplinare e da un

importante ruolo trasversale. Il seguente grafico mostra un modello che può aiutare a capire la

complessità della situazione, presentando i tre parametri che dovrebbero venire considerati per

realizzare un curricolo. Si tratta di un sistema di riferimento tridimensionale32:

Tav.2

32 Questo modello, da me ipotizzato, può essere una guida per l’organizzazione dei saperi essenziali della disciplina

all’interno del percorso curricolare.

Continuità verticaleContinuità verticaleContinuità verticaleContinuità verticale

Continuità orizzontaleContinuità orizzontaleContinuità orizzontaleContinuità orizzontale

((((rapporto orizzontale con le altre discipline:

trasversalità, interdisciplinarità)

Disciplinarità Disciplinarità Disciplinarità Disciplinarità (dai nuclei epistemici ai saperi

irrinunciabili)

43

Ogni fase del curricolo può essere progettata considerando contemporaneamente queste tre

variabili:

1) Disciplinarità (In cosa consiste la mia disciplina? Quali contenuti ed elementi essenziali ho

selezionato per costruire il percorso?);

2) Continuità orizzontale (Quale valore assume l’elemento della mia disciplina nel confronto

orizzontale con le altre materie di insegnamento? Quali possibilità didattiche possono sorgere da

questo rapporto?)

3) Continuità verticale (Quale ruolo e quale posizione avrà l’elemento da me scelto, all’interno del

curricolo complessivo e in vista dei traguardi da raggiungere? Quale potrà essere la sua ricorsività

lungo il percorso? Con quali diverse prospettive ed obiettivi verrà rivisitato nei diversi ordini

scolastici? In una logica di continuità, cosa ci dovrà essere immediatamente prima dell’elemento

scelto? E cosa potrà esserci subito dopo?)

I tre parametri appena descritti non vanno considerati separatamente, uno dopo l’altro: serve,

invece, una loro presenza simultanea in ogni fase della progettazione. Così, ad esempio, un

contenuto disciplinare irrinunciabile dovrà essere in rapporto con la continuità verticale (la scelta di

un contenuto forte e ricorsivo, come la testualità, ad esempio). Nello stesso tempo, la scelta di un

argomento nell’ambito della propria disciplina andrà a configurare una particolare trama di rapporti

con le altre materie (ad esempio, la scelta di un contenuto come la prosodia o la metrica creerà

evidenti possibilità interdisciplinari con la musica).

Le tre variabili (disciplinarità, continuità verticale e continuità orizzontale) sono perciò da

considerarsi interdipendenti. Data la complessità della situazione, è chiaro che la costruzione di un

curricolo richiede un approccio collegiale. Il curricolo di Italiano, insomma, non potrà essere

44

elaborato dai soli insegnanti di lettere, ma da tutti i docenti, in particolare da quelli appartenenti

all’ambito disciplinare linguistico-espressivo (confronto orizzontale).

Il lavoro sul curricolo esige inoltre un confronto verticale continuo. La scuola secondaria di primo

grado si trova in una delicata posizione intermedia33: segue la scuola primaria e precede la scuola

secondaria di secondo grado, il cui biennio costituisce l’ultimo tratto del percorso scolastico

obbligatorio. È perciò rischioso lavorare sul curricolo della scuola media senza conoscere in modo

approfondito quale tipo di lavoro è stato fatto nella primaria e cosa si farà in seguito, nel biennio

conclusivo l’obbligo scolastico. Senza un costruttivo dialogo tra gradi scolastici la discussione sul

curricolo rischia perciò di essere dispersiva; è opportuna una visione d’insieme, dall’alto, per

stabilire chiaramente la peculiarità e i ruoli di ciascuna scuola all’interno della nuova logica

curricolare.

Forse sarebbe necessaria una maggiore vicinanza delle istituzioni, che dovrebbero garantire alle

scuole una formazione adeguata, un coordinamento efficace dei lavori, una supervisione continua di

esperti (Università?). Ciò faciliterebbe il raggiungimento di importanti risultati, ad esempio quello

di dotare tutti gli insegnanti di un lessico chiaro e condiviso (spesso gli attriti tra docenti nascono

proprio dal non concordare sul significato di alcuni termini, come competenza o curricolo). Inoltre,

una guida autorevole e sopra le parti potrebbe moderare la tensione che sorge tra ordini scolastici

contigui, quando si tratta di rintracciare i “colpevoli” delle lacune nell’apprendimento dei ragazzi34.

Comunque sia, l’importante è rendersi conto che, in qualche modo, è ormai necessario mettersi al

lavoro. La scuola dell’autonomia è un dato di fatto irrevocabile, e questo tipo di scuola esige

33 Molto interessante e ricco di spunti di riflessione è il contributo di G. C. SACCHI, Rifondiamo la scuola “media”?,

“Scuola e didattica”, 9, 15 gennaio 2008. La scuola secondaria di I grado rischia di perdere un’identità precisa nella

prospettiva del ciclo lungo, finendo compressa tra scuola primaria e biennio conclusivo l’obbligo scolastico. La

riflessione sul curricolo dovrebbe essere una buona occasione anche per ridefinire il ruolo e la specificità di questi tre

anni del ciclo scolastico. 34 Cfr. M. L. ALTIERI BIAGI (a cura di), La programmazione verticale. Continuità dell’educazione linguistica dalla

scuola primaria alla scuola superiore, La Nuova Italia, Firenze 1994, XXIII-XXIV.

45

curricoli nuovi e non più programmazioni centralizzate: le scadenze sono prossime (2010). Il lavoro

compiuto, i tentativi andati a buon fine, quelli falliti: è comunque una buona occasione per riflettere

sul nostro mestiere, per riprogettarlo e restituirgli il significato e il valore che merita.

3.5 Alcune proposte

La scelta degli argomenti irrinunciabili da inserire nel curricolo di italiano presuppone, come

abbiamo visto, una complessa serie di operazioni, che deve anche tenere conto dei tre parametri

guida per l’organizzazione del percorso curricolare. Queste tre dimensioni di riferimento sono:

1. Disciplinarità

2. Continuità orizzontale

3. Continuità verticale

Questi criteri dovrebbero guidare il lavoro collegiale dei docenti per organizzare, nel curricolo, i

contenuti scelti all’interno della disciplina.

Ho pensato di proporre qui un esempio di come si possa costruire un percorso di italiano intorno

all’idea di testo e testualità35. La proposta di costruire una parte del curricolo partendo dal testo può

apparire abbastanza scontata e ingenua: di fatto, però, il testo, se considerato come unità linguistica

e comunicativa fondamentale, rappresenta senza dubbio un contenuto irrinunciabile e può essere

trattato all’interno di un percorso formativo continuo, pianificato grazie ai criteri di disciplinarità,

continuità orizzontale e continuità verticale.

35 Sull’importanza del testo e delle abilità testuali quali elementi unificatori nel curricolo di italiano, si vedano:

D.CORNO (a cura di), Insegnare italiano. Un curricolo di educazione linguistica, La Nuova Italia, Firenze 2000. Il

testo contiene interventi di diversi autori, tra cui S. Citterio, D. Bertocchi, L. Brasca e G. Ravizza, D. Corno.

Anche se datato, è molto interessante e a mio avviso ancora utilizzabile il già citato testo di M. L. ALTIERI BIAGI (a

cura di), La programmazione verticale. Continuità dell’educazione linguistica dalla scuola primaria alla scuola

superiore, La Nuova Italia, Firenze 1994

46

Il lavoro sui testi è l’elemento portante dell’architettura disciplinare dell’italiano e dell’educazione

linguistica in generale. Il testo, se pensato come struttura di elementi tra loro relazionati e

interdipendenti, è un paradigma applicabile ad ogni livello linguistico (la sillaba, la parola, il

sintagma, la frase semplice e l’enunciato, il brano, ecc.).

Se consideriamo la continuità orizzontale, la testualità è senza dubbio un argomento trasversale;

oltre a servire allo sviluppo di competenze generali, il lavoro sui testi può essere facilmente

condiviso da numerose discipline, diventando così un comune denominatore che attenua le zone di

confine tra saperi diversi e favorisce l’interdisciplinarità. Ad esempio, se con testo indichiamo un

ordito di elementi tra loro coesi e coerenti e aventi nel complesso un’intenzionalità comunicativa,

allora possiamo parlare di testo anche quando ci riferiamo a una partitura musicale: la musica è un

sistema di segni, simboli, valori, la cui lettura ed esecuzione implicano procedimenti analoghi a

quelli della codifica e decodifica verbale (ad esempio la lettura e l’interpretazione dei segni della

prosodia musicale); esiste inoltre una sintassi complessa tra ritmo, suoni, melodia, armonia e

timbro.

Passando alle arti figurative, possiamo parlare di testo iconico quando, “leggendo” un quadro,

distinguiamo gli elementi della composizione, la loro distribuzione nello spazio, il loro legame

reciproco (la sintassi di punti, linee e segni, superfici).

Per quanto riguarda le scienze motorie, si può dire che anche il nostro corpo, agendo nello spazio,

rispetta una sintassi di movimenti tra loro interdipendenti e tesi a comunicare qualcosa (ad esempio

nella danza) e a raggiungere un obiettivo (nello sport in generale). Si tratta di schemi motori

semplici o complessi, a cui è possibile applicare un approccio di analisi simile a quello utilizzato

nello studio dei testi verbali.

La scelta del testo come argomento fondante del curricolo si accorda anche con la terza esigenza,

cioè con la continuità verticale. Il testo (la sua ricezione, la sua analisi, la sua interpretazione e la

produzione) è un contenuto che può essere presente dall’inizio fino alla fine del curricolo d’italiano,

47

organizzando opportunamente la ricorsività di alcuni argomenti, distribuendo convenientemente

livelli di approfondimento e diversificando obiettivi e competenze da raggiungere nei diversi gradi

scolastici. L’analisi e la produzione testuale diventano, in questo modo, assi della continuità

verticale.

Le stessi Indicazioni per il curricolo insistono sull’importanza della frequentazione assidua di testi,

a partire dai primi anni di scolarizzazione. Inoltre, il documento, all’interno di ciascuna sezione

dedicata ai traguardi di competenza in ogni ordine scolastico, sottolinea la necessità di un approccio

testuale, sistemico ai diversi linguaggi (si parla di grammatica del testo, di grammatica musicale,

visiva, corporea).

L’approccio centrato sulla testualità costituisce quindi una prospettiva di continuità, proponibile

dalla scuola di base fino alla scuola secondaria di secondo grado; ciò permette di organizzare il

curricolo in modo graduale, calibrando contenuti, livelli di analisi e di produzione, adottando

metodologie in rapporto alla fascia scolare. È ovvio che un curricolo di questa natura deve essere

progettato collegialmente, da gruppi di insegnanti appartenenti ai diversi livelli scolastici: un buon

percorso verticale e continuo va costruito cercando di evitare sovrapposizioni, ripetizioni inutili e

controproducenti, anticipazioni dannose perché non adeguate al profilo cognitivo dell’età scolare.

Perciò, anche per quanto riguarda il lavoro da fare sui testi nei diversi ordini scolastici,

bisognerebbe rispettare quei criteri di dialogicità, operatività, testualità e variabilità che ho già

illustrato36.

Le Indicazioni per il curricolo concordano con quanto detto sopra, proponendo una continuità fra

scuola primaria e secondaria che si caratterizza per un accento sempre più marcato verso la

disciplinarità nella scuola secondaria; a questa maggiore individuabilità della disciplina, però, deve

corrispondere un’opportuna continuità orizzontale con le altre materie (attraverso le diverse forme

di relazione tra discipline di cui ho già parlato). 36 pp. 38-40.

48

Partendo da un’attenta lettura delle Indicazioni (premesse, traguardi per lo sviluppo di competenze e

obiettivi di apprendimento) ho provato a riassumere in uno schema alcune caratteristiche

dell’Italiano nella scuola primaria e nella scuola secondaria. Bisogna riflettere sul fatto che ciò che

distingue il lavoro dei due ordini scolastici (la loro specificità) dovrebbe garantire, nello stesso

tempo, la continuità del percorso formativo.

Tav. 3

SCUOLA PRIMARIA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

ABILITÀ

Aspetti prevalenti (caratterizzanti) nelle Indicazioni per il curricolo di Italiano

Aspetti prevalenti (caratterizzanti) nelle Indicazioni per il curricolo di Italiano

ASCOLTARE E

PARLARE

Prevalenza della dialogicità: dall’interazione spontanea all’ordine regolato nella situazione comunicativa. Narrazioni di vissuti personali. Comprendere e dare istruzioni.

Maggiore controllo delle varie situazioni comunicative: adattabilità (uso delle varietà linguistiche, registri, ecc.) grazie a più controllate competenze metalinguistiche

LEGGERE Lettura ricreativa e spontanea. Comprensione del testo attraverso le sue strutture di superficie (senso letterale). Tipologie testuali prevalenti: narrativo, descrittivo.

Approccio testuale più marcato: analisi del testo a livelli più profondi. Presentazione di tipologie testuali più complesse. Integrazione dei diversi linguaggi disciplinari.

SCRIVERE Scrittura centrata sull’esperienza personale, sul vissuto. Scrittura controllata principalmente grazie a presentazione di moduli sintattici e modelli testuali.

Scrittura applicata a più generi testuali e con finalità sempre più diversificate e decentrate. Impiego delle conoscenze e abilità metalinguistiche per la produzione autoregolata dei testi. T

ES

TO

RIFLETTERE

SULLA

LINGUA

Fonologia e ortografia. Osservazione dei fenomeni linguistici attraverso l’individuazione di ricorrenze, differenze, ecc. Riflessione linguistica centrata sulla parola (meccanismi di formazione e derivazione, lessico e semantica), e sulla frase semplice.

Generalizzazione e astrazione dei meccanismi grammaticali osservati. Competenze grammaticali maturate a partire dai testi e da applicare consapevolmente nella produzione orale e scritta. Riflessione linguistica centrata sulla frase complessa, sul paragrafo, sull’intero testo.

Conclusioni

49

La stesura di questo lavoro mi ha impegnato per alcuni mesi, durante i quali ho provato sentimenti

mutevoli e opposti in rapporto al grande cambiamento che dovrebbe trasformare la scuola italiana.

Curiosità, voglia di sapere, entusiasmo e improvvisi scoraggiamenti, momenti di chiarezza ed altri

di confusione: c’è stato tanto desiderio di capire e confrontarmi con la situazione, ma anche paura di

esprimermi, perché mi appariva troppo complessa per essere decifrata dalla mia ancora limitata

esperienza di insegnante. Ciò di cui avevo bisogno, perciò, era innanzitutto informarmi

sull’argomento, per cercare di averne una chiara visione.

La prima parte del mio lavoro è una ricerca sull’attuale situazione della scuola italiana,

caratterizzata da un sempre più evidente scacco di fronte ad un mondo che pone sfide complesse;

trattando ciò, ho cercato di mettere subito in evidenza le strettissime relazioni tra l’avvio

dell’autonomia scolastica e il passaggio dal sistema dei programmi ministeriali ai curricoli di

istituto. Era mia intenzione creare una cornice di riferimento che aiutasse ad orientarmi: da questa

“visione dall’alto” del contesto ho capito realmente l’importanza del problema che stavo

affrontando, e ho provato finalmente a dare una risposta alle domande che molti insegnanti

continuano a farsi: “Ma cosa c’è che non va nella scuola? Cosa dovremmo cambiare, e perché? A

quante richieste ministeriali dovremmo ancora adeguarci?”.

Le risposte da me trovate non sono rassicuranti: parlano di urgenti problemi da risolvere, di

scadenze molto vicine; parlano di una scuola che è al bivio e che, se non saprà rinnovarsi, perderà il

suo senso, la sua funzione, la sua rispettabilità, inabissandosi assieme alla società che non è riuscita

ad educare e istruire. Obiettivamente, la scuola italiana è in una posizione estremamente delicata:

anche senza ricorrere a documenti che dimostrano l’inadeguatezza del nostro sistema formativo

rispetto ad altre realtà europee, possiamo giungere all’amara constatazione del declino della nostra

scuola riflettendo sul sempre più ampio distacco fra istruzione e vita; la scuola appare sempre più in

difficoltà a capire la realtà e a fornire ai ragazzi strumenti per affrontare il mondo con successo.

50

La strada inaugurata con l’autonomia scolastica è la sola, al momento, che può condurre a un

rinnovamento positivo, in quanto esige che ogni istituto contribuisca alla creazione di percorsi

formativi nuovi, costruiti partendo da bisogni e situazioni concrete; i parametri di riferimento

nazionali (attualmente le Indicazioni per il curricolo) servono a garantire un comune denominatore

per le scuole italiane e, nel rispetto dei princìpi di autonomia, allacciano l’Italia a contesti più ampi:

l’Europa e il Mondo. Ogni istituto è chiamato a fare la sua parte, a darsi valore progettando percorsi

didattico-educativi efficaci.

Il lavoro che ci viene richiesto è importante anche per dare nuova identità e credibilità sociale alla

figura dei docenti: non rispondere alle sfide di questi anni significherebbe finire ai margini; il

rischio è enorme se si pensa che la scuola è minacciata dalla concorrenza sleale di altri modelli

(quelli diffusi dai mass media, ad esempio) che rischiano di umiliare e banalizzare la nostra cultura,

indebolendo le nuove generazioni.

Queste riflessioni riguardano ovviamente anche la disciplina da me insegnata: l’Italiano dovrà

rinnovare il suo ruolo ed adeguarlo ai cambiamenti in atto. In queste pagine ho cercato di

immaginare quale potrebbe essere la nuova identità della mia disciplina entro un’ottica curricolare

che ne ridisegni finalità, obiettivi, contenuti e rapporti con le altre materie scolastiche. È questa la

parte centrale del mio lavoro, che mi ha dato l’opportunità di pensare, problematizzare, fare ipotesi

per alcune proposte operative. In particolare ho voluto riflettere su questi punti:

• l’identità dell’Italiano in rapporto all’ambigua natura della sua disciplinarità (disciplina

come sapere trascendente la mediazione didattica, e disciplina in rapporto alla sua

trasmissibilità scolastica);

• la nuova funzione che dovrà assumere l’Italiano entro una logica di continuità orizzontale,

cioè nel rapporto con le altre materie di insegnamento. In un contesto plurilingue, sempre

più bisognoso di integrazioni tra linguaggi (verbali, non verbali), l’Italiano non può rimanere

quello di sempre, ma dovrà perseguire nuovi traguardi. Dovrà anche dotarsi di una sorta di

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elasticità epistemica, che permetta alla nostra lingua di rimanere vitale e produttiva, capace

di descrivere, codificare e decodificare l’attualità;

• la nuova identità disciplinare dell’Italiano in rapporto alla continuità del percorso educativo

dai 3 ai 16 anni. L’organizzazione verticale dei curricoli, infatti, ridisegnerà i confini degli

ambiti di insegnamento, amplificando o attenuando la specificità disciplinare in rapporto ai

diversi momenti dell’itinerario formativo;

• il problema della scelta dei contenuti essenziali e irrinunciabili, concepiti come strumenti per

raggiungere traguardi e sviluppare competenze. Per l’organizzazione curricolare di questi

saperi fondativi, ho proposto un modello tridimensionale, basato sull’interazione fra tre

parametri: la disciplinarità, la continuità orizzontale, la continuità verticale. È un modello

discutibile, con molti limiti, ma può essere un sistema sufficiente, secondo me, per orientare

almeno l’inizio della progettazione di un curricolo;

• la sempre maggiore importanza di un approccio comunicativo all’educazione linguistica, e il

ruolo chiave dato al testo. Ho proposto una possibile impostazione del curricolo verticale

proprio partendo dalla centralità delle competenze testuali. Il testo, nelle sue molteplici e

fitte relazioni interne (isotipie), esterne (codici extratestuali), e nella sua dimensione

ermeneutica, è una perfetta metafora della complessità del mondo: come un testo, la vita

richiede strumenti cognitivi e attitudini spirituali per cogliere significati, relazioni,

interrelazioni, sistemi di senso, corrispondenze interne ed esterne.

La progettazione di un curricolo è un’opera molto complessa dal punto di vista teorico, ma ancora

più ardua se pensiamo al fatto che richiede motivazioni e convinzioni condivise da tutti,

collaborazione, concertazione, tempo e fatica: un buon curricolo deve nascere da un lavoro corale,

ma mettere d’accordo tante teste è difficile.

52

Dopo nove mesi di lavori, se qualcuno mi chiedesse di cosa c’è bisogno per progettare un curricolo,

risponderei che, prima di ogni altra cosa, c’è assoluto bisogno di un dialogo sentito fra tutte le parti

coinvolte. C’è bisogno di condividere un’esigenza profonda di rinnovamento, senza la quale pochi

sono motivati a lavorare. Ci vogliono sacrificio e capacità di mettersi in discussione; bisogna, con

umiltà, avere il coraggio di rivedere le proprie posizioni, aprendosi ad un confronto tra scuole libero

da pregiudizi. È necessario progettare assieme, definendo compiti specifici di insegnamento, ruoli

individuali, ruoli comuni.

Fare significa, secondo me, abbandonare tecnicismi e cerebralismi, nozionismi e nominalismi che

creano una babele di linguaggi accademici e sterili. Basterebbe avere chiaro il fine comune, stabilire

poche parole per intendersi e costruire soprattutto partendo dai fatti, dall’esperienza quotidiana. Ci

viene richiesta una trasformazione, un’evoluzione, non una rottura: molto di quello che si fa già

normalmente nella scuola va bene e sarà ancor più valorizzato in un contesto di lavoro rinnovato.

Credo che non bisognerebbe essere troppo cerebrali: partire sperimentando, facendo tentativi e

ricerca-azione, potrebbe essere la giusta strada. In ogni caso, solo ciò che nascerà da un autentico

bisogno di rinnovarsi e dall’amore per il proprio lavoro potrà portare buoni frutti.

Pradamano, giugno 2008

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Tav. 4

IL TESTOIL TESTOIL TESTOIL TESTO (primo nucleo epistemico individuato)

PROPOSTAPROPOSTAPROPOSTAPROPOSTA per definire i per definire i per definire i per definire i Nuclei fondanti disciplinariNuclei fondanti disciplinariNuclei fondanti disciplinariNuclei fondanti disciplinari

Parte 1. Aspetti della testualitàParte 1. Aspetti della testualitàParte 1. Aspetti della testualitàParte 1. Aspetti della testualità

Il testo come strutturaIl testo come strutturaIl testo come strutturaIl testo come struttura Riconoscere e usare gli elementi che garantiscono la coerenza, la coesione, la completezza di un testo (connettivi logico-sintattici, pronomi, tempi verbali, ecc.)

Il testo nella comunicazioneIl testo nella comunicazioneIl testo nella comunicazioneIl testo nella comunicazione Tipi di testo e loro funzione comunicativa: informativa, espressiva, poetica, fàtica, metalinguistica, conativa. Saper usare il tipo di testo adatto alla situazione comunicativa e allo scopo.

Il TESTOIl TESTOIl TESTOIl TESTO Aspetti della testualità

Aspetti della testualità

Aspetti della testualità

Aspetti della testualità

I generi testualiI generi testualiI generi testualiI generi testuali Testi narrativi, testi descrittivi, lettera personale e formale, testo poetico e canzone, articolo di giornale, saggio breve, testo descrittivo-regolativo-informativo, testi argomentativi, testo espositivo. Testi informatici: ipertesto, pagina web, e-mail , forum, blog, poesia multimediale, ecc.

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ASCOLTARE

1.Comprensione: istruzioni varie (di vita quotidiana), testi proposti in forma orale, lezione

ComprensioneComprensioneComprensioneComprensione

LEGGERE 1.Lettura prosodicamenete corretta dei brani proposti; 2.Efficace lettura visiva e silenziosa; 3.Comprensione dei testi proposti

PARLARE

1. Fonologia, morfosintassi, lessico, semantica: utilizzo di forme morfosintattiche corrette, lessico adeguato. 2.Esposizione orale su argomenti proposti 3.Pragmatica: saper sostenere una comunicazione orale efficace in situazione (in presenza, al telefono), scegliendo registro linguistico, lessico, forme di interazione adeguate, sapendo integrare componenti verbali, non verbali (gestuali, mimiche, iconiche, ecc.), paraverbali (timbro, intonazione, volume, ecc,)

Com

petenze di base

Com

petenze di base

Com

petenze di base

Com

petenze di base

ProduzioneProduzioneProduzioneProduzione

SCRIVERE 1.Calligrafia; 2.Impaginazione e paragrafazione di un testo su pagina cartacea e pagina informatica; 3.Ortografia (anche digitale, uso intelligente e ragionato degli strumenti di correzione informatica); 4. Morfosintassi, lessico, semantica adeguate; 5.Punteggiatura essenziale; 6.Produzione di testi coesi, coerenti, completi rispondenti alle richieste (o situazione comunicativa) 7.Testi: narrativo, descrittivo, espositivo-informativo, argomentativo, poetico

TranscodificazioneTranscodificazioneTranscodificazioneTranscodificazione Da orale a scritto:Da orale a scritto:Da orale a scritto:Da orale a scritto: dettato, prendere appunti, fare una relazione, fare una sintesi scritta di un discorso Da scritto a orale:Da scritto a orale:Da scritto a orale:Da scritto a orale: fare la sintesi o il commento orali di un brano letto, ecc. Da non verbaleDa non verbaleDa non verbaleDa non verbale----misto a verbale:misto a verbale:misto a verbale:misto a verbale: descrivere un’immagine, raccontare la scena di un film, ecc

Com

petenze di

Com

petenze di

Com

petenze di

Com

petenze di

manipolazione

manipolazione

manipolazione

manipolazione

Produzione di testProduzione di testProduzione di testProduzione di testi i i i partendo da altri testipartendo da altri testipartendo da altri testipartendo da altri testi

Sintesi, parafrasi, rielaborazioni, assemblaggio ragionato di testi (verbali e non verbali) per creare una pagina di giornale, web, testo multimediale.

Com

petenze testuali

Com

petenze testuali

Com

petenze testuali

Com

petenze testuali

Com

petenze

Com

petenze

Com

petenze

Com

petenze

pragmatiche

pragmatiche

pragmatiche

pragmatiche

Usare diversi tipi di Usare diversi tipi di Usare diversi tipi di Usare diversi tipi di testo in modo testo in modo testo in modo testo in modo efficace e efficace e efficace e efficace e funzifunzifunzifunzionale a onale a onale a onale a situazioni situazioni situazioni situazioni comunicative realicomunicative realicomunicative realicomunicative reali

Sapere interagire efficacemente all’interno di situazioni comunicative reali: situazioni di vita quotidiana (scuola, famiglia, tempo libero); con mezzi di comunicazione diversi (linguaggi verbali, non verbali, strumenti informatici, telecomunicazioni).

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BibliografiaBibliografiaBibliografiaBibliografia

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