I Siciliani - settembre 2012

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I Siciliani n.8 settembre 2012 www.isiciliani.it A che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare? giovani Armi, mafia, forniture internazionali. Servizi segreti ed eversione nera. L’Italia s’è retta anche su gente così di Antonio Mazzeo Rino Giacalone IL DENARO DI MESSINA DENARO ROSARIO CATTAFI 275 Satira/“Mamma!” Mario Spada Vacanze Siciliane/ Jack Daniel CASELLI/ “TI DELEGO, MA GUAI A TE SE INDAGHI” DALLA CHIESA/ “SOTTO LA CORTE LA MAFIA CAMPA” Arnaldo Capezzuto LA PISTA DELL’UTRI Giuseppe Pipitone QUELLI DA NON VOTARE Luciano Mirone L’ANNO DEL GENERALE Carmelo Catania ACQUA SALATA Paolo Fior MILANO DA MORIRE Telejato si rinnova Giancarla Codrignani/ Giovanni Abbagnato/ Anna Bucca/ Rosa Maria Di Natale/ Aaron Pettinati/ Fabio D'Urso/ Riccardo De Gennaro/ Pietro Orsatti/ Sebastiano Gulisano ebook omaggio SCUOLA negata

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Rivista di politica, attualità e cultura

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I Siciliani

n.8

set

tem

bre

2012www.isiciliani.it

A che serve essere vivi,se non c’è

il coraggio di lottare? giovani

Armi, mafia,fornitureinternazionali.Servizi segretied eversione nera.L’Italia s’è rettaanche su gentecosì di Antonio Mazzeo

Rino Giacalone IL DENARO DIMESSINA DENARO

ROSARIO CATTAFI

275

Satira/“Mamma!” Mario Spada Vacanze Siciliane/ Jack Daniel

CASELLI/ “TI DELEGO, MA GUAI A TE SE INDAGHI”DALLA CHIESA/ “SOTTO LA CORTE LA MAFIA CAMPA”

ArnaldoCapezzutoLA PISTADELL’UTRI

GiuseppePipitoneQUELLI DANON VOTARE

LucianoMironeL’ANNO DELGENERALE

CarmeloCataniaACQUASALATA

PaoloFiorMILANODA MORIRE Telejato

si rinnova

Giancarla Codrignani/ Giovanni Abbagnato/ Anna Bucca/ Rosa Maria Di Natale/ Aaron Pettinati/ Fabio D'Urso/Riccardo De Gennaro/ Pietro Orsatti/ Sebastiano Gulisano

ebookomaggio

SCUOLAnegata

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Corleone, piccolo paese in provincia di Palermo, ha avuto un certo peso nella storia d'Italia. Così oggi Barcellona, nel messi-nese. E' il centro di molte cose, e non tutte di mafia. Da lì parto-no i nuovi corleonesi.

Il “principe nero” Rosario Cattafi non è stato solo un boss di mafia. E' stato un organizzatore politico, un trafficante, un abi-tué dei servizi, un esecutore affidabile di operazioni coperte. In breve, un interlocutore dello Stato. Forse - secondo le voci fil-trate ad arte - una controparte di una trattativa.

Ma la verità è che in Italia la trattativa era permanente. La guerra esterna fra America e Russia e quella interna fra grandi proprietari e contadini è stata la sfondo vero della nostra storia. E in guerra non si sottilizza sui mezzi. In guerra anche un Catta-fi può essere usato - da generali e ministri assai perbene – come un male necessario. E dunque acquisire potere.

E' strano che nessuno, scrivendo la storia di Barcellona, abbia rilevato come tutti i suoi protagonisti principali – il politico Na-nia, il mafioso Rampulla, l'eroe civile Alfano, il boss dei boss Cattafi – siano passati tutti, e con ruoli importanti, per la cellula eversiva nera di Ordine Nuovo di Barcellona. Una delle più effi-cienti d'Italia, e con più legami in alto - come dimostra la vita di Cattafi. In essa tutti sapevano, o intuivano almeno, molte cose su tutti gli altri partecipanti. E non solo di mafia.

* * *Barcellona è nel Sistema nazionale. Come la Corleone di Pro-

venzano, come la Catania dei Cavalieri; ma rispetto ai corleone-si più intima allo Stato. Come tutti costoro, ha avuto le sue mag-giori risorse all'esterno di se stessa; i non-mafiosi sono la vera forza dei mafiosi. L'egemonia culturale, il patto fra i notabili, l'informazione mirata, la loro rete: su questo si basano i Sistemi.

A Catania, una componente importante - penalmente signifi-cativa o no, lo stabiliranno i magistrati - è stata ed è il sistema di potere di Ciancio. Che noi da trent'anni contrastiamo concreta-mente, non con occasionali episodi, ma con un ininterrotto im-pegno di cittadini. E col nostro mestiere.

Di fronte ai Ciancio, i giornalisti si dividono. O servono triste-mente, dimenticando se stessi; o servono rimuovendo chi servo-no, illusi che basti a assolverli l'onor di firma.

I pochi che, per propria volontà o perché esclusi, restano fuori, combattono ciascuno per se stesso, da cani sciolti. Anche per loro, la firma è tutto. Non concepiscono altro onore che quello individuale, come dei cavalieri del medioevo.

* * *Noi andiamo per un'altra strada. Noi non lottiamo da soli. Noi

siamo semplici componenti di qualcosa che è più grande di noi, che va dal giornalista famoso al giovane che inizia ora. Siamo un piccolo ma unito esercito, non dei cavalieri isolati. Perché non dobbiamo far brillanti tornei , ma vincere una guerra. Que-sto ci è stato insegnato.

E' una cosa impossibile, lo ammettiamo, da far capire ai colle-ghi arrivati, quelli che credono in Dio, Mia Carriera e Mia Fir-ma. Ma la capiscono i giovani, per fortuna. E così andiamo avanti.

I Siciliani(R.O.)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 3– pag. 3

Mafiae Stato

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani SETTEMBRE 2012 numero otto

Questo numero

Mafia e Stato I Siciliani 3 "Ti delego, ma guai se indaghi su me" di Gian Carlo Caselli 6 Sotto la Corte la mafia campa di Nando dalla Chiesa 7 Cronaca di una violenza annunciata di Giovanni Caruso 8 Il giorno dopo le elezioni di Riccardo Orioles 9

InchiesteIl principe nero del Duemila di Antonio Mazzeo 10

Il PaeseNormalizzazione mafiosa e anche sociale di Giulio Cavalli 14 Speranze e doveri di Giovanni Abbagnato 15 Sosteniamo i Siciliani di Salvo Ognibene 16 Il mese che ammazzò l'Italia di Luciano Mirone 17 Rewind/ Forward di Francesco Feola 18

InchiesteIl denaro di Messina Denaro di Rino Giacalone 20"De Mauro ucciso per lo scoop su Mattei" di Aaron Pettinari 22Sfida ai vecchi padrini di Ferdinando Bocchetti 24 La pista Dell'Utri di Arnaldo Capezzuto 25

SocietàQuelli da non votare di Giuseppe Pipitone 26Un candidato da bruciare di Sebastiano Gulisano 28 Milano da morire di Paolo Fior 30 Giovani, impresa e legalità di Libera informazione 322500 annegati l'anno di Anna Bucca 33Casta o istituzioni? di Giancarla Codrignani 34 Mi laureo in propaganda di Salvo Perrotta 36

Inchieste"Si Marsala avissi lu portu..."di Francesco Appari e Giacomo Di Girolamo 38 Il mestiere di giornalista di Lello Bonaccorso 40Inchieste, silenzi e grida 41Acqua salata di Carmelo Catania 42Quando la "munnizza" è oro di Rosa Maria Di Natale 46

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 4– pag. 4

A CHE SERVE I SICILIANI GIOVANI- A rimettere al centro l'antimafia sociale, che non è solo un "anti" ma anche e soprattutto un "per". A ribadire col nostro nome e col nostro lavoro che la storia dei Siciliani e di Giuseppe Fava non si è fermata mai e mai si fermerà.- A fare rete, non centralisticamente ma attraverso l'esperienza, intrecciandosi strettamente con altre realtà, a partire dalla matu-razione dei singoli e di piccoli e grandi gruppi.- A dare a tanti giovani giornalisti, che l'informazione ufficiale oggi esclude drasticamente e brutalmente, una prospettiva forte e vincente nel mondo dell'informazione di domani. Che non sarà composto solo dai pesanti e inutili monopoli di ora.

* * *Il sistema attuale è ormai modellato in tutto e per tutto su un principio preciso: non dare spazio ai giovani, soprattutto a quelli che hanno il vizio di pensare. A meno che i giovani non si uni-scano, non affrontino spavaldamente i loro nemici (perché di nemici si tratta, non di benevoli osservatori) e non costruiscano insieme la grande forza dell'avvenire.

*

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SOMMARIO

Satira

Mamma! a cura di Carlo Gubitosa, Kanjano e Mauro Biani 49

Graphic journalism La maestra in divisa 54

FotoreportageVacanze Siciliane di Mario Spada 57

TestimonianzeUna storia da Niscemi di Attilio Occhipinti 63 I cinque passi di Mauro Rostagno 64

Teknè

Finlandia: "Ok bitcoin" di Fabio Vita 65

AntimafiaNei campi di don Diana di Giacomo Salvini 66Obiettivi di mafia di Stampo antimafioso 68 Due giorni nella storia di Milanoidi Martina Mazzeo 69 Brindisi capitale dell'antimafia di Nando Benigno 70Le cinque giornate di Milano di Sara Spartà 71 Qui si festeggia l'informazione Il Clandestino 72

StorieLa Torre e Berlinguer comunisti contro di ElioCamilleri 75 Le amiche di Goliarda Sapienza di Vera Navarria 76 Gens de voyage di Chiara Zappalà 77

PoliticaLe deleghe pericolose di Pietro Orsatti 78 "Lei è favorevole o contrario?" di Riccardo De Gennaro 80 “La ripresa è vicina” di Jack Daniel 81

MovimentiGapa, la festa e il sogno di Daniela Calcaterra 82 Telejato cambia casa 83 Appello per il 6 ottobre a Niscemi 86 Lucianeddu di Fabio D’Urso 87

Il filoDa dove vengono gli immigrati di Giuseppe Fava 88

Un ebook in omaggiocon questonumeroLA SCUOLAABBANDONATA/cronaca di un diritto negatoNel povero quartiere assediatodai mafiosi c'è un unico presidiodi vita collettiva e di legalità:la scuola. Le autorità la chiudonoe strappano ai bambini il dirittoa crescere come tutti gli altri.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 5– pag. 5

DISEGNI DI MAURO BIANI

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L’intervento giudiziario è in espan-

sione in tutti i sistemi democratici. Le

cronache di questi giorni (caso de Vil-

lepin in Francia e intervento della Cor-

te costituzionale in Germania) dimo-

strano che non si tratta di una questio-

ne specificamente italiana. Anzi, la dif-

fusione del fenomeno significa che

esso ha dimensioni oggettive e non è il

risultato ( come si vorrebbe far credere

nel nostro Paese) di forzature soggetti-

ve.

Problemi che la politica non risolve

Problemi che la politica non sa risol-

vere finiscono per restare privi di co-

pertura normativa ovvero danno vita a

stalli decisionali. Mentre la tradiziona-

le (e abnorme) debolezza dei controlli

amministrativi e della stampa, insieme

ad una concentrazione di potere (eco-

nomico, mediatico e politico) senza

eguali, rendono la nostra democrazia

per molti versi “pallida”. “Pallore” che

diventa anomalia tutte le volte che la

politica delega pressoché esclusiva-

mente alle forze dell’ordine e alla ma-

gistratura la soluzione di problemi che

la politica stessa – appunto – non sa

come affrontare.

E’ storia del nostro Paese, verificabi-

le ripercorrendo quanto è accaduto su

vari versanti: terrorismo brigatista;

stragi di destra; corruzione; sicurezza

sul lavoro (pensiamo al caso Eternit in

Piemonte e al caso Ilva di Taranto);

fine vita; mafia e specificamente i

rapporti tra mafia e politica.

Delega, ma con un... corollario: se si

supera l’asticella idealmente tracciata

(senza farne parola) dai deleganti, se

cioè si toccano certi interessi che al

controllo di legalità non ci stanno e

pretendono invece - in varie forme -

impunità, ecco che il delegato deve

mettere in conto di essere aggredito

con una delle tante manifestazioni osti-

li che han determinato, negli ultimi

vent’anni, un vero e proprio “assalto

alla giustizia”.

Vedi alla voce “trattative”

La giustizia da noi non funziona, ma

quando funziona un po’, c’è subito

qualcuno che pretende non “più” ma

“meno” giustizia se gli accertamenti si

indirizzano verso certi “santuari”. Ed è

esattamente quel che sta capitando per

l’inchiesta della procura di Palermo

rubricata alla voce “trattative”, ennesi-

mo capitolo - sotto certi profili -

dell’infinita querelle dei rapporti ma-

fia- politica.

Questa volta le polemiche sono più

intense che mai, davvero al calor bian-

co: perché al calor bianco sono i temi

(e le implicazioni) dell’inchiesta

palermitana, che nel capo d’accusa

accosta nel medesimo cerchio mafiosi,

carabinieri e politici in un “mix”

obiettivamente esplosivo.

Al solo servizio di legge e verità

Va riconosciuto ai PM palermitani il

merito di aver operato con coraggio ed

onestà intellettuale, al solo servizio

della legge e della verità. Ciò ovvia-

mente non significa che anche in que-

sto caso, come per tutti gli interventi

giudiziari, non vi sia spazio per criti-

che ed opinioni dissenzienti. Ci man-

cherebbe. Purchè tutto si collochi in un

quadro di rispetto del difficile lavoro

degli inquirenti.

Rispetto che potrebbe rasserenare il

clima generale, nel momento - delicato

e nevralgico - in cui il GIP si appresta

a valutare se il lavoro dei PM meriti o

meno un pubblico giudizio.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.6– pag.6

La politica e la giustizia

“Ti delego, ma guaise indaghi su di me” di Gian Carlo Caselli

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Qui Lombardia, anni duemila.

Pare di stare nella Sicilia, anni ottanta

del secolo scorso. Vi ricordate quando

la Corte di Cassazione era nelle mani

di chi sosteneva che Falcone fosse

“una faccia di caciocavallo”? Era co-

stui il giudice Corrado Carnevale, che

non per niente presiedeva la prima se-

zione della Suprema Corte. Per la

“sua” sezione dovevano passare, sen-

za scampo, tutti i processi di mafia e

di camorra. Alla faccia del principio

del giudice “naturale”, i mafiosi sape-

vano di avere invece un giudice “pre-

costituito”, il “loro” giudice, quello

cioè che comunque avrebbe sempre

deciso, alla fine, delle loro sorti. E

Carnevale decideva “bene”, almeno

dal loro punto di vista.

L'“ammazzasentenze”

Lo chiamarono l’ “ammazzasen-

tenze” perché questo era l’unico

epiteto che gli si poteva dedicare sen-

za finire a giudizio per diffamazione o

per calunnia. Qualcuno calcolò che

avesse annullato circa cinquecento

sentenze. Per questo Cosa Nostra con-

fidava di uscire alla grande anche dal-

la vicenda del maxiprocesso. Fu infi-

lata in contropiede all’ultimo: la

coppia Martelli (ministro della Giusti-

zia) e Falcone (direttore generale degli

Affari penali) riuscì a battere il princi-

pio del giudice precostituito, e a giudi-

care furono le sezioni riunite e non la

prima sezione da sola.

Una premessa lunga per dire che

qualcosa del genere rischia di verifi-

carsi oggi con la Lombardia oggi. Qui

la magistratura sta smantellando o

provando a smantellare un sistema di

potere criminale che ha la ‘ndrangheta

al centro. E a furia di arresti ha sve-

gliato dai suoi sonni e dalle sue acci-

die almeno un pezzo della società ci-

vile.

Inchieste serie, dunque. E proces-

si seri, chiusi da condanne. Zeppi nei

dibattimenti di “non so”, “non ricord-

o”, “ma io non sapevo”, “davvero mi

hanno sparato sull’auto?”, “ma no,

sono signori gentilissimi”, “sincera-

mente non ricordo”. Omertà di im-

prenditori e commercianti. Un autenti-

co strazio civile. Facce piene di paure,

di terrore, la classica situazione di

“assoggettamento” che associata alla

conquista di ingiusti vantaggi negli

affari configura con chiarezza cri-

stallina, in base alla legge La Torre, la

presenza dell’associazione mafiosa.

A Milano come in Sicilia

Eppure ecco la Cassazione che ar-

riva di nuovo, trenta o venticinque

anni dopo, a svolgere la stessa funzio-

ne di un tempo in Sicilia e a rispedire

ai giudici di merito le condanne. Per-

ché le prove che si tratti di mafia non

ci sono mica tanto. Ma quali clan ma-

fiosi? Giusto, aspettiamo che qualcu-

no ci lasci le penne anche a Milano e

dintorni...

Ma è ora di ribellarsi a questo “se-

condo tempo”. Perché non fare, come

allora, un bel monitoraggio delle sen-

tenze di Cassazione in tema di mafia?

Qualcosa si troverebbe. E non sarebbe

propriamente lo spirito delle leggi...

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.7– pag.7

“Ammazzasentenze” anche in Lombardia?

Sotto la Cortela mafia campa di Nando dalla Chiesa

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Quando entrate in via del Plebiscito a Catania e andate verso il mare, incrociate, sulla vostra destra, una via che richiama un antico mestiere, via Cordai. È stretta tra due file di case basse che trasudano povertà, in un contesto umano e sociale vivo e che narra l'antichità del quartiere di San Cristoforo.

La strada, di consumato basalto lavico, racconta le vite quotidiane di uomini e donne e di tanti bambini che si affollava-no, durante l'anno scolastico, al numero civico 59, sede centrale della scuola me-dia Andrea Doria.

Adesso la via Cordai è orfana del vo-ciare dei ragazzini e del chiamare, forse un po sguaiato,delle ragazze madri.

Consegnati all'illegalità diffusa

Chi ha rotto questa armonia di rumori? Quel fragile equilibrio democratico, chi l'ha spezzato? Quale scellerata decisione ha distrutto quel presidio di istruzione, di creatività, di cittadinanza attiva unico ar-gine a difesa della costituzione? Chi ha voluto consegnare gli adolescenti all'ille-galità diffusa e alla "mafia sociale"?

Tante domande, troppe domande, ma tutte hanno una risposta che vogliamo tro-vare insieme a voi lettori. Mentre voi ci pensate, noi vogliamo ricordare i momenti difficili ed emozionanti di questa scuola in questo quartiere.

E così ricordiamo Melina Di Fazio, che guidava le giovani "donne madri", che da San Cristoforo a piazza Duomo davano lezioni di orgoglio e dignità ai "tromboni" servi di Scapagnini e di un potere politico sbriciolato. Donne che occuparono un

luogo che gli apparteneva e lo difesero col potere della parola, e nella logica del giu-sto. Che vinsero e ottennero il diritto di avere la loro scuola nel loro quartiere.

Queste stesse donne formarono un gruppo politico e civile e affrontarono le elezioni del consiglio di quartiere. Ignorate da una "società civile" borghese, troppo occupata a stabilire chi fosse più progressista e solidale, e dai partiti della cosiddetta sinistra che litigavano fra loro mentre la destra vinceva regalando uno o due giorni di "ricchezza"in cambio di un voto.

Quelle donne furono sconfitte e con loro tutto il quartiere, e noi con loro. Sco-raggiate e deluse, quelle donne tornarono alla rassegnazione. Magari qualche becero "galoppino" gli avrebbe regalato, chissà, un giorno di ricchezza o la promessa di un giorno di lavoro.

Altri anni, altro sindaco, stessa morosi-tà, stessi sfratti, stesse “giustificazioni”: "Troppi sprechi! Cittadini, bisogna rispar-miare! Stringere il cordone della borsa! Troppi affitti di scuole da pagare!". Rego-la valida per le scuole, ma non per i palaz-zi affittati (con pigioni milionarie) per metterci uffici pubblici, nonostante il Co-mune possegga tanti immobili abbando-nati al degrado.

Ma le colpe non sono solo di questi scellerati amministratori, ma anche delle lotte intestine fra dirigenti scolastici, più o meno protetti dai politici di turno. Una guerra tra poveri dove le vittime erano e sono adolescenti e bambini.

Per cosa? Per un potere in più, sotto

forma di "Istituto Comprensivo".Ora la scuola non c'è più, c’è solo una

catena che chiude un cancello, e una vora-gine in mezzo alla strada di fronte. Quan-do pioveva i bambini ci giocavano - in-consapevole simbolo di un abbandono an-tico.

E che fine faranno i tanti progetti di for-mazione per le mamme? E la banda musi-cale della scuola? E il progetto "Libera scuola in libera stampa" con le pagine au-togestite dai ragazzi nel giornale del quar-tiere, I Cordai?

Le vollero chiamare New Boys, quelle pagine, le ragazze e i ragazzi della scuola media. Si misero a raccontaci il loro quar-tiere, la loro scuola, come li avrebbero vo-luti; ma anche la violenza dello spaccio di droga e le vite distrutte di ragazzi come loro. Ora non possono raccontare più.

Ora non possono raccontare più

“Fa più paura la scuola, alla mafia, della giustizia stessa”. Lo disse Antonino Caponnetto, il capo dei giudici di Paler-mo, tanti anni fa. Ma ormai chi lo ricorda?

Così, cari lettori, forse abbiamo risposto a quelle domande domande iniziali. Ma non ci dà soddisfazione, perchè in quella strada la nostra scuola non c'è più. C'è un altro pusher, che "prende servizio"ogni sera alle venti . Vende droga e ingrassa la mafia e forse "campa la famiglia", ma si-curamente è andato poco a scuola.

E allora, chi ha vinto a San Cristoforo?Lo Stato, cioè noi, o le mafie e la politi-

ca cattiva?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.8– pag.8

Diritti negati

Cronaca di una violenzaannunciata di Giovanni Caruso

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Devo ammettere che da qualche giorno ho una candidata che mi piace, la Giovan-na Marano della Fiom (s'è battuta molto bene a Termini), con i miei amici dell'antimafia (Claudio, Leoluca, Rita...) alle sue spalle in rispettosa seconda fila.

Se avessi avuto voce in capitolo (ma ne ho quanto un cane in chiesa) questa è esat-tamente la soluzione che avrei proposto. “E mandiamo una donna, perdìo! Una che non la conosce nessuno, però una brava!”. Quante volte me l'avete sentito ripetere, dopo il secondo bicchiere?

“E voialtri gran generali, per una volta, fate la fanteria – aggiungevo al terzo – Fa-tele da assessori! Così nessuno è lìder, tutti sono alla pari, non c'è un governatore del cavolo ma un Governo!”.

Alla fine, per ironia della storia, è anda-ta proprio così. Ma siamo arrivati tardi, e ci siamo arrivati male. Così è un meno peggio, una testimonianza. Invece poteva essere una vittoria di schianto, un cinquantaquattro per cento che poi è la no-stra maggioranza.

La vittoria al referendum

Sì, perché in realtà noi le elezioni le avevamo già vinte (anche se hanno fatto di tutto per non farvene accorgere) un anno fa, il 12 giugno 20111, al referendum.

E che c'entra il referendum? C'entra, c'entra. Io ho la memoria lunga (e capirai, so' matusa) e mi ricordo del giugno '74: il divorzio, il referendum.

Stravincemmo alla faccia dei pronostici (l'Italia era stanca di Dc, ma nessuno se n'era accorto) e l'anno dopo stravincemmo pure le elezioni. Il passaggio fu facile, per-ché allora avevamo Berlinguer e Pertini, mica... lasciamo andare.

Il segnale dell'anno scorso, del referen-

dum sull'acqua pubblica, è stato – per noi di fuori Palazzo – forte e chiaro. Ma a rac-coglierlo non c'era una sinistra organizzata e unita (i miei vecchi amati communisti) ma una serie di gruppi tribali ciascuno sventolante la sua bandierina col nome del relativo lìdert: Dipietro, Convendola, Bep-pegrillo.

L'antimafia popolare

In Sicilia, oltre all'acqua pubblica, ab-biamo un obiettivo che unifica tutti (e a suo tempo trainò la Borsellino oltre il qua-ranta per cento), ed è la lotta antimafia. Non l'antimafia dei palazzi, quelle dei pianti e delle celebrazioni, ma l'antimafia precaria, quella dei ragazzi e dei giudici, che lotta per una Sicilia diversa e lottando se la vede davanti e a muso duro sorride. Ma ci pensate?

Tu pensa ai ragazzi di Modica, ai nostri grandi politici (oltreché giornalisti) del Clandestino: in quattro anni questi sono capaci, da semplici liceali, di organizzare l'acqua pubblica, di mettere su un giornale, di far rete con altri, di portare centinaia di persone in piazza e e decine di giovani nell'organizzazione. Ma non li ha degnati nessuno: nessuno dei grandi capi si è nem-meno accorto che esistevano., li è andati a trovare manco una volta.

Io, che sono un politico (quando ho ab-bastanza da bere) dico che i veri politici sono questi qui, loro i protagonisti, loro gli interlocutori. Loro che prima o poi raccog-lieranno quel cinquantaquattro per cento, se resteranno allegri e poveri e non si fa-ranno abbindolare dai signori.

Chissà che prima o poi non riescano a convincere anche i grandi compagni no-stri, così benintenzionati e così generosi, ma ahimé così imbranati e con quelle fet-

tacce di prosciutto negli occhi. Non ci vuol niente a convincere Claudio, Luca o Rita, ragazzi miei: sono brave persone, ga-rantisco io per loro. Ma non dovete met-tervi in soggezione: interrompeteli subito appena cominciano a dire“Io”o“Il mio partito”.

Il vero lavoro comincia il 29

Adesso cerchiamo di arrivare al ventotto ottobre e di uscirne meno battuti che si può. Ma il nostro vero lavoro nostro co-mincia il giorno dopo, il ventinove otto-bre. La campagna per le prossime elezioni (fra quattro anni, o fra sei mesi...), quelle contro il governo vero (la mafia e il Siste-ma mafioso), con la politica vera (l'anti-mafia popolare), i politici veri (i ragazzi come a Modica e chi dei vecchi amici vor-rà seguirli) e l'obiettivo vero (almeno il cinquanta per cento.

Un po' di vecchio communista (ma sen-za i caporioni plumbei e senza Botteghe Oscure), un po' di vecchia Rete (ma senza personalismi e senza primedonne) e un po' di vecchio (eh, un po' vecchiotto lo è già...) movimento dei Forum (ma senza censure e senza Beppegrillo). Mescolate, et voilà. E arrivederci al ventinove ottobre.

(PS: “Ma gli state facendo la campagna a Fava? Eh, lo dicevo io che 'sto giornale..”

No, amico, no. Noi la campagna la fac-ciamo all'antimafia, è lei il nostro partito. Certo, se incontro il vecchio Claudio, e me lo vedo venire incontro coi manifesti dei Siciliani giovani alle spalle, allora non ragiono più e il cuore se ne va per conto suo, altro che cazzi. Ma questa è una faccenda mia personale. Voi, seguite i ragazzi di Modica e se poi ci sarà pure Claudio tanto meglio)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.9– pag.9

Diritti da conquistare

Il giorno dopo di Riccardo Orioles

www.isiciliani.itLE INCHIESTE

Mafia e potere

II principe nerodel DuemilaMafia, eversione nera, contatti coi servizi de-viati; cannoni fra Sviz-zera e Arabia, Santa-paola, armi per gli at-tentati... Di tutto questo si parla quando si parla di Rosario Cattafi, il “boss dei boss” con ca-pitale Barcellona

di Antonio Mazzeo

“Una figura inquietante, quanto mai sfuggente ed enigmatica, dotata di sor-prendenti attitudini relazionali e di non comuni abilità. Un soggetto che, anche a cagione della sua qualità professionale di avvocato ed uomo d’affari, nonché dell’ampia e di certo ambigua rete rela-zionale sviluppata, si è attivato, con ma-nifesta sistematicità, a tutela delle istan-ze criminali del sodalizio di appartenen-za (la “famiglia” barcellonese) e delle congreghe mafiose alleate...”

I magistrati della Direzione distrettuale antimafia hanno le idee chiare sullo spes-sore dell’uomo-guida della più potente delle organizzazioni criminali della pro-vincia di Messina. Rosario Pio Cattafi, l’avvocato imprenditore proprietario ter-riero investitore finanziario e astuto rici-clatore della mafia di Barcellona Pozzo di Pozzo, la più nera e stragista, in costante contatto con i vertici di Cosa nostra cata-nese e palermitana.

Con l’operazione-blitz delle forze dell’ordine “Gotha 3” per Cattafi si sono (ri)aperti i cancelli del carcere, frantuman-do sapienti accordi politico-istituzionali e lucrosissimi affari, discariche di inerti e ri-fiuti a Mazzarrà Sant’Andrea, prestigiosi hotel a cinque stelle a Portorosa di Furna-ri, un megaparco commerciale nella città del Longano, chissà quale altro ecomostro ancora a Milazzo. Sembrava intoccabile. Invincibile. Innominabile. Oggi appare come un patriarca sconfitto, piegato, sma-scherato, tradito. Il re-boss, forse, è nudo. E Barcellona torna a respirare. Finalmente.

Numerosi i collaboratori di giustizia e i testimoni che hanno delineato le caratteri-stiche e le funzioni di quello che è stato per anni dominus incontrastato della mafia messinese. “Cattafi è il cassiere della “fa-miglia” barcellonese”, ha raccontato l’ex affiliato al clan catanese Alfio Giuseppe Castro. “Era la persona di assoluta fiducia che aveva il compito di ricevere tutti i pro-venti delle attività illecite. Mi si fece capi-re come quella persona che si presentava così distinta ed apparentemente al di fuori di ogni sospetto in realtà gestiva l’intera organizzazione...”.

“Nino Santapaola, fratello di Benedetto, mi disse che Saro Cattafi si era interessato con la sua famiglia a delle operazioni di smaltimento di rifiuti tossici che dovevano essere interrati”, ha rivelato Eugenio Stu-riale, altro collaboratore etneo.

“Mi disse esplicitamente che il barcello-nese era per l’organizzazione un veicolo per riciclare denaro sporco. I Santapaola guadagnavano una montagna di soldi pro-vento delle loro attività illecite. Considera-vano Cattafi non organico alla loro fami-glia dal momento che non vi era stata una formale affiliazione, ma in ogni caso per loro era un soggetto su cui potevano con-tare al 100%, altrimenti non gli avrebbero mai affidato i loro soldi. Nino Santapaola mi disse anche che Saro Cattafi era in otti-mi rapporti con la famiglia Madonia di Caltanissetta e che stava bene con i paler-mitani ed in particolare con i Corleonesi, quindi con Vitale e Bagarella”.

Per Carmelo Bisognano, già ai vertici della “famiglia” criminale dei cosiddetti mazzarroti, Cattafi è il “numero uno” dell’organizzazione barcellonese ed è “il contatto diretto con le istituzioni deviate, la politica, la pubblica amministrazione, la magistratura e le forze dell’ordine”. Un cassiere-riciclatore in grado di agganciare le istituzioni e i potentati politici, giudizia-ri ed imprenditoriali, la borghesia mafiosa siciliana e quella con salde radici nel nord Italia. Una specie di jolly, lo ha definito Eugenio Sturiale, forte dei “suoi rapporti con i servizi segreti” e gli apparati deviati dello Stato e appunto per questo stimato e riverito dai fratelli Santapaola e dal loro fedele alleato a Catania, Aldo Ercolano.

L'anello di congiunzione

A riferire delle contiguità del boss bar-cellonese con i Servizi, ci aveva già pensa-to molti anni prima il collaboratore Mauri-zio Avola, già spietato killer delle “fami-glie” etnee.

In un’intervista rilasciata al settimanale Sette del Corriere della Sera nel maggio 1998, Avola si era soffermato sugli incon-tri al vertice che Cosa nostra teneva setti-manalmente in un autogrill dell’autostrada Catania-Palermo alla vigilia delle stragi di Capaci e via d’Amelio. “C’erano i rappre-sentanti delle varie province”, ha racconta-to. “E c’era Cattafi che era uno molto po-tente, per noi era più importante degli altri uomini d’onore perché eravamo convinti che fosse legato ai servizi segreti e anche alla massoneria. Rappresentava l’anello di congiunzione tra la mafia e il potere occul-to”.

Due mesi più tardi, Avola ritornò sull’argomento nel corso di un interrogato-rio con la sostituta procuratrice di Barcel-lona, Silvia Bonardi, e il commissario Paolo Sirna. “So, per quello che mi ha det-to Calogero Campanella, che Cattafi ap-parteneva ai servizi segreti, che scambiava favori con personaggi dei servizi”, ha di-chiarato Avola.

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“Ci faceva dei favori, degli omicidi e loro ci facevano passare della droga, co-privano i reati diciamo. I favori li faceva ai servizi segreti. E loro in compenso, se lui passava delle armi o grossi quantitativi di droga, non lo arrestavano. Davano il pas-saggio libero”.

Bisogna fare ancora qualche passo in-dietro nel tempo per comprendere come, quando e perché il rampollo di una delle più onorate famiglie della borghesia bar-cellonese decise di varcare il limes tra il lecito e l’illecito, il legale e l’illegale, il Bene e il Male. La zona d’ombra risale ai primi anni ’70, quando Cattafi si muoveva con disinvoltura all’interno del variegato arcipelago neofascista e neonazista che mise sotto scacco la vita dell’Ateneo di Messina tessendo diaboliche alleanze con gli affiliati alle ‘ndrine calabresi, le prime “famiglie” del messinese, i circoli esoterici più reazionari e i doppi e tripli agenti segreti delle cellule militari e paramilitari filo-atlantiche.

Quelli di Ordine Nuovo

Rosario Cattafi, al tempo studente di giurisprudenza e militante della destra eversiva, fu protagonista di azioni squadri-ste, pestaggi di giovani di sinistra, risse aggravate e danneggiamenti. La prima de-nuncia nei suoi confronti risale al 7 dicem-bre 1971: insieme ad alcuni camerati bar-cellonesi di Ordine nuovo, ai calabresi Pa-squale Cristiano (vicesindaco di Ferruzza-no e presidente del Fuan di Messina, l’organizzazione universitaria del Msi-Dn) e Francesco Prota (vicino agli ambienti di Avanguardia Nazionale e del Fronte nazio-nale di Junio Valerio Borghese), al mistret-tese Pietro Rampulla (oggi all’ergastolo quale artificiere della strage di Capaci), Cattafi fu accusato dell’aggressione di cin-que studenti innanzi alla Facoltà di lettere.

Otto mesi di reclusione (pena sospesa) la condanna emessa dal Tribunale di Mes-sina per aver cagionato “lesioni personali e volontarie lievi e continuate”. Il 21 feb-

braio 1972, Rosario Cattafi venne denun-ziato per un altra grave aggressione ai dan-ni di un giovane universitario.

Un anno più tardi, nel corso di una per-quisizione notturna della polizia alla Casa dello studente, il barcellonese fu identifi-cato insieme a Basilio Pateras, militante delle organizzazioni neofasciste greche Esesi e Quattro Agosto, occupante abusivo degli alloggi universitari. Il 22 marzo 1973, Cattafi, Pateras, Pietro Rampulla e un’altra trentina di militanti neri invasero con la forza i locali del Magistero.

Tollerate e protette dalle forze dell’ordi-ne e dai vertici accademici, le organizza-zioni neofasciste decisero di radicalizzare i mezzi e le forme di lotta. Dalle spranghe e le catene si passò alle armi e agli attentati incendiari. Il 27 aprile 1973, Rosario Cat-tafi venne coinvolto in una misteriosa spa-ratoria all’interno della Casa dello studen-te. Secondo quanto ricostruito dagli inqui-renti, egli si era recato in compagnia del calabrese Prota nell’alloggio occupato da Pasquale Cristiano per provare un mitra “Stern” contro alcune suppellettili. Conse-quenziale una seconda condanna, un anno e otto mesi di reclusione per detenzione e porto d’arma illegali.

Il successivo 3 maggio, durante una per-quisizione dell’abitazione di Cattafi fu rin-venuta una pistola calibro 7,65 di fabbrica-zione spagnola. Arrestato e processato per direttissima, ricevette una mitissima am-menda di 200 mila lire.

Le due ultime sentenze di condanna fu-rono appellate dall’allora procuratore ge-nerale della Repubblica, Aldo Cavallari, che denunciò pubblicamente lo “stato di extraterritorialità” in cui era caduto l’ate-neo di Messina.

“C’è una mafia universitaria irriducibile, selvaggia, ladra, prevaricatrice, che impo-ne la sua volontà e la legge della violenza, che vive e prospera per l’omertà generale dell’atterrita classe studentesca, dei diri-genti, degli impiegati amministrativi e an-che dei rappresentanti del corpo accademi-co”, scrisse il dottor Cavallari. “Le forze che potrebbero porre un valido argine al

dilagare di questo potere mafioso nella Casa dello studente sarebbero la magistra-tura e la polizia, ma l’una e l’altra non av-vertirono, nei confronti della classe stu-dentesca, quell’esigenza di repressione e prevenzione che pure si avverte nei con-fronti dei delinquenti appartenenti ad altra classe sociale”.

Solo dopo la requisitoria del magistrato, il 27 febbraio 1976, il Senato accademico decise di sospendere gli studenti coinvolti in episodi di squadrismo, primo fra tutti il Cattafi che dovrà attendere più di vent’anni per completare gli studi di giuri-sprudenza e divenire avvocato.

Lasciate l’università e Barcellona Pozzo di Gotto, Rosario Cattafi raggiunse prima Milano e poi la Svizzera, dimostrando un’invidiabile conoscenza delle leggi e dei mercati finanziari. Ma anche una innata capacità di districarsi tra le differenti fa-zioni criminali, tra i vincitori e i vinti, gli astri nascenti e le stelle cadenti del firma-mento di Cosa nostra.

Arrestati da Franco Di Maggio

Gli inquirenti sospettano che sin dalla seconda metà degli anni ’70, il barcellone-se potrebbe essere stato uno dei capi di una presunta associazione riconducibile a Benedetto Santapaola, operante nel capo-luogo lombardo e in altre città del territo-rio nazionale ed estero, “finalizzata alla commissione di estorsioni, omicidi, corru-zioni, detenzioni di armi da guerra”.

Un’organizzazione che avrebbe pure trafficato in stupefacenti e gestito case da gioco illegali, autrice finanche del seque-stro, nel gennaio 1975, dell’imprenditore Giuseppe Agrati, rilasciato dopo il paga-mento di un riscatto di due miliardi e mez-zo di vecchie lire. Nel maggio 1984, Cat-tafi e gli altri presunti appartenenti alla cellula in odor di mafia furono raggiunti da un mandato di cattura firmato dal pm Francesco Di Maggio, anch’egli originario di Barcellona e figlio dell’ex maresciallo della locale stazione dei Carabinieri.

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Cattafi, al tempo, risiedeva in Svizzera e ciò gli consentì di sfuggire all’ordine di ar-resto del Tribunale di Milano. Qualche giorno dopo però fu la Procura di Bellin-zona ad emettere un’ordinanza cautelare nei suoi confronti per reati in materia di stupefacenti. Ma durante l’inchiesta spun-tò pure un documento attestante una me-diazione operata dal Cattafi per la cessione di una partita di ca nnoni prodotti dalla “Oerlikon Suisse” all’emirato di Abu Dha-bi. La prima grande operazione d’export di armi da guerra del barcellonese.

Il successivo 30 maggio, Cattafi fu rag-giunto in carcere nel Cantone Ticino dal giudice Di Maggio. Impossibile sapere, ancora oggi, quali furono le domande e cosa rispose l’indagato. Il verbale dell’interrogatorio fu trattenuto dalle auto-rità elvetiche.

Al Credito Svizzero di Bellinzona

Da una relazione di servizio a firma di tale “Oliver” della Sezione Speciale Anti-crimine di Torino, si evince tuttavia che Cattafi ammise di essere l’intestatario di un conto corrente sospetto aperto tra il ‘77 e il ‘78 presso il Credito Svizzero di Bel-linzona, denominato Valentino. Lo stesso conto di cui aveva parlato ai giudici uno stretto conoscente del barcellonese, Gio-vanni De Giorgi, operatore finanziario mi-lanese dedito ai trasferimenti di valuta da e per l’estero.

“Lavoravo per conto del signor Sham-mah e il mio compito era di tenere la con-tabilità e di prendere il danaro dai clienti importanti tra i quali c’erano il costruttore romano Caltagirone e Boatti Petroli”, spie-gò De Giorgi. “Io stesso e in più occasio-ni, ho prelevato danaro proveniente dalla Svizzera per conto del Cattafi, che non vo-leva comparire”.

Per effettuare questi prelievi, il barcello-nese telefonava ad un funzionario di banca che prima prelevava le somme dal conto e poi faceva un bonifico all’operatore mila-nese. Dopo essere entrato in possesso del

denaro contante, De Giorgi lo consegnava direttamente al Cattafi. Una parte di esso serviva al periodico mantenimento dei lati-tanti dei clan catanesi.

“Cattafi si recava spesso nei casinò di Saint Vincent e Campione d’Italia e in va-canza in Costa Azzurra; ben presto mi resi conto di come costui fosse un giovane ap-partenente ad organizzazioni di tipo ma-fioso e che disponeva di amicizie e denaro della mafia”, ha aggiunto De Giorgi. “Cat-tafi riferiva tranquillamente, anzi si vanta-va, della sua appartenenza al clan mafioso facente capo all’allora latitante Nitto San-tapaola, per il quale svolgeva mansioni di consulente e operatore finanziario. In pra-tica si occupava del reinvestimento in atti-vità pulite del denaro proveniente dai cri-mini commessi dal Santapaola e dai suoi affiliati, nonché svolgeva il ruolo di garan-te in casi in cui l’organizzazione doveva trattare affari con altre organizzazioni o con qualche soggetto esterno”.

Sempre secondo l’operatore, “Santapao-la lo onorava della sua presenza in Milano, in più occasioni anche da latitante. Si fida-va a tal punto da farsi accompagnare da lui quando doveva fare shopping. Cattafi mi riferiva della cosa come onore riservato a pochi membri dell’organizzazione”.

Le autorità elvetiche concessero l’estra-dizione in Italia di Rosario Cattafi solo il 18 settembre 1884 e con esclusivo riferi-mento al reato di concorso nel sequestro Agrati. Il 30 aprile 1986, il giudice Di Maggio avanzò però richiesta di sentenza di proscioglimento. Quattro mesi più tardi il giudice istruttore del Tribunale di Mila-no, Paolo Arbasino, dichiarò non doversi procedere contro l’indagato per “insuffi-cienza di prove”.

Francesco Di Maggio e Rosario Cattafi s’incrociarono ancora durante le indagini sull’efferato omicidio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, avvenuto il 26 giugno 1983. Lo ha raccontato al Corriere della sera (8 giugno 1995), l’allora sostitu-to procuratore di Barcellona Olindo Cana-li, condannato in primo grado a due anni per falsa testimonianza commessa nel cor-

so del processo Mare Nostrum.“Fu Di Maggio ad arrestare Cattafi

nell’85 per l’inchiesta sull’omicidio Cac-cia a Torino. Fu il giudice istruttore ad as-solverlo, ma rimase dentro per un anno”. In verità, Cattafi non venne arrestato a se-guito dell’assassinio del magistrato, però fu interrogato in carcere dai pubblici mini-steri milanesi titolari dell’inchiesta.

È ancora Giovanni De Giorgi a offrire elementi inediti sull’ambiguo ruolo assun-to da Rosario Cattafi nell’indagine sui mandanti e gli esecutori dell’attentato mortale al procuratore di Torino. “Ad un certo punto riferii al Cattafi che Enrico Mezzani, persona che frequentavamo a Milano, era un agente dei servizi e che da lui in cambio di notizie avremmo potuto ottenere vantaggi”, ha spiegato l’operatore finanziario.

“Santapaola e un onorevole Dc”

“Inizialmente il Cattafi provò a cavalca-re la cosa, più che altro dando notizie ine-renti organizzazioni mafiose avversarie della sua; è in questo contesto che indicò come autori dell’omicidio del giudice Cac-cia i Ferlito”. Informazioni sugli acerrimi nemici di Santapaola dunque, in cambio di vantaggi e favori, primo fra tutti l’impe-gno (poi disatteso) del Mezzani, sedicente agente del Sisde, alla concessione del por-to d’armi al barcellonese.

E in piena guerra tra spioni e contro-spioni, il 17 aprile 1984 Enrico Mezzani rivelò al giudice Di Maggio di aver appre-so da Cattafi che il medesimo nell’estate del 1983 aveva partecipato ad una riunio-ne, “presenti tra gli altri Nitto Santapaola ed un parlamentare democristiano”, in cui si era parlato di una fornitura di armi de-stinate all’esecuzione di un attentato ai danni dell’allora giudice istruttore Giovan-ni Falcone.

Secondo De Giorgi, Cattafi avrebbe in-formato Mezzani pure su Angelo Epami-nonda, il personaggio di punta della mala-vita milanese negli anni ’80.

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Grosso trafficante di stupefacenti, Epa-minonda si era inserito con successo nel controllo delle case da gioco del nord Ita-lia, alleandosi con le famiglie mafiose sici-liane e con i clan aventi la loro sede opera-tiva nell’autoparco di Milano.

Epaminonda fu il primo a descrivere l’escalation criminale in Lombardia del giovane Cattafi. Interrogato nel dicembre 1984 da Francesco Di Maggio, Epaminon-da raccontò che qualche tempo prima si erano presentati al suo cospetto il catanese Salvatore Cuscunà inteso Turi Buatta e Rosario “Saro” Cattafi, per proporgli di cogestire un’attività di cambio assegni presso il casinò di Saint Vincent.

“Vuoi notizie sulla Finanza?”

“Dopo i primi convenevoli, nel corso dei quali Saro mi spiegò di essere legato strettamente a Nitto Santapaola, mi feci in-dicare i termini del progetto. Saro disse che agiva in società con altra persona ben introdotta nei casinò. Trattai gli interlocu-tori con sufficienza per far intendere che la proposta non era di mio interesse, almeno nei termini della società tra noi. Rammen-to ancora che Saro mi disse di essere in buoni rapporti con la Guardia di finanza, che era stata messa una taglia per la mia cattura e che avrebbe potuto interferire per avere notizie su come la Finanza si muo-veva. Risposi che la cosa non mi interessa-va, che la Finanza avrebbe potuto fare il suo lavoro tranquillamente, anche perché io avevo da vedermela con altre forze di Polizia. Io temevo che gli emissari del gruppo Santapaola, e tra questi Saro, ten-dessero a stringere rapporti con me, per poi farmi catturare”.

A Milano, Cattafi poté pure contare sul-la fiducia dei rappresentanti delle ‘ndrine (per il collaboratore Franco Brunero il bar-cellonese era legato ai calabresi facenti capo ai Ruga, “collegati a loro volta a San-tapaola tramite tale Paolo Aquilino”) e, contestualmente, degli esponenti di punta della vecchia e nuova mafia palermitana.

Sin dai primi anni ’70, il capoluogo lombardo era stato scelto quale base ope-rativa e finanziaria dai boss Gaetano Fi-danzati, Alfredo e Giuseppe Bono, Gerlan-do Alberti senior, Enrico e Antonino Ca-rollo. Milano e la Svizzera erano tappe delle missioni d’oltre Stretto di Stefano Bontate, il “principe di Villagrazia”, un’ossessione malcelata per la caccia e le macchine di grossa cilindrata, alla guida della Cupola sino alla sua morte, il 23 aprile 1981, quando fu assassinato dai Corleonesi di Riina e Provenzano.

Nel dicembre 1997, il falsario Federico Corniglia ammise davanti ai pubblici mi-nisteri Alberto Nobili e Antonio Ingroia di essere entrato in contatto con numerosi esponenti della mafia siciliana. “Conobbi in particolare il capo mafia Stefano Bonta-te, al quale consegnai due false carte d’identità svizzere”, ha raccontato. “In quella stessa occasione notai che il Bonta-te era in compagnia di uno studente di Barcellona, che si chiamava Saro Cattafi. Era un uomo di fiducia del mafioso paler-mitano, tanto che si occupò di gestire in qualche modo, un grosso debito che tale Gianfranco Ginocchi aveva contratto nei confronti di quel capo mafia”.

Il Ginocchi, ucciso il 15 dicembre 1978, era un agente di cambio con importanti re-lazioni con gli istituti di credito svizzeri e aveva compiuto operazioni di riciclaggio per conto della stesso Bontate.

“Ginocchi aveva gli uffici in via Cardi-nal Federico, proprio alle spalle della Bor-sa. Cattafi addirittura, si installò a casa di questo Ginocchi perché doveva una cifra a Bontate. Non poteva assolvere però a que-sto debito e lui era proprietario di una terra edificabile nel comune di Milazzo, dove adesso è stato edificato un grande albergo, e gli cedettero questa terra, cioè sotto mi-nacce, ma proprio fu l’uomo che fu man-dato… Il Cattafi era uno di quei soggetti che ho visto poi arrivare delle volte col de-naro, nel senso che aveva il compito speci-fico di trasferire materialmente i soldi all’estero; si trattava, in sostanza, di uno spallone”.

Gli inquirenti accertarono che Gianfran-co Ginocchi era interessato a due società finanziarie, la Royal Italia S.p.a. e l’Euro management Italia S.p.a. - International Selective, i cui nomi erano emersi nell’ambito delle indagini sull’omicidio di un altro boss del firmamento di Cosa no-stra, Giuseppe Di Cristina, eseguito a Pa-lermo il 30 maggio 1978.

Al momento della morte, Di Cristina era in possesso di due assegni circolari di 10 milioni di lire ciascuno che erano stati ne-goziati sul conto corrente delle predette società assieme ad una partita di altri asse-gni circolari per un importo complessivo di tre miliardi di lire. L’allora giudice di Palermo, Giovanni Falcone, appurò che il denaro proveniva da un vasto traffico di droga svolto tra Malta, la Sicilia e gli Stati Uniti d’America dal gruppo mafioso Inzerillo–Spatola-Bontate.

Bontate, Santapaola e i boia-chi-molla

Negli anni del “boia chi molla” e degli assalti dei calabro-barcellonesi all’Ateneo e alla Casa dello studente di Messina, Stefano Bontate e la “famiglia” di Santa Maria del Gesù, così come i Santapaola e gli Ercolano, erano di casa nella città dello Stretto.

Il collaboratore Francesco Marino Man-noia riferì delle preziose amicizie in loco di Stefano Bontate. Il padre, don France-sco Paolo Bontate, fu ricoverato dal 22 agosto 1973 al 25 febbraio 1974, data del decesso, presso la divisione di neurologia dell’ospedale “Regina Margherita” di Messina, di cui era primario il professore Matteo Vitetta e presso la quale lavorava come tecnico Santo Sfameni, il mamma-santissima di Villafranca Tirrena.

Alla masseria di don Santo bivaccava la borghesia mafiosa peloritana: giudici, do-centi universitari, medici, professionisti, militari, carabinieri, politici del pentaparti-to, fascisti di vecchia data e ordinovisti. E pure qualche amico e sodale dell’avvocato Rosario Pio Cattafi.

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Politica

Una normalizzazionemafiosa e anche sociale

La discussione in corso sul ruolo della magi-stratura e sugli argini permessi ai magistrati nell'esprimere giudizi politici è la ciclica ri-proposizione di uno scontro che sembra es-sere diventato inevita-bile in Italia

di Giulio Cavalli

Un campo di battaglia tra favorevoli e contrari, una tribuna (spesso televisi-va) di tifosi delle diverse fazioni che si esibiscono nella continua delegittima-zione l'uno dell'altro e ha portato alla banalizzazione di fondo da cui sembra così difficile uscire: ci si dice che in que-sto Paese esistano poteri buoni e poteri cattivi, dimenticandosi le persone che li interpretano.

E il risultato è fatto: giustizialismo con-tro il partito antiprocure, antipolitica con-tro politicismi e, quando il gioco sembra farsi duro, complottisti contro innocenti-sti. E sotto spariscono i fatti, le persone, i riscontri e alla fine la verità.

Ricordo molto bene una mia discussio-ne qualche anno fa quando mi capitò di essere "accusato" da alcuni colleghi tea-tranti di scrivere spettacoli con giornalisti di giudiziaria e giudici, "è compito degli intellettuali la cultura, mica dei giudici" mi dissero.

Erano colleghi che stimo, gente che scrive spettacolo preferendolo all'avan-spettacolo, che ha un senso alto dell'arte e della cultura, per dire, ma quello che mi aveva colpito era l'eccesso di difesa legit-timato dalla presunzione di un'invasione di campo che non poteva e non doveva es-sere tollerata. Confesso anche che il con-cetto di intellettuale oggi, nel 2012 in un'Italia culturalmente berlusconizzata alle radici, è un tipo che mi sfugge perché si arrotola troppo sugli scaffali o nei salot-ti televisivi di una certa sinistra piuttosto che tra le idee della gente.

Il venir meno degli intellettuali

Un nuovo intellettuale imborghesito e bolso che mostra il suo spessore nel "l'avevo detto" piuttosto che anticipare i tempi come quei belli intellettuali che si studiavano a scuola. C'è la mafia a Mila-no, l'avevo detto, c'è la massoneria tra le righe del Governo, ve l'avevo detto, c'è l'Europa antisolidale, ve l'avevo detto e via così come una litania di puffi quattroc-chi che svettano come giganti per il nani-smo degli avversari.

C'è un momento storico negli ultimi de-cenni che ha svelato l'arcano: 1992-93, le bombe, Falcone e Borsellino, la mafia, Palermo che si ribella, la Sicilia che rialza la testa e per un momento si sente abbrac-ciata da una solidarietà nazionale come non sarebbe più successo.

Un allineamento rassicurante

La gente che decide di non potere stare a guardare e la magistratura che cerca la vendetta con la verità: due mondi così di-stanti, con regole e modi così diversi, spinti dallo stesso sdegno e uniti nella stessa ricerca. Ma non comunicanti. Il po-polo con la fame dei popoli, quella del tutto e subito, per riempire la pancia di quel dolore e avere almeno una spiegazio-

ne e la magistratura ingabbiata tra i veti, la politica, i depistaggi e i falsi pentiti e le leggi che non lasciano spazio all'urgenza democratica. Forse gli intellettuali ci sono mancati proprio lì. Chi poteva avere il polso di quegli anni così caldi e aveva gli occhi per metterci in guardia dai demoni che si infilano nei grandi cambiamenti storici è rimasti isolato, inascoltato o mor-to ammazzato. E tutto intorno un allinea-mento rassicurante, come chiedeva il po-polo sotto le mura; come se la "normaliz-zazione" non sia stata solo mafiosa ma an-che e soprattutto sociale.

La rassicurazione normalizzante è stata l'ultima chiave di lettura collettiva. Poi la frantumazione, prima composta come quando si saluta per tornare a casa fino al cagnesco muso contro muso degli ultimi vent'anni.

Il tempo della parola

Per questo mi incuriosisce ascoltare il dibattito sui modi e le parole della magi-stratura che non tiene conto del percorso che ci ha portato fino a qui, della polvere che si è appoggiata su verità che comin-ciano a mancare come un lutto piuttosto che un viaggio.

Tutto condito con un'etica slegata dalla storia, dagli interpreti della classe dirigen-te che abbiamo dovuto digerire e dai pro-tagonisti che ci siamo trascinati legati al piede da quegli anni. Non esiste un modus operandi decontestualizzato dal mondo, non sarebbe concepibile nemmeno per un filosofo utopista con fiducia illimitata ne-gli uomini. C'è un tempo per alzare la voce, dopo anni di latitanza degli intellet-tuali asserviti troppo spesso al padrone di turno, un buco da colmare per tenere in piedi i pilastri della democrazia. Come dice bene Gian Carlo Caselli ci sono sta-gioni che impongono la parola. E ci vuole la schiena diritta per portarla in tasca, la parola.

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Politica

Speranze e doveridi un giornale

Sicilia: elezioni, pro-messe, grandi mano-vre. E noi?

di Giovanni Abbagnato

E' un fatto ricorrente nella politica siciliana che i partiti tradizionalmente egemoni entrino in uno stato di forte belligeranza interna per l'incapacità di ricomporre gli interessi - compresi quelli condivisi con organizzazioni ma-fiose - soprattutto in situazioni di crisi economica che accentuano gli effetti devastanti del malgoverno.

Queste sono fasi nelle quali si aprono spazi importanti per le forze politiche che, almeno nell'immaginario collettivo, sono prevalentemente collocate all'oppo-sizione, benché la crisi di idee e di rap-presentanza appaia diffusa sull'intero arco politico e la coerenza non sembri più un valore riconoscibile.

In questo clima ricorrente, che si sta vivendo anche adesso in vista delle ele-zioni per il Parlamento e il Presidente della Regione Siciliana, non si può chie-dere l’impossibile ad un giornale che pure è disponibile ad assumersi la re-sponsabilità democratica di essere parte.

Si può - e si deve! - chiedere ad un giornale di essere degno di questo nome.

Un giornale che anche in questa diffi-cile fase provi, in piena onestà e traspar-enza, ad orientare politicamente gli elet-tori, senza prendere parte incondizionatamente per chi dice di vole-re costruire l’alternativa al centro–destra siciliano, con metodi non propriamente alternativi.

Un giornale che pur scegliendo, data la gravità della situazione, di “sbilanciarsi” politicamente, condivida il disorienta-mento di larga parte del potenziale elet-torato del centro-sinistra rispetto al di-battito tra le forze politiche e i metodi utilizzati per la ricerca del consenso.

* * *Probabilmente, non era così che anda-

vano costruite le candidature del centro–sinistra, con l’ormai indiscriminato rim-balzo mediatico di chi si propone di rap-presentare il meglio della politica impo-nendosi alla gente, senza fare riferimento ad un progetto, ma con una narcisistica corsa ad anticipare gli altri.

La politica non può essere tutto un gio-co vorticoso di immagini e slogan, appa-rentemente fuori dai vecchi schemi che, però, poi finisce per precipitare in un mix di manovre di antico politichese e di nuovo degrado. Questa è una roba da unto del Signore che fa pensare che l’unto per definizione, ancora pericolosa-mente incombente sul Paese, è entrato nel costume dell’intero sistema politico italiano e nelle teste dei suoi esponenti politici, più di quanto non si voglia cre-dere.

Esiste ancora una diversità

Siamo un giornale pervicacemente le-gato all’idea che esiste ancora una diver-sità di fondo tra le diverse opzioni e sia, quindi, portatore dell’idea che in una lar-ga area progressista ci siano, nonostante i dirigenti politici e i vari leader “fai da te”, le risorse umane e civiche per affer-mare un chiaro punto di vista della e nel-la politica. Un punto di vista aperto all’uguaglianza e alla giustizia sociale, soprattutto nei confronti degli “ultimi”, quelli che prima che senza diritti, sono senza voce.

Un giornale politicamente impegnato, ma anche coerente con se stesso e onesto con tutti, capace di una vigile apertura di credito a quel centro–sinistra che, con

tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, dice di volere battere le forze del malaf-fare e della commistione politico-affari-stico- mafiosa.

Questo, si spera, non per un’afferma-zione esclusivamente formalistica della legalità, ma per un’idea alta dell’etica politica che impone cambiamenti nei rap-porti di forza nella società. Una scelta di campo che distingua sfruttatori e sfruttati e contrasti l’ampliamento della base po-vera e sottomessa della società, nelle nuove forme imposte da un capitalismo sempre più irresponsabilmente vorace.

Distinguere sfruttatori e sfruttati

Siamo un giornale che non vuole vive-re di parole vuote o di convenienza, ma vuole essere chiaro e concreto, per rilev-are, in coerenza con quanto già sostenut-o, che l’abito politico-culturale dell’ex Presidente Lombardo non è diverso da quello del predecessore Cuffaro e imper-sona una versione, nemmeno tanto ag-giornata, del più becero sicilianismo.

Un metodo di governo fondato su di un’asfissiante mediazione politico-istitu-zionale in tutti i settori della vita sociale resi totalmente dipendenti dal sistema di potere, interessato solo a perpetuare il mantenimento di mostruose macchine clientelari costruite per rendere tanti con-testualmente vittime e responsabili del degrado socio-economico e culturale di una terra dalle straordinarie potenzialità.

In questo, la storia sta dietro, ma anche davanti a noi. Un orientamento consape-vole non può essere confuso da vecchi e nuovi arnesi di quel devastante siciliani-smo – si chiami movimento dei Forconi o in altro modo più sofisticato – che sfrutta un forte e vero disagio sociale, alimentando i peggiori istinti della socie-tà siciliana, comunque responsabile di avere costantemente confermato una classe dirigente, spesso impresentabile sul piano etico-politico.

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“Speranzee doveri”

Siamo un giornale che vuol provare a

leggere la società, con rigore e senza ipo-crisia, con il coraggio di investire su un'ipotesi di cambiamento fondato su una proposta politica originale non alte-rata da “strane” alleanze.

Per esempio, come non ci possono es-sere dubbi sul vero costume politico di Lombardo, non ce ne possono essere sul vero profilo dei più reazionari tra i neo-democristiani che esercitano da sempre la vecchia politica dei due forni, “infor-nando” - ora a destra ora a sinistra - se-condo la necessità elettorale del momen-to, e si scoprono attenti alla questione morale solo quando non inficia la possi-bilità di raccattare voti. Vicenda Cuffaro-Udc docet.

Raccontare la realtà

Un giornale, che pure vuole essere de-mocraticamente e moralmente partigia-no, che osservi la realtà e i suoi interpreti con rigore e senza sconti per nessuno, nemmeno per quelli teoricamente più vi-cini per sensibilità politica.

Un giornale che, però, anche non ac-cettando il ruolo comodo della neutralità e, anzi, rivendicando il diritto–dovere di essere parte, è pronto ad assumersi la re-sponsabilità della denuncia politica quando ravvisasse errori e contraddizio-ni, anche da parte di chi dice di volere portare avanti valori politici innovativi.

In fin dei conti, un giornale che non vuole essere “compare” di nessuno, né intruppare alcuno.

Un giornale che vuole coinvolgersi, ma senza derogare al suo dovere prioritario di raccontare la realtà, quella che è e da qualsiasi parte emerga.

Insomma, un giornale... e basta.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 16– pag. 16

Un volantino

Sosteniamoi Siciliani giovani

"A che serve essere vivi, se non c'èil coraggio di lottare?”

Vi ricordate l’anno scorso, quando Santoro vi chiese i soldi per il suo “servizio pubblico”?

Dieci euro per sostenere il progetto. In centomila risposero, una grande dimos-trazione di affetto e di sostegno sicuramente. Lo sapevate che dal prossimo 25 ot-tobre Servizio Pubblico andrà in onda su La7? E i soldi che avevate dato per creare quel progetto autonomo? Vi sono stati restituiti?

Noi adesso vi chiediamo di sostenerci, promettendo di non passare a La7.

E’ passato un anno da quando dal Festival del Clandestino abbiamo annunciato ai microfoni di Telejato la rinascita de I Siciliani. Non abbiamo più rifatto un gior-nale, abbiamo fatto I Siciliani giovani, che poi, forse, lo eravamo già.

I Siciliani sono un gruppo sparso per l'Italia, Diecieventicinque a Bologna, Stampo antimafioso a Milano, Telejato, Il Clandestino, Napoli Monitor, La Dome-nica, e potrei continuare. I Siciliani sono un patrimonio comune, sono ragazzi e ra-gazze sparsi un po' in tutta Italia, sono anche professionisti e giornalisti come Mazzeo, Capezzuto, Giacalone, Finocchiaro, Salvo Vitale, Pino Maniaci.

I Siciliani siamo noi giovani, che almeno qui non rappresentiamo il futuro, sia-mo il presente e lo viviamo da protagonisti con a fianco degli ottimi maestri. Ab-biamo provato a mettere insieme il vecchio e il nuovo, passato e futuro, vivendo insieme in questo presente.

I Siciliani giovani dallo scorso dicembre hanno faticato e lavorato, e quello che abbiamo fatto l'avete visto, ci siamo anche beccati le denunce e le intimidazioni.

Siamo nati perché Giambattista Scidà ci ha ridato l'idea, perchè Giancarlo Casel-li e Nando Dalla Chiesa si sono imbarcati con noi, su questa barca che vuole attra-versare e raccontare la Sicilia e l'Italia, insieme, facendo rete, perseverando quella pubblica verità che ci ha insegnato il Direttore de “I Siciliani”, Pippo Fava.

I Siciliani giovani però si fa anche con tutti voi.Usciremo, probabilmente, in edicola come mensile dal 22 novembre,

esattamente dopo trent'anni dai "vecchi” Siciliani. Noi ci stiamo provando a fare tutto ciò ma abbiamo bisogno di voi. Tanti piccoli aiuti fanno un grande aiuto. Adesso vi chiediamo un contributo per sostenerci promettendovi che come sempre andremo avanti, navigando su questo mare in tempesta, rimanendo liberi, senza padroni alle spalle e di certo non daremo via la baracca come qualcuno, passando a La7.

Per la sottoscrizione abbiamo aperto un conto presso la Banca Etica, l'unica di cui ci fidiamo.

L'IBAN del conto è:IT 28 B 05018 04600 000000148119

Salvo Ognibenewww.diecieventicinque.itwww.diecieventicinque.it

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Memoria/ Settembre '82

Il mese che ammazzò l'ItaliaGli ultimi giorni del generale dalla Chiesadi Luciano Mirone

Dopo che dalla Chiesa rilascia quella

clamorosa intervista a Bocca, per la prima volta gli italiani si accorgono che la mafia è un fenomeno nazionale ed europeo. Quell’intervista rappresenta una svolta perché per la prima volta si parla dei Ca-valieri del lavoro di Catania come paradig-ma dell’imprenditoria mafiosa, dell’accu-mulazione illecita e del riciclaggio del de-naro sporco nelle banche o nelle attività apparentemente lecite, palazzoni di venti piani, cementificazione disordinata, centri turistico-alberghieri, ristoranti alla moda. Per la prima volta si parla di mafia “globa-le”, di “policentrismo” di Cosa nostra, di confisca dei beni mafiosi.

“Mio padre”, spiega Nando dalla Chie-sa, “disse ciò che soltanto adesso viene chiarito da Massimo Ciancimino: ovvero che c’era un patto di ferro tra Totò Riina e i Cavalieri. Ma la politica, a quelle denun-ce, non reagì. Dopo la morte di mio padre, il Psi tranquillamente flirtò con i Cavalieri, la Dc fece lo stesso e il Pci accusò gli anti-mafiosi di chiedere le analisi del sangue agli imprenditori”.

C’è una parola che dalla Chiesa – a pro-posito dei poteri speciali che gli devono essere conferiti – rivela a Bocca: “Settem-bre”. O entro settembre gli danno i poteri promessi oppure rinuncia all’incarico. Tra-dotto in parole povere: o lo Stato fa seria-mente la lotta alla mafia o me ne vado. Un perentorio aut aut che, se avesse scadenza immediata, metterebbe lo Stato con le spalle al muro. Prima di tutto perché lo Stato, la lotta alla mafia non ha mai voluto farla seriamente, e poi perché lo stesso Stato non può perdere la faccia di fronte a un’opinione pubblica sempre più inquieta, specie dopo un’intervista clamorosa come quella data a Bocca. Ma siccome quell’aut aut è fatto ad agosto, qualcuno pensa che il tempo di organizzarsi ancora c’è. Un mese è sufficiente. Settembre… Certo generale, a settembre può succedere di tutto.

Intanto si vota il rinnovo delle gestione delle esattorie siciliane. Ai cugini Salvo vengono confermati i privilegi di sempre,

e anche la legittimazione di sempre. Cade il primo governo Spadolini cui fa

seguito, pochi giorni dopo, lo “Spadolini bis”, un “governo fotocopia” in quanto composto dagli stessi ministri e dagli stes-si sottosegretari del primo. Forattini su “Repubblica” disegna il presidente del Consiglio nudo con due pisellini. E la fra-se: “Spadolini bis”.

I giornali agostani riportano le cronache di sempre, il caldo, i bagni a Mondello, gli incendi nelle campagne. Le uniche notizie che rompono il tran tran sono l’indagine nei confronti del presidente della Banca Vaticana Paul Marcinkus, l’incidente al pilota di Formula 1 Pironi, e l’arrivo a Beirut del contingente di pace.

Ma il 12 agosto nei viali del Policlinico di Palermo, la mafia uccide Paolo Giacco-ne, valoroso medico legale che si rifiuta di falsificare l’esito di una perizia relativa ad alcuni mafiosi.

Ma Palermo continua ad essere l’immo-bile, la splendida, la miserabile capitale di sempre. Apparentemente. Nel sottosuolo si muove qualcosa, qualcosa di molto grosso.

* * *Istintivamente Emanuela avverte i se-

gnali. Lei è milanese e non conosce i lin-guaggi, i messaggi, i codici che viaggiano con lo scirocco di quel terribile agosto, ep-pure ha antenne sensibili, percepisce che attorno a lei e al marito c’è una tranquillità fin troppo strana, la stessa che ha percepi-to Bocca quando si è recato in prefettura. E lo confida al generale. È una circostanza emersa al maxiprocesso istruito da Falcone. Una circostanza venuta fuori quando è stata interrogata la domestica di Villa Paino, residenza del Prefetto e della moglie. A tavola Emanuela si mostra timo-rosa: stare a Palermo è “pericolosissimo”.

Intanto il “sottosuolo” palermitano si muove, subisce fortissime scosse, mentre lassù, in superficie, nessuno avverte tre-mori, la città sembra surreale, apparente, continua a sonnecchiare, avvolta da quell’afa a quaranta gradi all’ombra. Sonnecchia il vetturino, sonnecchia il suo cavallo, sonnecchia ‘u panellaru, sonnecchia il macellaio, sonnecchia il bibitaro, sonnecchia la politica.

Solo i mafiosi sono attivi. E molto pre-occupati. Questo-ci-fotte-come-ha-fottuto-i-terroristi… Addirittura-dice-che-li-tortu-rava… Un-cuinnutu…

Dalla città apparente, gli uomini dabbe-ne fanno eco: Ma-che-vuole-questo-dalla Chiesa?-Si-vada-a- sciacquare-le-palle-a-Mondello.

Intanto i segnali si moltiplicano. In pre-fettura arrivano strane telefonate. C’è chi si presenta come giornalista, chi come uf-ficiale dei Carabinieri, chi come anonimo e dal centralista vuol sapere se la signora dalla Chiesa è in casa; chiude improvvisa-mente quando l’operatore telefonico gli chiede se intende parlare col generale.

È da un mese – da quando il nuovo Pre-fetto si è dato quella scadenza, “settembre” – che gli “uomini d’onore” si riuniscono ogni giorno al “Fondo Pipito-ne” per organizzare il piano di morte. È nel quartiere dell’Acquasanta, vicino ai Cantieri navali. Lì la Famiglia Galatolo – quella che controlla la zona – ha messo a disposizione i suoi locali per fare il “quar-tier generale” delle cosche palermitane. Il “sottosuolo” è questo. Invisibile. Impalpa-bile. Impenetrabile. Eppure sotto gli occhi di tutti. Alla luce del sole…

Il 2 dalla Chiesa incontra il ministro del-le Finanze Rino Formica. Il Prefetto sotto-pone al titolare delle Finanze il rapporto delle Fiamme gialle in cui si parla di oltre tremila patrimoni sospetti…

3 settembre. Mattina. La pazienza di dalla Chiesa è al limite, ormai ha la chiara percezione che a Roma lo hanno mollato. Avverte che la terra brucia sotto i piedi, che certi legami invisibili diventano sem-pre più chiari. “La situazione sta precipi-tando. Purtroppo quanto avevo previsto sta verificandosi, stanno venendo al pettine certi nodi che mi ero premurato di prospet-tare a chi di dovere, al momento in cui mi era stato affidato questo incarico”.

“C’era uno scenario inquietante”, dice Giuseppe Ayala, Pm al maxiprocesso “Non si capiva perché il governo non gli dava i poteri promessi. Lui pressava e loro nicchiavano. Ci fu la netta sensazione che fosse stato mandato in Sicilia e poi abban-donato a se stesso perché c’erano proba-bilmente pezzi dello Stato contrari al con-ferimento di questi poteri, pezzi dello Sta-to che lavoravano non nell’interesse dello Stato. Basterebbe questo ad ipotizzare che dietro questa strage non ci fu soltanto la mafia”.(Da: Luciano Mirone, A Palermo per morire, Ca-stelvecchi 2011)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 17– pag. 17

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accadrà ieri . . . . . . REWINDa cura di

Francesco Feola

Il vigilePIU' VELOCE DEL WEST

Il 5 settembre un vigile urbano

appena rientrato dalle ferie va

nell’armeria del comando della Polizia

Roma Capitale per ritirare la Beretta

d’ordinanza. Invece di infilarsi la

pistola nella fondina e andarsene, la

carica, fa scorrere il carrello e

inavvertitamente fa partire un colpo

che per fortuna centra il termosifone.

La vicenda riapre le polemiche

sull’opportunità di armare i vigili e

sulla loro preparazione.

Dopo un corso che dura solo alcuni

giorni, la pistola può infatti arrivare

anche dopo un anno e mezzo, quando

ormai si è dimenticato tutto. “In queste

condizioni siamo un pericolo per i

romani”, commenta Mauro Cordova,

presidente dell'Arvu, l’associazione

che riunisce i vigili urbani di Roma.

Roma: fascistiCONTRO GIUDICI E ROM

L’11 settembre il vicesindaco di

Roma Sveva Belviso interviene sulla

sentenza del Tar che ha bocciato il

trasferimento voluto dal comune di

Roma di alcuni rom da un campo

nomadi all’altro, ritenendolo

discriminatorio. Il tribunale ha infatti

messo in evidenza come anche i rom

abbiano il diritto di partecipare

all’assegnazione delle case popolari.

“Case popolari ai rom? Se le possono

scordare”, ha detto.

Piazza vietataA NEW YORK

Il 17 settembre a New York alcune

centinaia di persone vestite a festa

scendono in piazza per celebrare il

primo compleanno di Occupy Wall

Street. L’atmosfera è gioiosa. Non lo è

altrettanto il comportamento della

polizia che, al tentativo dei

manifestanti di raggiungere Wall Street

risponde arrestandone 124.

Gli indigeniDI CASTEL VOLTURNO

Il giorno dopo a Castel Volturno si

ricorda l’assassinio di sei cittadini

ghanesi ad opera di un gruppo di fuoco

del clan dei casalesi. Sono state due le

manifestazioni: una nel municipio,

l’altra sulla statale Domiziana, di

fronte al luogo dell’agguato. Presenti:

le associazioni antirazziste, il prefetto,

il questore, il pm, qualche scolaresca

venuta da fuori. Assenti: i cittadini di

Castel Volturno.

I fuciliDI PORTA PIA

Il 22 settembre si svolge a Roma, sul

Gianicolo, la commemorazione della

Breccia di Porta Pia. Partecipano anche

quaranta figuranti belgi, che indossano

gli abiti degli zuavi pontifici. Sono

però disarmati: hanno dovuto lasciare i

loro fucili (innocue repliche capaci

solo di sparare a salve) nel pullman

che li ha portati in Italia dal Belgio e

qualcuno nella notte li ha rubati.

Alla scuola,CHI CI PENSA?

Il 22 e il 23 settembre i genitori degli

80 bambini che frequentano la scuola

materna Costa di Bari si danno

appuntamento nella scuola per

imbiancare le aule. Sono stanchi di

aspettare l’intervento delle istituzioni,

visto che la prima richiesta di

riverniciare i muri era stata fatta nel

2002.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 18– pag. 18

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FORWARD . . . . accadde domani

SalernoLA SFIDA FEMMINISTA

Dal 5 al 7 ottobre a Paestum (Saler-

no) si terrà il convegno Primum vivere

anche nella crisi: la rivoluzione neces-

saria. La sfida femminista nel cuore

della politica. A trentasei anni

dall’incontro che vide riunirsi a Pae-

stum 800 partecipanti, il convegno vuo-

le provare a guardare alla crisi attuale

«con la forza e la consapevolezza del

femminismo».

Info:

http://paestum2012.wordpress.com/

RomaFESTA DELLA PAROLA

Dall’11 al 14 si terrà a Roma, presso

il csoa ex-Snia, la seconda edizione di

Logos – Festa della parola. Nei quattro

giorni del festival sono previsti dibattiti,

concerti, film, spettacoli teatrali oltre

agli stand di piccoli editori.

Info: http://logosfest.org

LavoratoriPER ESSERE “REGOLARI”

Il 15 scadono i termini per la regola-

rizzazione dei lavoratori immigrati pre-

senti in Italia almeno dal 31 dicembre

2011.

Info: www.interno.gov.it

PalermoFA' LA COSA GIUSTA

Dal 19 al 21 a Palermo presso i Can-

tieri Culturali della Zisa avrà luogo "Fa'

la cosa giusta! 2012", una delle più im-

portanti fiere del consumo critico e del-

la sostenibilità. Partecipano aziende

agricole, di arredamento eco-compatibi-

le, di moda ecologica, empori e botte-

ghe del commercio equo e solidale.

Info: www.falacosagiusta.terre.it

DossierLA CARITAS SUGLI IMMIGRATI

Il 30 verrà presentato a Roma il Dos-

sier Statistico sull’Immigrazione/2012

curato da Caritas/Migrantes. Pubblicato

a partire dal 1991, il Dossier è una delle

più accurate pubblicazioni italiane sul

tema dell’immigrazione.

Info: http://www.dossierimmigrazio-

ne.it/docnews/file/2012_Invito%20Dos-

sier.pdf

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 19– pag. 19

www.isiciliani.itLE INCHIESTE

Mafia & Affari

Il denarodi Messina DenaroNel tranquillo tran-tran di una città di provin-cia, nel “sistema” di Trapani, gli imprendit-ori di Cosa Nostra ge-stiscono un pezzo dell'economia italiana

di Rino Giacalone

Suscita una certa impressione scrive-re questo articolo che vuole raccontare i misfatti mafiosi nel trapanese e gli in-trecci che arrivano fin dentro le stanze del potere politico e istituzionale e re-golano la nuova economia in tempi di “spread”, mentre su Rai Tre va in onda una puntata del bravo Carlo Lu-carelli che è dedicata ai giornalisti nel mirino delle mafie.

L’impressione non è suscitata tanto dall’argomento, quanto perché l’inizio della puntata firmata da Lucarelli è dedi-cata a Pippo Fava.

C’è proprio Fava, ammazzato dalla mafia catanese il 5 gennaio del 1984 che, intervistato in tv il 28 dicembre del 1983 da Enzo Biagi, parla della mafia e più lo si ascolta, maggiore è la sensazione che l’intervista è di oggi.

Ecco, l’impressione è quella di una “tremenda attualità”, e ci si rende conto che non sono serviti delitti e stragi, a far-ci cambiare registro di comportamento, che lo Stato ha recitato una parte e che contro Cosa nostra non c’è stata mai una vera offensiva. Fava risponde alle do-mande di Biagi e va subito al sodo, “la mafia – dice – non è in Sicilia, è in Parla-mento, è nel Governo, ci sono ministri mafiosi, la mafia è nelle banche”. La ma-fia era dove è ancora oggi.

100 miliardi all'anno

Pippo Fava sempre nella stessa intervi-sta riuscì anche a indicare la cifra degli affari mafiosi: 100 miliardi di lire all’anno. Oggi per Cosa nostra si parla di introiti intorno ai 100 miliardi di euro all’anno. Il tempo ha premiato i mafiosi.

Se si vuole comprendere cosa è oggi il fenomeno mafioso, è a Trapani che biso-gna venire. Qui è nata la mafia sommersa prima ancora che la inventasse Bernardo Provenzano. A portare la “coppola” sono stati latifondisti, campieri, coltivatori di-retti, agricoltori, piccoli, medi e grandi imprenditori, uomini dal sangue blu, banchieri, i politici si sono aggiunti da ultimi, ci sono colletti bianchi, medici, professionisti, commercialisti.

Oggi come ieri però ci si sente sempre dire che “qui non accade niente”. Sì, per-ché a Trapani è tutto in ordine e non si deve raccontare nulla, nonostante in que-sti anni siano stati presi da queste parti latitanti di mafia e pezzi da 90 di Cosa nostra, e funzionari pubblici, imprendito-ri, politici, sono finiti sotto processo.

Qui la mafia ha coltivato il migliore consenso, che ancora oggi sfrutta, non chiede il pizzo ma riscuote semplicemen-te la quota associativa. Dalle indagini, la mafia emerge sempre più come regista di un sistema che è diventato ben accetto, l’anormalità diventata normalità. Qui Cosa nostra continua ad essere trasversa-

le nella politica, i mafiosi stringono ac-cordi da sinistra a destra; a Trapani la mafia continua ad essere un insieme di interessi, la cultura mafiosa fa da aggre-gante, da catalizzatore. La mafia trapane-se è quella che doveva pilotare negli anni ’90 l’acquisto per 1500 miliardi dell’iso-lotto di Manuel a Malta, o che negli anni 2000 ha pilotato da Roma verso questa parte del Sud fiumi di miliardi di vecchie lire prima e milioni di euro dopo. Finan-ziamenti pubblici inghiottiti dalle casse-forti del super boss latitante Matteo Mes-sina Denaro.

Nel 2012 per i più la mafia è però bat-tuta, che è come ripetere quello che si di-ceva gli anni ’80, quando si affermava che la mafia non c’era. Trapani resta cir-condata da un muro di gomma che tutto trattiene e tutto assorbe. Ogni tanto però questo muro di gomma è come se si aprisse, si spezza, poi si richiude.

Un muro di gomma

A Trapani ci sono indagini in corso su giri di bustarelle, per esempio per la col-locazione di video telecamere di sorve-glianza; ci sono anche le mazzette e le raccomandazioni a favore di un gruppo di agricoltori, che avevano la possibilità di entrare senza bussare – aprendo le porta a calci come faceva Genco Russo boss di Mussomeli - nelle stanze di mini-stri, presidenti e assessori della Regione.

Ci sono imprenditori che hanno fatto sistema per acciuffare appalti miliardari e milionari, e piccoli Comuni, come quello di Paceco, dove ancora oggi la vita è re-golata secondo regole ancestrali. Ci sono la mafia e le logge massoniche, e la poli-tica che ubbidisce, e ci sono anche politi-ci che parlano al telefono con disprezzo dei carabinieri, e addirittura dicono di es-sere in grado di rimproverare alti ufficiali dell’Arma anche per un “mancato invito” ad una festa.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 20– pag. 20

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“Un titolodi credito

da 39 miliardidi dollari”

A Paceco ci sono cantine dove in mez-

zo alle botti si regolano rapporti, e politi-ci che ufficialmente si disprezzano e si contrastano si incontrano e concordano le cose da fare.

Questo è lo scenario che protegge uno dei più importanti latitanti; mentre la classifica mondiale di Forbes colloca Matteo Messina Denaro tra i primi crimi-nali al mondo, qui c’è chi ci racconta che Matteo Messina Denaro comanda una o due famiglie di Cosa nostra. Nulla di più.

Ma non è così. Non può essere così a leggere dei sequestri e le confische, degli arresti con cui i pochi che da queste parti combattono la mafia tentano di fare terra bruciata attorno al boss, che con le mani sporche del sangue di omicidi e stragi oggi guida una vera e propria holding imprenditoriale.

Una holding

Le uniche sue foto risalgono a quando era poco più che ventenne: gli identikit mostrano un volto particolarmente invec-chiato. Matteo Messina Denaro ha 50 anni ed è latitante da 19, ha vissuto la migliore delle latitanze, tra donne, viaggi all’esterno, spensieratezza e agiatezza, decidendo strategie di morte, stragi, ma anche scalate imprenditoriali e grandi ri-ciclaggi di denaro. Matteo Messina De-naro comanda a Trapani. E a Palermo è diventato un consigliere carismatico.

Crudeltà ed equilibrio, obbedienza e senso critico, regole antiche e moderna lucidità, dolce vita e monastico isola-mento. Tutto e il suo contrario. Matteo Messina Denaro è “L’Assoluto”, così lo chiamano i fedelissimi, o ancora “la testa dell’acqua” oppure “u siccu”.

Al suo esordio viene indicato come “u picciriddu”, erede del patriarca della ma-fia belicina don Ciccio Messina Denaro, oggi Matteo Messina Denaro viene chia-mato “Diabolik”. Più che un capo cari-smatico, è un oggetto di venerazione.

Blasone mafioso riverito, il padrino di Castelvetrano porta dentro di sè la fero-cia dei corleonesi e un fiuto politico spic-cato: è il vero erede di una tradizione. Quella per cui Cosa nostra è antistato, ma anche potere reale, tessitore di legami tra famiglie, mandamenti e province, è lui il profeta della mafia del terzo millen-nio: valori arcaici dissimulati e affari spregiudicati fatti nel silenzio. E rapporti stretti con ’ndrangheta e camorra.

Messina Denaro è il cardine di interes-si criminali e politici, di trame inconfes-sabili. Il custode dei segreti di una terra che è culla di logge massoniche deviate e disegni eversivi. La terra in cui, secondo molti, Cosa nostra è nata. E dove, più che altrove, è diventata cultura di un pez-zo importante della borghesia e dei grup-pi di potere.

Adesso a dirci che la mafia ha bene piantato le radici dentro politica e istitu-zione è anche la specialistica classifica dell’«Eurispes»: Trapani “inquinata” dal-la mafia con tanto di certificazione.

Nell'ambito del Rapporto Italia 2011, l'Eurispes ha realizzato un'analisi nella quale si evidenzia il grado di fragilità e di permeabilità dei territori rispetto ai tentacoli della 'ndrangheta, della camor-ra, della mafia e della sacra corona unita : Trapani si colloca nei primi dieci posti, col 35,6 per cento di permeabilità.

“parlatene a scuola”

Ma l’ultimo dei sindaci eletti nel capo-luogo, il generale dei carabinieri Vito Damiano, che non dovrebbe essere pro-prio uno sprovveduto, al suo esordio è venuto a dire che di mafia a scuola non bisogna parlarne, mentre il suo predeces-sore, l’avvocato Girolamo Fazio era tra quelli che dell’antimafia preferiva sparla-re.

L’ultimo degli “affari” trovato tra le mani di Matteo Messina Denaro porta fin dentro la rocca di San Marino e a un tito-

lo bancario da 870 milioni di dollari. Era quanto valeva nel 1961, quando una ban-ca svizzera lo emise in favore di un mon-signore, ora deceduto, per disposizione dell’allora dittatore indonesiano Kusno Sosrodihardj, detto “Sukarno”.

Oggi, con l’aggiornamento del valore della moneta statunitense, quel titolo var-rebbe 39 miliardi di dollari, ben 45 volte di più rispetto a 50 anni addietro. Un tito-lo di credito finito in mani sicure nella cassaforte della Dda di Reggio Calabria, sequestrato dalla Guardia di Finanza nel 2009 a due boss della ’ndrangheta nel corso di una operazione antidroga.

Al Banco di Sicilia

La Procura antimafia di Reggio Cala-bria per quel titolo di credito ha fatto ar-restare 20 persone, fra cui un consulente finanziario ed un giovane avvocato di Modena. Quando nel 2009 quel certifica-to finanziario fu sequestrato era lì per lì per essere trasformato in moneta sonante, denaro liquido, al Banco di Sicilia dove erano andati gli emissari del latitante Matteo Messina Denaro dopo che l’ope-razione di scambio non era riuscita pres-so lo Ior del Vaticano.

Se questa operazione finanziaria è stata bloccata, si ha la sensazione che altre sia-no andate a buon fine. Ed è su questi ma-xiriciclaggi che le mafie in Italia hanno rinnovato patti di alleanza: la crisi di li-quidità provocata dallo “spread” non ri-guarda le organizzazioni mafiose, le ma-fie sono sbarcate nel mondo della grande economia.

Ma per i nostri politici le emergenze sono le intercettazioni e il bavaglio alla stampa, non si alza la guardia contro i trasferimenti di capitali, i movimenti di denaro, il riciclaggio. E il superboss Mat-teo Messina Denaro sentitamente ringrazia anche a nome dei capi delle al-tre mafie. Benedice tutti, lui che è “il papa della nuova mafia”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 21– pag. 21

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Negli armadi della Repubblica

“De Mauro uccisoper lo scoop su Mattei"Un delitto di Stato (non il primo, né l'ultimo) dietro la sorte del gior-nalista ucciso? I giudici ora ritengono di sì

di Aaron Pettinari www.antimafiaduemila.com

Palermo, Via delle Magnolie 58, ore 21 e 10 del 16 settembre 1970. Il giorna-lista del quotidiano ''L'Ora'', Mauro De Mauro, parcheggia e sul portone scorge la figlia Franca ed il fidanzato Salvatore, anche loro appena giunti. Avrebbero dovuto cenare insieme a po-chi giorni dal matrimonio. Lo aspettano davanti all’ascensore.

Passa qualche attimo. Franca torna sui suoi passi perché il padre, che avrebbe do-vuto averli raggiunti, non arriva.

Giusto in tempo per sentire qualcuno dire “Amuninni!” e vedere il padre “con la faccia tirata”, allontanarsi in macchina in compagnia di altre persone. “Amuninni”, una parola detta con tono fermo, quasi di comando. E’ l’ultima volta che Franca vede il padre. Undici ore dopo la famiglia denuncia la scomparsa ed iniziano le inda-gini. A distanza di 42 anni si è arrivati ad una prima sentenza processuale, per un caso che sembra non aver mai fine.

Riina non c'entra

“La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all'uccisione di Mauro De Mauro fu costi-tuita dal pericolo incombente che egli stes-se per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell'inci-dente aereo di Bascapè”.

C'è un unico filo che lega le due vicen-de, un intreccio di interessi alquanto per-verso che poi è paradigma di tante stragi avvenute in Italia. Nelle 2.200 pagine del-le motivazioni della sentenza, depositate lo scorso 7 agosto dal collegio presieduto da Giancarlo Trizzino, a latere Angelo Pel-lino (estensore della motivazione), i giudi-ci della prima sezione della Corte d'assise di Palermo spiegano il motivo per cui l'unico imputato a processo, Totò Riina, è stato assolto. All'epoca colui che venne poi definito come il “Capo dei Capi”, non era ancora al comando di Cosa Nostra.

Viene ricostruito il torbido contesto in cui il cronista del quotidiano "L'Ora" pagò il suo scoop sulla morte del presidente dell'Eni, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962. Quindi viene offerta una nuova chiave di lettura.

Non si punta il dito contro l'avvocato Vito Guarrasi, Mister X, braccio destro dell’allora presidente dell’Eni Eugenio Cefis ed eminenza grigia di diversi affari siciliani, ma si indica come mandante dell'omicidio Graziano Verzotto, ex diri-gente dell'Eni, all'epoca segretario regio-nale DC, morto il 12 giugno 2010, prima dell'ultima deposizione in aula, a Palermo.

Il ruolo di Verzotto

La sua era una figura legata ai servizi segreti francesi, che era stato coinvolto nello scandalo dei fondi neri dell’EMS de-positati nella Banca di Michele Sindona, banchiere di Dio e di mafia, nonché com-pare d'anello del boss Giuseppe Di Cristi-na, insieme con il padrino di Catania Giu-seppe Calderone.

Verzotto, secondo la Corte, ha un ruolo centrale sia nell'assassinio di Mattei che nel sequestro e nell'omicidio di De Mauro.

“Se Guarrasi è colpevole (dell’omicidio De Mauro n.d.r.), Verzotto lo è due volte di più” scrivono i giudici.

All'epoca, era in ascesa. Stava promuo-vendo la firma di un accordo italo-algerino per la realizzazione di un metanodotto tra

la Sicilia e l'Algeria finanziato da fondi della Banca Mondiale e la cui progettazio-ne era affidata alla società Bechtel di San Francisco, vicina alla Cia, "mantenendo - scrivono i giudici - un osservatorio ameri-cano costante nel canale di Sicilia, a far data dal 2 gennaio 1970, ossia in uno scac-chiere del Mediterraneo divenuto partico-larmente caldo, a quattro mesi dal colpo di Stato in Libia del colonnello Mohammar Gheddafi”.

Per la Corte di Palermo, l'interesse dell'ex Dc per il lavoro di De Mauro era "duplice". In primis perché “si ripromette-va di strumentalizzarlo in chiave anti-Cefis”, in quanto nell'estate del '70 ambiva alla sua successione come presidente dell'Eni. Poi perché aiutando De Mauro si garantiva “un osservatorio privilegiato per orientare la sua inchiesta e indirizzarla con opportuni suggerimenti, secondo la pro-pria convenienza”. Questo “fino al mo-mento in cui si è reso conto che il cronista, pur fidandosi ancora di lui, era troppo prossimo a scoprire la verità: e a quel pun-to doveva essere eliminato”.

Stava scrivendo tutto

De Mauro stava scrivendo tutto nella ri-cerca che gli era stata commissionata dal regista Francesco Rosi, per ricostruire gli ultimi giorni di vita del presidente dell'Eni in Sicilia. Sarebbe anche riuscito a scopri-re i nomi delle persone che erano al cor-rente dell'orario di partenza del volo di rientro di Mattei, all'epoca tenuto segretis-simo per ragioni di sicurezza.

A De Mauro però mancavano comunque dei passaggi. “Ancora si fidava del presi-dente dell'Ente Minerario, - si legge nelle motivazioni - mancavano solo alcuni tas-selli, alcune conferme; e le chiedeva pro-prio a Verzotto”. Costui, secondo la Corte, “non avrebbe potuto reggere ancora per molto il gioco sottile che lui stesso aveva innescato, cercando di orientare l'indagine di De Mauro nella direzione a sé più con-veniente, a cominciare dall'individuazione

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 22– pag. 22

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Nell'armadio,una cartella

dal titolo“Petrolio”

dei probabili mandanti del complotto. E l'impossibilità di fornire al giornalista i chiarimenti o le conferme che questi gli chiedeva non avrebbe certo mancato di rendere sospetto il suo comportamento”.

Il lavoro di De Mauro per Rosi era quasi terminato, “nella sceneggiatura approntata, dovevano essere contenuti gli elementi sa-lienti che riteneva di avere scoperto a con-forto dell'ipotesi dell'attentato. Bisognava agire dunque al più presto, prima che que-gli elementi venissero portati a conoscenza di Rosi e divenissero di pubblico dominio”.

Quella busta gialla

Il giorno della propria scomparsa il gior-nalista de "L'Ora" aveva con sé una busta gialla, o arancione. Al suo interno, molto probabilmente, vi era il copione per il re-gista. Con questa il collega Nino Sofia lo aveva visto passeggiare, ma poco dopo, una volta salito in redazione, la busta non c'era già più. Che fine aveva fatto? De Mauro l'aveva consegnata a qualcuno? Se-condo i giudici il cronista de “L'Ora” l'avrebbe data allo stesso Verzotto.

Il 14 settembre, nei locali dell'Ems, il giornalista e l'ex senatore avrebbero pro-prio concordato la consegna del “copione”, ormai concluso, in quanto pro-prio Verzotto si sarebbe offerto di dare una mano per la sistemazione finale, prestan-dosi a fare da "corriere" portandolo a Roma. Del resto lo stesso Verzotto aveva dato luogo ad un "lapsus linguae" durante un'udienza nel quale aveva sostenuto di non aver parlato con De Mauro il 14 set-tembre in quanto in quella data si trovava a Peschiera del Garda, dove invece si recò due giorni dopo, il 16 settembre. In quel preciso momento, rilevano i giudici, “Ver-zotto si confonde, equivoca sulla data, identificandola con il giorno della scom-parsa di De Mauro”, perché effettivamente “fu allora che Verzotto incontrò De Mauro per l'ultima volta”, circostanza che ha sempre negato.

Da far tremare l'Italia

Secondo i giudici di Palermo la rivela-zione di un attentato a Mattei, progettato con la complicità di apparati italiani (e for-se con il supporto della Cia), avrebbe avu-to “effetti devastanti per i precari equilibri politici generali, in un paese attanagliato da fermenti eversivi e tentato da svolte au-toritarie”. E' per questo motivo che vengo-no allertati gli alleati mafiosi di Verzotto e dei cugini Salvo: ovvero i boss Stefano Bontade e Giuseppe Di Cristina sancendo di fatto la delibera alla morte del giornali-sta. Erano in tanti, infatti, all'interno di Cosa Nostra, che non volevano far cono-scere i retroscena del delitto Mattei, ovve-ro quello che il collaboratore di giustizia “Masino” Buscetta aveva definito come “il primo delitto della Commissione”.

Le carte del dossier Mattei

A quel punto, "”quando i sequestratori hanno ormai la certezza che il materiale raccolto su Mattei si trova in mani sicure”, De Mauro viene rapito con tutta la sua auto, “per avere qualche ora di vantaggio sugli inquirenti, simulando un allontana-mento spontaneo con amici", ma anche perché De Mauro forse aveva portato con sé altro materiale, o magari la copia del dossier consegnato, e “non si poteva corre-re il rischio di lasciare le carte del dossier Mattei nell'auto”.

Nella sentenza i giudici mettono nero su bianco anche quanto accaduto a Bescapè, il 27 ottobre 1962. Di fatto viene conside-rata provata la matrice dolosa dell' “inci-dente aereo” in quanto vi fu un'esplosione di una piccola carica di esplosivo piazzata all'interno del velivolo.

I depistaggi

Se il “caso De Mauro” sembra davvero essere senza fine la causa è da ricercare nei continui insabbiamenti e depistaggi

che hanno caratterizzato le indagini. Sono troppi i pezzi mancanti del puzzle di que-sta storia.

Nel dispositivo che ha chiuso il processo contro Riina i giudici avevano evidenziato alcune posizioni di testimoni apparsi falsi tanto che la Corte ha tramesso gli atti al Pubblico Ministero perché proceda per fal-sa testimonianza nei confronti dell'ex fun-zionario del Sisde Bruno Contrada, dei giornalisti Pietro Zullino (morto nel gen-naio scorso) e Paolo Pietroni e dell'avvo-cato Giuseppe Lupis. Tutti avrebbero avu-to un ruolo depistante nelle indagini e que-sto verrà approfondito in un nuovo dibatti-mento.

Nel corso degli anni le difficoltà per ri-costruire la verità si sono manifestate a più livelli. Basti pensare alle indagini iniziali, che si erano concentrate verso direzioni differenti per poi infrangersi muro del si-lenzio. Per non parlare poi della singolare “assenza di notizie” negli archivi dei ser-vizi e degli apparati investigativi. A queste si aggiungono le pagine strappate dai qua-derni di De Mauro, la scomparsa degli ap-punti e del nastro con l'ultimo discorso di Mattei a Gagliano, che secondo le testimo-nianze dei familiari il giornalista “ascolta-va e riascoltava in continuazione”.

I depistaggi

Addirittura, la sentenza pone l'attenzio-ne sulla scomparsa del materiale all'inter-no di uno dei raccoglitori conservati in un armadio a casa De Mauro, il cui titolo era “Petrolio”. Un nome che riporta al roman-zo a cui stava lavorando Pier Paolo Pasoli-ni prima di morire. Strane coincidenze che aprono a nuovi scenari d'indagine.

Quel che è certo è che come come ha detto il pm Ingroia, ora “la ricerca della verità sul caso De Mauro proseguirà su due fronti”. E con il processo bis ai depi-statori si cercherà di capire chi e perché ha ostacolato la ricerca della verità. E forse si scoprirà che il delitto De Mauro non è sta-to solo un omicidio ma un delitto di Stato.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 23– pag. 23

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Napoli

Sfidaai vecchi padrini

Da Scampìa l'attacco frontale alle cosche dei Polverino e Nuvoletta. Guerra nel fortino di Marano

di Ferdinando Bocchetti La Domenica Settimanale

Scorribande dei “ribelli” nel territo-rio dei boss alleati con la mafia .Si tratta di cani sciolti che avrebbero nel latitante Mario Riccio, 20 anni, cre-sciuto nel feudo dei Nuvoletta, il loro capo.

Ai vecchi padrini hanno lanciato un vero e proprio guanto di sfida. Prima “l'occupazione” dei comuni limitrofi a Scampia, Melito, Mugnano, Casoria, Ar-zano e Casavatore, poi le ronde armate nella città (Marano) roccaforte dei Nuvo-letta e dei Polverino, poi le spedizioni punitive contro i familiari degli affiliati ai clan e le pretese di pizzo ai commer-cianti storici della zona.

Sono le nuove leve di Scampia, quei “guagliuni” che un tempo venivano con-siderati meno che manovalanza e che oggi - complice la debolezza delle vec-chie famiglie di camorra e l'assedio delle forze di polizia nei loro territori - tentano di mettere le mani sui nuovi mercati.

Nuove e fiorenti piazze di spaccio, in-somma, visto che a Secondigliano e a Scampia le forze dell'ordine hanno asse-stato duri colpi e arginato le vendite. Eventi che stanno però scombussolando gli equilibri criminali a nord di Napoli e che potrebbero avere conseguenze fin qui inimmaginabili.

L'alleato storico di Cosa Nostra

Un pezzo di faida che ormai ha valica-to i confini di Scampia, dunque, ma an-che un gesto altamente simbolico. Per molti si tratta infatti di un ceffone molla-to in pieno volto ai boss finiti dietro le sbarre: Giuseppe Polverino ('Peppe 'o ba-rone"), re dell'hashish, dell'edilizia e del mercato alimentare, di recente estradato dalla Spagna, e Angelo Nuvoletta, già da molti anni in carcere, l'uomo che aveva stretto una storica alleanza con Cosa No-stra. Un legame sopravvissuto agli arresti e alle morti dei boss più illustri.

Le voci di strada, intanto, sono un con-tinuo rincorrersi di ultimatum e contro-ultimatum. C'è chi parla del coinvolgi-mento dei Mallardo (clan dell'area giu-glianese), dei Casalesi, che in questa area hanno interessi nell'edilizia e negli appal-ti pubblici, e chi persino della mafia sici-liana.

L'offensiva dei “giovani”

Tutte e tre le fazioni sarebbero in qual-che modo interessate ad arginare l'offen-siva lanciata dai giovani camorristi, nati

e cresciuti all'ombra dei vecchi padrini, ma che da tempo hanno stretto legami con le bande criminali di Scampia.

Una truppa di cani sciolti

A capo dei “ribelli” ci sarebbe Mario Riccio (detto Mariano), poco più che 20enne, latitante, cresciuto a Marano e genero del boss “scissionista” Cesare Pa-gano. A supportarlo una truppa di cani sciolti: manovalanza di piccolo cabotag-gio, delusi rimasti per troppo tempo ai margini dei business orchestrati dai Pol-verino e dai loro affiliati, desiderosi di ri-vincita e pronti a tutto pur di compiere il salto di qualità.

Ma nel mirino delle nuove leve non ci sono solo Marano, Melito, Mugnano, Ar-zano o Casoria. Scampia infatti è anche a due passi da altre popolose città dell'hin-terland partenopeo: Giugliano, Villaricca e Qualiano in primis, terre anche queste troppo ghiotte per sfuggire alle mire di gruppi decisi a farsi largo a tutti i costi.

Come negli anni Ottanta?

Come reagiranno i vecchi boss? Saran-no in condizione di affrontare una nuova guerra, che si preannuncia lunga, sangui-nosa e che potrebbe quindi ricalcare le orme di quella scatenata (erano gli anni Ottanta) dalla Nuova Famiglia contro i cutoliani? E, soprattutto, con quali armi e quali strategie? Difficile da prevedere le scelte. Facile invece immaginare l’enne-simo scenario di violenze e di terrore.

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Napoli

Spaccio di libri antichiC'è una pista dell'Utri

“Lui investe in libri”, dice Berlusconi...

di Arnaldo Capezzuto La Domenica Settimanale

Scena muta. Niente saccio, niente dissi. Il senatore Marcello Dell'Utri in gran segreto è stato interrogato - per così dire - dai magistrati della Procura di Napoli (Michele Fini, Antonella Serio coordinati dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo) che indagano sul saccheggio di migliaia libri antichi trafugati dalla Biblioteca Girolamini a Napoli.

Il fondatore di Publitalia convocato dai pm partenopei ha ascoltato le domande, serrato le labbra, salutato e alla cheti-chella è andato via. È noto il suo spirito di collaborazione con gli inquirenti: con-dannato per mafia e sott'inchiesta dalle procure di mezza Italia.

Nel mirino degli inquirenti questa vol-ta è finita la sua passione senza freno per i testi rari e preziosi. Il senatore è un tipo poliedrico: gli piace intrattenersi, interlo-quire e accogliere mafiosi e collezionare volumi antichi. Un bibiofilo per necessi-tà. Un mercato quello dei testi antichi che si può trasformare in una buona co-pertura per chi vuole imbastire operazio-ni e movimenti finanziari.

Questa dei libri è una strana storia, l'ennesima quando c'è di mezzo Dell'Utri, il grande burattinaio. Proprio il senatore più volte è stato avvistato nel centro antico partenopeo a pochi passi dalla strada dei pastori in compagnia del-la sua storica segretaria.

Coincidenze? A Napoli oltre alla droga adesso si spacciano testi rari.

All'appello mancano precisamente duemila e duecento volumi molti dati all'estero: Germania, Spagna, Usa, Au-stralia presso case d'asta o collezioni pri-vate. Siamo alla frutta. Se da un lato Ge-rardo Marotta è costretto a fare gli scato-loni e trasferire la biblioteca dell'Istituto italiano per gli studi filosofici in un ca-pannone di Casoria dall'altro chi doveva custodire un patrimonio di inestimabile

valore l'ha messo a disposizione su co-mando.

Marino Massimo De Caro, direttore della biblioteca dei Girolamini- in carce-re dal 23 maggio - è considerato uomo di Dell'Utri. La sponda del senatore gli ha consentito – attraverso l'intercessione an-che del capogabinetto del Mibac Salvo Nastasi – ad esempio di diventare consu-lente prima del ministro Galan e poi del tecnico Ornaghi e tanto altro.

Titoletto

Tra le mani dell'amico dell'ex premier Silvio Berlusconi è spuntata una rara edi-zione di un libro di Gian Battista Vico made in Naples. Ma ci sono altri punti di contatto tra De Caro e Dell'Utri entrambi sono indagati dalla Procura di Firenze per corruzione.

“Sfruttando il suo ruolo istituzionale - si legge negli atti - il senatore avrebbe fa-vorito alcuni imprenditori del settore energetico ricevendo da tali soggetti - per il tramite di De Caro - somme consistenti di denaro apparentemente giustificate dall'acquisto di un documento antico”.

Nel recente interrogatorio - infine - so-stenuto da Silvio Berlusconi in cui com-pare come vittima di una ipotetica estor-sione operata dallo stesso Dell'Utri,lla domanda del procuratore aggiunto di Pa-lermo Antonio Ingroia di perché ha ver-sato in dodici anni la somma di 40 milio-ni di euro al senatore, l'ex premier ha af-fermato: “Marcello è un mio amico e un collaboratore prezioso, ho dato quei soldi perché lui ha solo due filoni di spesa: la famiglia ed i libri antichi”. Cosa aggiun-gere di più?

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Elezioni

Quellida non votare

Una vecchia tradizione dei “Siciliani” è quella di indicare, alla vigilia di ogni elezioni, i can-didati meno candidabi-li. Ecco qua

di Giuseppe Pipitone

Per mesi se ne è parlato come di una

certezza, un punto fermo, il primo

mattone da cui cominciare la ricostru-

zione della Regione Sicilia. “Rivoluzio-

ne” l’hanno chiamata cinque o sei

aspiranti governatori dell’isola, che il

prossimo 28 ottobre proveranno a

prendere il posto e la poltrona di Raf-

faele Lombardo. Una rivoluzione che

non poteva, anzi doveva, partire da

due magiche paroline: liste pulite.

All’Assemblea regionale siciliana si

era toccato il fondo: nell’ultima legisla-

tura sono stati ben ventisette i deputati

con qualche conto aperto con la giustizia:

il trenta per cento tondo, come dire che

passeggiando tra i corridoi di Palazzo

d’Orleans tre deputati su dieci di quelli

che si incontrano sono indagati, imputati

o addirittura condannati.

La rivoluzione però non ammette dero-

ghe. Ed ecco quindi che tutti o quasi i

candidati alla presidenza della Regione

hanno cominciato la campagna elettorale

battendo sui tamburi della pulizia. Un

leit-motiv che è rimasto appunto soltanto

un motivetto di fondo. Perché alla prova

dei fatti gli aspiranti deputati con un cur-

riculum vitae non proprio da chierichetti

sono più di uno.

Qualcuno è sfuggito perfino all’anti-

mafioso doc Rosario Crocetta che tenta

la scalata a palazzo dei Normanni, dopo

aver incassato l’appoggio del Pd,

dell’Udc e dell’Api. “L’Udc è cambiata

rispetto ai tempi di Cuffaro” ha detto più

volte l'ex sindaco di Gela. Nell’Udc però,

dopo la fuga di Saverio Romano e l’arre-

sto di Cuffaro, è rimasto Marco Forzese,

deputato ricandidato all’Ars, indagato

nell’inchiesta sulle promozioni facili al

comune di Catania dopo essere già stato

condannato dalla corte dei conti a risarci-

re il comune etneo con 4 mila e 850 euro.

Forzese era assessore ai servizi di Um-

berto Scapagnini, la cui giunta avrebbe

creato un danno di oltre un miliardo di

euro alla città di Catania. Candidato in

sostegno di Crocetta c’è anche Giacomo

Scala, presidente dell’Anci Sicilia ed ex

sindaco di Alcamo con il Pd. Scala è at-

tualmente imputato per abuso d’ufficio e

falso per alcune consulenze elargite

quand’era primo cittadino della città tra-

panese. Negli scorsi giorni è stata diffusa

la notizia di una nuova indagine per truf-

fa che vedrebbe coinvolto l’aspirante de-

putato del Pd. “E’ una notizia ad

orologeria” ha tuonato lui.

Sempre in sostegno di Crocetta si è

candidato Nino Dina, già indagato per

concorso esterno in associazione mafio-

sa, e ora in lizza per un posto d‘assesso-

re. Candidato nell’Udc c’è anche Raffae-

le Nicotra, chiamato da tutti semplice-

mente Pippo, già indagato per voto di

scambio e poi archiviato. Il suo slogan è

“il nuovo si costruisce con l’esperienza”.

“Ci vuole esperienza”

Nel suo curriculum Raffaele “Pippo”

Nicotra Pippo ha un’esperienza come

primo cittadino di Aci Catena, comune

poi sciolto per infiltrazioni mafiose. Nel

1993 il questore negò i funerali di tale

Maurizio Farace, parente di Sebastiano

Sciuto, luogotenente di Nitto Santapaola.

L’allora Nicotra non solo si oppose a tale

decisione, ma si recò platealmente al ci-

mitero per abbracciare la famiglia del

giovanotto defunto in odor di mafia. Iro-

nia della sorte, Nicotra ha all’attivo

un’esperienza come membro della com-

missione antimafia regionale. Come dire

che in Sicilia può succedere tutto e il

contrario di tutto.

Anche che un partito come il Pdl - che

detiene il record storico per indagati e

inquisiti - vari un codice di autoregola-

mentazione per mantenere illibate le pro-

prie liste. Solo che proprio durante la

presentazione del nuovo “codice pulizia”

del partito di Berlusconi, è stata confer-

mata la candidatura di Roberto Corona.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 26– pag. 26

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Chi è Corona? Un deputato uscente ar-

restato nel dicembre scorso per reati fi-

nanziari e ora rinviato a giudizio. Per

l’accusa fabbricava polizze fidejussorie

false e fino a tre mesi fa gli era vietato

dimorare in Sicilia. [Corona ha in

seguito ritirato la candidatura e non

sarà in corsa, nella lista del PdL del

collegio di Messina e provincia, . È stato

il partito a volerlo escludere per

rispettare il codice etico imposto dal

candidato alla presidenza Musumeci.]

“Dobbiamo tenere conto delle norme –

ha spiegato senza arrossire Dore Misura-

ca, coordinatore regionale del Pdl - e il

reato di cui è accusato Corona non rien-

tra tra quelli previsti dal codice antimafia

Pisanu per l'incandidabilità. Anzi, ag-

giungo che abbiamo fatto un codice di

autoregolamentazione ancora più rigido''.

Talmente rigido che anche Salvino Ca-

puto sarà ricandidato, nonostante sia sta-

to condannato ad un anno e cinque mesi

per tentato abuso d’ufficio dalla corte

d’appello di Palermo. Caputo, quand’era

sindaco di Monreale, avrebbe tentato di

far togliere una multa all’autista del ve-

scovo.Proverà a tornare all’Ars con il Pdl

anche Giuseppe Buzzanca, globetrotter

delle cariche pubbliche (prima sindaco,

poi deputato, poi entrambi) condannato a

sei mesi per peculato ( aveva utilizzato

l’auto blu per andare in vacanza) e salva-

to dalla decadenza da sindaco di Messina

grazie ad una leggina cucitagli addosso

dal governo Berlusconi: più che una leg-

ge ad personam, una legge ad Buzzan-

cam, sorrisero i maligni. E nonostante

l’inedito codice etico, il Pdl proverà a

portare a Palazzo d’Orleans anche l’ex

sindaco di Trapani Girolamo Fazio, con-

dannato in primo grado per violenza pri-

vata e sorpreso recentemente a mordere

(sissignore, mordere) un avversario poli-

tico durante una riunione del consiglio

comunale trapanese.

E se Nello Musumeci ha pensato bene

di marcare le distanze con i partiti che lo

sostengono, scrivendo sui suoi manifesti:

“governare con onestà”, Gianfranco Mic-

cichè ha intenzione di andarci cauto con

le liste pulite.

“Legalità, ma con prudenza”

“Il tema della legalità e delle liste puli-

te va affrontato, ma con prudenza” ha

sottolineato il leader di Grande Sud che

tenta finalmente la scalata alla poltrona

più alta di Palazzo dei Normanni. La pru-

denza di Miccichè si è arrestata di fronte

a Riccardo Minardo, ricandidato con

l'Mpa, arrestato l’anno scorso per

associazione a delinquere, truffa e

malversazione ai danni dello Stato.

L’ex braccio destro di Berlusconi ha

chiuso un occhio anche su Fabio Mancu-

so, fuggito dal Pdl per approdare al parti-

to di Raffaele Lombardo. Mancuso, ex

sindaco di Adrano, era stato sospeso

dall’Ars il 15 aprile del 2011 dopo essere

stato arrestato per bancarotta. Suo colle-

ga di partito è Giuseppe Arena, già se-

guace di Casini, condannato per falso in

bilancio a 2 anni e 9 mesi di carcere con

l’interdizione dai pubblici uffici.

E se finora nessun volto noto della pa-

trie galere aveva osato candidarsi come

governatore, ci ha pensato Cateno De

Luca a rompere la serie. L’ex sindaco di

Fiumedinisi fu arrestato nel 2011 e conti-

nua ad essere indagato per tentata con-

cussione e abuso d’ufficio. Con il suo

movimento Rivoluzione Siciliana tenterà

di prendere il posto di Salvatore Cuffaro

che almeno prima di andare in carcere fu

per sette anni governatore della Sicilia.

Cateno invece tenterà di realizzare il per-

corso opposto: prima il carcere poi la

presidenza.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 27– pag. 27

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Politica

Un candidatoda bruciareChi manovra contro Claudio Fava e l’alter-nativa in Sicilia?

di Sebastiano Gulisano sebastianogulisano.wordpress.com

Premessa. Sono di parte. Chi mi cono-sce sa che i miei rapporti con Claudio Fava risalgono al lontano 1984, a dopo l’omicidio mafioso di Giuseppe Fava, suo padre, nonché fondatore e direttore del mensile I Siciliani, dove ho iniziato il mestiere di giornalista.

Rapporti proseguiti negli anni con la condivisione di esperienze come quella politica della Rete (sono stato il suo addet-to stampa e il più stretto collaboratore dal ’91 al ’94, all’Ars e alla Camera) e quella del ritorno in edicola dei Siciliani nuovi (1993-1996). Insomma, con Claudio ab-biamo condiviso un pezzo di vita, “i mi-gliori anni della nostra vita” potrei dire, usando un trito ma appropriato luogo co-mune. Perciò sono di parte, perché Clau-dio per me non è un candidato qualsiasi.

Sono di parte, ma i fatti sono fatti e, da qualsiasi parte li si guardi, tali restano: fatti.

Fino al primo pomeriggio di mercoledì 26 settembre Claudio Fava è stato il candi-dato delle sinistre alla presidenza della Re-gione siciliana. Poi è successo l’impreve-dibile, l’inimmaginabile.

Iniziamo dall’ultima settimana d’agosto, quando il Fatto diffonde la notizia di un sondaggio riservato, commissionato da Pd-Udc all’Ipsos di Pagnoncelli, che dà sorprendentemente in testa Claudio Fava, seguito da Micciché e, buon terzo, il can-didato dei committenti, Rosario Crocetta; Nello Musumeci non era ancora candida-to.

Vane le smentite di Crocetta e sosteni-tori: l’istituto di ricerca conferma l’esi-stenza del sondaggio, ma tace sui dati; i committenti si guardano bene dal diffon-derli. Sondaggi successivi danno tutt’altre previsioni, con un testa a testa Musumeci-Crocetta e Fava quarto, assai staccato. E’ possibile che in pochi giorni, in seguito alla scelta del candidato da parte del Pdl, ci sia stata una poderosa ripresa del candi-dato di Pd-Udc? Diciamo che tutto è pos-sibile e chiudiamola qui.

La cronologia

Saltiamo a mercoledì 26 settembre.SICILIA: CANCELLIERI,RISCHIO

ESCLUSIONE PER CLAUDIO FAVANON RISPETTATI TEMPI DI PRESEN-

TAZIONE LISTINO (ANSA) – ROMA, 26 SET – Ci potrebbe

essere un problema legato al listino di Claudio Fava che lo escluderebbe dalle elezioni siciliane. Lo ha detto il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, a margine del question time alla Camera.

Cancellieri ha osservato: ”E’ un dato tecnico che approfondiremo, ma che temo fondato perche’ sembrerebbe non siano stati rispettati i tempi di presentazione. Sarebbe un dato oggettivo e sarebbe un’irregolarita’ difficilmente sanabile”; le norme elettorali, conclude, ”sono molto rigorose”. Y99 26-SET-12 17:07 NNNN

Dunque, poco dopo le 17 di mercoledì l’Ansa e le altre agenzie di stampa diffon-dono questa “notizia”. In realtà una colos-sale bufala, poiché i tempi per la presenta-zione dei listini scadono venerdì e quello di Fava (come quelli degli altri candidati) non è ancora stato presentato e, dunque, per potere riscontrare “un dato oggettivo”, “un’irregolarità difficilmente sanabile” bi-sognerebbe essere veggenti. Non risulta che la ministra Cancellieri lo sia.

Circa due ore dopo il Viminale corregge il tiro.

SICILIA: VIMINALE, IRREGOLARITA’ FAVA SU RESIDENZA

(V. ”SICILIA: CANCELLIERI,RISCHIO ESCLUSIONE…” DELLE 17.07)

(ANSA) – ROMA, 26 SET – In relazione ad alcune notizie relative ai requisiti della candidatura di Claudio Fava in occasione delle elezioni regionali in Sicilia, il Vimi-nale precisa che ”il ministro Annamaria Cancellieri ha fatto riferimento non ai ter-mini di presentazione delle liste, ma al re-quisito della residenza per l’iscrizione nelle liste elettorali”. (segue) NE 26-SET-12 19:12 NNNN

SICILIA: VIMINALE, IRREGOLARITA’ FAVA SU RESIDENZA (2)

(ANSA) – ROMA, 26 SET – La legge si-ciliana prevede che un candidato alle ele-zioni regionali debba essere avere acqui-sito la residenza in un comune dell’isola al piu’ tardi 45 giorni prima della data della consultazioni. Il termine scadeva dunque il 13 settembre, mentre Fava – a quanto sembra – ha acquisito la residenza in Sicilia soltanto il 18 settembre, con 5 giorni di ritardo, dunque, rispetto a quan-to stabilito dalla legge. (ANSA). NE 26-SET-12 19:22 NNNN

Stavolta l’“irregolarità” sarebbe in un presunto ritardo nel trasferimento della re-sidenza in Sicilia, non più nel listino.

Bene. Anzi, male.

La bufala messa in circolo

Resisi conto della bufala messa in circo-lo, al Viminale si documentano e, con una nota ufficiale, chiariscono che le (presun-te) irregolarità non stanno nel listino (ci voleva poco a verificare che la scadenza era due giorni dopo – avrebbero potuto farlo anche i cronisti parlamentari ma la Sicilia, si sa, è lontana da Roma…) bensì nel presunto tardivo cambio di residenza di Claudio Fava.

Di scorrettezza in scorrettezza, trattan-dosi ancora una volta di competenze dell’assessorato regionale agli Enti locali.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 28– pag. 28

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“Chi si è mosso,si è mosso prima”

Sarebbe bastata una nota in cui si smen-

tiva il veleno messo in circolo in prece-denza, chiarendo che la data di scadenza per la presentazione delle candidature e delle liste era (è) il 28 settembre. Invece no, si è voluto individuare un’altra “irre-golarità” e offrirla alla stampa con tanto di comunicato ufficiale: Claudio Fava non è candidabile. Firmato, il ministro dell’Interno. Niente male per una che non ha alcun titolo per intervenire nella que-stione, che invece ha sollevato, aperto e chiuso. Definitivamente.

A quel punto la coalizione che lo sostie-ne entra in inevitabilmente fibrillazione: se Fava non è candidabile, bisogna trovare subito una nuova candidatura, raccogliere nuovamente – rapidamente – le firme a so-stegno delle liste e del nuovo candidato nelle nove provincie e la relativa docu-mentazione elettorale per evitare di essere esclusi dalle elezioni regionali del 28/29 ottobre. Il tutto, entro mezzogiorno del 28 settembre. Essì, perché se Fava dovesse essere escluso dalla competizione elettora-le, anche le liste a lui collegate (Idv e Sel-Fds-Verdi) sarebbero escluse dalle elezio-ni. Rischiare? I segretari dei partiti, come sappiamo, non se la sono sentita di rischia-re, anche perché la pubblica presa di posi-zione del Viminale non lascia ben sperare.

Quando ho cominciato a seguire la cam-pagna elettorale di Claudio tramite il prin-cipale gruppo di sostegno su Fb (oltre 17.000 iscritti) sono andato a cercarmi la legge elettorale siciliana, modificata nel 2005, diversa da quella delle regioni a sta-tuto ordinario e diversa da quella che ri-cordavo, quella “dei miei tempi”. Una bot-ta di fortuna mi ha fatto trovare, nel sito della Regione, il testo della legge com-mentato da Livio Ghersi e Fabrizio Scimè, due alti funzionari della stessa Regione si-ciliana specialisti in legislazioni elettorali.

Ieri mattina, giovedì 27 settembre, quan-do i partiti, dopo una notte di consultazio-ni e trattative avevano già deciso di non ri-

schiare insistendo sulla candidatura di Fava, su LinkSicilia ho trovato un inter-vento di Livio Ghersi, uno dei due firma-tari del commento alla legge prima citata, che contesta le affermazioni del Viminale sulla presunta irregolarità temporale nel cambio di residenza.

Per me, Ghersi, che ho personalmente conosciuto nel periodo in cui lavorai all’Ars con Claudio, nel gruppo della Rete, è un’autorità in materia elettorale e se si espone pubblicamente smentendo la ministra Cancellieri ritengo che non lo faccia per mettersi in mostra (non ne ha bisogno) ma per tentare di correggere in extremis un’informazione errata messa in circolo da fonte autorevolissima, che ri-schia di falsare in maniera irrimediabile – stavolta sì – le elezioni regionali siciliane.

Chi ha “informato” la ministra?

Purtroppo, l’autorevole parere non fa re-cedere i segretari dei partiti che sosteneva-no Fava dall’intenzione di non rischiare e trovano una nuova candidatura, Giovanna Marano, dirigente della Fiom, degnissima e capacissima sindacalista che avrà Fava come vice, per mantenere in maniera visi-bile la continuità del progetto politico.

Chi mi conosce sa quanto io sia malpen-sante. Ma come si fa a non esserlo, in casi del genere?

L’unico candidato siciliano con possibi-lità di vittoria (vedi sondaggio riservato Pd-Udc), estraneo all’attuale maggioranza di governo e alla vecchia giunta regionale, nemico giurato dei potentati dell’isola, di-venta oggetto delle determinanti esterna-zioni della ministra dell’Interno.

Chi ha (male) informato la ministra del-le presunte irregolarità?

Chi ha (male) informato i giornalisti parlamentari delle stesse presunte irrego-larità, spingendoli a interpellare la mini-stra?

Come mai la ministra non ha dirottato i

giornalisti sull’organismo competente, cioè l’assessorato agli Enti locali della Re-gione siciliana?

Perché, al Viminale, una volta accortisi dell’errore, invece di limitarsi a correg-gerlo hanno voluto individuare un’altra “irregolarità” di Fava e renderla nota?

Chi aveva (ha) interesse a escludere Claudio Fava dalla “corsa” a Palazzo d’Orleans?

E’ legittimo sentire “puzza di bruciato” e porsi e porre domande, di fronte a inter-ferenze inaudite come quelle del Viminal-e?

O è più comodo non porsi domande e fermarsi all’apparenza del presunto tardi-vo trasferimento della residenza di Fava da Roma a Isnello, magari ironizzando, com’è stato fatto, che “non sa dove sta di casa e vorrebbe governare la Sicilia”?

E’ avere la “cultura del complotto” so-stenere – come sostengo, ragionando sui fatti – che in questa storia si è voluto fer-mare Fava per favorire altri?

Siccome sono malpensante, penso che chi sta dietro a questa losca vicenda s’è mosso prima della scadenza dei termini per la presentazione di candidature e liste perché non era assolutamente certo che un eventuale ricorso avrebbe sortito gli effetti sperati – metti che trovava dei giudici che non si lasciavano condizionare -; si è mos-so prima – ottenendo l’intervento del Vi-minale – per avere la sicurezza che i partiti avrebbero accantonato Fava e che lui stes-so, con senso di responsabilità, avrebbe fatto un passo indietro; chi sta dietro que-sta vicenda voleva essere certo di estro-metterlo dalla scheda elettorale.

Se poi la manovra sortirà gli effetti spe-rati da chi l’ha congegnata e la candidatura di Giovanna Marano non possa rivelarsi valore aggiunto alla già solida candidatura di Claudio Fava, ritorcendosi contro chi ri-mesta nel torbido, lo diranno le urne la sera del 29 ottobre.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 29– pag. 29

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Società

Milano da morire

Gente “normale” che traffica in eroina. Spa-ratorie per le strade. Muso duro ai vu cum-prà e via libera agli speculatori, anche ai più collusi. L'arancion-e sbiadisce. E Formigo- ni che non se ne va...

di Paolo Fior

Al semaforo osservo le automobili

che sfrecciano lungo la circonvallazio-

ne: Audi, Bmw, Volvo, Bmw, Audi,

Porsche Cayenne, Mini, Alfa, Panda,

Mercedes, Bmw, Jaguar, Mini, Mini,

Panda, Punto, Audi, Audi, Cayenne...

in meno di trenta secondi mi è passato

davanti l'equivalente su ruote di quasi

un milione di euro

Guardo le targhe quasi tutte fresche di

immatricolazione, vedo le facce al volan-

te, facce comuni di persone comuni, e

non posso fare a meno di chiedermi da

dove vengano tutti questi soldi.

Una domanda retorica e anche un po'

banale, però a Milano quella domanda

non se la pone più nessuno, salvo poi

sorprendersi se in una zona centrale un

killer ammazza per strada una coppia

all'ora dell'aperitivo. Gente apparente-

mente normale, a passeggio con in brac-

cio la figlioletta di due anni. Invece è poi

saltato fuori che trafficavano in cocaina e

avevano un progetto di vita che parla da

solo: aprire uno strip-bar a Santo Domin-

go.

Il can can sulla sicurezza

L'esecuzione tra la folla, caso abba-

stanza raro a Milano, ha fornito alla de-

stra l'occasione per montare il solito can-

can sulla sicurezza e per chiedere che

tornino per strada le pattuglie con i mili-

tari, dispendiosa ricetta messa in campo

negli ultimi anni dal centrodestra nazio-

nale e cittadino senza ottenere il benché

minimo risultato, se non quello di sot-

trarre risorse alla lotta alla criminalità or-

ganizzata e al riciclaggio di denaro spor-

co, una vera e propria piaga per Milano,

che del riciclaggio è la capitale indiscus-

sa.

Un fiume di denaro che si distribuisce

in mille rivoli, con un'infiltrazione

dell'economia legale così capillare da

rendere pressoché impossibile distingue-

re il bianco dal nero. C'è (quasi) solo

un'enorme melassa grigia. Oggi chi rici-

cla non lavora tanto su grandi progetti e

speculazioni su cui ci sono troppi occhi

puntati e che, come testimoniano gli in-

credibili ritardi di Expo2015, rischiano

anche di non decollare mai.

Imprese e cantieri di piccola e piccolis-

sima taglia, invece, permettono una ge-

stione ottimale dell'attività e riducono il

rischio di essere scoperti: chi si metterà

mai a ficcare il naso tra migliaia di nego-

zi e negozietti, imprese edili e società di

servizi per verificarne l'effettivo stato di

salute e la congruità del patrimonio per-

sonale dei titolari in relazione all'anda-

mento degli affari dell'azienda?

Un sistematico controllo preventivo ri-

sulterebbe forse troppo oneroso e quanto

alla lotta all'evasione, beh meglio una

bella passerella mediatica a Cortina e

Portofino che mettersi a fare sul serio.

Nuove case che nessuno comprerà

Così in piena crisi aprono in continua-

zione nuovi cantieri per costruire case

che nessuno comprerà, mentre nei quar-

tieri semi-periferici e periferici della me-

tropoli tira un'aria sempre peggiore.

“Hanno spaccato i vetri del negozio di

scarpe all'angolo, la vetrina del negozio

di vestiti, quella della cartoleria e di un

altro negozio di scarpe. Una proprietaria

era fuori che piangeva e diceva che era la

sesta volta che lo cambiava e che piutto-

sto che pagare se ne sarebbe andata. E'

da maggio che va avanti questa storia...”.

A parlare è una testimone oculare; il

fatto è successo pochi giorni fa nei pressi

di Viale Monza.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 30– pag. 30

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“Si spera solonell'effetto-domino

del caso Polverini”

Lì vicino, il giorno dopo la spettacola-

re azione del “killer dell'aperitivo”, c'è

stata una sparatoria tra due macchine in

pieno giorno. Un episodio che non ha

nulla a che fare con i precedenti, ma che

è sintomatico di una situazione che pro-

gressivamente sta degenerando.

Elicotteri, polizia...

A preoccupare non è solo il moltipli-

carsi degli episodi di violenza, quanto

piuttosto l'assenza di risposte da parte

della giunta Pisapia, che pure aveva ge-

nerato tante speranze di discontinuità e

rinnovamento dopo oltre vent'anni di de-

stra al governo della città.

O meglio, una risposta è arrivata ed è

quasi indistinguibile da quella delle pre-

cedenti amministrazioni: elicotteri, poli-

zia e carabinieri a cavallo a fare controlli

a tappeto nei parchi e in zona. Una pro-

fusione di uomini e mezzi degna di mi-

glior causa e che non risolve affatto il

problema quotidiano delle persone.

Le squadre anti-immigrati

La spettacolarizzazione della questione

sicurezza risponde solo a un'esigenza di

immagine politica e al contempo denun-

cia la subalternità culturale di un'ammi-

nistrazione che ha confermato fiducia al

comandante della Polizia Locale nomina-

to dall'ex vicesindaco Riccardo De Cora-

to.

Quel Tullio Mastrangelo che si è di-

stinto per i rapporti con Giuliano Tavaro-

li (scandalo intercettazioni Telecom), per

la creazione di squadre specializzate

come quelle che in borghese davano la

caccia ai pericolosissimi “vu comprà” e

agli immigrati clandestini o quella spe-

cializzata nello sgombero dei campi

Rom, insignita addirittura con la massi-

ma onoreficenza civica (l'Ambrogino

d'oro).

E Mastrangelo continua a guidare la

polizia locale nonostante pochi mesi fa

abbia cercato di “coprire” uno dei suoi

ragazzi che ha sparato e ucciso un uomo

disarmato al Parco Lambro.

Il sistema Formigoni

Ciò che non si vede è proprio l'atten-

zione per le persone, per il territorio,

manca ancora l'intervento sul disagio

abitativo che in tanti quartieri genera si-

tuazioni esplosive. Alle politiche sociali

finora è andato poco e nulla, mentre di

lavoro non ce n'è e in tanti si arrangiano

come possono. Se la questione sicurezza

è inscindibile dalla questione sociale, è

facile prevedere che di mese in mese an-

drà sempre peggio e reati e violenze cre-

sceranno.

Un tema questo che ai milanesi sta più

cuore della quotazione in Borsa degli ae-

roporti, ma rispetto al quale la politica –

a destra come a sinistra - è incapace di

fornire risposte nuove, innovative. Man-

canza di coraggio o mancanza di idee?

Basta allargare l'orizzonte alla Regio-

ne, al sistema Formigoni, per capire

come nessuno in questi anni si sia messo

davvero in gioco, proponendo un'alterna-

tiva e dando battaglia e anche oggi – con

una giunta regionale screditata e un go-

vernatore sotto inchiesta – nessuno si az-

zarda a dare la spallata finale, a farlo ca-

dere. E' un raffinato, machiavellico, cal-

colo politico o il terrore di perdere posti

di governo e di sottogoverno, rendite e

fette di potere accumulate in questi anni?

La risposta a questa domanda non può

essere univoca, ma è evidente che se la

sfida non viene raccolta ora, se non si la-

vora per smantellare il sistema Formigo-

ni, se gli oppositori si crogiolano

all'opposizione facendo calcoli elettorali

anziché elaborare proposte credibili e al-

ternative, allora vi è forse una complice

inadeguatezza, brodo di coltura ideale

per personaggi alla Filippo Penati.

E dov'è più la “rivoluzione”?

Lo scorso anno la “rivoluzione aran-cione” aveva portato una ventata di otti-mismo in città e ha fatto riscoprire l'impegno e la passione civica e politica a tante persone e a tantissimi giovani.

Dopo un anno e mezzo la sensazione è che solo un eventuale effetto domino in-nescato dalle dimissioni di Renata Polve-rini dalla presidenza della Regione Lazio potrebbe spodestare Formigoni dal piedi-stallo. E per una città che ce l'ha messa tutta per cercare di cambiare registro, non è un bel pensiero.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 31– pag. 31

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Antimafia

Giovani, impresae legalità: unaricetta anticrisiCinque giorni di for-mazione in un bene confiscato per parlare di sviluppo, economia cooperativa e giovani. «Qui pratichiamo il so-gno di una Sicilia sen-za mafie»

di Liberainformazione

In piena crisi economica, a Naro, in provincia di Agrigento, cinquanta gio-vani studiano per cinque giorni come fare rete per costruire comunità im-prenditoriali, con le migliori energie e competenze.

Ha la voce emozionata, Umberto Di Maggio, coordinatore di Libera in Sicilia a poche ore dall'inizio della prima edizio-ne di “GIA-Giovani Imprenditoria ed In-novazione" la Summer School che si è svolta a Naro (Agrigento) fino a venerdì 21 settembre, nella base scout "Saetta" sorta su un terreno confiscato alla mafia,

in contrada Robadao.Si E' stata un' occasione di formazione

ma è anche molto altro. «Questo momen-to di formazione – dichiara Libera - ha al centro i giovani, l'imprenditoria e l'inno-vazione. O meglio i processi di innova-zione».

«Qui pratichiamo il sogno di una Sici-lia senza mafie e corruzione» - ha dichia-rato Di Maggio all'inizio dei lavori. Que-sta Summer School si inserisce nel solco della memoria del magistrato Rosario Li-vatino e di tutte le vittime delle mafie che hanno sacrificato la propria vita per una società migliore ed è volta ad inno-vare il territorio e diffondere l'imprendi-torialità tra i giovani, tenendo a mente che il riutilizzo sociale dei beni confisca-ti è un'opportunità di sviluppo».

Dedicato a Livatino

«Cinque giorni di formazione, con esperti del settore, dichiarano gli orga-nizzatori che nasce con l'obiettivo di “li-berare le potenzialità legate alla cultura, all'ambiente, alle tradizioni di un territo-rio significa contribuire al suo sviluppo ed alla sua crescita civile ed economica, alla sua educazione nel senso etimologi-co del termine».

Ripartire, in sostanza, dalle potenziali-tà imprenditoriali dei giovani, creare le condizioni perché possano fare rete fra loro e far nascere un sistema imprendito-riale che non sia individuale ma colletti-

vo. «E' vero si tratta di un corso di formazione – continua Di Maggio – ma il vero risultato potremo misurarlo solo a partire dal giorno dopo. L'obiettivo infatti è di mettere in rete le energie, le teste, i progetti e i sogni dei partecipanti a questa prima edizione. E che insieme possano creare, finito il corso, quelle che chiamiamo comunità imprenditoriali». Fare rete, puntando sul merito e sulle competenze.

Non solo tecnologia

E ancora, ci spiega Di Maggio «sem-bra paradossale ma nella scelta della pa-rola innovazione non abbiamo voluto solo guardare alla tecnologia e alle mi-gliori prassi per sviluppare aziende, ab-biamo pensato proprio ai processi di in-novazione che in Sicilia spesso equival-gono con semplicità e efficacia alla prati-ca della legalità».

La legalità è innovazione per questa terra. La risposta alla crisi economica, ri-partire da legalità e giovani. In una regio-ne a rischio default, GIA dimostra che se le casse della regione sono in crisi, non lo sono ancora le idee e la voglia dei giovani di rimettere in moto l'economia, attraverso una nuova idea di impresa e di comunità.

«L'impresa è ardua e in salita – com-menta Di Maggio – ma non abbiamo al-tra scelta davanti a noi che provarci con tutte le energie possibili».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 32– pag. 32

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Mediterraneo

2500 annegati l'annoe ne cancelliamo anchei nomi La strage degli emi-granti e i silenzi dei po-litici. Muoiono anoni-mamente, ai parenti è negato anche cono-scerne i nomi

di Anna Bucca Arci Sicilia

Sono trascorse poco più di tre setti-mane dall’ultimo naufragio nel canale di Sicilia, ancora una volta vicino alle coste di Lampedusa, e la notizia sembra essere stata ingoiata dal nulla. Il 7 set-tembre sono state tratte in salvo 56 persone e recuperati due cadaveri: sul resto una nebulosa.

Il resto però non è un fatto tecnico ma un numero imprecisato di persone, tra 40 e 80 che secondo i racconti dei sopravvis-suti sarebbero annegate vicino all’isola di Lampione, uomini e donne di cui si è per-sa ogni traccia e negli ultimi giorni anche la memoria.

In realtà facevano già parte delle stati-stiche nei giorni appena successivi al nau-fragio. Un numero imprecisato di dispersi/ morti, che è andato ad aggiungersi ad un numero purtroppo ben definito, fatto di quelle più di 18.000 vite finite nel canale di Sicilia, nel corso degli ultimi 20 anni, nel tentativo disperato di percorrere una rotta che li portasse verso la libertà.

Questi ultimi dispersi in realtà sembra che non costituissero motivo né di preoc-cupazione né di apprensione quasi per nessuno, almeno in Italia.

Tanto che per provare a mettere in mo-vimento la situazione per avere qualche notizia in più, è stato necessario l’inter-vento del governo tunisino che attraverso alcune missioni a Lampedusa e il soste-gno dell’amministrazione comunale e di qualche realtà locale è riuscito ad ottenere i nomi dei sopravvissuti e per esclusione, anche i nomi di chi non ce l’ha fatta.

Le famiglie delle persone partite dai porti tunisini protestavano e chiedevano informazioni, nella speranza di vedere nella lista dei sopravvissuti il nome del proprio parente.

Ventimila vittime delle frontiere

Nel canale di Sicilia, nel Mediterraneo, lungo tutte le frontiere dell’Europa sono morte più di 18500 persone dal 1988. 2500 solo nel corso del 2011, secondo i dati di Gabriele del Grande che da anni monitora e denuncia la situazione lungo le frontiere. A Lampedusa, in Turchia, a Ci-pro, in Libia, in Grecia, a Malta.

E tutte volte la stessa storia, la rapidità di un passaggio televisivo finchè la cosa fa notizia e poi il silenzio. Quest’ultima volta però anche il governo provvisorio tunisino ha avuto un sussulto di dignità e si è mosso, probabilmente spinto dal

lavoro che da anni fanno le associazioni che si occupano di tutela e diritti dei migranti e che nel 2011 hanno seguito il percorso delle madri e dei genitori dei ragazzi tunisini dispersi a marzo, forse arrivati, forse mai arrivati.

L'indifferenza dell'Italia

Davanti all’indifferenza dell’Italia, al disinteresse della classe politica nell’occuparsi della cosa, è stato posto un problema - sapere la lista delle persone ar-rivate vive in Italia -, subito dopo che una richiesta del genere era giunta dal Forum Tunisino dei diritti Economici e Sociali.

Un’informazione civile, normale, di base, alla cui necessità però dall’Italia, dal centro immigrati di Lampedusa che da qualche mese ha ricominciato ad operare, non si era prestata attenzione.

Come se le persone fossero solo numeri e non storie, vite, affetti. Ma queste sono immigrati, stranieri, persino “irregolari”o “clandestini” come molta stampa li eti-chetta quasi a ridurre l’entità del proble-ma. E quindi contano meno.

Ancora per quanto potremo permetterci e permettere alla politica di voltarsi dall’altra parte?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 33– pag. 33

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Italia

Casteo istituzioni?

Un reperto d'archivio del 15 settembre

1947 riferisce che "terminata la seduta

pubblica, l'Assemblea Costituente si è

riunita in Comitato segreto. Discussione

per decidere l'indennità parlamentare e

quella di presenza. E' stata fissata in lire

45.000 per ogni onorevole e in lire 1.500

di indennità di presenza per ogni giorno

di seduta per i residente in Roma e lire

3.000 per i residenti fuori Roma". La

nota fa poi riferimento alla paga operaia

del tempo (20.000 lire) e impiegatizia

media (30.000 lire) e ricorda che "La

Domenica del Corriere costa 12 lire e un

kg. di zucchero 300 lire, di carne 2.000".

L'Italia del dopoguerra

La guerra è da poco finita, l'Italia è un

paese distrutto dalla miseria e dai bom-

bardamenti, l'antifascismo e la lotta di li-

berazione hanno dato fondamento alla

Repubblica. Sono ricominciati i contrasti

politici tra i partiti e quell'isola miracolo-

sa di confronto costruttivo che è la Costi-

tuente ha iniziato i lavori. Sono tempi

lontani che la maggior parte del paese

studia a scuola (sperando che tutte le

scuole facciano storia "contemporanea"

senza fermarsi alla prima guerra mondia-

le) e che si fa fatica a ripensare. Anche se

leggiamo la cronaca che il presidente

Scalfaro ha lasciato del suo viaggio per

raggiungere Montecitorio, la lunghezza

del percorso, la qualità del treno in

seconda classe, lo spaesamento nel

"Palazzo", non riusciamo a realizzare la

distanza che ci divide. Sarebbe invece

facile domandarsi se quella riunione

"riservata" ha aperto la via di privilegi

oggi condannati dal paese.

Di chi sono le istituzioni

Credo importante fare il punto di una

situazione che sta producendo danno al

popolo sovrano spesso orientato - temo

non a caso - a demolire le istituzioni rap-

presentative, che sono "sue". Forse noi

italiani abbiamo una storia così recente

da non averci consentito di avere tutti un

"senso dello Stato" positivo. Sembra

sempre che abbiamo a che fare con le

istituzioni - dal Parlamento alla scuola -

come se fossero le guardie regie. Perso-

nalmente sono preoccupata perché,

l'accanimento con cui vengono censurati

i "privilegi" di una sola delle "caste" che

abitano l'Italia, potrebbe facilitare il

passaggio delle cariche pubbliche nelle

mani dei più abbienti.

Di chi sono le istituzioni

Vivendo in una città in cui si sono già

sperimentate alcune "primarie", ho visto

dei bravi giovani, desiderosi di misurarsi

con una politica circoscrizionale nuova,

far conoscere la loro volontà di esserci e

le loro proposte con un paio di aperitivi e

una cena per gli amici del quartiere.

Poca cosa, ma se dovesse farsi

un'immagine un giovane precario in lista

per le elezioni politiche e non fosse un

premio Nobel conosciuto da tutti, ma do-

vesse confrontarsi con campagne eletto-

rali costose (la presidente-della Regione-

Lazio-che-preferisco-non-nominare ha

detto di aver speso 6 milioni), temo che

verrebbe escluso. O si escluderebbe, per-

ché (ho detto un precario) anche se riu-

scisse, non avrebbe sicurezza (se si tor-

nerà al proporzionale, non è detto che la

legislatura durerebbe 5 anni).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 34– pag. 34

La nostra antica diffidenza verso le istituzioni si somma a un'etica politica sempre più degradata. Gli episodi di malcostume si moltiplicano ogni giorno. E così rischiamo di smarrire il concetto stesso di rappresentanza

di Giancarla Codrignani

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“Era nata povera,la Repubblica.

Poverae onesta”

Allora, i Costituenti decisero per se

stessi (poi uscirà l'art.69 della Costituzio-

ne) di avere un'indennità (che non signi-

fica stipendio) e il Parlamento - con la

legge 1261 del 1965 - stabilì che non su-

perasse il trattamento del penultimo li-

vello della Magistratura.

Ancor oggi la base teorica è rimasta di

5.246,54 euro, che più o meno rispetta la

proporzione con la cifra decisa dai Costi-

tuenti, ma che non corrisponde al tratta-

mento di un Presidente di Cassazione

(circa 294.000 annui); per questo i cam-

biamenti sono andati in deregulation e

oggi diventa difficile distinguere fra dia-

rie e rimborsi legittimi o privilegi da ca-

sta (che ovviamente andrebbero elimina-

ti).

Un mestiere come un altro?

Il vitalizio (anche questo termine era

indicativo di una funzione specifica) è,

dopo le critiche recenti, diventato una

"pensione" (il che significa che quella di

parlamentare sta diventando un mestiere

come un altro). Forse è giusto così, ma

allora il legislatore che fa le leggi ed è

ancora commisurato con il magistrato

che le applica, potrebbe essere equipara-

to ad un manager, i cui emolumenti di

casta sono ben più onerosi per la società.

Alcune critiche investono gli assistenti

(portaborse). Chi fosse stato in Parla-

mento prima degli '80, se pensava che

rappresentare il paese non significava

scrivere lettere e attaccare francobolli,

trovava qualche collaborazione "in nero"

Quando se ne riconobbe il diritto (e

davvero la complessità dei problemi via

via crescenti ne comporta la necessità),

la Camera caricò lo stipendio del segreta-

rio sull'indennità parlamentare e così in-

cominciò la serie degli impieghi ad

amanti o zii o ad apparati di partito.

La contorta storia degli abusi

Oggi ci si è finalmente decisi alla tra-

sparenza e le assunzioni le fa la Camera

con contratti a termine, cosa che non era

possibile quando c'era il rischio di perdi-

ta del lavoro per elezioni anticipate, Gli

abusi talvolta hanno una loro storia con-

torta.

E' ovvio che io ritengo non democrati-

co non aver provveduto per tempo a dare

il massimo di trasparenza ai bilanci di

Camera e Senato: non importa se qualche

milione in meno non avrebbe dato grandi

benefici alternativi, perché ci sono que-

stioni di assoluto principio e le istituzioni

non possono decadere in dignità.

Non esistono giustificazioni neppure

per il costume italico, quello per il quale

all'estero siamo, quando ci va bene, deri-

si. Non è questione di indulgenza, ma

quando le cose erano inconfrontabili con

il malcostume indotto da vent'anni di

berlusconismo e di grandi fratelli (pen-

siamo solo al degrado del linguaggio nel-

le istituzioni), l'etica politica stava già

con un piede sul piano inclinato.

Clientelismo e raccomandazioni, le

pensioni di falsa invalidità erano prassi

elettorale democristiana e nelle missioni

all'estero c'era chi, se per caso restava

una serata per un teatro, voleva caricare

il biglietto sulle spese istituzionali. Cose

da poco, su cui c'è chi ha fatto mangiato-

ie e corruzioni.

Il senso della rappresentanza

Oggi, proprio perché sono molto pre-

occupata che si stia perdendo il senso

della rappresentanza e, quindi, del voto

(per conquistare il quale tanti sono

morti), vorrei che ci fosse - soprattutto da

parte dei giovani - voglia di capire che

cosa si fa quando si va a dare un voto a

una lista o a una persona (ovvio che ci

vuole un'altra legge elettorale, ma per ora

in Parlamento deve avere il voto del

PdL) e che cosa deve e può fare chi vie-

ne "eletto", cioè "scelto per rappresentar-

mi". Imparando anche dai limiti inelimi-

nabili nel confronto tra parti diverse (che,

da noi, non si uniscono mai), ma esigen-

do che chi mi rappresenta mi dia modo di

esercitare un controllo, di sapere che

cosa fa davvero: oggi non conosciamo

altro che quello che fa rumore.

Ma davvero “sono tutti uguali”?

Ma non si può andare avanti pensando

che sono tutti uguali: c'è il rischio che,

per il disgusto dei peggiori (pur libera-

mente votati dalla maggioranza del popo-

lo) si rinunci a ridare dignità alle istitu-

zioni. Cioè a noi stessi.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 35– pag. 35

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All'Università di Catania...

Mi laureoin Propaganda

Elezioni regionali, la candidata Udc si fa pubblicità tramite l’università. La Procu-ra apre un’inchiesta

di Leandro Perrotta www.Ctzen.it

Sono stati migliaia gli iscritti all'Uni-versità di Catania a ricevere, lunedì 17 settembre, la mail elettorale in cui un giovane, tale Daniele Di Maria, invita-va a votare Maria Elena Grassi, diri-gente scolastico dell'istituto secondario Lucia Mangano di Acireale, candidata alle prossime regionali in Sicilia per l'Udc, partito che sostiene Rosario Crocetta insieme al Pd.

Una email non richiesta, classico spam elettorale. Solo che questa volta è stata inviata dai server dell'Università di Cata-nia come è ben visibile nel codice della email. Parte il tam-tam sui social net-work, e la Grassi, sentita telefonicamente sembra sorpresa. Ma si scusa: «i miei so-stenitori», sostiene la ormai ex candidata, ritiratasi dalla competizione elettorale proprio a seguito di questo scandalo, «hanno fatto tutto da sé, non ne sapevo nulla, e mi scuso con chi ha ricevuto la mail non richiesta».

Peccato che Daniele Di Maria non sia solo un semplice ammiratore, ma il figlio della Grassi, come scoprono ben presto i ragazzi del Movimento studentesco cata-nese visitando i locali del Rettorato mar-tedì 18. Le stanze sono piene di santini elettorali della professoressa. Del resto proprio a fianco del rettore Antonino Recca, ex coordinatore regionale del par-tito della Grassi, lavora Nino Di Maria, marito della Grassi e padre dello «stu-dente» Daniele.

Alcuni studenti denunciano il fatto alla polizia postale e chiedono spiegazioni all'Ateneo, che tuttavia tace. A parlare in-vece è nuovamente Daniele Di Maria, il figlio della candidata. E lo fa ancora una volta via email. Si difende puntando sul-la libertà del web, ma non evita di allega-re anche in questo caso il santino eletto-rale della madre.

Il rettore: “Una ragazzata”

Come abbia fatto Daniele Di Maria a utilizzare gli indirizzi email dell'Ateneo è oggetto di una indagine della Procura di Catania. Il sostituto procuratore Miche-langelo Patané ha infatti iscritto Di Maria nel registro degli indagati per violazione della legge sulla privacy, un'imputazione che potrebbe costargli il carcere da tre mesi a tre anni

L'uso del database dell'università per inviare gli indirizzi sembra tutto fuorché una «ragazzata», definizione usata dal rettore Antonino Recca per archiviare la vicenda. Recca minimizza, si giustifica nascondendosi dietro errate considera-zioni tecniche. Ma in realtà la sua difesa fa acqua da tutte le parti.

«Chi si collega dall'ateneo, anche da

rete wireless, utilizza i nostri server di posta», spiega Recca in una email inviata ai docenti il giorno successivo allo scop-pio del Mailgate.

Un’eventualità facilmente smentita dal codice della email che, esaminato da un utente mediamente esperto, mostra chiaramente che il ragazzo non era fisicamente collegato alla rete dell'Università, ma aveva solo usufruito del server email per inviare il messaggio a gran parte degli oltre 50 mila iscritti all'Università di Catania.

Con tanto di autorizzazione

Qualcuno all’interno dell’Università, insomma, ha abilitato l’indirizzo email di Di Maria figlio, garantendogli l’accesso all’intero archivio di contatti dell’ateneo.

Ipotesi confermata da fonti interne all'Ateneo e che apre un quadro preoccu-pante. Perché le normali prassi ammini-strative di Unict prevedono moduli da riempire e permessi a tempo anche solo per inviare una mail tra gli uffici. E da quando è in vigore il nuovo statuto che centralizza i poteri del rettore «tutte le comunicazioni passano per l'amministra-zione centrale», come conferma un do-cente. Era dunque impossibile inviare l’email, se non con l'intervento dei tecni-ci d'Ateneo, autorizzati normalmente proprio dall'amministrazione o dal Retto-rato. Lo stesso posto dove lavora il padre di Di Maria, marito dell’ex candidata Udc Maria Elena Grassi.

«Nessuno ha avuto accesso ai dati de-gli studenti», dichiara Lucio Maggio, di-rettore amministrativo dell'Università di Catania. Una risposta che non esclude al-tre imputazioni.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 36– pag. 36

www.isiciliani.it “Chiudonola web tv

degli studentie aprono quella

del fratellodel rettore...”

Il rettore Antonino Recca.

«E’ un caso di scuola, tanto che è stato oggetto di parere all’ultimo esame di av-vocatura - spiega Luca Caldarella, procu-ratore legale - Un carabiniere che, sfrut-tando la sua posizione, accedeva all’ana-grafe per individuare potenziali patentati per l’autoscuola di sua moglie al fine di inoltrare materiale pubblicitario».

Funzionari coinvolti?

Se si accertasse la responsabilità di un funzionario dell’università, potrebbe scattare l’accusa di abuso d’ufficio, puni-to, ricorda Caldarella, «con la reclusione da sei mesi a tre anni e il licenziamento». La polizia postale di Catania, su ordine della Procura, starebbe indagando pro-prio in questa direzione.

In attesa della verità giudiziaria, il Mo-vimento studentesco catanese chiede di «conoscere le responsabilità del Rettore nella vicenda», mentre l'associazione Ar-ché pone pubblicamente cinque domande a Recca. Una su tutte: «Maria Elena Grassi è la sua candidata?».

In realtà la Grassi è ormai un’ex candi-data, visto che il giorno dopo la notizia dell'avvio delle indagini, ha annunciato il suo ritiro.

«Le polemiche di questi giorni – co-munica – mi inducono a ritirarmi dalla imminente campagna elettorale e a conti-nuare a prestare il mio servizio nel mon-do della scuola». Secondo la segreteria provinciale dell'Udc si è trattato di «una decisione autonoma».

Ma, come spiega un avvocato penalista

- che preferisce restare anonimo - «il ritiro della candidatura servirà a salvaguardare il figlio Daniele Di Maria, nel caso si accertasse il reato di violazione della privacy, e il padre nel caso di una imputazione per abuso di ufficio».

Lei intanto s'è ritirata

Secondo il legale, venendo meno lo scopo dell'invio della email, ovvero la promozione della candidatura, cade an-che il vantaggio derivante dall'occupa-zione di una determinata posizione all'interno dell'amministrazione. Il caso del Mailgate, dunque, potrebbe essere ar-chiviato senza mai arrivare a un proces-so.

I Sicili iI Sicilianigiovanigiovani p – pag. 37

ATENEO DI FAMIGLIAWEB TV DA 370MILA EUROE IL PRIMO CONTRATTOVA AL FRATELLO DEL RETTORE

Email elettorali dai server dell'Ateneo, concorsi per docenti truccati. E quello strano bando per la nuova web tv dell’Università. I docenti del Coordinamento unico d'Ateneo hanno ormai ribattezzato Unict con il termine «Universilandia». L'ultimo episodio vede infatti il rettore Antonino Recca, figlio dell'imprenditore televisivo Pippo Recca, fondatore della tv Teletna, varare un bando da 370 mila euro per una «web tv». Sono richieste attrezzature di altissimo livello, per uno studio totalmente in HD. Una spesa praticamente inaccessibile a qualsiasi professionista. La tv, però vanta già i suoi primi tre assunti. Tra questi spicca il fratello del rettore, Severino Recca, designato capo della nuova televisione dell’Università. La procedura, fanno sapere dall’ufficio stampa di Palazzo centrale, è avvenuta lo scorso maggio con modalità «comparativa».

Assieme a Severino Recca – che si occuperà della produzione e che è entrato in servizio già dal primo settembre – sono stati selezionati Rosaria Macauda per il palinsesto e Christian Bonatesta che si occuperà della regia. Per stoppare le polemiche, esplose quasi subito dopo l'annuncio del contratto famigliare, l'Ateneo ha fatto sapere che «Severino Recca rinuncerà al compenso». na decisione che vale 18mila euro, a tanto ammonta il compenso annuo. Intanto è già a lavoro per mantenere le promesse fatte dal fratello rettore: «arricchire il bouquet di strumenti di comunicazione di cui l’Università etnea è già dotata grazie al Bollettino d’Ateneo e Radio Zammù».Peccato che la voglia di rimpolpare il bouquet non sia passata nella testa del rettore quando c’era da sostenere Step1, il periodico telematico della Facoltà di Lingue che negli anni aveva riscosso premi e consensi a Catania e in giro per l’Italia, e che è stato spinto fuori dall’Università. Una voce troppo poco istituzionale. Molto meglio una web tv a gestione famigliare.

L.P.

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Sicilia

“Si Marsalaavissi 'u portu...Perché il porto nuovo non si fa? Chi dice per colpa della poseidonia (una rara alga protetta), chi per colpa dei politi-ci. Vediamo...

di Francesco Appari e Giacomo Di Girolamo

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“Si Marsala avissi 'u portu - dice un proverbio locale - Trapani fussi mortu”: il proverbio non sintetizzare soltanto, in maniera campanilistica, la rivalità con la vicina Trapani, ma anche il fatto che, a Marsala, il porto è sostanzialmente nelle stesse condizioni di come lo lasciò Garibaldi quando vi sbarcò 152 anni fa.

Non ce n’è più. Giusto poco tempo fa il tetto di un vecchio capannone è crollato. Ogni tanto il mare decide di portare con sé un pezzo del molo principale. Di grandi navi, qui, non se ne vedono da parecchio. I fondali ormai sono troppo bassi. E i pescatori non sanno più dove ormeggiare i pescherecci.

Insomma, a Marsala è da decenni che si parla del nuovo porto. Niente. In compen-so c’è un sindaco nuovo, Giulia Adamo, ex capogruppo Udc all’Ars. Durante la campagna elettorale ha fatto tante promesse, come tutti. Tra tutte, quella di realizzare il porto nuovo, con i soldi pub-blici, e senza darlo in concessione ai pri-vati.

Già, perché da qualche anno una società privata, la Myr, ha deciso di investire sul porto. Conferenze di servizi, riunioni con la precedente amministrazione, ricorsi al Tar. La Myr in accordo col Comune, se-guendo la legge Burlando, può risanare il porticciolo turistico e mettere in sicurezza il molo principale. Tutto nero su bianco.

La Myr appartiene a Massimo Ombra, fratello di Salvatore. Quella degli Ombra è una delle famiglie di imprenditori più atti-ve sul territorio. Salvatore Ombra nelle ul-time amministrative è stato l’avversario principale di Giulia Adamo. Una campa-gna elettorale al vetriolo: denunce, quere-le, porto pubblico o porto privato. Perché secondo Giulia Adamo per il porto c’è già un progetto alla Regione. Lo ripete in campagna elettorale: “la Regione ha un mare di soldi, c’è progetto da 50 milioni di euro, perché lasciarlo in mano ai privati?”.

La Regione è piena di quattrini. Un mare di soldi. E il mare davanti al porto è pieno di posidonia. Nell’ecosistema del Mar Mediterraneo la posidonia è una spe-cie protetta, perché libera ossigeno nel mare, offre riparo ai pesci, consolida il fondale, previene l’erosione costiera, smorza le mareggiate. Per il sindaco Ada-mo questa posidonia è un’erbetta, eppure questa “erbetta” è protetta dalla legge. Nel mare dove c’è la posidonia non si può far nulla.

Un'alga che arriva in Procura

Questa “erbetta” è un’alga lunga, lun-ghissima. Che ha anche un filo ideale. Co-mincia davanti al porto di Marsala, ed arriva dritta dritta in Procura.

Fino a poco tempo fa esisteva un progetto per la costruzione di una diga an-temurale per la messa in sicurezza del por-to di Marsala. Costo: 14 milioni di euro. Una barriera da collocare davanti all’imboccatura del porto. Alla Regione però fanno la mappatura del mare

antistante al porto, e scoprono che c’è tanta posidonia. Quindi la diga non si può fare: cade tutta sulla posidonia. Bisogna cambiare progetto.

Dato che il Comune di Marsala ha nel frattempo attivato la procedura per la crea-zione dell’area portuale, con il contestuale affidamento ai privati, viene chiesto alla società aggiudicataria, la Myr, di pensarci loro alla sicurezza del porto. Alla Myr questo costerebbe 12 milioni di euro. Però forse ne vale la pena: meglio intervenire subito per fare un’opera senza la quale il porto non si può costruire, che aspettare i tempi morti della Regione, che dovrebbe rifare il progetto.

Conflitto d'interesse

E invece la Regione non sta ferma. Nel 2010, in parallelo al Comune di Marsala, per la realizzazione del porto si muove an-che la Regione Siciliana, tramite un inter-essamento diretto di Giulia Adamo, deput-ato all’Ars. È lei stessa che annuncia che è stata affidata la progettazione della messa in sicurezza del porto direttamente al capo del Genio Civile delle Opere Marittime, l’ingegnere Pietro Viviano. “Così rispar-miamo un sacco di soldi e non diamo il porto ai privati” dice Giulia Adamo.

Dimentica di dire alcune cose. Nell’ ordine: il progetto pubblico della Regione costa 50 milioni di euro, non i 12 milioni che costerebbe ai privati, né i 14 del primo progetto. E sono soldi pubblici. Viviano, poi, è capo di un ente che in quel momento sta valutando un progetto, quello dei privati, che è incompatibile con il pro-getto che sta redigendo. C’è un bel conflit-to di interesse. Viviano, inoltre, è un fede-lissimo di Giulia Adamo, è stato anche suo consulente ai tempi in cui il sindaco era Presidente della Provincia.

Chi progetta e dirige l’opera in questio-ne si prende il 2% circa di onorario. Su 50 milioni di euro, è un bel gruzzolo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 38– pag. 38

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“Tavole non conformialla mappatura”

Il sindaco Addamo e i progettisti

Costa così tanto, il progetto, perché prevede l’allargamento a dismisura dei piazzali. C’è da accontentare un sogno segreto di Giulia Adamo: fare arrivare a Marsala, come già accade nella rivale Trapani, le navi da crociera.

A gennaio del 2012 cominciano già i la-vori di carotaggio davanti al porto di Mar-sala. Il progetto pubblico redatto da Vivia-no viene depositato a fine Aprile. Adamo ne fa materia di campagna elettorale: "Il progetto pubblico è stato analizzato in tutti i dettagli. È esecutivo e cantierabile".

Una volta eletta Sindaco, Giulia Adamo decide dunque di sposare il progetto pub-blico che lei stessa ha sponsorizzato da de-putato regionale. Tant’è che alla conferen-za di servizi del 7 Giugno sul progetto pri-vato - che nel frattempo va avanti, in una situazione sempre più grottesca - dal Co-mune di Marsala non si presenta nessuno. Come dire: questa cosa non ci interessa.

Interessa però a Viviano, progettista dell’opera pubblica concorrente ma anche rappresentante del Genio Civile Opere Marittime. È Viviano che dà in quella sede un parere negativo al progetto privato.

Il Comune di Marsala continua a spingere sul progetto pubblico. Il Sindaco Adamo, il progettista Viviano e tutti fanno anche una foto di gruppo durante una riu-nione che segna, dicono ”un ulteriore pas-so avanti per la messa in sicurezza della struttura portuale”.

È tutta una presa in giro però. Perché, mentre Adamo e Viviano si fanno i com-plimenti a vicenda sul progetto del porto, l’assessorato alle Infrastrutture della Re-gione Siciliana decide di vederci chiaro. Le due opere, pubblico e privato, sono in-compatibili: così non si può andare avanti. All’assessorato acquisiscono i due proget-

ti, spulciano un po’ le carte.E spunta la posidonia. Una società pri-

vata, la Prisma, ha fatto la ricognizione dei fondali, e ha disegnato una mappa contras-segnando le zone dove c’è posidonia. Una cartina colorata, roba che piace ai bambi-ni. Dove è verde vuol dire che c’è posido-nia e non si può fare nessun tipo di molo o barriera.

Il progetto della Regione di qualche anno fa (quello economico, 14 milioni di euro) era stato bocciato perché cadeva tut-to sulla posidonia. Ma con grande sorpre-sa, i tecnici della Regione scoprono che anche il progetto nuovo, quello che costa 50 milioni di euro e redatto da Viviano, poggia sulla posidonia.

E la mappa cambiò colore

Ma, e qui viene il bello, qualcuno ha cambiato la mappa, e ha fatto diventare la zona vietata di un altro colore, per dire che si può costruire. Il verde diventa marrone. Lì dove la mappa diceva “posidonia”, adesso dice "posidonia morta".

Stessa mappa, stesso documento, stessa data, stessa elaborazione: un altro risulta-to. La posidonia scompare. E il progetto di Viviano (quello pubblico), come per in-canto, è fattibile. Magia. O reato.

A proposito di reati. A firmare il proget-to del porto di Marsala, con l’ingegnere Pietro Viviano, è tale Leonardo Tallo, come direttore tecnico. Tallo è stato arre-stato lo scorso 4 Giugno. Da progettista e direttore dei lavori, è coinvolto in un inda-gine sul cemento depotenziato utilizzato per la costruzione del porto di Balestrate. Ha attestato falsamente, secondo la Procu-ra, i volumi del porto, e non ha vigilato

sulla qualità dei lavori. Secondo i magi-strati, dalla progettazione al collaudo, il porto di Balestrate è tutto un falso, tutto un unico corpo di reato.

Ma torniamo a Marsala. La parola fine al progetto pubblico la mette proprio l’Assessorato alle Infrastrutture. Che si ac-corge dell’anomalia e manda tutte le carte alla Procura di Trapani. Ma il procuratore Capo, Marcello Viola, le carte ce le ha già. La polizia giudiziaria ha fatto un blitz ed ha acquisito tutti i faldoni della progetta-zione del porto di Marsala il 30 luglio.

Sempre l’Assessorato, dal canto suo, lo scorso 10 Agosto scrive all’Ingegnere Vi-viano ed al Genio Civile di Trapani: il pro-getto pubblico si basa su una documentaz-ione falsa. In burocratese si parla, elegan-temente, di “difformità tra gli elaborati”. “Le tavole non sono conformi alla mappa-tura della posidonia elaborata dalla ditta Prisma”. Ancora: “c’è una vasta prateria di Posidonia oceanica nei fondali sui quali dovrebbe insistere la diga antemurale” del progetto tanto caro al Sindaco Adamo.

E c’è ancora un altro fatto singolare in questa vicenda. Si viene infatti a scoprire che il progetto pubblico, quello di Viviano sponsorizzato da Adamo, vede per la pri-ma volta la luce non in una conferenza pubblica, ma nello studio del consigliere comunale Antonio Provenzano, pupillo del sindaco Adamo, davanti ad altri consiglieri. A che titolo non si sa.

La storia delle carte false è una bomba. Il sindaco Adamo urla al complotto e non chiarisce la faccenda. Parla di sterili pole-miche, e non manca l’attacco alla stampa. Fatto sta che il progetto del porto pubblico è praticamente morto, materia per la Pro-cura.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 39– pag. 39

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Il mestiere di giornalistadi Lello Bonaccorso

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 40– pag. 40

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Sicilia/ Falcone “colonia di mafia”

Inchieste,silenzie grida “Un’infamia!” grida il sindaco: e querela l'autore dell'inchiesta. Poi travolto dalle pole-miche (e dall'ondata di solidarietà col cronista) ripiega su una lettera aperta “per difendere il buon nome del paese”

di Carmelo Catania

Ma che sta succedendo a Falcone, piccolo centro incastonato tra mare e colline in provincia di Messina?

L’attuale sindaco (al secondo mandato), l’avvocato Santino Cirella, lo definisce un paradiso di cui andare fieri. «Meravigliose spiagge di finissima sabbia dorata, impa-reggiabile mare di un verde cristallino, gente laboriosa che respira aria di libertà, di serenità e spensieratezza».

Sembrerebbe proprio un bel posto, e non solo per andarci in vacanza , ma an-che per viverci e decidere di metter su fa-miglia. Ma gli avvenimenti delle ultime settimane gettano più di un’ombra sull’isola felice di Santino Cirella.

Consiglieri nel mirino

La storia, finora rimasta in sordina, era in realtà iniziata il 3 agosto dello scorso anno, quando i consiglieri di minoranza del gruppo Rinascita Falconese, avevano denunciato ‒ in un documento pubblico inviato anche al prefetto e al ministro de-

gli Interni ‒ come da alcune indagini por-tate avanti dalla procura antimafia di Mes-sina fosse emerso il sospetto di un condi-zionamento dell’esito delle ultime ammi-nistrative e di possibili intrecci tra mafia, imprenditoria e politica. Per questa loro denuncia sono stati querelati da sindaco, giunta e consiglieri di maggioranza e sono stati rinviati a giudizio il 26 novembre prossimo davanti al Tribunale di Patti.

Ad agosto su I Siciliani giovani esce l’inchiesta di Antonio Mazzeo Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona che nel ripercorrere il “romanzo crimina-le” di questo lembo di provincia babba ri-prende anche i fatti denunciati da Rinasci-ta Falconese.

Querele, “lettere aperte”...

Apriti cielo! Prima la minaccia di una querela (un’altra?), decisa ‒ nel ristretto ambito della giunta ‒ dal sindaco e tre as-sessori, poi – dopo le polemiche - una lunga lettera del sindaco Cirella, per “ri-spondere” all’inchiesta “smentendone” i contenuti e accusando i suoi oppositori politici di voler «agguantare il potere per altre impraticabili vie».

Intanto il segretario comunale di Falco-ne, la dottoressa Francesca Micali, in una lettera al nostro giornale precisa che il suo compito istituzionale è solo quello «di as-sistenza giuridico-amministrativa nei con-fronti degli organi del comune» i quali «esprimono collegialmente la loro volontà per la quale non è ammessa alcuna censu-ra che non sia strettamente giuridica» e pertanto nell’espletamento di tale compito non ne «diventa complice». Qualcuno la legge come una presa di distanza.

Dimissioni imminenti

Nessuna presa di posizione ufficiale fi-nora invece da parte del gruppo di mino-ranza, anche se sono si parla di un’immi-nente remissione del mandato. I consiglie-

ri Giuseppe Barresi, Monica La Macchia , Santo Mancuso, Carmelo Paratore e Filippo Paratore ‒ che avrebbero già in tasca la lettera di dimissioni ‒ e l’ex candidato sindaco Marco Filiti hanno chiesto di poter incontrare il prefetto Francesco Alecci, per sottoporre alla sua attenzione il problema politico-istituzion-ale di Falcone.

C’è realmente questo problema? Ha ra-gione l’eurodeputato Rita Borsellino quando definisce preoccupante la situa-zione di Falcone in cui «il rischio di infil-trazioni da parte della criminalità organiz-zata è altissimo, come emerge da recenti indagini della magistratura»?

I precedenti

Nel 2009 è stato sciolto per condiziona-mento mafioso il vicino comune di Furna-ri, qualche anno prima (2005) era stato sciolto per lo stesso motivo quello di Ter-me Vigliatore, anche Barcellona Pozzo di Gotto è arrivata vicina al drastico provve-dimento, nonostante le risultanze di ben due commissioni prefettizie d’inchiesta, ex sindaci e funzionari comunali del com-prensorio sono attualmente inquisiti ‒ al-cuni addirittura arrestati, processati e con-dannati ‒ per concorso esterno.

In alto: S.Anna, sul percorso dell'alluvione.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 41– pag. 41

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Sicilia/ Emergenza idrica e grandi affari

L'acqua salatadei siciliani«Privatizzare l'acqua, no» dice la Corte Co-stituzionale. Intanto il carrozzone regionale delle acque crolla sotto il peso dei debiti e i sindaci si preparano all'emergenza

di Carmelo Catania

Tutto ha un prezzo e tutto si vende, e l'acqua come il resto. Serve per vivere? Che importa. Aumenta la do-manda, diminuisce la quantità, quindi prezzi alle stelle. Acqua e rifiuti sono i grandi affari del Duemila: delle multi-utility e - anche- delle mafie.

Appena un’estate fa – il 13 giugno – festeggiavamo la vittoria ai referendum contro l’acqua privata. “Acqua pubblica” e “Acqua Bene Comune”: 26 milioni di ciittadini italiani che sono usciti di casa, hanno preso una scheda, hanno votato "Sì". Un record di democrazia diretta, una vittoria civile. E' passato un anno in-tero. A che punto siamo?

Lo scippo

Prima Berlusconi e poi Monti hanno cercato di cancellare il risultato del refe-rendum inserendo nei “pacchetti anti-spread" una norma che a parole era un adeguamento dei servizi pubblici locali, e in realtà era un “copia e incolla” della legge Ronchi-Fitto appena abrogata dalla volontà popolare (art. 23 bis del d.l. 112/2008). Uno scippo.

Ma il ricorso delle Regioni Puglia, La-zio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna ha fatto intervenire la Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 199 del 12 luglio ha dichiarato incostitu-zionale la norma (art. 4 del d.l. n. 138/2011, così come ripreso e modificato dal successivo intervento del “decreto salva Italia”) che obbligava i comuni a privatizzare i servizi pubblici locali.

“Rispettate la Costituzione!”

Il Governo - si legge nella sentenza - nel tentativo di reintrodurre la normativa sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali ha violato apertamente l'art. 75 della Costituzione: «A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decre-to dichiarativo dell'avvenuta abrogazione dell'art. 23 bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l'impugnato art. 4, il quale detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali […] che non solo è con-traddistinta dalla medesima ratio di quel-la abrogata, […] ma è anche letteralmen-te riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell'abrogato art. 23 bis».

La Consulta restituisce così il potere di decidere come gestire i servizi pubblici locali ai comuni, che non saranno più ob-

bligati da una norma di legge a cederne la gestione ai privati.

Ciò non vuol dire che privatizzare non sarà più possibile, ma stavolta la decisio-ne sarà solo politica e quei sindaci che dovessero prenderla se ne dovranno assumere tutta la responsabilità.

Privatizzazione, a chi conviene?

Ma chi tira le fila di queste politiche tendenti a svuotare il pubblico di ogni sua funzione cedendo trasporti, energia, patrimonio pubblico, spiagge, gestione dei rifiuti e anche l'acqua al profitto pri-vato?

Nei 26 ambiti idrici territoriali – dei 90 in cui è suddivisa l’Italia – che hanno ac-cettato la privatizzazione attualmente il business dell'acqua è in mano ad una cer-chia ristretta di gruppi economici: l’Acea di Roma che, comprandosi l'acqua tosca-na, controlla buona parte delle risorse e delle reti idriche del centro Italia; l’Iride, frutto della fusione tra la genovese Amga e la torinese Smat; la Hera di Bologna; la lombarda A2A. Tutte società in cui vi è una forte presenza di banche, e di multinazionali, per lo più francesi, che – grazie ad un gioco di fusioni societarie – hanno il controllo la quasi totalità del mercato mondiale.

Dal Piemonte...

Colossi delle multi-utility come Gdf Suez – presente in Italia attraverso la Electrabel, società di erogazione elettrica che collabora da tempo con la romana Acea – e Veolia Acque – particolarmente attratta dalle risorse idriche del Nord dove opera tramite le filiali Sicea spa (Piemonte), Sap (Liguria) e Sagidep.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 42– pag. 42

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“Quasi quattrocentocomuni a rischio”

Nelle altre regioni, è proprio il gruppo Veolia a contendere a Gdf consistenti fet-te di mercato agendo tramite una serie di partnership strategiche.

Lo sanno bene i cittadini di Latina ed Aprilia, nel Lazio, dove con la disastrosa gestione di Acqualatina, nella quale la multinazionale francese possiede una si-gnificativa partecipazione (49%), sono scattati aumenti del 300%. Ai consuma-tori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e i carabinie-ri per staccare i contatori.

In Calabria invece, è presente con So-rical, socia di minoranza della Regione, con la quale spartisce (46,5%) – con con-cessione trentennale – la gestione di tutte le risorse idriche calabresi.

Serve 385 comuni, la cui maggioranza non riesce a coprire le tariffe aumentate arbitrariamente del 5% l’anno a partire dal 2007. Aumenti a cui non è corrispo-sto un miglioramento del servizio, anzi a Reggio quando non è torbida l’acqua che arriva in casa è quella del mare.

Proprio a causa dei crediti vantati e non saldati verso le municipalità, l’assemblea dei soci ha deciso di metterla in liquidazione.

E in Sicilia? In quella che una volta era la culla della Magna Grecia e che oggi in comune con la Grecia ha soltanto

l’identico rischio default, lo sgretolamen-to di uno degli ultimi carrozzoni cliente-lari regionali, l’Ente Acquedotti Siciliani, è l’ennesima fotografia di una Regione al collasso economico.

A secco i comuni dell'Eas?

Sommerso da una valanga di debiti l’EAS minaccia di lasciare “a secco” i 45 centri isolani che ancora gestisce – pur essendo in “liquidazione” da ormai otto anni. In numerose note inviate ai sindaci dei comuni interessati, i suoi dirigenti hanno comunicato di «non essere più in grado di gestire le reti idriche» – a suo tempo affidate con regolari convenzioni – riferendo, inoltre, di «non poter effet-tuare gli interventi per la manutenzione delle reti idriche, degli impianti al servi-zio degli acquedotti, comprese le centrali di sollevamento ed i pozzi».

In ragione di questa situazione si «invi-tano i comuni a sostituirsi all’Ente facen-do fronte ad ogni disservizio e/o interru-zione del servizio idrico declinando, a tal proposito, ogni responsabilità», pur con-tinuando, ad oggi, ad incassare dai citta-dini le somme derivanti dal consumo idrico senza però versare ai comuni con-venzionati le quote spettanti ad es. per il canone fognario e la depurazione e non

espletando i servizi che contrattualmente sarebbero a suo esclusivo carico (riparazioni, manutenzioni, ecc.).

Una vera e propria risoluzione unilate-rale del contratto che, ovviamente, i co-muni convenzionati non accettano, pre-occupati sia per l’ulteriore aggravio della loro già precaria situazione finanziaria che comporterebbe il dover sopperire a tutte le mancanze, a partire dalla ordina-ria manutenzione delle condutture, sia per le gravi conseguenze che potrebbero verificarsi in particolar modo durante l’estate, quando con il caldo e con l’aumento della popolazione dovuta all’afflusso turistico, i consumi aumenta-no esponenzialmente.

Un “buco” da 400 milioni

Sono talmente tanti i debiti dell’Eas che la situazione è fuori controllo. Si par-la di cifre sui 300-400 milioni.

Il maxibuco dell’Ente è finito anche sotto la lente della Procura della Corte dei Conti. A conclusione, infatti, di un’ispezione avviata dalla Regione alla fine dello scorso anno e completata nel maggio scorso è stata smascherata una sospetta operazione finanziaria che avrebbe contribuito non poco all’allarga-mento del buco.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 43– pag. 43

SICILIACQUELA HOLDING DELL’ACQUA SICILIANA

Siciliacque è una società mista partecipata dalla Regione Siciliana, che ne detiene il 25%. Il rimanente 75% è in mano al raggruppamento Idrosicilia Spa, formato da Enel (40%) , Emit (0,1%) e da Veolia Water Solutions and Technologies (59,6%).

Nel luglio 2004 subentra all’Ente Acquedotti Siciliani (EAS) nella gestione, fino al 2044, come concessionaria del cosiddetto “sovrambito” ovvero le grandi condotte, le dighe, i potabilizzatori e i dissalatori.

Le infrastrutture precedentemente gestite dall’Eas e oggi da Siciliacque sono tredici [Alcantara, Ancipa, Blufi, Casale, Dissalata Gela – Aragona, Dissalata Nubia, Fanaco – Madonie Ovest, Favara di Burgio, Garcia, Madonie Est, Montescuro Est, Montescuro Ovest e Vittoria – Gela] per un totale di: 1.764 Km di rete di adduzione; 66 impianti di sollevamento; 7 invasi artificiali: Ancipa, Disueri, Fanaco, Garcia, Leone, Prizzi, Ragoleto, 8 campi pozzi, 11 gruppi sorgenti, 3 impianti di dissalazione di acqua marina: Gela, Porto Empedocle, Trapani.

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Acqua potabile?Sì, ma un po'“derogata”...

Nel 2006, l’allora commissario liqui-datore Marcello Massinelli si fece antici-pare, in un’unica soluzione, da un pool di banche - guidato da Intesa San Paolo – un credito di 174 milioni di euro, somma che la Regione Siciliana si era impegnata a versare all’Ente, con un interesse am-montante a 50 milioni. Quell’operazione di cartolarizzazione però per il collegio dei revisori e per la Regione «non era motivata né autorizzata dalla legge». La-mentando quindi il danno erariale, sono state spedite “le carte” alla Procura della Corte dei Conti.

Ma la verità è che all’Eas sono rimaste le vecchie e decrepite reti di distribuzio-ne interna di cui ora i comuni dovrebbero farsi carico – con i costi del rifacimento a

carico dei contribuenti -, mentre alla sua erede Siciliacque spa è toccata la parte più redditizia del business: l’approvvi-gionamento e la distribuzione dell’acqua all’ingrosso. Insomma, l’osso ai primi, la polpa ai secondi.

Attraverso la rete di adduzione Sici-liacque fa confluire l’acqua captata e po-tabilizzata in grandi serbatoi (uno o più per comune); ad occuparsi poi della ge-stione del servizio all’interno dell’Ato (9 presenti in Sicilia) ovvero del singolo co-mune è invece la Società preposta a cia-scun ambito, fornendo ogni anno - in base alle stime - circa 90 milioni di metri cubi di acqua potabile, coprendo l’intero fabbisogno delle province di Trapani, Agrigento, Caltanissetta ed Enna e parte di quelle di Palermo e Messina.

Acqua dispersa

E l’acqua che non viene venduta ai Co-muni troppo spesso va dispersa inutil-mente. È il caso dell’acqua del fiume Al-cantara dove 600 litri al secondo finisco-no in mare nei pressi di Giampilieri (ME) e che Siciliacque intende utilizzare per produrre energia elettrica e quindi realizzare ulteriori utili sfruttando il pre-zioso “bene pubblico”. È stato infatti, già presentato all’Assessorato regionale Ter-ritorio ed Ambiente il progetto definitivo per la realizzazione della seconda centra-le idroelettrica sul fiume Alcantara – con una capacità di 600 kw di potenza – per la cui costruzione la Giunta Lombardo ha stanziato 20 milioni di euro.

Non sempre però l’acqua che esce dai nostri rubinetti è buona da bere.

Nel marzo del 2009, a ben 23 comuni delle province di Agrigento, Enna, Calta-nissetta è stata erogata acqua inquinata

da trialometani e manganese. Altamente tossica e assolutamente imbevibile.

Acqua inquinata

La Siciliacque ha chiesto e ottenuto an-che una serie di deroghe sui parametri di potabilizzazione e qualità delle acque, aumentando la presenza di arsenico, boro, vanadio, fluoro, cloriti, sodio, clo-ruri e nitrati.

In compenso le tariffe siciliane, a fron-te di un pessimo servizio, sono tra le più alte d’Italia. Ad esempio a Messina – che è già proprietaria di due acquedotti – comprarla dalla società mista – soprattut-to per garantire il servizio nei mesi estivi o in caso di guasti – costa addirittura tre volte di più, 66 centesimi contro 25 al metro cubo.

E gli investimenti? Tra le province si distingue proprio

Caltanissetta, dove per la manutenzione e l’ammodernamento della rete gli investi-menti da parte del consorzio privato am-montano solo all’1%.

Si premia lo spreco

Del resto basta fare una semplice ricer-ca sulla rete per scoprire che per la rea-lizzazione delle grandi infrastrutture poco più del 70% dell’importo dei lavori proviene da risorse pubbliche mentre il solo 30% dagli investimenti privati.

Ennesima dimostrazione che il privato non ha alcun interesse a migliorare la rete idrica, tanto meno ad ottimizzare il servizio potenziando l’erogazione, elimi-nando sprechi e dispersione (che in Sici-lia raggiunge il 38%). Questo perché nel-la logica del profitto, si premia lo spreco e non il risparmio.

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CRISI EAS A RISCHIO SETE14 COMUNI MESSINESI

Sono 14 i centri del messinese (Casalvecchio Siculo, Cesarò, Furnari, Gaggi, Mazzarrà Sant’Andrea, Merì, Motta d’Affermo, Roccavaldina, San Teodoro, Savoca, Tusa, Valdina, Venetico e Forza D’Agrò) che rischiano di ritrovarsi i rubinetti a secco in seguito alla grave crisi finanziaria dell’Ente Acquedotti Siciliani non più in grado – secondo la dirigenza dell’Ente – di effettuare i necessari interventi di manutenzione.

« I disservizi ci sono sempre stati – lamentano i sindaci – ma negli ultimi anni sono diventati insopportabili».

Tra le possibili soluzioni alla “crisi” allo studio del neo commissario liquidatore Dario Bonanno, la gestione diretta degli impianti da parte delle municipalità con relativo incasso delle tariffe, secondo le indicazioni date dal prefetto di Messina, Francesco Alecci.

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Più consumi e più paghi, più acqua viene dispersa e più salate saranno le bollette poiché le tariffe dovranno andare a coprire la perdita di materia prima che in tal modo aumenta a dismisura il pro-prio valore di mercato.

Ovunque le grandi società siano entra-te in campo, le perdite sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumen-tate.

Il ritorno all’acqua del sindaco

E che il privato funzioni peggio del pubblico l’ha detto addirittura Medioban-ca che, in un’indagine di qualche anno fa (2009), ha dimostrato che le due aziende pubbliche milanesi, Cap e Mm, hanno le migliori reti d’Italia e le tariffe più basse d’Europa.

E mentre a Roma la Giunta Alemanno prova a cedere ai privati il 21% di Acea (delibera bloccata dal Consiglio di

Stato), giungono da Berlino, Napoli e dall’Appennino reggiano notizie in con-trotendenza rispetto alle attuali politiche di liberalizzazione/privatizzazione.

Dopo l’esito positivo del referendum di iniziativa pubblica del febbraio 2011, in cui i berlinesi quasi all’unanimità (98%) dissero sì alla rilevazione dei con-tratti della città con Rwe Aqua GmbH, la capitale tedesca sta tentando di recupera-re anche la parte in mano al colosso fran-cese Veolia, con l’obiettivo di rimunici-palizzare – dopo 13 anni di privatizzazio-ne – il servizio e far abbassare gradual-mente i prezzi dell’acqua, tra i più alti d’Europa.

Il comune partenopeo, invece, ha av-viato l’iter per la trasformazione di Arin spa (precedente gestore del servizio idri-co integrato) in Acqua Bene Comune Na-poli. In pratica mentre la prima era una società di capitali, la seconda è un ente di diritto pubblico, smentendo così il con-cetto secondo cui il diritto riferito ai beni essenziali alla vita debba essere fondato

sul principio della loro rilevanza econo-mica e imprenditoriale.

Napoli si avvia così ad essere il primo comune italiano sulla strada della effetti-va ripubblicizzazione del servizio idrico integrato costituendo un monito per quel-le amministrazioni che invece continua-no a svendere ai privati le quote di parte-cipazione pubblica nelle società di ge-stione dei servizi pubblici locali.

Nell’Appennino reggiano, infine, esi-stono da anni ma nessuno ne parla, gli acquedotti rurali, nati nel dopoguerra con la legge 911 che permise la loro costru-zione grazie alla possibilità offerta allora dallo Stato ai cittadini di pagare la strut-tura in cambio di manodopera.

Gli acquedotti rurali

In tempi di multinazionali questo siste-ma alternativo funziona da anni a mera-viglia e rappresenta una vera e propria ri-voluzione della gestione dell’acqua come bene pubblico.

Gli acquedotti rurali fanno arrivare nelle case l’acqua direttamente dalle fon-ti e la spesa dei cittadini (in un anno 40 euro) è solo quella della manutenzione affidata a consorzi di cui sono soci i cit-tadini/utenti stessi. Certo riproporre que-sto sistema nelle grandi città è difficile, ma è una soluzione che potrebbe funzio-nare su piccola scala.

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Sicilia/ Discariche e politica

Quando la “munnizza”è oro

A Misterbianco e Mot-ta S.Anastasia l'impianto ammorba l'aria e cresce l'allarme tumori. Dista solo 400 metri dal centro abita-to, ma la Regione non la chiude. Anzi, vuole ampliarla

di Rosa Maria Di Natale

Sperti e babbi, da queste parti, ten-gono entrambi la finestra chiusa. Gli “sperti”, secondo una filastrocca loca-le, sarebbero i nativi di Misterbianco, paesone a vocazione commerciale di cinquantamila anime alle porte di Ca-tania. Ma anche ex comune sciolto per mafia.

I “babbi”, invece, gli abitanti di Motta S. Anastasia, paesino dalle radici nor-manne decisamente più piccolo, anche loro costretti certi giorni a chiudere gli infissi mattina e sera. Pure se fuori il ter-mometro segna 40 gradi.

In questa fetta di hinterland catanese, da quarant’anni i miasmi della discarica di contrada Tiritì avviliscono generazioni di cittadini. Chiuderla? Non se ne parla. La Regione oggi punta all’ampliamento a poche centinaia di metri più in là, in contrada Valanghe d’Inverno.

Misterbianchesi e mottesi sono costret-ti a respirare la stessa aria ammorbata dall’impianto gestita dalla ditta Oikos, dove la munnizza arriva da tutta la Sici-lia orientale, vicinissimo al centro abita-to, come dimostra la distanza reale dalle case: 400 metri, contro gli almeno 5 km previsti dalla legge.

Sul fronte della definizioni poi è trop-po semplicistico definirla "ecomostro", come tutti gli impianti benedetti dalle istituzioni e dalle carte “in regola”, nono-stante l’evidenza dimostri ben altro. Ma una cosa è certa: si tratta di un affare a nove zeri.

I conflitti d'interesse

Ci sono poi i dubbi su eventuali con-flitti d’interesse. La Oikos potrebbe aver-ne uno: la ditta versa in discarica, e nel contempo è la proprietaria stessa della discarica. La Oikos fa parte del consor-zio Simco che è anche una delle aziende che si occupa della raccolta dei rifiuti in alcuni centri etnei per conto della Simeto Ambiente. Come si può avere interesse a incentivare la raccolta differenziata se nel contempo si vuole conferire il più possibile in discarica?

Intanto la Oikos macina spazzatura e milioni di euro. E’ un buon affare di fa-miglia. Il proprietario della Oikos si chia-ma Domenico Proto, e nel consiglio di amministrazione ci sono altri familiari compreso il patriarca Salvatore che fu ar-restato il 10 dicembre del 1997 nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti mafiosi per la base Nato di Sigonella, per poi essere assolto in primo grado dalle accuse.

Infine, c’è la vicenda dei tumori che a Misterbianco aumentano. Ne parlano tut-ti nei bar, nei mercati, nelle piazze. Lo dicono i lutti che qui si usa ancora affig-gere nei tabelloni con l’immagine di Pa-dre Pio che benedice, severo. “Tizio e Caio sono morti per tumore… Ancora?”

L'odore della rivolta

Già ogni giorno alla Tiritì c'è un via vai di camion dalle discariche di Bellolampo e di Gela. Dopo un alternarsi di vecchie chiusure e riaperture -aperture "provviso-rie" dal '97 ai giorni nostri, l'accusa di gestione mafiosa ai gestori poi rientrata, interpellanze locali e parlamentari e la promessa poi non mantenuta dal gover-natore Lombardo, lo scorso febbraio, di dare seguito alla richiesta di revoca in autotutela dell'autorizzazione dell'impianto, la discarica Tiritì che do-veva essere tecnicamente "esaurita" il 30 giugno, chiuderà, grazie ad una proroga, tra ulteriori 150 giorni, con la bonifica post mortem imposta dalla legge. Forse.

Questione di tempo, dunque? No, c’è dell’altro. L'intento è di attivare un nuo-vo ecomostro ampliando di fatto quello già esistente. E anziché chiudere la disca-rica per sempre, la Regione vuole "am-pliarla", ma in verità si tratta di triplicar-la, spostandosi nel terreno adiacente.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 46– pag. 46

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“Dodici miliardiper un nuovo

impianto”

La Tiritì diventerà, in pratica, la secon-da discarica più grande della Sicilia (su-bito dopo quella di Siculiana, anche quella privata) in grado di smaltire 2 mi-lioni e mezzo di rifiuti. Nulla di strano per il governo regionale. La nuova strut-tura è prevista da due anni nelle Linee guida del Piano regionale rifiuti, che ora va in pubblicazione e applicazione.

Eppure, esiste la concreta possibilità di appoggiarsi ad un nuovo polo ecologico nel Calatino, opportunamente distante dal centro abitato, e in tante altre aree.

I mottesi, altro che “babbi”

Non è però vero che i proverbi hanno sempre ragione. Altro che babbi. Per esempio i mottesi hanno tirato fuori la grinta, e non solo quella, nei giorni in cui hanno iniziato ad esporre cartelloni nei balconi e nei cancelli delle loro case. La scritta? Uguale per tutti: “Qui noi sentia-mo la puzza”. I mottesi si sono anche stampati delle eleganti magliette: “Io sono di Motta e ho la puzza sotto il naso”, in occasione della manifestazione di protesta del 15 settembre scorso. Il loro sindaco, Angelo Giuffrida, non c’era e la sua assenza non è passata inosserva-ta, seppure tra la folla sfilassero la vice-presidente del consiglio e due assessori .

In effetti il Comune di Motta ha an-nunciato la firma di un protocollo di inte-sa con la società che gestisce l’impianto per “monitorarne l’attività”. Il consiglio comunale ha però approvato un ordine

del giorno all’unanimità, dove si chiede all’amministrazione comunale di impu-gnare il Piano regionale dei rifiuti, salvo bocciare la sera stessa un emendamento proposto da tre consiglieri che chiedeva di più. Ossia la trasformazione da “favo-revole” a “sfavorevole” del parere del Comune all’ampliamento stesso della di-scarica. Ma nulla da fare.

Molti in consiglio intrattengono buoni rapporti con la famiglia Proto e poi la di-scarica assicura lavoro (i posti di lavoro sono 124, ma la società è incastonata di una rete di altre società) e nei paesi tutti sono parenti di tutti. Ma la folla di due-mila persone in marcia verso l’impianto -i due comuni hanno protestato per la prima volta insieme-contava più di ogni altra fascia tricolore.

"Con la manifestazione del 15 è inizia-ta una lunga primavera mottese alla ri-conquista della dignità e dei diritti calpe-stati dai rifiuti e dai politici che hanno sempre coperto gli interessi imprendito-riali della discarica - spiega Danilo Festa, giovane consigliere comunale PD - Tiritì è fuori legge e l'osservanza delle leggi, per i potenti, non è un semplice obbligo morale ma un obbligo giuridico. Per que-sto chiediamo al sindaco di impugnare il Piano Regionale dei Rifiuti”.

Il Comitato mottese è risoluto ad anda-re avanti: “Attendiamo che il sindaco ri-sponda alla richiesta di 1151 cittadini per l'impugnazione del Piano. Noi, coi Co-mitati di Misterbianco, siamo pronti ad appellarci anche alla Corte di giustizia europea visto che la Sicilia è una zona

franca per l'applicazione delle direttive comunitarie in materia di rifiuti."

Anche i misterbianchesi alla manife-stazione erano in tanti, con il loro sinda-co Nino Di Guardo e centinaia di giova-ni. I misterbianchesi la lotta alla discarica la fanno almeno da una ventina d’anni, con una punta di grande passione civica nei primi Novanta, quando sembrava che tutti avessero capito che reagire alla chiusura del Comune per mafia, agli omicidi tra clan rivali tra le strade del paese e al sacrificio di un giovane ucciso per sbaglio dalla malavita, potesse signi-ficare anche reagire alle soverchierie di una cosa che allora non si chiamava eco-mafia, ma che iniziava a prenderne la forma. Il proprietario della Oikos, lo co-noscono bene. E non è raro che lo fermino per istrada e gli chiedano: “Ma lei, questa maledetta puzza, la sente op-pure no?”

Da Totò a Raffaele

I misterbianchesi hanno provato a chiudere la Tiritì, e in molti modi. Risul-tati? La discarica è stata sbarrata nel 1992 “per puzza” ma riaperta nel 1997. Nel 2002 esplode per accumulo di bio-gas, gli stessi biogas che la letteratura scientifica indicano come elementi deter-minanti per l’effetto serra e dannosi per persone e vegetazioni. Quello stesso anno spunta fuori un finanziamento di dodici miliardi e mezzo di lire per un nuovo impianto.

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“Il monitoraggiodelle patologie”

In realtà non accadrà nulla, ma nel 2005 Totò Cuffaro, allora commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Sicilia, ignora le indicazioni dei prefetti e di decine di addetti ai lavori, e decide che la discarica di Tiritì può tran-quillamente funzionare per altri dieci anni.

E la puzza continua, sovrastando inter-pellanze locali e parlamentari. Fino al 2010, quando la Regione decide per l’ampliamento attraverso la pubblicazio-ne di un decreto. Per reazione nasce a Misterbianco un Comitato “No Discari-ca” , dove ci sono anche tante donne molto attive come l’impegnata e combat-tiva Maria Caruso.

Arriva il governatore

Dopo una serie di incontri con funzio-nari regionali, il gruppo di cittadini deci-de di mettere alle strette Raffaele Lom-bardo che non dà seguito alla richiesta di revoca in autotutela dell’impianto, e so-prattutto non incontra i cittadini.

Il governatore arriva in paese nel gen-naio di quest’anno per inaugurare una piazza e il Comitato si fa trovare lì, con tanto di cittadini, di bandiere e finisce per parlare con Don Raffaè, il quale met-te in tasca la richiesta di autotutela, giura di non averne mai saputo nulla e promet-te un ulteriore incontro. Il mese successi-vo convoca un tavolo e si impegna a bloccare il procedimento. Peccato che il blocco non sia mai arrivato.

Davide contro Golia

L’obiettivo dei due comitati civici sa-rebbe impugnare il Piano regionale dei rifiuti. Non è solo una questione di puz-za. L’impianto avrebbe dovuto essere “esaurito” (tecnicamente spento, messo finalmente a riposo dopo 40 anni di ono-rata attività) il 30 giugno. Invece la Re-gione Sicilia procede come nulla fosse.

"Con la manifestazione tanti ci hanno messo la faccia, e il combattere insieme la stessa battaglia la rende forte. Sappia-mo le difficoltà: il progetto di amplia-mento ha dietro tanti poteri, denaro e isti-tuzioni in testa. Enormi sono le responsa-bilità della Regione con i suoi presidenti Cuffaro e Lombardo; ma la storia di Da-vide contro Golia ci dice che si può vin-cere contro i giganti, e il nostro Davide può essere un esercito di tantissimi lilli-puziani.

Il Comune di Misterbianco – spiega Josè Calabrò del Comitato per il No mi-sterbianchese, che ha già raccolto 5 mila firma tra i cittadini per una petizione - presenterà un ricorso al Tar contro l’attuale Piano Regionale dei rifiuti per

bloccare il progetto di ampliamento della discarica. Il Comitato No discarica di Motta Sant’Anastasia che ha raccolto ol-tre 1000 firme per chiedere che il consi-glio comunale e il sindaco affianchino il comune di Misterbianco nel ricorso al Tar. Ma la novità potrebbe arrivare anche da un esposto al commissario europeo. Non è una questione di principio: noi alla delocalizzazione crediamo davvero ed esistono siti più adatti dove fare sorgere impianti validi, lontani dai centri abitati".

Mal di discarica?

Tutti i medici di famiglia di Mister-bianco, di fronte all’allarme del territo-rio, per frequenza di morti di tumore, partecipano, a titolo gratuito, a un pro-getto pilota per monitorare la patologia oncologica e cronica, invalidante, nel ter-ritorio di Misterbianco.

Le morti di tumore nel territorio sono tante, ma non è ancora chiaro se ciò sia imputabile davvero ad eventuali danni ambientali provocati dall'impianto.

Nel 2009, di fronte al forte allarme per frequenza di morti di tumore, la consi-gliera provinciale Fina Abbadessa fa ap-provare un progetto pilota per monitorare la patologia oncologica e cronica invali-dante nel territorio di Misterbianco.

Come saranno gestiti i dati per valutare scientificamente l’impatto della discarica sulla salute dei cittadini, non è facile sa-perlo. E’ probabile che si tratterà di una nuova, complicata battaglia.

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MAMMA !

la fiat sta bene, grazie.

e la fiat?

incontro.

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Immagine

Vacanzesiciliane

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Un giorno prendi la Vespa, la macchina fotografica e il sacco a pelo, e te ne vai. Dove? Mah, per esempio in giro per le

resistenze. Le resistenze? Sì, i posti dove la gente cerca di resistere a qualcosa. In Sicilia, per esempio. Ce ne sono parecchi, anche se per vederli ci vogliono occhi buoni

Testi e foto di Mario Spada

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“Il territorio americanoin Sicilia”

Nel paesedelle antenneavvelenate

Ecco, sono a Niscemi, in un bel posto dove Enzo, un carissimo ragazzo pieno di dolore e odio, mi presta la sua tenda e il suo materassino.

Mario, un uomo intorno ai 60 anni con una storia potente alle spalle mi ha fornito di una coperta. Di Mario e della sua com-pagna mi sono letteralmente innamorato: è magrissimo, tutto nervi, si vede che ha avuto molta forza in gioventù e attual-mente la testa la tiene ben salda, sa cosa significa vivere, gli occhi sono azzurri e pieni di storia, dentro i suoi occhi ti ci puoi perdere.

Dal primo momento che ci siamo in-contrati ha avuto un affetto immenso per me, come per un figlio vero, cioè con di-stacco, senza farsi coinvolgere troppo dai sentimenti, perché quelli ti fottono, i sen-timenti ti prendono per il culo perché i sentimenti sono muri tra padre e figlio; muri di protezione e campane di vetro in

cui il figlio è protetto e poi quando il pa-dre non c'è più, chi lo proteggerà? Allora sarà scaraventato nella realtà e saranno cazzi perché i suoi canini non saranno pronti a mordere, a difendersi, perché quello è stato sempre il compito del padre, o sarai pronto a farteli crescere subito o sarai agnello sacrificale per sempre.

“Sono venuto per stare con voi”

Ritorniamo al campo: la mattina che ci arrivo ci saranno state al massimo 25 per-sone, dei 'privati' gentili e anche loro "no Muos" mettono a disposizione uno spazio della loro terra. Alle 14 si mangia, e dopo la pennica si fa riunione. Io mi presento con la telecamera e subito mi dicono che non posso riprendere. Ma come? Io sono venuto fin qua da voi per stare con voi e non posso riprendere? Mi dico maledicen-domi tra me e me! Ma sto zitto, aspetto la fine della riunione e mi accorgo che quel-lo che dicono non ha alcun valore sovver-sivo, però mi incazzo a morte perché An-tonio Mazzeo fa un intervento di antropo-logia rivoluzionaria importante che valeva solo per quello la pena di essere lì.

Chiedo la parola e intervengo. "Io sono venuto qui per stare con voi, per fare le cose con voi, per darvi una mano per quello che mi è possibile. Quindi senza problemi ditemi che posso fare perché se poi la cosa non mi interessa faccio le mie due interviste e me ne vado a continuare il mio viaggio, perché le due interviste mi bastano per raccontare la vostra battaglia e non voglio esservi di intralcio. Vi chiedo di lasciarmi riprendere tutto o di dirmi chiaramente di no e quindi darmi la possi-bilità di andarmene.

A questo punto si apre un dibattito mo-nopolizzato da un avvocato che terrorizza gli altri "no Muos" prevedendo catastrofi immani, adunate sediziose, arresti in mas-sa, associazioni di bande armata o terrori-stiche. Posso restare però perché la sera, anzi la notte, ci sarà un'operazione anti americana, anti Muos. Qualcosa di forte, almeno a livello simbolico. Io sono am-messo a riprendere, evitando i volti, tutto quello che succede intorno al territorio americano in Sicilia.

E' notte. il concerto è finito, abbiamo cenato, ed ecco che un manipolo di uomi-ni si prepara all'assalto. Andiamo a piedi! no... con le macchine! minchia, andiamo

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“Una teneraapocalisse”

a piedi! noooo con le macchine! Oh, sono 5 km da qui. Insomma un gruppo, i più giovani, va a piedi, e un altro con le macchine.

Arriviamo a destinazione. La rete che ci separa dalle infami antenne è lì. Ci sono una quindicina di torce divise per 30-35 persone, pentole, qualche fischietto e le

voci. I ragazzi urlano a squarciagola slo-gan contro la base, anche in inglese per farsi capire bene dagli yankee. Pentole e coperchi vibrano forte sulla rete di protez-ione e sui cartelli che avvertono che quel-lo è territorio militare e americano. Per fortuna ci sono anche i cani dei vicini che ci aiutano con il loro abbaiare e ululare.

La scena secondo me è tenera e apoca-littica, una specie di parodia della mitolo-gia greca.

Un manipolo di formiche che vuole at-taccare Zeus, altro che i titani. Quelli era-no pericolosi per davvero, grandi, cattivi e agguerriti, tanto che il dio supremo gli deve lanciare dei fulmini per fermarli e sconfiggerli. Noi, piano piano, arriviamo a una specie di preingresso alla base. Io sono sfinito, devo dire, le gambe mi fanno male, sentendomi più vicino ai giovani ho scelto il percorso a piedi, ma sono sfascia-to, veramente!

Là si scatena tutto l'odio e la violenza contro la base di controllo degli aerei sen-za pilota. Le pentole si piegano e si am-maccano attimo dopo attimo mentre per-cuotono il cancello. Alcuni cartelli vengo-no divelti e portati via come bottino di saccheggio, tutti sono felici e io continuo a riprendere schiene e piedi, per non crea-re problemi ai ragazzi, mentre le teleca-mere della base li riprendono in volto, perché le persone non hanno preso nem-

meno la precauzione di coprirsi la faccia con un fazzoletto o un passamontagna.

D'un tratto arrivano polizia e carabinie-ri, un' auto per ciascuna forza di sicurez-za, 4 uomini, senza dire nulla. Il gruppetto comincia ad allontanarsi immediatamente dalla base, in silenzio, poi ricominciano gli slogan cantati in precedenza contro il muos e gli americani stavolta in direzione delle forze dell'ordine. Arriviamo alle auto, e poi finalmente al campo, distrutti.

Non finisce così. Fuori dal campo c'è la Digos che chiede documenti. Alcuni ce li hanno e altri no, comincia un battibecco che sa più di riunione condominiale che di rivolta e conseguente rappresaglia, finisce tutto a tarallucci e vino con 4 nomi appun-tati su un foglio dalla Digos.

Al rientro dall'azione "l'avvocato apocalittico" comincia a prevedere capi d'imputazione: devastazione, adunata se-diziosa, schiamazzi notturni e chi più ne ha più ne metta. Perfino a me viene un brivido lungo la schiena, magari mi arre-stano e mi uccidono per sbaglio cercando di estorcermi una confessione che farei immediatamente perché non credo che potrei sopportare alcun dolore fisico di quelli veri!

“Ci chiedono i documenti...”

Il giorno dopo c'è la riunione di tutti i gruppi "no Muos" siciliani: io so che ci saranno problemi a riprendere, ma vedo un'altra troupe. Ci intimano di non fare ri-prese; io mi allontano con la camera, fac-cio solo delle riprese da lontano senza che si sentano le voci ma che si veda che al-meno c'è della gente che si confronta, an-che se su temi che ti fanno cadere le brac-cia: "chi sono io chi sei tu, io sono "no Muos" e tu non hai ancora formato il co-mitato". Io penso tra me e me che però chi non lo ha formato è lì, magari arrivato da Messina, magari è partito alle 7 del matti-no per essere lì puntuale alla riunione a sostenerti e tu lo tratti così? Io non com-prendo molto purtroppo.

Nel frattempo, come dicevo prima, fac-cio delle riprese "anonime" (premetto che c'erano almeno un centinaio di persone) e a un tratto uno mi guarda con faccia catti-vissima e mi dice: "mi hai chiesto il per-messo di riprendermi? io non voglio esse-re ripreso", (io dal canto mio non avrei mai interrotto la riunione per chiedergli se potevo riprenderlo) e poi si rolla una can-na.

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MANIFESTAZIONE NO-MUOS IL SEI OTTOBREDA TUTTA ITALIA A NISCEMI

Alla fine, il “cacerolazo” con pentole e tegami è fruttato una ventina di de-nunce (fra cui al giornalista Antonio Mazzeo e al pacifista Alfonso di Stefa-no), rei di aver messo in pericolo la si-curezza degli Stati Uniti d'America, l'alleanza occidentale, le operazioni della Us Navy e chissà cos'altro.

“Saremo ancora di più – replicano i pacifisti – più allegri, più giocosi, più colorati e più numerosi di prima!”.

Quanto? Per una settimana intera dal 29 settembre in poi, ma per la grande manifestazione nazionale per la pace e contro la base Muos che si svolgerà, pacificamente e con tutta la gente del paese, il 6 ottobre a Niscemi. Siete in-vitati da tutt'Italia, fin da ora

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“Muoviti e vediquello che devi fare!”

C'è sicuramente da dire che il movi-mento "No Muos" è in fase ancora em-brionale si stanno contando e conoscendo, però per esempio mi viene da pensare che se tu vuoi controllare un consiglio comu-nale per esempio per sapere che fa, che decisioni prende devi essere pronto a tua volta a farti controllare.

Spengo la macchina, smonto la tenda, sgonfio il materassino, piego la coperta le metto nella busta, consegno il tutto a Ma-rio e Enzo che mi salutano con un affetto immenso, metto in moto la Yamaha XT 600 e torno a Siracusa.

“Ma noi non siamo liberi”

Io credo che il Muos sia una cosa inde-gna per un paese libero, ma noi non siamo liberi. Scontiamo ancora l'invasione delle truppe alleate, l'alleanza con Hitler, anche se i fascisti ce li hanno lasciati tutti ai loro posti. Scontiamo il fatto che alcuni territo-ri italiani devono essere a uso e consumo degli Stati Uniti d'America. E che la Sici-lia è la portaerei americana nel Mediterra-neo e sul Medio Oriente.

Ecco perché non potremmo fare nulla contro il Muos, a meno che tutti i siciliani e tutti gli italiani non vadano a Niscemi a circondare la base militare U.S.A.. E que-sto è quello che dobbiamo fare prima pos-sibile, prima che finiscano i lavori, prima

che i droni entrino in funzione e siano guidati da mio nipote.

Oggi sono incazzato nero e magari do-podomani mi pentirò amaramente di quel-lo che ho scritto, perché rileggendolo lo troverò distruttivo senza speranze.

Un'ultima cosa: mi hanno regalato un li-bro di Giuseppe Fava, scrittore e giornali-sta, mente raffinata, sottile e chiarificatri- ce: bene! Nella mia vita mi hanno parlato di scrittori scomodi e destabilizzanti, o di foto che ti fanno saltare dalla comoda pol-trona sulla quale sei felicemente seduto. Ecco, mi sono sempre detto che erano solo cazzate perché nulla mi aveva vera-mente mai colpito nell'intimo, nulla mi aveva mai seriamente destabilizzato.

Questa solitudine dal resto del mondo è finita, io sono stato letteralmente trafitto dagli artigli della penna dei suoi scritti, la sua mano mi ha trafitto la pancia, scavan-do fra le budella mi ha preso la bocca del-lo stomaco con due dita e mi ha schiaccia-to al muro tenendomi lo stomaco, strin-gendomi e togliendomi il fiato, e nello stesso tempo guardandomi negli occhi mi ha sussurrato: "pezzo di merda, muovi il culo e vedi quello che devi fare!".

E ora,un altro pezzodi Sicilia

Santuzza, non ce la fa: durante il viag-

gio da Cefalù a Milazzo viene meno, ac-celera da sola. Il viaggio è devastante, malgrado fossimo partiti molto presto. Quindi facciamo uno stop a acqua dolce da un meccanico, poi riprendiamo il cam-mino e finalmente arriviamo a Barcellona Pozzo di Gotto. Vengo ricompensato con una super cena; mi fanno un’intervista, ma mi aspettano 2 giorni pieni di lavoro, intensissimi.

La Vespa, nel frattempo, incontra un al-tro meccanico, che però non risolve il pro-blema. In più mi tocca rifare un’intervista perché nella trasmissione dalla scheda al computer il pezzo non passa completa-mente. Avanti e indietro con la Vespa rotta tra Messina, dove in un secondo momento mi sono trasferito, fino a Villafranca e poi anche Milazzo, dove ho da fare un’inter-vista improvvisata all’ultimo momento.

Messina è una città che non mi piace. Credo che sia una di quelle città che ti peggiora, almeno questa è l’impressione che mi ha fatto; d’altronde, quando una città ha un procuratore generale imputato

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“xxxxxxx”

di diffamazione pluriaggravata ai danni di Adolfo Parmaliana, significa che la situa-zione è veramente difficile.

La città, la Vespa, i viaggi avanti e in-dietro, il sole e un incidente di cui non vi posso raccontare ora, mi procurano un’insolazione che dura 3 giorni e che però non posso permettermi di curare se non nelle pause che mi capita di avere du-rante le giornate piene, che ormai si fanno sempre più lunghe e intense. L’unico ten-tativo di rimedio era mettermi in testa, sul collo e sulle tempie delle bottiglie d’acqua ghiacciata recuperate a casa o nelle pizze-rie dove andavo a mangiare sotto gli sguardi straniti degli altri clienti e dei ca-merieri.

Il caldo è insopportabile e per tutta la giornata ho la sensazione chiara e precisa che il cervello mi frigge, anche durante le ore più fresche della notte. Un altro pro-blema è la Vespa: non mi regge più. I meccanici non hanno avuto la cura e l’attenzione necessaria per farmi affronta-re un viaggio come questo. Insomma io, anche se non sono meglio degli altri, non sono un cliente da prendere sotto gamba: devo fare un viaggio lungo e non è pro-prio un viaggio di piacere, che dove mi fermo mi fermo non mi interessa. Io devo arrivare in molti posti, e la vespa non mi può mollare.

Avevo chiamato il meccanico di Paler-mo spiegandogli che il lavoro era stato fatto male e lui mi aveva chiesto una setti-mana per venire a recuperare la Vespa a Messina; dopo il fallimento del meccani-co di Milazzo lo richiamo, nero, e rosso paonazzo in viso, una iena con la bava

alla bocca, e lui tranquillamente mi dice: “vengo stasera”.

Arriva. Si carica la Vespa, non so come, su una Y10 e se la riporta a Palermo e io, finalmente, il giorno dopo posso lasciare Messina. Questo succedeva più di una set-timana fa.

Il meccanico di Milazzo

Il cervello che frigge, le parole che non riesco a dire e che ho sulla punta della lin-gua, improvvisamente non riesco ad alzar-mi dal letto malgrado abbia un appunta-mento, la solitudine di tutto questo tempo passato tra lavoro, corse senza pausa, tra-sformazioni di file, correzioni di video montati o semplicemente visioni per dare l’ok o comunicare piccole modifiche, la trasmissione dei dati, la ricerca di imma-gini da inserire nelle interviste per dare una faccia a nomi o luoghi nominati dagli intervistati, contatti con le persone da in-contrare, ricerca delle persone da incon-trare, trovarmi un posto letto, fare e disfa-re i bagagli, la Vespa che non funziona, i viaggi sotto al sole cocente, cercare solu-zioni per far moltiplicare il numero di quelli che seguono antimafia special, cose che non mi sarei mai sognato di fare su Facebook, visto che non c’era manco un lavoro mio pubblicato fino a che non è iniziata con questo viaggio l’esperienza tra le luci e le ombre dell’antimafia.

I ragazzi del “Clandestino”

31 agosto. C’è un treno che mi porterà a Siracusa da Antonio e Laura, solo che loro non ci stanno: sono in vacanza. Antonio è costretto a tornare per darmi le chiavi del-la moto, una Yamaha XT600, però quando la prendiamo ci accorgiamo che i fari non ci sono. Cazzo! è venerdì, sono le 17 e quindi corriamo da un meccanico. Il gior-no dopo devo andare a Modica al festival del giornalismo organizzato dai giovani giornalisti di “Il clandestino”. Alle 19 sarà pronta, ma con le sole luci di posizione…ok, sommessamente!

La casa è bella grande, ma calda: fanno sempre 40 gradi, e i padroni di casa non ci sono.L’arrivo a Modica è stato tranquillo. Tutti molto carini, un manipolo di bravis-simi ragazzi che mettono insieme un festi-val chiamando nomi eccellenti del giorna-lismo della carta stampata e televisivo, e mi sembra incredibile che alcuni di loro non chiedano compenso o addirittura par-

tecipino a spese proprie!È bello trovarsi in situazioni del genere:

conosci molte persone, tutte interessanti, e che hanno cose da dire, da insegnarti. Le interviste vanno a gonfie vele, becco tutti e lo spessore di antimafia special cresce, a mio parere. Dormiamo in un casolare stu-pendo, ho una stanza per me e di fianco c’è una bellissima donna. Ma devo lavo-rare, niente donne!! È un’altra regola del viaggio da trasgredire solo in caso di subi-ta violenza carnale!

I “Briganti” e i “Siciliani”

Torno a Siracusa. Un giorno di riposo, ma si fa per dire: scaricare, inviare, cerca-re foto etc. Poi parto per Catania dove ho in programma degli incontri da fare nei centri sociali e con i collaboratori di “I Si-ciliani Giovani” e poi con la squadra di rugby dei briganti di Librino.

Dormo a Catania e il giorno dopo è un delirio: 4 interviste, dalle 11 del mattino finisco alle 20.30 di sera, senza sosta a correre da un posto all’altro della città.

Per fortuna c’è Maurizio Parisi che mi accompagna, altrimenti avrei fatto delle figuracce per i ritardi accumulati. Invece, fortunatamente, ho accumulato solo 40 minuti "mediterranei" accettabili di ritar-do sull’ultima intervista.

Questi due giorni sono stati faticosissi-mi ma bellissimi, perché sono venuto a conoscenza di due storie, in particolare, che mi hanno dato un qualcosa in più, quelle di Luciano e di Fabio. Poi perché ho respirato un po’ di rugby: per mezz’ora ho allenato un gruppo di ragazzi di under 16 e under 20, impagabile! E per la prima volta ho assaggiato il panino con le pol-pette di carne di cavallo.

Il panino catanese

Ieri sera finalmente a casa, a Siracusa, mi sono accorto che in questa fase il viag-gio è cambiato. È cambiato il mezzo di lo-comozione, che ha trasformato e accelera-to il viaggio, ormai giunto quasi al termi-ne – mancano 10 giorni circa -; è cambia-to il mio approccio con la Sicilia, il mio modo di ‘vivere’ le tappe del viaggio. Non fotografo più durante i trasferimenti, le strade che percorro sono quasi sempre au-tostrade, non ho il tempo di fermarmi, an-che perché la stanchezza ha abbassato il mio livello di attenzione e determinazio-ne, oltre al fatto che vado sempre di fretta.

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Quando viaggiavo in Vespa la lentezza mi costringeva a fermarmi anche contro voglia, perché i luoghi e la velocità media di 25/35 km all’ora mi lasciavano la possibilità di guardarmi intorno, osservare, scattare foto in movimento senza nemmeno fermarmi. E poi dava il tempo ai miei sensi di colpa di agire sulle mie resistenze al lavoro, nate prima di me. Se poi si pensa che a Napoli la parola lavoro si traduce in “fatica” non c’è da aggiungere altro. Manca al momento il racconto della città di Catania che è stato un incontro fugace, scandito da un interminabile serie di ap-puntamenti con persone da intervistare.

Un ultimo appunto a me stesso, maledizione a me! Non ho scattato fotografie dei giacigli che mi sono stati offerti durante questo viaggio, un racconto importante visto che ho dormito a terra su materassini o cuscini di divano incastrati tra tavoli di lavoro e muro per non farli aprire, su letti piccoli o grandi, comodi o scomodi, sporchi o puliti, al caldo o al fresco. Un fotografo non dovrebbe farsi scappare un’occasione del genere.

Dalla mia, però, ho la giustificazione di essere una specie di “one man band” senza tregua, veramente, non per dire: lavoro 18 ore al giorno, faccio viaggi di 10 ore in Vespa e poi, magari, prima di

andare a dormire faccio anche un’intervista e invio a Lello qualche video da montare, e magari posto video o foto che mi mandano amici che conosco durante il viaggio.

Questa è un esperienza che sta facendo prima di tutto bene a me, un viaggio con tutti i crismi del caso, una fortuna e un’esperienza che dovrebbero fare tutti, soprattutto i miei nipoti. Rompere i condizionamenti del viaggio sicuro, del “e poi dove dormo?” (anche se me lo sono chiesto più volte anche io, ma più per l’attrezzatura che mi porto dietro che per me stesso).

Il silenzio delle montagne

Viaggiare in solitudine per scoprirsi, e riscoprirsi a odorare dell’origano selvatico sulle colline delle Madonie, coglierne due rametti e metterli sopra il manubrio della Vespa per gustarne il profumo durante il viaggio. Fermarsi ad ascoltare il silenzio tra le montagne, fotografare mucche albine o trovare una serie di cavalli all’ombra e uno di questi ti riconosce e si avvicina lui a me per farsi accarezzare, vedere che l’Italia è bella, rendersene conto, ma anche triste per le ingiustizie, per la quantità di territorio non vissuto dalla gente.

Ci raccontano che le città sono, o me-glio erano, luoghi dove si poteva trovare lavoro, luoghi con ricchezza sociale e culturale, e invece mi rendo conto che l’unica rivoluzione che possiamo fare, a mio parere, è avere una terra, produrre il necessario per la propria comunità familiare per uscire dalle dinamiche di mercato, mangiare pomodori del proprio orto piuttosto che quelli che vengo dal Cile, per esempio, o l’uva che viene da chissà dove. Reinventarsi attività di scambio con i vicini, fermarsi a parlare con uno sconosciuto che incuriosisce, piuttosto che correre dietro a un desiderio di ricchezza inarrivabile e corrotto. Far arrampicare i propri figli su un albero piuttosto che incollarli ai videogiochi per tenerli tranquilli. Non lo so se è giusto, ma se mi guardo intorno mi pare di sì.

Nel frattempo il meccanico non lo chiamo, perché ho paura di farmi dire cosa altro c’è che non va con la Vespa. Adesso la mia accompagnatrice è la Yamaha XT600. Cambiano i protagonisti del viaggio, cambia il viaggio stesso, senza possibilità di recuperare ciò che era prima. Mi verrebbe da chiamare il nuovo motoveicolo Margot, come la fidanzata di Lupin III, solo perché è giapponese: ma mi pare che non le calzi bene.

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Inquinamento

Una storiada Niscemi Quant'è rischioso per la nostra salute il Muos? E' una domanda che si pongono in mol-ti, e a molti fa paura

di Attilio Occhipinti www.generazionezero.org

E le quarantuno antenne presenti da anni nel territorio di Niscemi? Tanti in-contri si sono tenuti in diverse città sici-liane al fine di informare e di sensibiliz-zare la gente non solo davanti al proble-ma legato all’inquinamento ambientale, ma anche e soprattutto alle conseguen-ze che da esso dipendono.

Gli articoli di Mazzeo e le parole di Di Stefano, le manifestazioni dei comitati e i banchetti sotto il sole d’estate, tutto per raccontare quanto sta accadendo e quanto già è accaduto nel nostro territorio. C’è ancora tanto da raccontare, altre storie da narrare.

Tempo fa, sul gruppo Facebook del mo-vimento NoMuos, fui colpito dal messag-gio di una donna di nome Linda. Decisi di contattarla. Volevo conoscerla, volevo ascoltare la sua storia e sapere i motivi che la spinsero a scrivere quel messaggio.

Una grave malattia

Linda, hai dovuto affrontare una gra-ve malattia e sicuramente non è stato facile, nè per te nè per le persone che ti stanno vicino. Puoi dirci di cosa si è trattato?

Nel 2003 per puro caso, tramite il taglio cesareo con cui è nata mia figlia, mi è sta-to diagnosticato un osteosarcoma di Ewing. Dalla scoperta, avevo 25 anni, ho passato giorni non proprio felici. Immagi-no sia facile capire: 25 anni, una bambina appena nata, e io che mi ritrovavo con pa-rolone grandi come cancro o tumore.

In quel momento mi sono sentita schiacciata da una realtà che non conosce-vo, fatta di dolore, sofferenza, di contatto con la morte, perché in reparti come on-coematologia pediatrica, non trovi scherzi e lazzi, trovi disperazione, ed io sono stata catapultata nel girone dei dannati in una specie di inferno dantesco. Ho fatto che-mioterapia, ho subito un intervento chirur-gico di 12 ore, ho rifatto chemioterapia, ho fatto il trapianto di midollo autologo, ho fatto numerose sedute di radioterapia. E quando pensavo di aver chiuso con il capitolo cancro, è ricominciato tutto dopo un anno e mezzo.

Dove sei stata curata?Quando a Modica, all’Ospedale Mag-

giore, dopo avermi rivoltata come un cal-zino, hanno riscontrato una massa di pro-babile natura neoplastica dal primario di ortopedia, il dottore Padua, sono stata in-dirizzata dal professor Rodolfo Capanna; a seguito di una visita ambulatoriale, sono stata ricoverata al CTO Careggi reparto di ortopedia oncologica ricostruttiva, dopo aver fatto ben due biopsie, mi sono state messe su un vassoio due opzioni per effet-tuare le cure: l’ospedale di Ravenna (non ricordo il nome) o il Santa Chiara di Pisa.

Ricordo ancora quando dissi al profes-sore Capanna la mia intenzione di fare chemio in un ospedale più vicino, ad esempio Catania, e ricordo benissimo la sua risposta: «Non metto in dubbio le ca-pacità dei medici della Sicilia, ma se in questa situazione si troverebbe mia figlia, non tentennerei e sceglierei di curarla in strutture come quelle che ti ho citato». Al-lora scelsi il Santa Chiara.

Quando ci siamo conosciuti mi dicesti che i medici ti fecero delle domande, non per caso.

Nel mio primo ricovero al Santa Chiara di Pisa il primario, il dottore Claudio Fa-vre, mi chiese dopo le domande di routine sulla mia anamnesi: «Nella zona in cui abiti o nelle zone limitrofe, ci sono cavi dell’alta tensione scoperti? Sei stata a contatto con dispositivi elettromagnetici di qualunque genere?».

A queste domande io non seppi rispon-dere. Le cause di questo tipo di malattie sono prima fra tutte di carattere ereditario, l’eredità e cioè il bagaglio genetico che ognuno ha; poi l’inquinamento ambienta-le, sia quello che respiriamo, che mangia-mo e ciò con cui siamo a contatto.

Ciò con cui siamo a contatto

Credi ci possa essere una reale con-nessione tra questo tipo di malattia e i dispositivi a cui i medici si riferivano?

L’osteosarcoma è un cancro che non fa parte del discorso ereditario; dunque è ov-vio pensare che sia dipeso dall’inquina-mento in tutte le sue forme. La percentua-le di ammalati oncologici aumenta nelle zone altamente inquinate, vedi fabbriche, discariche o ad esempio generatori di alte frequenze di onde elettromagnetiche.

In base alla tua esperienza, con tutto quello che hai dovuto affrontare, che cosa rappresenta per te il Muos? Sei preoccupata dal fatto che possa essere un rischio per la salute delle persone?

Di certo questa storia del Muos non mi entusiasma, primo fra tutti perché si parla di inquinamento ambientale, poi perché sono convinta che noi persone, singoli in-dividui, non trarremo nessun tipo di van-taggio e di beneficio dalla costruzione del Muos, al contrario contribuiremo al dif-fondersi di nuove malattie o al proliferare di nuovi casi di cancro.

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Memoria

I cinque passidi Mauro Rostagno

Una perizia balistica mai fatta. Gli incontri fra l'editore Bulgarella e Angelo Riino. E l'ordine di morte di Cosa Nostra

della Redazione

Trentacinque e ventiquattro. Due nu-meri che hanno segnato la data del 26 settembre, quando nell’aula bunker “Falcone” del Tribunale di Trapani, sono riprese le udienze dinanzi alla Cor-te di Assise del processo per il delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno.

Questa è stata la 35ma udienza, ha coin-ciso con il 24° anniversario dal delitto di Mauro Rostagno. Un processo che va avanti da un anno e 8 mesi, la prima udienza risale al 2 febbraio del 2011.

Imputati sono due conclamati mafiosi in carcere da tempo a scontare condanne per delitti e mafia: l’imprenditore Vincenzo Virga, riconosciuto capo del mandamento di Cosa nostra trapanese, e l’ex campione nazionale di tiro a volo Vito Mazzara, kil-ler di fiducia della mafia trapanese, uno che andava a sparare assieme all’attuale super latitante Matteo Messina Denaro.

Dalla scorsa primavera l’accusa ha con-cluso l’esame dei propri testi, e per adesso vengono ascoltati i testi della difesa dell’imputato Virga. Il 26 settembre è stata conferita dalla Corte di Assise una nuova perizia sui reperti balistici.

Mauro Rostagno, come ha ricordato in aula la figlia, Maddalena, aveva scelto a Trapani di fare il terapeuta: dentro la co-munità di recupero per tossicodipendenti “Saman” da lui fondata assieme alla com-pagna, Chicca Roveri, e a Francesco Car-

della, e lavorando da giornalista a Rtc, occupandosi di una città, Trapani, che era da recuperare per essere stata per tanto tempo terreno fertile di mafia e poteri cri-minali. Questo suo impegno lo ha portato a suscitare fastidi presso i vertici di Cosa nostra, e l’ordine di morte, come hanno ri-ferito i collaboratori di giustizia sentiti nel processo, partì da Castelvetrano, dal pa-triarca della mafia del Belice, Francesco Messina Denaro.

La firma di Cosa Nostra

A 24 anni dal delitto questa però non è una verità giudiziaria ancora consolidata. Non c’è una sentenza e non ci sarà a bre-ve. E’ però vero che questa è una verità che appartiene oramai alla società civile, a quella società che non esitò alcuni anni fa a raccogliere grazie all’associazione “Ciao Mauro”, 10 mila firme per evitare che l’indagine potesse andare in archivio, e così un poliziotto, brigadiere vecchio stampo, sfogliando nuovamente quelle carte si accorse che chi fino ad allora ave-va indagato aveva dimenticato a fare una comparazione balistica, prassi normale per indagini su delitti, prassi dimenticata per

l’omicidio di Mauro Rostagno. In quella comparazione saltò fuori la firma di Cosa nostra sul delitto.

A Milano il ricordo del delitto è stato ri-cordato con una serata dove è stata ribadi-ta la necessità di fare chiarezza sul perché Mauro Rostagno è stato ucciso, si sono messi in evidenza come tante circostanze sono le stesse di quelle che si scorgono ne-gli scenari di quella che può essere defini-ta la “trattativa infinita” tra Stato e mafia.

Le cosche e i killer delle cosche mafiose siciliane spesso hanno fatto da service ad altri poteri compiendo delitti e stragi, l’omicidio di Mauro Rostagno potrebbe starci tutto dentro questa oscura storia del nostro Paese, ma c’è anche un altro dato che emerge e che lo ha ricordato molto bene il giornalista Rino Giacalone tra le pochissime “voci” che raccontano questo processo: “Se Peppino Impastato a Cinisi era a 100 passi dal potere mafioso, Rosta-gno era a meno di 5 passi, Puccio Bulga-rella l’editore della tv dove lavorava era uno di queli che ogni giorno andava a par-lare di appalti con Angelo Siino quando questi era il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina.

Indagini insabbiate

Dava fastidio Rostagno, lo hanno detto i pentiti di mafia che sono stati sentiti, per-ché parlava di mafia, appalti, traffici di droga, tutti affari della mafia trapanese e lo faceva dalla stanza a fianco alla quale c’era quella dell’editore Bulgarella, cinque passi e forse anche meno”.

Il processo ha evidenziato l’inesistenza per 23 anni dal delitto di alcun serio lavo-ro investigativo, i carabinieri e per un pe-riodo anche la Polizia indagarono su “cor-na” e “gelosie”, i carabinieri dimenticaro-no che Rostagno aveva la prova della pre-senza non rara del capo della P2 Licio Gelli nel trapanese a casa di mafiosi, c’è un verbale nel quale Rostagno racconta di questa sua conoscenza, ma nel processo quel verbale è entrato a dibattimento in corso: era finito in altri faldoni.

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Pianeta

La Bancadi Finlandia:“Ok bitcoin”Ed ecco la prima banca centrale a riconoscere ufficialmente il bitcoin: non a caso, è quella di uno dei Paesi storica-mente più avanzati nelle tecnologie di rete. E in-tanto, a Londra...

di Fabio Vita bitcoin-italia.blogspot.com

E' ufficiale: in Finlandia, il bitcoin è riconosciuto dalla Banca Centrale. Il Segretario della banca centrale finlan-dese, in tv, a una domanda sui bitcoin dichiara che "è perfettamente legale adottarlo".

La notizia la trovate su Yahoo Finanza, ma non sui quotidiani italiani. Ed è una notizia non irrilevante, specialmente con-siderando il ruolo storico del paese scan-dinavo nelle principali tappe dell'evoluz-ione dell'on-line (bbs, internet, pay-on-line, ecc.).

Del resto, là sono già parecchi i nego-zianti che lo utilizzano regolarmente. In-cluso... un dentista, che ne accetta dai pa-zienti e li usa per pagare i collaboratori: che li spenderanno (fra l'altro) da Vega-mesta, una catena di ristoranti vegani.

Più di mille operatori

Nel mondo, intanto, sono già più di mil-le i venditori e fornitori di servizi che uti-lizzano il sistema BitPay. Bitpay è un pro-vider di servizi di pagamento (Payment Service Provider) analogo a Paypal, Goo-gle Wallet, ecc., ed è il più diffuso sistema di pagamento in bitcoin. Offre facili stru-menti per accettare pagamenti in bitcoin online o di persona, con la possibilità di scambiarli e depositarli in banca, evitando automaticamente eventuali problemi di fluttuazione della moneta.

BitPay attualmente viene utilizzato in 98 paesi. La maggior parte dei venditori opera negli Stati Uniti; seguono Gran Bre-tagna, Canada, Australia e Finlandia. Mol-ti di questi sono servizi internet: registra-zione di siti, servizi di hosting e di VPN.

Il millesimo arrivato è Bitcoin Store, che vende oltre 500mila prodotti elettroni-ci. "Li accettiamo -afferma - perchè ridu-ce i costi di commissione e i rischi dell'accettare pagamenti su internet". At-tualmente, in effetti, le frodi di carte di credito fruttano quasi cento miliardi di dollari l'anno, il 95 dei casi in situazioni in cui la carta di credito non è fisicamente presente. Bitcoin elimina il rischio di fro-de nei pagamenti elettronici su internet.

Stallman alla Conferenza Bitcoin

Londra. La conferenza organizzata dalla Bitcoin Consultancy, che avevamo annun-ciato nello scorso numero, si è appena conclusa con esiti superiori alle più otti-mistiche previsioni. E' stata molto più va-sta della precendente (l'anno scorso a Pra-

ga), con centinaia di visitatori presenti e personaggi di spicco che sono intervenuti su un'ampia varietà di campi. Gli argo-menti discussi spaziavano dal Bitcoin stesso ai progetti open source come il Wi-reless mesh network ("rete a maglie"), le stampanti 3D, e anche le sottostanti tematiche sociali e politiche.

Notevole il livello d'interesse fuori dalla comunità Bitcoin. L'anno scorso a Praga la conferenza aveva ospitato il fondatore del Pirate Party Rick Falkvinge, il gior-nalista ecomonico Max Keiser di Russia Today e l'esperto di pagamenti elettronici David Birch. Quest'anno i contributi ester-ni (soprattutto dalla comunità Linux, che ormai si interseca spesso con quella del Bitcoin) sono stati ancora più qualificati e numerosi: basti dire che era presente Ri-chard Stallman, il padre fondatore del mo-vimento del software libero.

* * *Bitcoin è una nuova tecnologia finan-

ziaria, inventata nel 2009 come prima mo-neta digitale peer-to-peer. Usando bitcoin, è possibile mandare moneta come un'email - a chiunque, ovunque, in qual-siasi momento - senza passare per banche, governi o corporation.

LINK DEL MESEwww.bitcoinmoney.com/post/31414125252/bitc

oin-finland-newscast

finance.yahoo.com/news/bitpay-exceeds-1-

000-merchants-130000458.html

it.wikipedia.org/wiki/Wireless_mesh_network

McCarthy, Bitcoin capital markets:

www.youtube.com/watch?v=vmPD_YSQ--k

Marek Palatinus,The Future of pooled mining:

www.youtube.com/watchv=7POTBsvETWE

Max Keiser:

/www.youtube.com/watch?v=pOrmsymuBG4

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 65– pag. 65

La moneta elettronicaTrend, tecnologia, applicazioni, mercati

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Italie

Nei campi di don DianaUn'estate differente

Un ragazzo di Livorno va a fare volontariato nei campi confiscati alla camorra a Sessa Aurunca in Campania

di Giacomo Salvini

Campi deserti, baracche desolate in mezzo a terre incolte, un’afa insosteni-bile e un tanfo di sterco animale. Ap-pena uscito dalla minuscola stazionci-na di uno sperduto paese della provin-cia di Caserta pensi subito ”Se il buon-giorno si vede dal mattino siamo messi bene! Ma dove diavolo sono finito?!”.

Siamo arrivati nelle “famose” terre dei Casalesi. In particolare nel paese di Ses-sa Aurunca dove da anni operano gli Esposito e i Di Lorenzo affiliati al clan degli Schiavone, degli Zagaria, degli Io-vine, che controllano il territorio della provincia di Caserta.

Un’atmosfera surreale. A Casal di Prin-cipe, Mondragone, Sessa Aurunca, Ca-stelvolturno si notano immediatamente vere e proprie mura a ridosso di ciascuna abitazione in modo da non essere troppo esposte alle strade principali.

Per gli abitanti della zona è abituale vedere aggirarsi intere pattuglie di poli-ziotti e carabinieri con auto blindate, ar-mati fino al collo e con giubbotti antipro-iettile.

La carovana di quaranta volontari che attraversa i vicoli di Casal di Principe dà subito nell’occhio; gli abitanti si affac-ciano alle finestre, escono dai bar dove un attimo prima stavano sorseggiando una tazza di caffè leggendo una copia del “ Mattino” e guardandosi tra loro si chie-dono :”Ma chist’ che stann’ facend’??”.

Se ti azzardi a chiedere dove si trovi la casa di Francesco Schiavone (detto San-dokan per la somiglianza con Kabir Bedi, capo assoluto del clan dei Casalesi) cala un silenzio imbarazzante. ”Accattate na valigia - pensano rientrando nei bar - e cazzi tuoi!”.

Gli abitanti di questi paesi sanno benis-simo che qui gli omicidi ogni anno sfio-rano le duecento vittime, che il giro di affari illeciti (traffico di droga, imprese e

appalti pubblici, traffico d'armi, prostitu-zione e usura) tra Napoli e Caserta si ag-gira intorno ai dodici miliardi e mezzo di euro l’anno. Ma molti preferirebbero non saperlo.

Ma sarebbe tuttavia riduttivo continua-re a parlare della parte malata (molto am-pia), e irrispettoso nei confronti dei tanti cittadini che ogni giorno si battono per ridare speranza a questi territori. Basti pensare che questa stessa provincia di Caserta in Italia ha il primato dei beni confiscati alle mafie.

Vivendo per una settimana in uno di questi beni confiscati alla camorra (nel mio caso alla famiglia Moccia, affiliati dei Casalesi) si può comprendere quanto la legge 109 del ’96 - nata da un referen-dum di un milione di firme e proposta da Libera di don Ciotti - abbia intaccato gli equilibri su cui si fondava il potere dei clan. “La precedenza sull’utilizzo del bene confiscato - dice la legge - sarà data ad associazioni o cooperative con finalità sociali”.

Coop “Al di là dei sogni”

E’ il caso della cooperativa sociale “Al di là dei sogni”, in cui ho vissuto questa intensa settimana. Non ci troviamo più nelle terre della camorra, ma nelle terre di don Peppe Diana.

Qual è stato il significato di questa esperienza di lavoro? Intanto, per il fatto di provenire da realtà territoriali e sociali diverse, si diviene subito consapevoli di partecipare alla rinascita civile e sociale di questa terre. In più, nella cooperativa i soci - molti dei quali disabili: sordomuti, neurolabili... - condividono con te tutte le esperienze della vita quotidiana.

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“Per ridarevita e speranzaa questa terra”

Per esempio lavorando insieme sotto il sole cocente della Campania per cinque ore consecutive, o facendoti fare un sac-co di risate nei momenti di riposo.

E se arrivi l’ultimo giorno a non volerli più lasciare, allora vuol dire che lo scam-bio di emozioni è stato incommensurabi-le. Hai avuto l'occasione di vivere con le persone che dedicano la propria vita a questi ragazzi e che si sono prese la dura responsabilità di gestire a piano regime un bene confiscato alla camorra. Quando torni nella tua città dentro di te pensi: "il

prossimo anno devo tornarci assolutamente e con me porterò gli amici che non erano a conoscenza di questa fantastica esperienza!”.

Un paese migliore

C'è una cosa che mi ricorderò sempre: quando ci dicevano "a fine giornata puz-zerete un po’ di merda ma tra qualche mese il tanfo che vi rimarrà sui vestiti sarà sostituito dal sapore genuino dei nostri - vostri prodotti!”.

La lotta per ridare speranza ai territori dominati dalla mafia non è ristretta ad una

cerchia di persone “che combattono una battaglia persa in partenza, tanto non ci si può fare niente” (come dicono tanti nella mia città e non solo) ma comprende anche i tanti che sono pronti ad urlare la propria voglia di un paese migliore.

Ripercorrendo con la memoria gli ultimi tre giorni della settimana, abbiamo visitato i principali paesi della provincia di Caserta per assistere al Festival dell’Impegno Civile, organizzato dall’associazione “Nelle terre di Don Peppe Diana” in collaborazione con as-sociazioni diverse tra cui tutti i presìdi di Libera della Campania nei beni confi-scati alla camorra.

“Senza di voi non ce l'avremmo fatta”

Le parole di Simmaco Perillo, responsabile della cooperativa “Al di là dei Sogni” di Sessa Aurunca, sono rima-ste in testa a noi tutti: “Il Festival è nato per tentare di riportare alla luce i beni confiscati. Per dire a tutto il territorio campano che i beni sono un'opportunità e possono diventare nuovamente beni pub-blici. Grazie a tutti quelli che siete venuti al Festival perché senza di voi non avremmo potuto organizzare tutto que-sto, ma permettetemi di ringraziare tutti i soci delle cooperative presenti sul nostro territorio che ci aiutano quotidianamente per ridare vita e speranza a questa terra”.

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Scheda“RETE DI ECONOMIA SOCIALE”: COS'E'E A CHE COSA SERVE

In questi anni le associazioni di vo-lontariato stanno lavorando a un nuovo modello di economia socia-le. La sigla NCO adesso non deve indicare più la “Nuova Camorra Organizzata” (quella fondata da Raffaele Cutolo agli inizi degli anni ’80) ma il “Nuovo Commercio Organizzato” (il ristorante gestito da una cooperativa antimafia in Campania).Il 21 marzo, giornata della memo-ria, è stato presentato così il pro-getto RES (Rete di economia socia-le) che, insieme alla fondazione “Con il Sud”, vuol promuovere, ra-gionando in rete, pratiche di econo-mia sociale coi beni confiscati alla camorra, in particolare nel com-mercio agroalimentare, nel turismo sostenibile e nella comunicazione sociale.Ogni mattone posizionato, ogni ter-reno concimato, ogni pianta innaf-fiata sono un piccolo passo per il raggiungimento di un obiettivo che qui, in queste terre, hanno in tanti: liberarsi per sempre dal dominio e dalla subcultura mafiosa.

G.S.

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Milano

Obiettivi di mafiaIncendi, intimidazioni e omicidi 2011-2012

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http://www.stampoantimafioso.it/wp-content/uploads/2012/08/Prima-Relazione-Semestrale-Comitato-Antimafia.pdf

Questa è la mappa relativa agli incen-di, alle intimidazioni e agli omicidi con-tenuta nella prima relazione del Comitato antimafia di Milano. E' basata sulla con-sultazione dei maggiori quotidiani locali online, a partire da corriere.it (sezione Milano), milanotoday.it, ilcittadino.it e ilgiorno.it (sezione Milano).

I fatti sono stati classificati in tre cate-gorie: incendi (39 casi), intimidazioni (bombe artigianali o uso armi da fuoco, 13 casi) ed omicidio (1 caso, Giuseppe Nista, 10 maggio 2012).

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Milano

Due giorninella storiadi questa città10-11 settembre2012: le fiamme e le pallotto-le delle mafie, la soli-darietà dei cittadini

di Martina Mazzeo www.stampoantimafioso.it

Milano ricorderà il 10 (e l’11) set-tembre 2012 come si ricorda qualcosa di estremo e ambivalente: la viva ri-scossa contro le fiamme mafiose, da un lato, e la nera insicurezza color polvere da sparo dall’altro.

La storia di Loreno Tetti ci racconta che aveva ragione Falcone quando dice-va che “la mafia è un fenomeno umano”. Cosa c’è di più umano della codardia mafiosa che dà fuoco all’autonegozio di chi non vuole stare alle regole del suo gioco violento? E cosa c’è di più umano del coraggio di chi a quelle imposizioni si sottrae, rivendicando il diritto al libero esercizio della propria professione, il di-ritto ad una vita felice, rispettosa e rispet-tata?

Dalla mattina di lunedì 10 settembre, Loreno ha ripreso la sua quotidianità, è tornato in via Celoria 16, dagli studenti di Città Studi; a “tenerci compagnia”, ha dolcemente sottolineato uno studente di

Fisica durante la trasmissione “L’Infede-le” a cui Loreno è stato invitato, suppor-tato da molti universitari e alcuni rappre-sentanti di associazioni milanesi.

E molti sono stati i cittadini milanesi che, con la loro presenza al presidio di lunedì mattina in via Celoria, hanno teso la mano a Loreno: gli hanno assicurato che non è solo nella sua dignitosa batta-glia contro i Flachi (il clan di ‘ndranghe-ta colpevole di aver dato alle fiamme il suo furgoncino, la notte tra il 17 e il 18 luglio); gli hanno assicurato che non è solo a combattere l’omertà di quei suoi colleghi ‘paninari’ che, anziché confer-mare, hanno ritrattato le proprie dichiara-zioni e, non contenti, hanno preso a dar-gli dell’ “infame” perché non doveva de-nunciare; doveva invece starsene zitto, come hanno fatto loro, nascondendosi dietro alla memoria corta o ad improba-bili scuse.

“Io non ho paura”

“Io non ho paura”, ci tiene a ribadire in più occasioni Loreno, con quell’aria da gigante buono. Ma pretende, il sig. Tetti, che il Comune lo protegga: “non hanno installato nemmeno una telecamera nella via dove lavoro”. Loreno ora attende ri-sposte; la Giunta, che comunque ha già fatto molto indicendo sua sponte il presidio di sostegno, gliele dia.

Ma c’è altro a Milano che aspetta di essere chiarito: la sparatoria di lunedì sera in via Muratori, zona Porta Romana. Massimiliano Spelta, un commerciante italiano di 43 anni, incensurato, e la sua compagna, Carolina Pajano, 22enne di origini dominicane, sono stati chirurgica-mente freddati in mezzo alla strada.

Dalle indagini emergerebbe che la don-na sia stata il primo bersaglio degli assas-sini; inoltre, nella loro casa milanese di via Mecenate sono stati ritrovati 47 grammi di cocaina purissima, il che ha aperto agli inquirenti una nuova pista in-vestigativa. Fortunatamente, all’esecu-zione dei suoi genitori è sopravvissuta, illesa, la loro bambina di appena un anno e mezzo, che ora è stata affidata alla zia paterna.

Ventiquattro ore dopo, martedì 11 set-tembre, via Giacosa, nei pressi di via Pa-dova, è stata teatro di un’altra sparatoria. Diversi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi da un’auto in direzione di una se-conda vettura, non provocando comunq-ue nessuna vittima. Non lontano, in viale Monza, il 31 luglio 2011 un incendio di natura dolosa ha danneggiato un locale, il “Cappados”, chiuso tempo prima dalla Questura in seguito ad una sparatoria che aveva ferito un cittadino albanese con precedenti.

Scorre il sangue nella ricca Milano. E si spargono, copiose, la polvere da sparo e la benzina . Se si pensa che la sparato-riaè avvenuta in una via adiacente al luo-go in cui, solo tre giorni prima, era stato dato alle fiamme un bar, la sensazione che nella nostra città qualcosa, davvero, non vada, ti assale forte; acre, più dell’odore del sangue, più del puzzo di benzina.

Foto di InformaFisica

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 69– pag. 69

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Dal 29 settembre al 20 ottobre

Brindisi capitaledell'antimafia

Tre settimane di incon-tri, discussioni e ini-ziative organizzate dal-la Scuola di formazio-ne politica Antonino Caponnetto

di Nando Benigno

Brindisi che non t'aspetti, Brindisi capace di gesti di elevata generosità - vedi lo sbarco degli albanesi nel '91- ma anche di ferocia inaudita, tipica della guerra di mafia i cui affiliati si contendono il controllo del territorio.

Brindisi devastata dalle centrali elettri-che, svuotata delle intelligenze migliori emigrate in cerca di lavoro e di ricono-scimento delle proprie qualità, Brindisi orgogliosa della propria brindisinità, brindisi gelosa della propria storia, Brin-disi appassionata di sport.

Brindisi che mette in ansia tutta l'Italia perchè la mattina del 19 maggio 2012 una bomba scoppia durante l'ingresso delle alunne in una scuola, la Morvillo Falcone, uccidendo Melissa Bassi e fe-rendo tante sue amiche.

Il sentimento più diffuso è lo sgomento di fronte a tanta efferatezza; le tante do-mande senza risposte immediate genera-no paura, il teso dibattito sulla matrice dell'attentato semina incertezze e dubbi. In questo burrascoso sommovimento di

sentimenti, il pomeriggio dello stesso giorno dell'attentato, una imponente e spontanea manifestazione di piazza ridà voce a Brindisi, alla paura subentra la rabbia, il desiderio di fare qualcosa, il coraggio di ribellarsi alla paura, la fierezza di essere lì per fare qualcosa.

E dal palco, sgombro dalla presenza di politici presenzialisti, è la voce di una studentessa, Martina, che infiamma la piazza e chiama alla mobilitazione conti-nua, cosa che avverrà. La grandiosa ma-nifestazione di sabato 26 maggio è anco-ra negli occhi di tutti i presenti e l'eco di quelle voci di ribellione ancora rimbom-bano.

Le scuole contro la mafia

E' in questa città che, programmato già dal mese di aprile, la Scuola di formazio-ne politica Antonino Caponnetto, insie-me ad altre associazioni aderenti come Libera, Proteo fare sapere, istituzioni amministrative, sportive, culturali, reli-giose, attuerà il progetto"Brindisi capita-le dell'antimafia".

L'intento è quello di ricordare, contem-poraneamente, il pensiero, l'insegnamen-to, la memoria di Pio La Torre, Carlo Al-berto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Ci siamo dati tre setti-

mane di iniziative continue che toccano quasi tutte le forme di comunicazione, che si svolgono in luoghi diversi, in orari diversi, con tantissimi interpreti.

Tantissime iniziative servono a prepa-rare i due grandi eventi finali del 19 e 20 ottobre.

Le scuole brindisine, negli ultimi 15 anni hanno investito tantissimo in pro-getti formativi, sull'antimafia e soprattut-to sull'educazione al rispetto delle perso-ne, delle regole, degli impegni presi, ai valori costituzionali. Ed è soprattutto per questo motivo che tanti mesi fa decidem-mo di premiare questo sforzo collettivo delle scuole, per rafforzarle in questa scelta.

Se oggi la presenza e l'incidenza della sacra corona unita sul territorio brindisi-no è ai minimi termini, oltre che all'inci-sività di magistratura e forze dell'ordine, lo si deve anche all'oscuro lavoro di tanti docenti e qualche dirigente scolastico. Dal 29 settembre al 20 ottobre speriamo di accogliere tanti di voi: noi ci saremo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 70 – pag. 70

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Antimafia

Le cinque giornatedi MilanoTra studi e dibattiti, i nuovi modi di insorge-re contro la tassa ma-fiosa: “Summer School in Organized Crime”.

di Sara Spartà www.diecieventicinque.it

Consideriamo l’Italia e dividiamola in due. Due grandi uniche regioni. Imma-giniamo, per assurdo, di riuscire ad iso-lare solo in una di queste la criminalità organizzata e di comparare ciò che ac-cade nell’economia e nel sistema istitu-zionale di entrambe. Un paragone di questo tipo ci permetterebbe non solo di identificare gli effetti della mafia ma an-che di calcolarne i costi in maniera sem-plice, chiara e immediata. Cosa cambia in termini di produttività e di redditivi-tà? La mafia porta veramente lavoro, crescita e sviluppo?

Questo è stato uno dei molti risultati di studio presentati alla II Edizione della Summer School in Organized Crime pres-so la Facoltà di Scienze Politiche di Mila-no, organizzata dal Prof. Nando dalla Chiesa. Una full immersion di cinque gior-ni che ha visto sfilare docenti, ricercatori, magistrati, rappresentanti di vari enti loca-li e appassionati studiosi che hanno dato il loro contributo in termini di ricerca ed esperienza professionale ineguagliabili.

Perché se è vero che “coppola e lupara” sono sinonimo di una solida organizzazio-ne resistente alle intemperie è anche vero che l’unico modo per contrastarla è agire in maniera uguale e contraria, ossia con una intelligenza e alto senso di civiltà e professionalità “organizzata”.

E' quello che è avvenuto a Milano, men-ti appassionate e geniali hanno messo al servizio della collettività ricerche e risulta-ti che sono il simbolo di anni di studio sul campo ma anche di dedizione, passione, esperienza e vita. C’è qualcosa di impor-tante in tutto questo. Dare valore e spazio ai giovani, alle loro proposte e al loro ap-prendimento, alla loro voglia di andare ol-tre i banchi delle aule universitarie, di riu-nirsi e di discutere ancora per le strade, da-vanti ad un caffè.

L’esperienza di quest’anno era focaliz-zata su “La tassa mafiosa. I costi economi-ci e sociali della criminalità organizzata: analisi e strategie di intervento”.

Il costo della corruzione

Quanto pesa nelle nostre tasche e sulle nostre vite la mafia? Quanto le stime note possono considerarsi realistiche e attendi-bili? Su quali fattori si basano e perché? Fra queste i numeri della Corte dei Conti, per cui ad esempio solo il costo della cor-ruzione in Italia si aggirerebbe tra i 50-60 miliardi di euro.

Ma questi miliardi cosa sono, a cosa fanno riferimento nello specifico, e quale è il criterio di sottrazione applicato al PIL italiano per poter affermare dati simili con certezza?

Sappiamo che l’importanza di questi “tentativi eroici” di quantificazione dei co-sti tende a tenere alta la soglia di attenzio-ne riguardo al fenomeno, ma di contro crea anche allarmismo, confusione che nel lungo periodo possono essere tradotti in un senso di sconforto e di sfiducia sociale nelle possibilità concrete che lo Stato ha a disposizione per arginare e rispondere in maniera efficiente al problema.

Il peggioramento dell’indice di perce-zione della corruzione (CPI) può determi-nare una riduzione annua del PIL, del red-dito pro capite e della produttività di un paese. Ecco la necessità di uno studio di questo tipo.

Ma, in fondo, è tutta e solo una questio-ne di numeri?

Partendo da un dato facilmente intuibile, la tassa mafiosa grava su beni materiali

come la sottrazione forzosa di risorse pri-vate, quella forzoso-politica di risorse pubbliche, grava sui costi della giustizia e della sicurezza, su quelli di distruzione ambientale, fa emergere una inefficienza del sistema di allocazione di risorse e que-sto può provocare un effetto di scoraggia-mento per le imprese e un’ innalzamento della soglia di accesso al mercato.

Ma ciò che più colpisce sono i costi sui beni “immateriali” come quelli di relazio-ne ad esempio, la tassa mafiosa colpisce la fiducia nelle istituzioni ma anche tra le persone, la giustizia, l’efficienza dei servi-zi, i costumi civili, la partecipazione. Col-pisce le eccellenze individuali, il merito, la diffusione dei talenti in zone diverse da quelle di origine, l’arte e la cultura. Colpi-sce l’armonia di un paese, intesa come be-nessere, felicità, libertà.

È chiara dunque la difficoltà di una quantificazione e soprattutto di una rispo-sta efficace delle istituzioni, in termini di progettualità, risorse, innovazione e stru-menti volti ad arginare il fenomeno. Ecco il perché di un approfondimento e di un confronto con gli “operatori” che giornal-mente danno forma e vita a molte intuizio-ni. Perché la risposta dello Stato è impor-tante. Così come lo è una non risposta.

“L'onestà non paga”

Perché tuonano ancora queste parole a distanza di giorni: “Non credo più in que-sto paese dove corruzione e prepotenze imperversano sempre. Auguro a chi conti-nua a resistere di avere più fortuna di me. L’onestà non paga. L’onestà e la trasparen-za non pagano. Questo non è più il mio mondo”.

Parole che scuotono, macchiate dalla pi-stola con cui Ambrogio Mauri, un’ im-prenditore milanese nel 1997 decide di farla finita. Distrutto dalla logica delle tan-genti che l’inchiesta di Mani Pulite non era riuscita a cambiare. La figlia Roberta racconta con pudore e dignità la storia di suo padre, affinché non muoia una secon-da volta schiacciato da logiche imprendi-toriali ormai diffuse prive di etica e di va-lore.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 71– pag. 71

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Festival del Giornalismo

A Modica si festeggia l'informazionecon nuovi progettiSi chiude il quarto Fe-stival del giornalismo di Modica. Quattro giorni di dibattiti ma non solo. Ci sono I Siciliani Giovani, c'è Libera e ci sono tanti ragazzi venuti da tutta la Sicilia

della Redazione de “Il Clandestino”

www.ilclandestino.infoC'è una foto, una normale foto.

Nell'immagine ci sono un gruppo di

ragazzi che ride e due maestri di gior-

nalismo. C'è un altro scatto: una ra-

gazza, sciarpa colorata e capelli ba-

gnati, che tiene un foglietto in mano ed

ha una lacrima che le segna il volto.

Ingenua e vera.

Il Festival del giornalismo è tutto qui,

in questi due scatti. Nella gioia di un

gruppo di ragazzi di aver terminato an-

che la quarta edizione, di aver condiviso

una esperienza stramba. Di aver sorriso

assieme e di aver bestemmiato altrettanto

assieme. Scambi di abbracci, pacche sul-

le spalle, sudore e pizza a notte profonda.

Il Festival è nelle lacrime di una ragaz-

za che quando deve ringraziare il pubbli-

co e dargli l'arrivederci all'anno prossimo

si emoziona. Lacrime di liberazione. O di

orgoglio.

Nelle lacrime di una ragazza

È una strana storia quella del Festival

del Giornalismo di Modica, organizzato

dal mensile Il Clandestino, con I Siciliani

Giovani e Libera Sicilia. Dal 30 agosto al

2 settembre, Modica, estremo lembo del-

la Sicilia, si è trasformata nel centro

dell'informazione.

La mattina cominciava presto per più

di 50 ragazzi che inondavano le viuzze

del centro storico per partecipare ai

workshops. Dietro la cattedra c'era Tano

D'Amico che teneva incollati i ragazzi

alla sedia con la propria esperienza e le

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 72– pag. 72

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“Tanti ragazzi hanno inondato le vie di Modicaper partecipareai workshops”

proprie foto. Due passi più in là c'era

Giacomo Di Girolamo che parlava di

giornalismo residente e raccontava la sua

esperienza con Marsala.it. Tutti a stupirsi

e a prendere appunti; a fianco un altro

giovanissimo giornalista siciliano,

Giuseppe Pipitone, che con il piglio di un

cronista vissuto raccontava il lavoro di

cronaca giudiziaria. C'è spazio pure per il

futuro dell'editoria elettronica con Fabio

Vita e i suoi consigli utili.

E poi dalle stradine ci si dirigeva verso

l'atrio comunale, location del Festival.

Banchetti, punti informativi, giornali,

musica, teatro e tanti dibattiti hanno ani-

mato le quattro giornate.

È stata Manuela Modica, collaboratrice

de L'Unità e de La Repubblica, ad aprire

le danze con il suo libro su Raffaele

Lombardo. Con lei c'era Emanuele Lau-

ria, giornalista di Repubblica. I vizi e le

virtù dell'ex governatore hanno attirato la

curiosità di molti.

Il programma è stato ricco: da Pino Fi-

nocchiaro ad Attilio Bolzoni, da Giusep-

pe Lo Bianco ad Enrico Bellavia, passan-

do per Loris Mazzetti ed Antonio Maz-

zeo. E poi si è parlato del futuro del gior-

nalismo con alcune giovani penne: Clau-

dia Campese di Ctzen; Valeria Grimaldi

di Dieci e Venticinque; Gaetano Alessi di

Ad est e Giuseppe Pipitone.

E i Siciliani Giovani?

In una sala gremita si è tenuta pure

l'assemblea de I Siciliani Giovani. “Cosa

sarà questo giornale?” “C'è già, ma biso-

gna continuare. Tra poco il cartaceo”. Si

parla, ci si scontra, ma alla fine tutti as-

sieme a prendere un caffè prima che co-

minci un altro evento.

Ma il Festival non è il suo programma.

È la storia di un gruppo di giovani che

ogni mese porta in edicola un giornale ed

ogni anno regala alla propria città un mo-

mento di vitalità.

Il Festival è Tommaso, diciassette anni,

che non si tira indietro se c'è da spostare

un tavolo e accogliere gli ospiti; o Mau-

ro, 15 anni, che, con un futuro da agente

commerciale, vende i biglietti per il sor-

teggio di autofinanziamento. Il Festival è

Norma che è venuta da Roma per dare

una mano.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 73– pag. 73

SchedaIL “CLANDESTINO” ELA SUA RETE/ LA STORIA

Il Clandestino nasce nel 2006 come giornale studentesco distribuito negli istituti superiori di Modica. Un giornale per i giovani fatto da giovani per raccontare il territorio con il proprio punto di vista e per uscire dalla logica della paludata informazione locale. Il Clandestino diventa la voce del movimento studentesco contra la privatizzazione dell'acqua che in provincia di Ragusa ha portato ad una vittoria, assieme ad altri gruppi. Un periodo carico di emozioni che ha dato nuova linfa al giornale.Pian piano il gruppo che sta dietro ad Il Clandestino si allarga, arrivano nuovi ragazzi, ci si scambiano idee e si cresce assieme. Diventa una palestra di giornalismo e di impegno sociale. Un po' autodidatti e un po' alunni di grandi maestri.Nel 2008 il giornale ha cambiato volto ed è entrato in edicola. Il Clandestino è uscito dalla scuola per arrivare in tutta la città e a tutti i suoi cittadini. Ma Il Clandestino non è solo Modica, la sua visione si allarga grazie alla rete di cui fa parte. Il Clandestino aderisce a Lavori in corso ed ora ad I Siciliani giovani e a Libera. Il giornale è semplicemente un tassello di un mosaico molto più ampio. Una finestra sul Ragusano.Da solo nessuno sarebbe niente.

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“Chiuso il Festivalsi ritorna nellestrade della cittàper riempireil giornale”

Tante storie che si intrecciano. Ci sono

i giovani che vengono dai posti più lon-

tani della Sicilia; ci sono gli anziani che

ringraziano per il tempo fattogli trascor-

rere; ci sono i volontari che all'ultimo

mare preferiscono dare una mano.

Una grande rete

Il sipario cala presto ma qualcosa resta.

Resta il calore umano, resta il progetto

de I Siciliani Giovani, le nuove amicizie

e i tanti “teniamoci in contatto”. Chiuso

il Festival si ricomincia a camminare per

le strade della città per riempire le pagine

de Il Clandestino. C'è chi va a fare le

interviste, chi si improvvisa contabile.

C'è chi si inventa grafico e chi fa il

fotografo. Mese per mese, da 6 anni.

Tutto nasce così, nel 2006. Una festa in

un salone di una chiesa, con un paio di

gruppi metal, è la presentazione del gior-

nale. Non proprio un inizio con il botto.

Quattro pagine A4 in bianco e nero, im-

paginate con Word, sgrammaticate e

brutte. Un editoriale scritto in fretta in

furia: “Che cos'è Il Clandestino?”.

Fra una salone di chiesa e un garage

È cominciato così, con una domanda e

un intento. Quello di fare un giornale fre-

sco, che avesse come solo riferimento la

vitalità e l'ingenuità dei giovani, ma es-

sendo rigorosi e franchi. Sono passati sei

anni da quella sera nel salone di una

chiesa e da quel giorno ininterrottamente

ogni mese il giornale è uscito. Ma Il

Clandestino non è solo questo. È soprat-

tutto una storia di un gruppo di amici.

Anche qui una foto ci viene in soccor-

so, ancora una volta nella foto c'è un

gruppo. Una decina di ragazzi, davanti

un garage, con uno striscione in mano,

che brindano alla formazione del giorna-

le. Sono per lo più minorenni e non san-

no che di questa storia ne avranno ancora

per un po'.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. XX– pag. XX

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Storia

Pio La Torree Berlinguer:comunisti controConsociativismo o al-leanze popolari? Una scelta drammatica, che divise il partito

di Elio Camilleri Nel 1979 era in corsa per entrare nel-

la Direzione nazionale del PCI, ma fu bloccato perché considerato “di destra” e per lo stesso motivo fu contrastato anche il ritorno in Sicilia come Segreta-rio regionale.

Eppure Pio La Torre aveva una lucida conoscenza dei formidabili problemi della Sicilia non solo per quanto riguardava la mafia, ma anche riguardo la storia politi-ca di questa terra. Espose chiaramente tut-to nella Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia del 1976 e non ebbe alcun ti-more a spiegare in Parlamento l’omicidio di Piersanti Mattarella con il caso Sindona e con i rapporti tra mafia e politica, tradi-zionale passaggio fra Sicilia ed Usa.

Arrivò in Sicilia ed espresse, da subito, la sua ferma opposizione alla costruzione della base missilistica della NATO a Co-miso, e lanciò una petizione popolare per bloccare l’istallazione di 112 missili Crui-se e che in breve tempo ottenne la sotto-scrizione da parte di più di un milione di persone.

Si creò, infatti, una straordinaria mobili-tazione che coinvolse migliaia di giovani, di associazioni e movimenti anche d’ispi-razione cattolica: “Furono settimane di grande mobilitazione, con i tavolini da-vanti alle chiese e alle sezioni per la rac-colta delle firme, comitati unitari che sor-sero un po’ ovunque nei paesi e nelle città …”. (Elio Sanfilippo. Quando eravamo comunisti. Edizioni di passaggio. Paler-mo.2008. pag.353)

La ripresa della corsa agli armamenti preoccupava seriamente Pio La Torre e l’istallazione dei missili a Comiso rappre-sentava una gravissima e oggettiva condi-zione di pericolo per la Sicilia, che sareb-be diventata un bersaglio atomico, per l’Italia, per la pace.

Ma un pezzo di segreteria nazionale del PCI e lo stesso “Enrico Berlinguer teme-va che la battaglia dei comunisti siciliani contro i missili americani a Comiso finis-

se per apparire filosovietica” (Gianni Parisi. La storia capovolta. Setterio.Pa-lermo. 2003. pag 197)

Il 4 aprile 1982 si svolse, comunque, a Comiso un’imponente manifestazione contro i missili e per la pace: parteciparo-no più di centomila persone provenienti, oltre che dalla Sicilia, da altre parti d’Ita-lia e d’Europa ad esprimere, pur da diffe-renti appartenenze poliche la medesima richiesta per il disarmo e per la pace.

In Sicilia si trovarono dalla stessa parte La Torre, il Presidente dell’ARS Lauricel-la e il Presidente delle ACLI Capitummi-no in una alleanza che nulla aveva a che fare con il consociativismo degli anni set-tanta contro cui La Torre era stato critico intransigente.

Il contrasto con la segreteria

Il contrasto tra i comunisti siciliani e la segreteria nazionale si acuì ulteriormente quando Pio La Torre chiese che la petizio-ne per la moratoria e per il disarmo “bi-lanciato”, sì da non sembrare filosovieti-ci, fosse esteso e proposto in tutta Italia.

Da Roma arrivò un secco rifiuto, ma Pio La Torre ritenne di dovere continuare la lotta e allora la mafia e quei pezzi della politica e dei servizi al soldo degli ameri-cani trovarono subito le ragioni di colle-garsi concretamente per la sua eliminazio-ne che, come si sa, arrivò il 30 aprile 1982

Ai funerali Enrico Berlinguer promise che la raccolta delle firme sarebbe conti-nuata in tutta Italia, ma il partito comuni-sta non fece nulla per mantenere la pro-messa quasi – forse - a voler dimenticare al più presto che in Sicilia si era svolta la più imponente manifestazione per la pace.

Il 13 settembre dello stesso anno il Par-lamento approvò la legge sulla confisca dei beni mafiosi, passaggio decisivo, ma intrapreso con riluttanza, per colpire Cosa nostra.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 75– pag. 75

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Viaggio sentimentale

Le amiche diGoliarda Sapienza

Una delle più dense scrittrici del Novecen-to, famosa in Francia, ignorata da noi. Fin-ché...

di Vera Navarria

È cominciata un anno fa. L'indirizzo l'avevamo trovato su uno dei suoi libri autobiografici. Via Pistone n.20, Cata-nia. La casa di una scrittrice.

Dei muri nudi, e un portone di legno tanto consunto da immaginare che fosse rimasto lo stesso dai tempi in cui Goliar-da vi spingeva i palmi giovani, prima di precipitarsi in cortile e su per le scale.

Un gatto, di una magrezza che nulla aveva a che fare con gli esemplari pa-sciuti e viziati di piazza Teatro Massimo, ci osservava con occhi scontrosi e indo-cili, lasciandomi l'immagine che di via Pistone mi sono portata dietro per tanto tempo: un mondo altro, sorprendente-mente separato dalla città che conoscevo dai pochi e scarni scalini di via Buda.

Così fino al 15 settembre, quando gra-zie a Pina Mandolfo e alla Società Italia-na Letterate, nell'ambito dell'iniziativa Sulle tracce di Goliarda-viaggio senti-mentale e letterario nei luoghi di Goliar-da Sapienza, su quella soglia è stata po-sta una targa: «Questa casa, la strada, i vicoli, Catania, hanno nutrito il genio narrativo di Goliarda Sapienza».

In quei vicoli familiari

Pochi centimetri di marmo, che però hanno richiesto con gli abitanti del luogo - ai tempi di Goliarda artigiani e «uomini e donne che fanno mercato di loro stessi», e oggi che gli artigiani non esi-stono più solo questi ultimi - una contrat-tazione lunga. Che alla fine ha dato l'esi-to sperato, quello che, ammettendo noi, non solo catanesi perbene - finti, ci avrebbe chiamati Goliarda -, ma donne di tutta Italia, accoglieva di nuovo so-prattutto lei, Goliarda Sapienza, la scrit-trice cresciuta in via Pistone, ma che poi se n'era andata via e che ci ha lasciati, nel '96, continuando ad avere l'impressione di essere diventata per quei vicoli fami-liari una straniera.

Ed ecco il tour sentimentale, percorso come fa Goliarda in Io, Jean Gabin in poche, frenetiche ore. Il laboratorio del saggio puparo Insanguine, che teneva la sua attività quando le famiglie di pupari erano ben 15 in città, ma che con occhio lungo presagiva la morte per l'Opera dei pupi, e che ora è giustamente ospitato in

un museo - quanto avrebbe riso Goliar-da! -, nato dalla dedizione del figlio Mi-chele. Stanze dove i suoi pupi e le meravigliose scene dipinte ci parlano an-cora.

Il cinema King, quella vecchia sala che poi fu il Cine Mirone che proteggeva Goliarda dalle brutture del fascismo nu-trendola al calore dei film francesi, un luogo, per noi, dove poter riascoltare la sua voce e osservare meglio i suoi occhi grazie al documentario di Loredana Ro-tondo, Vuoti di memoria.

Palazzo Biscari, simbolo opulento del barocco catanese, la bellezza del quale la scrittrice ha saputo portarsi dietro almeno quanto il sapore dei vicoli. Lì Elvira Se-minara, Giovanna Providenti e Monica Farnetti, studiose, sono intervenute sulla personalità e l'opera di Goliarda, mentre Maria Rosa Cutrufelli, che l'ha conosciu-ta in vita, ha portato la rara testimonian-za di un autoritratto quasi inedito della scrittrice.

Per tutto il percorso, intanto, l'attrice Egle Doria leggeva le pagine di Goliarda, mettendoci contemporaneamente davanti i luoghi e le descrizioni degli stessi. Una meraviglia. S'è conclusa al tramonto, sul-le spiagge della Playa, quel mare simbolo inconsapevole della femminilità, metafo-ra di libertà, di fronte al quale Maria Are-na fa rivivere un momento del suo spetta-colo Io ho fatto tutto questo. Daniela Or-lando, che interpreta la Sapienza, conseg-na a tutte noi le pagine scritte dall'autri-ce. Goliarda ha ancora tante amiche che vanno a trovarla.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 76– pag. 76

SchedaL'ARTE DELLA GIOIADI GOLIARDA

Goliarda Sapienza (1924 – 1996), nata a Catania da una famiglia di antifa-scisti, figlia di Giuseppe Sapienza e del-la femminista e sindacalista Maria Giu-dice, è stata un'attrice e una scrittrice. Il suo romanzo più noto, L'Arte della gio-ia, pubblicato postumo da Stampa Alter-nativa dopo essere stato rifiutato dai maggiori editori nazionali, ha riscosso un successo insperato in Francia, che è arrivato di rimbalzo anche in Italia.

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Europa

Gensde voyageArriva all'appuntamen-to in giacca elegante e camicia bianca impec-cabilmente stirata il di-fensore della causa dei gens du voyage...

di Chiara Zappalà

Parigi. Louis de Gouyon Matignon ha ventuno anni appena compiuti, san-gue blu da nipote di marchesi, una carriera universitaria in giurispruden-za, un'estate – quella appena passata – passata al Senato come assistente del deputato Ump Pierre Hérisson, presi-dente della commissione per i gens du voyage, ma soprattutto una passione per la musica manouche che lo ha por-tato fino agli accampamenti nomadi di tutto il paese.

“Non appartengo a nessun partito – dice lui – se la persona incaricata a livel-lo statale della causa degli zigani fosse stata di estrema sinistra, avrei comunque fatto lo stage. Detto tra di noi, sono vici-no all'Ump. Ma non voglio iscrivermi perché non voglio che la mia causa di-venti un dibatto politico”.

La sua causa è dunque quella dei gens du voyage, una categoria giuridica che indica i nomadi, tra le 400mila a 600mila persone presenti sul territorio francese.

Anche se la maggior parte di loro ha nazionalità francese, il loro status è una deroga al diritto comune e la loro cittadi-nanza è limitata. Una legge del 16 luglio 1912 prevede infatti che i "nomadi", i "senza domicilio fisso o residenza" e i "viaggiatori" debbano tenere un libretto di circolazione da far validare ogni tre mesi negli uffici competenti.

Il documento non sostituisce la carta d'identità nazionale, ma a causa della di-sinformazione, molti di loro non ne han-no una. Sono passati cent'anni dalla pub-blicazione della legge, e i libretti sono ancora lì. Inoltre, la registrazione nelle li-ste elettorali può essere fatta solo al ter-mine di tre anni di residenza ininterrotta nella stessa città, un periodo che pochi passano nello stesso luogo. La maggio-ranza dei nomadi, quindi, non può eserci-tare il diritto di voto.

Tuttavia il dibattito in parlamento è aperto, e de Gouyon Matignon prevede una imminente abolizione dei libretti. Tiene talmente tanto ai suoi amici noma-di, che questa giovane promessa della politica francese ha fondato un'associa-zione in difesa della cultura zigana.

Le sue campagne hanno poco a che ve-dere con le polemiche suscitate dalla po-litica dell'ex presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, che si era oc-cupato dell'allontanamento dal suolo na-zionale dei Rom non francesi, cittadini rumeni o bulgari, quindi comunitari, aventi diritto alla libertà di circolazione in Europa. De Gouyon Matignon ne è co-sciente. “Bisognerebbe accoglierli - com-menta - non tanto come cittadini comuni-tari, quanto richiedenti asilo politico”, e si riferisce alle condizioni discriminato-rie nell'Est Europa.

“I gens du voyage sono francesi con stile di vita nomade riconosciuto. I Rom sono cittadini comunitari che vengono dall'est dell'Europa, e gli Zigani sono costituiti da 3 gruppi di origine indo-greca che sono partiti nell'undicesimo secolo dall'India, e oggi li chiamiamo Rom se vengono dall'Est Europa, manouche se vengono dall'Europa occidentale e gitani se vengono dalla

penisola iberica. Tra i gens du voyage, abbiamo gli zigani-manouche in Europa occidentale. L'altra comunità importante è quella dei Jenish, di origine tedesca, partita nel XVII secolo a seguito della Guerra dei Trent'anni”.

Musicisti nomadi

A 16 anni, chitarrista appassionato di jazz manouche, ha cominciato a cercare i musicisti nomadi ai quattro angoli della Francia. Oggi, per contattarli, ha i loro numeri di telefono anche se “dopo cin-que anni, appena arrivo in un posto nuo-vo – tiene a precisare – percepisco subito se ci sono gens du voyage nei paraggi”. Sul suo Iphone mostra la mappa dei luo-ghi dove è stato e dove ha fotografato volti segnati dal sole e antiche carrozze tirate ancora dai cavalli. Ha trovato una famiglia che lo ha “adottato” e ha impa-rato la loro lingua.

“A dicembre esce il primo dizionario Manouche-Francese, l'ho sto scrivendo io”, dice con fierezza. Da cinque anni, quindi, lascia la sua casa nel sedicesimo arrondissement, uno dei più eleganti e ricchi di Parigi, e parte alla ricerca delle giostre itineranti – luoghi spesso associa-ti alla cultura nomade – e dei gens du voyages.

“Due volte al mese dormo da loro – dice – e l'estate scorsa ho viaggiato per tre mesi e mezzo”. Dalla musica alla reli-gione, l'interesse per questa gente lo ha anche portato alla conversione al culto evangelico.

Li conosce bene e pensa che il mesco-lamento coi francesi “sedentari” possa causare la perdita della lingua e delle tra-dizioni. E anche, dubita che obbligare i bambini di queste comunità ad andare a scuola possa essere di beneficio alla loro cultura.

L'intervista è finita e lui tiene a spiega-re cos'è quella spilletta che ha attaccato alla giacca e che non è sfuggita all'atten-zione dal primo momento. Una specie di fiore rosso su uno sfondo di due bande blu e verde. Il simbolo degli zigani. Cosa altrimenti?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 77– pag. 77

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Italia

Le deleghepericolose

La magistratura si bat-te, e i cittadini “fanno il tifo”. Tocca a loro ri-solvere i nostri guai, pensa ormai molta gente

di Pietro Orsatti www.orsattipietro.wordpress.com/

Stiamo vivendo uno dei momenti più difficili della storia repubblicana. La crisi economica e finanziaria, l’implo-sione della credibilità del sistema poli-tico, le tensioni sociali che, non più modulate dalla politica e dalle idee, ri-schiano di frantumare l'ipotesi stessa di paese e di società.

Senza contare che mentre tutto il mon-do occidentale sta cercando di reagire alla crisi del sistema attraverso la politica e le scelte che la politica impone, la no-stra politica, schiantata da vent’anni di degenerazione e indiretta grazie al berlu-sconismo, ha delegato il proprio ruolo ai “tecnici” nell’illusione che il mondo fi-nanziario e imprenditoriale italiano fosse immune allo sfaldamento del concetto di democrazia diffusa e fosse una garanzia per la tenuta non solo economica ma an-che sociale del Paese.

Un’illusione, appunto. Con la recente “confessione” del premier di aver ali-mentato e assecondato la recessione vo-lontariamente e senza che questa fosse una scelta condivisa dalla politica e, so-prattutto, dagli italiani.

Ma l’anomalia italiana non è solo quel-la politica. E neanche quella “tecnica”. L’anomalia italiana, quella originaria - e che ha provocato tutte quelle conseguen-ze etiche, politiche e economiche che ci stanno strangolando - si chiama mafia. O meglio, il sistema mafioso. Che è molto più complesso e radicato e strutturale di quello che potrebbe apparire osservando solo la superficiale attualità delle “cinque mafie” (comprendendo anche il comples-so sistema di alleanze “spurie” in atto nel Lazio e in particolare a Roma). E si tratta di un’anomalia così profondamente inne-stata nel DNA del nostro paese da con-fondere e inquinare ogni aspetto del no-stro vivere insieme.

Il conflitto fra i poteri

A complicare questa situazione già estremamente grave e drammatica che sta attraversando il nostro Paese, in que-sti ultimi mesi è esploso anche il conflit-to (oggi anche sancito da una decisione della Consulta) fra poteri dello Stato. Cioè fra magistratura inquirente e Presi-denza della Repubblica in relazione alle intercettazioni indirette delle conversa-zioni telefoniche fra l’ex ministro e ex vicepresidente del CSM Nicola Mancino (indagato) e il presidente Napolitano (non indagato e intercettato indiretta-mente). Chi non si rende conto di quale

potere distruttivo possa avere questo con-flitto oggi davanti alla situazione che stiamo vivendo come Paese è come mini-mo un illuso.

Inoltre l’inchiesta della procura di Pa-lermo verte sulla trattativa fra Stato e Mafia nel ’92 e ’93. Gli anni delle stragi. Gli anni del “golpe invisibile”. Quindi il potere deflagrante di questo conflitto ap-pare, in questo momento, perfino più de-vastante di quello che si potesse immagi-nare fino a poche settimane fa.

Non solo le stragi

È mia opinione - e qui sto per inserire nel ragionamento un’altra e ancora più pericolosa componente dell’anomalia ita-liana- che gran parte di questo conflitto (che esiste anche perché il potere legisla-tivo non l'ha mai affrontato) sia stato strumentalizzato non solo in malafede (come hanno fatto alcuni esponenti poli-tici e giornali legati a Berlusconi) ma an-che in buona fede da chi giustamente da anni sta chiedendo “la verità”. Verità su quelle stragi. Come se su quelle stragi del ’92-93 si concentrassero tutti i mali del rapporto fra Stato e mafia.

Magari fosse così! Sarebbe molto più semplice e tranquillizzante che, scoper-chiato un pezzo delle relazioni fra Stato e mafia, quello delle trattative -ne parlo al plurale perché sono convinto che ce ne fu più di una contemporaneamente- si possa spezzare la pietra tombale di affari spor-chi, svuotamento culturale, occupazione politica e economica e inquinamento isti-tuzionale che in quel biennio venne posta sulla nostra testa. Ma non è così.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 78– pag. 78

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“Il sistemadeviato

che ha inquinatoil Paese”

Quello che si riuscirà a capire, e spero vivamente che ci si riesca, è cosa accad-de in quei due anni, i reati commessi, le responsabilità collettive e soprattutto in-dividuali dei protagonisti. Ed è questo a cui punta la magistratura. Che non agen-do politicamente agisce su fatti e ipotesi di reato precisi. Su azioni precise, e solo su quelle. È il suo ruolo, quale siano i de-siderata delle opposte tifoserie che oggi riempiono, spesso di fuffa, le pagine dei giornali.

Nel frattempo, il sistema si è blindato

Dopo Tangentopoli il nostro paese si è illuso che il ruolo dei processi potesse miracolosamente supplire al vuoto politi-co, al baratro etico e culturale e soprat-tutto all’assenza di memoria degli italia-ni. Ma come nel caso dell’attuale “dele-ga” ai tecnici per uscire dal berlusconi-smo e dalla crisi, la delega alla magistra-tura vent’anni fa non solo non ha rinno-vato la politica, ma non ha scalfito mini-mamente un sistema culturale deviato.

I tribunali hanno fatto il loro dovere, ma non c’era nessuno a raccogliere i frutti di quel po’ di pulizia avviata dai PM milanesi. E il sistema deviato, rapi-damente, ha occupato gli spazi rimasti vuoti e, imparando la lezione, ha ancor

meglio blindato la propria tenuta. I risultati sono davanti a tutti.

E la storia si ripete ciclicamente. Per capire sono costretto a fare un ragiona-mento controcorrente e che sono certo non mi attirerà molte simpatie, visto l’argomento.

Tornando all’inchiesta palermitana, ri-mango sconcertato di come i tifosi della procura abbiano ingigantito enormemen-te non tanto il peso dell’inchiesta in cor-so, che è enorme visti gli argomenti di cui si tratta, ma il ruolo salvifico delle persone che quella inchiesta conducono. Come se ci fosse la necessità di riversare sulle persone e non sui ruoli un’attesa che andasse ben oltre la definizione pre-cisa proprio dei ruoli che queste persone ricoprono.

Troppo carico sui magistrati

Per affetto, fiducia, speranza e rispetto, certo. Ma con risultati estremamente pe-ricolosi. I magistrati si sono trovati so-vraesposti e caricati di responsabilità (politiche) e attese (quasi messianiche) che non corrispondono né alle loro per-sone né al loro ruolo istituzionale.

Anche qui si è delegato. Ci si è aggrap-pati a illusioni, non ultima quella di cre-dere in maniera acritica a tutte le dichia-

razioni di un personaggio come Massimo Ciancimino, proprio mentre si stava cer-cando da parte della magistratura di capi-re proprio l’attendibilità di quelle dichia-razioni e la rilevanza del teste. Forzando dichiarazioni e parole degli stessi PM in maniera del tutto strumentale alle proprie tesi. Tesi, badate bene, comprensibili e condivisibili, ma in quanto tesi non verità precostituite e indiscutibili.

Mi si dirà che anche Paolo Borsellino parlava esplicitamente del “tifo” che bi-sognava fare per i magistrati Ma si era nel periodo dello smantellamento siste-matico del pool palermitano, dei “corvi”, dell’attentato dell’Addaura, ed era evi-dente la necessità di un grande moto di vicinanza e di solidarietà verso quei giu-dici che avevano messo in piedi il maxi processo a Cosa nostra ed erano in quel periodo sotto attacco, non solo mafioso. Altra cosa è disegnare un’aspettativa di cambiamento e poi cercarne conferma, anche quando smentiti, accollandola a chi faticosamente cerca di trovare una verità, come la magistratura palermitana oggi.

La delega non supplice al vuoto

Quando si delega e ci si aggrappa alla “fede” precostituita per supplire a un vuoto, il rischio è quello di creare obietti-vi e, ancora peggio, vuoti di potere e di controlli in cui si possa riprodurre e oc-cultare il sistema deviato che dal 1943 a oggi ha inquinato la vita del Paese.

Le responsabilità, così nella vita come nella politica e davanti alla legge, sono sempre personali.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 79– pag. 79

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Referendum

“Scusi, lei èfavorevoleo contrario?”E' la domanda che si potrebbe fare al centro sinistra, o almeno a molti suoi leader. E non solo sui referen-dum, ma anche sulla volontà o meno di smantellare le “rifor-me” di Berlusconi

di Riccardo De Gennaro

Non è mai accaduto che un governo

di centrosinistra abbia modificato o

cancellato una legge di qualche peso

varata da un governo di centrodestra.

Ed è molto probabile, se non garantito,

che – in caso di una vittoria elettorale –

questo non succederà neppure con le ri-

forme del lavoro e delle pensioni

dell’attuale ministro Fornero.

Aver depositato in Cassazione i due

quesiti referendari per l’abrogazione

dell’articolo 8 della legge 148 sulla dero-

ga ai contratti (governo Berlusconi) e

della nuova formulazione dell’articolo 18

dello Statuto dei lavoratori (governo

Monti) è dunque importante per più ra-

gioni.

In primo luogo, la mossa di Idv, Sel,

Prc, Fiom e degli altri soggetti politici e

sociali che hanno aderito all’iniziativa,

consente di “bucare” la cappa di piombo

di una fase pre-elettorale centrata più che

altro sulle ipotesi di alleanza di governo

(Casini e Vendola sì, o no, o forse, Di

Pietro assolutamente no) e sul poco emo-

zionante duello tra Bersani e Renzi alle

primarie.

In secondo luogo, perché consente di

tornare a parlare di lavoro e di fabbrica,

dopo un lungo periodo in cui non si è di-

scusso d’altro che di spread e banche.

In terzo luogo perché i due referendum

sono una perfetta cartina di tornasole per

la comprensione della vera natura del Pd,

un partito che – soprattutto nel caso di

una vittoria di Renzi – rischia di non po-

tersi più dire di sinistra.

Si può riparlare di lavoro?

Alcuni importanti esponenti del Pd,

come la presidente Bindi, l’hanno detto

esplicitamente: il referendum è un grave

errore. Che cosa significa: l’errore è ri-

correre al referendum, oppure sta anche

nel contenuto del referendum?

È vero che il Pd ha appoggiato lo

smantellamento dell’articolo 18, ma lo

ha fatto giustificando questo suo correre

in soccorso del governo Monti come il

male minore dopo i lunghi anni del ber-

lusconismo e a fronte del rischio-Grecia.

Se i “compagni” del Pd vinceranno le

prossime elezioni e andranno al governo

non avranno, dunque, più alibi.

D’altronde, la domanda è molto sem-

plice: il Pd, se mai lo è stato, sta ancora

dalla parte dei lavoratori o ha definitiva-

mente sposato il ceto medio e moderato?

Questo “no” ai referendum sul lavoro,

dopo gli anni del grande strepitare contro

i tentativi berlusconiani di superamento

dell’articolo 18, qualche dubbio, perlo-

meno in un osservatore esterno, lo susci-

ta.

Berlusconi, Monti: e poi?

L’impressione è che il Pd non abbia

votato la modifica dell’articolo 18 in

nome di una superiore ragione di Stato,

ma perché condivide in toto un tipo di

politica che giudica privo di alternative.

È molto difficile rintracciare, non solo

nel “programma” di Renzi, ma anche in

quello di Bersani, un elemento che rap-

presenti una cesura rispetto al presente

montiano o al passato berlusconiano.

Le promesse bersaniane di apertura

alle unioni gay, di una riduzione degli

stipendi dei parlamentari e dell’assegna-

zione della cittadinanza italiana ai figli

degli immigrati extracomunitari sono as-

sai poco credibili: sebbene già previsti

nel programma elettorale di precedenti

coalizioni di centrosinistra, questi punti –

una volta che Pd & co. ebbero conquista-

to il governo del Paese – non trovarono

alcun seguito. Esattamente come la legge

sul conflitto d’interesse.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 80– pag. 80

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Storie

“La ripresaè vicina”

dajackdaniel.blogspot.it/

«E’ grave questa crisi, non credo che ne usciremo facilmente».

«Sei sempre pessimista. E’ un momen-to duro, ma ci risolleveremo, risorgere-mo, come sempre.».

«Sei tu che pecchi di ottimismo. Que-sta volta è differente. Non passa giorno che non chiudano attività, proprio oggi ha chiuso il forno davanti al teatro. Erano tre generazioni che non si spegneva mai, giorno e notte, estate e inverno, ma oggi si sono fermati e hanno chiuso, per sem-pre.».

“Un'altra bottega ha chiuso”

«Mi dispiace. Proprio stamattina sono capitato lì davanti e, vedendoli fermi, ho pensato che avessero chiuso per lutto, o per altra ragione, ma solo temporanea-mente. Ma perché? Perché hanno cessato l’attività?».

«E me lo chiedi? Non girano soldi per la crisi, e i debiti. Poi la settimana scorsa è passato l’esattore per riscuotere le im-poste arretrate, ed è stato il colpo di gra-zia.».

«E ora cosa faranno?».«Non saprei. Sentivo dire che hanno

dei lontani parenti, che pare abbiano fat-to fortuna. Andranno da loro…».

«Che la Fortuna li accompagni. Ma non è certo il primo forno che cessa di vivere…».

«No, certamente, ma ogni giorno sem-pre più campi vengono abbandonati, in-colti, e vecchie e gloriose officine smet-tono per sempre.».

«Lo so bene, i giovani mal tollerano il duro lavoro e preferiscono muovere ver-so le città, ricercando fortuna e ricchez-za.».

«Sei cieco se pensi questo, se pensi che sia solo fuggire dalla fatica. Che senso ha spezzarsi la schiena se poi i nostri merca-ti sono invasi da ciò che viene da lontano ad un prezzo che sovente è la metà, se non meno, dei nostri?».

«Non posso negarlo, è arduo per i no-stri artigiani o i nostri contadini far fron-te a ciò che viene prodotto da migliaia di servi e schiavi che devono accontentarsi di un tozzo di pane e di uno spicchio d’aglio.».

«E’ come dici, e i ricchi, di conseguen-za, diventano sempre più ricchi. Trasfe-riscono ricchezze al di là del mare, con esse comprano regioni intere e opifici, e uomini e donne che, anche se non servi, sono grati di lavorare sino a notte per quel pane che faccia sopravvivere loro e i loro figli. Con quelle ricchezze che lì

accumulano, i ricchi qui tornano, e com-prano per un nulla quelle terre che i no-stri contadini abbandonano. E i poveri, quindi, sono sempre più poveri, privati dei campi e delle botteghe, si rifugiano nelle città dove sperano di sopravvivere raccogliendo le briciole che cadono dalle mense dei ricchi. Tutto ciò si accompa-gna alla corruzione di coloro che dovreb-bero servire lo stato e alla degenerazione dei costumi: si narra che i ricchi o i loro figli organizzino festini spendendo dena-ri che basterebbero a sfamare intere fa-miglie per un anno. Come stupirsi che proliferino superstizioni di ogni sorta e che, da ogni angolo, sorgano fanatici di religione e invasati?».

“Un tozzo di pane e un po' d'aglio”

«Dipingi un quadro ben fosco, Gneo Sertorio, ma ammetto che non sia tutto d’invenzione. Altre volte, però, abbiamo attraversato momenti bui. I Patres ci rac-contano dei Galli, di Annibale, delle guerre civili, delle proscrizioni. Eppure sempre ci siamo risollevati, e ogni volta siamo ritornati più potenti di prima. Ac-cadrà lo stesso anche stavolta, vedrai, il nostro sistema è forte, non potrà mai ca-dere, la ripresa è ormai vicina.»

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 81– pag. 81

“La crisi passerà, il sistema tiene, ne abbiamo viste altre, caro Gneo Sertorio. Ave atque vale” di Jack Daniel

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Antimafia sociale/ Il Gapa

La festae il sogno

Ha già fatto vent'anni, ma ancora non s'è messo la testa a posto. Gioca, ride, scherza, studia, organizza il quartiere e ancora cre-de alle cose – libertà, giustizia – in cui crede-va vent'anni fa. E, peg-gio di tutto, non è nemmeno uno solo: cento vite diverse, cen-to gioie e dolori, fuse in un cuore solo. E' il Gapa di Catania. “Gio-vani assolutamente per agire”, dicono loro

di Daniela Calcaterra www.associazionegapa.org/i-cordai

Fu come un colpo di cannone, tuonò

forte e ci scosse dentro. Quel giorno

non lo dimenticherò mai, era il 23

maggio 1992, avevo sedici anni e quel-

la era la strage di Capaci, le immagini

trasmesse dalla televisione non erano

impressionanti per le lamiere contorte

delle automobili, ma per il vagare in-

sensato delle persone attorno al vuoto

lasciato dall’esplosione.

L’invisibile avversario non fece atten-

dere la sua seconda mossa, il 19 luglio

arrivò la strage di via D’Amelio. Sem-

brava una partita persa. Al dolore per le

vite spezzate si aggiungeva la disperazio-

ne della solitudine, resa chiara dalle pa-

role dette con un filo di voce da Antoni-

no Caponnetto, “...è finito tutto!”

Allora formammo un grande cerchio

Al Gapa nel quartiere di San Cristoforo

ci riunimmo per stare insieme, non si po-

teva restare immobili, parlammo a lungo

e poi come era abitudine formammo un

grande cerchio, mano con mano in silen-

zio. Forse perché stretti in quell’abbrac-

cio, forse perché ci guardammo negli oc-

chi, si decise di restare lì per settanta

giorni. Quel luogo divenne la casa di tut-

ti. La piccola piazza del quartiere dove

poter condividere la rabbia e il dolore, la

solidarietà e il gioco sfrontato contro il

potere.

Gli anni sono passati, e noi siamo qui

Gli anni sono trascorsi, forse troppo

velocemente, e siamo qui. Non dove vi-

vemmo quei settanta giorni, ma in un

luogo nostro, libero, che ci piace chiama-

re il “Gapannone rosso”.

Dopo vent’anni una grande festa ci ha

riuniti, quasi tutti e tutte. Così come allo-

ra c'p stato un grande cerchio, mano con

mano, e tanti sorrisi, perché i bambini di

allora oggi sono ragazzi, gli adolescenti e

i ragazzi di quel tempo oggi sono uomini

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 82– pag. 82

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e donne. Riconosciamo il viso di Mary,

che ha due figli e gli occhi di sempre.

Toti la chiama: “Vieni, ti faccio vedere

le foto di quell’estate!”. A Mary le brilla-

no gli occhi: “Matri quantu eru nica, e

quantu eru tosta!”

Tutto è cambiato nelle nostre vite. C’è

gente che non si vede e non si parla da

tanto tempo: “Ciao Giovanni, sono Li-

liana e questo è mio figlio Alessandro! È

bello essere qui a ricordare e giocare!”.

“Anche per me, bello ritrovarti, bello

stringerti la mano”.

Il cerchio è grande e le mani si mesco-

lano, si mescolano le parole. E' un conti-

nuo vocìo di: “Come stai? Da quanto

tempo? E ora cosa fai nella vita?”.

“Ti facisti tuttu iancu!” fa a Toti Tano,

il papà di Orazio. A zu Fabio chiediamo:

“Chi sta facennu?”. “Non c’è nenti pi

ccamora” risponde Fabio.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 83– pag. 83

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“Si mescolanosorrisi e

emozioni,dolce e salti”

Tutti hanno portato qualcosa

La festa continua, come sempre tutti

hanno portato qualcosa. La cena è pron-

ta! Ci sono le cotolette di Marcella, ed è

inevitabile dire a Santina: “Ricordo sem-

pre le tue cotolette grandi quanto un len-

zuolo! e ‘a parmigiana ca’ frittata, a’

puttasti?”. E si mescolano il dolce con il

salato, i sorrisi con le emozioni. Si for-

mano piccoli gruppi e ognuno ancora ri-

corda i turni di cucina, di quell’ improv-

visata cucina, il russare della camerata,

e… “Cu è ca non si lavau i peri a’ stasi-

ra?”.

I suoni della festa vengono interrotti

dalla voce di uno di noi, che racconta di

quando Pippo entrò dalla porta sudatissi-

mo e sporchissimo e: “Ce l'avete un ac-

cappatoio? - fece - devo farmi una doc-

cia”.Questo ricordo fa sganasciare Pip-

po: “Si, è vero - dice - l’accappatoio me

l’avete dato, ma era quello usato da

Giovanni!”.

“Il nostro sogno è ancora qui”

Poi il tono di Toti si fa più serio e rac-

conta con parole che uniscono ciò che

stato ieri e quello che è oggi: “Le feste di

allora sono le feste di oggi, tutto è inizia-

to per una cosa grave, abbiamo conti-

nuato ad esserci giocando, siamo ancora

qui con il nostro sogno in festa”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 84– pag. 84

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Stampa libera

Telejato cambia casaNuova sede, nuovi canali

Il 4 ottobre alle 18 Telejato inaugurerà i suoi due nuovi canali, Telejunior e Tele Partinico, e la nuovissima sede dove si è appena trasferita.

Inoltre sarà finalmente possibile vedere quel “tg irriverente”, opera di Pino Maniaci e di sua figlia Letizia, anche nelle province di Palermo, Trapani, Agrigento e in parte di quella di Messi-na.

Telejunior, piccola grande scuola di giornali-smo sul territorio, è un nuovo progetto sostenuto da Telejato e Siciliani Giovani. Un luogo dove incontrarsi per raccontare le storie dell’Italia, dove imparare un giornalismo libero, quello fat-to per strada. E’ la storia della “rete” che speria-mo possa diventare realtà concreta. I ragazzi che collaborano arrivano da tutta Italia, parlano lin-gue diverse, raccontano mondi differenti, ma rie-scono a comprendersi in nome di quel giornali-smo libero e lontano dai compromessi che ci ha lasciato in eredità il direttore Pippo Fava.

L'Ordine dei giornalisti, inoltre, riconoscerà un attestato a coloro i quali parteciperanno e col-laboreranno con la redazione di Telejunior; uno stage più lungo potrebbe portare al versamento dei contributi e alla possibilità di sostenere l’esa-me per entrare nell’albo dei pubblicisti. Tutti i servizi realizzati saranno conteggiati e l'Ordine dei Giornalisti non farà mancare il proprio con-tributo.

Il 4 ottobre a Partinico si festeggerà una vitto-ria dell’antimafia. Il cosiddetto switch off, impo-nendo vincoli molto restrittivi per le televisioni comunitarie, aveva rischiato di far chiudere la piccola emittente di Partinico, attiva da dieci anni. Non erano riuscite le costanti minacce dei boss di turno a zittirla e adesso - possiamo dirlo - non c’è riuscita nemmeno una legge contenuta nella finanziaria 2011, firmata dal governo Ber-lusconi. Telejato aveva presentato la domanda per entrare nella graduatoria (necessaria al fine delle assegnazione delle frequenze) insieme ad altre emittenti. Insieme avevano costituito un consorzio che ha permesso loro di raggiungere i parametri richiesti dal Ministero competente.

Grazie a un lavoro di squadra, l’emittente antimafia più famosa al mondo da oggi conti-nuerà a fare il suo lavoro insieme ad un gruppo di giovani giornalisti che speriamo possano rac-coglierne l’eredità. (m.m.)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 85– pag. 85

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NoMuos

Appello per la manifestazione nazionale del 6 ottobre a NiscemiVenti di guerra soffiano nuovamente sul Mediterraneo. La Sicilia, da settant’anni occupata dall’esercito degli

Stati Uniti, continua a subire un ruolo centrale nella strategia militare sia NATO che statunitense. A Niscemi pro-

seguono senza sosta i lavori di costruzione del Muos, che attraverso le sue enormi parabole permetterà il flusso

planetario delle informazioni militari; Sigonella capitale mondiale dei droni (Global Hawk, Predator, Reaper) è

in prima linea nelle politiche di attacco, come avviene da tempo con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, ecc.

Il Muos, in costruzione dentro la Sughereta di Niscemi (Sito di Interesse Comunitario) è nocivo per la salute dei

siciliani; nel breve e medio periodo l’esposizione alle sue microonde provocherà gravissime patologie, come tu-

mori di vario tipo, leucemie infantili, infarti, melanomi, linfomi, malformazioni fetali, sterilità, aborti, mutazioni

de sistema immunitario ecc.; esso grava su un territorio già stuprato dal Petrolchimico di Gela e dalle 41 antenne

della base della marina militare USA NRTF, anch’esse all’interno della Sughereta, le cui emissioni elettromagne-

tiche violano sistematicamente, dal 1991, i limiti previsti dalla legge.

L’ambiente circostante l’installazione, per il raggio di decine e decine di km verrà progressivamente devastato e

reso sterile, mentre l’agricoltura, patrimonio produttivo delle aree circostanti, subirà pesanti condizionamenti.

Il Muos è capace di interferire con le strumentazioni tecnologiche dei voli civili sull’aeroporto di Fontanarossa

(già sottoposto a servitù militare dalla vicina base di Sigonella); è la vera causa della mancata apertura dell’aero-

porto di Comiso; è un ostacolo per il rilancio dell’economia territoriale; è soprattutto uno strumento di guerra e

di morte.

Noi, coordinamento regionale dei Comitati NoMuos, vogliamo che si revo-chi immediatamente l’installazione del Muos e che si smantellino le 41 an-tenne NRTF.Vogliamo la smilitarizzazione della base americana di Sigonella, da riconvertire in aeroporto civile internazionale. Vogliamo che il governo, che taglia le spese sociali aumentando ogni genere di tasse per salvare il capitale finanziario ed il debito delle banche, tagli invece le spese militari.Vogliamo che la Sicilia sia una culla di Pace al centro di un Mediterraneo mare di incontro, di convivenza e di cooperazione tra i popoli.Facciamo appello per una manifestazione nazionale su questi temi a Niscemi,sabato 6 ottobre con concentramento alle ore 14.30 presso SP10 Contrada Apa.Da lì un corteo sfilerà fino alla base NRTF.Alle ore 19.30 (concentramento in largo Mascione) corteo in città con concerto e interventi in piazza V. Emanuele.

Coordinamento regionale Comitati No MUOS

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 86 – pag. 86

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L'immagine

Lucianeddu

Librino, periferia di Catania. Nella palestra del S.Teo-

doro Liberato l'Iqbal Masih, con Orazio Condorelli, Lu-

ciano Bruno (quello della foto) e altri compagni di lotta

ha fatto una serata di festa e teatro popolare. Una resi-

stenza, in quel quartiere, che dura da diciassette anni.

Per noi, teatro popolare contro la mafia è la vita di

una persona, quando chi racconta e recita una storia è

fuoriuscito dai lacci della costrizione, dei condiziona-

menti che lo hanno oppresso, e lotta assieme ad altri

non solo per la propria emancipazione, ma per il futuro

stesso, la sopravvivenza morale di tutti.

Per noi teatro popolare contro la mafia è la possibili-

tà di una persona di individuare nella sua storia, le

tracce di una consapevolezza individuale, familiare,

sociale e politica.

Per noi teatro popolare contro mafia è rimettersi a

fianco di altri uomini e donne, di altri compagni, per-

correre le strade dei quartieri. La strada è il luogo dove

le persone si incontrano, si parlano, si confrontano, e

anche dove si diffidano, si sparano, si fanno del male.

Dove le persone concrete gridano, si disperano,

denunciano la violenza, la povertà, l'indifferenza.

Allora il teatro diventa vita. Fuoriesce dai linguaggi

generici e diventa voce. Una voce del popolo, densa e

carica, che si porta dappresso con le proprie parole

tutto un mondo.

Luciano, Lucianeddu, è il racconto di una storia, una

storia comune fatta di pranzi e di cugini, di partita di

calcio e di parole d'amore. Di abbracci, di memoria e di

tormenti. Racconta pasta e famiglia, memoria propria e

memoria collettiva.

Cosi questo monologo è tutt’altro che una voce indi-

viduale. Porta al quartiere, al mondo. Diventa una voce

collettiva, un frammento della nostra vita. Fabio D'Urso

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 87– pag. 87

Foto di Claudia Urzì

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IL FILO

Da dove vengono gli immigrati di Giuseppe Fava

A Palma di Montechiaro l'indice di mortalità infantile è il più alto di tutta l'Europa. Il tifo, il tracoma, la scabbia gli eczemi ed infine la tubercolosi. dietro lo splendore degli occhi di tanti bambini c'è la fame, l'avidità, ma c'è soprattutto la febbre. Su cento bambini dieci non riesco-no a sopravvivere fino all'adolescenza. Dei novanta che restano, almeno trenta non vanno mai a scuola e restano analfa-beti. Degli altri cinquanta, la metà abban-donano le aule a sette o otto anni e se ne vanno nelle campagne a caricare la loro

parte di pietre, di fascine, di sacchi, raccolgono sterpi per il fuoco, governano gli animali, raccolgono le immondizie per la strada, chiedono la elemosina. Le cause della povertà.

Muoiono molti bambini, ma l'indice della natalità è frenetico, anch'esso il più alto d'Europa. Questa piccola, tragica po-polazione si propaga sulla faccia della ter-ra con la stessa rapidità con cui a lei si propagano le mosche, gli escrementi, i cani, la miseria. In questa landa che po-trebbe dare stentatamente da vivere ad ap-pena cinque o seimila persone, se ne ad-densano almeno ventimila: la base della tragedia è questa. L'agricoltura è misera-bile; alle spalle del paese ci sono le mon-tagne aride, senza un albero, un mandorlo un ulivo, un filo d'acqua.

Solo mille hanno lavoro

Facciamo conto che, su ventimila esseri umani, gli individui validi al lavoro siano ottomila. Di costoro un centinaio sono ar-tigiani, un altro centinaio commercianti, duecento sono i borghesi, cioè gli impie-gati, i carabinieri, i maestri elementari, l'esattore delle tasse, i medici condotti, e cinquecento gli agricoltori, cioè coloro che hanno la proprietà della terra. Gli altri settemila individui sono braccianti e ma-novali. Soltanto mille di costoro hanno la-voro; altri duemila vivono con gli assegni di disoccupazione e sono i più vecchi, gli

ammalati, i rassegnati, i vinti.I cinquemila che restano sono emigrati,

lavorano nelle miniere di ferro in Germa-nia, nelle miniere di carbone del Belgio, nelle campagne della Francia. Se non fos-sero emigrati, un giorno o l'altro la gente qui avrebbe cominciato a scannarsi, poi-ché l'essere umano sopporta le mosche che si posano sugli occhi, gli escrementi dentro l bugliolo, persino le malattie e la morte, ma la fame no!

Vive di questi emigranti

Palma di Montechiaro praticamente vive con le rimesse di questi cinquemila uomini dispersi sulla faccia della terra, i quali inviano ogni mese una media di cin-quemila lire a testa, cioè complessivamen-te trecento milioni. Tutta l'economia vive su quei trecento milioni che servono a pa-gare i bottegai, gli artigiani, le tasse, i cibi, i vestiti, l'acqua. Ogni tanto qualcuno degli emigranti, i più anziani o stanchi se ne torna con un piccolo gruzzolo, acquista una piccola casa, lugubre e fetida come tutte le altre, senza servizi igienici poiché fognature non ce ne sono, senza acqua perché la rete idrica non esiste. Se gli ri-mane un po' di denaro, con una tragica ca-parbietà torna ad investirlo nell'acquisto di un pezzo di terra.Il cerchio - che la sua volontà di sopravvivere aveva spezzato per un anno o per cinque - si chiude di nuovo su questo essere umano.

La salvezza dell'uomo qui è anche la sua condanna; il destino di nascere a Pal-ma di Montechiaro, patire febbri, stenti, malattia, ignoranza, umiliazione, si può spezzare soltanto cercando altrove per il modo la maniera di sopravvivere.

(da “Processo alla Sicilia”, 1967)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 88– pag. 88

Erano siciliani, a quei tempi, i paesi da cui par-tivano gli emigranti. Adesso, Palma di Monte-chiaro è un paesino della Nigeria, o della Roma-nia, o della Costa d'Avorio, o del Pakistan

____________________________________La Fondazione FavaLa fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promo-zione di attività culturali che coinvolgano i gio-vani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette la consultazione gratuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani.Per consultare gli archivi fotografico e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazione, scrivere a [email protected] [email protected]____________________________________Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani. Senza retorica, senza celebra- zioni, semplicemente uno stru- mento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

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I SicilianiI Sicilianigiovani giovani Rivista di politica, attualità e cultura

Fatta da:Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Antonio Mazzeo, Giulio Cavalli, Giovanni Abbagnato, Salvo Ognibene, Luciano Mirone, Francesco Feola, Rino Giacalone, Aaron Pettinari, Ferdinando Bocchetti, Arnaldo Capezzuto, Giuseppe Pipitone, Attilio Occhipinti, Paolo Fior, Anna Bucca, Giancarla Codrignani, Salvo Perrotta, Francesco Appari, Giacomo Di Girolamo, Lello Bonaccorso, Carmelo Catania, Rosa Maria Di Natale, Carlo Gubitosa, Kanjano, Mauro Biani, Mario Spada, Luca Salici, Fabio Vita, Giacomo Salvini, Martina Mazzeo, Nando Benigno, Sara Spartà, ElioCamilleri, Vera Navarria, Chiara Zappalà, Pietro Orsatti, Riccardo De Gennaro, Jack Daniel, Daniela Calcaterra, Fabio D’Urso, Giuseppe Fava, Norma Ferrara, Margherita Ingoglia, Michela Mancini, Giorgio Ruta, Luciano Bruno, Antonello Oliva, Diego Gutkowski, Salvo Vitale, Sabina Longhitano

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GiambattistaScidà e GianCarlo Casellisono stati frai primissimipromotori dellarinascita dei Siciliani.

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Lo spirito di ungiornale"Un giornalismo fatto diverità impedisce moltecorruzioni, frena laviolenza e la criminalità,accelera le operepubbliche indispensabili.pretende il funzionamentodei servizi sociali. tienecontinuamente allerta leforze dell'ordine, sollecitala costante attenzionedella giustizia, impone aipolitici il buon governo".Giuseppe Fava

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Cronache

Gli ebookdei SicilianiI Siciliani giovani sono stati fra i primissimi in Italia adadottare le tecnologie Issuu, a usare tecniche diimpaginazione alternative, a trasferire in rete e su Pdf iprodotti giornalistici tradizionali. Niente di strano,perché già trent'anni fa i Siciliani di Giuseppe Favafurono fra i primi in Italia ad adottare ­ ad esempio ­ lafotocomposizione fin dal desk redazionale.Gli ebook dei Siciliani giovani, che affiancano ilgiornale, si collocano su questa strada ed affrontanocon competenza e fiducia il nuovo mercato editoriale(tablet, smartphone, ecc.), che fra i primi in Italia hannosaputo individuare.

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dalla vita com'è

Ai lettori 1984Caro lettore, sono in tanti, oggi, ad accusare la Siciliadi essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia inprima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca ditradizioni, storia, civiltà e cultura, tiranneggiata dallamafia ma non rassegnata ad essa. Questo, però,bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere ditutti noi siciliani, prima che di chiunque altro; di frontead esso noi non ci siamo tirati indietro.Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci,non con le parole ma coi fatti. Abbiamo bisogno dilettori, di abbonamenti, di solidarietà. Perciò tiabbiamo mandato questa lettera: tu sai che dietro diessa non ci sono oscure manovre e misteriosi centri dipotere, ma semplicemente dei siciliani che lottano perla loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo stessoPaese: la mafia, che oggi attacca noi, domanitravolgerà anche te.Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze nonbastano. Perciò chiediamo la solidarietà di tutti isiciliani onesti e di tutti coloro che vogliono lottareinsieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lostesso: ma sarà tutto più difficile. I Siciliani

Ai lettori 2012Quando abbiamo deciso di continuare il percorso,mai interrotto, dei Siciliani, pensavamo che questaavventura doveva essere di tutti voi. Voi che ci aveteletto, approvato o criticato e che avete condiviso connoi un giornalismo di verità, un giornalismo giovanesulle orme di Giuseppe Fava.In questi primi otto mesi, altrettanti numeri deiSiciliani giovani sono usciti in rete e i risultati cilasciano soddisfatti, al punto di decidere di uscire entrol'anno anche su carta e nel formato che fuoriginariamente dei Siciliani.Ci siamo inoltre costituiti in una associazioneculturale "I Siciliani giovani", che accoglierà tutti icomponenti delle varie redazioni e testate sparse danord a sud, e chi vorrà affiancarli.Pensiamo che questo percorso collettivo vadasostenuto economicamente partendo dal basso,partendo da voi. Basterà contribuire con quello chepotrete, utilizzando i mezzi che vi proporremo nelnostro sito.Tutto sarà trasparente e rendicontato, e per esserecoerenti col nostro percorso abbiamo deciso diappoggiarci alla "Banca Etica Popolare", che con i suoiprincipi di economia equa e sostenibile ci garantiscetrasparenza e legalità. I Siciliani giovani

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www.isiciliani.it Una pagina dei Siciliani del 1993

Nel 1986, e di nuovo nel 1996, i Sicilianidovettero chiudere per mancanza dipubblicità, nonostante il successo dipubblico e il buon andamento dellevendite. I redattori lavoravano gratis, magli imprenditori non sostennero in alcuna

maniera il giornale che pure si batteva per liberare ancheloro dalla stretta mafiosa.Non è una pagina onorevole, nella storia dell'imprenditoriasiciliana.

Chi sostiene i Siciliani

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"A che serve essere vivi, se non c'èil coraggio di lottare?"

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