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IL N°10 MERC URIO RUBY? NO.. RUBI... (VOCE DEL VERBO RUBARE)

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decima edizione de il mercurio

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IL N°10

MERC URIO

RUBY?NO.. RUBI...(VOCE DEL VERBO RUBARE)

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-POLITICA-ATTUALITA’-LETTERATURA-CREATIVITA’-ESTERI-SATIRA

ALL’INTERNO

ALESSANDRO FRAU direttore

Eleonora Cardogna MencucciAlberto GiarrizzoAugusto MontaruliMaria Grazia CasagrandeSara CabittaSimone LeinardiVincenzo MereuGian Marco PinnaLuisa MereuNicola IrimiaAndrea MuraRiccardo AbbadessaChiara VianelloGiorgio Frau

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Ruby o rubi?L’ultimo ed ennesimo scandalo che fuoriesce dalla vita privata di Silvio Berlusconi mi da l’occasio-ne per puntualizzare sulla storia italiana degli ultimi quindici anni. Attraverso le vicende di questa giovane ragazza maghrebina, si può sottolineare l’abisso in cui è caduta l’Italia.Ruby, un nome particolare. Viene subito in mente il verbo rubare, tanto caro al nostro premier.Ruby? No, rubi. Si, perché davanti al desolante spettacolo che hanno propinato e propinano gli inquilini del parlamento agli italiani non c’è altra interpretazione.Ruby è una ragazza giovanissima, portata in un mondo d’argento e oro che la politica ha costruito approfittando del suo ruolo istituzionale. Ruby è stata etichettata come “parente stretta di Muba-rak”, una grande menzogna. Perfetta però per sottolineare i patetici tentativi di darsi tono in campo internazionale di Silvio Berlusconi. E del suo entourage. Gaffe mondiali che hanno creato imbaraz-zo ad ogni singolo cittadino del belpaese. Ruby è stata fatta uscire con un sotterfugio dal braccio sempre meno rigido della legge, piccolo esempio delle innumerevoli scorciatoie legali che i nostri politici hanno costruito per proteggere la loro fetida condotta.Ruby? No, semplicemente rubi. Perché tu politico hai sottratto quindici anni di vita all’Italia, hai sof-focato il suo desiderio di crescere ed evolversi. Hai imbavagliato la libertà di chi voleva denunciare che tu “rubi”. Meglio Ruby che omosessuale? Desolante. Offendi e sottrai con l’inganno la dignità a chi si sente sempre più earginato in questo paese caduto in disgrazia. Ruby? Si caro Silvio. Tu rubi. Rubi la dignità di un paese che non può riconoscersi in ciò che ormai è diventato. Nell’anniversario della nostra unità è ancora più evidente. Hai rubato il bel vestito di democrazia che era stato cucito, hai rubato le banconote del nostro futuro. Ruby è l’ultima tua scandalosa verità. Ruby è bunga bunga. Rubi è privazione di un futuro. Chissà se gli italiani ti permetteranno di depredarli ancora. Chissà se altre Ruby parteciperanno ai tuoi festini di dubbio gusto dove spogli di ogni orgoglio concubine, giovani e italiani onesti. In ogni caso sarà solo e sempre una grande e immensa tristezza per l’Italia che ancora purtroppo rappresenti.

IL DIRETTORE

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IL POZZO DELLE VACUITA’

Di norma un pozzo ha sempre un fondo. Se si esclu-dono quelli metaforici, fantasiosi, letterari, il pozzo è un luogo angusto, senza luce, dal quale è impossibile uscire. Un ambiente impossibile da colmare. Da riempire fino all’orlo. Improbabile è vederlo traboccare. L’Italia appare oggi come un pozzo senza fondo, purtrop-po reale. Riempito di vacuità e inutilità. Gorgogliante di argomenti pieni di stupidità che spingono nella discono-scenza gli interessi veri del paese.La politica ha preso possesso di questo pozzo arruginen-done la carrucola e prosciugandone le risorse. Affacciar-si in questo mefitico luogo nuoce gravemente alla salute. Odori ripugnanti di argomenti melliflui invadono l’aria senza dare alcun giovamento agli italiani che si barcame-nano in vite le cui problematiche sono estranee a chi del pozzo si è impropriamente impossessato.Il pozzo italiano è stato otturato da problemi che rico-prono le mancanze e le arretratezze di un paese in cadu-ta libera. Gli italiani che desiderano attingere speranze, novità, risposte ottengono storielle di affari personali. La casa di Montecarlo, il ring dove si affrontano Berlusconi e Fini per la resa dei conti, ad esempio. Da più di trenta giorni i mezzi di comunicazione ci forniscono ogni più piccolo aspetto della vita privata del presidente della Ca-mera, e della vita dei Tulliani, questi sconosciuti. Negli ultimi giorni abbiamo appreso più notizie della si-tuazione economica di un paese minuscolo come Santa Lucia che dei problemi di casa nostra. Sentiamo solo bar-zellette, bestemmie e bugie da una parte e insulti, offese e provocazioni dall’altra.Non si parla più d’Italia e soprattutto di italiani. Dove sono i problemi di chi ha perso o non trova un lavoro? Di chi è costretto a vivere con una pensione di 500-600 euro? Di chi deve studiare in situazioni fatiscenti e in strutture decadenti? Di chi vorrebbe mettere su famiglia ma non può per la crisi e la precarietà? La moltiplicazione di queste domande riempirebbe dav-vero quel pozzo. Problemi veri di cui si dovrebbe parlare ogni giorno in parlamento e nei giornali.

Difficoltà quotidiane da affrontare con coraggio e sacrificio per fornire risposte da portare fuori dal pozzo con il secchio della speranza.Oggi quei problemi sono relegati nel fon-do del pozzo, marciscono sotto l’azione dell’umidità e del peso dell’indifferenza. Muoiono insieme all’Italia, impegnata a discutere sulla casa di Montecarlo e su altre facezie vacue e inutili.

Alessandro Frau

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GIOVANARDI, IL BIGOTTO IGNORANTE

“Concendendo le adozioni ai gay si scatenerebbe la com-pravendita dei bambini. Là dove le adozioni da parte di coppie gay sono consentite, come negli Usa e in Brasile, è esploso questo fenomeno. Ed è una cosa che almeno con questo governo non consentiremo mai”.

Prendiamoci tutti qualche secondo per rileggere e cercare di non inorridire. Questa persona ci rappresenta in campo internazionale e queste frasi sconclusionate stanno già facendo il giro dei media del globo. Ancora una volta dobbiamo chinare il viso, allargare le braccia e provare un’immensa vergogna.Giovanardi si dimostra, ancora una volta, un bigotto arrogante legato al passato e al concetto di famiglia diffuso dalla chiesa cattolica, senza capire che un nucleo familiare è composto da persone che si vogliono bene e che mirano a costruire un futuro solido e ricco di valori, indipen-dente dalla loro natura sessuale. L’omosessualità è dipinta, per l’ennesima volta, come una sorta di focolaio di reato, dove ac-cadono i più grandi soprusi e le peggiori viltà di cui è capace un uomo. Ignoranza allo stato più puro. Incompatibilità con la società moderna e con le ultime generazioni giovanili. Giovanardi rappresenta l’esempio più palese di incongruenza politica. Un vecchio amante di una consunta poltrona a cui non vuole rinunciare. Un dislessico che ci governa blaterando ciance offensive e lesive nei confronti di una comunità normalissima che lotta per i propri diritti.L’Italia continua a camminare all’indietro come un gambero che vede le altre nazioni correre come lepri. Un vecchiume che resiste anche ai solventi più potenti. Un macigno che ci tiene fermi nei fondali dell’abisso oceanico. Fortunatamente s’intravedono alcune crepe sul muro cadente della maggioranza. Lì si deve agire prima che si copra il tutto con l’ennesima dose di stucco riparatore. Le parole di Giova-nardi sottolineano ancor più il bisogno di voltare pagine e arrivare infine alle agognate pulizie di primavera.

Alessandro Frau

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il mercurio politica politica il mercurioLa politica italiana

una strana partita di PokerSpiegare ai giovani italiani la politica ita-liana? Niente di più semplice. Basta imma-ginare un lungo tavolo verde dove stanno seduti i leader dei vari partiti. Ognuno con la sua riserva di voti convertiti in chips. Un pa-trimonio da moltiplicare, mano dopo mano.Al centro del piano di gioco, Giorgio Napo-litano, il presidente-croupier. Osserva in si-lenzio le puntate. Interviene solo per girare le carte, una dopo l’altra, ratificandone il si-gnificato. Un flebile avvertimento fuoriesce dalle sue labbra, coerente con il suo ruolo istituzionale ma realmente senza forza e im-portanza. I giocatori che partecipano a questo torneo sono pochi. Tutti ben noti. Una sfida che si protrae da lunghi anni ormai, con il piccolo e il grande buio che crescono una volta ogni dieci anni. Del resto la posta in gioco è altis-sima: L’Italia e il suo futuro.Si tratta di una partita particolare, nella qua-le l’obiettivo maggiore è restare, il più lun-go tempo possibile, seduto al tavolo raggra-nellando sempre più consensi rotondi tra le dita. Mantenere, conservare e aumentare il proprio stack per aver ancora un ruolo all’in-terno della politica italiana, giocando con le chip tra le dita aspettando che arrivino nuove carte tra le rapaci mani.Negli ultimi anni sono stati eliminati gioca-tori che rappresentavano fazioni capaci di scrivere la storia di questo paese, ma incapa-ci di partecipare a questo passatempo d’az-zardo. Tra questi basti ricordare i porta-ban-diere del comunismo o dell’ambientalismo più impegnato.

I giocatori attuali hanno stili e ambizioni diverse, tattiche e strategie molto differenti che hanno por-tato a risultati visibili. Berlusconi, il chip leader, è il campione assoluto del bluff. Ama nascondere le proprie carte ed è un maestro nel far credere di avere tra le sue mani punti impareggiabili. I suoi bluff lo hanno portato ad accumulare chip su chip, voti su voti, approfittando dell’amore che gli italiani hanno del colpo a sorpresa e della giocata improbabile.Dall’altra parte, Bersani, è portatore di una condotta di gioco opposta. Attendista, chiuso fino all’inve-rosimile, incapace di agire con coraggio e di entrare in mani pericolose. Sta fermo nel suo angolo, con il suo patrimonio di voti eroso pian piano dalle azioni degli altri. Poco alla volta si troverà a scendere ancora in classifica, allontanandosi per sempre dal chip leader.Pierferdinando Casini è un giocatore attento, esperto nelle giocate. Si inserisce solo in mani ben salde portando a casa un totale di chip che lo mantiene in una posizione di sicurezza. Nello stesso modo, anche se punta con mani ben differenti, gioca Antonio Di Pietro.

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il mercurio politica politica il mercurioLa politica italiana

una strana partita di Poker

I giocatori attuali hanno stili e ambizioni diverse, tattiche e strategie molto differenti che hanno por-tato a risultati visibili. Berlusconi, il chip leader, è il campione assoluto del bluff. Ama nascondere le proprie carte ed è un maestro nel far credere di avere tra le sue mani punti impareggiabili. I suoi bluff lo hanno portato ad accumulare chip su chip, voti su voti, approfittando dell’amore che gli italiani hanno del colpo a sorpresa e della giocata improbabile.Dall’altra parte, Bersani, è portatore di una condotta di gioco opposta. Attendista, chiuso fino all’inve-rosimile, incapace di agire con coraggio e di entrare in mani pericolose. Sta fermo nel suo angolo, con il suo patrimonio di voti eroso pian piano dalle azioni degli altri. Poco alla volta si troverà a scendere ancora in classifica, allontanandosi per sempre dal chip leader.Pierferdinando Casini è un giocatore attento, esperto nelle giocate. Si inserisce solo in mani ben salde portando a casa un totale di chip che lo mantiene in una posizione di sicurezza. Nello stesso modo, anche se punta con mani ben differenti, gioca Antonio Di Pietro.

Un contendente in ascesa è Umberto Bos-si. Giocatore aggressivo dalla parlantina di-retta e offensiva. Scombussola il gioco con le sue puntate strane e le sue sparate fuori dal coro. Una tattica che sta pagando i suoi dividendi e che lo pone ormai in una posi-zione di primo piano al tavolo. Permangono al tavolo altri giocatori con pa-trimoni irrisori. Rutelli, Storace, Grillo tra gli altri pronti a destabilizzare gli altri parte-cipanti con “all in” decisi, volti a raddoppia-re il numero delle chip-voti per spiazzare il gioco che appare ormai ben scritto. La politica è dunque molto simile al poker ma con una grande e decisiva differenza. Se al tavolo dei casinò conviene limitare i Bluff e le azioni super aggressive ad alcune situa-zioni ben precise, al tavolo della politica sono all’ordine del giorno, volte a conqui-stare il numero massimo di voti possibili. Un gioco chiuso e attendista non paga. Bisogna puntare su carte imprevedibili, irrealizzabili in Italia e su progetti che rimangono tali an-che in futuro. In questa battaglia, giocatori come Berlusconi e Bossi sono nettamente favoriti, per rivestire il ruolo di Chip leader per l’eternità. Non bisognerebbe dimenticare mai però che la partita è ancora molto lunga e ogni mano giocata ruba fatica, sudore e speranze a chi, in quel tavolo, ha la forma rotonda o quadra-ta di una semplice chip.

Alessandro Frau

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LA CRONACA NERA IN TV una continua e indecente fiction

Io dico BASTA con i casi di cronaca nera trattati come se fossero delle telenovelas!Dai dati elaborati da Isimm ricerche (dati 2008) risul-ta che i telegiornali danno ampio spazio alla cronaca (27,2%) rispetto a altre tematiche.Il tg che maggiormente dedica spazio alla cronaca è Stu-dio Aperto, con una percentuale elevatissima (47,4%).E’uscito fuori che durante il Governo Prodi i casi di omi-cidi e stupri riportati nei telegiornali aumentarono per impostare il dibattito politico sul tema della sicurezza. Io dico BASTA!Vi dicono niente parole e nomi come Garlasco, Cogne, Erika e Omar, Meredith? Per ultimo il caso di Sarah Scazzi, che purtroppo non ha ancora fine. Si tratta di un modello fiction, capace di far “appassio-nare” gli spettatori italiani che diventano quasi essi stessi partecipi delle indagini. Quotidianamente l’informazione fornisce ai telespetta-tori maggiori particolari della vicenda, molto spesso al limite della decenza e del macabro. La curiosità dei telespettatori viene incentivata a più non posso, i particolari macabri vengono rivelati senza pudo-re, l’empatia è massima, la morbosità pure, la voglia di sapere, sapere, sapere di più è impellente.I telespettatori si schierano, si atteggiano da giudici ema-nando le proprie sentenze, patteggiano per questo o per quest’altro, “è lui il colpevole”... “no, non è possibile, non può essere stato lui, sembrava così sincero”... “non ci posso credere, non ci si può fidare di nessuno”... E’un modello soap opera, lo stesso in cui lo spettatore finisce per appassionarsi alle varie vicende, fatte di in-trecci e di colpi di scena.Fatemi tutti un favore: la prossima volta che muore qual-cuno e non si capisce sin da subito chi sia il colpevole, parlatemene una volta sola, poi muti e ci rivediamo dopo qualche anno, quando le sentenze sono state emesse ed è tutto finito; poi magari fatemi un bel film e scrivete “trat-to da una storia vera”.

Ma, siccome io le soap opere non le gradi-sco affatto, nei tg di ogni giorno, vi prego, parlatemi d’altro!Almeno per rispetto dei morti. P.s.: L’Istat nel 2008 ha detto che gli omi-cidi in Italia sono in calo. Ve ne siete ac-corti?Dagli stessi dati risulta anche che l’Italia è uno dei Paesi europei più sicuri per nume-ro di morti violente.P.s.2: L’Italia è invece il Paese europeo dove si muore di più sul lavoroSecondo il Censis le vittime sul lavoro sono quasi il doppio degli assassinati.P.s.3: Secondo il Censis i decessi in in-cidenti stradali sono otto volte più degli omicidi.Quindi il potenziale assassino è chi guida spericolato o ubriaco in strada, non vo-stro zio.Però VIVETE TRANQUILLI: la percentuale di chi vive e muore per cause naturali è ben maggiore di chi muore per altre cause :-)

Andrea Mura

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Il nuovo vocabolario della “massa” italiana

Ho una nuova malattia. Un tic nervoso che appare ogni qualvolta leggo o ascolto pronun-ciare la parola “Democrazia”. Odio questa pa-rola. Me l’hanno fatta odiare. Giornalisti, politi-ci, semplici cittadini che lentamente mettono in fila queste dieci lettere ribelli. Un lessema che ha perso ogni suo recondito significato. “Pote-re del popolo”. Cosa significa oggi? Il popolo è sparito. Il popolo non esiste più. Esiste solo una massa informe di individui privi di capa-cità cerebrali autonome. Un popolo è fatto di individui “diversi” accomunati da alcuni fattori (geografici, tradizionali, etnici, religiosi, socia-li, storici…) e che vivono formando una comu-nità. Una massa è costituita da uomini uguali che agiscono nello stesso modo senza alcuna remora o coscienza, guidati da ordini superiori e subissati da catene e regole. L’Italia oggi non è più un popolo ma una massa che ha rinuncia-to alla propria storia, al proprio orgoglio e alla propria cultura. Dormiamo di un sonno profon-do generato da chi ha saputo modificare il voca-bolario della nostra bellissima lingua.Volete alcuni esempi? Bene. Democrazia? Non è più governo del popolo ma governo di chi governa il popolo (sembra una fase aggrovigliata.. (ma fidatevi non lo è..)

Fede? Non è più un’esigenza o un bisogno interiore di una comunità ma un mezzo con il quale ottenere potere soggiogando chi dav-vero ha la necessità di consegnare la propria anima ad un’entità superiore. Promessa? Non più un vincolo di fiducia e mantenimento della parola data, ma un amo con il quale far abboccare la massa di automi non-pensanti. Giustizia? Odierna meretrice costretta a pro-stituirsi per colpa chi ne regola l’esistenza.Ancora più lunga è la lista delle parole debel-late e cancellate inopinatamente dallo stesso vocabolario: si va da Scelta (oggi si arraffa ciò che si può senza rinunciare a nulla) a Ri-voluzione (l’unica rivoluzione odierna l’ha fatta Prandelli convocando Balotelli e Cassa-no) passando per Meritocrazia e finendo tri-stemente in Felicità, tristemente abbandonata come i cani d’estate in favore della ricerca del guadagno e del potere. Un tempo stilare il vocabolario era compito degli uomini più eruditi di un “popolo”. Oggi, queste persone, sono affogate nella massa che li schiaccia e li soffoca impedendogli di emergere. Siamo robot in un mare di progresso ed egoismo. Vi-viamo tra l’evoluzione cibernetica e la morte dello spirito e del pensiero. I nostri cervelli sono stati corrosi dalla bramosia e dalla cu-pidigia, parole queste sottolineate nel voca-bolario odierno con un bel pennarello rosso sangue. Siamo mutanti incapaci di afferrare, sorridere o combattere, capaci solo di annuire svogliatamente e d’intrufolarci in scorciatoie d’esistenza le cui aperture sono regolate dalle sfere che ne muovono i cardini. Servirebbe una mano capace di scrivere e cancellare. Per ridare giusto significato alle parole e riabilita-re i lessemi appallottolati e gettati nel cestino. Siamo un popolo e non una massa ma manca qualcuno che possa ricordarcelo una volta per tutte.A. F.

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Cara Italia ti scrivo... Riccardo Abbadessa

Mi diverte vedere come ogni giorno le cose peggiorino invece che miglio-rare. Vedi, in fondo sei bellissima ma, lasciatelo dire,un po’ stupida. Vuoi farti inghiottire da questo facile cliché? Suv-via, non ti offenderai, so che sei capace di meglio.Vedi Italia, ormai sei anzia-notta, ne hai di millenni di storia alle spalle. Dovresti aver imparato dai tuoi errori. Quand’è che vorrai crescere?Possibile ad esempio che dopo centi-naia di anni ti lasci ancora soggiogare dalla morsa di un comandante bugiar-do? E’ si che tempi di romani, re, guerre e cavalieri sono belli che andati. Ops, forse no. E’ proprio vero: sei il paese dei burloni, in cui tutti possono esserlo. Anche i cavalieri. Anche il tuo premier. Che in realtà può essere tutto, anche un mafioso, arrogante, isterico anticomu-nista, dal dubbio sarcasmo. Ma il tuo popolo lo vota, perchè si è fatto da sè. Cara Italia, quando imparerai a mette-re da parte quel torpore che ti invade, quella pigrizia che ti attanaglia?Non potrai essere bella per sempre. Non potrai per sempre donare soltanto i frutti migliori della tua terra. La bel-lezza svanisce sotto i colpi d’accetta del boscaiolo sciagurato. E prima i poi i conti col tempo dovrai farli una volta per tutte.Italia, sei il paese dei santi, assassini, dell’indulto e del parmigiano reggiano doc. Sai cantare ma inciampi sulla giu-stizia.

Voti un governo democratico e ti ritrovi Bossi. Vuoi votare a sinistra e ti ritrovi Bersani. Italia, paese delle ville che non si sa chi diavolo abbia comprato alle Maldive. Italia, paese del turismo dell’orrore. Italia, paese di santi, preti, papa in-gioiellati e atei non troppo convinti. Sei il paese di chi crede ma non pratica, perchè la Chiesa mi fa orrore. Di chi prega senza sapere dove andare. E a te non fa orrore? Sai Italia, certe volte, qui, tra un canale e l’altro di Venezia, mi chiedo se in fondo non sia proprio questo il tuo destino. Essere con un piede nella fossa ma non sprofondare mai. Come dire: sopravvivere? Sopravviviamo. Guar-dati allo specchio Italia ma non rimirarti.

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Cara Italia ti scrivo... Riccardo Abbadessa

Prova piuttosto pietà per te stessa. Solo tu puoi provar-ne. Sei così bella ma così stupida. E non ti offendere te ne prego. Piuttosto adirati. Ti distruggono a poco a poco e stai a guardare. Ti umiliano e stai ad ascolta-re. Smettila di fare lo stivale Gucci, Prada, Valentino, Armani, Dolce e Gabbana. Ti preferirei sandaletto di cuoio. Vedi Italia, è ora di finirla con tutto questo otti-mismo. Non sei forse il paese dell’informazione mani-polata, delle televisioni incipriate più del loro padrone, del mostro messo in prima pagina, del dolore venduto per quattro denari la domenica pomeriggio? Negalo se hai il coraggio. Italia, ammettilo, sei il paese dei calcia-tori miliardari e delle grandi celebrazioni. Viva l’Italia, viva il tricolore. Viva i soldati che si sacrificano per te e viva le bandiere nei funerali di stato

Sei il paese delle indecisioni e delle sconfitte amare. Dell’esalta-zione per una vittoria fortuita, dei governi lampo, dell’immondizia per le strade, i ponti, il Mose, le Gallerie, la Tav, centinaia di siti architettonici,le buone mozzarel-le, mandolini e figuracce mondiali. Da fermarsi e tirare il fiato, senza vere il coraggio di continuare. Sei un paese bugiardo Italia. Un tempo facevi grandi cose. Non eri il paese delle arti, dei geni, della cultura? Ciò che mi spaven-ta, cara Italia, è che in realtà lo sei ancora. Ma non sai più accorgerte-ne. Gli altri però se ne accorgono e come: e ti derubano. E chi rimane? Chi rimane lo sappiamo già, me-glio non infierire.Ti lascio Italia, ti lascio con l’ama-ro in bocca mentre ti scrivo e so che questo sarà l’ultimo, retorico, inutile rimprovero.Fino a quando non riuscirò a trova-re nel tuo volto un auspicabile sen-so di rinascita, credo che smetterò scriverti, di cantarti, di urlare il tuo nome. E questo sarà difficile. Perchè ti amo. Perchè non avrei mai voluto scriverti queste cose.

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IL MONDO DEL LAVORO, DUE VOCI A CONFRONTO Nicola Irimia Gian Marco Pinna

fNoi abbiamo bisogno di lavoro ,è vero, ma per averlo non siamo disposti a diventare come i ci-nesi, indiani che dir si voglia!Perchè fino a prova contraria, nonostante voi non ve ne accorgete, noi viviamo ancora in uno dei primi 8 paesi del mondo occidentale!Ma siccome ormai voi sie-te diventati come gran parte dei politici, vivete su dei piedistalli, ed essendo essi ad un paio di metri da terra non potete più guardare in faccia la realtà!Scendete dai piedistalli e vi accorgere-te che la realtà è fatta di fame, miseria, pover-tà, sofferenza, mancanza di soldi, delinquenza, mafia, evasione fiscale, e magari vedrete anche che, tutto questo non è stato certo provocato dai lavoratori ,i quali hanno sempre e comunque pre-so uno stipendio modesto, per arrivare alla fine a pagare anche questa crisi!Che colpa ne abbiamo noi??Perchè non ve la prendete con le banche ad esempio??? Perchè non ve la prendete col vostro amico di crostata , il quale altro non fa che cavoli suoi, invece di pensare al popolo Italiano?? Per-chè non avete il coraggio di contestargli la spe-sa in armi di 29 miliardi di euro??? Perchè non gli contestate la non spesa per la scuola, la quale avrà dei nefasti risultati negli anni a venire??? Perchè continuate ad appoggiare gli industriali nel loro intento di smantellare lo stato sociale ed i contratti dei lavoratori???Come mai non lo fate, mentre lei signor Bonanni, ha il coraggio di gri-dare “dici,cento,mille Pomigliano”?Avrebbe lei il coraggio di fare un confronto aper-to magari anche in Televisione con un operaio, e non con i soliti politici ,che alla fine se ne esce bene?? E lei, signor Angeletti???Temo di no, perchè avreste delle difficoltà a sostenere le vo-stre tesi, cosi come l’avete già ora, in giro per il paese!Nel caso sareste disposti a farlo, fatemi sapere! IO sono con la parte del Sindacato che ha deciso il futuro mio, e quello dei miei figli, non è in ven-dita. Fin dalla manifestazione di Roma dovreste capire una volta per tutti che voi non avete nes-sun diritto di decidere per tutti!

Dunque siamo arrivati al paradosso.L’altra set-timana abbiamo sentito Bonanni gridare dal pal-co della manifestazione della Cisl: “dieci, cento, mille Pomigliano”Lui che dal famoso patto della crostata di Palazzo Grazioli, insieme al suo colle-ga Angeletti non ha fatto altro che andare contro-corrente, pensando di essere il padrone di tutti i lavoratori d’Italia!La Cgil è il più grande sindaca-to Italiano, e nonostante tutto questi signori sono riusciti a capovolgere le cose, ottenendo quasi ad escludere la Cgil dalle trattative che si fanno! Perchè? Come mai questi si arrogano il diritto di fare accordi in conto e per nome di tutti? Secon-do loro, la Fiom altro non è che un covo di sov-versivi che sanno solo dire di no.Non è cosi cari Angeletti e Bonanni, la Fiom semplicemente non vuole vendere i diritti dei lavoratori per un piatto di lenticchie,mentre voi lo state facendo! Badate bene che, tra qualche anno quando i precari attuali andranno in pensione e si sentiranno dire dal Inps (come già capitato, per una svista del Presidente) che la loro pensione è simile a quella della pen-sione sociale e allora qualcuno dovrà rispondere! Mi auguro per voi che sarete ancora cosi presi dall’argomento da poter dare una risposta a tutti quei lavoratori, magari lo farete insieme al vostro amico di crostata!Dovete prendere atto che vive-te nello stesso paese e che le regole democratiche per le quali vi sgolate valgono anche per voi! Per-che dunque approvate regolamenti (tipo quello di Pomigliano) che vanno contro la Costituzione?? Chi credete di essere??

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IL MONDO DEL LAVORO, DUE VOCI A CONFRONTO Nicola Irimia Gian Marco Pinna

Bersani. Parole che non sono in aperta contraddi-zione con quanto detto da Marchionne, il quale si è detto disposto a fare investimenti per un quan-titativo di 20 mld di euro e alzare gli stipendi dei lavoratori allo standard dei paesi leader in Euro-pa, a patto che, però, aumenti la produttività degli stabilimenti italiani. Che poi, quello che alla fine Marchionne si propone di fare è semplicemente di mettere in pratica una delle più banali regole dell’economia, ovvero il fatto che il salario debba essere agganciato alla produttività marginale del lavoro e quindi al valore aggiunto che ogni lavo-ratore contribuisce a creare per l’azienda. Il muso contro muso non aiuta nessuno e spaventa i mer-cati. Se avessimo un ministro dello sviluppo eco-nomico serio e che capisse qualcosa di economia farebbe sedere tutte le parti in causa attorno a un tavolo e si troverebbe una soluzione alla contro-versia. Bisogna capire che al di là della tremenda ingiustizia rappresentata dal divario mostruosa-mente ampio di reddito tra Marchionne ed un ope-raio italiano della Fiat, entrambi fanno parte della stessa azienda e che la lotta intestina non fa bene né all’uno né all’altro. Non che il diritto di pro-testa non sia sacrosanto, ma la politica, se fosse fatta di persone responsabili, dovrebbe comporre le spaccature piuttosto che accentuarle (e anche qui prendo in prestito una frase di Bersani), e arri-vare ad una soluzione efficace il più velocemente possibile. Ancora una volta tutta questa vicenda dimostra la terribile inadeguatezza e la devastante incompetenza di chi ci governa, le stesse persone che, a due anni dalla manifestazione irruenta della crisi, non hanno ancora un’idea di come uscirne. Nessuna politica per il lavoro, nessuna politica di incentivo agli investimenti, nessuna politica per la crescita, nessuna riforma strutturale, solo tagli alla Ricerca e all’Università, cosa che ammazza la crescita di lungo periodo, e solo tagli che, più in generale, servono unicamente da tampone tempo-raneo contro l’avidità di denaro degli speculatori finanziari. Non è solo l’industria dell’auto a non essere produttiva in questo paese, lo è soprattutto la politica.

schierarsi dalla parte del “padrone” di certo non porta né consenso né popolarità, e questo lo san-no perfino quelle ferraglie arrugginite del partito democratico. Tant’è che dopo la dichiarazione di Sergio Marchionne a “Che tempo che fa”, che tutti i giornali hanno riportato come -Sen-za l’Italia la Fiat farebbe meglio-, si è formato un unico coro d’indignati da sinistra a destra. Rimproveri di poco nazionalismo (Fini), proces-si alle intenzioni (Bersani), ha ragione ma non condividiamo i modi (Casini), e così via. A parte Confindustria nessuno si è schierato apertamente con Marchionne. Assumere le stesse posizioni di Confindustria è un compito difficile, ma a que-sto giro bisogna caricarsene. Un vero giornali-sta non dovrebbe andare a sentimento popolare, ma ha il dovere di raccontare i fatti come stanno. Le cose dette dall’amministratore delegato della Fiat sono vere o no? Finora non è giunta nes-suna smentita “tecnica” forte, e anche a giudi-care dalle dichiarazioni rilasciate dai nostri po-litici sembrerebbe che la critica si focalizzi sui modi e le intenzioni piuttosto che sui contenuti di quanto detto da Marchionne. L’industria ita-liana dell’auto parrebbe, non solo non reggere la concorrenza dei paesi emergenti quali quelli dell’Europa dell’Est(Polonia, Serbia) e la Cina, ma non stare nemmeno al passo della Germania e della Francia. Bersani, che tra le righe fa in-tendere che il problema esiste eccome, parla di nuovo patto sociale e soprattutto dice una cosa che veramente, a parer mio, inquadra ciò che do-vrebbe rappresentare una sinistra aggiornata alla versione ventunesimo secolo:-Quale modello per fare le auto abbiamo in testa? La Cina e la Serbia o la Germania e la Francia? Ci vogliono regole universali sul lavoro, altrimenti diventiamo cine-si anche noi. Dobbiamo avere in testa l’Europa-. Una dichiarazione che si oppone chiaramente allo smantellamento dei diritti del lavoratore ma che riconosce il fatto che in Italia ci sia un mondo del lavoro da riformare e da rendere più elastico e produttivo, ovviamente ralasciando i risvolti di politica extranazionale contenuti nel discorso di

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IL CASO SAKINEH

Le parole come pietre

Non è facile sfuggire alle leggi scientifiche della gravità ma qualche volta, che ne dica-no i cervelloni, è realmente possibile. Quando le parole si uniscono per formare un oceano compatto d’opinione diventano più pesanti dei sassi. Quest’ultime, già scagliate con una forza inaudita, si sono scontrate con un muro di ribellione fatto di verbi e canti di ribellione, in difesa della vita di una donna iraniana con-dannata alla lapidazione per presunto adulte-rio e concorso in omicidio. Le pietre uccidono ma le parole hanno la capacità di mutare la loro base chimica rendendole simili alle piu-me. Il mondo ha agitato la bacchetta magica pronunciando incantesimi spesso dimenticati. Formule fatate che cantano d’indignazione, di diritto alla vita, di barbarie inaccettabili. Sa-kineh è ancora viva, merito della collettività globale che a volte si dimentica di essere una massa dalle dimensioni incommensurabili, con una coscienza, una forza e una potenza di cui non ha purtroppo consapevolezza. Un grido d’insurrezione sgretola una pietra tra-sformandola in polvere. Un urlo di protesta può raggiungere ogni anfratto di questo pia-neta fermando la mano assassina di un boia crudele.

Il mondo, incapace di ribellarsi ai grandi che lo governano, stenta a fare sentire la sua voce, preoccupato delle armi in possesso dei potenti e dei tiranni e della loro capacità di stermina-re e massacrare. Servono vicende come quella di Sakineh per mostrare la forza incancellabile della parola. Una presa di posizione verbale può sconvolgere l’ordine delle cose. Una parola può uccidere con più violenza rispetto ai sassi e agli spari. La voce ferisce più di una pallottola. Uno slogan unisce più di un mitragliatore Allo-ra proviamo a parlare. Tentiamo di costruire una grande rete d’informazioni che unisca le voci in una sola e inarrestabile orazione di giustizia. Le pietre verranno così fatte posare per costru-ire qualcosa di buono, le armi fuse per produr-re progresso e le persone deposte contro la loro prepotenza. Dite che si tratta di un’utopia? Allora guardate Sakineh. Basta una rivoluzione per cambiare gli ordini del mondo.Una rivoluzione fatta di parole che avanzino sotto la forza di miliardi di persone. Allora forse saremo in grado di riprenderci il mondo, la sua bellezza, il suo e nostro futuro.

Alessandro Frau

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IL CASO SAKINEHIL VALORE DI UN SIMBOLO

Questa è solo una riflessione. Non vuole essere un pezzo giornalistico o un’analisi della società e dell’in-formazione. Si tratta di pensieri generati dal continuo tam-tam televisivo su una donna di nome Sakineh. Per-sonalmente non la conosco, ma ho il suo viso davanti agli occhi ogni giorno, e non è retorica bensì il frutto del continuo proporre la sua storia in tv e sui giornali, riempiendo spazi di ogni genere e incollando questa drammatica vicenda ad altro (gli insulti alla Bruni sono degradanti ma hanno sviato l’attenzione dalla donna iraniana spostandola sulla sfortunata Carla).Sakineh è una donna iraniana come tante, come altre è rinchiusa in carcere, come le sue compagne aspetta la morte per lapidazione. Come lei anche molti uomini attendono di morire massacrati dalle pietre a causa di colpe più o meno gravi, e per decisione di un tribunale che può giudicare i reati commessi dagli imputati solo per sensazione, senza prove materiali, infatti il giudice più anziano, dall’alto della sua esperienza e sensibilità, può stabilire se una donna o un uomo sono colpevoli guardandoli in faccia.Sakineh è giunta all’attenzione mondiale in questi mesi, ma Sakineh è in carcere da quattro anni. Mi domando il perché di questa esplosio-ne mediatica solo ora. In questo lasso di tempo è stata torturata e seviziata fisicamente e psicologicamente ma nessuno conosceva il suo nome al di fuori dell’Iran. Come lei altre donne vengono brutalizzate per estor-cere confessioni e concludere esecuzioni capitali. Io non conosco i loro nomi e le loro facce, non godono dell’interesse mondiale e pertanto della loro morte non si occuperà nessuno, non ci saranno cortei o dita pun-tate e parole di biasimo da parte delle folle. Perché? Chi ha scelto di usare Sakineh come simbolo di tutte loro? Sappiamo che il figlio propone appelli costanti a favore della madre, lo sappiamo ma non li abbiamo mai sentiti, neppure con una traduzione sottotitolata; sappiamo che il suo avvocato è fuggito all’estero e tramite lui questa storia ci ha raggiunto. Sappiamo un sacco di cose, ma in realtà non ne conosciamo davvero nessuna. Ecco, personalmente credo sia questa la ma-nipolazione dell’informazione. Non è una polemica contro i giornalisti o per sminuire il valore di questa donna, lo ripeto, è solo una riflessione; non posso nem-meno definirla un’opinione, di sicuro la mia non è

la mia non è una verità assoluta, ma una percezione personale, soggettiva, umana e imperfetta di quanto accade e di come lo sto vivendo. L’aver elevato Sa-kineh a simbolo la salverà, forse, ma non salverà le altre. Questo è il potere dell’informazione. Ogni due o tre anni, un nome di donna campeggia sui titoli dei giornali e alla televisione, è una prescelta; tra tutte l’unica che avrà una possibilità. In un certo senso i giornalisti che la mostrano al mondo hanno il pote-re di sottrarla al suo destino, ma lo fanno operando una scelta inconsapevole che salverà lei e solo lei, nessun altra. Le compagne di prigionia di Sakineh moriranno e lo stesso accadrà agli uomini nella sua condizione. Di questi sconosciuti non si farà carico nessuno perché non c’è spazio per tutti. Forse loro non hanno un avvocato fuggito all’estero o figli che riescono a far arrivare appelli in tv tutti giorni.Saki-neh ora è il simbolo della barbarie e del bieco ma-schilismo, dei mali dell’Iran e dell’orribile condan-na alla lapidazione. Lei non sa di essere tutto questo, pensa di essere semplicemente una donna che atten-de una soluzione ai suoi guai giudiziari e alle paure che l’accompagnano. Probabilmente lo pensano e lo sperano anche le altre, quelle che nessuno ha nomi-nato o scelto per riempire le cronache e organizzare manifestazioni.La stampa e le masse hanno davvero un potere enorme, ma a volte penso che anche loro siano in un certo senso manipolate e sfruttate per catalizzare l’attenzione su una vicenda piuttosto che un’altra. E’ un gioco di strategie a cui nessuno sfug-ge, noi ignari spettatori in primis.Auguro a Sakineh di scampare alla morte, anche quando la luce dei ri-flettori si spegnerà su di lei. Le auguro di non subire più la tortura anche quando tutti noi avremo cambia-to argomento di discussione. Lo auguro anche alle altre e agli altri prigionieri, non conosco i loro nomi ma so che sono lì e spero abbiano pace

Sara Cabitta

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TUTTO SU MIA MADRE, DAL CINEMA AL TEATRO

Martedì 2 novembre, grazie ad una col-laborazione fra l’Università Ca’ Foscari e il teatro Goldoni di Venezia, alcuni studenti hanno potuto assistere alla prova generale dello spettacolo “Tutto su mia madre”, trat-to dall’omonimo film di Pedro Almodovar, per la regia di Leo Muscato. Il testo prende le mosse dalla sceneggiatura riadattata per il teatro da Samuel Adamson e messo in scena per la prima volta al the Old Vic Theatre di Londra da Daniel Sparrow. Lo spettacolo, fedele e al tempo stesso crea-tivo adattamento del celebre film spagnolo, supera la difficile prova del confronto con l’originale. Manuela, interpretata efficace-mente da Elisabetta Pozzi, rivive nella di-sperata ed ironica parte di una madre che ha perduto suo figlio, Esteban, e si dirige verso una ricerca del suo passato e soprattutto di Lola, padre di suo figlio, col tempo divenu-to transessuale e malato di aids. In questa ricerca riaffioreranno figure indimenticabi-li, come la colorita Agrado, interpretata da Eva Robin’s, e ne incontrerà di nuovi, come Huma e Nina (rispettivamente Alvia Reale e Paola di Meglio), le due attrici protagoniste di “Un tram chiamato desiderio”.

Esteban fu investito proprio mentre cercava di chiedere loro un autografo. In una fitta rete di te-matiche complesse e delicate, lo spettacolo riesce ad acquisire una propria fisionomia. L’omosessualità, la morte, il rapporto madre- fi-glio, l’amicizia, la metateatralità, trovano spazio grazie ad una serie di accorgimenti intelligenti: una verbosità inedita alla pellicola, creazione di spazi inconsueti, come le quinte di un teatro, che capovolgono il punto di vista dello spettatore, fi-gure oniriche come quella di Esteban, che torna in più punti, come voce di conforto e spettrale conferma che la morte non l’ha portato via dalla vita di Manuela e di tutti coloro che la circonda-no. E’ Esteban a raccontare, con in mano l’insepara-bile taccuino giallo, la storia di sua madre. Agra-do più volte intervalla la storia, sola, con esila-ranti pezzi da commedia di cabaret, che talvolta invitano però a riflettere. Sono loro il filtro dal quale scorre l’intera vicenda. E il tutto funziona: l’ironia si mescola alla com-mozione, la donna all’uomo, la madre a suo figlio, il teatro al teatro stesso, la scrittura all’immagine. Grazie ad una tecnica incisiva e convincente, la metateatralità non si confonde con le trame del film: un tram chiamato desiderio vive come voce di un teatro che guarda a sé stesso e contempora-neamente alla vita: dei suoi attori, che sono poi anche attori del film e dell’arte, che qui prende nuova vita, rigenerandosi nello spazio stesso che la crea.La complessità del film di Almodovar viene dun-que ristabilita in uno spettacolo che commuove e diverte, strappando l’applauso anche allo spetta-tore più scettico.

Riccardo Abbadessa

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il mercurio spettacolo spettacolo il mercurioCari talentuosi registri italiani...

all’indomani del festival di Venezia

scrivo rivolgendomi a voi che uscite sconfitti e a mani vuote, ancora una volta.Dirò subito che in realtà non c’è qualcosa che non vada nel cinema italiano, nel vostro cinema. Semmai si do-vrebbe dire c’è qualcuno che no va. Il problema è qui. Venezia 2010 non è altro se non l’ultima sconfitta di un cinema nazionale in agonia, che non sa da dove ripartire, come tornare a galla. Proviamo tutti noi appassaionati di cinema un po’ do vergogna. Ecco perchè mi rivolgo a tutti voi,talentuosi registi italiani, perchè tutti dovreste sentirvi un po’ sconfitti questa sera. Questione di scelte sbagliate, di sperimentazioni fuori luogo, di narcisismo dei concorsi forse, persino il nostro. Che Sofia Ford Coppola meritasse per il suo Somewhere un premio, nessuno potrebbe metterlo in dubbio. Forse però il Leo-ne d’oro è un po’ troppo. O la scelta scarsa. Chi lo sa. So però che Costanzo è un regista talentuoso, che avrebbe meritato almeno un riconoscimento, una Coppa Volpi, si proprio lei, quella che ogni anno ci rifilano come con-tentino. Nemmeno quella. Insomma, usciamo a mani vuote da un concorso che di film realmente significativi, come dichiarato dalla sala stampa, nonchè dalla giuria stessa, non ne ha visti. Eppure, ripeto, restiamo a mani vuote. Verrebbe da guardare in silenzio la cerimonia di premiazione e riflettere, sgomenti. L’anno del superflop italiano, titolano i giornali. Neanche fosse una novità. Il problema però non sta nei nostri attori. Perchè, sia chia-ro, di talenti in Italia ne abbiamo e come. Abbiamo attori affermati, che hanno consolidato le loro virtù in nume-rose pellicole e che troppo spesso vengono dimenticati, o taciuti. O semplicemente il loro film non ha calcato il red carpet. O ancora, cari registi, semplicemente non li chiamate nei vostri film. Ma facciamo qualche nome, tanto per non parlare a vanvera. Ne citerò qualcuno alla rinfusa: Elio Germano, Claudio Santamaria, Margherita Buy, Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Ma-strandrea, Filippo Timi e ancora Silvio Orlando, Ennio Fantastichini, Sergio Castellitto, Giovanna Mezzogior-no, Laura Morante, Carolina Crescentini, Paola Cortel-lesi (perchè no?), Isabella Ferrari, Alba Rohwacher...ho detto alla rinfusa, ne avrò dimenticati tanti e di impor-tanti ma ho giocato con la memoria Avendo tempo però, potrei continuare ancora a lungo per dimostrare quanti nomi spendibili avremmo all’interno del panorama di at-tori italiani. Quante le occasioni sprecate, quante quelle non colte, quante quelle che non vedremo mai?Il cinema italiano soffre di questo. Di una inspiegabile mania che lo condice all’autodistruzione e che non gli consente di poter utilizzare le sue carti migliori

Le storie ci sono, gli attori come visto anche, il modo all’ita-liana che, se ben fatto, risulterebbe più che piacevole, presen-te. Le carte insomma le abbiamo tutte. Probabilmente manca chi queste carte le sappia giocare. E non mi riferisco tanto a voi registi che, a ben vedere, in quanto a talento non scarseg-giate ma, sebbene qualche scivolone lo prendiate anche voi, i più talentuosi, la maggior parte delle volte in realtà mi rife-risco alle case di produzione, vere e proprie macchine da in-casso. Vecchia storia, si sa. Ma qualcosa dovrà pur muoversi se vogliamo far ripartire questo gigante arruginito.Soluzioni proposte...ecco,una prima proposta l’avrei. Eliminare i film di Moccia. Così, via, senza pensarci. Quanto staremmo meglio? Ora, povero Moccia, non vorrei farne per l’ennesima volta il capro espiatorio dei mali della nostra letteratura di quarto grado o di un cinema, che sperando, ha cessato di sperimen-tare (sperimentare?) ma vorrei prenderlo inaspetattamente a simbolo. Si, simbolo di tutta quella degradante frangia di pro-dotti, perchè di tali si parla, non avrei il coraggio di definirli in altro modo, che non fanno altro che gettare altro fango ad una situazione già di per sè in declino. Ce ne vuole di coraggio per finanziare un film dal titolo Scusa ma ti chiamo amore. Eppure pare che i nostri produttori ne abbiano, se è vero che poi le produzioni più serie sono costrette a collabo-razioni con case estere, a lavorare con budget limitatissimi e mezzi di fortuna. Non meravigliamoci dunque se Venezia ci snobba, se una Palma d’oro arriva ogni vent’anni (se pure) o se, ancora una volta, ci guarderemo piangere sul latte ver-sato. Svegliamoci dal tremendo torpore che ci attanaglia, o cari bei registi italiani. E smettiamola anche con questo cine-ma di maniera, siate più voi stessi. Non copiatevi a vicenda. Non costruite un modo. Costruite e basta. Vi piace piangere? Va bene. L’attitudine del cinema italiano è tragica, niente da fare. Di commedie non riusciamo proprio a farne. Ma non importa. Sappiate piuttosto, carissimi, dimostrare che qual-cosa di vivo sotto le ceneri c’è ancora e che anche le lacrime che vi piace tanto versare nelle vostre pellicole sono almeno autentiche. Per questo esordivo ponendo il problema sul chi e non sul che cosa. La chiave è nel cinema delle persone. Le cose, le vaghe cose, per una volta in Italia, non c’entrano.Riprendiamoci da questa delusione e guardiamo avanti,Tante care cose e buona fortuna.

Riccardo Abbadessa

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EAP: LEGALE ILLUSIONE DEGLI SCRITTORI ESORDIENTI

L’ambizione di diventare scrittore accomu-na molti italiani di tutte le età. Non è mai tardi per aspirare al successo e vedere esposto tra gli scaffali di una libreria il proprio lavoro, sintesi dei pensieri e delle sensazioni di una vita, con la volontà di renderne partecipi gli altri. Purtroppo è molto difficile farsi notare nel mare sconfinato dell’editoria e delle Case Editrici che sempre più spesso mostrano la loro fragilità in tempi di crisi come questi. E allora, se le grandi signore non possono con-cretizzare i sogni dei più o meno talentuosi autori, ecco farsi avanti l’Editore a pagamen-to, che in cambio di una somma di denaro stampa l’opera dell’esordiente per farla co-noscere al grande pubblico. “L’editoria a pagamento (in inglese vanity press)[1] è il segmento del mercato editoriale in cui la pubblicazione di un libro è pagata principalmente dall’autore del libro stesso e non dai suoi lettori.” Questa la definizione di Wikipedia sul fenomeno EAP.Questa pratica è del tutto legale, almeno sul-la carta, infatti vengono stilati contratti che gli autori esordienti sono tenuti a rispettare e ogni azione avviene alla luce del sole. Qui non si discute di ciò che è legale o no, qui si vuole parlare di un fenomeno enorme, che spesso coinvolge giovanissimi ignari del si-stema editoriale e di ciò che si nasconde die-tro le pubblicità accattivanti. Accettare un contratto del genere significa portare una sorta di marchio infamante, per-ché è noto tra chi bazzica nei blog letterari che un Editore serio non prende in conside-razione colui che ha pubblicato a pagamento. Riporto le parole espresse in uno dei siti più conosciuti tra quelli che contrastano il feno-meno, il Writer’s Dream la cui fondatrice è Linda Rando: “Riflettiamo su quant’è giusto che l’operaio paghi l’azienda che gli dà il la-voro, che la paghi per svolgere quel lavoro.

Riflettiamo su quant’è normale che l’impiegato a fine mese paghi il suo datore di lavoro.” E ancora: “L’editore è un imprenditore, e facendosi pagare dall’autore rinuncia a uno dei tratti caratteristici del suo mestiere, il rischio d’impresa.”E il concetto di meritocrazia? In Italia lascia il tem-po che trova, infatti non viene mai tenuto conto dei meriti ma solo di quanto uno è disposto a scende-re a compromessi, quasi facesse parte del nostro DNA, e chi non si allinea al sistema resta tagliato fuori. Se gli aspiranti autori facessero un’analisi di coscienza e prendessero atto, in alcuni casi, che la mancata pubblicazione delle loro opere dipen-de dalla mancanza di talento o semplicemente di cose da dire? Cosa accadrebbe? Che ne sarebbe dell’EAP? Avere delle aspirazioni è lecito quanto conoscere i propri limiti. Negli ultimi anni in rete sono sorti gruppi che met-tono in guardia contro gli editori a pagamento e spingono gli utenti a fare le cose con calma. Oltre al WD troviamo il Gruppo contro l’Editoria a pa-gamento fondato da Francesco Troccoli, da poco sostituito alla guida da Linda Rando e Marta Tra-verso.

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EAP: LEGALE ILLUSIONE DEGLI SCRITTORI ESORDIENTI

per sensibilizzare il pubblico di lettori e scrit-tori on line sul fenomeno. Naturalmente gli Editori a Pagamento non gradiscono chi li no-mina e minacciano querela di continuo con-tro i gruppi che li contrastano, questo perché molti di loro sono tutt’altro che in difficoltà finanziarie e possono permettersi promo pub-blicitari come quelli apparsi di recente sulle reti televisive nazionali a opera del Gruppo Albatros, che si presenta come fautore di una democratizzazione culturale, pubblicando chi può permettersi di pagare le stampe del libro: Quando i sogni hanno un prezzo. Ma il risul-tato non è quello sperato: Scrittori Esordienti » La verita’ sul Gruppo Albatros Quindi si torna alla timocrazia: se hai soldi sarai pubbli-cato, se sei uno squattrinato esordiente il libro resta nel cassetto. Questa sì che è democrazia! Ma siamo in Italia, le parole hanno solo il si-gnificato che gli diamo.In conclusione, ecco di seguito una buo-na lista di ragioni per opporsi al si-stema che si è formato: http://www.writersdream.org/blog/2010/09/i-10-moti-vi-per-non-pubblicare-a-pagamento/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook Bisogna essere consapevoli di ciò che si vuole e di come fare per ottenerlo, ossia quale via seguire adeguata al tipo di scrittore che si de-sidera rappresentare. Ciò che occorre fare è informarsi. Oggi non si possono ignorare le regole del gioco perché tramite la rete è facile per chiunque scoprire i meccanismi del siste-ma. Blog, facebook, siti, riviste amatoriali, concorsi letterari e quant’altro permettono di sapere come funziona l’Editoria, basta navi-gare e si ha tutto a portata di mano. E quindi occhi aperti e menti sveglie.

Sara Cabitta

Quest’ultima collabora anche col Gruppo sul Romanzo, fondato da Morgan Palmas, autore di “Come scrivere un romanzo in cento giorni”, qui il link. Ma sono numerosi i blog e i siti che combat-tono contro il sistema dell’EAP; sul sito del WD è stata pubblicata una lista, aggiornata di settima-na in settimana, con i nomi degli Editori italiani divisi per categoria: Free, a Doppio Binario e A Pagamento. Lista che è costata agli amministratori del sito mi-nacce e guai a non finire, ma resiste a uso e con-sumo degli esordienti e speriamo seguiti così. In fondo ciò che conta è l’informazione, poi sta a chi scrive il diritto/dovere di fare una scelta in base alla propria morale e al desiderio di mettersi in gioco nel modo che ritiene opportuno, che sia pro EAP o contro.Voglio citare anche un documentario che ha avu-to scarsa diffusione, realizzato dal critico Andrea Cortellessa, il quale intervista editori e librai per ricostruire il sommerso dell’editoria italiana de-nunciando le intenzioni puramente economiche del mercato librario a discapito della qualità. Il 31 maggio 2010, organizzata e sostenuta dai Gruppi sopra citati, si è tenuta la prima giornata NO EAP

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SOGNI E INCUBI DI MAETERLINCK

Boschi cupi, freddi, dove il sole non riesce a entrare, dove la notte sembra perenne. Fiumi che scorrono lenti oppure onde immense che si fra-cassano assordanti sulle scogliere. Immagini cre-puscolari, ambigue; figure spettrali che scivolano nelle case e sorprendono i vivi raggelandoli e la-sciandoli nell’inquietudine. Poi, all’improvviso, uno scenario differente: bambini allegri che so-gnano a occhi aperti creature senza tempo, fate, animali parlanti, streghe da sconfiggere, musica e giochi. La penna di Maurice Maeterlinck (1862-1948) riesce a tratteggiare atmosfere contrappo-ste e lo fa con una sensibilità e una inclinazione forte all’onirico e al magico, che gli sono valse il premio nobel per la letteratura nel 1911.Una delle opere simboliste più celebri dell’autore belga è il dramma Pelleas et Melisande, legata a un tragico fatalismo. Una fontana, una fanciulla che vi si specchia, Melisenda, di cui non viene spiegata l’origine, che potrebbe rappresentare qualunque cosa: una principessa scampata a una strage familiare, una fata bandita dalla sua stirpe. E’ una figura carica di dolore e infelicità, destina-ta a una morte precoce che non riesce a distrugge-re la sua bellezza quasi mistica. L’impossibilità di amare Pelleas la porta a un logoramento interiore che l’autore sottolinea descrivendo i luoghi in cui la fanciulla trascina la sua esistenza: un gelido ca-stello, pietre che la soffocano, notti rischiarate solo da una candela detentrice di un codice segreto tra i due amanti. Altrove scopriamo la stessa oscurità e un diffuso gelo. Nei Ciechi siamo di fronte a un gruppo di non vedenti abbandonati vicino a una scogliera, l’autore descrive le sensazioni dei per-sonaggi ma non dà elementi per capire la ragione o l’esito della loro vicenda. Ne L’intrusa l’intera famiglia è in balia di una presenza sinistra che aleggia per casa: forse è la morte?Le atmosfere cambiano nel suo capolavoro L’uc-cellino azzurro, una fiaba che vede due fratellini

partire alla ricerca del magico uccellino per accontentare una fata e ottenere in cambio una ricompensa. Ma l’uccellino azzurro altro non è che il simbolo della felicità, la quale si trova nell’approccio che ciascun uomo dà alla vita e non negli oggetti che hanno solo la parvenza di ren-derla migliore. I luoghi che Tyltil e Mytil esplorano sono paesi da sogno, i perso-naggi che incontrano e che li mettono alla prova sono le tappe verso la maturità e la consapevolezza di sé; il superamento di limiti e paure che non necessariamente ha come esito il raggiungimento di una ricompensa materiale, bensì interiore.Per accennare alla versatilità di Maeterlinck, compositore anche di poesie, cito alcu-ne opere naturalistiche a cui ha dato non un taglio scientifico, ma da appassionato ammiratore della vita sociale di alcuni insetti: Vita delle termiti, Vita delle api, Vita delle formiche. Scritti affascinanti, che catturano il lettore e lo conducono in mondi per molti irraggiungibili.Sara Cabitta

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OttobreSplendide ottobrate nel tempo in cui la Natura era integra nella sua bellezza e nei suoi ritmi esi-stenziali, quando tra la Natura e l’uomo vi era un rapporto di interdipendenza, di reciprocità, di in-terazione e di intesa.Artista unico ottobre, pittore e poeta insieme, diffondeva intorno immagini di incomparabile bellezza e ricchezza. Fra incante-voli colori e infiniti silenzi, non più piogge tor-renziali o sferzate di grandine invernale, non più capricci della primavera, non più l’afa asfissiante dell’estate.Anche l’autunno con foglie ingiallite e la sua melanconia giungeva con alcune settimane di ritardo.Durante questo tempo intermedio, otto-bre celebrava le sue meraviglie: il cielo, cupola di un azzurro intenso steso da un orizzonte all’altro, quasi a protezione di quel mondo di serenità e di pace tutto immerso negli infiniti silenzi, in cui co-lori, suoni, immagini pittoriche si ricomponevano e si armonizzavano in una visione estetica che ti incantava.La campagna era uno scenario in ci la natura celebrava la sua bellezza e i suoi tesori.Così ottobre, artista e sapiente pittore aveva la sua tavolozza pronta: pennellate di smeraldo lungo le stradine, i sentieri e i trattori di campagna, con

l’erbetta rilucente di guazza spuntata dopo le pri-me piogge.Dagli alberi toglieva il verde intenso dell’estate e li vestiva di nuovi colori, accendeva di rosso e di giallo i pampini allineati lungo i filari delle vigne e inturgidiva i grappoli maturi penduli da tralci ricurvi. In questo panorama la vendem-mia era una festa e in tempi antichissimi Bacco e Arianna ornati di pampini, insieme alle selvagge ninfe, cantavano e danzavano festanti fra i filari variopinti. I contadini raccoglievano l’uva in gran-di tini e in paese la pigiavano trasformandola in un mosto che fermentando mandava intorno nelle case e nelle strade un aroma , grato ai seguaci di Bacco “.. dal ribollir dei vini l’animo a rallegrar..”. Era tempo di aratura e i bifolchi, con i buoi ag-giogati, aravano i campi risvegliando la terra già assopita nel meritato riposo, dopo aver dato tanto di fiori e di frutti. L’aratura metteva allo scoperto semini e vermetti e da lontano giungevano stormi di uccellini per divorarli, mentre intorno diffonde-vano festa e allegria con canti e pigolii, accom-pagnati dal suono tinnulo dei campanacci delle greggi sparse nella campagna verdeggiante. Ora la campagna è abbandonata e squallida, la Natura devastata ha perduto le sue voci e Ottobre non è più pittore né poeta.Vincenzo Mereu

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Parole: “Il miracolo”

Un evento difficilmente spiegabile secondo cause co-nosciute e quindi attribuito ad intervento sopranatura-le o divino. Razionalmente si può dire che un evento si può definire miracoloso solamente perché l’uomo in quel momento non possiede una conoscenza esaustiva.Circa tre giorni fa mi trovavo a Pisa e mi sono reca-ta nella piazza principale: “la piazza dei Miracoli”.dopo esser passata in varie viuzze limitate da case un po’ austere ecco che superate le mura di cinta, mi tro-vo davanti tre grandi monumenti di un bianco candido che spiccano sul verde splendente dei giardini che cir-condano i monumenti e……… rimango stupefatta.I tre monumenti svettano verso il cielo e lo spettacolo mi mozza il respiro. D’Annunzio ebbe ragione a chiamare la piazza “La piazza dei Miracoli” in questo caso il si-gnificato di miracolo ben si adatta al significato di una cosa meravigliosa. Rifletto e ………Penso alla favola di Pinocchio dove si cita “il cam-po dei Miracoli” In questo caso è un luogo inesistente situato in vicinanza del paese di Acchiappa – Citrulli nel paese dei Barbagianni. Il gatto e la volpe, invitano pinocchio a piantare gli zecchini d’oro in questo terreno miracoloso che in breve tempo avrebbe fatto crescere un albero capace di fruttare zecchini. Il gatto e la volpe rubano gli zecchini d’oro e fuggono via alla velocità del vento. Pinocchio scoprirà l’inganno grazie ai sug-gerimenti di un pappagallo.Nella favola di pinocchio il miracolo ha le vesti dell’inganno.Il secondo capitolo dell’eleganza del riccio è intitolato: I miracoli dell’arte. In cui l’autrice con notevole elegan-za sotto le spoglie della portinaia Renèe utilizza i mi-racoli dell’arte raffigurati: da un campanello collegato a un meccanismo infrarossi, che avverte dell’andirivieni nell’atrio. Tale congegno segnala chi entra, chi esce, con chi e a che ora. Ciò permette a Renèe di trascorre-re i suoi momenti più sereni del tempo libero protetta, senza essere privata delle informazioni vitali importanti per ogni sentinella che si rispetti. Ma non solo, la televisione in guardiola, sempre accesa, garan-tisce la sua clandestinità. Infatti nell’atrio del palazzo giungono i rumori dell’apparecchio televisivo e questo basta a rendere eterno il gioco delle gerarchie sociali. Inoltre Renèe acquistò un lettore DVD che le permette di poter vedere films a lei graditi cambiando

le cose più radicalmente a favore della sua felici-tà. “mentre la televisione della guardiola, garante della mia clandestinità, bercia sciocchezze per te-ste di rapa senza che sia costretta a sentirla, con le lacrime agli occhi, gioisco dei miracoli dell’Ar-te”.In questo caso i miracoli dell’Arte permettono alla persona di esprimere la propria essenza nella clandestinità. Renèe ha l’eleganza del riccio, fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma dentro è semplice e raffinata come i ricci, ani-maletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.Se considero “Il Bastone dei Miracoli” di Salvatore Niffoi: In cui un vec-chio contadino con la passione per la letteratura classica,desidera morire come morivano i patriar-chi del mondo antico: affidando ai suoi eredi pa-role di una saggezza ancestrale destinate a rappre-sentare il retaggio più prezioso. Ai figli consegna sei buste una per ogni figlio, in ognuna delle quali c’è una parte del racconto che per anni ha scritto di nascosto. Dopo la sua morte dovranno leggerlo ad alta voce gli uni agli altri perché questo è il modo incui il vecchio vuole essere commemorato. Via via che le buste verranno aperte, prenderà forma una fiaba:”Il Bastone dei Miracoli”. Bastone che dà a chi lo detiene la buona morte, ma soprattutto la perigliosa facoltà di conquistare potere e ric-chezze. Bastone che nasconde molti segreti che si intersecano con storie che rispecchiano il tempo e il luogo barba ricino. Ma “il miracolo” per me è la vita, la capacità di svegliarsi ogni giorno e stupirsi del nuovo giorno. Luisa Mereu

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Scritto surrealista

Una notte può durare anche una vita.Il buio di ore infinite può pervadere l’anima in ogni suo anfratto. Le stelle coronare i pensieri. Una fioca luce sincera fare compagnia. La cera rossa che lentamente si scioglie. Qualche nota in lontananza, immersa in melodie notturne senza nome. Una vita senza titolo. Una notte sen-za etichetta. Un’esistenza piena di significato. Una pentola sgorgante parole dorate alla fine di ogni arcobaleno di fantasia. Una notte color indaco scuro, quasi indefinibile da tinteggiare. Ore con i puntini sopra i minuti, girovaghi in cerca dei perduti secondi. Sigarette immaginarie consumate da fiammiferi celebranti. Mani rapide su tasti sconosciuti ai polpastrelli. Notti lu-gubremente sorridenti davanti agli spicchi di candida luna.Una mano stringe il nero barlume di spiraglio che filtra attraverso i pianeti lassù. Locomotive di domande percorrono binari vuoti e arrugginiti. Deragliamento notturno. In silenzio, a passi cingolanti teneri nella notte.“Una burla”. Una voce afona urlante tenta il raziocinio. Un boccone di lettere la spinge in fondo allo stomaco del surrealista moderno. Digerire un senso come un sasso risulta pesante intorno alla mezzanotte lagunare.Versi. Poetici. Rumorosi. Animaleschi. Picarescamente divertenti. Riempono di muti fracassi l’anima impaziente di aggredire il mondo. In una notte di rugiada e cera.Una notte può durare una vita. Fermare il tempo affogando gli orologi nel mare della solitu-dine sorridente. Golosa abbuffata di fluorescenti invisibilità. Qualcosa è rimasta in fondo ai residui di una riflessione artificiale.Vedetta al di sopra di un faro. Un palmo di buchi neri ai confini di una realtà cosciente. Epiteti finali di una notte destinata a durare. Parole caotiche disposte in un ordine codificato dal silen-zio. Cornamusa in una tastiera. Sogni deliranti interrotti da pizzicotti di falsa contemporaneità. Una notte lunga una vita.

Alessandro Frau

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il mercurio poesia poesia il mercurio

Io, poesia

Parole incatenatetra baci e violenze

Corsa a perdifiatoper sfuggire ad un senso d’etichettaFolle inseguimentotra tetti metaforici e significati celati

Violenze e bacitra le parole incatenate

Scappare e appartenerealla propria autenticitàd’anima e animale.Io in versi, Poesia miaparole in matrimoniotra litigi irreparabili

Un bacio violentoUna violenza baciata.

Corporalità fisica di emozioni intoccabili Fumo trasparentedi realtà tangibile

Io, poesiatra baci e violenzeincateno le mie parole.

Alessandro Frau

Le notti insonni del tiranno

Finalmente un po’ di paceil popolo in tumulto non potràscovarmi nel chiuso di questa stanza.Piango notti interee penso,mi divoro l’animacercando di stanare unagoccia di serenità.L’importante è zittirli tutti,facciamo tacere queste voci nelle piazze.Impazzirò al prossimo pianto di quella madre.Nessuno può comprendere il doloredi chi comanda.Piango notti interee penso,mi divoro l’animasapendo che prima o poi tutto questo finirà.Le notti insonni del tirannonon reagiscono alla brama di poterela crudele astinenza da ogni forma di civiltà chi ha sete sia immerso nell’acqua

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il mercurio poesia poesia il mercurioma che nessuno osi gridare ancora.Voi non saprete mai delle ore passatea camminare nel vuoto di queste pareti.Chi è felice non ha bisogno di ulteriori libertà,vivo nella speranza che prima o poi tutto questomuoia di una lenta agonia.Mi rivolto notti interenel mio letto bianco e sogno di rinasceretigre, serpente, farfalla.Le notti insonni del tirannosono quelle che non aspettano altroche la fine.Piango notti interee pensoe mi divoro l’animaall’idea di quella madre che piange ancora. Fatela tacere.Una legge, datele una legge.Datele ciò che più desidera.In fondo il suo è un buon tiranno,che piange notti interenel suo letto bianco.

Riccardo Abbadessa

Arlecchino

La danza eterna della vitainarrestabiletrascina i tuoi passitra i sorrisi intorno.Il pianto non può rigare il tuo volto,compassione adombra la luce intorno,la forza dello sguardo impediscel’esplodere delle risate nei loro volti.Più tardi, in posti non tanto lontanipagliacci anche loro,giudicheranno la tua folle danza,e tu, lentamente,nel silenzioraccoglierai i resti del tuo cuore

G. F.

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