Il Collirio #10

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Rivista Culturale Indipendente Agosto 2015 - Dolore

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“Dalla mia più tenera età una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finchè mi rimane, sono ironico se la si strappa, muoio.”

In copertina: “Regina Virtus” di Matheus Cartocci Edition of 200 offset - stampato presso Tipografia Reali

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fuochi d’artificio partecipano del male nel mondo. Non per loro essenza, ma per tradizione. La tradizione presenta un problema di giurisdizione: è legittimata dall’uomo o legittima l’uomo? È il cane che si morde la coda. E ci si muove, in mezzo alla folla, incespicando. Perché i fuochi d’artificio provocano clamore estivo e fanno accorrere gli spettatori non paganti, ignari del disordine arrecato alle strade e alla viabilità. Tanto è tradizione, come durante i supplizi pasquali. È come se il mondo, ad un certo punto, si fosse situato in un solco insostenibile, tra quelli che vanno troppo avanti e quelli che rimangono troppo indietro. E tra il fare per il fare e il godimento per tradizione c’è uno stallo immemorabile che si chiama dolore.A monte di questa forse semplicistica divisione il dolore si identifica con lo spaesamento, sentimento conosciuto e rinomato, alla base di molteplici culture negli ultimi tre secoli. Non serve chiamare in causa Schopenhauer e l’esistenzialismo gretto che tanto piace ai giovani che vi si approcciano – finalmente qualcuno ha capito cosa vuole dire soffrire! – ma chiunque altro abbia posto in qualche misura la soggettività. In quanto soggetto, la persona subisce, ed è dolore, nato da una frattura.Nella sua disperata missione di salvataggio il mondo ha contenuto sempre più le fratture, mostrandone il volto rifinito che in realtà non esiste. C’è chi è andato troppo avanti, a creare fuochi per sé, e chi è rimasto troppo indietro, a guardare i fuochi d’artificio. In mezzo c’è qualche addolorato che con il fuoco non sa cosa farci.

IEditoriale

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Era una minuscola forma di vita.

Lei era cosciente, sapeva esattamente cosa doveva fare: tutte le sue funzioni erano memorizzate nel suo nucleo. Era stata programmata per non commettere errori, creata artificialmente per dare alla luce qualcosa di nuovo. Sapeva esattamente come era stata fatta; unica nel suo genere, era intelligente. La cellula iniziò a prepararsi, iniziò a pensare. Scoprí la sua coscienza. In un attimo migliaia di impulsi la percorsero. Stava provando qualcosa. Non seppe subito cosa fossero quelle sensazioni, finchè delle parole non la raggiunsero: Emozioni, memoria, ricordi.

Scoprí come nacque il mondo. Come avvenne la sua stessa nascita. Scoprí i nomi e vide i volti dei suoi creatori. Uomini di scienza, con intuizione e intelletto superiori a qualsiasi forma di vita conosciuta. Fu felice di percorrere quel fiume di informazioni, finchè non vide il passato. Una sua simile all’origine di tutto. Come causa di ogni cosa accaduta. Una singolarità.

Dolore, sofferenza, incredulità, distruzione.

La piccola cellula bloccò le sue funzioni: la sua risolutezza era svanita. Oppressa e agonizzante, si contorse, e per la prima vota provò dolore. I suoi sensi andarono in conflitto, mentre una volontà invasiva cercava di sottometterla. Probabilmente una reazione del genere non era assolutamente prevista. Essa percepiva la forza sconosciuta che cercava di dilaniare con disperazione il suo tessuto molecolare. La cellula era prossima alla distruzione.

Per un momento pensò di arrendersi alla sofferenza.

Qualcosa però dentro di lei si fece carico di responsabilità. Iniziò a dividersi molto rapidamente, e dopo pochi attimi fu madre di centinaia di migliaia di cellule figlie. La sua coscienza si espanse a dismisura, e impartí ordini rapidi, decisi, definitivi.Sapeva. Sapeva cosa doveva fare. Per il mondo, per ciò che i comuni esseri chiamano universo. Un piccolo seme nato in una terra aborigena e corrotta. Da qualcosa. Da qualcuno.

Molto tempo fa…

“SEED” - INTRO

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- Ma come faremo, con tutto questo dolore, con questa voragine che si è aperta sotto lo sterno, cosa faremo?

- Giocheremo a far finta di nulla, fissando palle di vetro tanto a lungo da entrarci dentro. E quando ce ne tireranno fuori avremo un freddo cane, ed impegneremo tutto il nostro tempo e la nostra energia a scaldarci. E quando staremo bene ci guarderemo intorno, preoccupati che qualcuno abbia visto, ma saranno già andati via in molti. Faremo i disinvolti allora, ci aggiusteremo i capelli, ci lisceremo i vestiti e gonfieremo l’anima e come se niente fosse torneremo in mezzo a tutto. Vivremo, desiderando, ricordando, ubriacandoci, vomitando, ridendo, piangendo, lasciando volare via aquiloni di emozioni sperando non s’impiglino in qualche palo del telefono che te lo giuro non era li, ma forse avrei dovuto fare più attenzione. È tutto più difficile adesso, ora che si è aggrovigliato tutto, guarda la che disastro, ogni volta lo è un po’ di più. È così ingiusto però, e l’ho pensato, sai? Ho pensato che in fin dei conti l’infelicità è la somma di tante ingiustizie, bisognerebbe fare attenzione a farne capitare il meno possibile, e tutto questo non c’entra nulla con la cattiveria, è una battaglia stupida tra felicità e tristezza, e la cosa seccante è che non siamo i generali, ma piccoli soldati semplici con munizioni random, che ammesso si riesca a sopravvivere poi ci stanchiamo, ed anche se c’è la guerra impariamo a fare finta di nulla e cerchiamo una palla di vetro dentro cui guardare. Senti, i botti, come sono lontani adesso? Mentre il sangue si arrugginisce ed il cielo di questo giorno è agli sgoccioli, non si sente più nulla, è tutto nuovo, strano e troppo veloce. Andrà tutto bene, vedrai.

- Bugiardo.

“COLTIVIAMO PER TUTTI UN RANCORE CHE HA L’ODORE DEL SANGUE RAPPRESO CIÒ CHE ALLORA CHIAMAMMO DOLORE È SOLTANTO UN DISCORSO SOSPESO.”

TRE BATTUTE

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nessuno vede il mio piantoNessuno vede il mio pianto,non sgorga dagli occhiné riga la facciané bagna gli abiti.

Nasce lucido nel cervello, sede della ragione, e precipita inesorabile sul cuore stanco.

Come un urlo mutoinneggia nella testa,confonde ed esaspera.

Si inoltra tra i pensieri,con passi lentiscandisce il ritmo confuso degli ingranaggi.

Nessuno vede il mio pianto.

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Così terribilmente mi seduci

così profondamente mi spaventi

come il dolore non finisci di colpire

ogni volta più forte

vieni più in profondità

e poi mi lasci sola ancora

purtroppo o finalmente

come il dolore ti odio

e come il dolore

così insensatamente

ti desidero.

insensato dolore

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Scegliere il dolore“Quand j’aurai inspiré le dégoût et l’horreur universels, j’aurai conquis la solitude”.

Quando Baudelaire esprime il desiderio di disgustare gli altri bisogna vedervi una tendenza all’autopunizione.La sifilide che l’ha ucciso egli l’ha cercata nelle prostitute più miserabili. Perché più il corpo è sporco, macchiato, disgustoso, malato, più è nel pieno possesso di se stesso.

Je suis la plaie et le couteauEt la victime et le bourreau.

Egli è l’heautontimorùmenos, il punitore di se stesso. In questo modo, nel dolore, egli percepisce la sua carne come sua. Entra dunque nel pieno possesso del suo Io, tocca la sua natura, si vede

come Altro-da-sé.Tutto è artificiale in lui, ogni atto, ogni gesto, ogni parola. Poiché, ambendo continuamente a vedersi e a scorgere la sua vera esistenza, egli, dice Sartre, non guarda le cose, ma si guarda vedere e guarda per vedersi guardare.E, seguendo ancora Sartre, è questa la ragione per cui Baudelaire era costituzionalmente sempre curvo su se stesso, come

Narciso.Una volta percepita e sfiorata la sua vera Natura, Baudelaire può raggiungere il suo scopo finale: essere oggetto per se stessi, adornarsi per adorarsi e contemplarsi nella sua diversità rispetto all’incalzante società moderna, conformista e utilitaristica.

Di qui la sua aderenza alle pratiche del dandysmo,

un cerimoniale in-utile e gratuito, lontano dall’operosità progettuale della modernità borghese, attraverso cui il soggetto si impadronisce del sé come oggetto-reliquia. Un culto dell’Io fino al limite estremo della soppressione di se stessi, caratteristica che spingerà Jacques Crépet a identificare il suicidio come il sacramento supremo del dandysmo.Attraverso la dimensione della diversità che gli viene riconosciuta, dagli Altri e dal se stesso come Altro, Baudelaire raggiunge la libertà, la solitude. Da questa posizione può osservare la realtà nascosta dietro l’apparenza, le correspondances che costituiscono il vero segreto delle cose e che ispirano la gran parte delle sue Fleurs du mal.

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30 ottobre 1940“Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio […] è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria, […] qualche volta viene il sospetto che la morte – l’inferno – consisterà ancora del fluire di un dolore […] senza istanti, tutto tempo e tutto eternità.”

Il bagno nel dolore è rito iniziatico necessario per il poeta che desidera sostituire parole consuete con diversi linguaggi, svestito s’immerge nello strazio e nell’assoluto.Anche l’eroe senza il suo scudo resta nudo come un verme. Anche nella sofferenza vi è un piacere perverso.Nessuna alienazione artistica può esimere dall’eterno confronto con ciò che è dolore, non la corposa adesione alla vita, non il congedo da essa.L’artista, quello vero, cerca una via di fuga dall’infelicità soltanto alla fine; l’epilogo suppone sempre l’esistenza di un preludio… e Cesare lo sapeva bene.La vita come fatica quotidiana, come mestiere; ed eccolo il poeta che si cala volontariamente nelle acque torbide del tormento. L’ossessione per lo strazio portò Pavese a sviscerarne i meandri e a costruire una genealogia del dolore, un monumento umano… troppo umano.Il “Mestiere di vivere” viene consegnato come “Secretum professionale”, ma altro non è che la storia di un uomo, un diario in cui la scrittura viene vissuta come strategia dello scampo, riflesso quasi di una diagnosi medica.L’estenuato silenzio della vita reale si converte in urlo infinito all’interno di un racconto intimistico che è poi il grido e la storia della generazione che vive il pre e il dopoguerra, l’alternanza tra momenti progressivi e d’arresto, l’imporsi del neorealismo, il dominio di una cultura borghese essenzialmente senza arte, di scrittori senza vita. Il dialogo con se stessi è strumento unico e alternativo per definire l’intellettuale nella società, ma affidare la felicità alla scrittura significa consegnarsi interamente ad un ambito estrinseco ai limiti dell’esistenza.La scrittura finisce allora per inghiottire la parte umana e la felicità del raté si paga col prezzo dell’oblio della vita. Il dolore spiegato, non dominato, lo scrittore che diventa analista e vittima delle sue stesse contraddizioni, il bipolarismo interiore che si esplica attraverso coppie antinomiche di parole, espressioni ricorrenti di desolazione: il nuovo linguaggio della sofferenza.La guerra, il disagio esistenziale, i drammi quotidiani, le contraddizioni, i mutamenti, infine gli occhi belli della Dowling – Viso di Primavera – si compattano nell’uomo, si innalzano nell’artista, si materializzano nell’opera.Infine il duello: Cesare si inabissa nella scrittura combattendo col dolore. Artista e uomo vengono divorati.

18 agosto 1950“Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più.”

IL VIZIO ASSURDO

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Sono al Museo del Prado, a Madrid, come pietrificata da dieci minuti davanti alla figura di un uomo mostruoso, in preda a una follia vorace…occhi e bocca spalancati nell’atto di urlare al mondo intero la sua disperazione, pronto da un momento all’altro a scomparire tra gli abissi scuri del peccato.L’intera scena è immersa nel buio, ma i sapienti effetti di luce dell’artista riescono a portare in primo piano il corpo raggrinzito del carnefice; un bagliore di pazzia si irradia dalle due orbite spalancate e il rosso acceso del sangue sgorga dal corpo mutilato del ragazzo torturato, catturando lo sguardo del comune osservatore in un’ipnosi angosciante, ma irresistibile.Il protagonista del quadro è Crono (il Saturno dei romani), il dio titano del tempo, nato dall’unione di Urano e di Gea. La mitologia narra di una storia di morte e disperazione, di delitti perpetrati da padre in figlio, del dolore e del conflitto interiore di un padre costretto a liberarsi della sua prole, per il terrore di essere detronizzato. Secondo la leggenda, infatti, un oracolo predisse a Crono che sarebbe

stato detronizzato da uno dei suoi figli, subendo così la stessa sorte del padre Urano, da lui stesso spodestato. Il dio Crono, per paura che la profezia si avverasse, decise di ingoiare al momento della nascita tutti i suoi figli, uno dopo l’altro, ad eccezione di Zeus, che la moglie Rea riuscì a salvare nascondendolo su un’isola e dando in pasto al marito un sasso avvolto con delle fasce al posto del figlio. Una volta cresciuto, Zeus riuscì a far risputare al padre tutti i figli che aveva ingoiato e, insieme a loro, diede inizio a una guerra vendicativa contro di lui, al termine della quale Crono e i suoi fratelli Titani furono relegati nel deserto del Tartaro, dove trascorsero un lungo e travagliato periodo di isolamento e di dolore. La leggenda, quindi, racconta una storia di sofferenza tramandata di generazione in generazione, cui solo la tenacia e il buon senso di Zeus riescono a porre la parola fine, interrompendo la tragica sorte di morte e dolore, allontanando semplicemente il padre e offrendogli una possibilità di redenzione.Questa è la macabra storia che si cela dietro l’opera

di Francisco Goya Saturno che divora i suoi figli, parte di un gruppo di 14 lavori, conosciuti come Las Pinturas Negras (Le Pitture Nere), un ciclo di opere dai toni scuri e dai temi lugubri e spaventosi, realizzate ad olio sulle pareti della casa di campagna dell’artista, La Quinta del Sordo, dove nel 1819, con il restaurarsi del regime borbonico in Spagna, Goya si ritirò in solitudine, per trascorrere gli ultimi anni della sua vita, ormai sordo e rassegnato alla situazione politica del tempo. In seguito al trasferimento di Goya in Francia, la casa passò al nipote e nel 1874 divenne di proprietà del barone di Erlanger, il quale, per preservare il ciclo delle pitture nere dal loro deterioramento, ordinò di far trasferire i dipinti su tela e poi, nel 1878, li donò allo stato spagnolo.Il soggetto prescelto dall’artista si sottopone a diverse chiavi di lettura, prime fra tutte il conflitto tra la vecchiaia e la gioventù e la furia distruttrice del tempo, rappresentato da Crono, che spazza via il passato, seminando dolori e catastrofi; altra interpretazione papabile è quella di una rappresentazione allegorica

Saturno che divora i suoi figli-OLTRE LO SGUARDO DI MEDUSA-

della Spagna, laddove il dio Crono incarna la patria che distrugge i suoi concittadini a colpi di guerra e rivoluzioni. Fermandosi davanti al quadro, si ha la sensazione di essere da un momento all’altro ingoiati dall’oscurità profonda delle tenebre, di percepire l’urlo di disperazione di quell’uomo deformato, reso con pennellate informali e essenziali sfumature cromatiche. Considerata il precursore del futuro Espressionismo, l’opera possiede un impatto emotivo straordinario, capace di travolgere l’osservatore in un universo asfissiante di angoscia e disperazione, che finisce col deformare i tratti realistici delle figure rappresentate, in favore di un’esasperazione della sfera emotiva. Ci si ferma per un istante ad ammirare l’opera d’arte, ed ecco che, improvvisamente, il quadro diventa specchio della storia e dei travagli personali di ciascun osservatore, diviene il medium privilegiato attraverso il quale liberare le proprie emozioni e dar sfogo al proprio dolore interiore.

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“The death of innocence is all around us.” He said. “I knew it.”“You’re being dramatic Eli.”“I’m not being dramatic, I’m being frank. I’m being frank about the death of innocence, which is all around us, and I am being frank about being Eli. There is no drama, not here! Not today!” He yelled lifting his right index finger into the sky and bringing it down again, morphing it into a fist as he did so.“Keep your voice down.” She said burying the bottom half of her face into the upper half of her turtleneck sweater. It was cashmere and it was dark green and he had bought it for her not two springs ago, just before declaring that dark green, as a colour rather than a philosophy, looked atrocious on her but that if she thought differently it was her human right to do with it what she pleased, even if it meant wearing it in his company. “And now she wants me to keep my voice down.” He spoke out. “We are witnessing the death of all things pure, right here at the edges of our feet, and she wants voices to be kept down. Tyranny, I say! You’re a tyrant. ” “Oh for the love of god-““No god would allow this…”

ALL THIS COMMOTION FOR AN ICE CREAM

He mumbled under his breath.“We can just go back and get another one. If you’re going to be such a big baby about this, we might as well.” She said. She pulled out from her purse a lilac compact and opened it to look at herself in its mirror. She decided she was looking lovely and didn’t need to adjust her makeup. She pursed her lips and shut the compact, putting it back into her bag and wiping the hairs from her forehead. It was clear she had no time for such tantrums but intended to look perfect when forced to endure them. “How do I look?” she asked.“How do you look?” He asked in return. “You look stunning. You look deadly. You look like you are most people’s favourite thing about risking going outside in the morning and facing the day and you look like my wife. But that’s beside the goddamn point woman. We are talking about bigger things.”“Are we?” She asked. “That’s funny, I could’ve sworn you were talking about Ice cream. Am I not bigger than ice cream?” She took his hand and without his knowing started leading him back to the vendor. “Of course you would swear about such a thing.” He

ignored the question about her being bigger than ice cream because he was sure it was rhetorical. “But you’d be wrong. You’d be rich and beautiful and sharp as a whip but you’d be so wrong.” He said. She reached out to him and pulled the now empty ice cream cone from his hand. She pulled once but he refused to let go saying that he wasn’t ready just yet. She tilted her sunglasses down and gave him the kind of look that might convince him otherwise. It did.“The point is…hell, now you’ve gone and distracted me…”“The death of innocence.” She said. “Right, yes, the death of innocence. It was supposed to be my moment of innocence you see. My moment away from suits and meetings and needing to goddamn shave all the goddamn time. And it died. I dropped it all and it died,” He said as they made their way out of the park and down the main road. “And now I’m suffering you see. I’m suffering wildly because it’s clear to me now, in this very moment, hand in hand with you that I’m dead inside.” He said.“Of course not dear.” “Of course yes, I say.”“If you insist.”

“I do insist. I insist holily, actually. And it doesn’t end there,” They were now standing in the queue on the corner of Ellenstreet. In front of them was a big boned lady who took her god given time to sample what was her human right to sample.“It doesn’t end there because, I’m dead inside. I might as well not love you anymore. I might as well just pack my bags and live in Canada somewhere. Yes that’s it. I’m going to not love you anymore and I’m going to live in Canada somewhere and then, here it comes, and then I’m going to suffer and endure my suffering until the day I die. Under a tree, I think.”She was checking her phone to make sure they still had time to make it for the dinner party at the Spetzers’ new loft. She held his hand quite tenderly and decided that a mixture of basil flavoured lemon and passion fruit would do the trick.She then looked up at her tormented man and saw his pain and said, “You’re such a drama queen sometimes.”He accepted her words as true and let her order for him.

Sterling Wyatt 20.07.2015

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cotton fiocStrange Fruit -

Billie Holiday

Party Girl -

Chinawoman

Everytime We Say Goodbye -

John Coltrane

Liquid And Starch -

Autistic Daughters

Did You Hear What They Said? -

Gil Scott-Heron

Lonely Woman -

Horace Silver

The Wolf That Lives In Lindsey -

Joni Mitchell

Four Women -

Nina Simone

igiene auricolare

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22il sonno della ragionegenera mostri.il sonno della ragionegenera mostri.

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23il sonno della ragionegenera mostri.il sonno della ragionegenera mostri.

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“La materia è la grande illusione. La materia, cioè, si manifesta nella forma e la forma è un fantasma”. Jack London

Un dolore intenso e intermittente. Una sensazione che aumenta in situazioni di stress, di ansia e durante gli sbalzi di temperatura. Un dolore reale che colpisce una gamba, un braccio o una mano. A patto, però, che queste appendici non esistano più.

La chiamano sindrome dell’arto fantasma e si riferisce a una parte del corpo scomparsa, a seguito di un trauma o di un intervento chirurgico. Si divide in dolore fantasma, relativo all’arto mancante, e in dolore cosiddetto del moncone, cioè a livello del punto di amputazione. Questo dolore, nella maggior parte dei casi, si manifesta durante la settimana che segue l’intervento, ma può anche presentarsi dopo anni. Può essere opprimente, tormentoso, crampiforme o tensivo. Di solito si associa a una posizione “anomala” dell’arto e in questo caso risulta folgorante. In casi estremi, comporta affaticamento e insonnia, assieme agli stati emozionali più disparati. Il tutto a partire dal cervello. Questa sensazione dolorosa deriva infatti da una lesione, diretta o indiretta che sia, del sistema nervoso centrale o periferico, che comporta un’alterazione della percezione neurosensoriale. È una condizione difficilmente documentabile, spesso trascurata e di grande difficoltà clinica, che colpisce dal tre al sette percento della popolazione mondiale. I soggetti colpiti hanno inoltre un’immagine chiara e articolata dell’arto perso. Questo è legato al fatto che l’apparato spinale gioca un ruolo fondamentale nell’origine delle allucinazioni percettive relative alla perdita di un’appendice.

Una cura? Gli antinfiammatori, a differenza di quel che si credeva in passato, hanno scarso successo in tutto questo. I farmaci che di solito vengono prescritti – a dosi diverse, a seconda della portata del dolore – sono, invece, gli analgesici utilizzati per curare l’epilessia. Queste molecole interagiscono con gli amminoacidi eccitatori e inibitori, sia del cervello, che del midollo spinale. E non è tutto. Anche l’ipnosi si è rivelata utile, con un calo della sensazione del dolore nel quaranta percento dei casi. Il paziente, condotto in uno stato di trance, viene ad esempio portato a percepire il freddo, che ha la funzione di lenire il dolore. Infine, tra le sperimentazioni più recenti, subentra la realtà virtuale. Tramite un modello di visione virtuale, il cervello ha a sensazione di avere l’arto illusorio. L’individuo percepisce il proprio corpo come integro, senza lesione, e così facendo è in grado di rimuovere la sensazione di dolore dalla corteccia cerebrale.

Il dolore fantasma

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Dicono che quando ci lasciamo alle spalle questa vita grama e fatta di materia trasmigriamo in un’altra forma, verso un’altra condizione, e il nostro corpo perde immediatamente 21 grammi.Così dicono. E dicono anche che probabilmente quei 21 grammi corrispondano al peso della nostra anima. Allora cosa resta di noi? Cosa lasciamo di veramente nostro quando andiamo via, quando ci congediamo dalla vita? Un cuore forse? Un cuore, perché no, che si è fermato ma che può tornare a battere nel corpo di un professore di mezza età condannato altrimenti a morte certa.Come ci si può rassegnare allo strazio della perdita? All’ineluttabilità di un destino che ti strappa via in un baleno un marito e due bambine? Che colpa ne hanno loro? Nessuna luce in fondo al baratro in cui si finisce. Non ci sono risposte, non c’è pace o rassegnazione, perché, in fin dei conti, tutti noi perdiamo davanti alla morte. Non esiste droga o alcool tanto potente da stordirti abbastanza, da annebbiarti i sensi al punto tale da non sentire più, non avvertire più quel vuoto incolmabile che atterrisce

e che ti dilania, ti divora dall’interno.Quel dolore cieco, tanto lancinante quanto insopportabile, è in un attimo vita per qualcun altro, quello stesso qualcuno che vuole a tutti i costi incontrarti fino al punto di trovarti, anche se non vorresti mai essere trovata, perché, del resto, il cuore di tuo marito batte nel suo petto; è proprio tuo marito che se ne è andato, è proprio lui ad avergli regalato, di nuovo, la vita. Allora lui è legato inequivocabilmente a te. Forse è lì per dirti qualcosa, per aiutarti ad affrontare il peso di quel dolore per il quale non esiste rimedio, a esorcizzarlo dando la caccia a quel folle che ti ha strappato via la tua famiglia con quel maledetto incidente d’auto, perché se solo quel peccatore redento si fosse fermato, se solo si fosse degnato di prestare loro soccorso…Si dice che 21 grammi sia il peso dell’anima. Io credo invece che l’anima non abbia un peso; credo sarebbe più giusto immaginarla come qualcosa di inconsistente, etereo, impalpabile. Il peso, del resto, non ha nulla a che vedere con chi va via: è lì, invece, soltanto per noi che restiamo.

lenti a contatto

igiene VISUALE

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Mordí y el anzuelo y te dí mi mano. Pacté con el diablo y te vendí mi alma.Ahora toca fingir que todo está bien pero solo quien es capaz de leer mis ojos, sabe el dolor que siento en mi alma.

Estoy tranquila solo es cuestión de tiempo, la próxima vez ¡me toca mover ficha! Recuerda que el mar está lleno de peces, y aunque de momento no haya suficiente sal para curar mis heridas, dejarán de escocer algún día, y ese día, ya será demasiado tarde.

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Al caldo torrido della città, quell’estate, avevo preferito le dolci colline delicatamente carezzate dai raggi del sole d’Agosto.L’aria fresca del mattino mi invitava a lunghe passeggiate che catturavano tutti i sensi: i colori di una stagione nel pieno della sua forza, il profumo dei fiori rigogliosi nei verdi campi, sugli alberi i dolci frutti che di tanto in tanto mordevo con la voracità di un bambino affamato, l’erba soffice del prato che mi accoglieva all’ombra di un platano e il cinguettio degli uccelli che delicatamente appoggiavano le loro zampine su quei rami che mi offrivano frescura e refrigerio. Fu in una di quelle lunghe passeggiate mattutine che lo incontrai, era un giovane fanciullo – vent’anni o poco più – intento a scrivere qualcosa. Ero seduto a poca distanza da lui, leggevo I Canti di Ossian e addentavo succose prugne che lungo il cammino avevo raccolto. Quando ebbe terminato il suo lavoro, mi si avvicinò, attratto dalla mia lettura. Anche lui, mi disse, stava trascorrendo quel soggiorno in compagnia di Ossian. Ebbi subito l’impressione di avere a che fare con un giovane sveglio, appassionato e affetto da una sensibilità tutta particolare. Fui, però, colpito da un particolare: mentre con i gesti e con le parole il ragazzo cercava di trasmettere la leggerezza e la spensieratezza che, a quell’età, dovrebbe accompagnare tutti i fanciulli, i suoi occhi

l’inverno del cuoreraccontavano tutta un’altra storia. C’era una commozione delicata in quegli occhi, un turbamento evidente, un dolore sottile ma acuto che sembrava sgorgasse dal profondo di quel corpo candido e armoniosamente disegnato. Chiacchierammo a lungo, ed ebbi, in un certo senso, conferma delle mie intuizioni: dai suoi discorsi, velati di quella patina di positività che spesso si utilizza quando ci si trova di fronte ad uno sconosciuto, si evinceva un pessimismo evidente, l’idea di una natura matrigna che distrugge tremendamente tutto ciò che meravigliosamente crea. I desideri di quel fanciullo erano stati mutilati, orrendamente spezzati da quello che, solo dopo che ci fummo lasciati, ebbi conferma che fosse un amore non interamente corrisposto. Un amore fatto di sguardi, di parole, di carezze rubate. Un amore destinato a finire in tragedia, ad essere sepolto sottoterra ma destinato a vivere in eterno tra le pagine di un libro. Quell’estate capii come le stagioni dell’anno potessero avere poco o nulla a che vedere con le stagioni del cuore: in quella calma e calda estate di campagna quel giovane aveva dentro l’inverno, un cuore in tempesta, una pioggia incessante. I rari momenti in cui l’anima sembrava pacificarsi era quando parlava di lei, di Lotte. Nonostante le sue reticenze, il tentativo di parlare di lei come degli altri abitanti di quel paesino nominati fino ad allora,

capii immediatamente che quella giovane fanciulla, già promessa ad un altro, rappresentava la croce e la delizia del cuore di quel povero diavolo. Attraverso questo scritto non voglio, in alcun modo, atteggiarmi a grande conoscitore dei meandri dell’animo umano. Tutte ciò che compresi di lui, nonostrante i tentativi di dissimulazione, mi furono offerti dal suo sguardo, che, come un vetro, lasciava vedere tutto ciò che si muoveva dentro di lui. Era giunta l’ora del pranzo, ci salutammo ed entrambi ci augurammo di riincontrarci presto. Andò vià, camminava con la leggerezza di chi un grosso macigno lo porta dentro. Lo vidi poi, con un improvviso slancio, correre verso una fanciulla graziosissima. Doveva essere lei, Lotte. Fu durante la corsa che perse quel foglio sul quale era intento a scrivere, quando lo avevo visto poche ore prima. Lo raccolsi, lo lessi e tutto mi fu chiaro. 21 Agosto Invano la mattina tendo le braccia svolgendomi dai grevi sogni, invano la notte la cerco nel letto quando un innocente sogno infelice mi illuede di esserle accanto su un prato e di tenerle la mano e di coprirgliela di mille baci. Ahi! Se allora, immerso ancora a metà nella vertigine del sonno, la cerco tentoni e mi desto… un torrente di lagrime mi sgorga dal cuore oppresso, e sconsolato piango un cupo avvenire. Werther

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Tum tum tumtureggiano i tamburicon il girotondo dei gabbiani

in torno al tempo.C’è materia oscura nell’aria del tempio,

tutti andranno verso di sé.

Quand’ero vecchio avevo una piccola creatrice,anima nera, un’altra cicatrice.

Ricordi sotto la neve• • • • (venne vene!) • • • •

le nuove forme?• • • • • • • • le facemmo straziare urlando!

Marinavamo le notti e i giorni,fissando i baratri nel mare ghiacciatoquando le colline sembravano deserti;

! distruggevamo le nostre anime all’alba

Ci è crollato il mondo addosso,ma siamo ancora qui; • • • • us

Ti piace la paura d’annegarenel fresco terriccio della luna

le cavigliette tinte di nero, bianco.

Mi fai schifo,e sei molto bella.

• • • • • • • •

Bianco giallo bianco il fuoco dellenostre anime! Ci spingeremo fino

! al ghiaccio bollente; uno di noi s’estinguerà- fuori controllo! -

Osservate voi altri l’amore di un creatore:

Ti darò mille baci sulla fronteosservando negli occhi le tue meraviglie,

e lavorerò per annisulle tue anche tonde tondesuonando le corde profondedella tua anima di creatore

Quella dolce e nera fonteho visto, orli, soglie, voglie:

e ti odierò per anniondeggiando sul mare folle, su onde e onde.

Raccoglierò piene di spine le frondee te le stringerò al collo per ore, ore, ore.

Odi et amo-la piramide-

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“These fragments I have shored against my ruins”T.S. Eliot, The Waste Land, 1922

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M I R A G G I OCAPITOLO DECIMO

Si rividero dopo un anno esatto. Avevano preso accordi già prima della sua laurea: il prossimo agosto avrebbero trascorso tre giorni insieme al mare, e avrebbero parlato dell’anno appena passato, e di come si sarebbero evoluti i progetti delle loro vite.

Giacomo non aveva molta voglia di vederli, ma indossò comunque un sorriso adeguato e partì. Non che ci fosse un motivo in particolare contro di loro, ma era da un po’ di tempo che il contatto con le persone più intime lo metteva a disagio.

Giorgio e Luca lo stavano aspettando seduti al tavolino di un bar del molo. Sorseggiavano qualcosa di rosso e pesante. Campari e gin. Erano già al secondo. Volevano festeggiare, e come biasimarli. Giacomo li aveva notati da lontano, mentre la risata di Luca si propagava con fragore, interrompendo il racconto di Giorgio che molto probabilmente verteva su qualche trip di acidi. Giacomo tirò un respiro profondo, persuadendosi che era molto meglio fingere di non essere cambiato, piuttosto che essere bersagliato dai “Che hai?”, “Ma cos’è ‘sta faccia?” dei suoi ex-coinquilini e grandi amici già carburati alcoolicamente. Quelle classiche domande che lo avrebbero di certo stizzito ed esposto ad almeno una mezz’oretta di scherno tipicamente virile. Forse, avrebbe affrontato l’argomento in un’altra occasione, magari in un momento di filosofia notturna, ma di sicuro non quel pomeriggio. Non avrebbe detto nulla neanche riguardo al fatto che stava bevendo poco e che non si drogava più. Non voleva ammazzargli il mood.

Fece un giro in modo da non essere visto, entrò nel bar, ordinò altri quattro campari e gin ed uscì sorridendo a salutarli. I sonori e festosi convenevoli durarono giusto il tempo di far portare al cameriere gli altri quattro bicchieri. Giorgio e Luca si scambiarono un’occhiata perplessa. I loro sguardi tremarono al pensiero di un’accompagnatrice rompicoglioni che non avevano notato? Si guardarono intorno, ma realizzarono che non c’era nessuno che poteva vestire quei panni. Solo un topless cinque metri più in là che finì per ipnotizzarli. Giacomo si mise a ridere.

“Sono da solo, stronzi!”

Bevve un bicchiere tutto d’un fiato. Poi la metà di un altro. “Adesso posso sedermi con voi, brutti cazzoni”.

L’alcool e la droga riuscirono a rilassarlo per i due giorni che seguirono. Ci andò giù pesante con l’erba, poco sintetico e qualche botta. Non era all’altezza dei suoi ultimi standard vacanzieri, ma neanche Luca esagerò. Solo Giorgio rispettò le attese. Il fatto che Luca si era più o meno mantenuto lo rese inconsciamente più sereno; il fatto che Giorgio era sempre lo stesso, invece, gli instillò uno strano senso di stabilità. Con loro era a suo agio, e non doveva dimenticarlo. Era stato stupido ad avere delle remore.Di alcool ne bevvero a litri: birra al mattino – dall’una alle cinque -, campari e gin il pomeriggio, e superalcolici la notte. Su questo, nessuno di loro tradì le aspettative.

Passarono due giorni dionisiaci, come non accadeva da tempo, forse pure più di un anno.

A Giacomo fece bene un po’ di spensieratezza. Di tutti e tre, era l’unico che ne aveva bisogno; gli altri due, infatti, avevano mantenuto intatta una virginale voglia di vivere la vita. Giorgio aveva un approccio leggero alle cose, e non nel senso che fosse superficiale. Affrontava la vita prendendola un po’ in giro, scherzando seriamente. Luca era più riflessivo, ma sempre di buon umore; aveva una predilezione all’ascolto, parlava poco e consigliava bene. Quando Maria morì, è stato l’unico con cui Giacomo è riuscito a parlare.

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Il dolore di Giacomo era come un camaleonte. Si era mimetizzato così bene che era quasi impossibile accorgersene. Stava lì, immobile, sempre. Sembrava tutto normale, come prima. Ma non era così. La vita era cambiata.

Il silenzio a cui lo avevano costretto insopportabili programmi radiofonici e la selettività dei suoi gusti musicali assumeva sembianze sempre più rilassanti, sotto la luce arancio crepuscolare che, di sbieco, entrava dal finestrino. Giacomo chinò leggermente la testa all’indietro. Stava tornando a casa.Dal flusso inorganico dell’inconscio, per la prima volta, emerse vividamente una sequenza di attimi in cui era a letto con Maria. Pensò al suo culo, poi al suo caschetto.

Dovette fermarsi al primo autogrill, il che lo aiutò a ritrovare il contegno adatto per comprare un pacco di fazzoletti. Piangeva a dirotto, come non accadeva da quelle ore terribili che seguirono la notizia. Era la prima volta che piangeva così. La tremenda eco di quelle immagini gli rimbombava in mente, e stava lì a dire “Guarda, è inutile che fai così, che va tutto bene, un cazzo! Guarda che Maria non c’è più! Non c’è più! Te ne rendi conto? Non c’è più!”, ed era la prima volta che lo capiva così bene.

Filò subito alla cassa per comprare i fazzoletti. Aveva gli occhi visibilmente gonfi, ma per fortuna aveva gli occhiali da sole. Alla cassa c’era fila. Cercò di non innervosirsi, per cui indugiò con lo sguardo nei pressi, sperando che in un attimo la fila innanzi a lui scomparisse per una magia della cassiera. In una cesta di dischi, vide un piccolo libriccino, il cui posto sicuramente non era quello. Decise di rimetterlo a posto, visto che aveva gli scaffali dei libri a portata di mano. Allora il titolo…Non poteva crederci. Non era possibile. Che cazzo ci faceva lì il libro che volevano lui e Maria, e che nessuna Feltrinelli di Roma aveva neanche per sbaglio? Porca di quella puttana. Lo mise subito sottobraccio. Adesso fremeva per pagare, mancava solo una persona.Appena prima di dire “buonasera” alla cassiera, si sentì avvicinare da un uomo distinto e un tantino inquietante. “Mi perdoni, credo che per errore si stia comprando il mio libro”, disse l’uomo fissando gentilmente Giacomo con un paio di occhi azzurri da squalo.Giacomo non capì subito, gli ci volle un attimo in più. “Ah, mmh, mi scusi”, disse sorridendo imbarazzato.

Pagò i fazzoletti e uscì. Accese una sigaretta.

Vide il sole scomparire dietro una collina. Anche il dolore scomparve magicamente. Gli avevano portato via anche il libro. Sorrise: aveva capito che la vita era tutto un miraggio.

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A N E S T E S I S T IIN ORDINE DI APPARIZIONE: HANNO ILLUSTRATO PER NOI:

Vittorio MolloEditoriale

Alessandro Lazzaro“Seed” - Intro

Alessandro VulloTre battute

Eleonora RussoNessuno vede il mio pianto

EmmegiIl vizio assurdo

Le FlaneurScegliere il dolore

Raffaella Ferraro[OLTRE LO SGUARDO DI MEDUSA]Saturno che divora i suoi figli

Aaron ZeissAll this commotion for an ice cream

Mariarosaria Mazzacane Il dolore fantasma

Valeria Ercolano [Fosfeni] L’inverno del cuore

Dario Chiaiese[la piramide]Odi et amo

Claudia TailAlessandro Lazzaro

Teo SandiglianoCristina Orsini

Chiara GuglielminaDezurni Krivac

Gianni Bardi Elisa Cartocci

MaitJacopo Abbate/Martina MitrovicSeverino Iritano

AnarelaValentina Tassalini

Laura Mancini

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10111213151718

22-23

25272930

Matheus CartocciGiacomo Moggioli & Piger

Gianfilippo LiguoroTeo Sandigliano

ZacVan Mile

Federica SaliniValeria Cafagna

Gabriele BorettiAlessandro Vullo

Natale De Gregorio

4-59

32

Gianfilippo Liguoro

© 2015 [Effetto Placebo]

COPERTINA/BACK COVER:

E S T R A T T O B Y :

IGENE AUR ICOLARE BY:

IGENE V ISUALE BY:

I N S E R T I F OTO G R A F I C I :

C A P I T O L O D E C I M O :

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[email protected]: EFFETTO PLACEBO

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