I Siciliani - aprile 2014

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I Siciliani aprilee 2014 www.isiciliani.it “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” Non cerca poltrone a Palazzo e nemmeno sbraita fuori. Sta lì, modesta e forte, e ricostruisce tutto EBOOK GRATIS UNA GIORNATA PARTICOLARE di Giovanni Caruso e Alfia Milazzo ’NDRANGHETA VS COSA NOSTRA di Zolea e Moiraghi IL PREFETTO DEL POPOLO di Rino Giacalone CONFINDUSTRIA E STRANI AMICI BENI CONFISCATI: COSI‘ NON VA di Vitale e Maniaci CASO MANCA: CARTE FALSE PERCHE’? di Luciano Mirone IL “RIVOLUZIONARIO” E L’USURAIO di Rocco Lentini CEMENTABRUZZO di Alessio Di Florio I SIGNORI DELLA MUNNEZZA di Carmelo Catania SAN BERILLO: ABBANDONO ANNUNCIATO di Vincenzo Rosa NOMUOS E NONVIOLENZA di Daniela Sammito e Maurizio Parisi Satira “MAMMA!”/ Jack Daniel/ ANTIMAFIA: Spartà, Mancini, Wild, Nicolini, Ficco BITCOIN di Fabio Vita LIBRI: Mazzeo, Mirone, Gulisano, Orsatti ITALIA: Arnaldo Capezzuto, Riccardo De Gennaro, Antonella Beccaria, G.Abbagnato, Nino Rocca DA RADIO DEI POVERI CRISTI A RADIO AUT di Salvo Vitale ANTIMAFIA IN TEMPO D’ELEZIONI di Giuseppe Fava Caselli/ Di Matteo silenzi e grida Dalla Chiesa/ Un nuovo fronte giovani giovani Torna La Periferica con Leandro Perrotta, Luciano Bruno, Fabio D’Urso, Cristina Perrotta, Massimiliano Nicosia L’Orchestra dei Ragazzi, che suonano Mozart a tredici anni, e il famoso Giudice-a-Berlino che fa tremare i potenti con la sola forza della legge. Però siamo a Catania, nel quartiere più povero. E andiamo avanti. L’altra Italia L’altra Italia

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Rivista di politica, attualità e cultura

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www.isiciliani.it“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”

Non cerca poltrone a Palazzoe nemmeno sbraita fuori. Sta lì,modesta e forte, e ricostruisce tutto

EBOOK GRATIS

UNA GIORNATA PARTICOLARE di Giovanni Caruso e Ala Milazzo’NDRANGHETA VS COSA NOSTRA di Zolea e Moiraghi IL PREFETTODEL POPOLO di Rino Giacalone CONFINDUSTRIA E STRANI AMICIBENI CONFISCATI: COSI‘ NON VA di Vitale e Maniaci CASO MANCA:CARTE FALSE PERCHE’? di Luciano Mirone IL “RIVOLUZIONARIO”E L’USURAIO di Rocco Lentini CEMENTABRUZZO di Alessio Di FlorioI SIGNORI DELLA MUNNEZZA di Carmelo Catania SAN BERILLO:ABBANDONO ANNUNCIATO di Vincenzo Rosa NOMUOS E NONVIOLENZAdi Daniela Sammito e Maurizio Parisi Satira “MAMMA!”/ Jack Daniel/ANTIMAFIA: Spartà, Mancini, Wild, Nicolini, Ficco BITCOIN di Fabio VitaLIBRI: Mazzeo, Mirone, Gulisano, Orsatti ITALIA: Arnaldo Capezzuto,Riccardo De Gennaro, Antonella Beccaria, G.Abbagnato, Nino RoccaDA RADIO DEI POVERI CRISTI A RADIO AUT di Salvo VitaleANTIMAFIA IN TEMPO D’ELEZIONI di Giuseppe FavaCaselli/ Di Matteo silenzi e gridaDalla Chiesa/ Un nuovo fronte

giovanigiovani

Torna La Perifericacon Leandro Perrotta,Luciano Bruno, FabioD’Urso, Cristina Perrotta,Massimiliano Nicosia

L’Orchestra dei Ragazzi, che suonanoMozart a tredici anni, e il famosoGiudice-a-Berlino che fa tremare ipotenti con la sola forza della legge.Però siamo a Catania, nel quartierepiù povero. E andiamo avanti.

L’altra ItaliaL’altra Italia

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Di chi sono Mozart e Leopardi? Mozart è dei bambini di San Cristoforo – li vedete. E Giacomo Leopardi? E' di Librino: è un ragazzo di qua che l'ha portato, e l'ha messo in bei versi siciliani.E vedete anche questo. Qua, su queste pagine, intitolate col nome del massimo scrittore siciliano moderno, Giuseppe Fava.

Catania, città del sud, ha le sue facoltà e i suoi, come si dice, intellettuali. Sanno parlare benissimo, nei convegni. Ma di Leo-pardi e di Mozart – e di Giuseppe Fava – non sanno tanto. Certo,non quel che ne sanno i nostri ragazzini di strada, vissuti fra emarginazione e dolori e più di chiunque in grado di compren-dere - quando l'incontrano – la poesia e la bellezza. Certo, non è stato facile portarle da loro; ma così è stato. Un cammino lun-ghissimo, iniziato moltissimi anni fa, ma che adesso è il loro.

* * *Che parola antipatica, “antimafia”. “Anti” la mafia, “anti” i

padroni mafiosi, “anti” bavaglio... “Anti”: ma “per” che cosa?Ecco: esattamente per questo. Perché Luciano e Maria e Car-

melo e gli altri ragazzi e giovani dei quartieri, che voi condanna-te a una vita buia e senza luce, possano vivere la buona vita che invece meritano, che meritiamo tutti noi esseri umani. Con la loro arte, la loro poesia, la loro musica, e la gioia di distribuirle liberamente. Sa sarete a Catania, fra pochi giorni, avrete la for-tuna di ricevere i doni – per quanto milionari voi siate – di que-sti ragazzi ricchissimi dei nostri poveri quartieri.

* * *Noi non dimentichiamo mai neanche per un momento che qui,

fra i padroni di Catania, ci sono esattamente gli stessi di trent'anni fa (sempre un solo giornale, imposto a tutti; sempre glistessi affari, sulla pelle dei poveri; sempre città devastata). Non facciamo finta, come gl'intellettuali perbene, che sia arrivato il momento di commemorare il passato. Non ci tiriamo indietro ri-spetto al dovere civile, che è di lottare. Lottiamo perché bisogna,ma non diventiamo guerrieri. Lottiamo per Leopardi e per Mo-zart, e per i nostri ragazzi, non per odio o rancore. Questa è la nostra eredità. E quando per un momento ce ne allontaniamo, ben venga chi ci ricorda il cammino giusto.

Cominciano così i secondi trent'anni dei Siciliani. Fraterna-mente, allegramente, col coraggio dei poveri, non all'altezza di niente ma non intimoriti da niente.

I Siciliani

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 3– pag. 3

Per che cosa

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani aprile 2014 numero diciannove

RIEPILOGANDO foto d Alessandro Romeo

D'accordo, è una foto “vecchia” (del cinque gennaio) ma va bene

così. I ragazzi sono ancora là, i loro amici pure. I ragazzi, nei pove-rissimi quartieri in cui vivono, continuano a fare musica alla faccia

di tutti. E i loro amici più vecchi continuano a dargli una mano. Chevolete di più? Se v'interessa la politica, la politica – quella vera – è

proprio questa. A gennaio come ora.In realtà, il ritardo della foto (e del giornale) è colpa del segreta-

rio di redazione, del fattorino e di altri personaggi importanti che hanno avuto la pessima idea di mettersi a star male proprio al mo-

mento di dover lavorare per il giornale.Del giornale, comunque, dovremo discutere tutti insieme a inizio

estate, a Napoli (molti di voi lo sanno già: se n'era parlato all'assemblea del 5 gennaio). S'è fatta tanta strada, che è arrivato il

momento di far due conti: siamo soddisfattissimi di quel che s'è fatto finora, e perciò – giustamente – ne siamo insoddisfatti.

Bisogna volare più alto, ma sempre senza padroni. Si pone perciòil problema di passare a qualche forma (ma sempre nostra, libera e

collettiva) di “azienda”. Stiamo già raccogliendo progetti e idee. *

Questo numeroPer che cosa/ I Siciliani 3Di Matteo: silenzi e grida/ di Gian Carlo Caselli 6Un nuovo fronte della società civile/ di Nando dalla Chiesa 7Una giornata particolare/ di Giovanni Caruso e Alfia Milazzo 11Il cammino dell'altra Italia/ di Riccardo Orioles 12Antimafia e politica 14Sodano Prefetto del popolo/ di Rino Giacalone 16Intervista a Ester Castano/ di Valerio Berra 17

PoteriStrutture mafiose/ di Andrea Zolea e Francesco Moiraghi 18Legalità di Confindustria: strani amici 22Caso Manca: carte false perché?/ di Luciano Mirone 24Caso Ilaria Alpi: lo strano marinaio/ di Antonella Beccaria 26Riina/ di Giovanni Spinosa, Antonella Beccaria 28L'infiltrato/ di A.Pettinari, M.Cuccu e F. Mondin 30

ItalieBeni confiscati/ di Salvo Vitale, P.Maniaci,C.Nasi 32L'ora della trasparenza/ di Arnaldo Capezzuto 37I signori della munnizza/ di Carmelo Catania 38Calabria Il "rivoluzionario" e l'usuraio/ di Rocco Lentini 40Abruzzo: le cifre della cementificazione/ di Alessio di Florio 42

PeriferieLa Periferica/ di Leandro Perrotta, Luciano Bruno,Fabio D'Urso, Massimiliano Nicosia 45

Satira"MAMMA!"/ a cura di Gubitosa, Kanjano e Biani 49

PersonePadre Carlo: reato di Vangelo/ di Massimiliano Perna 53

LibriIl MUOStro di Niscemi di Antonio Mazzeo 56Un "suicidio" di mafia di Luciano Mirone 58La confusione di Sebastiano Gulisano 59Grande Raccordo Criminale di Pietro Orsatti 60

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 4 – pag. 4

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DA' UNA MANO: I Siciliani giovani, Banca Etica, IT 28 B 05018 04600 000000148119 <----

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SOMMARIO

TestimonianzeLe donne dell'antimafia/ di Miriana Schillaci 61Ragazzi di mafia/ di Michela Mancini 62

StoriaUn "pentito" si confessa/ di Elio Camilleri 64

Storie Gli amici dell'anno XIV/ di Jack Daniel 65

BitcoinLa bancarotta (protetta) di MtGox/ di Fabio Vita 66

Società"Io gay e mio padre comunista"/ di Marino Buzzi 68

PoliticaLa Padania fa scuola/ di Riccardo De Gennaro 69

SiciliaPalermo/ Una proposta contro la povertà/ di Nino Rocca 70Palermo/ L'Ecomuseo Urbano/ di Giovanni Abbagnato 71San Berillo: abbandono annunciato/ di Vincenzo Rosa 72

UniversitàGood bye via Zamboni/ di Beniamino Piscopo 75

AntimafiaEmilia: come vigiliamo sulla legalità/ di Sara Spartà 74Rimini/ Il processo Vulcano/ di Patrick Wild 76Expo senza mafia: si può?/ di Roberto Nicolini 77Un'assemblea a Marsiglia/ di Marino Ficco\\\ 78

MovimentiDa Radio dei poveri cristi a Radio Aut/ di Salvo Vitale 80"La voce di Impastato"/ di Giuseppe Cugnata 83

NoMuosLa forza della non violenza/ di Daniela Sammito/foto di Maurizio Parisi 84

EventiProcesso alla Nazione 86

Il filoMafia e antimafia in tempo d'elezioni/ di Giuseppe Fava 88

I Siciliani I Sicilianigiovanigiovani – pag. 5 – pag. 5

DISEGNI DI MAURO BIANI

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Giustizia

Di Matteo: silenzi e gridadi Gian Carlo Caselli

Moltissimo si è scritto della “capta-

zione” di numerose conversazioni fra

Salvatore Riina e un altro detenuto.

L’attenzione si è concentrata sulle mi-

nacce, gravi e reiterate, persino truci,

che Riina ha ossessivamente destinato

al PM Nino Di Matteo, da anni impe-

gnato – prima a Caltanissetta, ora a Pa-

lermo - in difficili inchieste di mafia,

tra cui quella riguardante la

“trattativa”, attualmente in fase di esa-

me dibattimentale. Le minacce di Riina

sono state interpretate in vari modi.

Solo voglia di vendetta?

C’è chi ha visto nel suo smaccato e

sinistro atteggiamento nulla più – si fa

per dire... - del risentimento e della vo-

glia di vendetta che inevitabilmente

animano un mafioso pluricondannato,

che inevitabilmente scorge un nemico

(da eliminare per vendetta) in chi prati-

ca– come Di Matteo – un metodo inve-

stigativo vincente che continua a met-

tere in crisi la propria organizzazione.

Paura dell'indagine?

C’è poi chi ha sviluppato questa tesi,

cogliendo nelle parole di Riina anche

la preoccupazione che l’incisività

dell’azione di Di Matteo possa portare

- nello specifico perimetro della “trat-

tativa” - a scoprire verità per qualche

motivo oscuro sgradite a Riina.

O “chiamata alle armi”?

Altri ha inteso i discorsi di Riina

(minacce comprese) come una sorta di

chiamata alle armi rivolta all’organiz-

zazione perché invece di fare soltanto

lucrosi affari torni ad un più “vivace”

impegno sul versante militare; in que-

sto modo Riina avrebbe voluto espri-

mere una linea d’intervento che non

accetta di rimanere minoritaria, per di

più relegata e sepolta nelle patrie gale-

re.

O rivincita personale?

Qualcuno, infine, ha scelto una chia-

ve para-psicologica che tutto sommato

colloca Riina (al di là delle intimida-

zioni) in una sostanziale posizione di

difesa. La strategia stragista dei corleo-

nesi si è rivelata un pessimo affare per

“cosa nostra”, costretta dopo il 1992 a

subire un’efficace reazione dello Stato

che ha consentito – pur fra alti e bassi -

di infliggere all’organizzazione duri

(certo non definitivi) colpi.

E’ possibile allora che Riina non rie-

sca a riconoscere che la strategia da lui

diretta ha portato a risultati ben diversi

da quelli sperati. E che pertanto abbia

rimosso la realtà, cercando di convin-

cersi che lo stragismo non è stato un

errore strategico. Arrivando a chiedere,

con le minacce a Di Matteo, la ripropo-

sizione oggi – a distanza di oltre

vent’anni - di quella stessa strategia,

anche come personale rivincita.

In ogni caso, tutti con Di Matteo

Comunque sia, sta di fatto che le mi-

nacce di Riina a Di Matteo devono es-

sere considerate in tutta la loro proter-

via e gravità. Sarebbe davvero insensa-

to non temerle. Vanno perciò adottate

tutte le misure possibili di adeguamen-

to della sicurezza del magistrato e di

solidarietà nei suoi confronti.

PS - Non ho preso in considerazione

la tesi che nella divulgazione delle mi-

nacce di Riina vorrebbe vedere una

manovra diretta a rattoppare lo sdruci-

to tessuto dell’inchiesta sulla “trattati-

va”. L’oscenità di questa tesi strampa-

lata supera infatti le mie capacità di

comprensione.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.6– pag.6

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Italia

Un nuovo frontedella società civile

di Nando dalla Chiesa

Sale giochi. E’ questo il nuovo fronte

della sfida tra società civile e crimina-

lità. Guai a non capirlo. Non perché

chi apre una sala giochi debba essere

per forza un riciclatore di soldi mafiosi

o un architetto di flussi di denaro spor-

co. O direttamente un padrino stanco

di trafficar droga e di uccidere per le

strade. Ma perché i varchi che le sale

giochi aprono agli interessi mafiosi

sono obiettivamente enormi. E si mol-

tiplicano proprio mentre lo Stato (o

meglio: una sua parte) sta facendo di

tutto per chiudere quelli (tanti) che già

esistono. Non è stato così d’altronde

anche per i casinò?

Senatori e clan mafiosi

Le prime grandi offensive mafiose al

nord non hanno riguardato i casinò di

Sanremo, di Campione, di Saint Vin-

cent, non è stato lì che si sono allestite

le prime indicibili alleanze tra sottose-

gretari di Stato, senatori, clan mafiosi e

palermitani in lotta tra loro?

Recentemente si sta facendo anzi

strada la tesi che proprio la scelta di

indagare su quelle vicende sia costata

la vita più di trent’anni fa al

procuratore capo di Torino Bruno

Caccia. E come dimenticare, ancora, le

richieste provenute a ondate sempre

dagli stessi ambienti di aprire un

casinò in ogni regione, “per dare

slancio all’economia turistica”?

Enormi opportunità di riciclaggio

In realtà nascono enormi opportunità

di riciclaggio, di usurare chi perde forti

somme, e grandi opportunità di guada-

gno diretto, anche. Senza trascurare

quella aggiuntiva, ma non minore, di

stabilire proficui rapporti con profes-

sionisti e politici con il vizio del gioco.

Ebbene, le sale giochi sono la versione

popolare e diffusa sul territorio di que-

sta “imprenditorialità”, che cresce sulle

fragilità e sulle disperazioni altrui.

Sono la realizzazione della figura dello

Stato biscazziere, che le promuove in

nome delle tasse che può introitare, e

che così scommette (è il verbo

giusto…) sull’ignoranza e sulla aliena-

zione anziché sulla cultura e sulla ri-

cerca.

Attenti anche a qualche questore

Troppe vicende locali fanno pensare

fra l’altro che le aperture indiscrimina-

te di queste sale godano dell’appoggio

delle istituzioni di polizia, visto che

sono i questori i soggetti titolati a con-

cedere o negare l’autorizzazione. So-

spetto il vigore con cui vengono difese

le autorizzazioni, sospetta la tempesti-

vità con cui vengono rilasciate, anche

in polemica con i sindaci che intenda-

no farsi carico delle esigenze civili e

sociali dei propri comuni.

Una proposta precisa

Per questo lancio una proposta mini-

male ma che potrebbe rivelarsi utile

per non lasciarci alla mercé di una ti-

pologia di imprese che sa avere argo-

menti molto convincenti e di funziona-

ri “sensibili” a quegli stessi argomenti:

che le sale giochi possano essere aperte

solo quando vi sia il parere favorevole

congiunto di questore, sindaco e pre-

fetto. Con tutta la burocrazia che ucci-

de imprenditori e commercianti, non

sarà un parere congiunto a frenare

l’economia italiana. Giusto?

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particolare

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 88

E Renzi? E Grillo? E Berlusconi? E Crocetta, e Bianco? Roba per gente im-portante, non per noi poveracci. Per noi, la politica - se vogliamo chiamar-la così - è un'altra cosa: per esempio la storia di venti ragazzini di quartie- re che scappano dalle angherie destinategli e imparano a suonare Mozart,alla faccia di notabili e mafiosi. E via, forza così: questa è la strada

di Giovanni Caruso e Alfia Milazzo/ foto di Alessandro Romeo

Resistenze

Una giornata

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Diritti dei poveri: si può“SE TANTI PARLANOCON UNA VOCE SOLA”

Si, è una giornata particolare il cin-que gennaio: ricordiamo un uomo e tanti altri uomini che credevano allo stato, alla giustizia dei codici, pur sa-pendo che senza la giustizia sociale non c'è democrazia.

Lontani dalle celebrazioni ufficiali, dai picchetti d'onore, dalle ipocrite pagine delquotidiano cittadino che tenta di offuscarela memoria col suo revisionismo storico, siamo qui a San Cristoforo a ricordare la-vorando, con gli uomini e le donne dei quartieri.

Siamo qui al Centro Gapa presidio di resistenza in uno dei tanti quartieri abban-donati dallo Stato e consegnati alle mafie. Sono le 9,30 del mattino quando apriamo,una signora fa capolino davanti alla porta,e ci chiede:"C'è festa stamatina?". "Sì si-gnora, oggi festeggiamo la libertà di par-lare accompagnati da una buona musica!".

Entrano alla spicciolata i ragazzini e le ragazzine con i loro strumenti musicali. Allegramente prendono posto e incomin-ciano ad accordare violini e violoncelli Sanno bene che un solo strumento non fa un'orchestra. Sanno che una sola voce nonfa cittadini e sanno che l'unità di tutte e tutti noi è l'unica maniera per rivendicare inostri diritti.

Suonano Mozart e Vivaldi, ma fanno anche domande. "I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa perchè volevano tanto potere, tanto denaro, al punto da al-learsi con la mafia e indicarle chi andava eliminato perchè raccontava la verità?"

Rispondono gli adulti, con le parole di padre Pino Puglisi, di Falcone, di Borsel-lino, di Giuseppe Fava. Parole e musica vengono ascoltate con interesse e un po' di rabbia. "Ma tutto questo - si chiedono tutti - quando finirà? Quando tornerà il di-ritto alla dignità e alla felicità collettiva?

Ascolta anche il procuratore della Re-pubblica, Giovanni Salvi. Ascolta in silen-zio, ma sentiamo la sua soddisfazione di essere qui con noi, in questa "società rea-le", in questa parte di società fatta di don-ne e uomini, ragazzini e ragazzine che vi-vono il disagio dei quartieri.

Ma da oggi qualcosa può cambiare, per-chè oggi è una giornata particolare.

“Ma un altro lavoro ci aspettava”

Quella prima parte della giornata era fi-nita ma altro lavoro, per continuare a fare memoria, ci aspettava.

Mentre rimettevamo in ordine il nostro centro e discutevamo soddisfatti di come era andata, un signore si avvicinò dicen-do: “Certo lo spettacolo è stato molto bel-lo e i ragazzini sono stati molto bravi, maa che serve tutto questo, a che servono le parole se poi viviamo in questo quartiere dimenticati dal Comune e dallo Stato? Dove i me' niputi se ne sono dovuti anda-re in una scuola più lontana picchi ca’ a

chiurenu o se ti sventuri a camminare co’ scuru c’è periculu ca qualche spacciaturi non ti fa trasiri mancu a’ casa! Come si faa dire di no a un politico che ti promette un lavoro da precario e ti da 50 euro per un voto? Io sono pensionato e ho lavoratotutta la vita e sono più fortunato de me ni-puti e di tutti ddi carusi ca furriunu co muturinu senza fari nenti o fossi picchi vannu… e quelli più onesti cercano un la-voro che non c’è oppure finiscono in mano dei mafiusi ca ni levanu a libertà!”.

“Certo, caro signore, lei ha ragione ma cosa ci resta da fare? Guardi che le parole sono importanti, solo che se è uno solo a parlare viene preso per pazzo, ma se sono tanti, ma tanti, e parlano con una sola voce si possono ottenere tante cose. Per esempio, pretendere che il Comune ci ri-dia le piazze occupate dalla manovalanza mafiosa; oppure chiedergli di dare gli im-mobili confiscati alle mafie a chi è senza casa, dando pure lavoro per la ristruttura-zione degli edifici. Potremmo chiedere, i beni confiscati, di darli alle cooperative giovanili, creando nuovo lavoro, o sem-plicemente "case" per le associazioni che non sanno dove riunirsi. E infine la "casa"dell'informazione, aperta, a chi vuol fare un giornalismo libero. Ma tutto questo si può fare solo se stiamo uniti, differenti mauniti, parlando con una sola voce!".

Quel signore non risponde, ma sorride con un sorriso che ci dà fiducia. "Sì, sono d'accordo - dice quel sorriso - andiamo avanti così!".

Giovanni Caruso

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Musica per ricordarePIPPO FAVAE GLI INVISIBILI:UNA NUOVA CIVILTA'

“Parole e musica per ricordare Giu-seppe Fava” è il titolo della giornata che abbiamo dedicato a Pippo Fava il cinque gennaio. Comincia presto, alle 10.00 del mattino al Gapa, nel quartieredi San Cristoforo. Arriva il ProcuratoreSalvi. Lo Stato, o almeno una parte del-lo Stato, che egli rappresenta, è qui, se-duto in prima fila, per Fava, con i no-stri bambini di San Cristoforo.

Si alza in piedi Carusodel Gapa. Racconta chein questi ultimi trent’anni, da quel terribile 5gennaio 1984, quando il“maestro” fu ucciso,l’impegno è continuatocon un’attività di antima-fia sociale. Accusa loStato di essere assente,proprio nei quartieri a ri-schio. Poi iniziano ibambini dell’OrchestraFalcone Borsellino.Suonano “Alla rustica” di

Vivaldi. Li dirige Andrea La Monica, gio-vane maestro italiano che da alcuni anni segue la scuola creata dalla nostra “Città invisibile”. Spiega l’importanza di questo progetto educativo.

L’orchestra è un corpo unico composto da parti diverse, che si armonizzano per-fettamente se ciascuno impara a rispettare lo stesso tempo degli altri, e se si impara ad ascoltarsi a vicenda.

I bambini di San Crisotforo

Questi bambini, provenienti dai quartie-ri San Cristoforo, Librino di Catania, da Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Lico-dia e da Siracusa, sono un esempio dell'

efficacia del metodo usato dal Sistema venezuelano creato da Abreu e inserito nella scuola della “Città invisibile”.

Un percorso che utilizza la musica come strumento per insegnare il rispetto delle regole, fornisce gratuitamente gli strumenti, i maestri ed ogni esperienza altra formativa. Tra i docenti vi sono sem-pre stati maestri venezuelani che sono ospitati come volontari della scuola, e ap-plicano il metodo in modo fedele.

Veri e falsi sistemi

In Italia c'è anche un ente nazionale, guidato da esponenti del Pd, che dichiara-no “Sistema” attività progettuali inseriti nei Pon scolastici o percorsi individuali, non orchestrali, in cui i ragazzi coinvolti sono allievi dei conservatori e dei teatri.

Questo non è il vero Sistema Abreu. Ep-pure, queste scuole che fingono di realiz-zare il progetto di Abreu ottengono finan-ziamenti pubblici consistenti in Sicilia.

Ad esempio, il teatro Bellini di Catania,(perennemente in deficit per lo sperpero di denaro pubblico) ha di recente incassa-to un finanziamento di 4,3 milioni di euro dal “Pon sicurezza”, fondi destinati ai bambini poveri delle città siciliane, ma as-segnati senza bando al teatro per realizza-re un progetto di “legalità con la musica”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani –– pag. pag. 1010

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“La musica dei nostriragazzi e le parole

di Pippo Fava:la voce degli invisibili

che cambiano la società”

Da anni a costo zero

Un progetto che noiqui alla “CittàInvisibile” realizziamo invece da anni a costozero, coinvolgendooltre 470 ragazzi e5000 giovani.

Con 4,3 milioni dieuro in 10 anni noi avremmo potuto aprire seicento scuole rag-giungendo quasi tremilioni di bambini, potendo formare minori non solo

siciliani ma di tutta Italia. E invece "La città invisibile" è osteggiata dalle istituzioni, persino nella richiesta di una sede propria.

Se ci fosse Fava

Se ci fosse stato Fava questifatti non li avremmo dovuti denunciare da soli. Li avrebbescritti lui.

Fava, il grande giornalista, il maestro della verità, rimaneinsostituibile: la sua voce era unica, forte e chiara,

spietatamente veritiera, insomma straordinariamente giustiziera del marcio e della corruzione. Era il laboratorio di al-tre voci come la sua. Era un grido unani-me contro lo sperpero di denaro pubblico a vantaggio di soliti noti.

E in questo servizio che generava alla nostra terra, egli era il riscatto dei deboli, della gente onesta, e quindi anche di quelli come noi, se volete, di tutti noi volontari senza padroni.

“Suoniamo e lottiamo”

La musica prodotta daipoveri strumenti deinostri ragazzi, le paroledi verità di Pippo Fava,il lavoro e l’impegnomesso dai ragazzi per ilraggiungimento di un risultato inaspettato eppure realizzabile, rappresentano la voceeccellente degli invisibili che ogni giorno “suonano e lottano” come recita il nostro motto). Gli unici che riusciranno, come haaffermato Riccardo Orioles, a cambiare inmeglio la nostra città, il nostro Paese.

Alfia Milazzo

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LibriPARLANO

I REDATTORI DIGIUSEPPE

FAVA

Mentre l'orchestrina suonava“Gelosia” di Antonio Roccuzzoe Prima che la notte di ClaudioFava e Miki Gambino raccon-

tano gli anni dei Siciliani diGiuseppe Fava come vennerovissuti dai ragazzi che con luicondivisero la più bella atoria

del giornalismo italiano.Una storia che non è finita.

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Politica

Il camminodell'altra Italia Medioevo sociale: re inutili, saccheggi e orde di feudatari im-perversanti. E il popo-lo, gli ex cittadini?

di Riccardo Orioles

La politica, veramente, non conta più tanto in Italia, non almeno nel senso “oc-cidentale” del termine: ormai è la finanza a sostituirla e lei sopravvive appena in qualche personaggio-macchietta e in qual-che raffazzonato proclama. L'economia, a sua volta, è ridotta ai termini più elemen-tari e si divide in econo-nostra, cioè la so-pravvivenza quotidiana in un mondo sem-pre più asociale, e econo-loro, cioé la massimizzazione del profitto pura.

Il panorama nel complesso è abbastanzamedievale (gran stemmi a ogni angolo, re inutili, potere ai feudatari, folle di dispe-rati affamati appena fuori le mura. Non c'entra niente col Novecento, e figuriamo-ci col Duemila. Qualcuno pensa agli anni simili dell'Ottocento, a illuminismo scon-fitto e rivoluzione industriale imperver-sante.

I nomi da libro di storia, in ogni caso, non sono gli occasionali Grilli e Renzi né Napolitano (che pure, cui suoi tre go-verni-del-Presidente in fila un suo contri-buto l'ha dato) ma gli ex tecnici e attuali re di fatto; in Italia Marchionne. Il golpe sociale di due anni fa è sato infatti l'unica vera svolta politica del Belpaese. Fiat mi-litarizzata, statuti e leggi aboliti d'autorità,fabbriche portate via nel silenzio di tuttti.

L'ultima scrivania è finita a Londra: e perché proprio lì? “Per non pagare le tasse - risponde lui candidamente – Perché io so' io e voinon siete un c...”.

Il continuum sociale, in questo stato, è rappre-sentato soltanto dalle piùsvariate aggregazioni diex cittadini: volontariato,centri di quartiere, pezzisopravvissuti di sindaca-to, edifici occupati, par-rocchie “irregolari” e chipiù ne ha più ne metta.

Il modello mafioso

In questa strana situazione di questo strano regno, noialtri dei Siciliani siamo fra i pochissimi a non turbarci più di tan-to. Nella nostra città d'origine, infatti, tut-te queste faccende si sono presentate con parecchi anni d'anticipo sul resto del rea-me. A Catania già negli anni '80 i politici, meramente parassitari, contavano ben poco: decidevano tutto quanto i Cavalieri (in linguaggio moderno “imprenditori”), apiacer loro; non c'erano giornali e tv ma un solo bollettino di corte. La plebe non aveva ovviamente alcun diritto, salvo fe-steggiare ogni tanto la sua squadra di cal-cio e i suoi santi. L'ordine pubblico consi-steva in qualche arresto di ragazzini e in numerosissime uccisioni.

Di là, e dalla vicina Palermo, il modellos'estese a tutta Italia. Un mafioso palermi-tano, Dell'Utri, fondò il partito che gover-nò per vent'anni (e co-governa ancora) l'Italia intera. Il “Faccio quello che vo-glio” di un Graci o un Rendo anticipò di molti anni la strategia dei colleghi “im-prenditori” Berlusconi o Marchionne.

L'esempio vissuto di un ribelle

Noi, a questo modello, non ci siamo mai rassegnati. Non per merito nostro, maper l'esempio vissuto di un grandissimo ribelle, Giuseppe Fava. Scrivere, raccon-tare, far giornali; far sorridere, fare indi-gnarsi, far pensare. Non rassegnarsi mai. Questo, senza tanti discorsi, ci ha insegna-to. E questo, instintivamente, noi abbiamocercato di portare in giro per il mondo.

Per questo abbia-mo mantenuto il nome che ci ha dato anche dopo che dallaSicilia il modello mafioso - e quindi lanostra lotta - s'è esteso a tutta Italia. Siciliani non è affat-to il nome di una terra. E' un modo di

affrontare un destino non più solo nostro. Un modo di chiamare una rivolta.

Piccoli, insufficienti: forse proprio per questo non siamo rimasti soli. Piccoli ci fanno tutti, questi grandi e feroci feudata-ri. Nessuno di noi “piccoli” - appena comincia a riflettere - ha forze sufficienti con-tro di loro. Bisogna unirsi, per vincerli. Noi lo chiamiamo “fare rete”, dappertutto.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1212

Promemoria Dieci obiettivi dell'antimafia sociale Abolire il segreto bancario; Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di corruzione o grande evasione fiscale; Assegnarli a cooperative di giovani lavora-tori; aiuti per chi le sostiene; Anagrafe dei beni confiscati; Sanzionare localizzazioni, abuso di precaria-to e mancato rispetto degli accordi di lavoro Separazione di capitale finanziario e indu-striale; tetto partecipazioni editoria; Tobin tax; Gestione pubblica dei servizi pubblici essen-ziali (scuola, università, difesa, acqua, energia,strutture tecnologiche, credito internazionale); Progetto nazionale di messa in sicurezza del territorio, come volano economico soprattutto al Sud; divieto di altre cementificazioni; Controllo del territorio nelle zone ad alta in-tensità mafiosa. Applicazione dell'art.41 della Costituzione. Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 41:“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, allalibertà, alla dignità umana. La legge determi-na i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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Foto di Maurizio Parisi (a destra) e Maria Vittoria Trovato (in alto).

Noi della bassa plebe

Non è un lavoro facile. Lo sarebbe se fossimo tanti eroi e tanti geni, aiutati pos-sibilmente da tutti i signori che dicono “facciamo opposizione”. Se fossimo in unfilm, insomma. Ma purtroppo non siamo in un film, nè purtroppo siamo geni o eroi.Siamo persone normali, perlopiù giovani o molto giovani (del resto la testata lo dice) con tutte le insufficienze e i proble-mi delle persone normali.

Ester, a ventidue anni, riuscirà a vincerela causa (150mila euri!) che le ha intenta-to il dottore amico dei politici collusi? Daniela e Giorgio riusciranno mai a ria-prire il giornale “clandestino” che hanno dovuto chiudere, giù in fondo alla Sicilia?E riusciranno a restare liberi Claudia e Leandro, che il loro l'han dovuto vendere a un padrone? Fabio e Luciano, giornalistie poeti, per quanto tempo ancora riusci-ranno a sopravvivere distribuendo i volan-tini dei supermercati? E Giulio, e Norma, e Luca, con tutti i loro dolori?

Ecco, questi sono i nostri problemi, quelli che a volte intralciano il cammino. Sono i problemi vostri, quelli degl'italiani di bassa plebe. Siamo bravissimi giornali-sti, e attivisti civili come quio se ne vedo-no ogni cent'anni. Ma siamo precari, po-veri, come più di metà degl'italiani. Que-sta è la nostra sola debolezza. E' anche la nostra forza, povera e immensa.

Questa è la nostra vita. Passano, sullo sfondo, le vite “grandi” degli altri. Il nobi-le Ciancio, riverito e ossequiato da tutti i visitatori, dall'ex valoroso giudice al mini-stro di polizia. Il vicerè Crocetta, colla suacorte di cavalieri onorati e di scherani. I granduchi e i baroni, accapigliati (“Popu-lista!”, “Meno Elle!”) a conquistare o a difendere un potere che in realtà passa tranquillamente molto sopra a loro. Noi, da lontano e dal basso, a volte distratta-mente li guardiamo.

“E' andata bene, l'assemblea di Ragusacon Gzero?”. “Una ventina di ragazzi. E il seminario a Torino?”. “Hanno già mandato le loro pagine. Sembra che i Si-ciliani giovani ora siano natì anche lì”.

Ecco, sono tutte qui le nostre vittorie. Esili, provvisorie, senza pretese. Eppure sisusseguono da trent'anni. I dinosauri sono estinti ma le formichine sono ancora qui.

La non-politica, il non-potere

Ed è l'unica strada? Non crediamo. Le vie sono sempre molte, e in ogni caso noi non siamo in grado in grado di giudicare.

Fra quelli che si oppongono, le idee sono varie e tante e noi - purché si oppon-gano - le rispettiamo tutte quante. I pro-blemi sono grandissimi, e la politica “alta” non li affronta: "Fate tutto quel che volete - dice in sostanza il potere - purché non sia politica, cioè potere". Ma forse il principale problema è la solitudine indotta

- cioé la non-politica, il non-potere.

Fare nuovi partiti? Mah. Ce ne vorrebbe (ma sarebbe ancora un partito o una cosa del tutto nuova, una rete?) uno solo, ma grosso. Un po' sul modello di quello che hanno fatto i greci, che qui in Italia però (fra partitini invadenti e sindaci-capipo- polo alla finestra) forse non èstato compreso troppo.

L'antimafia sociale, per quel che capia-mo noi, finora è la “politica” più reale. Unisce, e lotta davvero; il suo modello è la Resistenza. Non a caso la destra l'avversa e ne ha paura.

I governativi la sfuggono, gli antigover-nativi la sfuggono parimente. La sinistra, impegnata su mille fronti, non la ritiene importante (neanche Peppino Impastato, quand'era vivo, era molto di moda).

* * *Intanto, da qualche parte in Europa, un

arciduca prepara un viaggio. Primavera '14...

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Crediamo che la mafia oggi sia uno dei poteri più im-portanti, e che quindi combatterla sia fondamentale. Crediamo che il giornalismo sia la forza essenziale della democrazia, e che non vada lasciato solo a chi non può essere indipendente. Crediamo che l’antimafia e il giornalismo libero non siano sostenibili con le forze di pochi, e che quindi debbano costituirsi in rete.

TermometroNOTIZIE ALLA RINFUSA19 febbraio. Grecia: +43% di mortalità in-fantile dopo i tagli alla sanità (rapportoCambridge-Oxford su Lancet).24 febbraio. Catania. Condannato per vio-lenza a studentessa il prof. Elio Rossitto, ideologo di palazzo.27 marzo. Mafia. Revocato il 41 bis al boss catanese Aldo Ercolano.5 marzo. Siracusa. Intitolata scuola a un ca-rabiniere ucciso dalla mafia. I familiari tenutifuori dalla cerimonia. Coro di bambini in omaggio al Capo del Governo.18 marzo. Mafia. Confiscata la Geotrans di Ercolano, grande impresa di trasporti del Sud (coi Casalesi sull'asse Sicilia-Fondi).19 marzo. Messina. Arresto per Francanto-nio Genovese, locale padre-padrone del Pd.1 aprile. Istat. Disoccupazione al 13 per cento (donne 46 per cento, giovani 42).2 aprile. Germania. Approvato il salario mi-nimo: 8,5 euro l'ora.8 aprile. Governo. Il ministro dello Sviluppo: "La Fiat è un'azienda privata e può fare quello che vuole".18 aprile. Rapporto Fieg. 887 giornalisti dei quotidiani e 638 dei periodici a spasso negli ultimi cinque anni. Niente ricambio genera-zionale nelle redazioni. 15 aprile. Cina, 60mila operai in sciopero alla Yue Yuen, che produce scarpe per Nike, Crocs, Adidas, Reebok, Asics, New Balance, Puma, Timberland.

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Italia

Antimafia e politicaLo Stato ha “trattato” sempre.Prima, durante e dopoDavvero l'antimafia”nonha politica”? Ma la ma-fia una sua politica l'ha sempre avuta...

* "L'antimafia non è nè di destra nè di

sinistra!". Sbagliato. L'antimafia nasce nettamente di sinistra, anzi - poiché a quei tempi la parola "sinistra si usava poco - direttamente "comunista".

Sono già comunisti, negli anni '20, Ni-colò Alongi e Giovanni Orcel, il sindacali-sta contadino e quello metalmeccanio am-mazzati dalla mafia. E sono "socialcomu-nisti", dal Quarantatrè in poi, tutti i mili-tanti antimafia - Accursio Miraglia, Placi-do Rizzotto, Turiddu Carnevale... - assas-sinati a decine dai mafiosi di allora, come anche i grandi e popolarissimi leader (Mommo Licausi, Michele Pantaleone) dell'antimafia di quel periodo.

Il motivo è semplice. La mafia, allora, era in sostanza il braccio armato dei lati-fondisti; e i partiti socialista e comunista riunivano soprattutto i contadini poveri e i braccianti. Lo scontro era frontale. Ed era uno scontro senza mediazioni. Anche in altre parti d'Italia le lotte sociali erano dure e a volte sanguinose. Ma in nes-sun'altra regione esisteva un'organizzazio-ne padronale armata come la Cosa Nostra dei primordi.

La mafia, per la cultura ufficiale, era "un'invenzione dei comunisti per diffama-re la Sicilia", come dichiarò a un certo punto un cardinale e la stampa antimafia silimitava a "il L'Ora", il giornale comuni-sta. C'erano eccezioni: ad esempio Pasqua-le Almerico, un sindaco Dc, fu ucciso nel '57 per essersi opposto all'ingresso dei ma-fiosi (che allora non si appoggiavano su Andreotti ma su Fanfani) nel suo partito. Ma erano, appunto, eccezioni.

I filo-mafiosi “in buona fede”

Molti dei filo-mafiosi - coloro che, nell'ansia di contrastare il "comunismo" sostenevano più o meno apertamente il si-stema mafioso - erano persone perbene e in buona fede. Ma erano mossi in primis da un'antichissima concezione classista, didisprezzo totale verso i viddani, creature subumane da tener lontano da qualsiasi contatto con la politica e le faccende "civi-li": a fine '800, dopo una sommossa conta-dina, i proprietari terrieri della provincia diCaltanissetta firmarono una petizione per impetrare dal governo l'abolizione dell'istruzione elementare obbligatoria (da poco introdotta) che instillava idee di "no-vità" ai figli dei contadini.

In secondo luogo, i galantuomini erano mossi da un anticomunismo paranoico, senza mezze misure, per cui qualunque or-ganizzazione di sinistra, anche la più mo-derata, non era che l'anticamera di una fe-roce tirannia: non avversari politici, ma nemici da combattere a morte, con ogni mezzo. Lo stalinismo degli anni '30 in Russia - va detto per equità - era stato ef-fettivamente una dittatura feroce, per quanto difficilmente apparentabile ai "co-munisti italiani.

La mafia al centro

In terzo, ma non ultimo, luogo la Sicilia allora era un avamposto di guerra. La terzaguerra mondiale, fra l'America e la Russia.L'isola, proprio al confine fra i due imperi,era appena stata strappata dagli americani ai nazisti con perdite gravissime, e usando anche mezzi poco ortodossi, fra cui la ma-fia. Gli americani, che vedevano l'intera faccenda su un piano non politico ma mili-tare, erano decisissimi a tenere la posizio-ne impiegando, anche stavolta, qualunque mezzo.

Questi tre fattori - la lotta di classe fra latifondisti e bracciani, la lotta politica in-terna, la lotta militare all'esterno - misero la mafia al centro degli equilibri politici si-ciliani. Siciliani, bisogna precisare, non nazionali.

I rapporti fra i boss mafiosi e Andreotti, acclarati al di là da ogni dubbio dalle in-chieste di Gian Carlo Caselli, erano in questo senso fisiologici. Non erano una tabe personale di Andreotti.

Giolitti - cinquant'anni prima - fu accu-sato non senza fondamento di essere in Si-cilia "il ministro della malavita".

I fascisti di Mussolini, tolto l'episodio iniziale (e rapidamente rientrato) del pre-fetto Mori trattarono tranquillamente coi mafiosi. Gli americani li usarono per lo sbarco del '43, e poi per la gestione dell'Isola conquistata. Fanfaniani e an-dreottiano ne fecero uno strumento politic-o ed elettorale.

Lo stesso onestissimo La Malfa, epigo-no del buongoverno repubblicano, in Sici-lia aveva il suo Aristide Gunnella; quando i probiviri del Pri proposero di espellerlo, a essere espulsi furono i probiviri. Nè An-dreotti fu l'unico a incontrarsi fisicamente,e sistematicamente, coi boss mafiosi.

Ai boss, libertà di movimento

Il rapporto mafia-politica era strettissi-mo, ma geograficamente e istituzionalentelimitato. Compito della mafia era: a) "fare le elezioni" in Sicilia per i partiti di gover-no; b) uccidere o altrimenti mettere in con-dizione di non nuocere gli oppositri del la-tifondo, cioè i "comunisti"; c) presidiare militarmente l'Isola in appoggio ai presidi ufficiali (non solo le Forze armate ameri-cane e italiane ma anche i vari Gladio, Stay Behind e copagnia armata) nell'even-tualità di una qualsiasi emergenza.

Ai mafiosi, nel cambio, veniva concessauna certa libertà di movimento dell'Isola, ein ispecie nella sua parte occidentale. Sin-daci ed altri importanti esponenti vennero tratti direttamente dalle loro file; magistra-tura e forze dell'ordine vennero sostanzial-mente dissuase dall'applicare la legge nei loro riguardi.

Tutto ciò riguardava l'Isola, e non dove-va oltrepassare lo Stretto: cosa che nè i mafiosi erano proclivi a chiedere, nè i po-litici a prendere in esame. La "trattativa" era limitata, ma era permanente.

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Gli omicidi dei “comunisti”

E arriviamo così, in un quadro tranquil-lo e senza scosse - salvo le decine di omi-cidi di "comunisti" o di violatori del con-trollo territoriale - fino alla metà degli anni '70: quando quasi contemporanea-mente si verificano tre fenomeni, indipen-denti fra loro ma infime convergenti.

Il primo è l'urbanizzazione della Sicilia dagli anni '60 in poi e lo spostamento del baricentro sociale dalle immense campa-gne dei latifondi alle città che rapidamen-te crescevano insieme alla Regione.

Il controllo dei latifondi diventò secon-dario, per i boss più avveduti, rispetto allesucculente speculazioni edilizie delle cit-tà, dove rapidamente si svilupparono vio-lentissime "guerre di mafia" (per esempio,a Palermo, la strage di viale Lazio) per il controllo degli appalti.

Il monopolio dell'eroina

Il secondo elemento è l'apertura - di so-lito per opera di componenti più moderne di Cosa Nostra - di nuovi e più redditizi mercati dei traffici di droga. Questi ultimi,nella mafia tradizionale, erano stati una componente accessoria e non centrale; perlo più si trattava di rifornire via Palermo i mercati americani.

Fra la metà e la fine degli anni '70 ven-ne intensificata (grazie anche alle struttureparamilitari americane sul posto) l'acquisizione di morfina-base dal Trian-golo d'Oro ai confini della Thailandia; venne aperto un massiccio mercato euro-peo; venne istituito (soprattutto grazie agliemergenti catanesi) uno stretto rapporto coi fornitori di Cocaina della Colombia e di morfina-base della Turchia; venne svi-luppata una rete di "raffinerie", per lo più in Sicilia, in cui la morfina-base veniva trasformata in quantitativi industiali di eroina pronta per la distribuzione.

La Sicilia diventò rapidamente mono-polista quasi assoluta di questa importantesostanza, nel cui mercato assunse una rile-vanza pari - ad esempio - a quella del Giappone per le elettroniche.

Tutto questo trasformò radicalmente non solo le strutture di Cosa Nostra, ma anche la figura tipica del boss mafioso: dal vecchio "uomo di rispetto", non ric-chissimo, forte soprattutto di una lunga e riconosciuta capacità di mediazione, si passa un un nuovo tipo di boss, basato piùsui gruppi di fuoco che su un'autorevolez-za accumulata negli anni, e soprattutto straordinariamente dotato - grazie al mo-nopolio di fatto dei traffici di eroina - di capitali liquidi, che gli davano un peso non solo criminale ma anche politico as-solutamente sconosciuto ai suoi predeces-sori.

Questo significò, fra le altre cose, l'immediato squilibrio del rapporto mafia-politica, in cui la parte debole e periferica assunse rapidamente un ruolo molto supe-riore.

La crisi della politica Usa

Il terzo elemento di trasformazione delametà degli anni '70 è la crisi mediterrana della politica americana. Col senno di poi,si trattò d'una crisi tutto sommato limitata nel tempo e nello spazio; ma l'America in guerra non la percepì affatto così. Le basi Nato francesci buttate fuori da De Gaulle;persa la Grecia con la caduta dei colon-nelli; perso il Portogallo di Salazar; in cri-si il regime di Franco; in pericolo - con le avanzate elettorali di sinistra del 74-64 - la stessa Italia; e, sullo sfondo di tutto, le effervescenze sociali degli anni '70.

A che cosa serviva la P2

Non è strano che i circoli responsabili Usa (impegnati, ripetiamo, non in una competizione ideologica ma in quella che secondo loro era una guerra) abbiano bat-tuto l'allarme. E non è strano neanche che,tutti o alcuni, abbiano pensato di ricorrere agli stessi strumenti adoperati, in una crisiitaliana analoga, nel 46-47.

E cioè:- affidamento a settori "affidabili" (o

creati ex novo) di Cosa Nostra di un più rigido controllo del territorio;

- infiltrazione massiccia nella maggiore organizzazione semi clandestina, la mas-soneria (nell'ultima fase della P2, la mag-gioranza dei nuovi aderenti erano sicilianio operanti in Sicilia; ma già nel dopoguer-ra tutti i dirigenti separatisti, usati dal go-verno Usa per premere su quello italiano, erano massoni di alto grado);

- inaugurazione di una fase per così dire"di movimento", d'attacco, e non di sem-plice conservazione dello status quo.

L'antimafia degli anni '80

Questa nuova fase dei rapporti mafia-politica, dalla fine degli anni '70 in poi, non viene però contrastata principalmentedalla vecchia antimafia "comunista", che si era intanto allentata per le trasformazio-ni intervenute nei partiti che le avevano originariamente dato vita.

L'antimafia degli anni '80, che pur com-prende i residui della vecchia (la prima grossa manifestazione antimafia degli anni '80, per dalla Chiesa, fu ancora orga-nizzata dallaFgci), è prevalentemente u'antimafia nuova, urbana, con una forte componente cattolica e un riferimento "ideologico" alla società civile. Meno per-seguitata di quella degli ann '40-'50, pagò tuttavia un alto ccntributo di sangue. Le sua radici sociali sono nel nuovo ceto me-dio, soprattutto giovanile, delle città.

Gli uomini della nuova antimafia

Gli uomini della vecchia antimafia furo-no il contadino comunista, il segretario di sezione, il militante sindacale. Quelli del-la nuova antimafia lo studente, il magi-strato, l'insegnante, il prete di periferia.

Non più "comunista", l'antimafia restò tuttavia solidamente di sinistra, una sini-stra non-partitica, sociale, con un implici-to anelito, che non l'abbandonò mai, a produrre soggetti "politici" che tuttavia mantenevano un'autonomia e una diffi-denza nei confronti della politica ufficiale.

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Persone/ Sodano, un eroe civile

Prefettodel popolo

Sodano non ha perso, ha vinto. Abbiamo vin-to. Sodano non è mor-to, è vivo. E noi dobbia-mo saper restare vivi con lui, col suo ricordo

di Rino Giacalone

La prima telefonata è come un colpo di frusta che ti coglie in un momento spensierato, con le tue figlie. “Rino, il prefetto Sodano non c’è più”.

Sapevi che un giorno o l’altro qualcuno te lo avrebbe detto. E ti ripeti dentro di quante volte ti eri ripromesso di andare a Palermo a trovarlo. Porti dentro l’amaro diuna incomprensione che si era creata per-ché non erano state spese le giuste parole. Ma poi ti riprendi e ricordi l’ultima chiac-chierata telefonica con la moglie, la signo-ra Maria. Non c’erano state incomprensio-ni. Non ce ne potevano essere tra noi. Le altre telefonate tocca farle a te.

Poche parole per chiudere il telefono e dar possibilità di far scendere qualche la-crima, intima, personale. Fulvio Sodano a 67 anni ha posto fine alla sua sofferenza fisica, con tanti condivideva quella mora-le. Fulvio Sodano ci ha però lasciato il dovere di continuare, lui che da anni era immobile, inchiodato alla sua poltrona chelo ha stretto fino a stamattina, ci ha dimo-strato a noi che stiamo bene, che non ab-biamo malanni, che possiamo camminare, scrivere, parlare…urlare, che per combat-tere le mafie non c’è bisogno di avere l’uso degli arti, della parola, ma l’uso dellamente, dell’intelligenza, la vivacità degli occhi, il ricordo. “Ascolta la pianta dei tuoi piedi che calpestano la terra…” (Gandhi) ecco quello che nel nome di So-dano oggi ci resta da…continuare a fare. Calpestare questa terra percorrendola in ogni dove e raccontare quello di bello e di brutto che vediamo.

“Ha continuato a lottare”

Sodano questo ha fatto. Fin quanto ha potuto ha calpestato la terra sulla quale ha vissuto, ha saputo continuare a farlo anchequando è rimasto schiacciato su quella poltrona, ha continuato a vedere e a farci vedere la bellezza di questi nostri luoghi e ha scelto di non fermarsi mai dal ripulirla di quello che di sporco c’era, anche dentroquei palazzi dove dovrebbero abitare la fe-deltà e il rispetto verso le Istituzioni.

Non dobbiamo fare altro che questo e ci accorgeremo che Sodano non è mai morto,è vivo. Vivo nei nostri ricordi, nelle nostre azioni. Ad accompagnarci ci saranno le molecole di Fulvio Sodano che restano eterne: mi piace dire così come diceva Margherita Hack…”quelle, le molecole, restano eterne e andranno a comporre altri oggetti…altri corpi”. Uomo di Stato fino alla fine. Nonostante tutto. Come lo dise-gnò benissimo Vauro resta testimone di come lo Stato ingiusto sa far piangere i propri uomini migliori.

Quel pianto dinanzi alle telecamere di Anno Zero nell’ottobre del 2006, non era solo Suo, era anche nostro. Fu anche no-stro. Muovendo le mani che gli servivano a scrivere le risposte alle domande di Ste-fano Maria Bianchi, raccontò quello che gli era accaduto facendo il prefetto a Tra-pani, sfidando i mafiosi, il boss Matteo Messina Denaro, evitando che Costa no-stra continuasse a detenere i beni confisca-ti, che la mafia riuscisse nell’intento di ri-prendersi la Calcestruzzi Ericina, un im-pianto che oggi vive nel nome di Sodano, col cuore e l’impegno degli operai che hanno costituito una cooperativa trasfor-mando quell’impresa in qualcosa di unico,eccezionale, e non solo perché hanno sa-puto riconvertirla, ma perché la Calce-struzzi Ericina Libera è stato il primo dei beni confiscati a tornare sul mercato.

Chiama Giacomo Messina, il presidente della cooperativa. Anche lui poche parole, poche frasi. Sodano era stato il loro nuovo padre, i mafiosi li volevano disoccupati, Sodano ridiede a loro lavoro e speranza. E divenne anche lui operaio onorario della Calcestruzzi Ericina Libera.

Quello che è accaduto è storia. I mafiosiintercettati che parlavano di lui facendo grande offesa, che auspicavano che se ne andasse via da Trapani, l’ex sottosegretario all’Interno che con un pretesto (la mancata visita del presidente Ciampi alle sue saline) lo richiamava e poisi sarebbe adoperato per farlo trasferire da Trapani, Sodano già ammalato si ritrovò nell’estate del 2003 prefetto ad Agrigento, poco tempo dopo costretto dalla malattia alasciare ogni incarico.

D’Alì per quella intervista fece causa ci-vile contro Sodano e il giornalista che rea-lizzò il servizio. Perse la causa. Un altro giudice però non fu altrettanto attento con Sodano. Non lo ammise come parte civile al processo penale contro l’ex sottosegre-tario accusato di concorso esterno. E dove i pm sostenevano che il trasferimento di Sodano spinto dalla mafia, sarebbe stato chiesto da D’Alì mentre era al Viminale. Deve essere il ministero a costituirsi non la persona.

“La gente vede e capisce...”

Paradossale: a costituirsi parte civile avrebbe dovuto essere quel ministero dell’Interno che probabilmente ha saputo nascondere le ragioni dell’improvviso tra-sferimento da Trapani ad Agrigento del prefetto Sodano. L’ultima intervista che glifeci ha lasciato parole scolpite nella mia mente, “la gente vede e capisce…e capisceche le cose possono cambiare, che il ventosta cambiando”.

L’ultima telefonata che ricevo mentre fi-nisco di scrivere è quella di un ex mafioso,un imprenditore che domenica ha finito di scontare la sua pena, che è tornato in car-cere ed ha accettato di tornare in carcere anche dopo avere raccontato ai magistrati tutto quello che sapeva sulla mafia trapa-nese, anche sul trasferimento di Fulvio So-dano. Domani sul giornale ci sarà anche il suo necrologio.

Sodano non ha perso, ha vinto. Abbiamovinto. Sodano non è morto, è vivo. E noi dobbiamo saper restare vivi con lui, col suo ricordo. Ciao mio Grande Prefetto!

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Interviste/ Ester Castano

Il mestieredi giornalista

Ester è stata insignita del Premio Pippo FavaGiovani, dedicato ai giornalisti impegnati nella lotta alla mafia

di Valerio Berra www.stampoantimafioso.it

Cos'hai pensato quando ti hanno comunicato del premio?L’emozione è stata talmente forte che

mi è mancato il fiato. Per me, siracusana d’origine, le sensazioni vissute in questi giorni catanesi sono state amplificate dal-le mie radici. Mi sono avvicinata alla fi-gura di Pippo Fava qualche anno fa. Ini-zialmente sapevo poco di lui, conoscevo solo gli scritti essenziali, le inchieste più celebri come i quattro cavalieri dell’apo-calisse mafiosa. Un po’ perché anche Favaera siracusano, un po’ perché a Milano e Bologna amici più grandi attivi nell’anti-mafia me ne parlavano spesso.

Quando desidero conoscere qualcosa devo guardarla da vicino, e quindi decisi di andare a Palazzolo Acreide, il paese in cui è nato: non conoscevo nessuno, era estate e ricordo che lungo la piazza princi-pale sfilava una processione. Mi misi in un angolo e osservai tutto silenziosamen-te, i volti delle persone e le luci. Poi muo-vendomi in mezzo alla folla cominciai a fare qualche domanda: lei lo conosceva? Leggeva i Siciliani? La mafia che uccise Fava è la stessa che oggi è attiva in città?

Era già un paio d’anni che a Milano, città in cui vivo, collaboravo con una redazione e già allora dissi al direttore: il mio sogno è tornare in Sicilia e crescere giornalisticamente nell’isola. Diciamo chela ‘ndrangheta al Nord mi ha trattenuta al di sopra del Po, e in un certo modo fare inchiesta in Lombardia mi ha aiutata ad apprezzare il territorio in cui sono nata e

cresciuta, e quindi a volerlo difendere. Non avrei immaginato, a quattro o cinque anni di distanza, di tornare in quella stessapiazza di Palazzolo Acreide onorata da unriconoscimento che porta il suo nome. Mi sono emozionata molto.

A chi vorresti dedicarlo?Mi è stato detto da colleghi giornalisti

che vedo la mafia al nord perché le mie origini sono meridionali, “l’eroina dell’antimafia che rovina la nostra terra con le sue visioni distorte”. Vorrei che da oggi in poi quando si parlerà del «premio Pippo Fava Giovani» che mi è stato asse-gnato si parli anche di tutti i ragazzi dei Siciliani Giovani, rete di testate e associa-zioni antimafia nata dalle ceneri dei Sici-liani grazie a un impegno quotidiano da nord a sud dello Stivale.

Il premio va a loro, perché se nei momenti difficili che ho vissuto durante l’inchiesta su Sedriano, primo comune lombardo sciolto per mafia, non ci fosserostati loro con messaggi d’affetto, abbracci e comunicati di solidarietà, da Bologna a Modica, probabilmente oggi non avrei questa forza e serenità. Ad ogni momento di tensione la rete si è mobilitata creando-mi attorno uno scudo di protezione e que-sto, fatto da ragazzi e ragazze giovanissi-mi contro i poteri forti della malapolitica e della criminalità di stampo mafioso, è eccezionale nel vero senso della parola.

Il giornalismo nella lotta alla mafia?E’ fondamentale. A mio parere per ave-

re credibilità la distinzione fra giornalista e attivista deve rimanere netta anche nell’antimafia. Ma è anche vero che in un momento storico confuso e delicato come il nostro il giornalista d’inchiesta dovreb-be essere capace di far scattare una micciafra i lettori, una scintilla: gli articoli sono uno strumento tramite cui i cittadini pos-sono avere uno sguardo approfondito sul-la realtà. E’ il giornalista che ha la possi-bilità di studiarsi le carte, di porre doman-de, di osservare da vicino. La responsabi-lità è immensa. Poi sta al cittadino decide-re se, grazie agli elementi forniti dal

cronista attraverso le sue denunce, avviareil cambiamento e ribaltare il sistema.

Cosa è rimasto di Pippo Fava nel giornalismo italiano? C’è qualcuno che ne ha raccolto il testimone?

Uno dei grandi meriti di Fava è quello di aver creato uno spirito giornalistico: unpo’ come un batterio benefico, intacca la carne malata e crea oasi di guarigione. La mafia voleva tappargli la bocca: per que-sto è stato ucciso. Ma così facendo i man-danti hanno compiuto l’errore più grande: ammazzando il direttore dei Siciliani non solo non hanno posto fine alla forza di-rompente dei suoi scritti, ma hanno anche reso possibile il moltiplicarsi di esperien-ze simili, in Sicilia e nel resto d’Italia.

Non so se Cosa Nostra questo errore l’abbia compiuto per ingenuità o distraz-ione, sta di fatto che ha perso. Il giornalis-mo di Fava è stato assunto a modello da molti giovani: cercare le notizie nei luoghidei fatti, osservare da vicino, cogliere i dettagli e le sfumature, curare nel testo la propria espressione linguistica. E dal gior-no successivo a quel 5 gennaio 1984 la forza dirompente delle parole di Fava si è amplificata, moltiplicata, permettendo infinela creazione della rete dei Siciliani Giovani che oggi coinvolge giovanissimi cronisti e associazioni antimafia che in Fava riconoscono un maestro.

Come si sta evolvendo e cosa sta suc-cedendo al movimento antimafia?Il movimento antimafia è un continuo

fiorire di nuovi gruppi, presidi, associa-zioni. Ragazzi giovani, perlopiù ventenni, che vedono l’antimafia non come una spilletta colorata da sfoggiare sulla giacca ma come un fondamento del vivere quoti-diano. Bisognerebbe spiegare ai più gio-vani che la mafia è regole ferree e restri-zioni, obbedire ai comandi e sottomissio-ne ad un capo; mentre l’antimafia è bel-lezza, impegno sociale, amore per la pro-pria terra e, soprattutto, è indipendenza dai poteri forti, è ribellione ai sistemi corrotti e compromessi della politica nazionale e locale.

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Antimafia/ Strumenti

Cosa Nostra e 'ndranghetaDue strutture a confrontoIn che cosa differisco-no fra loro le due prin-cipali organizzazioni mafiose? Analisistrutturale di analogie e convergenze

di Andrea Zolea e Francesco Moiraghi www.wikimafia.it

In Strutture. Cosa nostra e ‘ndrangheta a confronto. si è affrontata l’evoluzione storica degli assetti organizzativi di Cosa nostra e ‘ndrangheta: dal Summit dell’Hotel Des Palmes a Villa Pensabene, dal summit di Montalto all’elezione del Capo Crimine. Le due consorterie crimi-nali hanno rivelato differenti dinamiche evolutive, legate a particolari contesti ed eventi che ne hanno determinato l’ascesa o il declino.

Segue il confronto finale delle strutture delle organizzazioni.

Organi di coordinamento

Sono state analizzate in precedenza le strutture tipiche di Cosa nostra che ne hanno accompagnato lo sviluppo. L’orga-no di coordinamento principale è stato perdecenni la Commissione. E’ stata già chia-rita la predominanza della Commissione provinciale palermitana rispetto ad altri organi come la Commissione regionale.

Questo ovviamente per l’importanza storica che ha avuto il territorio palermita-no in Cosa nostra.

La tendenza al sinecismo (dunque all’unione delle varie consorterie crimina-li in un’unica struttura) è chiaro indice di un’aspirazione alla verticalizzazione dellastruttura: Cosa nostra ha il bisogno di un capo e le famiglie devono avere modo di coordinarsi, attraverso questi organi di controllo.

Bisogna sottolineare come, prendendo in esame gli ultimi quarant’anni, il capo della Commissione provinciale abbia avu-to un potere concreto sull’organizzazione e sulle azioni delle singole famiglie. Nellafase “democratica” di Cosa nostra, tutti i capimandamento si esprimevano sulle questioni più importanti, ma già si poteva notare quell’affermazione di tipo assoluti-stico.

Stefano Bontade, ad esempio, aveva un enorme potere di influenza su tutta la Commissione, e vale la pena ricordare un episodio in cui, irritato per il comporta-mento dei corleonesi, afferma che avrebbeucciso Riina la prima volta che si fosse presentato ad una riunione.

Questi atteggiamenti avrebbero poi pre-so piena consistenza nella figura di Salva-tore Riina, che agisce come un tiranno le-gibus solutus con totale controllo dell’organizzazione.

Il “Crimine” e il “Capo Crimine”

Il cuore della mafia calabrese si trova nella Provincia di Reggio Calabria, la struttura di vertice che unifica la ‘ndran-gheta viene chiamata “Crimine” ed è composta dagli affiliati dei 3 mandamenti della Provincia : Jonica, Centrale e Tirre-nica. Il “Crimine” viene gestito a rotazio-ne da un “Capo Crimine” che ha un ruolodi garante delle leggi ma non pianifica leattività criminose.

Questo ci fa comprendere che la ‘ndran-gheta ha un’impostazione maggiormente democratica rispetto a Cosa Nostra: la sto-ria conferma che il potere reale è spartito orizzontalmente tra i tre mandamenti dellaProvincia di Reggio Calabria.

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Centralismo mafioso e familismo criminale. Le differenze

Argomenti Cosa Nostra ‘Ndrangheta

Tipo di Struttura Verticistico-piramidale Verticistico-Orizzontale/ unitarioForma di governo Democrazia - Dittatura (post-Riina) Democrazia Funzione del Capo Capo del Governo Presidente della RepubblicaApice del potere Anni ‘80 In corsoCentro storico di potere Provincia di Palermo Provincia di Reggio CalabriaStruttura di potere centrale Commissione CrimineSuddivisione del potere interno Province MandamentiCoordinamento extraterritoriale --- Camera di ControlloStruttura organizzativa territoriale Mandamento LocaleStruttura base Famiglia ‘Ndrina (familismo)

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Due modelli diversi, uno verticistico-piramidalee l'altro verticistico-orizontale

Per mantenere unita l’organizzazione e non avere dispersioni è stato necessario dare una rigida struttura che permettesse

sempre il controllo e la gestione del pote-re sull’importante espansione che si vole-va portare avanti.

Le varie inchieste della magistratura stanno definendo nei dettagli un vero e proprio organigramma.

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“In Lombardia,la 'ndrangheta

ha una strutturaorganizzatadal 1984”

Le “Camere di Controllo”

Le “Camere di Controllo” sono organi con estensioni statali, regionali o provin-ciali che hanno la funzione di coordinare secondo le direttive del Crimine i numero-si locali attivi nelle aree all’infuori della madre patria.

La subalternità alla Calabria dei clan all’infuori della regione non è una novità, già negli anni ’70, tramite le filiali attive nel Nord-Italia, la ‘ndrangheta realizzava isequestri di persona.

Ma la notizia di una vera e propria “struttura” viene scoperta grazie al colla-boratore di giustizia Saverio Morabito che dichiara che la “camera di controllo lombarda “ è stata creata nel 1984. Nel 1981 nella lontana Australia si riferisce dell’esistenza di 6 Crimini che hanno rap-porti di subalternità con la Calabria.

Ulteriore dimostrazione del rapporto su-balterno nei confronti della Calabria è l’esecuzione di Carmelo Novella avvenutanel 2008 a San Vittore Olona (provincia diMilano) perché voleva rendere autonomi ilocali lombardi da quelli calabresi.

Le radici in Calabria

Il collaboratore di giustizia Antonino Belnome riferisce agli inquirenti «Un ‘lo-cale’ è forte se ha le sue radici in Cala-bria e chi non ha questo cordone ombeli-cale non ha forza, […] è come una zatte-ra nell’oceano».

La volontà di unificare la mafia calabre-se si ritrova per la prima volta durante il summit di Montalto del 1969 in cui Giu-seppe Zappia dice: «Qui non c’è ‘ndran-gheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndran-gheta di ‘Ntoni Macrì, non c’è ‘ndran-gheta di Peppe Nirta: si dev’essere tutti uniti. Chi vuole stare sta e chi non vuole se ne va».

Un capo “di garanzia”

Se possiamo paragonare la funzione del Capo Commissione di Cosa nostra a quel-la del Presidente del Consiglio, dunque con un ruolo maggiormente operativo e diinfluenza su famiglie e mandamenti, al contrario il Capo Crimine può essere ac-costato al Presidente della Repubblica, date le sue funzioni di mediatore e garantedelle leggi dell’organizzazione.

A livello puramente strutturale, Cosa nostra ha una forma fortemente verticisti-ca, mentre la ‘ndrangheta ha una struttu-ra di tipo unitario, con un capo che ha la funzione di garantire leggi, affari ed evita-re conflitti.

Cosa Nostra: rapporto col territorio

Le famiglie di Cosa nostra sono salda-mente legate al territorio di appartenenza, più che ad una dinastia criminale, dunque prendono il nome del quartiere o del pae-se in cui operano.

I clan, da questo punto di vista, arrivanoin un secondo momento. Ad esempio l’arresto di capi e gregari di un determina-to mandamento non comporta la sua scomparsa, ma semplicemente, nella fa-miglia o nel mandamento in questione ci sarà una successione della dirigenza cri-minale.

'Ndrangheta: vincolo di sangue

La ‘ndrangheta ha una rigida struttura basata sul vincolo di sangue della famiglianaturale. L’educazione all’interno delle ‘ndrine si basa su valori quali l’omertà, il rispetto, la vendetta. Attraverso la conser-vazione della pax mafiosa i casati della mafia calabrese realizzano matrimoni combinati, inoltre, lo stretto vincolo fami-gliare in paesini come quelli dell’Aspro-monte rende complessa la possibilità di collaborare con la giustizia.

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“Riina, Badalamenti e Greco sono stati eletti,ma Provenzano no. A volte l'organizzazione si raccoglie

spontaneamente attorno a un leader di fattonella speranza che possa salvarla da una crisi”

Per locale di ‘ndrangheta si intende l’estensione del potere di più ‘ndrine in undeterminato territorio. Il ‘locale’ nel paesein cui opera ha la sovranità criminale.

L’attivazione di un ‘locale’ può avveni-re solo attraverso il consenso del ‘locale’ principale di San Luca.

Selezione strutturale

La successione dei capi di Cosa nostra ha attraversato fasi differenti: dall’elezio-ne del Capo Commissione degli anni ’70, si è passati all’affermazione violenta di Riina, per poi tornare ad una fase in cui il capo viene scelto in base a criteri di capa-cità e carisma. Provenzano e Messina De-naro non si impongono sull’organizzazio-ne come a suo tempo fece Riina, dunque con l’eliminazione fisica dei concorrenti. Piuttosto, è l’organizzazione che li ricono-sce in base ad un criterio di valutazione più o meno meritocratico.

Addirittura Provenzano, come già ac-cennato, non ha mai un’elezione ufficiale come era stato per Riina, o ancora prima per Badalamenti o Greco. L’organizzazio-ne, fortemente danneggiata e alla ricerca di una guida che possa risanarla, si racco-glie attorno alla figura del nuovo capo.

Anche per Matteo Messina Denaro si possono individuare le medesime dinami-che: addirittura i boss di altre province ri-chiedono una sua legittimazione, senza che sia lui a prendere l’iniziativa impo-nendo la propria decisione.

Un capo dei capi solo in Cosa nostra

La ‘ndrangheta non ha mai avuto un capo dei capi sul modello di Cosa nostra. Allo scoppiare della prima guerra di ‘ndrangheta (1974-1977) i tre boss più prestigiosi erano Antonio Macrì di Sider-no, Domenico Tripodo di Reggio Calabriae Girolamo Piromalli di Gioia Tauro.

Nel 1979 viene ucciso Giorgio De Ste-fano perché voleva diventare il capo dei capi della mafia calabrese.

La “Cosa Nuova”

Alla conclusione della seconda guerra di ‘ndrangheta viene istituita una commis-sione denominata Cosa Nuova, in totale erano presenti 18 affiliati: 8 della jonica, 5del centro e 5 della tirrenica.

All’interno della ‘ndrangheta c’è una tendenza al verticismo, molti clan sono più potenti di altri, sebbene i ‘locali’ che costituiscono l’èlite della ‘ndrangheta ab-biano un potere similare.

http://www.wikimafia.it/wp-content/uploads/2013/12/STRUTTURE-Cosa-Nostra-e-ndrangheta-a-confronto.pdf

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Legalità

Confindustriae strani amici

L'imprenditore-boss di Cosa Nostra Vincenzo Arnone (a sinistra nella foto) eAntonio Calogero Montante, nella sede della Confindustria di Caltanissetta, in occasione della nomina di Antonello Montante a capo dei giovani industriali locali (metà anni '80). Antonello Montante è oggi il Responsabile Nazio-nale per la Legalità di Confindustria.A destra, il certificato di matrimonio di Vincenzo Montante. Nell'ingrandimen-to, in evidenza la firma del testimone di nozze dello sposo: Vincenzo Arnone

Nasce da una denuncia a Caltanissetta l'inchiesta, finita per competenza alla Procura di Catania, che coinvolge il leaderdi Confindustria Sicilia e responsabile nazionale della Legalità degli industriali italiani e il sospetto mafioso Antonello Montante.

Le indagini partono però dal 27 aprile 2010, quando in casa di Vincenzo Arnone, imprenditore di Serradifalco contiguo a Cosa Nostra, vengono ritrovate foto che loritraggono insieme ad Antonello Montante. Arnone, figlio del patriarca mafioso di Boccadifalco e già arrestato perassociazione mafiosa il 27 marzo 2001).

Arnone veniva in quel momento nuova-mente arrestato per una serie di false certi-ficazioni su calcestruzzi depotenziati (che

mettevano in pericolo ponti e viadotti) co-struiti dalla "Calcestruzzi" con l'aiuto di ditte vicine a Cosa Nostra: un business de-scritto nel processo "Doppio colpo 3" da Carmelo Barbieri, già braccio destro del boss Daniele Emmanueli. La foto risali-rebbe al primo incarico confindustriale di Antonello Montante, nel '96.

“Sapevo della condizione di Paolo Ar-none - dichiara il pentito Leonardo Messi-na - fin dal momento del mio ingresso a Cosa Nostra e lo ebbi presentato ritual-mente dal figlio Vincenzo che conosco

molto bene”. Per i carabinieri di Caltanis-setta “Vincenzo Arnone è personaggio di elevato spessore criminale e punto di rife-rimento per gli appartenenti a Cosa Nostrache operano a Serradifalco, San Cataldo, Sommatino e Montedoro”.

* * *Il cavaliere del lavoro Antonello Mon-

tante, confermato all'unanimità a capo di Confindustria Sicilia per un altro biennio, ora è anche Responsabile nazionale per la Legalità di Confindustria.

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In rete, e per le stradeDiffondilo anche nella tua città!

Il foglio dei Sicilianigiovani

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Caso Manca

Carte false:perché?Il Papa dice che Attilio Manca è stato ucciso dalla mafia. Lo Stato smentisce o tace...

di Luciano Mirome www.linformazione.eu

Don Luigi Ciotti, come migliaia di ita-liani, e decine di giornalisti e intellettuali, è sulla lunghezza d’onda del Pontefice, ma lo Stato continua a smentire o a tacere. Ed è impressionantenotare che, mentre nella Giornata della memoria dedicata alle vittime della ma-fia, al cospetto di Sua Santità, Attilio Manca è stato definito vittima di Cosa nostra, lo Stato continui a smentire una circostanza per la quale – in base agli elementi emersi – dovrebbe avere quan-tomeno un pizzico di prudenza.

Specie se, in questo caso, lo Stato è rap-presentato da un magistrato come MichelePrestipino, fino ad alcuni anni fa alla Pro-cura di Palermo, dove un processo ha fattoluce su molti retroscena legati all’operaz-ione di cancro alla prostata alla quale, nell’autunno del 2003, si sottopose a Mar-siglia Bernardo Provenzano.

Ecco cosa dichiara in Commissione par-lamentare antimafia Michele Prestipino, oggi procuratore aggiunto a Roma: “C’è un’ultima questione, la questione di AttilioManca. Io ora non parlo come procuratore aggiunto di Roma, perché Roma, che a meconsti, non credo abbia attivato o seguito indagini. Ci sono le regole della compe-tenza. Io me ne sono occupato quando ero sostituto a Palermo e, rispetto alle ultime emergenze, sia pure di tipo giornalistico e mediatico, sento il dovere di dire almeno una cosa.

La “carta d'identità di Troia”

C’è un processo che si è svolto a Paler-mo, che si è concluso con sentenze dive-nute definitive, cioè con tre gradi di giudi-zio, con condanne e, quindi con l’accerta-mento delle responsabilità penali, in cui è stata ricostruita in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi passaggi, anche geografici, quella che mediaticamente è stata definita la ‘trasferta’ di Bernardo Provenzano nel territorio di Marsiglia per sottoporsi a un’operazione chirurgica”.

Nel corso dell’audizione, il senatore del M5S Mario Michele Giarrusso puntualiz-za: “Con la carta di identità di Troia”. Giarrusso si riferisce al fatto che Proven-zano, per quell’intervento a Marsiglia, ha usufruito di una carta d’identità falsa, ap-prontata dall’ex presidente del Consiglio comunale di Villabate (Palermo), France-sco Campanella (all’epoca organico a Cosa nostra e contemporaneamente amico di politici di altissimo livello del centrode-stra e del centrosinistra), ed intestata al pa-nettiere Gaspare Troia.

“Sì, esattamente quella”, risponde Pre-stipino. Che prosegue così: “Quella vicen-da è stata ricostruita, passatemi il termine, minuto per minuto e tutti i soggetti coin-volti che hanno commesso reati sono stati condannati con sentenza passata in giudi-cato grazie alle intercettazioni, alle dichia-razioni di alcuni collaboratori di giustizia e agli atti acquisiti con una rogatoria pres-so l’autorità giudiziaria di Marsiglia, alla quale ho personalmente partecipato”.

“Noi abbiamo sentito – dice ancora il magistrato – con i colleghi francesi, i me-dici e il personale infermieristico. In più, abbiamo acquisito le dichiarazioni, estre-mamente collaborative, di una donna che èstata legata a uno degli uomini che avevano organizzato la trasferta e che ha curato e assistito personalmente, spaccian-dosi per una nipote, il signor Troia, in real-tà Bernardo Provenzano, quando è stato ri-coverato in terra di Francia. Ebbene, nella ricostruzione abbiamo sentito chi lo ha as-sistito, chi l’ha operato, chi ha fatto il pre-lievo; abbiamo potuto estrarre anche il profilo del Dna, perché all’epoca Bernardo

Provenzano, quando abbiamo eseguito questa rogatoria, a giugno del 2005, era ancora latitante. Di tutti questi fatti, dalla partenza, proprio con orario e data, al ritorno, con orario, data e riconsegna delle valigie di Provenzano, non c’è mai stata traccia di Attilio Manca. Questo lo dico come dato di fatto. Mi sento in dovere di doverlo precisare”.

Fin qui le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino, il quale “sente il dovere di precisare”, col senno di “ieri” (cioè col senno di determinate verità processali acclarate ma “cristallizzate” da un processo svoltosi al-cuni anni fa) un caso - quello di Attilio Manca - per il quale “oggi” stanno affio-rando circostanze inedite che gli inquirentidi Viterbo (la morte di Manca si è verificata nella città laziale) non solo non si sono mai presi la briga di verificare, ma in talune occasioni hanno occultato, falsi-ficato o, secondo l’ex magistrato antimafiaAntonio Ingroia, addirittura “insabbiato”.

I tabulati negati

Citiamo Ingroia non a caso, perché In-groia (oggi avvocato della famiglia Man-ca) è uno dei depositari più autorevoli dei segreti legati alla “trattativa” Stato-mafia, di cui, secondo molti, la storia di Attilio Manca potrebbe (potrebbe…) rappresen-tare un anello solo se si approfondissero certi elementi affiorati in questi anni.

Per questo, con il rispetto dovuto per la carica e per lo straordinario impegno pro-fuso contro la mafia, ci permettiamo di chiedere al dott. Prestipino se sa che:

Attilio Manca, proprio nell’autunno del 2003, nel periodo in cui Provenzano era a Marsiglia per operarsi alla prostata, si tro-vava in Francia per “assistere ad un inter-vento chirurgico”, come allora telefonica-mente disse ai genitori.

I familiari di Attilio Manca hanno chie-sto, fin da subito, ai magistrati di Viterbo, di acquisire i tabulati telefonici del 2003 per accertare il luogo dal quale l’urologo avrebbe effettuato quella chiamata.

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“Era quasi l'unico medicoin grado di operare

col sistema usato perl'intervento su Provenzano”

L'operazione a Provenzano

Tale richiesta è rimasta inevasa (i moti-vi non si conoscono), e i tabulati sono sta-ti distrutti dopo cinque anni, come preve-de la legge. Questo lo sa il dott. Prestipi-no?

Attilio Manca, all’epoca, era uno dei pochi chirurghi italiani, quasi certamente l’unico siciliano, in grado di operare quel tipo di patologia col sistema laparoscopi-co, importato dallo stesso Manca dalla Francia, dove si era specializzato due anniprima.

Attilio Manca, dopo la specializzazione acquisita in Francia, fu il primo medico italiano – assieme al suo Maestro GerardoRonzoni, primario di Urologia all’ospeda-le Gemelli di Roma – ad operare il cancroalla prostata per via laparoscopica (2002).

Bernardo Provenzano è stato operato con quel sistema.

Francesco Pastoia, braccio destro di “Binnu ‘u tratturi”, intercettato da mentreera nel carcere di Modena, parlando degli omicidi commessi dal suo capo (quindi in un contesto ben preciso), disse: “Proven-zano è stato operato ed assistito da un uro-logo siciliano”. Dunque, non solo “opera-to”, ma anche “assistito”.

“Un urologo siciliano”

Vuol dire che c’è stato un medico sici-liano che - magari sconoscendo la vera identità di Provenzano - è stato a contatto col boss corleonese durante l’intervento, ma anche prima e anche dopo. Prima per icontrolli di routine, dopo per le cure post operatorie. Pastoia è morto misteriosa-mente in carcere appena tre giorni dopo. Non di morte naturale, ma impiccato. Si è svolta un’accurata indagine su questa mi-steriosa morte? Pochi giorni dopo, al ci-mitero di Belmonte Mezzagno (Palermo) è stata profanata la sua tomba in modo piuttosto macabro e violento.

C’è dunque un “urologo siciliano che ha curato Provenzano”, almeno secondo Pastoia. Delle due l’una: o è Attilio Man-ca (che già allora conosce benissimo la tecnica con la quale è stato operato il boss), o un altro.

Se non è Attilio, chi è, perché non si accerta, perché non si è scoperto, dato che, come dice il dott. Prestipino, “quella vicenda è stata ricostruita minuto per minuto”?

Se finora il misterioso urologo di cui parla Pastoia non è saltato fuori, siamo si-curi che il processo – come dice il magi-strato – ha “ricostruito” tutto dell’inter-vento di Provenzano? Sicuramente ha ac-certato molte cose, ma siamo certi che ha fatto piena luce su “tutti i passaggi” che riguardano il “prima” e il “dopo”, e so-prattutto ha accertato l’eventuale rete isti-tuzionale che ha protetto la latitanza del capo dei capi? Sì, perché su questa vicen-da si dovrebbe uscire da un equivoco: spesso per smentire eventuali collegamen-ti fra la morte di Attilio Manca e l’opera-zione di Provenzano, si prende come rife-rimento solamente la “trasferta” del boss aMarsiglia, dimenticando che c’è un “pri-ma” e c’è un “dopo”, su cui forse non è stato ricostruito tutto.

Il telecomando di Capaci

Ci sono ragionevoli motivi – leggendo le carte del Ros – per dire che Bernardo Provenzano, all’inizio degli anni Duemila (il periodo che stiamo trattando) abbia tra-scorso una parte della latitanza non in un posto qualunque, ma a Barcellona Pozzo di Gotto, dove “quella” mafia – una delle più sanguinarie del mondo, quella che ha condannato a morte il giornalista Beppe Alfano – ha costruito il telecomando per la strage di Capaci, e da molti anni è in ot-timi rapporti con l’ala “provenzaniana” di Cosa nostra.

Secondo un autorevole investigatore al-lora in servizio a Messina ed oggi residen-te al Nord (in una intervista esclusiva rila-sciata al sottoscritto per il recente libro sulla strana morte di Attilio Manca, “Un ‘suicidio’ di mafia” – Castelvecchi edito-re), l’urologo veniva addirittura prelevato in elicottero per visitare Provenzano lati-tante in terra barcellonese, servendosi di determinate strutture private. Non sappia-mo la veridicità dell’argomento, ma si è mai indagato seriamente per accertarne la fondatezza?

“Personaggi altolocati”. Chi?

Le indagini su questo particolare – sem-pre secondo questo investigatore – sareb-bero state fermate per volere di personag-gi altolocati. Anche di questo non cono-sciamo la fondatezza (dato che la notizia èstata fornita mediante intervista e non per mezzo di atto processuale), ma una “bom-ba” del genere non merita di essere scan-dagliata dettagliatamente per capire se si tratta di esplosivo ad alto potenziale o di un minuscolo petardo?

All’epoca della latitanza di Provenzano,un “mediatore”, rivolgendosi ai magistratiper “trattare” la resa del boss, ha dichiara-to: “Binnu ‘u tratturi” è nascosto a due passi da Viterbo, tra Civita Bagnoregio e Civitella D’Agliana. Altre coincidenze sconvolgenti che potrebbero collegare Provenzano ad Attilio Manca: Barcellona Pozzo di Gotto e la provincia di Viterbo. È solamente un caso o qualcosa di più?

L’allora capo della Squadra mobile di Viterbo, Salvatore Gava (oggi condannatoin Cassazione per avere falsificato i ver-bali sui fatti accaduti alla scuola Diaz di Bolzaneto nel 2001 durante il G8 di Ge-nova, ovvero tre anni prima della morte diManca), dopo il decesso del medico sici-liano, scrisse che nel periodo di degenza di Provenzano a Marsiglia, Attilio Manca non si sarebbe mosso dall’ospedale di Vi-terbo, dove prestava servizio.

Ragione normale o “ragion di Stato”?

Ebbene: Gava è stato smentito da una recente ricostruzione effettuata dalla tra-smissione “Chi l’ha visto”. Proprio nei giorni in cui Provenzano era sotto i ferri in terra francese, il dott. Manca era assen-te dall’ospedale laziale. Questo ovvia-mente non dimostra che l’urologo fosse ad operare il boss, ma dimostra che sui movimenti del medico si è scritto il falso e non si è voluta accertare la verità.

Questo pone una domanda molto seria: qual è la ragione che porta certi inquirenti a fare “carte false” per depistare le indagi-ni ed occultare certe verità? Secondo lei, dott. Prestipino, è una “ragione normale” o una “ragion di Stato”?

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Italia-Somalia

Lo strano marinaiodel caso Ilaria AlpiSono passati vent'anni dall'omicidio della gior-nalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo operato-re, Miran Hrovatin, as-sassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994. E questo anniversario può essere il momento per tirare qualche filo di una vicenda intrica-tissima, caratterizzata da depistaggi e tentatividi insabbiamento che, se in sede giudiziaria, finora hanno ottenuto l'obiettivo, dal punto divista della ricostruzio-ne di ciò che avvenne non hanno potuto im-pedire di conoscere al-meno un pezzo di veri-tà

di Antonella Beccaria

La verità ci dice che in Somalia si puòmorire in molti modi. Il più frequente è ammazzati, a seguire cronache che troppo spesso non trovano spazio sui giornali. Un altro - di certo meno fre-quente, ma non abbastanza raro da po-ter essere ritenuto un caso, una bizzar-ria fisiologica - è vedersi uccidere da untumore della pelle dopo aver trascorso la vita a fare il marinaio, come è acca-duto a un somalo che del mare ha fatto il lavoro di un'esistenza intera.

Quel tumore, se fosse stato curato per tempo in Italia, avrebbe avuto una suffi-ciente probabilità di andare di remissione e qualche chance in meno di metastatiz-zarsi. Invece il marinaio, che si vide cre-scere sul tronco e sulle braccia neoforma-zioni ulcerate, è morto.

Esposizione a radiazioni

Non era anziano e di solito una malattiadel genere insorge in persone che hanno lapelle chiara, non in chi è di colore. Tra le sue cause, soprattutto per i bianchi, l'espo-sizione diretta e prolungata al sole: i raggiultravioletti friggono la normale fisiologiadelle cellule dell'epidermide e possono provocare mutazioni che sfociano nel can-cro.

Questi danni avranno più effetto se in-contreranno preesistenti cicatrici o ustioniguarite e il quadro fin qui descritto sem-bra adattarsi alla vita di chi è andato sem-pre per mare, per quanto di fenotipo scu-ro.

Ma c'è anche un'altra causa a monte di questo tipo di tumore, più frequente nella popolazione africana e afro-americana: l'esposizione a radiazioni o a sostanze chi-miche, come i metalli pesanti, che diven-tano più minacciose quando una persona maneggia a lungo materiale inquinante fi-nendo per assorbirlo.

Se a questa constatazione si aggiunge che il nostro marinaio è stato per anni a bordo di un'imbarcazione di una flotta chiacchierata, come nel caso della Shifco, ecco che tornano in mente altre storie. E in particolare tutte le storie scritte e lette da un ventennio a proposito delle navi divenute di proprietà di Omar Mugne, un imprenditore con doppia cittadinanza - somala e italiana - il cui nome è ricorso fin troppo spesso nelle indagini legate allamorte di Ilaria Alpi.

Le navi di Omar Mugne

Queste storie raccontano di presunti traffici di armi e di rifiuti smaltiti illegal-mente in un Paese in cui tutto è lecito e nulla è illecito. Un Paese che, dopo la finedella dittatura di Siad Barre, è divenuto terreno di scontro tra i signori della guerraprima e i fondamentalisti poi fino alla sua manifestazione vincente, al-Shabaab.

E che oggi sembra essere ostaggio di due tipi di mafia: la mafia integralista, in-trodotta solo pochi anni fa dalle corti isla-miche che costrinsero nel 2006 il governoa rifugiarsi a Baidoa perdendo il controllodella capitale, Mogadiscio; e la mafia de-gli uomini d'onore della politica, trafficonisopravvissuti alla fine del regime che han-no tratto potere e denaro dalla svendita in una nazione in perenne stato di guerra.

La “fonte di Udine”

A oggi, le risultanze giudiziarie a caricodi questi trafficoni - italiani e somali - hanno portato a poco. E chi contribuì in fase di indagine a ricostruirle è stato sem-plicemente scaricato. Ci sarà per esempio chi si ricorda del trattamento riservato allacosiddetta "fonte della Digos di Udine", un cittadino somalo in Italia da anni che fornì informazioni utili a districare le vi-cende che portarono all'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin.

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“C'è anche l'omicidio di Vincenzo Li Causi,l'agente dei servizi ucciso nel '93

mentre indagava sullo smaltimento in Africadi rifiuti radioattivi provenienti dall'Europa”

Una fonte che in più di una sede è stata ritenuta attendibile e che, proprio per questo, venne protetta dagli investigatori perché, esponendola, si mettevano a repentaglio la sua vita e quella dei suoi familiari, alcuni dei quali ancora nel Corno d'Africa.

Divulgati i nomi delle fonti

Ma ci fu chi non giocò a favore della tu-tela della fonte. Tra questi, l'avvocato Carlo Taormina, presidente della commis-sione parlamentare istituita (invano) per far chiarezza sull'assassinio dei giornalistiitaliani. Taormina, nella sua funzione istituzionale, prima invalidò le parole della fonte perché i dirigenti della Digos di Udine rifiutavano di farne il nome. E poi si premurò di divulgarne le generalità nel corso di un'audizione pubblica.

In sede di commissione non ci si pose invece la domanda fondamentale: non "chi è la fonte?", ma "quanto èfondato ciò che sta dicendo?".Non si tenne in considerazionenemmeno il ruolo che giocòper una dozzina d'anni, unruolo soprattutto di raccordo:raccolse informazioni nel suoPaese d'origine avvalendosidella rete di relazioni cheaveva laggiù e le trasmise agliinquirenti.

I viaggi da e per la Somalia

Inoltre, sempre con il supportodei suoi contatti locali, si occupo'di organizzare i viaggi da e per laSomalia di testimoni e investiga-tori.

Non sembra averlo fatto perdenaro. Non ci sono notizie di pa-gamenti e del resto non sembravaaverne bisogno, dato che il lavorodi import-export già bastava alleesigenze sue e dei suoi congiunti.In qualche deposizione disse cheil suo scopo era un altro: in So-malia non c'erano scuole né ospe-dali, non c'era alcuna struttura adisposizione della popolazione. Eforse, agendo come ha fatto, avrebbe con-sentito almeno una pallida normalizzazio-ne del Paese, col ritorno di imprenditori eorganizzazioni non governative.

Occorreva dunque capire qualcosa di più di de-terminati traffici.

Ma pure di determinati delitti: oltre a quello di IlariaAlpi e di Miran Hrovatin, anche

l'omicidio di Vincenzo Li Causi, lo 007 del Sismi e di Gladio assassinato nel novembre 1993 in circostanze non chiare (per quanto sitenda per l'imboscata) mentre stava lavorando sul progetto Urano, «finalizzato all'illecito smaltimento in alcune aree del Sahara di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti da Paesi europei» (definizione della commis-sione parlamentare sul ciclo dei rifiuti).

Scomparso e mai più riapparso

Beata ingenuità, quella della fonte? Puòdarsi. Di certo, se di ingenuità si trattava (e se la sua collaborazione non fosse stata invece frutto di un calcolo d'altro tipo), non si aspettava di finire esposto in modo così netto.

Un'esposizione che mise a rischio - e c'ècaso che continui a farlo - anche la sua rete in Africa. Nel 2006 ci rimise la vita un nipote ancora giovane, per quanto quella morte possa rientrare nella crisi chetornò ad acuirsi a causa delle corti islami-che.

E oggi - ma anche qui la formula dubi-tativa è d'obbligo - qualcuno potrebbe tor-nare a ricordarsi di lui, dato che Gelle - al secolo Ahmed Ali Rage, il testimone con-tro l'unico condannato per il delitto del 1994 - non viene ritenuto più così credibi-le e c'è caso che si voglia saperne di più su di lui, scomparso subito dopo aver resola sua versione dei fatti e non riapparso neanche in dibattimento.

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Mafia

Riina: un messaggiotrasversale?Analogie sospette fra esplosivi e telecomandiutilizzati in stragi che apparentemente non collegate fra loro

di Antonella Beccaria e Giovanni Spinosa www.vedisito.it

Quelle di Totò Riina al boss Alberto Lorusso della Sacra Corona Unita a proposito di via D'Amelio sono parole dettate da un tentativo di depistaggio? La risposta potrebbe essere no se si pensa che la bomba del 19 luglio 1992 di cui Riina parla si lega a un'altra strage precedente.

È quella del Rapido 904 (23 dicembre 1984) e i punti di contatto sono moltepli-ci. Tra questi la tipologia dell'esplosivo e idetonatori la cui ricorrenza potrebbe dare una nuova interpretazione alle confidenze del capo dei capi. Confidenze in base alle quali sarebbe stato proprio Paolo Borselli-no, ucciso insieme alla sua scorta, a inne-scare l'ordigno che nell'estate di 22 anni fasventrò via D’Amelio. Lo avrebbe fatto involontariamente suonando al citofono della madre e, al contempo, facendo salta-re per aria, la Fiat 126 imbottita con 100 chili di tritolo. Vediamo perché c'è un pa-rallelismo tra le due vicende.

I primi dubbi sulle parole di Riina

Il giorno dopo la diffusione della notiziain base alla quale Borsellino stesso inne-scò l'esplosione hanno suscitato scettici-smo e incredulità.

Leggendo la vicenda solo in relazione a via D'Amelio, in effetti ci sono tre ragioniper non credere alle parole del boss cor-leonese.

Infatti, se così si fossero svolti i fatti, chiunque, dal postino al panettiere, avreb-be potuto suonare al citofono della mam-ma di Borsellino provocando una strage a cui la vittima designata sarebbe scampata.Inoltre l'attentato avvenne alle 16.58 ed è estremamente improbabile che nelle ore precedenti qualcuno potesse manipolare l’impianto citofonico con qualche speran-za di passare inosservato. Infine Gaspare Spatuzza, pentito più volte giudicato at-tendibile (quantomeno con riferimento ai fatti della strage di Via D’Amelio), ha ri-ferito che il telecomando venne azionato da Giuseppe Graviano.

In base a queste considerazioni, le paro-le di Riina sarebbero un depistaggio. In realtà, ci si muove su un terreno scivolosoe non adeguatamente disvelato dai proces-si sulle stragi mafiose: quello dell’innescodelle bombe. E, come introdotto, in un solo caso le conoscenze su questo tema sono soddisfacenti: la strage del Rapido 904, avvenuta nella Grande galleria dell’Appennino, in cui persero la vita 16 persone.

Le indagini sul rapido 904

Può essere utile un veloce richiamo ad alcuni aspetti di quella indagine. La pro-cura di Roma, indagando su altri fatti (un giro di droga e opere d’arte), rinvenne in un appartamento della capitale, in via Al-bricci, misteriosi marchingegni opera di un cittadino straniero, l'artificiere Friedri-ch Schaudinn. Poi in un casolare a PoggioSan Lorenzo, in provincia di Rieti, fra stu-pefacenti, armi e altri oggetti, sequestrò dell’esplosivo.

Le indagini dimostrarono che sia l’appartamento che il casolare erano ri-conducibili a Pippo Calò, il “cassiere di Cosa nostra”. Inoltre le perizie accertaro-no che l’esplosivo aveva una peculiare composizione chimica che, per qualità e

quantità percentuali, lo rendeva identico aquello utilizzato per la strage del 904. A ciò si aggiunga che un esperimento documentò come gli oggetti rinvenuti di via Albricci potessero innescare l’esplosivo provocando quello specifico evento stragista. Infine un’ulteriore serie di indizi legò in modo definitivo entrambii rinvenimenti alla strage. E infatti il 24 novembre 1992 la Cassazione ha confermato le condanne per quattro persone, fra cui Calò e Schaudinn.

Dobbiamo ora porre l’attenzione sui marchingegni rinvenuti in via Albricci, la cui concatenazione poteva innescare l'esplosione. Detto in altre parole, senza la“catena” formata da questi dispositivi nonci sarebbe stato nessuno scoppio. La “ca-tena”, ideata da Schaudinn, si componeva di tre scatole. Una fungeva da detonatore, era in grado di ricevere due radiocomandi e di rispondere automaticamente a uno deidue. La seconda scatola trasmetteva con un radiocomando alla “scatola-detonato-re” un impulso che metteva in tensione il circuito e, immediatamente dopo, riceve-va un segnale che comunicava lo “stato diallerta” del circuito. La terza scatola tra-smetteva alla “scatola-detonatore”, ormai “allertata” l’impulso che innescava il de-tonatore.

Le parole di Brusca e il ruolo di Riina

Il sistema escogitato da Schaudinn ga-rantiva sicurezza (un doppio impulso per attivare la bomba) e puntualità. Infatti, la bomba del 23 dicembre 1984 scoppiò “puntualmente” sotto la Grande galleria dell’Appennino così superando il contrat-tempo in cui 10 anni prima erano incorsi altri terroristi. Il 4 agosto 1974 la bomba piazzata sul treno Italicus era regolata da un timer e scoppiò circa 70 metri dopo l’uscita della galleria, come attesta la cor-te d'Assise di Bologna nella sentenza del 20 luglio 1983. Era successo che il treno, nella tratta tra Firenze e la galleria aveva recuperato 3 minuti rispetto a un maggior ritardo accumulato.

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“Telecomandisimili

a quelli usatiin via D'Amelio”

Le indagini sulla strage del Rapido 904

– indagini che ora ipotizzano per lo stessoRiina il ruolo di mandante – hanno rice-vuto un nuovo impulso con le dichiarazio-ni rese da Giovanni Brusca, sentito l’8 giugno e il 19 luglio 2010 dai magistrati della procura di Napoli. In tale sede ha spiegato che l’esplosivo utilizzato per la strage del 904 proveniva da un deposito mafioso ritrovato nel 1996 in località Giambascio, nei pressi di San Giuseppe Jato, dove Brusca era capo mandamento. L’informazione gli veniva dallo stesso Pippo Calò che lo aveva incaricato di par-larne con Totò Riina, all’epoca latitante, affinché spostasse l’esplosivo. Nel suc-cessivo colloquio con Riina, Brusca avrebbe avuto la consapevolezza che il capo dei capi era a piena conoscenza dellavicenda.

L’indagine partenopea (ora trasferita percompetenza a Firenze) ha operato un im-portante salto di qualità con una perizia disposta dalla Procura di Napoli. Il perito Vadalà ha accertato che l’esplosivo conte-nuto nel deposito indicato da Brusca era identico a quello trovato nel casolare di Poggio San Lorenzo (addirittura erano identiche le modalità di confezionamento degli involucri) e in parte utilizzato per la strage del 904.

Perizia di Napoli: simile esplosivo

Inoltre la perizia di Vadalà, come ripor-tato nell'ordinanza di custodia cautelare del Gip di Napoli data 27 aprile 2011, ri-conduce a via D’Amelio quando afferma che le bombe avevano la stessa composi-zione, evidenziata dalla presenza in per-centuali simili di Semtex H (pentrite e T4), nitroglicerina e tritolo.

E ancora una nota della squadra mobile di Caltanissetta (14 luglio 1997) sostiene che telecomandi simili a quelli utilizzati nell’attentato di via D’Amelio furono rin-venuti nell’arsenale di Gambascio. Erano prodotti da una società di Treviso e com-mercializzati da una ditta di Roma. Si trat-tava della stessa ditta da cui, molti anni prima, si era rifornito Schaudinn per pro-durre i congegni elettrici trovati nella casadi Fiorini in Via Albricci a Roma.

Il filo fra due stragi

Insomma, il filo che unisce la strage del904 a quella di Via D’Amelio sarebbe di natura soggettiva (Totò Riina) e oggettiva (esplosivo e telecomandi). A questo pun-to, non sembra un’avventura onirica im-maginare che Riina e i suoi alleati, nel 1992, abbiano utilizzato per via D’Ameliola stessa tecnologia dell’innesco del 1984.

In tale contesto le confidenze di Riina a Lorusso possono assumere una nuova chiave di lettura: il postino che avesse suonato al citofono della mamma di Bor-sellino, in assenza del primo comando ne-cessario a mettere in tensione il circuito elettrico, non avrebbe determinato l’inne-sco del detonatore collegato all’esplosivo.E, ancora, il citofono poteva essere mano-messo nel corso della notte al riparo di sguardi indiscreti.

Soprattutto assume coerenza e maggio-re credibilità il racconto di Spatuzza sul ruolo di Graviano, il cui telecomando po-trebbe non aver provocato l'esplosione, ma attivato il circuito poi chiuso, in ipote-si, dal citofono, così consentendogli di al-lontanarsi prima dell'esplosione senza ri-portare ferite né essere notato.

Un personaggio misterioso

Possibile tutto ciò? Pur nella difficoltà di reperire prove a tanto tempo di distan-za, va tenuto conto del fatto che sono po-che le fonti di conoscenza sul tema degli inneschi degli esplosivi nelle stragi di ma-fia. Le stesse conoscenze sul rapido 904 discendono da un rinvenimento casuale che naviga fra personaggi e situazioni poco chiare. Si pensi a Schaudinn che, come era comparso, altrettanto misterio-samente scompare. Oggi è latitante in Germania, che avrebbe negato la cattura all’Italia e gli ultimi suoi segnali arrivano da lì, quando rivendicò la sua estraneità dagli attentati del ’93.

Anche nella strage di Via D’Amelio, c'èun personaggio misterioso: lo sconosciutoche, secondo Spatuzza, sarebbe stato pre-sente nel garage quando la 126 veniva im-bottita di esplosivo. Come mai la presenzadi soggetti esterni a Cosa Nostra improv-visamente si manifesta a Spatuzza e soci?

Ancora una coincidenza

Ancora una coincidenza con la strage del rapido 904: il personaggio misterioso interviene nella fase di preparazione della bomba e, quindi, degli inneschi. È il momento in cui la scatola-detonatore, coni relais tarati, in ipotesi, sugli impulsi del telecomando manovrato da Graviano e sulcitofono, viene collegata all’esplosivo.

Le parole di Riina potrebbero, dunque, non essere un depistaggio sin troppo faci-le da smentire, ma un messaggio trasver-sale. Lanciato a chi sa ed è in grado di ca-pire.

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Dopo-stragi/ Parla Bellini

“Io, infiltratoper conto dello Stato”Una “trattativa paralle-la” con Cosa Nostra

di Aaron Pettinari, Miriam Cuccu e Francesca Mondin

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“Ero schifato dopo le stragi capivo che si doveva fare qualcosa anche per-ché io non sono mai stato un terrorista. Quando mi incontrai a San Benedetto del Tronto con il maresciallo Tempesta, del Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri, dissi che mi sarei potu-to infiltrare dentro Cosa nostra. Lui disse che ne avrebbe parlato con il co-lonnello Mori. Tempo dopo ci vedemmoa Roma, in un distributore di benzina lungo il raccordo anulare. Arrivò l’ok del colonnello e io andai in Sicilia a con-tattare un mio vecchio compagno di cel-la, Antonino Gioè (boss stragista morto in carcere in circostanze poco limpide ndr). Altrimenti col cavolo che sarei an-dato nella tana del lupo a suicidarmi”.

E' così che Paolo Bellini, ex estremista nero, dopo le stragi viene investito del ruolo di “protagonista” di una “trattativa parallela” con Cosa nostra. L'ex militante di Avanguardia Nazionale, ha deposto in-nanzi ai giudici della II Corte d’Assise di Palermo, nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, nel corso di una udienza del pro-cesso sulla trattativa Stato-mafia. Un di-battimento in cui il teste, rispondendo alledomande dei pm Tartaglia e Teresi, ha ri-percorso la ‘sua’ verità in quegli anni di stragi. Il pretesto per il contatto con Cosa nostra sarebbe stato il recupero di alcune opere d'arte rubate dalla Pinacoteca di Modena. “Quando incontrai Gioé – prose-gue Bellini - lui mi chiese per conto di chiarrivava questa richiesta.

Addirittura mi chiese se per caso mi mandava la massoneria e che in quel caso non c’erano problemi perché aveva diret-tamente la possibilità di avere rapporti con la massoneria trapanese. Io risposi che interessava ai politici locali e interes-sava anche al Ministero dei beni culturali. Del resto avevo le foto delle opere e la cartellina con i timbri ministeriali. Tempo dopo tornò con altre foto di opere d'arte ed una busta con quattro o cinque nomi-nativi per i quali voleva arresti ospedalierio domiciliari. Ricordo i nomi di Pippo Calò, Brusca, Pullarà. Quell'elenco lo consegnai al maresciallo Tempesta che lo consegnò a sua volta a Mori.

Quando tornò con la risposta, tempo dopo, mi disse che non si poteva fare per-ché 'C'era il gotha di Cosa nostra' ma che avrei dovuto mantenere il canale aperto con la possibilità di fare qualcosa per un paio di nominativi'. Non solo i contatti con Vito Ciancimino quindi. Il Ros avreb-be portato avanti più canali per arrivare adun colloquio con Cosa nostra ed ovvia-mente i mafiosi alzarono subito il tiro.

Trattativa ai piani alti

Non fu quello l'unico momento in cui Gioé parlò di trattativa con Bellini. “Gioè mi parlò di una trattativa in corso coi pia-ni alti del Governo italiano ma non ne ho mai parlato perché dovevo tenermi qual-che cartuccia da sparare durante i proces-si”.

Del resto Cosa nostra negli anni delle stragi era messa a dura prova in particola-re dal regime carcerario del 41 bis: “In quel periodo erano spiazzati, si lamenta-vano i familiari dei sottoposti al 41 bis a Pianosa. A dire di Gioè loro erano consu-mati, vedevano solo due strade o la morte o la galera a vita”. Bellini ha poi ripercor-so come ha incontrato e conosciuto il ca-pomafia: “Quando fui trasferito da Firen-ze a Sciacca, lì conobbi Gioè. Ci vedeva-

mo tutti i giorni, lui era una persona di grande rispetto io capii che era una perso-na posizionata, ci fu una simpatia iniziale… Ha saputo la vera identità quan-do fummo trasferiti nel carcere di Paler-mo”. E in merito al ruolo attribuitogli di “suggeritore” delle stragi in continente Bellini ha dichiarato: “Su di me sono statedette tante cose ma io sono qui per rac-contare la verità.

Fu Gioé a chiedermi 'Che cosa acca-drebbe se sparisse la Torre di Pisa?'”. Un frase sinistra che appare profetica se si pensa che nel 1993 il patrimonio artistico italiano fu colpito a Firenze, Roma e Mi-lano. Frase che sarebbe stata riferita da Bellini al maresciallo Roberto Tempesta, il sottufficiale in servizio al Nucleo tutela patrimonio artistico. “Ma quando dissi al maresciallo Tempesta quella frase cosa fe-cero? Nulla di nulla” ha aggiunto Bellini.

“Aquila Selvaggia”

L'ex militante di Avanguardia Naziona-le, nome in codice “Aquila selvaggia” (nel gergo usato per le comunicazioni con il maresciallo Tempesta ndr) ha anche ri-velato che nel dicembre del 1992, quando i rapporti con il militare del Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri aveva-no avuto uno stop, era stato avvicinato da un altro ufficiale. “Una persona suonò al citofono di casa mia – ha detto – e mi chiamò col nome in codice che sapevano solo Tempesta e il colonnello del Ros Ma-rio Mori. Si presentò come un uomo del Ros e mi disse di non cercare più Tempe-sta, che il contatto sarebbe stato lui e di non venire in Sicilia perché era pericolosoin quanto ci sarebbe stata un’imminente operazione. Non ho mai parlato con nes-suno di questo, e loro non hanno più ri-chiamato" conclude il collaboratore”. Bel-lini, che aveva comunque il contatto con Gioé anche per altri motivi, non seguì quell'indicazione.

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“La riunionedei boss

sulla strategiadelle stragi”

“Dovetti tornare in Sicilia per incontra-

re Nino a cui dovevo dei soldi. Quando mi recai nel luogo dell'incontro, nei pressidel motel Agip di Palermo, riconobbi quell'ufficiale che tempo prima mi aveva sconsigliato il viaggio in Sicilia”. E' a quel punto che, spaventato, Bellini sareb-be andato via da Palermo mancando l'appuntamento con il capomafia.

La lettera di Gioè

“Dimenticavo di dire che mio fratello Mario nell’andare a tentare di recuperare il credito ha consegnato al creditore una tessera dello stesso creditore il che adessomi rendo conto che quest’ultimo fosse un infiltrato; mio fratello non lo ha incontratoed il figlio gli ha detto che il padre era ri-cercato. Supponendo che il sig. Bellini fosse un infiltrato sarà lui stesso a darvi conferma di quanto sto scrivendo. L’ulti-ma volta che ho incontrato quest’uomo è stato presso la cava Buttitta solo per pura fatalità me lo sono fatto portare in quel posto dove ero andato per cercare di con-vincere il sig. Gaetano Buttitta a compraredel lubrificante da me…”. Questo il con-tenuto esatto della lettera rinvenuta nella cella di Gioè il 29-7-93, scritta prima del presunto suicidio.

Forse è proprio per quel mancato ap-puntamento che il capomafia aveva capitoche Bellini era davvero un infiltrato anchese il sospetto che il ruolo di Bellini, come uomo vicino ad una parte dello Stato, fos-se ben chiaro ai capimafia già nel 1991 (ovvero prima delle stragi), resta.

La riunione di Enna

Nel dicembre 1991 è notorio che in un casolare di Enna si tenne una riunione della Commissione regionale con tutti i capimafia per decidere in merito alla stra-tegia stragista che avrebbe dovuto portare all'eliminazione dei politici traditori (da

Lima all'ex presidente del Consiglio An-dreotti) ai nemici di sempre (Falcone e Borsellino).

Tra le nuove prove che i pm che indaga-no sulla trattativa Stato-mafia c'è anche una ricevuta rilasciata da un hotel di Enna, datata 6 dicembre 1991 ed intestata proprio a Paolo Bellini. Così come aveva fatto durante gli interrogatori con i pm, anche in aula ha ribadito che all’epoca si trovava in Sicilia per affari.

“Dovevo recuperare alcuni crediti a Ca-tania e Palermo e l'unico contatto avuto con Antonino Gioé era proprio per chie-dergli aiuto su questa attività. Quel per-nottamento non era programmato per un motivo specifico ma del tutto casuale”. Una spiegazione che non ha convinto del tutto i pm, anche perché è quantomeno singolare che, per un recupero di crediti a Catania, lo stesso abbia scelto un hotel di una città distante quasi 90 chilometri. Così l'esame è proseguito con il pm Tarta-glia che lo ha incalzato chiedendogli dei commenti di Gioé su Lima.

La morte di Salvo Lima

Rispondendo alla domanda del magi-strato, che in riferimento alla morte dell'onorevole Salvo Lima ha chiesto a Bellini se Gioè gli disse mai se l'omicidio fosse servito anche per mandare un mes-saggio al presidente Andreotti, il collabo-ratore ha dichiarato: “era stato quello il senso, si. Gioé mi parlò dell'omicidio di Lima e disse che era stato fatto per dare uno schiaffo alla Dc di Andreotti perché non aveva rispettato quello che avrebbe dovuto fare a Roma per il maxi processo”.

Di seguito, l'ex trafficante di opere d'arte ha parlato di un episodio avvenuto ad Enna: "Mi ricordo… si parlò, disse così…a Enna c'era… a Enna mi ricordo diuna passeggiata che ho fatto per andare alla cena, c'era la saracinesca di un nego-zio abbassata.. fu il momento di una risa-

ta". L'occasione di ilarità sarebbe scaturitadall'aver visto una scritta, sulla vetrina, ri-ferita proprio al presidente del consiglio Giulio Andreotti. Tartaglia ha rilanciato: "Scusi ha detto 'fu motivo di una risata', ma perché c'era anche Gioè ad Enna?".

E Bellini: "No, chi ha detto Enna?”. Si èsubito giustificato il collaboratore. “La ri-sata tra noi due mentre facevamo questo discorso… lui mi fece venire in mente un flash non che io ero a Enna con Antonino Gioè”. Bellini ha anche ricostruito la pro-pria storia passando dagli omicidi com-messi tra cui quello del militante di Lotta Continua Alceste Campanile, alla sua affi-liazione alla 'Ndrangheta e la latitanza sot-to falsa identità trascorsa in Brasile.

“Sono un morto che cammina”

Pian piano, pur con le difficoltà dovute alla malattia da cui è affetto, che ha con-seguenze sulla memoria, ha ricostruito di-verse vicende, tra cui il periodo vissuto in cella quando era conosciuto con il nome di Roberto Da Silva. Nel suo racconto Bellini ha anche espresso uno sfogo nei confronti dello Stato come istituzione col-pevole di averlo, a suo dire, abbandonato: “Sono un morto che cammina ma faccio ilmio dovere fino in fondo. Lo Stato con me ha firmato un contratto che non ha ri-spettato”.

Peccato che, come ha ricordato al teste lo stesso presidente Montalto, in quel con-tratto era previsto il dover dire tutta la ve-rità mentre solo oggi ha raccontato la visi-ta dell'uomo del Ros nella sua abitazione, così come soltanto nel 2013 ha raccontatodella “seconda trattativa”, dopo averla aveva accennata ad un giornalista del Re-sto del Carlino, Marco Pratellesi, il quale aveva scritto in merito un articolo nel 1998. Il processo proseguirà domani mat-tina con il controesame del teste mentre, successivamente, verrà sentito dalla corte il pentito Fabio Tranchina.

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Inchieste

Beni confiscati:così non funzionaUn immenso patrimo-nio sprecato fra incom-petenze e burocrazia di Salvo Vitale,

Pino Maniaci, Christian Nasi www.telejato.globalist.it

E’ una storia che parte da lontano,

cioè dal 1982, quando, quattro mesi dopo l’uccisione di Pio La Torre, venne approvata la legge Rognoni-La Torre, (in sigla RTL) che consentiva il seque-stro e la confisca dei beni mafiosi. Ag-gredire i mafiosi nei loro patrimoni era l’obiettivo del nuovo strumento.

Dopo 14 anni, a seguito della raccolta di un milione di firme, organizzata da Li-bera, veniva approvata la legge 109/96 chedisponeva l’uso sociale dei beni confiscati,una restituzione ai cittadini di ciò che era stato loro sottratto con la violenza e l’ille-galità. Ultimo atto, nel 2011, l’approvazio-ne della cosiddetta legge Alfano che tentava di dare una sistemazione definitivaa tutte le norme sull’argomento e creava l’Agenzia Nazionale ai beni confiscati allamafia, con sede a Reggio Calabria, che avrebbe dovuto occuparsi della gestione dei beni dal sequestro alla confisca. Pur con grossi limiti, la legge è ritenuta una delle più avanzate al mondo ed è stata pre-sa a modello per la recente approvazione della normativa europea.

Quello dei beni giudiziari è un vero af-fare, se si tiene conto che il numero dei beni confiscati è, ad oggi, di 12.946, cifra in continua evoluzione, di cui 1.708 azien-de e che di questi, circa il 42,60% pari a 5.515 è in Sicilia, particolarmente in pro-vincia di Palermo (1870). Si tratta di un patrimonio da alcuni stimato in circa due miliardi di euro, ma La Repubblica (22 marzo 2012) parla di 22 miliardi di euro, ilGiornale di Sicilia (6 febbraio 2014) di 30 miliardi, di cui l’80% nelle mani delle banche. Di queste aziende solo 35 sono in attivo e solo il 2% genera fatturati.

E’ un immenso patrimonio comprendente supermercati, ristoranti,

trattorie, residence, villaggi turistici, distributori di benzina, fabbriche, impianti minerari, fattorie, serre, allevamenti di polli, agriturismi, cantine, discoteche, gelaterie, società immobiliari, centri sportivi, pescherecci, stabilimenti balneari e anche castelli. Quasi tutti falliti. Molte ledifficoltà di carattere finanziario, con i lavoratori da mettere in regola e il pagamento dei contributi arretrati ai dipendenti che i boss facevano lavorare a nero, Sopravvive solo qualche azienda, alle cui spalle c’è una grande struttura, come Libera, che può tornare a fatturare, ma, dice Franco La Torre, figlio di Pio, “ finché si tratteranno le aziende di proprietàdelle mafie come aziende normali, il meccanismo messo in moto dallo Stato non funzionerà mai”. Un fallimento totale di cui nessuno si dichiara responsabile.

Limiti

Quali sono i limiti? Innanzitutto i tempi molto lunghi che passano dal sequestro alla confisca. Poiché all’atto del sequestro il bene è “congelato”, in genere si fa ri-corso, da parte del tribunale competente, alla nomina di un amministratore giudiziario. E’ questo il primo punto debo-le: nella maggior parte dei casi si tratta di persone del tutto incompetenti, senza alcuna capacità manageriale, di titolari di studi commercialistici di cui spesso le Pro-cure si servono per alcune indagini, di amici delle persone che sono incaricate di fare le nomine.

L’incompetenza di queste persone ha portato al fallimento del 90% delle azien-de sotto sequestro, alla rovina economica di parecchie famiglie che nelle aziende trovavano lavoro e alla crisi dell’indotto che gira attorno all’azienda, anche perché, e questo è un altro limite, le aziende sotto sequestro possono e devono riscuotere crediti, ma non possono saldare debiti se non al momento della sentenza che ne san-cisca la definitiva sistemazione.

La conclusione a cui si arriva facilmentee a cui arrivano le parti danneggiate è che con la mafia si lavorava, con l’antimafia c’è la rovina economica, ed il messaggio èdevastante nei confronti di chi dovrebbe rappresentare lo Stato.

La valutazione economica del bene con-fiscato è fatta da un apposito perito, nomi-nato sempre dal tribunale, al quale spetta un compenso apri all’1% del valore del bene da valutare. Spetta al titolare o al proprietario del bene l’onere della prova sulla provenienza del bene, ovvero l’obbli-go di dovere dimostrare che il bene è stato costruito, realizzato, gestito senza viola-zione della legge. Al giudice spetta invece dimostrare i reati di cui è accusata la per-sona penalmente sotto inchiesta.

In tal senso si dà alla magistratura un notevole potere e succede di trovare beni confiscati senza che i proprietari abbiano ancora riportato particolari condanne pe-nali per associazione mafiosa, oppure altri beni sotto sequestro dopo che i loro titolarisono stati assolti, anche in via definitiva. Per non parlare di debiti e mutui accesi con le banche, che lo stato non si premura di rimborsare e che quindi finiscono nelle mani delle banche stesse.

La dichiarazione di fallimento e la mes-sa in liquidazione dei beni confiscati è la strada più facile per gli amministratori, perché li esonera dall’obbligo della rendi-contazione e consente loro di “svendere” mezzi, attrezzature, materiali, anche con fatturazioni non conformi al valore reale dei beni, girando spesso gli stessi beni ad aziende collaterali legate agli amministra-tori giudiziari: per fare un esempio, An-drea Modìca da Moach, uno dei più grossi esperti in queste partite di giro a suo favo-re, degne di scatole cinesi, liquidatore del-la Comest dei fratelli Cavallotti, ha messo in vendita un camion-gru per 600 euro, gi-randolo alla ditta D’Arrigo di Borgetto, di cui è ugualmente amministratore, e quan-do i proprietari hanno denunciato l’imbro-glio al giudice per le misure di prevenzio-ne, la cosa è stata sistemata facendo passa-re il tutto per una sorta di noleggio, anche se non ci si può sottrarre al sospetto che questa “deviazione” possa aver causato l’esonero dello stesso Modìca.

Nell’ audizione alla Commissione Anti-mafia del 18 gennaio 2012, il prefetto Ca-ruso, al quale è stata affidata la gestione dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafiache ha sede a Reggio Calabria, dice: “Al-tre criticità riguardano la gestione degli amministratori giudiziari, per come si è

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“La legge prevede la rotazionenelle amministrazioni giudiziarie”

svolta fino ad ora…., l’amministratore giudiziario tende, almeno fino ad ora, a una gestione conservativa del bene.

Le “criticità” del prefetto

Dal momento del sequestro fino alla confisca definitiva – parliamo di diversi anni, anche dieci – l’azienda è decotta. Siccome compito dell’Agenzia è avere unagestione non solo conservativa, ma anche produttiva dell’azienda, abbiamo una diffi-coltà di gestione e una difficoltà relativa a professionalità e managerialità che, dal momento del sequestro, posso individuare e affiancare all’amministratore giudiziario designato dal giudice. In tal modo, quandodal sequestro si passerà alla confisca di primo grado, sarà possibile ottenere reddi-to da quella azienda…. Facendo una battu-ta, io ho detto che, fino ad ora, i beni con-fiscati sono serviti, in via quasi esclusiva, ad assicurare gli stipendi e gli emolumenti agli amministratori giudiziari, perché allo Stato è arrivato poco o niente. Ometto di dire quanto succede in terre di mafia quan-do l’azienda viene sequestrata, con clienti che revocano le commesse e con i costi di gestione che aumentano in maniera espo-nenziale. Ricollocare l’azienda in un cir-cuito legale, infatti, significa spendere tan-ti soldi, perchè il mafioso sicuramente ef-fettuava pagamenti in nero e, per avere servizi o commesse, usava metodi oltre-modo sbrigativi, sicuramente non legali, e aveva la possibilità di fare cose che in una economia legale difficilmente si possono fare. Siamo in attesa dell’attuazione dell’albo degli amministratori giudiziari, nella speranza di avere finalmente personequalificate professionalmente alle quali poter rivolgersi e di avere delle gestioni non più conservative ma produttive dell’azienda”.

L'albo degli amministratori

Il decreto del 6 settembre 2011 n.159 ha , anzi aveva previsto l’istituzione di un albo pubblico degli amministratori, con l’individuazione delle competenze gestio-nali, l’indicazione del numero delle nomi-ne assegnate e delle competenze in denaro incassate, ma questa norma, per quattro anni è stata accantonata, perché toglie di

mano al giudice che dispone delle nomine,il potere di agire a proprio arbitrio e consente che certi passaggi oggi secretati ,restino solo a conoscenza o siano a dispo-sizione del Presidente dell’Ufficio che di-spone le misure di prevenzione e del suo diretto superiore, il Presidente del tribuna-le e non diventino di pubblico dominio.

Qualche corso di formazione per ammi-nistratori giudiziari è stato organizzato dall’Afag a Milano, e un master a Paler-mo nel 2013, da parte del DEMS, ma tut-to è sfumato nel nulla. Solo il 24.1.2014 è stato finalmente scritto il regolamento per la formazione dell’albo, il quale dovrebbe diventare essere diventato operativo dopo l’8 febbraio, ma già si sono levate voci di rinvii e di inopportunità: questo regola-mento nasce monco, nel senso che non prevede alcuna norma sulle retribuzioni degli amministratori e non prevede l’indi-cazione degli incarichi affidati, i quali, perstrane ragioni di privacy, rimangono secretati e nelle mani dei magistrati. Il nu-mero degli amministratori giudiziari nomi-nati dal tribunale è di circa 150, molti dei quali titolari di più incarichi, legati a stret-to filo con chi ne dispone la nomina.

Proprio il prefetto Caruso poco tempo faha messo il dito sulla piaga, disponendo la revoca di alcuni “amministratori” intocca-bili: "Alcuni hanno ritenuto di poter di-sporre dei beni confiscati come "privati" su cui costruire i loro vitalizi. Non è nor-male che i tre quarti del patrimonio confi-scati alla criminalità organizzata siano nel-le mani di poche persone che li gestiscono spesso con discutibile efficienza e senza rispettare le disposizioni di legge. La rota-zione nelle amministrazioni giudiziarie è prevista dalla legge così come la destina-zione dei beni dovrebbe avvenire entro 90 giorni o al massimo 180 mentre ci sono patrimoni miliardari, come l'Immobiliare Strasburgo già del costruttore Vincenzo Piazza, con circa 500 beni da gestire, da 15 anni nelle mani dello stesso professio-nista che, per altro, prendeva al tempo stesso una parcella d'oro (7 milioni di euro) come amministratore giudiziario e 150 mila euro come presidente del consi-glio di amministrazione. Vi pare normale che il controllore e il controllato siano la stessa persona?".

Controllati e controllori

Tutto ciò ha provocato le rimostranze del re degli amministratori Gaetano Semi-nara Cappellano, titolare di uno studio con35 dipendenti, detto “mister 56 incarichi”,amministratore di 31 aziende, tra cui pro-prio la Immobiliare di Via Strasburgo, del-la quale gli è stata revocata la delega. Il nuovo incarico è stato affidato al prof. uni-versitario Andrea Gemma, del quale si è subito diffusa la notizia che lavora nello studio della moglie di Alfano. Nuovi am-ministratori sono stati nominati al posto di Andrea Dara (Villa Santa Teresa Bagheria,un impero con 350 dipendenti e un fattura-to annuo di 50milioni di euro) e Luigi Tur-chio, amministratore dei beni di Pietro Lo Sicco: l’incarico per la liquidazione è statoaffidato a all'avvocato Mario Bellavista che (come ha lui stesso obiettato) in un passato lontano è stato difensore di fiduciadi Lo Sicco per qualcosa in cui la mafia non c’entrava: per questo motivo, qualche giorno dopo Bellavista si è dimesso.

Non devono essere piaciute al PD le di-chiarazioni del prefetto Caruso il quale, tramite Rosy Bindi e su sollecitazione di qualche parlamentare siciliano, è stato convocato urgentemente per un’audizione alla Commissione Antimafia, con l’accusa,già frettolosamente evidenziata da Sonia Alfano, di mettere in cattiva luce l’operatodei magistrati che si occupano di Antima-fia. Anche L’ANM, l'associazione dei ma-gistrati, si è schierata contro Caruso soste-nendo che, invece di rilasciare dichiarazio-ni sull’operato dei magistrati delle misure di prevenzione (vedi dott.ssa Saguto), avrebbe dovuto rivolgersi ai magistrati stessi, i quali così avrebbero potuto e do-vuto giudicare se stessi.

Qualche politico ha dichiarato addirittu-ra che “parlare male dei magistrati signifi-ca fare un favore alla mafia”. Caruso si è difeso sostenendo di non avere a disposi-zione né mezzi né strumenti legali per af-frontare con successo l’intero argomento dei beni confiscati. “Ciò che emerge, ha detto la Bindi, è che l’Agenzia ai beni con-fiscati dovrà subire alcuni interventi”. E, per quanto si può supporre, non si tratterà di interventi migliorativi, ma punitivi.

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“Le proposte del sindacato: tavoli di coordinamentopresso le prefetture,e fondo di rotazione”

Una lettera a Rosy Bindi

Interessante una lettera che l’avv. Bella-vista ha inviato a Rosy Bindi, nella quale sostiene che “concentrando l’attenzione sulla mia posizione si sia tentato di sviare la Sua attenzione dall’opera meritoria del Prefetto Caruso che sta scoperchiando pentole mai aperte…. Mi meraviglia come Lei, invece di insistere sul nome Bellavista, non abbia chiesto quale magi-strato ha autorizzato alcuni Amministratoria ricoprire 60 o 70 incarichi. Quale magi-strato abbia autorizzato pagamenti di par-celle per milioni di euro. (Le faccio pre-sente che una legge della Regione Sicilia-na, limita i compensi per gli amministratori pubblici a 30000 euro lordiper i presidenti dei cda.), se vi siano fami-liari di magistrati o di amministratori che hanno ricoperto o ricoprono cariche o in-carichi all’interno delle amministrazioni giudiziarie. Se qualche amministratore giudiziario si trovi in conflitto di interessi attuale e non di 14 anni fa. Il Prefetto Ca-ruso la mafia ha combattuto sulla strada e non da una poltrona a migliaia di chilo-metri di distanza. Onorevole Presidente, credo che molto più del Dott. Caruso, sia certa magistratura a delegittimare se stes-sa, quando per difendere le proprie posi-zioni alza un muro e persiste in comportamenti che rischiano di apparire illegittimi. Sono certo che la Sua intelli-genza non cadrà nella trappola del depi-staggio già usata durante i tempi bui della prima Repubblica della quale Lei è stata una Autorevole Protagonista”. Nessun dubbio su chi fa riferimento Bellavista.

In appoggio all’operato di Caruso si è schierata la CGIL, ma anche il sindacato di polizia Siulp, mentre Equitalia, che do-vrebbe essere depositaria di un fondo di due miliardi provenienti dai beni di pro-prietà dei mafiosi, mostra qualche diffi-coltà a documentare e a restituire quello dicui dovrebbe essere in possesso. Da parte sua il prefetto Caruso ha detto: “Io lavoro da 40 anni con i giudici e nessuno mi può accusare di delegittimarli. Ho solo detto quello che non va nel sistema” :

Proposte

Da quando nel 2011 è stato approvato il Codice Antimafia, diverse sono state le proposte di modifica, in particolare per la parte che riguarda la gestione patrimonia-le. L'ultima in ordine di tempo, ma sicura-mente la più complessa e strutturata, vieneda una Commissione , istituita nel 2013 dal governo Letta, per studiare il problemadell'aggressione ai patrimoni della crimi-nalità organizzata e presieduta dal Segreta-rio Generale della Presidenza del Consi-glio Garofoli, che già si era occupato del tema della corruzione.

Nel gennaio 2014 la Commissione, con la partecipazione, fra gli altri, dei magi-strati Gratteri, Cantone e Rosi, presenta una relazione di 183 pagine in cui si evi-denziano le principali criticità in tema di gestione dei beni e si propongono possibilisoluzioni e innovazioni legislative, dall'ampliamento del ruolo e della dotazio-ne di uomini e mezzi dell'Agenzia, all'affiancamento di figure manageriali perla gestione delle aziende, dall'anticipo del-la verifica dei crediti alla regolamentazio-ne degli amministratori giudiziari.

“Io riattivo il lavoro”

Particolare attenzione nella relazione Garofoli trovano le proposte della CGIL, che si è fatta promotrice di una legge di iniziativa popolare, ribattezzata "Io riatti-vo il lavoro", sostenuta a loro volta da Li-bera, ARCI e Avviso Pubblico. Al centro delle modifiche portate avanti dal sinda-cato ci sono proprio le aziende ed in parti-colare la tutela dei lavoratori e dei livelli di occupazione. "Due i punti di forza im-prescindibili" dice Luciano Silvestri, re-sponsabile Sviluppo e Legalità CGIL "il primo è la creazione dei tavoli di coordi-namento presso le prefetture, che dovreb-bero coinvolgere parti sociali, istituzioni e società civile nel monitoraggio e nella ge-stione delle aziende fin dalla fase del se-questro; il secondo è il fondo di rotazione, da finanziare con i soldi (tanti) del Fondo Unico Giustizia e con cui finanziare la fase di "legalizzazione" delle aziende po-ste in amministrazione statale.

Dopo aver raccolto migliaia di firme, la proposta del sindacato è giunta in Com-missione Giustizia alla Camera con relato-

re Davide Mattiello, deputato PD con un lungo trascorso di militanza antimafia. Chissà se e come i due percorsi riu-sciranno ad incontrarsi!.

Il governo ha già annunciato che trasfor-merà in decreti legge molti dei suggeri-menti della Commissione Garofoli e che lo farà in tempi brevi.

Nel dibattito si inserisce anche Confin-dustria, in particolare la sezione siciliana, che sta mettendo mano ad alcune autono-me proposte, stranamente assonanti con quelle dell'on. Lumia.

Per ora nulla è troppo chiaro perché, di-cono i responsabili: "Ci stiamo lavorando", ma da uno studio elaborato nel 2012 dall'Università di Palermo e da alcune dichiarazioni più recenti dei rappre-sentanti degli imprenditori, oltre che di al-cuni magistrati applicati alle misure di prevenzione di Palermo e Caltanissetta, a loro notoriamente vicini, si deduce che le aree di principale interesse saranno tre: l'inserimento di figure manageriali all'interno delle procure, la riduzione del ruolo dell'Agenzia per i beni confiscati alla sola fase della confisca definitiva e la verifica dei crediti: c'è chi spinge per anti-ciparla ad inizio sequestro e chi invece vorrebbe procrastinarla addirittura alla confisca definitiva, complicando ulterior-mente la vita a chi onestamente vanta cre-diti nei confronti di aziende sotto seque-stro e che in conseguenza di amplissimi buchi creati da queste fatture non pagate rischia il fallimento.

A prima vista sembra si tratti del tentati-vo, degli industriali siciliani, di mettere le mani su quel che resta dell’economia sici-liana per operare l’ennesima rapina: non sivuole dire no al tribunale nel privarlo dellanomina del suo amministratore e si istitui-sce un’altra figura con un altro stipendio: nessuna attenzione e nessuna garanzia è prevista per i posti di lavoro dell’azienda.

Fra l’altro, da quando Ivan Lo Bello, giàpresidente di Confindustria Sicilia ha pro-posto l’espulsione degli imprenditori che pagano il pizzo, tutti gli industriali sicilia-ni fanno professione di antimafia e trova-no magari qualcuno da denunciare come estorsore, tanto per farsi una verginità e la-vorare, oltre che col consenso di Cosa No-stra, anche con la protezione dello Stato.

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“I trecentocinquanta lavoratoridella Newport di Palermo”

Non è detto che l’asino uscito dalla por-

ta non rientri dalla finestra, nel senso che nel senso che non si trovino all’interno delle Associazioni o degli enti destinatari quelle presenze mafiose di cui ci si voleva liberare. Un problema centrale è comunque quello di garantire il posto di lavoro e tutelare i dipendenti che, quasi sempre, si ritrovano nella rovina economica.

La “Latticini Provenzano”

Si tratta di un caseificio con sede a Giardinello, un paese di circa mille abitanti, recentemente assurto alle crona-che per la cattura di Sandro e Salvatore LoPiccolo. Ali inizi del 2000 , grazie ai fondieuropei, l’azienda venne ristrutturata e adeguata alle norme, diventando un mo-derno caseificio dove lavoravano una tren-tina di famiglie, assieme a un indotto di pastori e vaccari che fornivano il latte. Il rimborso di questi fondi avviene dopo cheil proprietario li ha anticipati ed è in grado di documentare i lavori eseguiti. La lentez-za di questi rimborsi crea notevoli difficol-tà economiche al titolare del caseificio, il quale si rivolge a un certo Grigoli di Ca-stelvetrano, non ancora indagato, ma già conosciuto come il re dei supermercati Despar, e che si scoprirà come prestanomedi Matteo Messina Denaro.

Grigoli chiede un aumento del capitale, chiede di assumere il controllo del 51% dell’azienda per accedere a un megamutuodel Monte dei Paschi di Siena, mutuo che viene bloccato quando Grigoli è arrestato, nel 2007. In un ultimo disperato tentativo Provenzano offre la sua quota allo stato, detentore della parte confiscata, per otte-nere il prestito, ma ci perde anche quella. Il caseificio, che, in questa vicenda con la mafia c’entrava solo di striscio, come poi confermato dagli sviluppi giudiziari, vie-ne confiscato e affidato a un curatore giu-diziario di nome Ribolla, il quale, nella sua somma incompetenza, nel 2012 lo por-ta al fallimento . E’ un chiaro esempio di come un’industria di eccellenza può esserecondotta sul lastrico e di come gli operai, che, pur di mandare avanti l’azienda, sino al gennaio 2012 hanno lavorato senza sti-pendio, rimangono disoccupati. Ma Ri-

bolla è anche l’amministratore della SEGI-DI, cioè l’insieme delle società di Grigoli, di cui fa parte anche la Special Fruit di Ca-stelvetrano, con 27 dipendenti, società anch’essa fallita. Troppo tardi, nel novem-bre 2013 l’incarico di curatore è passato ad Andrea Gamma, l’avvocato già ammi-nistratore dell’Immobiliare Strasburgo, che, si spera riesca a conservare i 500 po-sti di lavoro di quello che fu l’impero del re dei supermercati.

Il porto di Palermo

La vicenda riguarda 350 lavoratori fa-centi parte della “Newport”, società che gestisce i lavori portuali. Nel 2010 la DIA inoltra un’informativa al prefetto di Paler-mo, nella quale sostiene che tra questi la-voratori ci sono quattro mafiosi e 20 pa-renti di mafiosi, in gran parte facenti parte del clan di Buccafusca, capomafia di PortaNuova. Si dispone il sequestro preventivo e viene nominato come amministratore giudiziario il titolare dello studio legale “Seminara-Cappellano”, il quale dispone la sospensione cautelare per 24 lavoratori, i quali, sino al giugno 2013, data in cui in-terviene la dott.ssa Saguto, cioè la respon-sabile della nomina di Seminara, sono pa-gati senza far niente.

La vicenda è molto più ingarbugliata di quanto non appaia, in quanto gli operai sono titolari di una quota societaria, ma il dissequestro sarà possibile quando potran-no dimostrare di essere esenti da infiltra-zioni mafiose. Cioè non si sa quando. Presidente dell’Autorità portuale è stato unuomo dell’on. Lumia, tal Nino Bevilac-qua, che attualmente è stato sostituito da un uomo di Schifani, tal Cannatella.

La Medi-Tour

E’ il caso più complesso. Si tratta di una cava di pietrisco, in territorio di Montele-pre, già di proprietà di Giacomo Impasta-to, detto “u Sinnacheddu”, fratello di Lui-gi, il padre di Peppino Impastato. Da lui è passata al figlio Luigi, ucciso a Cinisi il 23settembre 1981, nel corso della guerra tra i seguaci di Badalamenti e i Corleonesi. La gestione effettiva della cava è stata por-tata avanti dall’altro figlio Andrea, al qua-le il 22 febbraio 2008 vengono confiscati

beni per 150 milioni di euro riconducibili a Bernardo Provenzano e a Salvatore Lo Piccolo, dei quali Andrea è un prestanome,grazie agli intrallazzi del suo compaesano Pino Lipari, vero ministro dei lavori pub-blici di Provenzano, la cui moglie Marian-na Impastato ha qualche vincolo di paren-tela con Andrea. Il provvedimento preve-de, innumerevoli immobili e appezzamen-ti di terreno da Carini a San Vito Lo Capo,il Mercatone Uno di Carini, anche il se-questro di cinque aziende, tutte del mondodell’edilizia, la più grossa delle quali è la Medi.tour, che si occupa della gestione della cava di Montelepre.

Amministratore giudiziario di tutto vie-ne nominato uno dei pupilli della dott.ssa Saguto, un commercialista di nome Be-nanti, titolare di uno studio a Palermo e, per quel che se ne sa, in ottimi rapporti con un altro curatore giudiziario molto a cuore alla Procura di Trapani, un certo Sanfilippo. Benanti ha avuto occasione di dimostrare di avere buone conoscenze quando, ottenuta l’amministrazione dei beni di un altro costruttore, Francesco Sbeglia, di Palermo, nel 2010, al Centro Excelsior (Hotel Astoria) mandò, a un in-contro con alcuni imprenditori che voleva-no collaborare, lo stesso Sbeglia. In tal caso, grazie alla protesta dei tre imprenditori, gli venne revocato l’incari-co, ma solo quello, in quanto non gli ven-ne meno la fiducia della dott.ssa Saguto. Pare che gli siano affidati una ventina di incarichi, si dice che abbia dilapidato una cifra altissima degli introiti del sepermer-cato, ma il suo nome non è venuto fuori nelle polemiche seguite alle dichiarazioni del prefetto Caruso.

Torniamo alla Medi.tour. Andrea Impa-stato , del quale si vocifera di una diretta collaborazione con la giustizia, ha quattro figli, due dei quali, Luigi e Giacomo, di-pendenti della cava. Nel 2011, su decisio-ne del tribunale vengono licenziati, ma i due fratelli non si perdono d’animo e crea-no una nuova società, la Icocem, con sede a Carini, riconquistando, a poco a poco, buona parte del mercato che si riforniva nella loro ex cava. Riescono anche a “ri-farsi” una verginità denunciando al magis-trato diversi tentativi di richiesta del pizzo e iniziando una fitta collaborazione.

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“La storia allucinantedei fratelli Cavallotti di Belmonte Mezzagno”

La presenza di Benny Maletta

Da parte sua Benanti, che si presenta una volta al mese alla cava di cui è ammi-nistratore, con una fiammante macchina rossa e in dolce compagnia, in una sua re-lazione accusa gli Impastato, diventati suoi diretti concorrenti, di associazione mafiosa. Con strana sollecitudine il tribu-nale dispone il sequestro della Icocem, ladott.ssa Saguto ne affida l’amministrazio-ne, indovinate un po’, al solito Benanti, il quale mette in liquidazione la società che èchiamato ad amministrare e che si trova a soli cento metri dalla cava. Nel frattempo vengono licenziati i 20 operai che lavoran-o nella cava, e alcuni sono assunti a tem-po, secondo le richieste di materiale: qual-cuno di essi è disposto a dichiarare che Benanti avrebbe disposto l’interramento dirifiuti tossici all’interno della cava, facen-do poi riempire il tutto con terra e piantu-mare con stelle di natale: al giardiniere sa-rebbero stati pagati 18.000 euro.

Gli Impastato presentano ricorso, con una loro relazione, nella quale è dimostrat-a la tracciabilità e la regolarità di tutte le operazioni che hanno condotto alla crea-zione della loro società, ma l’udienza, che avrebbe dovuto svolgersi ad ottobre, per indisposizione, di chi, indovinate un po’, della dott.ssa Saguto, è rinviata al 6 feb-braio 2013:, dopodichè siamo in attesa, poiche la dott.ssa Saguto si è presa una settimana di tempo per decidere.

Quello che più stupisce è la presenza, all’interno della cava, di Benny Valenza, pluripregiudicato e mafioso di Borgetto, da sempre occupatosi di forniture di calce-struzzo, con un pizzo da 2 euro a metro quadrato, da distribuire agli altri mafiosi della zona: gli sono stati sequestrati alcuni beni, è stato condannato per aver fornito cemento depotenziato per la costruzione del porto di Balestrate e per altri reati affi-ni, ma, tornato a piede libero, ha ripreso lasua abituale attività: da qualche tempo agi-sce come dipendente di un’impresa di le-gname, allargatasi ultimamente nel campo dell’edilizia, della quale è titolare un certo Simone Cucinella: la ditta il 24.1 ha preso misteriosamente fuoco. L’intraprendente Valenza ha installato, naturalmente attra-verso meccanismi apparentemente legali, un deposito di materiali da costruzione in un posto collocato tra la cava e il deposito

adesso chiuso degli Impastato: non si sa sela collaborazione con Benanti, all’interno della cava, si estenda anche a questa nuo-va struttura.

La Comest

Quella dei fratelli Cavallotti di Belmon-te Mezzagno è una storia allucinante. Sonocinque fratelli che, negli anni ‘90 comin-ciano a lavorare per alcune aziende legateal nascente affare della metanizzazione in Sicilia. Fiutano che c’è in ballo un fiume di miliardi in arrivo, si parla di 400 miliar-di delle vecchie lire, specialmente da partedella Comunità Europea, che li affida alla Regione e decidono di mettersi in proprio, ognuno con una propria azienda relativa a uno specifico settore. E’ tutto in ordine, partecipano ai bandi della Regione, hanno i requisiti richiesti, cominciano ad avere numerosi appalti, specie nelle Madonie, con la clausola del possesso di una gestio-ne trentennale, per poi tornare tutto all’Ente Committente, cioè ai comuni.

Sul mercato nasce, a far concorrenza a loro l’Azienda Gas spa, per iniziativa di un impiegato regionale, di nome Brancato,il quale chiede, per fondare la società, i soldi a Vito Ciancimino, allora all’apice della carriera politica: Ciancimino si servedi un suo commercialista, Lapis, legato ai più discussi politici siciliani, da Cintola a Vizzini: viene stipulato, con l’avallo, a Mezzoiuso, dell’allora Presidente della Commissione Antimafia Lumia, un proto-collo di legalità e si aprono le porte per gli appalti: unico ostacolo la Comest e le altre aziende dei fratelli Cavallotti, ma si fa presto a metterli fuori gioco: Belmonte è la patria di Benedetto Spera, uno dei più temuti mafiosi legati a Bernardo Proven-zano: attraverso il collaboratore di giusti-zia Ilardo, infiltrato appositamente, viene trovato un “pizzino” nel quale, con riferi-mento a un appalto ottenuto ad Agire, è scritto: “Cavallotti due milioni”.

Si fa presto a incriminare i Cavallotti, che, come tanti pagavano il pizzo, per as-sociazione mafiosa, e a far disporre il se-questro di tutti i loro beni. Siamo nel 1998, allorchè Vito Cavallotti viene arre-stato per reati legati al 416 bis, da cui, nel 2001 viene assolto. Dopo che nel 2002 la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza con una condanna e dopo una serie di vi-

cende processuali, nel 2011 Vito Cavallottiè assolto definitivamente e prosciolto da ogni accusa, ma, qualche mese dopo, nei suoi confronti scattano altre misure di pre-venzione personale e patrimoniale, sino adarrivare al 22.10.2013, allorchè il PG Cri-stodaro Florestano propone il dissequestro dei beni e la sospensione delle misure di prevenzione nei confronti di tre dei fratelliCavallotti: ad oggi le motivazioni della sentenza non sono state ancora depositate.

All’atto della prima denuncia viene no-minato come amministratore giudiziario un certo Andrea Modìca di Moach, il qua-le già dispone di altre nomine da parte del tribunale , oltre che essere il terminale di altre aziende, tipo la TOSA, di cui si serveper complesse partite di giro, sino ad arri-vare all’Enel gas. L’ammontare dei beni confiscati è di circa 30 milioni di euro , ma ben più alto è il valore di quello che i Cavallotti avrebbero potuto incassare nei lavori di metanizzazione dei comuni, ma l’azienda non è stata ancora dissequestra-ta, malgrado siano passati quasi tre anni, anzi, per, viene confiscata una nuova azienda di uno dei fratelli, che si è sposta-to a Milazzo e nel dicembre 2013 estremabeffa, viene disposto un nuovo sequestro ad un’azienda creata dal figlio, nel tentati-vo di risollevare la testa, la Euroimpianti plus, e l’amministrazione giudiziaria, re-vocata al Modìca, viene affidata a un certoAiello, che si rifiuta di far lavorare in qualsiasi modo, il ragazzo titolare, la cui sola colpa è di essere figlio di uno che è stato indagato, condannato e poi prosciol-to dall’accusa di associazione mafiosa.

Gli ultimissimi sequestri riguardano un complesso di aziende edili di Vito Caval-lotti, figlio di Salvatore, la Energy clima, la Sicoged la Tecnomet e la Ereka CM, una parafarmacia già chiusa dal 2013. La prima seduta svoltasi il 30.1.2014 è stata rinviata nientemeno che al 22.5 per ritardodi notifica. Tutto ciò malgrado la procla-mata innocenza dei Cavallotti. . Per non parlare della rovina nella quale si sono tro-vate circa 300 famiglie che ruotavano at-torno alle aziende. Rimane ancora senza risposta la domanda di questa gente: per-ché questo accanimento? E il motivo è for-se da ricercare nell’ingente somma che il tribunale dovrebbe pagare per risarcire queste imprese che sono state smantellate da amministratori giudiziari voraci e spre-giudicati.

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Antimafia

“L'ora dellatrasparenza”

Nicola Gratteri

C'è qualcosa che non va nel mondo variegatodell'anticamorra napo-letana...

di Arnaldo Capezzuto www.ladomenicasettimanale.it

All’ombra dei clan, delle cosche, dellefamiglie malavitose c’è un esercito di “professionisti della legalità” che pro-spera. Non si capisce di cosa campano. Sta di fatto che hanno entrature in Enti, Istituzioni, Fondazioni. Volti noti e stagionati che negli anni hanno co-struito un vero e proprio monopolio dell’industria anticlan.

E’ la “lobby del bene” che in Campania,e in particolar modo a Napoli, legittima-mente opera. Chiariamo: tutte brave per-sone ma la domanda resta senza risposte: qual è il vero contributo che si dà al con-trasto alla camorra?

Solo l'interrogativo provoca reazioni stizzite e iraconde. Nell'anticamorra comenella camorra è meglio non parlare di cer-te cose. La verità può costare cara. Se il re è nudo occorre dire che è vestito.

Prendiamo un esempio banale, l'asso-ciazione Libera. In Campania come altro-ve è governata sempre dalle stesse perso-ne. L'elezione per il ricambio dei rappre-sentanti degli organismi interni sono pro-forma o al più nominati. Non c'è un limi-te di mandato, non c'è un limite di età, nei fatti non esiste mobilità interna. Sembra una gestione feudataria con vassalli e val-vassori. Ma qualcuno potrebbe dire : vab-bè è una associazione, saranno pure fatti loro.

E' vero fino a un certo punto. Libera in particolare gestisce molte attività e spessoi rappresentanti eletti proforma occupano posti nei cda di Fondazioni e altri sogget-ti, sottoscrivono protocolli con Enti locali,partecipano a finanziamenti di progetti, sono promotori di iniziative retribuite, percettori di consulenze ben pagate. Comeè chiaro capire e intuire non sono argo-menti di lana caprina.

Non sono argomenti da trascurare

A pelle occorrerebbe - in generale - più trasparenza. Capire chi fa cosa e come lo fa e con chi lo fa. Avere sottomano bilancicon entrate e uscite. Poter leggere il detta-glio del bilancio e non cifre che magica-mente pareggiano e fanno 0 a 0. Qui non si gioca una partita di pallone ma è in gio-co la credibilità di parte di un mondo. E' solo la punta dell'iceberg.

Prendi il Consorzio Sole (Sviluppo Oc-cupazione Legalità Economica) , un pro-getto sorto nel 2003 all’interno della Dire-zione Legalità e Sicurezza della Provinciadi Napoli per occuparsi del recupero, riu-tilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata e alla loro assegnazione a cooperative sociali diretto dalla sociologa e tanto altro Lucia Rea.

Un consorzio che è riuscito a tessere e organizzare una bella rete di amicizie e collaborazioni : associazioni, fondazioni, gruppi, cooperative sociali, federazioni ma soprattutto nomi pesanti (presunti tali)dell’anticamorra arruolati come consulen-ti, esperti e collaboratori.

Modalità disparate

Le modalità sono le più disparate: pro-getti, missioni, incarichi diretti, contratti-ni, determine, seminari, work shop, tavolerotonde. Una grande partita di giro.

Eppure il procuratore aggiunto di Reg-gio Calabria Nicola Gratteri è stato chiaroe netto: “Non possiamo tollerare che ci siagente che lucra e che dell’antimafia fa un mestiere. Ci sono condotte che non hanno

rilievo penale ma sono moralmente ripro-vevoli. Nella lotta alla mafia bisogna es-sere seri, non ci sono ma e non ci sono se”.

La chiarezza del procuratore

Se questo era il rischio, ora si è in una fase diversa, già conclamata. Se accenni al tema, se inviti a una riflessione, se poniil problema, se solleciti un autocritica se tivabbene ti accusano di possedere “livore” e di essere “scemo”. Ecco, sei stato bolla-to, messo all'indice, timbrato a fuoco e in-serito di diritto in una blacklist.

Se una parte del mondo dell'anticamorranon cambia si rischia di avere un ceto di professionisti, una classe di azzeccagarbu-gli avvezzi alla retorica autoreferenziata, alle chiacchiere formato panna montata, alle lacrime incorporate, agli anniversari perpetui. E' solo un'illusione pedagogica, una pretesa educativa, una presunta supe-riorità morale/moralistica. La verità è sco-moda: l'anticamorra va ripensata.

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Sicilia/ Business rifiuti

I signori della munnizza dietro la pirolisi e i Css?

E' di nuovo emergenzanell'Isola. Perché?

di Carmelo Catania

Dal 1999 in Sicilia esiste uno stato di

emergenza rifiuti, a causa delle scelte

del passato, per le quali l'Isola è anco-

ra sotto procedura di infrazione euro-

pea. Stato che, invece di finire, conti-

nua a vivere di proroghe: l’ultima è

stata votata dal Senato a fine gennaio.

Il provvedimento, che passa ora all'e-

same della Camera, prevede la proro-

ga della gestione commissariale a par-

tire dallo scorso 1 gennaio fino al pros-

simo 30 giugno.

Come verrà utilizzata questa nuova

emergenza? Perché è stato necessario ri-

chiedere, come le passate gestioni di

Lombardo e Cuffaro, lo stato di emer-

genza relativa alla gestione degli impian-

ti siciliani?

Le discariche private siciliane (fra que-

ste le più grandi sono quelle gestite dalla

Catanzaro costruzioni, dalla Oikos, dalla

Tirrenoambiente e dalla Sicula trasporti)

che stoccano a caro prezzo circa il 90%

dei rifiuti provenienti dalle famiglie sici-

liane, stanno vivendo il loro momento di

maggior profitto proprio grazie alle pas-

sate gestioni commissariali.

In deroga alle leggi

Queste, in deroga alle leggi, hanno

concesso scorciatoie a comuni e agli

ATO per aggirare quei regolamenti che

impedivano, in condizioni normali, l'uti-

lizzo dissennato delle discariche così

come avviene in Sicilia. Emergenza ri-

fiuti ha quindi fino ad oggi significato

elusioni di norme a favore di qualcuno e

aumento dei costi per i cittadini perpe-

tuando il già grave stato della gestione

dei rifiuti siciliano.

Il piano del 2012

Il piano rifiuti regionale, approvato nel

2012, dovrebbe recepire le direttive euro-

pee e le leggi nazionali in materia che

non prevedono come strategia primaria

la costituzione o il mantenimento delle

discariche o di inceneritori, ma che al

contrario puntano al recupero del rifiuto

minimizzando l'uso di tecnologie volte

alla distruzione del rifiuto con o senza

recupero energetico. Dall'inizio della ge-

stione Crocetta sono stati indetti dei ban-

di di gara per la creazione delle infra-

strutture prioritarie di base per una nuova

gestione dei rifiuti (impianti di compo-

staggio e selezione/valorizzazione).

Gare d'appalto deserte

Tutte queste gare d'appalto sono andate

però stranamente deserte. Ancor più stra-

no è che, pur non essendo previsti come

priorità dall'attuale piano dei rifiuti stia-

no invece sorgendo, senza alcun tipo di

intoppo, impianti di produzione di ener-

gia dalle biomasse.

Questi impianti potrebbero usare, qua-

lora ci fosse mancanza di biomassa pura-

mente detta (alberi, potature, sfalci, resi-

dui agricoli), i rifiuti urbani. E poiché la

Sicilia non eccelle per quanto riguarda la

copertura boschiva sorge un piccolo so-

spetto sul reale utilizzo di questi impianti

nel futuro.

Le opere finanziate

Negli ultimi otto mesi sono stati stan-

ziati dalla regione Siciliana, tramite l'at-

tuale responsabile Marco Lupo (Stefania

Prestigiacomo lo ha consacrato due volte

contro il parere del TAR, quando era mi-

nistro dell'ambiente con incarichi istitu-

zionali, discutibili perchè in assenza di

curriculum), Commissario regionale per

l'emergenza rifiuti, nonché Direttore del

Dipartimento Acque e Rifiuti che fa capo

all'assessorato all'energia retto da Nicolò

Marino, 30 milioni di euro a Gela, 20 a

Enna e 20 a Messina (Pace) per 3 im-

pianti di “biostabilizzazione”.

Questi impianti si trovano in forma

progettuale, in fase di approvazione o di

costruzione in molte delle discariche sici-

liane, il motivo di tale corsa è l'obbligo

dal 1 gennaio di quest'anno di conferire

in discarica solo materiale “biostabilizza-

to”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3838

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Tecnicamente di cosa si tratta. L'im-

pianto di biostabilizzazione è stato creato

come il primo di due componenti del si-

stema di Trattamento Meccanico Biolo-

gico. Il TMB nasce per creare

Combustibile da rifiuti (CDR) o Combu-

stibile solido secondario (CSS) insomma

un materiale il cui unico scopo è la “ter-

movalorizzazione”.

Questa circostanza unita al fatto che il

piano regionale contempla anche modali-

tà di trattamento termico dei rifiuti, come

l’incenerimento, la gassificazione, la pi-

rolisi, arco-plasma e soprattutto la com-

bustione di CSS nei cementifici (il cui

decreto per l'utilizzo è stato varato dal

Governo nazionale nel marzo del 2013),

bypassando ancora una volta le direttive,

le leggi e i regolamenti che ne prevedono

l'eventuale utilizzo solo e soltanto a valle

del sistema di recupero dei rifiuti, ha

messo in allarme la Rete Rifiuti Zero.

Il pericolo Css

«Il CSS, non più definito “rifiuto urba-

no”, ma “rifiuto speciale”, viene esentato

dall'obbligo di essere trattato entro i con-

fini regionali, diventando un prodotto in-

dustriale “di libera circolazione” che va a

sostituire i combustibili tradizionali nei

cementifici ed entra nel business dello

smaltimento dei rifiuti.

La previsione di bruciare la parte com-

bustibile di rifiuti indifferenziati negli in-

ceneritori è una grave scelta dal punto di

vista ambientale e sanitario. Da un lato

vengono esposte le popolazioni al rischio

di patologie cancerogene derivate da in-

quinamento atmosferico da polveri sottili

ed ultrasottili, mentre dall'altro, a causa

dell’incentivazione con CIP6 e

Certificati Verdi, viene di fatto impedito

l’avvio dell’industria del riciclo.

Ma bruciare rifiuti nei cementifici è di

gran lunga più pericoloso che bruciarli

negli inceneritori.

I cementifici risultano più inquinanti

degli inceneritori in quanto non dotati di

specifici sistemi di abbattimento delle

polveri e tanto meno dei microinquinanti,

e sono inoltre autorizzati con limiti di

emissioni più alti. Il limite per le diossine

passa da 0,1 nanogrammi/mc negli ince-

neritori a 10 ng/mc nei cementifici, cioè

100 volte di più.»

E il professor Beniamino Ginatempo

della Rete Rifiuti Zero Messina aggiunge

«si stanno raggiungendo livelli di guar-

dia elevati. Viene proposta da una ditta

l'installazione gratuita di impianti per la

produzione di CSS (che potrebbero trat-

tare anche rifiuti ospedalieri), con la con-

cessione del CSS per molti anni (p.es. da

commercializzare in Norvegia o a centra-

li termoelettriche riconvertite, come l'E-

dipower a Milazzo). Così i sindaci con la

sola cessione in comodato di relativa-

mente piccole porzioni di territorio pos-

sono smettere la raccolta differenziata,

risparmiano sul conferimento in discarica

e magari procurano qualche posticino di

lavoro per il e nell'impianto. Pericolosis-

simo, dunque!».

Questi punti oscuri, qui solo in parte

elencati, che da quasi un anno hanno

caratterizzato un'azione amministrativa

in tema di rifiuti che ad oggi ha prodotto

solo sospetti e nulla di realmente

concreto dovrebbero essere chiariti dal

governo regionale.

L'ombra della mafia

Altrimenti questa ennesima crisi

rischia di rivelarsi il solito escamotage

per favorire scelte amministrative a

vantaggio di interessi economici privati,

basti pensare che all'utilizzo dei Css sono

interessati grandi multinazioneli come

A2A – già presente nella gestione dei

rifiuti isolani in quanto azionista di

Tirrenoambiente – e con la concreta

possibilità, come è già successo in

passato – l'ex presidente di Tirrenoam-

biente è stato condannato in primo grado

a 14 anni per concorso esterno in asso-

ciazione mafiosa – , che nell'affaire possa

infiltrarsi la criminalità organizzata.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3939

SCHEDAGIRO DI VITE PER LE DISCARICHE SICILIANE?

L'assessorato all'Energia ha istituito una commissione d'inchiesta per fare chiarezza su chi, come e perchè ha concesso autorizzazioni a discariche pubbliche rivelatesi poi «bombe» ecologiche e a impianti privati che man mano sono rimasti di fatto gli unici ricevitori di rifiuti.La commissione ha avviato il lavoro partendo dall'analisi delle autorizzazioni concesse a discariche realizzate da privati: quella di Mazzarrà Sant'Andrea, in provincia di Messina, gestita dalla Tirrenoambiente; l'impianto di Lentini, in provincia di Siracusa, gestito dalla Sicula trasporti; la discarica di Motta Sant'Anastasia, in provincia di Catania, di proprietà della Oikos; e quella di Siculiana, in provincia di Agrigento, realizzata dalla Catanzaro costruzioni.

L'assessorato che si occupa anche delle "autorizzazioni integrate ambientali" ha inoltre sospeso il rinnovo dei via libera per la Tirrenoambiente e la Oikos. La decisione è stata assunta

da Marco Lupo, che ha bloccato l'iter del rinnovo delle autorizzazioni dopo "le preliminari attività di verifica condotte dal dipartimento Acqua e rifiuti e in attesa del completamento degli accertamenti sulle procedure per il rilascio della 'valutazione di impatto ambientale' e della 'autorizzazione integrata ambientale'", come si legge in una nota divulgata dall'assessore Marino.

La decisione, in realtà, non ha conseguenze dirette e tangibili. Le due discariche continueranno a ricevere rifiuti, ma in assessorato stanno valutando i rinnovi. Dall'anno scorso, infatti, una delle due autorizzazioni necessarie per tenere aperta una discarica, l'"autorizzazione integrata ambientale", non viene più concessa dall'assessorato al Territorio ma da quello ai Rifiuti.

Le discariche di Mazzarrà e Misterbianco sono due degli impianti più grandi della Sicilia. La prima, gestita da una società mista pubblico-privata, stando ai dati di bilancio aggregati ha avuto nel 2012 ricavi per oltre 17,6 milioni di euro, piazzandosi alquinto posto fra le discariche siciliane, mentre la seconda, interamente privata, è la più remunerativa in Sicilia: stando ai dati di bilancio aggregati nel 2012 ha messo in bilancio ricavi peroltre 48,4 milioni. C.C.

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Editoria in Calabria

Il “rivoluzionario”e l'usuraioDopo il sequestro dei beni di Citrigno il “ri-voluzionario” Sansonet-ti lascia Calabria Ora. Sotto sequestro 37 fab-bricati dell’editore, tra cui le cliniche "Villa Gioiosa" di Montalto Uffugo e "Villa Adelchi"di Longobardi. Licen-ziamenti e persecuzionie sullo sfondo il suici-dio del giornalista Ales-sandro Bozzo

di Rocco Lentini

Storie di giornalisti “rivoluzionari” alla conquista del Sud e di usurai, di giornalisti coraggiosi e di suicidi, di edi-tori “padroni” e di sentenze che offen-dono la giustizia.

È un quadro allarmante quello che ruotaattorno a “Calabria Ora” un quotidiano “piccolo, piccolo” che in passato ha con-dotto belle battaglie di giornalismo e che subisce oggi le vicende usuraie dell’edito-re.

La Direzione Investigativa Antimafia diCatanzaro ha scritto una nuova pagina nella storia dell’editoria calabrese e nel verminaio degli interessi di Pietro Citri-gno, 62 anni, condannato in via definitiva per usura aggravata a 4 anni e 8 mesi. Il provvedimento di sequestro di beni, emes-so dal Tribunale di Cosenza, interessa duecliniche e beni mobili e immobili. Valore cento milioni di euro.

“Un consolidato ed allargato sistema di usura posto in essere già dagli anni Set-tanta”, ma anche “la contiguità ad alcuni esponenti di spicco delle consorterie cri-minose operanti nel territorio cosentino”. Si basa su questo l’operazione della Dia di Catanzaro.

Il dirigente della Dia di Catanzaro, An-tonio Turi, ha fatto cenno, in conferenza stampa, anche alle “inquietanti ombre ri-levate sull’origine del cospicuo patrimo-nio ascrivibile a Pietro Citrigno” e alla “pendenza presso il Tribunale di Paola di un procedimento penale per estorsione”.

“Equidistante da entrambi i clan”

L’editore di Calabria Ora è ritenuto “equidistante da entrambi i clan di spicco operanti nel territorio cosentino, che ave-va bisogno di protezione a livello delin-quenziale, al fine di tutelare le proprie at-tività imprenditoriali”.

Scatole cinesi. Delle scatole cinesi di Citrigno, attualmente agli arresti domici-liari, c’eravamo già occupati nel numero de I Siciliani di gennaio dello scorso anno.

Tra i beni sequestrati la "Edera srl", co-struzione e commercializzazione di im-mobili; la "Meridiana srl", realizzazione e gestione di strutture ricettive alberghiere, ospedali e case di cura; la "Riace srl" co-struzione di strutture ricettive, sanitarie e socio-assistenziali; il 23,33% del capitale sociale della "Monachelle srl", gestione dicase di cura, di laboratori, di centri dia-gnostici, di stabilimenti termali Rsa; il 25% del capitale sociale della "San Fran-cesco srl" , assistenza riabilitativa per an-ziani.

Sotto sequestro anche 37 fabbricati, tra iquali le residenze sanitarie assistenziali per anziani. "Villa Gioiosa" e "Villa Adel-chi", accreditate - e finanziate - dal servi-zio sanitario calabrese, 50 posti letto cia-scuna, oltre a 5 terreni.

A complicare il quadro delle attività in-vestigative, dicono alla Dia, il fatto che “immobili, in precedenza di proprietà dei

familiari del Citrigno, siano stati successi-vamente alienati a società pur sempre ri-conducibili al nucleo familiare dello stes-so, nell’ambito di una fitta trama di parte-cipazioni societarie chiaramente finalizza-te ad evitare la riconducibilità di tali beni proprio al Citrigno".

La morte di Bozzo

Citrigno è coinvolto anche nell’indagineriguardante la morte del giornalista del quotidiano cosentino, Alessandro Bozzo, che si è tolto la vita nella sua casa di Ma-rano Principato (CS) il 15 marzo scorso. Le indagini si sono concluse in questi giorni e per l’editore di “Calabria Ora”, il quotidiano per il quale Bozzo lavorava, il reato ipotizzato è violenza privata.

I pm lo accusano di avere costretto “mediante minaccia – si legge nel capo di imputazione – Alessandro Bozzo a sotto-scrivere dapprima gli atti indirizzati alla società “Paese Sera Editoriale Srl” editri-ce della testata giornalistica “Calabria Ora”, nei quali dichiarava, contrariamenteal vero, di voler risolvere consensualmen-te il contratto di lavoro a tempo indeter-minato, senza avere nulla a pretendere e rinunciando a qualsiasi azione o vertenza giudiziaria, e, successivamente, a sotto-scrivere il contratto di assunzione a tempodeterminato con la società “Gruppo Edito-riale C&C srl”, editrice della medesima testata giornalistica”.

Bozzo, 40 anni, si è ucciso con un colpodi pistola alla testa. Aveva scritto di essereamareggiato per le sue condizioni di lavo-ro e la Procura di Cosenza aveva aperto un’indagine, sequestrando i suoi computere il suo diario personale.

“Ragazzo splendido, giornalista bravis-simo - scrive Sansonetti nel lasciare il giornale - ma tutti coloro che hanno vissu-to accanto a lui, ed io per primo, si sento-no in qualche modo responsabili: non lo abbiamo capito, non lo abbiamo aiutato, abbiamo commesso delle ingiustizie. E’ così”.

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“E' ignobilequel che è accaduto

ai colleghidi Calabria Ora”

A sinistra: Alessandro Bozzo.In basso: Claudio Labate

“Il sistema della 'ndrangheta”

“Fare il giornalista in Calabria è diffici-le, se non impossibile, rincara Gianfranco Bonofiglio, uno dei primi ad essere licen-ziato dal giornale. Essere liberi in una ter-ra dominata dalla corruzione e dalla ‘ndrangheta è utopia. In Calabria la socie-tà civile è debole e la relazione fra im-prenditoria, politica, istituzioni e ‘ndran-gheta ha creato un sistema invincibile che domina tutto ed annulla qualsiasi diritto, anche quello di sperare che qualcosa pos-sa cambiare”.

Il gruppo editoriale, oggi in mano al fi-glio di Citrigno, Alfredo, non è stato col-pito da alcun provvedimento, ma il diret-tore Piero Sansonetti, avrebbe lasciato “per via di alcuni dissensi con la proprie-tà”. Gli sarebbe stato chiesto di preparare un piano di ristrutturazione che prevedes-se un fortissimo taglio del personale e si èrifiutato. Questa la motivazione espressa da Sansonetti che in questi tre anni in Ca-labria ha tenuto una fitta agenda di conve-gnistica insieme al governatore fascista della Calabria, Giuseppe Scopelliti, rilan-ciando i “boia chi molla”.

“La lotta contro i licenziamenti, contro il dilagare del lavoro precario, contro lo sfruttamento, è stata sempre una mia idea fissa” , scrive Sansonetti, ma la seconda ondata di licenziamenti e la “normalizza-zione” al giornale c’è stata sotto la sua di-rezione.

“Citrigno? Gli confermo simpatia!”

Cacciato, dice. E’ consapevole di avere accettato troppi compromessi con il “pa-drone” Citrigno, ma difende l’usuraio, come sempre da quando è in Calabria: “Ho conosciuto molto bene Piero Citrignoe credo di avere capito i suoi pregi, molti, e suoi difetti, moltissimi (e gli confermo simpatia e affetto). Il suo difetto principa-le è uno solo: è un padrone”. Tre direttori messi alla porta in sette anni.

Adesso alla corte del “padrone” appro-da Luciano Regolo, 47 anni, esperienze in“la Repubblica”, “Oggi”, “A” e “Chi”, che l’hanno portato alla direzione di “No-vella Duemila”, “Eva 3000” e “Vip”.

“Licenziati in tronco”

Intanto sono stati licenziati per non averaccettato un sospetto “cambio di proprietà” che imponeva la retrocessione della qualifica professionale e la trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato Francesco Pirillo ed il vice caposervizio Claudio Labate, componente del comitato di redazione. Si sono visti recapitare “via fax”, come tanti altri negli ultimi cinque anni, una “comunicazione di licen-ziamento” firmata dall’“amministratore unico della Paese Sera Editoriale srl”.

Cambio di testata e di società. Non più

Calabria Ora. Ma L’Ora della Calabria. Dimissioni e assunzione, con modifica delcontratto, nella vecchia società “Gruppo Editoriale C. & C. srl” di Alfredo Citri-gno. Prendere o lasciare.

Si tenta di non pagare, tra l’altro, i 130 mila euro di Tfr, svuotando la società “Paese Sera Editoriale srl” come si era fatto prima con la “C&C” per evitare se-questri di somme dovute ai giornalisti li-cenziati in tempi diversi.

Clausole capestro e assolutamente ille-gittime e reazione dei sedici giornalisti delle redazioni di Reggio Calabria, Palmi e Siderno, tra i quali Claudio Labate, Franco Cufari e Laura Sidari. Claudio La-bate, abile giornalista ed ottimo grafico, rileva che “insieme alla proposta di con-tratto è stata presentata la rescissione con-sensuale (tra le formule…”nulla a preten-dere”), e l’accettazione di un “accordo in deroga al Cnlg”.

“Ne deve rispondere Sansonetti”

Rabbia e amarezza vengono espresse daPietro Comito, giornalista più volte ogget-to di intimidazioni da parte della ‘ndran-gheta, licenziato il 28 febbraio scorso da caposervizio di “Calabria Ora” con com-pito di coordinamento delle redazioni di Reggio Calabria, Catanzaro, Vibo Valen-tia, Gioia Tauro e Siderno. “Ho subìto umiliazioni personali e professionali per non essermi allineato ad una gestione editoriale in aperto conflitto con la mia coscienza. “Quanto avvenuto ai colleghi di Calabria Ora è qualcosa di ignobile della quale, a causa della sua colpevole inerzia, deve rispondere in prima persona il direttore Piero Sansonetti, che non può addurre, come avvenuto anche per il collega Lucio Musolino, il fatto che i licenziamenti siano stati disposti dall’editore”.

A Musolino sono stati riconosciuti i di-ritti in tribunale, mentre altri hanno dovu-to subire sentenze negative che offendonola professione e la giustizia.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4141

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Abruzzo

Le cifre dellacementificazioneC'era una volta la “Re-gione Verde d'Europa”.Ma ormai quasi tutto il verde si è trasformato in grigio...

di Alessio Di Florio

In Abruzzo la superficie urbanizzata è grande quanto 85.000 campi di calcio.Una cifra che fotografa la Regione che si vanta ancora di essere la “Regione Verde d’Europa” ma dove prevale sem-pre più il colore grigio. Il grigio del ce-mento che avanza sempre più ma ancheil grigio delle cricche, delle infiltrazioni mafiose e di chi ricicla nella speculazio-ne edilizia proventi illeciti.

Su questo torneremo nei prossimi arti-coli, così come sui tentativi di ridurre le tutele delle Riserve Sirente-Velino e del Borsacchio, del Parco Nazionale della Co-sta Teatina di cui non si riesce a vedere la fine dell’iter istitutivo. Ma soprattutto ap-profondiremo quello che gli ambientalisti definirono alcuni anni fa il “sistema Mon-tesilvano”, l’espansione di Francavilla cheha portato addirittura a dedicargli un neo-logismo (la francavillizzazione), la di-scussa e discutibile scelta di realizzare piùcentri commerciali in Val Pescara.

“Si sta impoverendo l'Italia”

Il 29 ottobre 2010 il giornalista de La Stampa Giuseppe Salvaggiulo, venuto a Pescara per presentare il suo libro "La Co-lata", dichiarò che “L'Abruzzo segue un modello che sta letteralmente impoveren-do l'Italia" e gli amministratori "nei fatti hanno premiato pochissimi costruttori a svantaggio della qualità della vita dei cit-tadini".

Nell’occasione il WWF Abruzzo, che aveva invitato Salvaggiulo in Abruzzo, realizzò un dossier sul “consumo di suolo” nella Regione.

Tra le tantissime denunce leggiamo che Navelli e S. Pio delle Camere sono asse-diate da capannoni industriali ed artigia-nali sparsi, autorimesse e strade degne di periferie di metropoli (vedi il raddoppio della SS. 17)", mentre le "aree costiere sono fragilissime, segnate dell'erosione e dall'impossibilità di evolvere naturalmen-te a causa della cementificazione impe-rante".

Attraversare la costa abruzzese è vivere un viaggio a tratti surreale. Ci si aspette-rebbe di vedere il mare, le spiagge, maga-ri i trabocchi amati anche da Gabriele D’Annunzio. Invece si può proseguire perdecine e decine di chilometri senza vederenull’altro che cemento, cemento e ancora cemento.

Espansione edilizia senza freni

Oltre il 60% delle coste abruzzesi è an-tropizzata. Da Vasto a Francavilla, sulla costa teatina, l’espansione edilizia appare senza freni e senza regole. A metà settem-bre del 2012 il ciclone “Cleopatra” diede una prima devastante anteprima di quello che è accaduto un mese fa. Uno dei Co-muni più colpiti fu San Vito Chietino, dove fu richiesto lo “stato di calamità na-turale”.

Nell’estate precedente fu sequestrato unimportante complesso edilizio in riva al mare mentre da diversi anni rimane in piedi un “mega resort di lusso a pochi passi da una zona di altissimo valore am-bientale” su “una superficie di 200.000 mq. (140.000 nella delibera comunale 29/2011) di cui 130.000 interessati da 612camere, seconde case, centro di talassote-rapia per 9000 mq., sala meeting per 1000/1500 posti, centro culturale, 9 risto-ranti, anche per banchetti, attrezzature sportive, piscine”.

Alla radice dei disastri ambientali

Nei giorni del ciclone Cleopatra le atti-viste e gli attivisti di Zona22 fotografaro-no quella che definirono una “spregiudi-catezza edilizia” che si annoda “a doppio filo ai disastri” appena avvenuti.

Nelle loro foto furono immortalati “un grosso cilindro di cemento, interrato sotto la stradina che conduce alla calata, attraverso il quale un piccolo rigagnolo d’acqua, che una volta era un torrente, termina la sua corsa verso il mare attraverso i ciottoli della spiaggia” e “Al di là della Statale Adriatica, immediatamente a Nord dopo il ristorante “La Scogliera” (ex “Greco e Levante”),” in fase di conclusione “uno dei tanti enormi complessi residenziali spuntati come funghi sul territorio sanvitese, moltidei quali edificati lungo le rive di fiumi e fiumiciattoli, che purtroppo hanno il risaputo vizio di sfociare a mare” de-nunciando che “la collina è stata pratica-mente trasformata in una scala, alla cui base è stato realizzato un piccolo parcheg-gio “pubblico”, esattamente a strapiombo sul corso d’acqua” il cui letto è stato lette-ralmente strozzato dagli argini riforzati per difendere tale complesso.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4242

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“Un nuovocomplesso edilizioa ridossodella costa”

“Acqua infiltrata fra gli argini”

Durante le piogge “l’enorme mole d’acqua scesa a valle, prendendo velocità,si è infiltrata tra gli argini scorrendo sotto il parcheggio, provocando uno smotta-mento di dimensioni allarmanti, con visto-se crepe sull’asfalto appena finito, e una parziale fuoriuscita di numerosi massi dell’argine sinistro.

La ditta realizzatrice dell’opera, per ov-viare a questo increscioso inconveniente, ha pensato bene di scaricare lungo il letto del fosso qualche simpatica decina di me-tri cubi di calcestruzzo fresco fresco”.

Negli stessi giorni il consigliere comu-nale di Pescara Maurizio Acerbo contestò l’autorizzazione alla costruzione di un nuovo complesso edilizio a ridosso della costa definendolo un enorme favore a duecostruttori e in via di autorizzazione solo grazie ad “un’interpretazione assai forzatae illegittima del decreto sviluppo (legge 70/2011)”.

Da trent'anni si attende il Piano Cave

Nella Finanziaria regionale 2012, fu ap-provata una moratoria all’autorizzazione anuove cave, nelle more di un Piano Cave che attende da 30 anni di essere realizza-to. Nei mesi successivi nulla, o quasi, si mosse per redigere finalmente questo pre-zioso strumento territoriale. Mentre si svolse un vero e proprio stillicidio di di-chiarazioni contro la moratoria, nel quale si contraddistinse la CISL (sostituitasi ad-dirittura ai difensori di un indagato, chie-dendo ripetutamente ed energicamente che venissero levati i sigilli ad una cava sequestrata dalle forze dell’ordine per so-spetti di violazionidi legge).

Non si è mosso quasi nulla perché qual-cosa, dopo mesi e mesi di attesa, avven-ne: l’assessore alle attività produttive Al-fredo Castiglione annunciò l’affidamento a professionisti qualificati dell’incarico di redigere il Piano.

Uno dei professionisti sicuramente è qualificatissimo e conosce benissimo il settore: è il Presidente Nazionale di Asso-mineraria, l’organizzazione confindustria-le della quale fanno parte gli imprenditori del settore cave. Praticamente i “cavatori”si devono scrivere da soli le regole … Tutto questo in una Regione dove all’epo-ca vennero censite 596 cave (più della Lombardia, ferma a 558, e del Veneto, fermo a 566).

Come aggirare i vincoli

Il consigliere regionale di Prc Maurizio Acerbo denunciò nel febbraio 2013 il ten-tativo di aggirare i vincoli paesaggistici con modifiche ad hoc del relativo piano regionale, portando ad esempio di questo modus operandi la costruzione di strutture

alberghiere nel 2004 a Francavilla e del centro commerciale Megalò a Chieti, de-nunciando che si stava tentando di ripeter-lo nuovamente per un centro commercialein Provincia di Teramo.

La nuova legge regionale

La nuova legge regionale sull’edilizia, approvata nel novembre 2012 e contestatadalle associazioni ambientaliste (e in Con-siglio da Maurizio Acerbo), è stata defini-ta da alcuni l’avvio di un vero e proprio far west: consentiti aumenti del 50% dellevolumetrie degli immobili e del 35% dellasuperficie degli stessi, favorendo in più unicamente gli investimenti privati e tra-lasciando gli obiettivi pubblici di riquali-ficazione urbana.

L’urbanista Piero Ferretti scrisse che se “progetti edilizi” contrastano “con eviden-za le scelte compiute attraverso un piano attuativo di iniziativa pubblica” “parados-salmente” viene incentivato, compromet-tendo “l’attuazione degli scenari di riqua-lificazione prefigurati dall’ente pubblico”.

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Premio“Gruppo dello Zuccherificio”

per il Giornalismo D’InchiestaIII edizione

Il “Gruppo Dello Zuccherificio”, in collaborazione con il Comune di Ravenna, LiberaInformazione, AltrEcono-mia, I Siciliani Giovani e Articolo 21, indice il 3° Premio “Gruppo dello Zuccherificio” per il Giornalismo D’Inchiesta dedicato alle inchieste realizzate sul territo-rio nazionale nell’anno 2013, inedite o diffuse tramite carta stampata, internet e nuovi media.Premio Giovani: riservato alle inchieste realizzate da giovani di età inferiore ai 30 anni, su tutto il territorio na-zionale. Questa sezione vuole valorizzare la figura dei gio-vani che si sono distinti nell’ambito del giornalismo d’inchiesta. Premio Nazionale: riservato alle inchieste riguardanti l’intero territorio nazionale realizzate da autori che abbiano superato il trentesimo anno d’età.E’ previsto inoltre un Premio “Honoris Causa” per chi, nel corso degli anni, abbia dimostrato impegno e dedizione allarealizzazione e/o diffusione dell’attività giornalistica d’inchiesta in Italia.- Possono concorrere al premio giornalisti, singoli o asso-ciazioni con articoli ed inchieste pubblicati su quotidiani, periodici e agenzie di stampa, nonché con servizi pubblicatida testate giornalistiche online, nel periodo compreso dal 01.01.2013 al 03.05.2014.

- Premi: Sezione "Giovani": 1° premio euro 1.000, 2° pre-mio euro 500; Sezione “Nazionale”: 1° premio euro 1.000, 2° premio euro 500. La giuria può assegnare ulteriori rico-noscimenti e menzioni speciali. I primi due classificati di ogni sezione saranno invitati a presenziare alla cerimonia dipremiazione che avverrà in occasione de “Il grido Della Farfalla”, 6° Meeting dell’Informazione Libera.- Per partecipare: mail a premiogruppodellozuccherifi - [email protected], entro il 4 maggio 2014. Accludere le in-chieste, in formato pdf. Non più di due inchiesta da max 20mila battute. La giuria si sriserva di valutare anche even-tuali allegati multimediali.–La Giuria è presieduta da Loris Mazzetti (Capostruttura Rai3). Altri membri della giuria: Giorgio Santelli (Giornali-sta Rainews e Articolo21); Carla Baroncelli (Giornalista Tg2); Norma Ferrara (giornalista Libera Informazione e Siciliani Giovani); Gaetano Alessi (fondatore AdEst e vin-citore premio Fava Giovani 2011); Salvo Ognibene (redat-tore 10e25e I Siciliani Giovani); Pietro Raitano (Direttore AltrEconomia).–Info: [email protected] potete scaricare il regolamento in pdf e l’allegato per compilare la domanda.

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Il 10 gennaio 2014 era un venerdì e un nostro collabora-tore si trovava sotto il "palazzo di cemento".Era lì con la sua fotocamera e voleva raccontare, anco-ra una volta, il quartiere di Librino.Voleva raccontare il degrado e l'abbandono del quartie-re e del suo popolo. Voleva raccontare la città nella cit-tà.Voleva raccontare la distanza tra queste e l'ingiustizia sociale che ne deriva. Voleva raccontare, c un giornalis-mo libero e di verità, i luoghi dove è nato.Ma a qualcuno questo ha dato fastidio, ed ecco che Lu-ciano viene aggredito, pestato e derubato della sua fotocamera.

La città onesta democratica e antimafiosa si ribella e le sta accanto. Il presidente del Teatro Stabile, Nino Milaz-zo, mette a disposizione un teatro per lo spettacolo "Li-brino" che da tempo il nostro Luciano porta in giro per narrare com'era e e com'è oggi il suo quartiere.In “Librino” Luciano narra la sua fanciullezza, i suoi amici, le partite di pallone in un campetto improvvisato. Il tutto in un'ora tra parole e musica, la musica dell'Orchestra dei ragazzi “Falcone e Borsellino”.Ora l'impegno del Teatro Stabile di Catania è una realtà. Un impegno civile mantenuto. Un impegno per narrare alla nostra Catania i nostri quartieri attraverso il palco-scenico di un teatro.Il 29 aprile 2014 al Teatro Musco alle ore 21 "Librino" andrà in scena, per ricordare ai cittadini e cittadine di Catania che le mafie si combattono con la verità e l'anti-mafia sociale.

I Siciliani giovaniGapa/ giovani assolutamente per agire

I Cordai giornale di San Cristoforo

TEATRO POPOLARE

“Librino” di Luciano Brunoal “Musco” di Catania il 29 aprile

La Periferica, mensile di informazione e cultura/ Registrazione Tribunale CT n.39/07 del 14/09/2007Dir.responsabile Riccardo Orioles - Direttore editoriale Massimiliano Nicosia - Progetto grafico Luca Salici

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LIBRINO

Chi di palazzone feriscedi rimborso perisceOvvero tredici milioni per il Palazzo di Cemento di Leandro Perrotta

E' il simbolo del degrado di Librino, il luogo dove hanno picchiato e minac-ciato di morte Luciano Bruno. Ma in quel palazzo, tra famiglie di poveracci (sfrattati nel 2011), mafia e droga, a ri-manerci fregato è stato soprattuto l'ex sindaco Raffaele Stancanelli. In questi giorni i 13 milioni da lui ottenuti dal go-verno Berlusconi per ristrutturare il palazzone di 16 piani verranno appalta-ti dall'amministrazione di Enzo Bianco,mentre del sindaco ex missino rimarrà solo il ricordo del predissesto. Causato da un rimborso da 22 milioni per un palazzone mai pagato dal Comune. Chel'avvocatura poteva evitare.

Il marchio internazionale del degrado, ilJolly Roger del vandalismo. La minchia gigante disegnata su una delle colonne delpalazzo di cemento a Librino è una perfet-ta convergenza tra significante e significa-to. «Cos'hanno fatto le istituzioni per ri-solvere il problema?». Per la risposta ba-sta guardare il logo di una perfetta opera-zione di pirateria istituzionale. A breve, una gara d'appalto da tredici milioni di euro darà un po’ di respiro al disastrato settore dell'edilizia: soldi destinati alla ri-strutturazione della torre di sedici piani di proprietà comunale, con l’obiettivo di ri-portare i 96 alloggi per famiglie alle con-dizione originarie dei primi anni '90.

Un'era mitica per Librino, selvaggio ovest della periferia sud: i senza casa, a centinaia, arrivavano su segnalazione di efficientissimi sensali al soldo dei clan mafiosi. Per poche centinaia di migliaia dilire in tempi brevi assegnavano le case dentro i palazzoni. Destinate, sulla carta, agli aventi diritto presenti nelle graduator-ie di Comune e Istituto case popolari. Il trucco è che, per sanare l'illecito e divent-are i legittimi occupanti dopo pochi anni, basta solo un'autodenuncia. Da quel mo-mento, per legge, nessuno ti butterà fuori.

E' andata così in viale Moncada e via-le San Teodoro, in viale Bummacaro, Gri-maldi e Castagnola. Nomi di strade impa-rati solo ora dai 70mila residenti, perché allora non c'erano ancora, e il sistema di orientamento era giapponese come Kenzo Tange, ideatore della città satellite. Decinedi palazzoni uscivano dall'anonimato, de-signati come “case rosse”, “case gialle”,

“case verdi”, a seconda del colore esterno,che le tante bizzarrie dell'architettura dell'epoca vollero sgargianti. Accanto, le cooperative, luoghi che con nomi come “Amiconi” puntavano alla riscoperta di una via italiana al comunismo quella dellecoop rosse romagnole. “Risveglio” e “Ra-vennate” divennero i luoghi dell'élite del quartiere, gli operai con un lavoro. Decinedi altre costruzioni venivano identificate per dignità di carica: “case della polizia”, “case della finanza”, a seconda della forzaarmata di appartenenza degli inquilini.

“Che fortuna - hanno pensato gli occu-panti del palazzo più alto di tutti, quello diviale Moncada 3 - si vede il mare, l'Etna, la piana di Catania”. Una vista mozzafia-to, che ripagava dell'ascensore rotto, dell'acqua corrente che mancava, della sporcizia messa per tenere i curiosi lonta-no. Con un solo problema: chi abitava il Palazzo di cemento era più abusivo degli altri. L'edificio, mai consegnato ufficialm-ente al Comune e mai collaudato, non po-teva ospitare nessuno. Gli abitanti diven-tano ostaggi della criminalità organizzata, che assume il controllo dell'edificio.

Una situazione durata vent'anni, quando, dopo decine di arresti, blitz anti-droga e omicidi, spesso nemmeno degni di finire sulla cronaca de La Sicilia con l'indicazione corretta della via, l'edificio, sempre più identificato col suo sopran-nome, viene sgomberato.

I fondi per rifarlo vengono dal Piano Casa 2010 del governo Berlusconi, spiegaora il presidente della commissione Lavori Pubblici, il piddino Niccolò Notar-bartolo, che fa parte della maggioranza che sostiene Enzo Bianco e dalla preced-ente amministrazione ha ereditato il pro-blema del Palazzo di cemento. Ma anche la soluzione, che in soldoni rappresenta una cifra quasi pari al bilancio annuale deiServizi sociali del Comune di Catania.

Non a caso fu il professore Carlo Penni-si, titolare nel 2011 dell'assessorato alla Famiglia, nel maggio 2011 a capeggiare lo sgombero del fortino dell'illegalità. L'Ance, l'associazione dei costruttori edi-li, allora rappresentata dall'imprenditore antimafioso Andrea Vecchio, dà una manoa modo suo: dopo lo sgombero distrugge le scale d'ingresso ai piani superiori.

L'Oikos, la ditta titolare del servizio di nettezza urbana, che riceverà 170 milioni di euro in 5 anni, porta via “straordinaria-mente” tonnellate di rifiuti, raccolte, però,dai volontari dei centri Talità Kum e IqbalMasih. Il Comune ha persino evitato di fare una multa, almeno a Librino, ad Anc, lo street artist divenuto famoso per i “di-vieti di mafia”, che i vigili urbani voleva-no multare. Anc con i suoi colori ha pro-vato ad abbellire lo stabile abbandonato, disegnandoci su un gran Don Chisciotte dal naso lungo quanto una spada, forse in ricordo di tante bugie dette e ridette da tutti fuori e e dentro e sul palazzone.

Lo sgombero “è un segnale straordina-rio di legalità per Librino”, dichiarava il sindaco del tempo, Raffaele Stancanelli, che lasciando però qualche particolare in secondo piano. Il primo lo segnala una tragedia: un giorno di ottobre del 2012 Cristian, dodici anni, per poco non muore mentre gioca, cadendo in un buco nel cemento sulla rampa d'accesso al palazzo.

Rammarico e frasi di circostanza, ma il buco lo coprono gli abitanti dei palazzi vicini, molti di loro ex abusivi “sanati” di una torre vicina: ci sanno fare con i matto-ni, tanto da costruirsi dei garage fai-da-te alla base. “Mi raccomando, non la scriva 'sta cosa dei parcheggi, sennò il Comune ci fa pagare l'Imu”, dice uno di loro.

Chi proprio col mattone non ha confi-denza sembra invece il Comune di Cata-nia: a un mese dal “buco” al Palazzo di cemento, nel novembre 2012, arriva quel-lo al bilancio comunale. In giorni di frene-tiche sedute in consiglio comunale sul bi-lancio annuale, un risarcimento record da 22 milioni di euro mette fine all'epoca del centrodestra, che dovrà chiedere alla Cor-te dei conti l'accesso al fondo salva enti.

A decretare la fine di Stancanelli, un anno dopo gli annunci sulla “liberazione” del Palazzo di cemento, è un altro palaz-zone in viale Castagnola: il Comune, nel 1990, non ha mai pagato alla Fasano co-struzioni di Salvatore Massimino la co-struzione di una torre di 15 piani.

«L'avvocatura comunale non ha mai presentato opposizione. E io ho atteso i termini per il ricorso prima di presentare il conto all'amministrazione», spiega il legale della società.

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LIBRINO

La storia di Villa Fazioda masseria a rudere abbandonatoUliveti, vigneti, paesaggi mozzafiato... di Luciano Bruno

2 marzo 2014. Insieme ad un gruppo della società civile, decidiamo di fare un sopralluogo a Villa Fazio. L’appuntamen-to è intorno alle 11,00 a Piazza Alcalà. Una volta radunatici, partiamo per Libri-no. Dalla tangenziale avvistiamo attorno alle mura della masseria un ponteggio cheprima non c’era. Arrivati, entriamo: alla nostra destra vediamo la centrale dell’Enel, con i suoi tralicci e i cavi dell’alta tensione, a sinistra spazzatura.

Le prime cose che si possono osservaresono il degrado e la distruzione dappertut-to: c’è ancora il pozzo, (ovviamente senz’acqua); all’interno restiamo senza parole: mancano le porte, le finestre, il pa-vimento è distrutto. Hanno rubato anche la scala in ferro che portava al piano supe-riore e la vite del frantoio. A terra, insiemealle macerie, siringhe ovunque.

Decidiamo di tornare fuori, a parte il ponte vediamo un ficus secolare, che cre-devamo a Catania di trovare solo alla Vil-la Bellini. Poi giriamo lo sguardo e vedia-mo quello che è rimasto dei campi di pal-lamano, basket, tennis, pallavolo… detriti,immondizia ed erba incolta.

Percorrendo le scale arriviamo agli spo-gliatoi. All’improvviso sentiamo dei cani abbaiare: ci addentriamo e quello che ve-diamo ci sorprende. Quel posto è diverso dal resto della masseria: ordinato, pulito, una scopa, una paletta, bidoni con del li-quido dentro. Un abbaiare di cani si fa piùforte; usciamo e scorgiamo un po’ più sot-to due cani che ci fanno festa. Non sono cani da caccia, non sono cani da guardia, neanche cani da combattimento. Cosa ci fanno lì in una masseria abbandonata? Qui qualcuno ci vive.

Chi ha le chiavi di Librino?Un’immagine che mi è stata raccontata

molto tempo fa mi ritorna in mente: anni ˈ70, un nonno robusto, con i capelli briz-zolati, le mani grandi, la coppola in testa, sta caricando il suo carretto con dei sacchidi olive, poi da una porta vicino esce la sua asina che si chiama Ciumachella. Nonmolto distante c’è una bambina con i ca-pelli ricci e gli occhi azzurri, che si avvi-cina al carretto e vi sale sopra. Insieme percorrono la strada che da Borgo Librinoporta al frantoio dove le loro olive verran-no trasformate in olio.

Durante il tragitto la piccola si guardaintorno e vede e sente la bellezza e il pro-fumo della natura, poi alza gli occhi in cielo e un aereo sorvola la sua testa: le sembra di poterlo toccare con un dito. Gi-rando lo sguardo verso il basso, sempre a sud, dalla collina, su quel sentiero, vede ilmare e il suo orizzonte lontano. Una voltaa destinazione, Carmelo scarica il carrettoe si dirige, insieme alla bambina, verso la struttura dove vi sono altre persone e altri bambini, con cui la sua nipotina può gio-care allegramente.

Questo c’era a Librino prima della speculazione edilizia: uliveti, vigneti, aranceti e paesaggi mozzafiato dove si sentiva e si vedeva lo splendore della natura. Questa era la masseria Villa Fazio.

Vent’anni dopo nello stesso posto c’è un altro anziano: alto, occhiali sul naso, pochi capelli, ben vestito, da Ministro del-l’interno che taglia un nastro inaugurale.

La storia di Villa FazioAntica masseria rurale di metà '800,

villa Fazio ha resistito all'urbanizzazione di Librino e fino al '96 il suo unico fre-quentatore era un pastore che la usava come capanno, per pascolare le pecore tra i tralicci dell'adiacente centrale Enel. Poi sono iniziati i lavori di ristrutturazione: a inaugurare Villa Fazio fu Giorgio Napoli-tano, allora ministro dell'Interno.

La struttura, comunque, non era an-cora pronta e per le Universiadi dell'anno successivo, il 1997, le opere non erano fi-nite. Fortunatamente l'allora amministra-zione Bianco quater ascoltò le richieste del quartiere, in particolare della Coopera-tiva ‘Risveglio’ di viale Castagnola, di-stante poche centinaia di metri. E in colla-borazione con Uisp e con la parrocchia Risurrezione del Signore, dal ˈ98 e fino al2002 villa Fazio è stato l'unico, vero cen-tro di aggregazione di Librino.

La pacchia, per le centinaia di ragazzi che ogni giorno, gratis, giocavano a cal-cio, basket, pallamano (e qualche volta anche a tennis, se la rete era montata bene), è finita con l'arrivo dell'ammini-strazione Scapagnini. Il dottore di Berlu-sconi cambia riferimenti, forse alla Uisp lo sport era davvero troppo "per tutti", e affida la gestione alla parrocchia di BorgoLibrino, allora di don Santino Salamone.

Il declino è lento ma inesorabile: pri-ma la distruzione delle porte, poi vengonorubate le ringhiere - centinaia di metri di ringhiere - poi i cavi elettrici, poi il pavi-mento, le porte dei campi. Persino la pres-sa in legno del frantoio.

Nel 2011 il Comune di Catania riesce ad inserire la struttura all'interno del bud-get dei Servizi Sociali: con i fondi della legge 285/97, circa 700mila euro, la mas-seria verrà ristrutturata.La ditta che si è aggiudicata i lavori si chiama società coo-perativa Megaedil di Patti (Me) e a breve, assicurano dalla commissione lavori pub-blici del Comune, partiranno i lavori

C'è anche il nome di chi si occuperà delle attività: il consorzio SOLCO, vicino a Lino Leanza (fra l’altro ex candidato a sindaco di Catania, con la lista civica Arti-colo 4), che dovrà inaugurare un "polo educativo", coinvolgendo le associazioni del quartiere.

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'A collina do Librinu

L’Infinito di Leopardi: libera traduzione in siciliano e adattamento di Luciano Bruno

Sempri cara è ppi mia sta solitaria collinachina di natura ca mi fa immaginari ‘n postu luntanu.e i palazzi accussì iauti ca viu di cca supram’ammucciano a vista.

Ma assittatu e taliannu mi pari di vidiri spazi infinitial di là di chistae silenzi e na paci assai ranni ca quasi quasi ju stissu mi scantu.U ventu ca sentue che alleggiu movi sti fraschippi mia è comu a stu sentimentu:

e m’arriccordu a me nannuall’eternua cu non c’è cchiù, a u battitu intra u me core da vitaca sentu cca vicinu a mia.Accussì ‘ntra sti ranni penseri affunnu:e mi perdu in menzu a stu mari.

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LIBRINO

Il quartieredei giovanidi Massimiliano Nicosia

Librino è il quartiere nel quale risie-dono buona parte dei giovani e bambini catanesi, coloro che domani, da cittadini egenitori, dovranno portare avanti questa città vivendola e partecipando attivamentealla sua crescita; eppure Librino è il quar-tiere catanese con il più alto tasso di di-spersione scolastica; è il quartiere con il più alto numero di minori ospitati nel cen-tro di prima accoglienza di Catania.

Qual è la risposta delle istituzioni a questo dramma in evoluzione del quale, con buona probabilità, Catania piangerà leconseguenze nei prossimi 10-20 anni? Promesse. Facili e ingannevoli promesse enient’altro. Promesse di portare qui l’isti-tuto d’arte, di aprire nel quartiere un liceo musicale, di portare una scuola superiore. Tutte promesse non mantenute con una forma di cattiveria e sadismo politico che vede i nostri rappresentanti mostrare con-tinuamente un bicchiere d’acqua fresca a questo quartiere assetato di servizi salvo poi restituirglielo puntualmente vuoto.

Di chi è la colpa? Sicuramente dei no-stri politici incapaci. Ma non ci illudiamo di poter scaricare interamente su di loro il barile. Li abbiamo messi lì noi; perché da anni è Librino a decidere in larga misura chi vincerà e chi perderà le elezioni locali.

Come dite? “Su tutti i stissi?”. Forse. Ma il nostro dovere lo dobbiamo soprat-tutto ai giovani di questo quartiere, è an-che scegliere il meno peggio e una volta scelto pretendere la giusta attenzione al territorio e, se così non fosse, rispedirli a casa.(“La Periferica”, dicembre 2010)

PERIFERIE

L'uso dellalibertà

La Periferica è un piccolo giornale che torna a uscire in uno delle borgate più grosse e povere del Sud, Librino. E' nato fra gli scout ed ha rapidamente aggregato la meglio gioventù del quartiere, quelli che “un giorno anche Librino sarà un po-sto normale, senza mafia, col lavoro!”.

I ragazzi della Periferica hanno tenuto duro per diversi anni. Il loro giornaletto, che secondo le regole sarebbe dovuto re-stare nel giro dei pochi studenti “colti” della città, invece s'è diffuso a sorpresa fragli abitanti del quartiere. E questi, che se-condo le regole avrebbero dovuto farsi i cazzi loro, invece l'hanno appoggiato: il giornale diffuso nei bar, un po' di pubbli-cità – addirittura – dai piccoli commer-cianti del quartiere.

Finché un bel giorno un barista sorrideimpacciato. “Beh, stavolta il vostro gior-nale qui non ve lo posso esporre...”. E il negoziante: “Veramente la pubblicità me l'hanno già messa su quell'altro giornale...”. “Ehi – fa una – hai visto che oggi La Sicilia ha pubblicato una pagina straordinaria tutta su Librino?”.

Cos'è successo? Come mai l'unico quotidiano della città ha improvvisamentescoperto il povero quartiere? Semplice: Librino è 40'mila voti. Li puoi comprare, vendere, mettere all'asta, contrattare. Se però questa gente comincia a pensare con la sua testa (a destra, a sinistra, al centro: ma con la testa sua) non lo puoi fare più.

Diventano voti liberi, da convincere. E come cavolo li convinci, se da vent'anni lilasci nella miseria più nera, con fogne di fortuna e senza luce? Maledetto giornale libero, maledetti ragazzi. E' quella fabbri-ca di uomini, quella Periferica di pensato-ri, la fonte della disgrazia. Facciamole il vuoto attorno.

INFORMAZIONE

“Dàglia Librino!” di Cristina Perrotta

Leggete cosa hanno scritto su La Si-cilia a proposito di una rapina sventata da un eroico poliziotto di Librino...

Certo il lavoro al desk per un giornalistadeve essere poco gratificante: ore ed ore scorrendo notizie rigirate dalle agenzie, spesso poco interessanti, da selezionare e inserire con un copia-incolla direttamente sul sito. Quando però le notizie di agenziacontengono nello stesso paragrafo le paro-le “rapina” e “Librino”, scatta subito un meccanismo preciso, e la notizia viene in-serita immediatamente tra le news degne di nota. Magari senza nemmeno leggere bene ciò che contiene.

E' accaduto alla redazione on line de La Sicilia: possiamo presumere che l’annoiato redattore all’arrivo di una noti-zia che in qualche modo riguardava il quartiere di Librino, abbia immediatamente postato la notizia, affib-biandole questo bel titolo: “Poliziotto sventa rapina a Librino”.

Leggendo il testo del comunicato, risul-ta però immediato e lampante l’errore:

“Un agente di polizia del commissaria-to di Librino libero dal servizio a Catania ha sventato una rapina ai danni di un su-permercato di via Vagliasindi”.

Che via Vagliasindi non si trovi nel quartiere di Librino è noto a tutti. Così come è nota a tutti ormai da tempo la vo-lontà dei media di dare un’immagine ste-reotipata del quartiere come “zona a ri-schio”. Non soltanto quando i fatti negati-vi succedono realmente, ma anche quandola fantasia di un distratto redattore ribalta il senso di una notizia. L’errore, per carità,è umano. Ma ci sarebbe stato se il poli-ziotto avesse arrestato qualcuno in viale Odorico da Pordenone?(“La Periferica”, ottobre 2009)

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chi semina raccontasussidiario di resistenza sociale

Mauro Biani

Contributi di Antonella Mar-rone, Carlo Gubitosa, Ce-cilia Strada, Cinzia Bibolotti, Ellekappa, Franco A. Calotti, Gianpiero Caldarella, Makkox, Mao Valpiana, Massimo Bucchi, Nicola Cirillo, Pino Scaccia, Ric-cardo Orioles, Stefano Disegni, Vincino Gallo

Formato 17x24, 240 pagine, coloriISBN 978889719405715 euro

i l meglio delle vignette, sculture e illustrazioni di Mauro Biani, autore di satira sociale a tutto tondo che unisce la

vocazione artistica all’impegno professionale come educatore in un centro specializzato per la disabilità e la non disabilità mentale. Uno sguardo disincantato e libero che sa dare le spalle ai potenti quando serve, per toc-care temi universali come la

nonviolenza, i diritti umani, l’immigrazione, il cristianesimo anticlericale, la resistenza alla repressione e la lotta alle mafie.

l’autoreMauro Biani (Roma, 6 marzo 1967) ha pubblicato vignette in rete per anni per poi fare il salto verso il professionismo su quotidiani e settimanali na-zionali, riviste del terzo set-tore e organi di informazione indipendente. Ha fondato la

rivista di giornalismo a fumetti “Mamma!” che ha chiamato a raccolta un gruppo nutrito di giornalisti, vignettisti e fumet-tari in cerca di nuovi spazi es-pressivi.Collabora con il gruppo in-ternazionale “Cartooning For Peace” sotto l’alto patrocinio dell’Onu. Nel 2009 ha pubbli-cato il volume “Come una spe-cie di sorriso”, una antologia di illustrazioni ispirate alle canzo-ni di Fabrizio De Andrè.

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Persone

Reatodi VangeloLa storia di padre Car-lo, che si schierò con gl'immigrati e per que-sto venne accusato di essere un “capobanda”

di Massimiliano Perna

“Sono stato accusato – dichiara padreCarlo poche ore dopo l’assoluzione - di reati gravissimi, ovvero di aver creato un’associazione a delinquere e che avreidato un contributo essenziale a tale as-sociazione, consentendo l’elezione a do-micilio di diversi stranieri. Mi si accu-sava di aver tratto un ingiusto profitto predisponendo false storie personali e false attestazioni di domicilio. Sono sta-to in pratica accusato di essere stato coinvolto in quella parte del campo dove giocano le culture e le persone che da sempre ho osteggiato e condannato, dichiarando guerra aperta, senza diplo-mazia, senza ipocrisia e senza calcoli di convenienza”.

Anche don Gallo pianse

Sono queste le parole che padre Carlo D’Antoni, parroco della comunità di Bo-sco Minniti, pronuncia poche ore dopo la sentenza che lo assolve da un’accusa ignobile e che conclude una vicenda che aveva amareggiato non solo la comunità, che mai ha avuto dubbi sull’onestà del parroco e dell’opera di accoglienza svolta,ma anche centinaia di cittadini, intellet-tuali, uomini di fede che, dall’Italia e dall’estero, hanno indirizzato a padre Car-lo fax, lettere e mail di solidarietà e stima.

Un appello firmato da artisti, giornalisti,studiosi, scrittori, filosofi ha circolato in rete per tutti i 38 giorni nei quali il prete siracusano è rimasto ai domiciliari. Anchel’indimenticato don Andrea Gallo, nell’apprendere dell'arresto di Carlo, come raccontò a una scuola catanese in visita nella sua comunità, si mise a pian-gere per l'ingiustizia commessa ai danni diun uomo di fede come lui.

Da ogni parte d'Italia

“Mi ha sostenuto l’attestazione di stima – confida il prete siracusano - che incredi-bilmente mi è arrivata da ogni parte d’Ita-lia. Meno male, altrimenti sarei sprofon-dato in un gorgo di solitudine nera proprionel momento in cui scoprivo di essere in-dagato quale ‘regista’ di una trama perver-sa di sfruttamento e perversione”.

L’accusa apparve, sin da subito, assur-da, priva di qualsiasi fondamento, diso-

rientando tutti coloro i quali conoscevano da vicino quella realtà che da sempre è riparo di poveri di strada, disoccupati, clochard, ex tossicodipendenti e, so-prattutto, migranti.

“Accompagnati in chiesa”

“Un numero considerevole di stranieri –afferma il sacerdote - nel corso degli anni e fino a due giorni dal mio arresto, mi è stato accompagnato in chiesa, in modo in-formale, da personale della polizia di Sta-to, assistenti sociali, da personale dell’ospedale cittadino, da dipendenti del-la prefettura, da qualche assessore comu-nale. All’improvviso è stata calata un’ombra sulla parrocchia che veniva de-scritta dal pubblico ministero come un pa-ravento per far prosperare i traffici di una associazione a delinquere con me come capo banda. La gente, i volontari, erano annichiliti, oltraggiati. Quello che più mi ha offeso è stato leggere nell’ordinanza che le mie azioni erano finalizzate al ‘prestigio sociale’ di difensore di poveri e padre di derelitti”.

Un reato inesistente

Gli interrogativi sulle ragioni per cui padre Carlo sia stato arrestato per un reatoinesistente, sono ancora tutti aperti, so-prattutto considerando il modo in cui l’Ufficio Immigrazione della questura di Siracusa si rapportava alla parrocchia.

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SchedaLa Comunità di Bosco MinnitiLa Comunità di Bosco Minniti è un’oasi di accoglienza gratuita e solidarietà umana alla periferia di Siracusa, una parrocchia po-vera ed essenziale anche nella sua architettura. È guidata da pa-dre Carlo D’Antoni, il “prete degli ultimi”, che in 12 anni ha ac-colto quasi 20mila migranti e poveri di strada, facendo leva sol-tanto sul suo stipendio, sull’aiuto di fedeli e amici e sul sostegnodella diocesi di Siracusa. Il 9 febbraio 2010, Padre Carlo fu arre-

stato, con l’accusa di aver predisposto false storie personali e false attestazioni di domicilio, ricavandone profitto. Un’accusa assurda, visto che il rilascio di attestazioni di domicilio è avve-nuto sempre nel rispetto della legge e con la costante interazionecon questura, ministero degli Interni e Unhcr. Dopo 38 giorni di domiciliari, il Riesame di Napoli ne dispose l'immediata libera-zione, esprimendo perplessità sull’operato dei colleghi della procura di Catania e sull’accusa mossa a padre Carlo. Il 30 gen-naio scorso è finalmente arrivata l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

M.P.

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News contro le mafie

Concorso giornalisticoper le scuole “Giuseppe Fava”

“"Apri la finestra sulla tua città e raccontaci dove vedi la mafia, l'il-legalità e le ingiustizie"

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Direzione Generale per lo Studente, l’integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione e La Fondazione Giuseppe Fava, in collaborazione con l’Agenzia di stampa ANSA, nell’ambitodel progetto di educazione alla legalità dal titolo “Ragazzi in cronaca contro le mafie”, indicono – per l’anno scolastico 2013/2014 – il CONCORSO GIORNALISTICO GIUSEPPE FAVA rivolto agli alunni della scuola secondaria di secondo grado.

Il concorso coincide con le celebrazionidel trentennale dell’assassinio di Fava, ucciso dalla mafia a Catania il 5 gennaio 1984, e intende contribuire a ricordare il giornalista che ha sacrificato la propria vita per la piena attuazione della libertà diespressione sancita dall’articolo 21 della Costituzione Italiana. Nella Sicilia degli anni 80, Fava creò un giornale chiamato “I Siciliani” che formò un gruppo di cronisti ventenni ai quali Fava diede una concreta opportunità di formazione professionale e civile. Per loro Fava fu un maestro e a loro diede un esempio che continua a essere un modello anche per i ragazzi che oggi vogliono praticare la professione del giornalista in piena libertà.

L’iniziativa, che si inserisce nell’ambitodelle attività culturali che la Fondazione Giuseppe Fava promuove da anni per i giovani, punta - grazie al coinvolgimento delle scuole di tutta Italia - a favorire lo sviluppo di una cultura della legalità, del rispetto dei diritti umani, della lotta alle mafie, principi su cui si fonda una società civile e la formazione di cittadini consapevoli e attivi.

In questo quadro, il concorso intende sensibilizzare i ragazzi alla conoscenza e all'approfondimento dei temi legati alla legalità e alle norme, proprio partendo dalla descrizione della realtà territoriale. Raccontare situazioni di illegalità, di ingiustizia nella propria città diventa un mezzo per favorire la collaborazione tra gli studenti, per diffondere la consapevolezza delle realtà esistenti sul proprio territorio e per stimolare il senso civico e l'impegno quotidiano dei ragazzi nella lotta alle mafie e all'illegalità.

L’ANSA metterà inoltre a disposizione delle scuole che parteciperanno al Concorso la sezione del sito ANSA-LEGALITA’ (http://www.ansa.it/legalita/).Sarà questa una piattaforma di confronto edibattito tra gli studenti, che avranno l’opportunità di “dialogare” anche con giornalisti, esperti del settore e docenti.

Il progetto si inserisce in un piano di interventi complessivo che il MIUR promuove da anni per la formazione dei giovani alla legalità e all’educazione antimafia nelle scuole.

Il regolamento

Art. 1 - FinalitàIl concorso ha come obiettivo quello di

stimolare gli studenti a riflettere, in maniera creativa attraverso la fotografia, gli articoli giornalisti e gli strumenti multimediali, su quali siano i comportamenti e le azioni da compiere, in collaborazione con i familiari, gli insegnanti, gli amici e le Istituzioni per creare un ambiente civile in cui tutti vedano rispettati i propri diritti, lottino per la legalità e contro lemafie.

Oggetto specifico del concorso è l’osservazione e il racconto di fenomeni o fatti – accaduti preferibilmente nella città dove i partecipanti vivono – legati alla presenza della criminalità organizzata o alle sue collusioni. Gli elaborati possono prendere spunto da cronache locali o da eventi di rilievo nazionaleper poi inserirli in un contesto concreto, vicinoa chi scrive o riprende video o scatta immagini.

L’ANSA metterà inoltre a disposizione la sezione del sito ANSA-LEGALITA’

(http://www.ansa.it/legalita/) per tutte le scuoleche parteciperanno al Concorso. Sarà questa una piattaforma di confronto e dibattito tra gli studenti, che avranno l’opportunità di “dialogare” anche con giornalisti, esperti del settore e docenti.

Art. 2 - Destinatari Il concorso è rivolto agli studenti delle

Istituzioni Scolastiche secondarie di secondo grado, statali e paritarie, che potranno partecipare con piena autonomia espressiva all’iniziativa. Gli studenti possono partecipare singolarmente, per gruppi o per classi.

Art. 3 - Tipologia di elaborati ammessiGli studenti partecipanti potranno scegliere

di partecipare a una delle seguenti tre categoriedi concorso

Categoria testi giornalistici:- Testi giornalistici per la stampa o per il

web per un massimo di 2.500 (duemilacinquecento) battute;

Categoria prodotti multimediali:- Inchieste radiofoniche o televisive

della durata massima di 3 (tre) minuti; servizi giornalistici radiofonici o televisivi, della durata massima di 1 (un) minuto;

Categoria fotografie:- Fotografie (bianco nero o colore; in

formato jpg compresso, max 1 mgb) corredate da una didascalia (di 20, venti, battute comprensive di un titoletto di due/tre parole) che spieghi la scelta e descriva giornalisticamente la foto.

Gli elaborati dovranno essere inviati su supporto digitale (CD; DVD; pen drive)

Art. 4 - Presentazione degli elaboratiGli elaborati dovranno essere raccolti dal

Dirigente scolastico e inviati entro e non oltre il 15 aprile 2014 tramite posta al seguente indirizzo: Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione, Viale Trastevere 76/A, 00153 ROMA. Sulla busta dovrà essere riportata la dicitura: CONCORSOGIORNALISTICO PER LE SCUOLE “GIUSEPPE FAVA”

Ciascun elaborato dovrà essere accompa-gnato dalla “Scheda di presentazione elaborati” allegata al presente Regolamento, debitamente compilate in ogni sua parte

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Art. 5 - Privacy e liberatoriaLe opere inviate non saranno restituite e

resteranno a disposizione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,della Fondazione “Giuseppe Fava” e dell’ Agenzia di stampa ANSA che si riservano la possibilità di produrre materiale didattico/divulgativo con i contributi inviati, senza corrispondere alcuna remunerazione o compenso agli autori. Le opere potranno essere pubblicate sul sito dell’Agenzia di stampa ANSA, nonché utilizzate per la realizzazione di mostre e iniziative.

L’invio dell’opera per la partecipazione al concorso implica il possesso di tutti i diritti dell’opera stessa e solleva il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Fondazione “Giuseppe Fava” da tutte le responsabilità, costi e oneri di qualsiasi natura,che dovessero essere sostenuti a causa del contenuto dell’opera.

Gli elaborati prodotti dovranno pervenire corredati dal consenso al trattamento dei dati personali ai sensi del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (All.A).

Art. 6 - Valutazione degli elaboratiGli elaborati pervenuti saranno valutati da

una Commissione nominata dal Direttore dellaDirezione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione e composta da un rappresentante del personale scolastico, da rappresentanti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, della Fondazione Fava, da professionisti del settore della stampa e delle comunicazioni e da espertidelle arti grafiche e figurative.

La Commissione selezionerà i lavori ritenutidi maggior interesse a livello nazionale per ciascuna categoria, tenendo conto, tra l’altro:

dell’efficacia e pertinenza nella rappresentazione del tema;

della creatività e originalità di espressione;del superamento degli stereotipi;dell’impegno, della fantasia e delle qualità

formali;della capacità di sintesi nell’esposizione.Art. 7 - PremiazioneI lavori selezionati dalla Commissione

avranno la possibilità di essere pubblicati sul sito dell’Agenzia di stampa ANSA.

I primi classificati di ciascuna delle tre categorie avranno l’opportunità di svolgere una giornata di studio seminariale con direttorie cronisti di testate giornalistiche nazionali di carta stampata, web e tv che avrà luogo nella sede della Associazione “Stampa romana” di via della Torretta a Roma; i primi classificati avranno anche l’opportunità di svolgere una giornata di workshop nella redazione Ansa.it, in modo da verificare in concreto il modo in cui funziona una redazione telematica che selezionare e diffonde sul web le notizie.

Il primo classificato della categoria fotografia avrà inoltre la possibilità di partecipare con la foto vincitrice alla mostra fotografica itinerante organizzata all’interno delle scuole italiane dalla Fondazione Giuseppe Fava in collaborazione con il Miur.

Tutti i vincitori saranno premiati nel corso diuna cerimonia ufficiale che si terrà entro la fine dell’anno scolastico 2013 – 2014.

Art. 8 - Accettazione del RegolamentoLa partecipazione al concorso è considerata

quale accettazione integrale del presente Regolamento.

Info: www.isiciliani.it/concorso-giornalistico-per-

le-scuole-giuseppe-fava/#.UxL194VuSI4

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5555

Giovani giornalisti cresconoPREMIO GRUPPO DELLO ZUCCHERIFICIOPER IL GIORNALISMO D'INCHIESTA 2014

Il “Gruppo Dello Zuccherificio”, in collaborazione con il Comune di Ravenna, LiberaInformazione, AltrEconomia, I Siciliani Giovani e Articolo 21, indice il 3° Premio “Gruppo dello Zuccherificio” per il Giornalismo D’Inchiestadedicato alleinchieste realizzate sul territorio nazionale nell’anno 2013-2014, inedite o diffuse tramite carta stampata, internet e nuovimedia.Il bando è aperto per le seguenti categorie: Premio Giovani: riservato alle inchieste realizzate da

giovani di età inferiore ai 30 anni, su tutto il territorio nazionale. Questa sezione vuole valorizzare la figura dei giovani che si sono distinti nell’ambito del giornalismo d’inchiesta. Premio Nazionale: riservato alle inchieste riguardanti l’intero territorio nazionale realizzate da autori che abbiano superato il trentesimo anno d’età.E’ previsto inoltre un Premio “Honoris Causa” per chi, nel corso degli anni, abbia dimostrato impegno e dedizione alla realizzazione e/o diffusione dell’attività giornalistica d’inchiesta in Italia.Info: http://gruppodellozuccherificio.org/premio-gruppo-dello-zuccherificio-per-il-giornalismo-dinchiesta/

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Libri/ “Il MUOStro di Niscemi”

I cento velenidella base Usa

Vent'anni di silenzi e omertà. E la paura con-tinua

di Antonio Mazzeo da Il MUOStro di Niscemi

Si è dovuto attendere quasi vent’anni perché le autorità regionali eseguissero le prime analisi sul livello d’inquina-mento elettromagnetico prodotto dalla grande base della Marina militare Usa di contrada Ulmo a Niscemi dove sono in corso i lavori d’installazione del MUOStro per le guerre globali del XXI secolo. E verificare che anche senza il terminale terrestre del nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari, le emissio-ni della stazione radio NRTF hanno raggiunto livelli insostenibili per la salu-te della popolazione.

Nel loro studio sui pericoli delle antennedel MUOS, i ricercatori del Politecnico di Torino Massimo Zucchetti e Massimo Co-raddu evidenziano come le misurazioni dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA Sicilia) abbiano pro-vato in particolare «la presenza di un cam-po elettrico intenso e costante in prossimi-tà delle abitazioni, mostrando un sicuro raggiungimento dei limiti di sicurezza per la popolazione e, anzi, un loro probabile superamento».

Sempre più spesso i valori rilevati sono risultati prossimi ai limiti di attenzione stabiliti dalla normativa (6 V/m). Per Zuc-chetti e Coraddu la situazione reale è però,con ogni probabilità, ancora peggiore. Le emissioni della stazione di telecomunica-zioni pongono, infatti, problemi di misura-zione particolarmente gravosi specie per lapresenza di decine di sorgenti che trasmet-tono simultaneamente a frequenze molto diverse tra loro e che possono facilmente produrre malfunzionamenti e risposte im-prevedibili negli stessi strumenti di misu-ra.

Non di rado i tecnici dell’ ARPAsi sono trovati di fronte a risultaticompletamente diversi e incompa-tibili. Nelle rilevazioni non si è poitenuto conto che una delle caratter-istiche delle trasmissioni militari è la non continuità delle emissioni e che la potenza con cui esse sono irradiate è variabile. Se-condo i ricercatori del Politecnico, le pro-cedure di misurazione sono state dunque superficiali, incomplete e inidonee e le conclusioni a cui è giunta l’Agenzia per la protezione dell’ambiente contraddittorie e irragionevoli. Valutazioni ritenute fondate dal Ministero dell’Ambiente e della Tuteladel Territorio che con note del 29 febbraio e del 2 aprile 2012 ha invitato l’ARPA e laRegione a effettuare ulteriori e più appro-fondite analisi delle emissioni «al fine di fugare qualsiasi preoccupazione sui possi-bili rischi per la salute legati al funziona-mento dell’impianto».

Il rifiuto dei dati

«Nell’istruttoria del 2009, l’ARPA ha pure dichiarato di non essere stata in gradodi portare a termine il compito affidatole, poiché le informazioni tecniche sugli im-pianti già operanti risultavano secretate dall’attività militare, così come i valori di campo elettromagnetico ante e post opera del MUOS», rilevano i due ricercatori.

I militari USA non hanno voluto renderepubbliche le caratteristiche radioelettriche complete degli impianti NRTF, né la posi-zione esatta delle sorgenti già operanti.

«Di fronte a questo insormontabile rifiu-to, ARPA Sicilia non ha potuto valutare complessivamente la distribuzione, sul ter-ritorio limitrofo, dei valori di campo elet-tromagnetico». A ciò si aggiunge la «non conformità» alle norme legislative delle procedure seguite. «Nel caso di impianti radio-base, come quelli di Niscemi, i rilie-vi devono essere svolti infatti nelle condi-zioni più gravose possibili, ovvero con tut-ti i trasmettitori attivi simultaneamente alla massima potenza», spiegano i ri-cercatori. «Il comandante della base NRTFdi Niscemi, Terry Traweek, ha però dichia-rato che le antenne non sarebbero mai atti-

vate tutte assieme, ma solo in certe particolari combinazioni

denominate A, B e C, che sono state quelleconcordate con l’ARPA in occasione delle verifiche del 26 gennaio 2009».

Un procedimento anomalo, basato sulle mere dichiarazioni giurate dell’ufficiale davanti a un notaio il successivo 5 febbra-io e non dalla verifica della configurazionereale degli impianti da parte dei tecnici ARPA. L’agenzia ha preso per buone an-che le affermazioni del comandante USA secondo cui delle 46 antenne esistenti solo27 sarebbero in funzione e che durante il funzionamento dell’antenna a bassa fre-quenza (LF) «la riduzione energetica im-pedisce l’uso contemporaneo delle altre 26antenne in alta frequenza (HF)».

«Se l’ipotesi delle condizioni più gravo-se possibili si fosse verificata il 26 gennaio2009, quel giorno le centraline installate inquattro abitazioni vicine alla base avrebbe-ro dovuto registrare un’emissione più alta rispetto a quella dei giorni precedenti e successivi», spiegano Zucchetti e Corad-du. «Se osserviamo i tracciati di quella giornata troviamo invece che due centrali-ne registrano un segnale identico a quello medio degli altri giorni, mentre altre due registrano addirittura un segnale notevol-mente inferiore. Oltretutto l’analizzatore EHP-200 impiegato, ha registrato un nu-mero e una distribuzione di sorgenti emit-tenti assolutamente identico e indistingui-bile nelle tre configurazioni A, B e C. Infi-ne la centralina in contrada Ulmo, la sola che ha proseguito le rilevazioni nelle alte frequenze quasi ininterrottamente dal feb-braio 2011 sino a oggi, ha registrato, dalla fine d’agosto 2012, un chiaro aumento delle emissioni, ben oltre quelle rilevate nel gennaio 2009, indicando così inequi-vocabilmente che quelle concordate con i militari non erano affatto le più gravose condizioni possibili.Le verifiche delle emissioni si sono rivelate un inganno. I li-velli dell’elettromagnetismo nella base NRTF restano tuttora ignoti e fuori dalla portata di ogni controllo civile».

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Il rifiuto dei datiL’analisi dei dati in possesso dell’ARPA

mostra che i valori delle emissioni hanno oscillato tra i 5,9 e gli 0,6 V/m del periododicembre 2008 - marzo 2009 e tra i 4,5 e i 5,5 V/m nel periodo febbraio – settembre 2011. Le emissioni sono cresciute nei mesisuccessivi e i rilievi più recenti indicano superamenti sistematici della soglia di si-curezza. Nel luglio 2012 sono stati rag-giunti i 5,8 V/m e dal 23 al 26 dello stesso mese i valori di campo si sono mantenuti tra 6 e 7 V/m. Tale andamento è prosegui-to per buona parte del bimestre settembre -ottobre 2012; poi, esse hanno raggiunto unvalore in pratica continuo di 7 V/m nel corso dell’intera giornata, tra il dicembre 2012 e il gennaio 2013, con un picco di emissione che ha superato per qualche ora i 9 V/m il 19 dicembre 2012. Tra il marzo e il luglio 2013 il campo elettromagnetico è tornato su valori poco sotto i 7 V/m ma comunque frequentemente oltre i limiti previsti dalla normativa vigente.

Il danno ambientale della stazione di te-lecomunicazione non è causato solo dalle onde delle antenne. È stato possibile ac-certare, infatti, che a seguito di una serie d’incidenti, rigorosamente tenuti segreti agli amministratori e alla popolazione, sono state disperse nel suolo e nel sotto-suolo grandi quantità di sostanze inquinan-ti. Nel 2003, l’impresa LAGECO di Cata-nia fu chiamata dal Comando US Navy per eseguire misteriosi «lavori di bonifica ambientale del terreno contaminato a cau-sa di un versamento di gasolio sullo stes-so». L’inquinamento delle falde acquifere e di parte del territorio della riserva natu-rale con idrocarburi (classificati come ri-fiuti pericolosi e con componenti anche cancerogeni) avvenne nel marzo 2002 e fudi notevoli dimensioni. Oltre sei anni dopo, l’8 luglio del 2008, il 41° Stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella co-municò alla Regione siciliana, alla Provin-cia di Caltanissetta e al Comune di Nisce-mi l’avvio – su richiesta della Marina USA- di «indagini aggiuntive» per lo sversa-mento di gasolio del 2002 e «rimediare alla contaminazione residua rilevata con il campionamento di collaudo effettuato il 4 settembre 2007». Nei diversi punti analiz-zati, furono riscontrati valori d’idrocarburileggeri (>C12) inferiori a 10 mg/kg, la concentrazione limite consentita dalla leg-ge nel suolo e nel sottosuolo. Riguardo in-vece agli idrocarburi pesanti (C12-C40), ilcampionamento rilevò valori oscillanti tra i 25,1 e i 495,5 mg/kg, ma con una preva-lenza di punti dove la concentrazione era abbondantemente sopra i 200 mg/kg. Le norme ambientali prevedono due diversi

parametri massimi per questi ultimi inquinanti, a secondo se essi sono individuati in siti a uso industriale e commerciale (750 mg/kg) o in aree desti-nate a verde pubblico o uso privato e resi-denziale (50 mg/kg). Se è pur vero che la stazione NRTF, a un primo esame, sem-brerebbe più corrispondente a un sito in-dustriale, la sua incidenza all’interno della riserva naturale “Sughereta” - per giunta in zona A - impone la sua classificazione come sito a verde pubblico: a Niscemi, dunque, anche la contaminazione di suolo e sottosuolo da idrocarburi pesanti ha su-perato notevolmente i limiti di legge.

Più recentemente (primavera 2012), il quotidiano delle forze armate statunitensi Stars and Stripes, in un servizio da Heidel-berg (Germania), ha lanciato l’allarme sul-la presenza nell’acqua destinata al perso-nale delle basi di Sigonella e Niscemi di «inaccettabili livelli» di bromato, un in-quinante chimico che si forma a seguito del contatto in acqua tra l’ozono e lo ione bromuro e che è classificato dall’Organiz-zazione Mondiale della Sanità come possi-bile cancerogeno per l’uomo. A inquinare le fonti idriche delle due installazioni sa-rebbero stati i prodotti chimici utilizzati per la disinfezione. In un primo momento, il Comando di US Nave aveva respinto ogni addebito, poi ha dovuto ammettere l’incidente impegnandosi a ridurre l’uso didisinfettanti «al minimo necessario». «L’acqua delle stazioni NAS I e NAS II a Sigonella e dell’installazione di telecomu-nicazioni di Niscemi è stata contaminata dal bromato e al personale militare è stato ordinato di non bere più dai rubinetti», spiegò a Stars and Stripes il portavoce del comando US Navy di Napoli, Timothy Hawkins. «La scoperta è stata fatta duran-te le analisi di routine effettuate il 17 mag-gio 2012 dal personale sanitario della Ma-rina. I test hanno provato che la quantità dibromato è superiore al valore massimo stabilito dall’EPA, l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente». Mentre l’EPA consente l’uso per fini potabili di acqua con valori di bromato inferiori a 10 microgrammi per litro, a Sigonella e Ni-scemi sono state riscontrate concentrazionioscillanti tra i 52 e i 170 microgrammi. Nessuna informazione è stata però tra-smessa alle autorità sanitarie civili italianeo ai sindaci dei comuni.

Secondo il Dipartimento della Salute dello Stato di New York, l’ingestione di quantità ridotte di bromato può causare di-sfunzioni gastrointestinali, nausea, vomito,diarrea e dolori addominali. «Le quantità rilevate nelle installazioni siciliane non possono causare alcun sintomo», si sono

però premurate a dichiarare le autorità USA, ma dal 29 maggio 2012 è stata ordi-nata la distribuzione obbligatoria di acqua imbottigliata al personale militare di Ni-scemi e Sigonella. Livelli di bromato su-periori ai limiti di legge sono stati riscon-trati anche nelle analisi svolte a Niscemi tre mesi dopo. All’inizio del 2013, l’US Army Public Health Command Region Europe e il Public Works Department, En-vironmental Division di NAS Sigonella hanno dichiarato potabile l’acqua della stazione NRTF «anche se nel 2012 non c’èstata piena corrispondenza con quanto ri-chiesto dagli standard in tema ambientale del governo italiano». Secondo i dati US Navy, la media annuale del bromato ri-scontrato a Niscemi è stata di 26,68 micro-grammi per litro (più di due volte e mezzo il valore consentito dalla legge), con puntemassime però di 240 microgrammi. Per glienti medico-militari USA, questi valori non causerebbero però alcun effetto imme-diato sulla salute. Eventuali conseguenze negative si realizzerebbero però con un’esposizione a lungo termine.

Attualmente l’installazione di Niscemi riceve l’acqua da una villa privata, riforni-ta a sua volta da Caltaqua - Acque di Cal-tanissetta, la SpA che dal 2006 gestisce il servizio idrico integrato in tutta la provin-cia di Caltanissetta. Prima di essere distri-buita al personale militare, l’acqua è pro-cessata e disinfettata con il composto al bromato. Le analisi sono effettuate mensil-mente su 110 diversi parametri chimico-inorganici, chimico-organici volatili, pesti-cidi, disinfettanti, radionuclidi, contami-nanti microbiologici e cloro-residui. Le ta-belle allegate al rapporto di US Navy, mo-strano nell’acqua della stazione NRTF di Niscemi presenze significative di cadmio, nitrato e ammonio, poco al di sotto però dei limiti stabiliti dalla legge. Il primo in-quinante originerebbe dalla corrosione di oleodotti o serbatoi di gasolio e lubrifican-ti. La presenza di nitrato e ammonio po-trebbe essere causata invece dall’uso in-tensivo di pesticidi in agricoltura. A NAS Sigonella, oltre al bromato, nel 2012 ha destato preoccupazione la rilevazione nel-le acque di notevoli quantità di ferro, 163 microgrammi per litro come media annua-le, ma con picchi massimi di 380 (la legge vieta di superare i 200 microgrammi). Datiche, ripetiamo, sono sempre stati occultati a sindaci, autorità sanitarie civile, coltiva-tori e abitanti. La guerra uccide. I processi di militarizzazione dei territori pure.

Antonio Mazzeo, giornalista e militante pacifista e dell'antimafia sociale, ha pubblicato numeroseinchieste sui “Siciliani giovani” , di cui è fra le “firme” più note.

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Libri/

“Suicidio” di mafia La strana morte di Attilio Manca

“Provenzano è stato vi-sitato in Sicilia, a Bar-cellona. E proprio da Attilio Manca”. La drammatica storia di un mistero italiano chene contiene tanti altri. Un caso ufficialmente chiuso, e molto in fret-ta

di Luciano Mirone da Un “suicidio” di mafia

“Provenzano è stato visitato in terri-torio barcellonese durante la sua lati-tanza. A prestargli cura, dopo l’opera-zione di cancro alla prostata effettuato a Marsiglia, è stato proprio Attilio Manca».

A fare questa rivelazione non è un tizio qualsiasi, ma una delle personalità più au-torevoli in tema di lotta alla mafia: l’on. Sonia Alfano, figlia del giornalista barcel-lonese ucciso da Cosa nostra, e presidentedella commissione parlamentare antimafiaeuropea. Se una notizia del genere viene svelata da una persona che in tema di lottaalla criminalità organizzata conosce mol-to, vuol dire che la pista di un omicidio potrebbe essere vera.

Una testimonianza sconvolgente

Le dichiarazioni della figlia del giorna-lista ucciso, tuttavia, sono accompagnate dalla testimonianza sconvolgente, resa all’autore, da un investigatore di cui – per ovvie ragioni – non vengono svelate le generalità: «Nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta latitanza di Bernardo Pro-venzano a Barcellona Pozzo di Gotto», dice l’investigatore, «a un certo punto si scoprì che l’urologo aveva visitato e curato il boss nei dintorni della cittadina messinese, grazie a una struttura messa a disposizione da qualche medico locale.

Venne accertato, tra l’altro, che il dottorManca, prelevato con un elicottero, era stato trasportato fino a Barcellona per i controlli di cui necessitava Provenzano. Dopo la morte dell’urologo, quando l’indagine stava per prendere consistenza, qualcuno, grazie all’alta posizione istitu-zionale che ricopriva, chiese il fascicolo sulla latitanza del boss, in relazione ai movimenti e alla morte di Attilio Manca.

Questa richiesta destò non poche per-plessità all’interno dello staff investigati-vo del tempo. Si disse: “Qui le cose sono due, o questo signore chiede gli atti per-ché è deciso a fare chiarezza, oppure vuo-le insabbiare tutto”. Si prese un po’ di tempo. Non passarono neanche due giorniche lo stesso personaggio chiese “senza ulteriori indugi” (testuale) che gli atti gli venissero trasmessi. Cosa che fu fatta im-mediatamente. Subito dopo arrivò l’ordi-ne di lasciar perdere quell’inchiesta e in-fatti l’inchiesta non andò avanti».

Un clamoroso insabbiamento

Una testimonianza che, se dovesse ri-sultare vera, metterebbe a nudo delle cir-costanze gravissime perché svelerebbe un clamoroso insabbiamento sia sulla latitan-za di Provenzano a Barcellona, sia sul de-cesso dell’urologo barcellonese.

Non sarebbe male se oggi, anche a di-stanza di un decennio, si accertasse l’esi-stenza di questo eventuale carteggio e si individuasse l’autore della presunta ri-chiesta di atti così delicati mai venuti alla luce, ma da trasmettere immediatamente, «senza ulteriori indugi».

“Delitto di mafia”, afferma Ingroia

Oggi, anno 2014, uno spiraglio di luce sembra rischiarare questa vicenda buia. Uno dei tanti segnali lo dà un grande in-vestigatore come Antonio Ingroia, il qua-le, se prima di vedere le carte sulla morte di Attilio Manca, parlava di «sciatterie giudiziarie», dopo averle lette, parla or-mai, anche pubblicamente, di «insabbia-mento». «È certamente un delitto di ma-fia», afferma l’ex allievo di Falcone e Borsellino.

Luciano Mirone, autore del primo libro-inchiestasui giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia (“Gli in-sabbiati”, Castelvecchi 1999), è stato fra i gior-nalisti a denunciare il “caso Manca”. Fa parte dei “Siciliani giovani” dal 1985.

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Libri/ “La confusione”

Trattative, tarocchi, papelli e altri anonimi

Un ebook che non pia-cerà ai due protagonistie alle tifoserie: perché non si parla solo di “trattativa”, ma anche di qualcosa di più...

di Sebastiano Gulisano da La confusione

Questo non è un ebook sulla trattati-va Stato-mafia, ma su come non si fa unprocesso. In questo libro si parla, so-stanzialmente, di due persone estrema-mente diverse fra loro – per storia, ca-ratteristiche personali, funzioni e senso dello Stato –, il “testimone” Massimo Ciancimino e il magistrato Antonino Di Matteo.

Il primo s’è conquistato la scena media-tica con una oculata gestione delle proprie“rivelazioni” sulla suddetta trattativa; il secondo è un servitore dello Stato che, in virtù del proprio lavoro al servizio della collettività, rischia la vita. Il primo mi-schia abilmente vero, verosimile e falso; ilsecondo è chiamato, per il mestiere che s’è scelto, a distinguere fra vero, verosi-mile e falso con gli strumenti che lo Stato gli mette a disposizione.

La confusione non è un attacco al dottorDi Matteo (e alla Procura di Palermo) ma un libro-inchiesta in cui ricostruisco fatti ed esercito il mio legittimo diritto di criti-ca nei confronti delle scelte sue e dell’Ufficio che rappresenta. Senza tesi precostituite, ma ricostruendo meticolosa-mente episodi circostanziati.

È un lavoro che non piacerà ai due pro-tagonisti e alle tifoserie, ma è un lavoro che andava fatto per tentare di avviare un confronto pubblico e schietto su alcuni anni cruciali della storia d’Italia che fino-ra sono stati raccontati solo nell’ottica della contrapposizione quasi ideologica fra supporter della Procura e del Ros dei Carabinieri e/o della banda Berlusconi.

Quando, alla fine del 2009, la Procura di Palermo depositò nel processo Mori-Obinu i verbali di Ciancimino sulla tratta-tiva ed ebbi la possibilità di leggerli ero sgomento: come avrebbero fatto a gestire in dibattimento un fabbricante di contrad-dizioni? Ma è possibile che capitino tutti aDi Matteo? L’ho pensato. E l’ho pure det-to a qualche amico. Uno di questi m’ha rassicurato: «Lo conosco, è una persona perbene». «Allora vuol dire che è scarso»,replicai io. (…)

“E' stata una trattativa”

Capiamoci: quella tra i Ros e don Vito èstata una trattativa. Senza presunta e sen-za virgolette. E non perché l’abbia “rive-lato” Massimo Ciancimino, la cui credibi-lità ritengo nulla, o perché lo sostengano valenti magistrati bersaglio di furibonde campagne istituzionali, politiche e media-tiche. Nemmeno perché è ormai sancito indiverse sentenze, ma perché emerge indu-bitabilmente dalle parole degli stessi pro-tagonisti: il prefetto Mario Mori, il tenen-te colonnello Giuseppe De Donno e il lorointerlocutore, l’ex sindaco mafioso di Pa-lermo Vito Ciancimino. Sono loro a di-chiarare che don Vito fece da tramite per dialogare con Totò Riina. (…)

Ma, come dicevo, La confusione non è un libro sulla trattativa, bensì su come nonsi possa approdare a una verità giudiziariasu quei tragici anni della storia italiana af-fidandosi a un testimone che sembra un generatore di trattative possibili e a un pubblico ministero che scambia lucciole

per lanterne. Ché finché si tratta di farci titoli di giornali o show televisivi, il verosimile lo si può spacciare per vero, ma quando gli stessi elementi li si sottopone al vaglio di un Tribunale è assaiimprobabile che l’impianto accusatorio regga. Sebbene la vicenda Borsellino (ma non solo quella: i casi di depistaggi giudiziari sono tanti) ci abbia insegnato che anche Tribunali e Corti d’assise possano farsi grandi dormite.

Nei primi due capitoli mi sono limitato a evidenziare svariate contraddizioni di Ciancimino. Nel terzo, partendo da un clamoroso svarione del pm Di Matteo du-rante la requisitoria conclusiva, svarione che considero metafora dell’intero im-pianto accusatorio del processo al genera-le Mori e al colonnello Obinu, ho rico-struito i fatti rendendo evidente il plateale errore del pubblico ministero.

Sebastiano Gulisano, da anni uno dei più esperti cronisti di mafia, è stato redattore dei “Siciliani” di Giuseppe Fava

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Libri/ “Grande raccordo criminale”

La Capitale del Sistema Magliana

Adesso tutti ammetto-no che la mafia è fortis-sima a Roma, con un intreccio di poteri poli-tici economici e crimi-nali senza pari. Ma c'è chi lo denunciava da anni, fuori dai media “ufficiali”

di Giulio Cavalliprefazione a Grande Raccordo Criminale

C’è qualcosa di peggio dell’ignoranza

sulle mafie: l’indifferenza. L’abbiamo letto e sentito mille volte nei libri, nelle campagne elettorali, nei convegni e, se siamo fortunati, nelle cerchie di amici anche tra i discorsi da aperitivo. Eppu-re l’indifferenza che sta sopra Roma e ilLazio in generale è un’indifferenza come la trovi solo qui: ostile, arrabbia-ta, confusa, infastidita. Proprio mentre al Nord gli arresti e la società civile aprono finalmente una lucida discussio-ne sulle mafie senza fermarsi alle nega-zioni e agli allarmi, mentre nel Sud sono centinaia i focolai di rivoluzione e bellezza, Roma cova silenziosamente le proprie braci mafiose come se fosse sta-ta saltata a piè pari dalla scossa della consapevolezza nazionale.

Ecco perché questo libro di Floriana Bulfon e di Pietro Orsatti abbiamo il do-vere (noi, cittadini di questo centro d’Ita-lia) di farlo diventare essenziale: non c’è bisogno di previsioni o di sospetti poiché le mafie della Capitale sono già tutte nellecronache quotidiane, tra gli articoli che nessuno vuole prendersi la briga di mette-re in fila o tra le storie che troppo in frettaabbiamo deciso che sono terminate.

“Facendo i nomi e i cogmomi”

Grande raccordo criminale collaziona finalmente le famiglie facendo i nomi e i cognomi, andando a riprendere i protago-nisti della banda della Magliana che si sono riciclati in anelli di raccordo con la criminalità organizzata, reinserisce i Casa-monica in un contesto più ampio e smette (finalmente) di considerare Ostia un’en-clave criminale apolide così come le con- fische del centro città romano come pic-coli “avvertimenti” da sbattere in prima pagina per un paio di giorni. Serve tirare le fila, serve mettersi con dovizia, intelli-genza e amore (perché c’è tutto l’amore che si potrebbe trovare in un romanzo sul-la difesa della propria terra, in questo li-bro) a studiare, scriverne e farne parlare.

Quando le mafie si attorcigliano tra po-litica, estremismi e pezzi di istituzioni di-ventano qualcosa difficile da raccontare e descrivere cominciano a contare su una impunità culturale oltre che troppo spesso giudiziaria: così le sparatorie in giro per lacittà, la condanna di Carmine Fasciani po-sto al 41bis oppure la colonizzazione dei bagni al lido di Ostia (senza dimenticare l’emblematico caso Fondi) non riescono ascuotere le coscienze soprattutto grazie aduna mancata coesione sociale sul tema (quella politica facciamo che per ora non ce l’aspettiamo nemmeno).

“Tirare le fila di un'antimafia sociale”

Roma e il Lazio hanno bisogno di un’evoluzione consapevole e veloce, de-vono tirare le fila di un’antimafia sociale, politica e culturale che decida per davverodi mettersi in gioco per strutturare un pre-sidio antimafioso di studio e di racconto che spalanchi gli occhi su una città som-mersa tra le slot machine, i “compro oro” pubblicizzati finanche all’interno degli ospedali, le discariche come percolato della legalità, i bingo e il gioco d’azzardo che tengono lati interi di strade al limite del raccordo, di ipermercati che non han-no giustificazione di mercato e un’ediliziaselvaggia com’è selvaggia l’edilizia al

soldo del riciclaggio; poi c’è la droga (e finalmente se ne parla) che per chissà quali strani percorsi dell’informazione sembra diventa roba calabrese e lombardadimenticando quanto la capitale sia snodo fondamentale per i commerci: droga final-mente riportata anche qui, dove l’attività giudiziaria la racconta sempre in transito; poi le minacce: negozi bruciati, uomini gambizzati, usurai fuori dai bar come nei bassifondi di qualche città sudamericana einvece si è appena di qualche chilometro in periferia.

“Un primo fondamentale avviso”

Questo libro è un primo fondamentale avviso: le mafie ci sono, stanno bene, godono di ottima salute e continuano a saccheggiare Roma per riciclare soldi, fare soldi e costruire alleanza. Se le mafie in un territorio stanno bene quindi significa che lo Stato (in tutte le sue formeda quelle politiche a quelle civilissime e sociali) non le combatte abbastanza o addirittura ha trovato l’accordo.

Per questo la speranza di questo libro è che si accenda qualcosa dopo, appena sfo-gliata l’ultima pagina, per riappropriarsi della propria terra e tirarla fuori finalmen-te da questo alone di incompetente nebbiache è scesa (o salita) fino a qui.

Pietro Orsatti, autore di numerosi libri sul Terzo Mondo e sui poteri mafiosi, fra il 2012 e il 2013 ha pubblicato sui “Siciliani giovani” alcune fon-damentali inchieste sulla mafia a Roma.

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Società

Le donnedell'antimafiaLe loro vite, le loro storie, le loro paure

di Miriana Squillaci ww.associazionegapa.org/icordai.html

Donne, semplicemente donne. Sorelle,mogli, madri, figlie e nello stesso tempo giornaliste, sindaci, giudici, collabora-trici e testimoni di giustizia. Donne che hanno sofferto per la perdita delle per-sone che più amavano e di cui sono sta-te capaci di proteggere e protrarre la memoria anche dopo la morte, trasfor-mando l'assenza dei loro cari, in una grande testimonianza di coraggio, for-za, onestà e fiducia nel futuro delle nuo-ve generazioni e di questo paese.

Alcune di loro le conoscete sicuramen-te: Felicia Bartolotta, Elena Fava, Maria Falcone, Rita Borsellino, Rosaria Costa. Altre sono forse meno note: Anna Puglisi,Renate Siebet, Teresa Principato... Donne comuni nella maggior parte dei casi, che mai avrebbero immaginato di diventare simbolo della lotta alla mafia.

A loro è stata dedicata la mostra “Don-ne & Mafie”, proposta dall'Udi ed orga-nizzata in collaborazione con il Comune ela Provincia di Catania all'inizio dell'anno presso il Palazzo della Cultura.

La partecipazione degli studenti

Nonostante la scarsa sponsorizzazione, questa mostra ha visto una grande parteci-pazione delle scuole medie e superiori della città, oltre che dei singoli cittadini.

Ma quanto è difficile raccontare con soli 46 pannelli le vite, le storie, le paure ma anche il coraggio di chi ha fatto della lotta alla mafia la ragione del proprio vi-vere? E, soprattutto, quanto è difficile rac-contare tutto questo a dei ragazzi?

Diventa facile rispondere a queste do-mande dopo aver assistito a una visita guidata per gli alunni della scuola media Aandrea Doria (scuola che, nonostante il grande impregno contro la dispersione scolastica, è stata sfrattata dal quartiere San Cristoforo di Catania a causa della morosità del Comune).

Non servono strategie

Le difficoltà, infatti, spariscono quando a guidare i ragazzi sono donne attualmen-te impegnate nell'antimafia sociale o nelladifesa delle famiglie coinvolte come vitti-me nei processi di mafia, come Elena Ma-jorana e Adriana Laudani.

Ti rendi conto che non servono strate-gie, piuttosto una grande voglia di riscattoper la verità, per la memoria, per i diritti di cui ogni giorno le mafie privano i citta-dini di questo paese.

I ragazzini e le ragazzine seguono atten-tamente con lo sguardo le loro mani indi-

care i volti delle protagoniste della mo-stra, ascoltano con interesse queste storie spezzate, scattano qualche foto ai panelli che raccontano le vite di chi ancora resistee non si arrende all'oppressione delle co-sche.

L'assenza dello Stato

Arriviamo quasi alla fine della mostra e una sezione viene dedicata anche alle donne mafiose, quelle che hanno sostitui-to i mariti a capo delle “famiglie”, rite-nendo più opportuno entrare a far parte dei clan per vendicare i propri cari piutto-sto che affidarsi allo Stato. Quello Stato che, con la sua assenza, ha contribuito allamorte di tanti testimoni e collaboratori di giustizia.

Sarebbe stato bello sentire i commenti degli alunni ma nessuno fa domande, nes-suno esprime un pensiero. Non importa, laloro attenzione ha detto tutto, la mostra li ha colpiti! Ed una nuova classe sta arri-vando.

Ricominciamo dalle donne

Molte volte mi sono chiesta quanto va-lore abbiano le parole: spesso, guardando i telegiornali e leggendo i giornali, mi sono detta che le parole non servono a niente, verba volant... Giorno dopo giornotutti continuiamo a rinunciare ai nostri di-ritti e ci pieghiamo ad una mentalità ma-fiosa, se non alla mafia: “io non posso far-ci niente, tanto sono tutti così e non cam-bierà mai niente. Allora tanto vale essere come loro!”.

Oggi invece mi sono ricreduta: è vero, le parole non bastano, ma da qualche par-te bisogna pur cominciare!

Ricominciare dalla consapevolezza, dal-la memoria, dalla rivendicazione dei dirit-ti. Ricominciamo insieme dalle donne, dalla loro forza e coraggio, ricominciamo dalla loro “normalità” anche nell'essere simbolo di una lotta lunga quanto la storiadi questo paese.

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Società

Ragazzi di mafia

A quattordici anni sonogià uomini fatti

di Michela Mancini www.liberainformazione.org

Vivono una guerra permanente in un mondo diviso da una trincea. Schierati come soldati: da una parte ci sono loro, dall’altra c’è il Paese. Sono cresciuti imparando una sola “regola”: quella mafiosa. Prima d’ogni altra cosa viene la famiglia, che nelle loro terre vuol dire ‘ndrangheta

Per conto dei loro padri, latitanti o in galera, hanno chiesto il pizzo ai commer-cianti, hanno trafficato droga, hanno ucci-so. Fa parte delle regole, non si può dire di no, non sono ammessi passi indietro. Alcuni, raccontano, sotto ai piedi hanno tatuate facce di carabinieri, camminano calpestando lo Stato. Uno Stato che non conoscono.

Dalla 'ndrangheta alla casa-famiglia

Luca – lo chiameremo così – era uno di loro. Il padre fu ucciso in un agguato ma-fioso quando era ancora piccolo, i fratelli sono stati arrestati per omicidio e associa-zione mafioso, uno è al 41 bis, la madre non lo tocca da dieci anni.

Luca è abbandonato a se stesso, recita ilruolo che la ‘ndrangheta gli ha assegnato, si prepara alla stessa sorte scontata dai fratelli maggiori. Passa la notte in compa-gnia di pregiudicati, a scuola non ci va, alla fine la lascia. La madre è una donna stanca, non ha la forza di indicargli una direzione diversa. Passano i giorni, i mesi,gli anni, Luca è ostaggio di un mondo chenon ha scelto.

Assoldato nelle schiere di una delle più potenti famiglie di ‘ndrangheta del reggi-no, legge un copione già scritto.

La “strada nuova” scelta dalla madre

Finché un giorno viene sorpreso dalle forze dell’ordine con degli amici attorno aun’auto danneggiata della Polizia ferro-viaria di Locri. Il processo per furto e danneggiamento si conclude con l’assolu-zione per carenza di prove.

Il suo fascicolo però viene letto con at-tenzione dai magistrati del Tribunale dei minori di Reggio Calabria. I giudici Ro-berto Di Bella e Francesca Di Landro, su richiesta del pm minorile Francesca Stilla,decidono di emettere un provvedimento – d’urgenza e inaudita altera parte (senza contradditorio con la famiglia contro par-te, rimandato ad un secondo momento) – con il quale Luca «viene affidato al servi-zio sociale per inserirlo subito in una co-munità da reperirsi fuori dalla Calabria, i cui operatori professionalmente qualificatisiano in grado di fornirgli una seria alter-nativa culturale». In un primo momento lamadre oppone resistenza, non vuole che anche questo figlio le venga portato via.

Quando le viene spiegato che l’allonta-namento del ragazzo non è punitivo ma volto ad evitare che il figlio subisca la sorte dei fratelli e del padre, accetta di se-guire un percorso di recupero , ma soprat-tutto non si oppone a quello programmatonell’interesse del figlio, nella speranza – inconfessata – di evitare quello che anche a lei sembra un destino ineluttabile e al quale non sembra avere le risorse per con-trapporsi. Paradossalmente, anche i fratel-li più grandi del ragazzo incoraggiano la madre a seguire “la strada nuova” indicatada “un giudice che per una volta si inte-ressa di loro”.

Luca è ancora in comunità, tra poco po-trà ritornare a casa. L’apertura ad un nuo-vo mondo è stata graduale; ha avuto inizionel momento in cui ha capito che qualcu-no si stava prendendo cura di lui e che quel qualcuno rappresentava lo Stato, il nemico per eccellenza. All’inizio del per-corso, voleva essere invisibile agli sguar-di, ai sentimenti, si nascondeva agli altri ea sé stesso. Adesso partecipa agli eventi organizzati dalle associazioni antimafia

del territorio in cui vive. Ha cominciato anche a lavorare come volontario in una struttura che si prende cura di bambini disagiati, li aiuta a fare i compiti, ci gioca.Luca ha ripreso a studiare. Periodicamente va a trovare la madre; i loro percorsi procedono parallelamente, quando si incrociano le loro mani, la speranza di un cambiamento smette di essere un’utopia.

Una rivoluzione silenziosa

La storia di Luca è solo un tassello di una rivoluzione che sta avvenendo in un piccolo tribunale di frontiera. Proprio quello che ha seguito il percorso di Luca. Il presidente del Tribunale dei minori Ro-berto Di Bella, prima gip nella stessa struttura, ha visto passare in quelle stesse stanze i padri e i fratelli maggiori dei ra-gazzi che ora si trova davanti. La confer-ma che la ‘ndrangheta si eredita, e che le famiglie si assicurano il potere sul territo-rio grazie alla continuità generazionale. Una spirale che – spiegano gli inquirenti –bisogna interrompere. Il tentativo – av-viato con questi provvedimenti, adesso se ne possono contare una ventina – non è la mera sottrazione di questi ragazzi ai boss. Una volta emanato il provvedimento di al-lontanamento, i minori vengono ospitati in case-famiglia, dove educatori e psicolo-gi creano dei percorsi di rieducazione in-dividuali.

Come a dire: spostarli non basta, biso-gna che lo Stato si impegni a fornire una valida alternativa al contesto mafioso da cui provengono. Un percorso che affonda le radici nel dolore di una donna.

La morte di Maria Concetta Cacciola

Tutto inizia nel 2011, dopo la morte di Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia calabrese. Costretta ad abbando-nare la località protetta e a tornare in Ca-labria sotto pressione dei genitori e del fratello (ora condannati per maltrattamen-ti), Cetta è morta il 20 agosto del 2011 dopo aver ingerito acido muriatico.

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“La ‘ndrangheta ha bisogno di uominie se li garantisce

allevandoli fin da quando sono bambini”

È stato proprio il suo caso a dare

l’impulso a questa serie di provvedimenti che allontanano provvisoriamente (e in casi particolarmente gravi) alcuni minori dalle famiglie d’appartenenza. Famiglie di‘ndrangheta. Queste misure, emanate dal Tribunale dei minori di Reggio Calabria, hanno in sé una portata rivoluzionaria, proprio in virtù della struttura familiare della mafia calabrese. Si propongono, in-fatti, di spezzare i legami di sangue su cui si regge l’organizzazione criminale.

La storia della Cacciola e dei suoi tre bambini è un caso limite – come tutti quelli presi in esame – che ha acceso i ri-flettori sull’uso che le famiglie di ‘ndran-gheta fanno dei minori. I figli di Maria Concetta sono stati utilizzati come merce di scambio per far ritornare la donna a Rosarno. Hanno subito violenze psicolo-giche senza pari dai loro nonni diventandoprotagonisti di una storia così tanto più grande di loro.

Violenze psicologiche

Dopo un’interrogazione parlamentare sollevata dalla deputata del Pd Laura Ga-ravini (in seguito alla morte di Maria Concetta) il Tribunale dei minori ha ri-chiesto un’indagine da parte dei servizi sociali in casa Cacciola – dove in quel momento risiedevano i genitori di Cetta – per valutare le condizioni in cui i tre ra-gazzini vivevano. I servizi non annotaro-no nessun caso di maltrattamento. L’inda-gine fu archiviata.

Quando il 4 febbraio del 2012 il gip di Palmi Fulvio Accursio emise l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Mi-chele Cacciola, sua moglie Anna Rosalba Lazzaro e il figlio Giuseppe, fu chiaro il ruolo che i tre minori avevano avuto nella vicenda. Un mese dopo con un provvedi-mento a firma dei giudici Francesca Di Landro e Roberto Di Bella, i tre minori sono stati allontanati. Il padre Salvatore Figliuzzi ha perso la sua potestà genitoria-le. I tre bambini sono stati in un primo momento ospitati in una casa-famiglia, successivamente li ha accolti una parente.

Le due bambine, affiancateda uno psicologo, stannofacendo un percorso di rie-ducazione. Il figlio maggiore diCetta, ormai maggiorenne èritornato a vivere nel suo paese.

Lo stesso provvedimento èstato emesso dal Tribunale deiminori di Reggio per i figli diGiusy Pesce, per consentire aisuoi tre bambini di raggiungerela madre in una località protetta. In questi casi la decisione dei magistrati reggini eranecessaria, non solo per la tutela dei minori, ma anche per garantire il proseguimento delle collaborazioni.

Sapere di poter portare i figli con sé, incoraggia le donne ad affrancarsi dalla famiglia d’origine. La ‘ndrangheta le temepiù delle operazioni delle forze dell’ordine. Non solo per la reputazione dei clan: ciò che più li spaventa è l’allontanamento dei minori dalle proprie famiglie. Senza soldati, la ‘ndrangheta che esercito è?

In una delle intercettazioni relative al caso Cacciola, il padre Michele dice: «Avevo una famiglia che… che me la invidiavano. Guarda questi indegni di merda, guarda! Mi divertivo a guardarli a questi nipoti. Il giorno chi c’era più contento di me, chi c’era più contento di me. Almeno mi hanno lasciato questi, ma mi hai preso la figlia. Oh indegni gli prendete i figli ai padri, ai padri… ai pa-dre gli prendete i figli, dov’è questa leg-ge? Questa legge è? Per combattere a memi prendi la figlia?! Per combattere a me?!».

La chiusura di un cerchio

Il provvedimento di allontanamento di questi minori rappresenta la chiusura di un cerchio: dalle donne ai figli. Il percor-so è già segnato, a Reggio hanno avuto il merito di intuirlo.

La cosiddetta “primavera calabrese”, il fenomeno del collaborazionismo femmi-nile, è solo l’input di un processo interno alla ‘ndrangheta.

Se i figli sono il motore propulsore della collaborazione – ma al contempo possono rappresentarne il tallone d’Achille – su di loro che bisogna concentrarsi per estirpare il problema alla radice. La ‘ndrangheta ha bisogno di uomini: se li garantisce allevandoli fin da quando sono bambini. Lo Stato può intervenire su questo nodo, questi casi – cispiegano - non sono sufficienti a scardinare l’intero sistema ma è un inizio. Ma i giudici da soli non possono vincere. Bisogna creare una rete che sia a sostegnodi questo percorso.

“Liberi di scegliere”

Con questo obiettivo nasce l’idea di “Liberi di scegliere”, un percorso da presentare al ministero della Giustizia, firmato dal Tribunale dei minori reggino, dall’associazione Libera-Calabria, dal centro comunitario Agape e dalla camera minorile di Reggio Calabria. Il piano coinvolge un’équipe multidisciplinare chevede schierata non solo la magistratura, ma anche psicologi, educatori e volontari di Libera, della Caritas italiana, dell’associazione Giovanni XXIII e di Addio Pizzo Sicilia. Alla base c’è il tentativo di coinvolgere anche i servizi di giustizia minorile, gli enti locali, gli uffici scolastici territoriali e le agenzie di collocamento professionale.

Se il progetto venisse finanziato, spie-gano i responsabili, quelli che ora sono piccoli germogli potrebbero diventare al-beri enormi. E toglierebbero la terra sotto ai piedi alle ‘ndrine in Calabria e nel restodel Paese.

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Storia

Un “pentito”si confessaParla Filippo Malvagna

di Elio Camilleri

I contenuti di questo articolo sono tratti

dall’intervista a Filippo Malvagna realizzata

da un gruppo di miei studenti del Liceo

Scientifico “Galilei” di Catania con la prezio-

sa collaborazione della Procura della Re-

pubblica di Catania, nella persona del suo

capo di allora, Dott. Gabriele Alicata e della

DIA che ha consegnato al “pentito” le do-

mande degli studenti, restituendone le ri-

sposte.

“Facevo parte della famiglia Santa-paola-Pulvirenti. Si agiva prevalentemen-te a Catania e provincia, ma non si trala-sciavano fuori provincia, fuori regione, sututto il territorio nazionale ed anche, alcu-ne volte in territorio internazionale. Le or-ganizzazioni criminali non delineano mai i propri confini: l'avidità e l'ambizione le porta a voler operare in qualsiasi posto e campo e questo è uno degli elementi base degli scontri cruenti e crudeli che spesso vi sono in organizzazioni diverse e con-trapposte con altissima densità di vittime e spargimenti di sangue. Basti solo pensa-re che dal 1980 ad oggi per mani ed affari mafiosi sono state ammazzate circa 2000 persone nella sola provincia di Catania.

Lascio a voi fare una stima a carattere nazionale di quanti morti e quanto sangue la mafia ha fatto”.

“Il pentimento è un sentimento e anche uno stato d'animo che attraversa ogni es-sere umano nell'arco della propria vita, nel mio caso più volte mi sono pentito delle azioni e dei comportamenti di cui ero partecipe.

Ma non riuscivo a divincolarmi da quel circuito negativo che giorno dopo giorno mi risucchiava sempre di più.

Tante volte ho fatto buone azioni degne dell'essere più corretto e caritatevole, di-mostrando amore e rispetto e tante altre buone qualità, che mai al mondo avrebbe-ro fatto immaginare che io in realtà ero una persona che agivo nella negatività; chi più chi meno la negatività è solo un fattore parassitario che si impossessa di noi, ma che la nostra natura ed esistenza sia stata creata per la positività e che chiunque, chi prima o chi dopo, si pente di tutto l'operato negativo della propria vita. Io oggi più che mai ho capito di ave-re sbagliato contro tutta l'intera comunità e sappiate che la tranquillità non ce l'ave-vo prima e non l'avrò mai, ma almeno mi sento più tranquillo con la mia coscienza.

“Due cose diverse”

“Sono pienamente consapevole della mia collaborazione con la giustizia ed an-nesso pentimento, che sono due cose di-verse, ma che nel caso stanno a significarele stesse cose.

Secondo me le conseguenze più impor-tanti che io e i miei familiari andiamo in-contro sono di essere individuati e massa-crati barbaramente che nemmeno la vostraimmaginazione potrebbe cercare di imma-ginare. Ma ci sono altre cose, situazioni, sensazioni e sentimenti che bisogna vive-re per poterli spiegare. Tutte queste conse-guenze e sacrifici non sono niente al con-fronto di ciò che sono stato in passato e quindi li accetto e li faccio senza alcun rimpianto”.

“La mia famiglia”

“La mia famiglia è stata uno dei fonda-menti basilari alla mia volontà e decisionedi collaborare con la giustizia. Io proven-go da una famiglia di onesti e sinceri la-voratori; l'unico punto nero della mia ge-nerazione sia paterna che materna sono stato io e posso dirvi che anche mia mo-glie, che essendo una Pulvirenti proviene da una famiglia dal culto mafioso, è stata d'accordo ed ha contribuito alla mia sceltadi collaborare con la giustizia, accettando tutti i sacrifici e i rischi che una scelta del genere comporta unitamente ai miei geni-tori. Di questo e di tutto ne sono orgoglio-so e fiero oltre che riconoscente”.

“Io mi sono pentito davanti a tutto ciò che esiste nella comunità in cui tutti gli esseri umani vivono e, naturalmente, an-che davanti alla mia coscienza spirituale emorale; di questo ne darò atto nell'arco della vita che mi rimane da vivere. Mi sono pentito anche davanti alla legge, ne sto dando atto e sempre ne darò collabo-rando con la giustizia. Penso che solo cosìfacendo si possa manifestare pentimento totale e chiedere scusa e perdono per tutti i mali che ho fatto a tutta quanta la comu-nità in cui ho vissuto e vivrò”.

L'integrale è su a “Il ruolo dei pentiti nella lotta

contro la mafia”, a cura di Elio Camilleri): hw-

ww.liceogalileict.it/Aulaperta/popdown.asp?

cod=26

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6464

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Storie

Gli amicidell'anno XIV

dajackdaniel.blogspot.it/

A rapporti sociali non sto messo

male, anzi. Su Facebook ho più di due-cento amici e una dozzina di followers su Twitter. Sto anche su alcuni forum, uno di cucina, uno di televisione e uno di egittologia anche se però non sono mai stato in Egitto.

Però non ne ho bisogno, in effetti, per-ché quello che c’è da sapere già lo so: le piramidi non sono state costruite quando ci vogliono far credere ma molto, molto prima. E non erano solo umani terrestri quelli che le progettarono. C’è l’analisi al carbonio 14 che lo dimostra, ci sono le prove, ma non lo vogliono ammettere.

E poi che ci vado a fare in Egitto? Fa caldo, e quello che c’è da vedere me lo vedo tranquillamente a casa sul mio nuo-vo televisore. Smart. Il televisore, dico, si vede benissimo e l’audio 5.1. è fenomena-le. Sembra di stare lì, veramente.

Comunque, no, in Egitto non c’ho biso-gno di andarci, le cose le capisco meglio qua. Ecco, questa è una cosa che solo qualche anno fa non si sarebbe potuta fae.Un tempo mi sarei dovuto leggere un libro, oggi invece accendo internet e so tutto quello che devo sapere.

E se proprio proprio mi serve un libro me lo posso ordinare su Amazon. Fino a cento anni fa questo non succedeva, la gente era ignorante, chiusa in un buco di villaggio, senza sapere cosa succedeva nelmondo. Oggi invece fai. click e c’hai tuttoquello che ti serve, anche le prove sulle piramidi. Poi il cinema, l’ho già detto che ho il televisore nuovo? E’ smart, e anche 3d. Pensa a prima: se ti volevi vedere un film dovevi uscire di casa, metterti in fila, andare al cinema con accanto un bambinoche ride come un deficiente per due ore. Che poi magari era proprio deficiente.

E chatto un po' con chi mi trovo

Adesso mi metto sul divano sdraiato come un pascià e mi vedo il film senza che nessuno mi rompa le scatole. Lo stes-so per le partite, le vedi meglio a casa che allo stadio, costa di meno e stai al caldo.

Quando poi mi va di passare una serata con qualcuno vado al computer e chatto un po’ con chi trovo. C’è gente incredibi-le, gente che non avrei mai incontrato, cheabita in capo al mondo. E cosa fai, cosa hai mangiato, come sta il tuo cane, ci parlispendendo niente.

Prima dovevi alzarti, scendere giù al bar, ordinare da bere, aspettare qualcuno che magari non passava e poi guardare sempre le stesse facce.

Non devo proprio vedere nessuno

Ora, col progresso, per fare amicizie non devo manco uscire sul pianerottolo anzi, non devo proprio vedere nessuno. E sono le amicizie migliori, quando sei stu-fo di certa gente la banni e ne cerchi un altro mentre prima se mi rompevo di un tizio non c’erano santi e me lo dovevo sorbire tutte le sere.

Come per la politica, no? Chi li aveva mai visti i politici, prima? Stavano a Roma, nelle auto blu e se dovevi votare votavi per il politico che stava qua o per ilpartito che c’aveva la sezione qua sotto. Ese non sapevi chi votare dovevi uscire di casa, ascoltare un comizio, parlare con i vicini che stavano nei partiti e perdevi oree ore a discutere, a cercare di capire e poia decidere.

Senza comizi, senza fatica

Ora, invece, accendi la televisione, che poi la mia è smart, e trovi sempre quello che devi votare: te lo puoi guardare tutte le sere e capire se è il tipo giusto o no. Senza sbattimenti, senza fatica, senza co-mizi, sezioni o partiti: non servono più, inutili.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6565

Ne ho più di mille. E senza bisogno di uscire di casa, anzi neanche di alzarmi dalla mia poltrona

di Jack Daniel

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Bitcoin

La bancarotta(protetta)di MtGoxChiude Mtgox: derubatio scappati col mallop- po? E come mai non è crollato il Bitcoin?

di Fabio Vita www.bitcoinquotidiano.com

Non è la truffa del secolo (quella di Maddoff viene stimata cento volte più grande) ma l'impatto è notevole, almeno per il numero di utenti coivolti.

Mtgox, il sito cambiavalute di Bitcoin, primo negli scambi fino a metà dell'anno scorso, chiede la bancarotta protetta alle autorità giapponesi in cui ha sede.

Il vice ministro delle finanze giapponese Jiro Aichi dice che il governo considera possibile regolamentare Bitcoinma che questo deve'eessere fatto in sede internazionale. Oltre 800.000 bitcoin, al cambio del giorno dell'annuncio 450 milioni di dollari, (580 dollari l'uno) un quindicesimo dei 12 milioni in circolazione, sono stati rubati, truffati o

persi; poco più di un milione di utenti, a quanto pare, coinvolti.

La situazione è degenerata il 7 febbraio,quando vengono bloccati sul sito Mtgox depositi e pagamenti in Bitcoin.

Mtgox dichiara che è per un problema noto come "malleability bug": esso però è conosciuto dalla community dal 2011, e nessun programma che usa Bitcoin incappa in questo problema da anni.

Il sistema di pagamento Bitcoin è rimasto perfettamente in funzione: nè il protocollo, nè i software hanno avuto bisogno di essere aggiornati.

Siti come quello del cambiavalute Mtgox permettono lo scambio di Bitcoin con valute tradizionali.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6666

La moneta senza bancheTrend, tecnologia, applicazioni, mercati

Tutto sul bitcoin, in tempo reale

CronologiaL'AFFAIRE MTGOX

Agosto 2013Iniziano i problemi di Mtgox sui previevi in valuta. Inizia uno

"spread" notevole con gli altri exchange (i bitcoin vengono valutati di più su Mtgox perchè passa anche un mese per ricevere i bonifici)

Dicembre 2013Falkwinge, del partito pirata svedese, segnala che Mtgox non

porta a termine prelievi in valuta di un certo valore Gennaio 2014Falkwinge denuncia che in Mtgox che alcuni prelievi di

bitcoin non vanno a buon fine 7 febbraioMtgox blocca i prelievi e depositi in bitcoin (ma accetta

dollari in entrata, e gli scambi di bitcoin rimangono ancora possibili internamente al sito) scaricando la colpa ad un bug e agli sviluppatori

21 febbraioJeff Garzik nel team di sviluppo bitcoin e della foundation,

ancora rassicura su Twitter. Contattato da noi di Bitcoin Quotidiano sulla notizia, sul forum bitcointalk, dell'apertura di una causa legale contro Mtgox, e del fatto che fosse ancora Gold Member della fondazione.

Garzik rassicura dicendo di aspettare e vedere, le cause legali

succedono, dicendo anche che la Linux Foundation è stata chiamata in causa da Ibm e Intel

23 febbraioMtgox Ltd e Mark Karpeles ammistratore delegato, lasciano

la Bitcoin Foudation24 febbraio Viene pubblicato un Pdf come se si trattasse di un documento

interno di Mtgox "Crisis Strategy Draft".Salta subito all'occhio dello sviluppatore del settore sicurezza

di Blockchain.info Andreas Antonopoulos che il furto sarebbe del "cold storage" ma è una contraddizione nel termini o "una spaventosa bugia", perchè il cold storage per definizione non vaonline. È come se una banca dicesse che ha il cavou negli sportelli

Poche ore dopo sei compagnie legate a Bitcoin rilasciano un comunicato "Joint Statement Regarding Mtgox" dicendo che i loro siti sono sicuri e impegnandosi per avere al più presto dei controllori terzi sulle loro compagnie.

Lo stesso giorno Mtgox chiude definitivamente ogni forma ditransazione sul sito

27 febbraio Fioccano le ipotesi di cause legali, complottismi, e ricerca di

documentazione sui forum Reddit e bitcointalk28 febbraioViene avviata e accettata dal tribunale di Tokyo la procedura

di bancarotta protetta per Mtgox; Mark Karpeles (di lingua francese) ammistratore delegato di Mtgox si scusa in giappone-se con tanto di inchino; il film non è ancora finito.

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Ma Mtgox non è Bitcoin, nè Mtgox è "la banca dei Bitcoin" come scrive "La Stampa".

Ma allora c'è stato un furto di enormi proporzioni? Hackingdaily.com: "Noi nonstiamo dicendo che [Mtgox] non ha perso delle monete per colpa del malleability

bug [nel 2011] ma non c'è modo che 500.000 monete siano state rubate".

La Bitcoin Foundation - che promuove l'uso e la diffusione di Bitcoin ma non ha compiti di supervisione - non esce molto bene dalla vicenda, visto che Mtgox era tra i membri Gold della fondazione. E appena il 27 gennaio scorso, Charlie Shrem vicepresidente della fondazione si era dimesso perchè incriminato per riciclaggio e rilasciato su cauzione a New York per vicende connesse a Silk Road.

Da notare che parte dei bitcoin sequestrati dal Fbi a Silk Road stanno per essere venduti all'asta. Il procuratore di New York, incriminando Charlie Shrem, tenne a precisare che la giustizia combatteil riciclaggio sia in bitcoin che in dollari: illlegale non è il bitcoin mama l'uso che può esserne fatto.

La Bitcoin Foundation

La comunità bitcoin italiana, nel forum bitcointalk, ha messo spesso in guardia nei confronti di Mtgox. In maniera netta eprecisa almeno dall'estate 2013, quando Mtgox accusa i primi problemi nei prelievi di moneta da parte degli utenti.

Molti giornali, in Italia, preferiscono sottolineare genricamente la paura: il So-le24ore dice che è impossibile "stimare la perdita da un punto di vista non monetarioma di credibilità" e che "un crack del ge-nere è un colpo dolorosissimo, che po-

trebbe bloccare la vertiginosa ascesa dellacriptomoneta nella finanza mondiale".

Altrove, il New York Times parlando di Mtgox anticipa la notizia che SecondMar-ket sta sviluppando un exchange Bitcoin con sede e documentazione americane. SecondMarket promuove Bitcoin dall'autunno scorso ai suoi investitori tra-dizionali, scrivendo che usare un portafoglio Bitcoin è difficile per un "utente qualsiasi" e che il loro fondo è piùsicuro degli exchange in giro.

Intanto la California...

Un bitcoin valeva 822 dollari su Bit- stamp a inizio febbraio, 550 il 10 febbra-io, 400 il 25 febbraio, 710 il 3 marzo.

Senza la vicenda Mtgox i riflettori dellenotizie su Bitcoin sarebbero rimasti puntati sullo stato della California che vuole legalizzarne a tutti gli effetti l'uso o sulla polemica lanciata da Mike Hearn (sviluppatore Bitcoin proveniente da Google) che lamenta una scarsa collegialità nel team di sviluppo.

Oppure su Auroracoin, una cryptomoneta che un privato intende distribuire a tutta la popolazione islandese; o su MazaCoin, moneta ufficiale della "Oglala Lakota Nation" negli Stati Uniti. O sul fantomatico ritrovamento di Satoshi Nakamoto.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6767

Fabio Vita Senza banche Bitcoin, la moneta di Internet

Saperne di piùJeff Garzik su Twitter:https://twitter.com/bitcoin_ita/status/436856270558343168Il New York Times su Mtgox e SecondMarket:http://www.nytimes.com/2014/02/25/business/apparent-theft-at-mt-gox-shakes-bitcoin-world.htmlSpeculazioni sulla fine di Mtgox:http://www. hackingdaily.com /2014/02/Mtgox- speculations.html?m=1Su urban dictionary (dizionario del gergo di strada, in inglese) il termine "Goxxed" esiste dal 2011 e significa qualcosa tipo "rovinato dall'incompetenza":http://it.urbandictionary.com/define.php?term=goxxedLa moneta dei nativi americani:http://www.telegraph.co.uk/technology/news/10668018/Native-Americans-adopt-bitcoin-clone-as- official- currency.html

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Società

“Io gay e mio padre comunista”“Quando è successo che la sinistra in cui credevo ha tradito i no-stri ideali e le nostre aspettative?”

di Marino Buzzi

Un po' di tempo fa, ascoltando il so-ciologo Asher Colombo presentare la nuova edizione del suo libro Omoses-suali moderni, scritto insieme a Marzio Barbagli, e pubblicato da Il Mulino, ri-cordo una frase molto interessante. Co-lombo disse: “In passato era più sem-plice dirsi omosessuali con un padre cattolico che con uno comunista, i cat-tolici hanno questa strana idea del “perdono” e della “carità cristiana”, per un comunista duro e puro un figlio omosessuale era qualcosa difficile da digerire”.

Io con un padre comunista ci sono cre-sciuto: uno di quelli che credeva nel parti-to e ogni tanto metteva in un grosso gira-dischi un vinile che conteneva Bandiera rossa, apriva le finestre e lasciava che tut-ta la via ascoltasse, mentre mia madre gli urlava di piantarla. Sono cresciuto con il ritratto di Marx appeso alla parete e l'idea che il comunismo fosse cosa buona e giu-sta. Ho visto, crescendo, la disillusione negli occhi di mio padre. Anche se non lo ha mai ammesso ho visto che la politica loha tradito, anche se mentre la politica gli girava le spalle lui rimaneva saldo nei suoi ideali. Operaio. Proletario. Un uomo che ha sempre anteposto gli altri alla pro-pria felicità.

A mio padre che sono omosessuale non l'ho mai detto apertamente, non ce n'è sta-to bisogno.

Lo ha capito senza grosse tragedie. Lui, che è sempre stato un uomo schivo, riser-vato, uno di quelli che cerca sempre di ca-pire come funzionano le cose, ha sempli-cemente accolto il mio compagno in casa così come aveva accolto il compagno di mia sorella.

Ha le mani d'oro, mio padre. Se gli portiqualcosa che non funziona lui te lo aggiu-sta, trasforma oggetti inutili in cose utili; io, invece, non so stringere nemmeno un bullone.

Un po' meno uguale

Siamo diversi, io e mio padre. Eppure cisomigliamo più di quanto siamo disposti ad ammettere.

La morte dell'ideologia di sinistra ha fe-rito lui così come ha ferito me. Il sogno diun futuro senza classi sociali è fallito mi-seramente. Non siamo mai stati tutti ugua-li e non lo saremo mai.

Solo che io che sono frocio mi sento un po' meno uguale degli altri.

Quando ho raggiunto l'età per votare c'era Rifondazione comunista, era il 1994 e tutti sappiamo come andò. Non si parla-va ancora di matrimonio per le coppie omosessuali, non si parlava di tutelare gli/le omosessuali contro l'omofobia, ma l'immagine che mi ero fatto era quella chela sinistra fosse la casa “naturale” per le-sbiche, gay, trans e bisex.

La colpa, lo ammetto, è stata anche no-stra.

Forse troppo conniventi con una certa idea di politica, ingenui nel credere che la sinistra avrebbe fatto qualcosa di concretoper noi. Qualcuno si è fatto illudere dall'idea che bastasse avere rappresentantipolitici omosessuali per cambiare le cose.

Eppure nel duemila il fermento cultura-le e sociale di questo paese mi aveva in-dotto a pensare che le cose sarebbero cambiate sul serio.

Mi guardo indietro, ora, per cercare di individuare esattamente qual è stato il punto di rottura.

Cosa resta della sinistra?

Quando è successo che la sinistra in cui credevo ha tradito i nostri ideali e le no-stre aspettative? Quando sono venute meno le promesse sui PACS? Quando hanno proposto i DICO? Quando mi sono reso conto che molti politici GLBT si oc-cupavano, come molti altri, di un meschi-no interesse personale a discapito della comunità? O quando la sinistra ha sven-duto il futuro delle nuove generazioni, fa-cendo accordi con chi ha creato ingiusti-zie sociali e ridotto i diritti?

La disillusione fa male, ma ti permette di avere una visione neutrale.

Cosa resta della sinistra in questo paese? Renzi? Gente che in campagna elettorale parla di diritti per tutti e poi, una volta al governo, fa capire che i dirittinon sono una priorità? Uno che sceglie come ministri persone vicine a ideologie che vanno contro i fondamenti stessi dellasinistra?

Credo ancora nella lotta

Incredibilmente, oggi, mi rendo conto che non posso scindere il mio essere figliodi operaio, proletario, ex comunista, gay. La sinistra, lo capisco mentre scrivo, non ha tradito solo le persone GLBT. Ha tradi-to in più occasioni il suo elettorato. Ha tradito i suoi ideali. Il suo mandato.

Non mi chiedo nemmeno più per chi votare perché, di fatto, una sinistra vera oggi in questo paese non esiste più. Esisteun'apparenza, qualcosa che serva a dirsi sempre meno diversa da una destra che non è mai stata al passo con i tempi.

E non credo più alle promesse, agli “io farò”; non credo più alle rappresentanze GLBT in politica, non credo più ai diritti sponsorizzati.

Credo invece ancora nella lotta. Solo che la lotta è qualcosa che costruisci e porti avanti ogni giorno e, francamente, inquesto paese non vedo più nemmeno que-sto.

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Politica

La Padaniafa scuolaLo stile “vaffa” dilaga nel web. Non si tratta più di singoli episodi, ma di un modo di esprimersi che è diventato “normale”

di Riccardo De Gennaro www.ilreportage.eu

Il web è la Padania di Grillo. È qui che il leader del Movimento 5 stelle puòscorrazzare a suo piacimento, dare la li-nea politica ai suoi, decidere i bersagli, bacchettare, anche insultare (“i politici ciarlano col c…”, una delle sue ultime finezze), senza che gli aggrediti possanodifendersi.

Nel web, attraverso il suo sito, Grillo raccoglie consensi, travasa voti non solo dalla Lega, recluta gli attivisti, ascolta quella che ritiene sia la vox populi nell’ambito di una pretesa, sebbene male interpretata, “democrazia diretta”. Come il primo Bossi con i suoi fucili e le sue pallottole, Grillo arma i suoi, di volta in volta, contro Napolitano, Boldrini, Oppo, Augias e chiunque altro osi criticare il pensiero e la prassi dei “pentastellati”.

È un’escalation, ma qualcosa gli è sfug-gito di mano.

A questo punto non ha più importanza se abbia torto o ragione: senza dubbio qualche volta ha ragione, ma chi alza i toni e abbassa il livello del linguaggio fino al turpiloquio si colloca automati-camente dalla parte del torto.

Il polverone mediatico

Il rischio è che, nel polverone mediaticosollevato per aumentare contatti sul web e“adepti”, nonché – di conseguenza – gli introiti pubblicitari del sito, Grillo dilapidirapidamente (e molto prima delle prossi-me elezioni politiche) il patrimonio di cre-dibilità che, con la parte più intelligente dei “grillini”, era riuscito ad accumulare dimostrando, non solo al suo elettorato, che il potere oggi è in mano a un “re nudo”.

Sappiamo che Grillo ha costruito la sua fortuna con i “Vaffa-day”, un “vaffa” gri-dato nelle piazze tutte, non solo virtuali, dove tuttavia argomentava quei “vaffa” con dati, cifre, opinioni di esperti talvolta con lui sul palco.

Ma è incredibile che un leader oggi si abbassi a scherzi da asilo infantile, come quella domanda: che cosa faresti alla Bol-drini in macchina? Oppure che non censu-ri De Rosa e Messora dopo le volgarità nei confronti, rispettivamente, delle depu-tate del Pd o della stessa Boldrini.

Sotto quota Borghezio

Non si pretende un parlare forbito, ma èevidente che il livello del linguaggio è sceso ai minimi storici, addirittura sotto quota La Russa, sotto quota Borghezio. Inquesto l’M5S appartiene, come la Lega, alla peggiore tradizione del populismo di destra: nell’uso della parola.

Quando saltano le regole del confronto civile rischiano di saltare anche quelle della convivenza. A quel punto, il fasci-smo è dietro l’angolo.

L’onorevole Di Battista, considerato l’esponente tra i più persuasivi e telegeni-ci del movimento (tranne forse quando so-stiene di sentirsi all’altezza di fare anche il presidente del Consiglio) ha recente-mente pronunciato un suo “me ne frego”, sebbene edulcorato in un meno arrogante “me ne infischio”.

La deriva del movimento

La strada rischia di diventare questa. Sarebbe bene che i grillini più seri si ren-dessero conto della pericolosa deriva che il movimento può conoscere. Oltre che at-traverso il web e la sua mancanza di con-trollo, anche per l’assenza di autocontrol-lo.

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Palermo

Una propostacontro la povertàSe il patrimonio immo-biliare della Curia ve-misse usato per aiutarei senzacasa? Forse an-che il Papa sarebbe d'accordo...

di Nino Rocca

La povertà dilagante in città ha co-stretto per la strada centinaia di fami-glie che non possono più pagare un af-fitto perché hanno perso quel lavoro, sia pure precario, che consentiva loro disbarcare il lunario.

Coppie giovani, per lo più, ma anche coppie di cinquantenni, che non hanno piùuna occupazione e non sanno come cam-pare giorno dopo giorno, vagano senza meta, come fantasmi nella città.

La Istituzioni a causa della grande crisi economica e delle ristrettezze imposte dall’Europa sempre più votato ad un rigi-do liberismo economico, hanno tagliato, in modo drastico le spese sociali.

Nell’ottocento e nei gli anni del primo novecento sino agli anni ’60 gli ordini re-ligiosi hanno supplito alle carenze delle Istituzione assumendosi il carico dei po-

veri con il ricovero per i senza casa, con gli orfanotrofi, con l’assistenza ai più po-veri.

Tanti ordini religiosi vecchi e nuovi sia maschili che femminili non hanno fatto sentire la loro mancanza andando incontroai bisogni degli ultimi.

Tra i più noti, nati a Palermo, Il Bocco-ne del povero di Giacomo Cusmano e l’orfanotrofio di padre Messina, e tanti al-tri ordini, nati nel resto dell’Italia e all’estero, si sono dedicati ai più poveri.

Tanti altri ordini religiosi si sono dedi-cati ai più ricchi attraverso le scuole e i collegi, il più noto a Palermo l’Istituto delSacro Cuore, nato nel 1909.

Oggi, per la crisi delle vocazioni e per ilcambiamento della società, molti di questiordini non sono più in condizioni di man-tenere le grandi strutture sorte a favore deipoveri o della ricca borghesia o della no-biltà, e chiudono i battenti.

E’ il caso dell’Istituto del Sacro Cuore posto in vendita nel 2004, l’Istituto delle figlie di san Giuseppe in via Oberdan, gioiello del migliore liberty, messo in vendita nel 2008, entrambi occupati dai senza casa.

Oggi nella nostra città, a causa dell’assenza delle Istituzioni, si rischia, ,da una parte, di non riuscire a governare il disagio sociale che esige una risposta certa e urgente e dall’altra, di mettere a re-pentaglio la ricchezza inestimabile degli Istituti e conventi religiosi che vanno chiudendo svendendosi al migliore offe-rente.

Palermo rischia di essere impoverita ul-teriormente non solo per una povertà che ha raggiunto livelli preoccupanti ma an-che, per la dispersione di una parte del suo preziosissimo patrimonio artistico, culturale, storico e religioso.

A questo punto avanziamo una propostache ci sembra ragionevole per rendere compatibile sia l’assistenza non più proro-gabile ai senza casa e ai più poveri della città, sia la salvezza dell’incomparabile patrimonio artistico e religioso della no-stra città.

Affidiamolo in comodato d'uso

Chiediamo alle Istituzioni, Regione e Comune che aprano un dialogo con i rap-presentanti delle Congregazioni religiose e con la Curia, perché si valorizzi l’immenso patrimonio immobiliare di en-trambi, attraverso degli accordi che pre-vedano l’affido, in comodato d’uso, dei Conventi e degli Istituti che le congrega-zioni o la Curia non sono più in grado di mantenere per il costo della manutenzio-ne, perché vengano utilizzati dalle Istitu-zioni, in accordo con il privato sociale, per le finalità per cui furono utilizzati da-gli stessi in passato.

E in tal modo l’appello del papa verreb-be accolto nel migliore dei modi mettendoin sicurezza lo splendore artistico e il va-lore religioso e morale di cui godevano nel passato.

Comitato di lotta per la casa 12 luglio

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7070

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Palermo

L'EcoMuseoUrbanoMareMemoriaViva: me-moria e riqualificazionedel fronte a mare di Palermo

di Giovanni Abbagnato

Spesso viene considerato anacronisti-co l'uso di ricorrere alla saggezza popo-lare per comprendere fenomeni anche assai complessi, come l'involuzione so-ciale e ambientale di una città tragica-mente importante come Palermo.

Per esempio, una testimonianza straor-dinariamente lucida di un anziano di una borgata marinara ha fissato, in modo inde-lebile, l'evidente abbandono del mare da parte della città di Palermo. Una città che,incredibilmente, ha “girato le spalle” alla straordinaria risorsa della sua lunghissimacosta, il cosiddetto “fronte a mare” o wa-ter front, come si ostinano a dire gli irri-ducibili dell'esterofilia linguistica, anche quando francamente inopportuna.

Constatava il vecchio saggio con le sue parole essenziali: “A Palermo quando si vuole sottolineare l'inutilità assoluta di qualcosa, a volte insieme al suo essere dannosa, si consiglia o si intima, secondo i punti di vista: ma vallo a buttare a mare!”

E questo hanno fatto nei decenni i pa-lermitani, a partire dalle loro istituzioni che dovevano salvaguardare lo straordina-rio patrimonio ambientale del litorale –tanto vario quanto attraente- di una splen-dida città di mare e dell’enorme potenzia-le socio-economico che da esso poteva derivare.

I palermitani hanno buttato nel loro mare di tutto: rifiuti e scarti di tutti i tipi, addirittura le macerie dei bombardamenti alleati.

Il sacco edilizio dei Lima e Ciancimino

E poi quelle del sacco edilizio della Pa-lermo dei Lima e Ciancimino, comprese quelle delle ville liberty fatte esplodere di notte dai palazzinari mafiosi per aggirare sbrigativamente ogni eventuale vincolo legale per fare posto a orrendi e altissimi scatoloni in dedali stradali inestricabili.

Palermo ha anche girato le spalle al suo mare sovrapponendo alla sua vista quante più barriere possibili, spesso lerce e brut-tissime, in un arco ampissimo, ponendo una frattura profonda tra terra e acqua e impedendo, di fatto, quella continuità tra mare e città che in giro per il mondo ha fatto fortune socio-economiche, anche in contesti urbani di ben minore potenzialità rispetto a Palermo.

Da qui prende le mosse – e non è poco – l'intuizione dei giovani di Clac, un gruppo di organizzatori culturali, parte di una delle più interessanti realtà di giovani imprenditori siciliani sorta all'interno del coworking Federico II, che ha progettato e realizzato un Ecomuseo urbano denomi-nato Mare Memoria Viva. Il progetto è stato selezionato per il finanziamento del-la Fondazione Sud e ha ottenuto il parte-nariato del Comune di Palermo, della Re-gione Siciliana e della Soprintendenza delMare.

Nell'antico Arsenale

L'EcoMuseo, ospitato in due interessan-tissimi luoghi della Palermo costiera: l'antico Arsenale e l'ex Deposito delle lo-comotive di Sant'Erasmo, è costituito da un insieme di installazioni che organizza-no video, foto, tracce sonore, testi di di-versa natura, per una fruizione efficace e coinvolgente. Come hanno voluto precisa-re i progettisti, “L'EcoMuseo è un museo del territorio che mette al centro la funzio-ne sociale e la partecipazione della comu-nità”. O per dirla con le parole dello stu-dioso Hugues De Varine, “un patto con il quale una comunità si impegna a prender-si cura di un territorio”.

Infatti, l'EcoMuseo è principalmente il prodotto del lavoro dei giovani progettisti e realizzatori che hanno avviato un lungo lavoro di ricerca sul territorio, non solo tragli scaffali delle biblioteche e degli archi-vi pubblici, ma soprattutto tra la gente della “Palermo a mare”, che ha donato i suoi racconti ed esperienze ed ha aperto i cassetti dei ricordi di famiglia: fotografie, video, lettere, oggetti...

Un museo non statico

Si tratta di un museo non statico, la cui originalità è data dal naturale coinvolgi-mento della gente per farne il proprio luo-go dei ricordi, ma anche di un presente da costruire partecipando ancora, anche con attività proposte per bimbi ed adulti. Un EcoMuseo fatto dalla gente e quindi sem-pre in divenire, perché potrà continuare adarricchirsi di tanti altri apporti che riemer-geranno da quello stesso mare così offeso e dimenticato. Un EcoMuseo che -raccon-tando attraverso le persone la storia di un territorio, nel caso del litorale di Palermo, violato, ferito e negato– evidenzia il fluiredella vita, per quella che è stata e che è, con tutta la gamma dei sentimenti e delle vicissitudini presenti.

Insomma, il racconto attraverso un Eco-museo del mare fatto da Memoria Viva perché, come puntualizzano ancora i gio-vani di Clac “il mare racconta molto dellacittà che c'era, che c'è e che potrebbe es-serci”: storie positive di lavoro, di relazio-ni umane, di solidarietà, di quotidiano eroismo.

Ma anche storie negative, fatte di ab-bandono e degrado sociale, dominio ma-fioso, corruzione e devastante abusivismo edilizio. Allora l'EcoMuseo può diventare soggetto culturale rilevante per la crescita di una società attraverso la riqualificazio-ne di una costa di straordinaria bellezza, di enorme potenzialità; e non possiamo capire come Palermo abbia voluto e potu-to voltare le spalle al mare, con cieca vo-lontà di abbandono e distruzione.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7171

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Catania

San Berilloabbandono annunciato“Se qualche ammini-strazione risanasse davvero San Berillo sa-rebbe ricordata nella storia di questa città”

di Vincenzo Rosa

Eh già, risanare. Riferito allo stato at-tuale del quartiere sembrerebbe qual-cosa di lontano e difficilmente raggiun-gibile. Eppure, un semplice giro basta per accorgersi della bellezza di questi luoghi, di come sarebbe facile immagi-nare un nuovo sviluppo del quartiere.

Siamo tornati per guardare da vicino l'evoluzione dell'attività sociale nel quar-tiere e per capire -in qualche modo- se neipiani alti dell'amministrazione catanese sia cambiato qualcosa relativamente ai progetti su San Berillo.

* * *Il comitato popolare degli abitanti è

nato da poco meno di un anno, ma il suo lavoro all'interno del quartiere è già rico-nosciuto e apprezzato dagli abitanti. Al nostro passaggio tutti salutano i ragazzi che ci accompagnano, chiedendo loro consigli, scherzando, cercando di infor-marsi sull'ultima notizia che disturba la paciosa mattinata del rione. Un edificio è stato dichiarato inagibile dopo due incen-di e al proprietario sono stati recapitati delle intimazioni a murare gli accessi. Quel luogo, infatti, era stata eletto dimora da alcune prostitute.“Devi dire a Maria che può spostarsi nell'altro basso, in quello non può più stare, ho già parlato con le altre, è tutto ok”. I ragazzi del co-mitato hanno aiutato le ragazze “sfrattate”a trovare nuova occupazione, spiegando più di mille parole la natura e le modalità dell'intervento sociale nel quartiere.

Approfittiamo della bella giornata per fare un piccolo giro. Iniziamo da dove, nel giugno del 2013, un ragazzo tunisino di poco più di vent'anni venne ucciso a sassate sulla testa “le pietre le hanno pre-se da qui. Dopo che hanno tolto il basola-to antico, sostituendolo con uno a buon mercato, ogni volta che piove salta tutta la pavimentazione”. Viene indicata una colata di cemento alla buona, intervento del comune dopo le recenti piogge. Altre pietre sono adagiate ordinatamente in un gradino, accanto a quello che fu il luogo del delitto.

Mentre camminiamo gli attivisti del co-mitato ci parlano dei loro progetti e della rete sociale avviata, di quelli che sono gli obiettivi da raggiungere e quali i problemida risolvere: “Parliamoci chiaro, qui vo-gliono fare passare il messaggio che San Berillo sia un'erbaccia da estirpare per-chè dentro ci sono solo prostitute e immi-grati. Per ora, nell'attesa che si sblocchi-no i loro 'piani di riqualificazione' lascia-no tutto com'è, degrado e sporcizia. In questo modo saranno legittimati ad ap-propriarsi di tutto per fare quello che vo-gliono.”

Svoltiamo l'angolo e arriviamo in via Carramba. Una strettissima viuzza a sini-stra delimitata da un muro il quale non si capisce bene per quale principio fisico rie-sca a stare in piedi e non crollare. Dietro c'è una sciaretta, un piccolo sputo di ver-de in mezzo al quartiere, trasformata in discarica dagli operai del comune quando,nel 2009, ripulirono l'edificio di fronte.

Questo immobile, donato circa vent'anni fa al comune di Catania da un privato, è oramai quasi del tutto diroccato.Da un po' di tempo è stato occupato da

una prostituta, che lì ha trovato la propria alcova per viverci e lavorare.

Eppure, da un'intervista rilasciata alla Sicilia nel 2009 dall'allora assessore ai la-vori pubblici Filippo Drago, sappiamo cheproprio quello stabile fatiscente sarebbe dovuto essere il punto di partenza per una 'completa riqualificazione del quartiere'. Addirittura, dichiarava l'assessore, furono investiti 3 milioni di euro, i quali, a guar-dare bene il palazzo, non si sa capisce come siano stati spesi, anzi, meglio, se siano stati mai spesi.

Ovviamente, essendo del tutto perico-lante, l'edificio necessita di una profonda messa in sicurezza per la quale il comune non ha fondi a disposizione. Per cercare dilimitare le proprie responsabilità, gli ufficicomunali hanno avuto la geniale pensata di mettere due cartelli indicanti divieto di transito. Se ti cade un palazzo addosso, peccato, ma è colpa tua che non hai visto il cartello.

E dire che basterebbe poco

Proseguendo nel percorso, viene da chiedersi il perchè dell'abbandono di que-sti luoghi. Basterebbe un'opera di riquali-ficazione che semplicemente sappia non sconvolgere l'armonia architettonica e la bellezza degli scorci.

Un esempio del 'volontario abbandono' al quale è stato sottoposto San Berillo è quello di piazzetta delle Belle. Un piccoloslargo nel quale confluiscono varie stradi-ne del quartiere, squadrato e con delle pic-cole case tutt'attorno. L'unico edificio che svetta è un antico palazzo del '700.

Ci raccontano come per molti anni è stato impedito ai proprietari di poter re-staurare le costruzioni nella piazzetta per vincoli imposti dalla Soprintendenza. Dopo anni di incuria la riqualifica verreb-be a costare , molti attuali proprietari stan-no pensando di svendere le loro proprietà.

L'edificio più grande si trova a ridosso del “Romano Palace”, l'albergo di lusso del gruppo Virlinzi nella zona “riqualifi-cata” del quartiere.

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“Una babeledi interessieconomicie di centridi potere”

Da qualche tempo ci sono state varie offerte per il suo acquisto da parte di rappresentanti della società, con prezzi abbassati relativamente al cattivo stato strutturale.

Un'esposizione di graffiti

Tempo fa il comitato ha ricevuto la visi-ta dell'assessore all'urbanistica del comu-ne di Catania Salvo Di Salvo, il quale, tra proclami e intenti dell'amministrazione, ha presentato un nuovo progetto su San Berillo: un'esposizione di graffiti in via delle Finanze.

In collaborazione con l'Accademia delleBelle Arti e l'istituto detentivo Bicocca, il progetto di istallazione di alcune opere da strada nella celeberrima via vedrà la par-tecipazione di una cinquantina di detenuti del carcere che, istruiti dagli allievi della Scuola Edile catanese, prepareranno i muri per le opere dei ragazzi dell'accade-mia.

Questo, dunque, il primo progetto per San Berillo della nuova amministrazione Bianco. Non incentivi fiscali ai proprietariper la ristrutturazione degli immobili, nonla creazione di presidi civili come un cen-tro per la prevenzione di malattie sessuali,non la completa sanitarizzazione del quar-tiere, ma una semplice esposizioni di graf-fiti.

A parte quindi qualche legittimo dubbiorispetto alla reale efficacia dell'idea, le istallazioni sorgerebbero sui muri delle storiche palazzine settecentesche che ca-ratterizzano l'ambiente architettonico (di ciò che è rimasto) del quartiere.

“Uno scempiocontinuatonel tempoche lascial'amaro in bocca”

Da qui, la controproposta del comitato: “Invece di intervenire su via delle Finan-ze, proponiamo di effettuare questi inter-venti artistici in via Zara, una stradina interna del quartiere, abbandonata a se stessa e trasformata in vespasiano a cieloaperto, dove non passano neanche i net-

turbini comunali. Invece di limitarsi esclusivamente al montaggio delle opere artistiche, noi proponiamo che vengano sfruttate davvero le competenze di chi è occupato nel progetto. Perchè non far ri-pristinare agli studenti dell'accademia gliantichi altarini votivi sparsi nel quartiere invece di farli disegnare sui muri di pa-lazzine settecentesche?

Inoltre, pare che ci sarà anche il coin-volgimento della Questura, nell'ottica di 'preparare' la zona per l'arrivo dei detenu-ti. Tutto sarà guidato dal vice questore ag-

giunto De Girolamo, lo stesso che ha di-retto gli inconcludenti blitz degli ultimi tempi all'interno del quartiere, lo stesso che, tra l'altro, detiene la proprietà di alcu-ne aree del quartiere. Così, ed è fatto no-torio, come altri esponenti delle forze dell'ordine, divenuti proprietari negli anni '90.

Queste sono solo alcune delle “partico-larità” del nuovo progetto del Comune di Catania in sinergia con l'Accademia delle Belle Arti, la Scuola Edile e i detenuti del carcere di Bicocca. Un'idea interessante dicerto, ma che non riesce minimamente ad intervenire sugli aspetti problematici del quartiere.

Quello che rimane di questo giro di San Berillo, dalle chiacchiere con gli attivisti, dal contatto diretto con la realtà di questa zona di Catania è una forte sensazione di amaro in bocca. Di fronte ad uno scempiocontinuato nel tempo non si può fare altro che porsi delle domande su quali siano le effettive volontà (e di chi siano) dietro a tutto ciò. Quello che potrebbe essere il gioiello barocco incastonato nel cuore della città è lasciato a se stesso, a marcire,in attesa della solita colata cementizia che accontenterà tutti, proprio tutti, tranne quelli che oggi dentro il quartiere ci vivo-no. Una babele di interessi economici e politici, di centri di potere più o meno ve-lati, impediscono la nascita di un reale progetto di valorizzazione del quartiere.

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Antimafia

Emilia: come vigiliamosulla legalitàL’Anagrafe degli esecu-tori: uno strumento perla legalità e l’innovazio-ne firmato Regione Emilia-Romagna

di Sara Spartà www. diecieventicinque .it

“Legalità, trasparenza, equità” sono da anni le parole chiave delle poli-tiche messe in campo dalla Regione Emilia-Romagna che racchiudono un impegno profuso in ambito legislativo in costante evoluzione ed un coinvolgi-mento sempre maggiore di diversi sog-getti istituzioali.

All'inzio di aprile è stata presentata presso la sede della Regione Emilia-Romagna in Viale Aldo Moro, l’Anagrafe degli Esecutori, un prodotto nuovo ed in-novativo, che offre un aiuto importante a tutti i soggetti coinvolti nella filiera dell’affidamento di contratti pubblici. Unodei principali punti di forza dell’azione delle politiche regionali risiede nella con-sapevolezza dell’importanza strategica che può offrire alle organizzazioni crimi-nali di stampo mafioso il controllo di lar-ga parte dell’edilizia pubblica, e della ne-cessità, quindi, di operare in questo ambi-to con maggiore attenzione e fermezza. Operare nella legalità significa evitare di-storsioni nel mercato della concorrenza in favore degli operatori economici e della collettività tutta.

E questo è quanto emerso dal convegno “Nuovi strumenti per la Legalità: l’ana-grafe degli esecutori. Un innovativo pro-dotto nell’officina della legalità”, con Massimo Parrucci (coordinamento di pro-getti informatici e Anagrafe) il Prefetto Ennio Mario Sodano, Natale Maugeri del Comitato di coordinamento per l’alta sor-veglianza delle grandi opere, l’Assessore

alle Attività produttive Giancarlo Muzzarelli e Enrico Cocchi, Direttore Generale della programmazione territoriale e negoziata.

“Lavorare per conciliare equità, traspa-renza e legalità alla fatica quotidiana si-gnifica ragionare non soltanto per un terri-torio dove sono un rischio gli eventi cala-mitosi ma anche dove lo sono gli eventi criminosi” ha l’Assessore Muzzarelli evi-denziando tutti i passaggi compiuti per giungere a questo risultato, dalle leggi re-gionali sulla promozione della cultura del-la legalità, passando a quelle che regola-mentano l’edilizia pubblica e privata si è cercato di creare le basi per un maggiore monitoraggio e controllo delle imprese da parte dei vari centri decisionali.

Da ultimo, il sisma del maggio 2012 ha reso l’azione amministrativa ancora più ardua nel tentativo di evitare l’infiltrazio-ne mafiosa in tutta la fase della ricostru-zione. Nello specifico si è ravvisata l’esi-genza di adottare misure organizzative ca-paci di agevolare l’azione di controllo “antimafia”, individuata oggi nell’Ana-grafe degli esecutori, prevista dalle Linee Guida C.C.A.S.G.O. e accessibile soltantoalla Direzione Investigativa Antimafia, ai Gruppi Interforze delle Prefetture interes-sate, al GIRER nonché al Servizio Alta Sorveglianza Grandi Opere del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, concer-nente i soggetti e gli operatori economici aggiudicatari e affidatari nonché ogni al-tro soggetto della “filiera delle imprese”.

Un modello per tutta l'Italia

L’Anagrafe degli Esecutori prevista per la ricostruzione post sisma trova l’unico precedente nell’Anagrafe degli Esecutori post sisma in Abruzzo e per Expo 2015 di Milano, nata con l’obiettivo di assicurare trasparenza ed evitare il rischio di infiltra-zioni mafiose negli appalti concernenti le opere essenziali. La piattaforma informa-tica concepita dalla Regione Emilia-Romagna, però, ad oggi, rappresenta il primo e unico modello mai realizzato pri-ma in Italia, sia per la filosofia sottesa a

tale sistema sia per l’impianto informaticoutilizzato. L’obiettivo è quello di creare una anagrafica completa dell’impresa in modo da poter agevolare i committenti siapubblici che privati negli affidamenti per una maggiore garanzia circa la legalità della stessa impresa.

Un cubo di dati

“L’Anagrafe non è altro che un cubo di dati, cd. “datawarehouse”, nel quale si sono inserite, attraverso un procedimento ad “interrogazioni”, tutte le informazioni presenti nelle varie banche dati già esi-stenti, quali SFINGE, MUDE, Elenco di Merito, SICO, Trasporto Macerie, SITAR”, spiega il Dott. Parrucci.

Dato che ogni banca dati contiene una propria anagrafica dell’impresa esecutricee non è detto che questa sia corretta, si è integrato nel sistema anche l’anagrafica delle imprese provenienti da Parix (Info-Camere). Si procede così ad un tipo di ve-rifica che parte dall’iscrizione dell’impre-sa alla Camera di Commercio, e si proce-de poi, attraverso l’elaborazione, la tra-sformazione e la pulizia dei dati, con l’integrazione delle varie vicende che ri-guardano l’impresa. Questo garantisce una buona qualità del dato e cerca di porrefine ai problemi inerenti la non omogenei-tà delle informazioni sull’impresa e di po-ter sfruttare tutta la reportistica inerente lastessa impresa.

Un sistema, insomma, che permette di avere una panoramica generale degli ope-ratori economici che operano sul territorioe di controllarne le attività intraprese. Ad oggi l’Anagrafe potrebbe costituire un im-portante strumento soprattutto per le Pre-fetture, che con “l’interdittiva vanno ad incrementare il patrimonio di conoscenze relative alle imprese”, così come sottoli-nea il Prefetto Sodano, per il quale un aspetto cruciale per controllare le irregolarità è costituito dal controllo effet-tivo sui cantieri. Un importante traguardo raggiunto che adesso costituirà uno stru-mento operativo aggiunto al servizio dellalegalità e del territorio.

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Università

Good bye,via ZamboniDire addio al limbo universitario per esseresbattuti in prima linea e senza addestramento nella vita reale...

di Beniamino Piscopo www.diecieventicinque.it

Gli antichi popoli etruschi celebrava-no periodicamente la primavera sacra, che vedeva i membri più giovani lascia-re la tribù, per andare a colonizzare nuove terre. A Bologna, al contrario, vige l'autunno sacro, che arriva pun-tuale con i primi bagliori dorati delle foglie sugli alberi: anziché far partire i suoi giovani, Bologna ogni anno ne ac-coglie di nuovi, migliaia.

Nell'estate del 2009, tra questi stuoli di sbarbatelli euforici c'ero anch'io. In quali-tà di matricola dell'Alma Mater mi appre-stavo a seguire le lezioni della facoltà di giurisprudenza che fu di Irnerio e Accur-sio.

Lo stile amabile dei professori

L'impatto con la mitologica università di Bologna era stato tranquillizzante. Lo stile amabile dei professori, era distante anni luce dalla figura ancient régime di molti insegnanti liceali che avevo cono-sciuto (cordialità dovuta al contributo in tasse universitarie da elargire a questi col-ti e educati signori?).

Metteteci che approdato all'Alma mater,fui accolto da un tripudio di bellezza fem-minile, con colleghe carine ovunque mi girassi, e capite con quale roseo ottimi-smo mi sia dedicato alla mia novella vita universitaria. L'iter standard è questo di solito. Le matricole più previdenti si orga-nizzano già da metà Luglio: le aspetta un posto in doppia con un vecchio compagnodi liceo a trecento euro.

Per tutti gli altri, si prevede un concitatomese di Settembre, scandito dal tradizio-nale vagare, scortati da un genitore o a coppie di amici, fra le bacheche fitte di messaggi. Seguiranno chiamate convulse al cellulare, appuntamenti con potenziali padroni di casa o, spesso, con studenti piùanziani impegnati a subaffittare porzioni di appartamento.

Tutti prima o poi, trovano la loro tana, ilproprio ritmo, una consuetudine inattesa nel muoversi tra il nuovo alloggio e la zo-na universitaria. E così, Bologna ti tiene la mano, mentre attraversi la strada che ti porta sul marciapiede dei grandi, col pri-vilegio però, di dover fare ancora i compi-ti a casa, come quando si è piccoli. Sono uno studente da sempre, da ventiquattro anni la mia coperta di Linus è sapere che studiare in cambio di voti e promozioni significa aver concorso con onore al pro-gresso materiale e spirituale della società.

Vecchie certezze e domande nuove

Queste vecchie certezze che mi hanno cullato nei miei tanti anni da pischello conlo zaino, stanno però sgusciando via, man mano che vengono sostituite da domande nuove. La consapevolezza del carnaio cheaspetta al varco i laureandi italiani, atte-nua parecchio l'entusiasmo della corona d'alloro adagiata al capo, e contribuisce a rendere la laurea una vittoria agrodolce.

Chi come me, si appresta a staccare il traguardo, può ben comprendere questo conflitto interiore. Finire e lasciare per rimpiangere quello che si sta lasciando. Dire addio a quel magico limbo che è la vita universitaria, per essere sbattuti in prima linea e senza addestramento, nella vita reale.

Ho ventiquattro anni, e dicono che sia normale sentirsi inadeguati, dicono che il cervello di un venticinquenne sia più o meno lo stesso di quello di un'adolescen-te. Posso confermarlo: se do un'occhiata al mio guardaroba, vedo ancora felpe da liceale e converse consumate. Di giacche, colletti bianchi e cravatte, neanche l'ombra. A pensarci però, rifondare un in-tero guardaroba non ha senso, è un cam-biamento finto, forzato, non spontaneo. I guardaroba si evolvono un poco alla vol-ta, così come, solo un po' per volta, cam-biamo anche noi.

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Rimini

Il processoVulcanoLa massiccia e radicatapresenza della camorrafra riviera adriatica e San Marino

di Patrick Wild www.gruppoantimafiapiolatorre.it

Lo sguardo si posa sui giudici, quindi sugli avvocati e sul pubblico. Francesco Vallefuoco, per gli amici “Franco”, presunto boss dell’organizzazione camorristica attiva in Riviera, si trova per la prima volta in aula per il processo a suo carico.

Siamo alla terza udienza del processo Vulcano: quindici imputati (tra cui noti imprenditori sammarinesi e marchigiani, esponenti del clan dei casalesi) a vario titolo per estorsione e usura aggravate dal metodo mafioso si trovano alla sbarra al Tribunale di Rimini. Controllato a vista dagli agenti della polizia penitenziaria, Vallefuoco sisposta da uncapo all’altrodella cella disicurezza.

Quasi esattamente tre anni fa, l’opera-zione Vulcano faceva la sua prima appari-zione sui giornali locali. Titoli eclatanti, a caratteri cubitali: “Rimini-Gomorra”, “La riviera romagnola in mano ai casalesi”, ti-tolavano i più prudenti. La complessa in-dagine della DDA di Bologna, poi sfocia-ta in altri procedimenti paralleli (Staffa, Vulcano II, Titano), aveva portato all’arresto di un gruppo di persone accu-sate di estorcere denaro ad imprenditori locali.

“Una capillare e frenetica attività”

Ma con Vulcano non si evidenziava sol-tanto la massiccia e radicata presenza del-la camorra in questo lembo di terra, da un lato bagnato dal mare Adriatico e dall’altra confinante con la Repubblica di San Marino.

Emergeva, in particolare, la capillare e frenetica attività di gruppi criminali che, presentandosi attraverso la copertura ap-parentemente legale di società di recuperocredito e finanziarie, ne approfittavano per estorcere denaro e prestarlo a tassi usurai alle proprie vittime, imprenditori loali in gravi difficoltà economiche.

“Metodi tipicamente mafiosi”

Metodi violenti e tipicamente mafiosi, dalle minacce di morte alle vere e proprie percosse, finalizzati a rilevare le loro atti-vità economiche, per penetrare sempre piùnel tessuto socio-economico del territorio.Denunce? Pochissime.

Quasi nessuna tra le vittime ha denun-ciato le vessazioni. E Vallefuoco e i suoi hanno continuato indisturbati ad accredi-tarsi in Romagna.

A margine degli articoli dei giornali era-no stati pubblicati diversi anonimi comu-nicati stampa di amministratori locali, at-traverso i quali si lanciava il monito “a fare attenzione”, “a vigilare sulle infiltra-zioni (termine utilizzato spesso impropria-mente ndr) mafiose”.

Tra quelle righe trapelava copiosamentee in maniera evidente l’imbarazzo della politica locale, silente e immobile per trent’anni, scopertasi infine nuda di fronteall’evidenza e alla gravità dei fatti.

Per decenni l’imperativo era stato nega-re, minimizzare. Parlare di mafie in Ro-magna avrebbe inevitabilmente danneg-giato il turismo rivierasco e non parlarne affatto stata sicuramente la soluzione mi-gliore. Questo il ragionamento alla base.

E la politica taceva

“La sottovalutazione è una responsabili-tà quando si è istituzione”, dichiara Ennio Grassi (parlamentare riminese per tre legi-slature) nel nostro documentario “Roma-gna Nostra: le mafie sbarcano in Riviera”.

E mentre tra Romagna, Marche a e San Marino la camorra e i casalesi facevano affari, mietevano vittime e intrattenevano rapporti, la politica si svegliava tardi, an-cora una volta.

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Milano

Expo senzamafia. Si può?Un Expo libero dalla mafia. Questo l’intento delle istituzioni che riunite in prefettura a Milano hanno siglato l’accordo “Expo 2015 Mafia Free”

di Roberto Nicolini www.stampoantimafioso.it

Dieci punti per incrementare il con-trasto e la prevenzione. Dieci punti per evitare, dicendolo con le parole del Sin-daco di Milano Giuliano Pisapia, che gli“inevitabili tentativi” di infiltrazione mafiosa “diventino realtà”.

Presenti all’incontro anche il Ministro degli Interni Angelino Alfano, il Presiden-te della Regione Lombardia Roberto Ma-roni, il Prefetto di Milano Francesco Pao-lo Tronca e il commissario unico delegatodal governo per l’Expo Giuseppe Sala.

Incremento della presenza delle forze dell’Ordine e maggiore scambio di infor-mazioni. Si punta a costruire una solida rete per arginare il fenomeno che, secondoil commissario unico Sala, “sarà bello se potrà lasciare dopo di sé una struttura di controlli e prevenzione contro le infiltra-zioni mafiose che resteranno a Milano”.

Intanto, da ieri, una volta alla settimana si riuniranno la Regione e gli Enti locali coinvolti per monitore la situazione. Lo stesso farà il Comitato Nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica ma con scadenza bimestrale.

Ma si punta anche alla cooperazione in-ternazionale. Su base volontaria però. In-fatti, lo stesso Sala ha voluto chiarire che si chiederà ai Paesi partecipanti di aderire – senza obbligo – ad una versione sem-plificata del protocollo per la legalità. In più si è sottolineato come i controlli sulle imprese che avranno in gestione la costru-zione degli stand delle diverse nazioni sa-ranno sottoposte a controlli non in via preventiva ma “comunque verranno ese-guiti”.

I controlli sui cantieri

Per i controlli, non solo sui cantieri ma anche per l’incolumità delle persone sui siti di Expo, il Viminale tramite Alfano haassicurato un potenziamento della presen-za delle forze che verrà garantita grazie a nuove assunzioni e allo sblocco del turno-ver per gli agenti di pubblica sicurezza. Sul punto il Presidente Maroni ha riporta-to l’attenzione sulle difficoltà che finora hanno impedito la costruzione del com-missariato di Polizia e della caserma dei Carabinieri a Rho che “devono essere rea-lizzate in tempi rapidissimi. “Non possia-mo aspettare”, ha continuato il governato-re chiarendo che queste strutture servono a “a garantire la legalità, non solo rispetto

ai rischi derivanti dall’infiltrazione mafio-sa, ma anche dal malaffare, che non sem-pre è connesso con la criminalità organiz-zata”.

“Lo Stato è più forte dell’antistato” e “noi siamo una squadra forte e unita che si chiama Italia, di chiama Stato, si chia-ma Milano”, così Alfano ha voluto salu-tare la firma del protocollo.

I dieci punti del piano

I dieci punti del Piano “Expo 2015 Ma-fia free”:

1. Potenziamento della presenza delle forze dell’ordine, grazie a nuove assun-zioni rese possibili dallo sblocco del 55% del turn over

2. Stanziamento nella legge finanziaria di circa 126 milioni in due anni da desti-nare alla logistica all’accoglienza e ai mezzi

3. Riunioni bimestrali del Comitato na-zionale per l’ordine e la sicurezza pubbli-ca

4. Maggior ruolo della Direzione inve-stigativa antimafia (Dia), che gestirà le at-tività info-investigative, ovvero monito-raggio dei flussi finanziari, white list e ge-stione informazioni

5. Rilascio delle certificazioni antimafiaagli imprenditori per rendere più veloce ed efficace il controllo da parte della Dire-zione Investigativa Antimafia

6. Maggiore incisività degli accerta-menti per le decisioni prefettizie

7. Favorire la circolarità informativa tra soggetti istituzionali, grazie ad applicativi informatici già approntati

8. Incrementare l’accesso ai cantieri e i controlli

9. Favorire la cooperazione internazio-nale delle forze di polizia

10. Favorire i controlli e le attività dellapolizia locale nei territori dell’Expo.

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Europa

Un'assembleaantimafia a Marsiglia“Banditismo pesante, ecco tutto”. Qua la pa-rola “mafia” sembra ancora lontana. Tutta-via...

di Marino Ficco “Ma c’è anche a Marsiglia la mafia?”

chiede, preoccupato, uno studente del Liceo don Bosco di Marsiglia. Ci tro-viamo nel capoluogo della Provenza, damolto tempo d’attualità per i numerosi omicidi, regolamenti di conti e proble-mi di criminalità organizzata legati allospaccio di droga.

Siamo qui perché Valérie, professoressad'italiano del liceo, vuole sensibilizzare i suoi allievi alle tematiche legate all’anti-mafia in Italia. Ha quindi invitato quattro membri di Libera France, l’antenna pari-gina dell’associazione Libera che dal 1995 si occupa di lotta alle mafie e pro-mozione della legalità in Italia. Stando alla stampa francese, la risposta alla do-manda del ragazzo sarebbe scontata: cin-que omicidi per regolamenti di conti dall’1 gennaio ad oggi, i “quartieri nord” in preda agli spacciatori ed alle bande che si spartiscono territorio e poteri, insieme ad una politica locale sempre più debole parlano chiaro. Marsiglia è in una situa-zione pericolosa. Marsiglia è nelle mani della criminalità organizzata locale e stra-niera. Ma cosa rispondere al ragazzo? Ha usato proprio la parola mafia. Un tabù in Francia, salvo rare eccezioni

Ne abbiamo parlato anche con una ma-gistrato francese che conosce molto bene le dinamiche e la situazione della crimina-lità organizzata.

“Marsiglia non ha niente a che vedere con la mafia che si conosce in Italia”, sono le sue prime parole. Ci ha detto, poi, che nel caso della Francia “si può parlare di banditismo “pesante” e ben organizza-to. La sola analogia che si possa fare con l’Italia è con la malavita napoletana”, ha poi continuato. Qui, infatti, uno Stato for-te esiste, a differenza dell’Italia.

“Il problema si risolverebbe con due azioni: rafforzando gli effettivi e le risorsedelle forze dell’ordine e rilanciando l’eco-nomia di Marsiglia”.

I tanti modi di non dire “mafia”

Ma guai a pronunciare la parola mafia tout court in riferimento alla Francia. La versione ufficiale, che traspare dall’ultimorapporto annuale del Sirasco (Service d’information de rensieginement et d’ana-luse stratégique sur la criminalité organi-sée), è che la mancanza di una gerarchia stratificata, sovversiva e segreta in questi fenomeni criminali francesi, contraria-mente a camorra, ‘ndrangheta, mafia etc. sarebbe sufficiente per declassarli in “ban-ditismo pesante”.

L’unica eccezione riguarda la presenza delle mafie italiane, russe, albanesi, cinesied il caso della Corsica. A proposito della criminalità organizzata corsa, infatti, la quasi totalità degli inquirenti ed esperti si trova d’accordo: in questo caso si può parlare senza problemi di mafia tout court. Addirittura un magistrato ci ha con-sigliato di indagare sui numerosi locali, bar, ristoranti ed attività commerciali cor-se che punteggiano la città di Marsiglia. Ma, come è noto, il rapporto tra la Corsicae Parigi è alquanto complesso. Quindi bi-sogna procedere con attenzione.

“Mentre lo Stato e le forze dell’ordine –nota un ragazzo - si dilettano in acrobazie linguistiche ed etimologiche per non par-lare di mafia, la criminalità prolifera! Nonsarebbe meglio fare qualcosa?”

“Meglio fare qualcosa...”

Fabrice Rizzoli, rappresentante di Flare France ed esperto della mafia italiana, so-stiene che senza un associazionismo omo-geneamente diffuso su tutto il territorio nazionale difficilmente si riuscirà a risol-vere il problema. Effettivamente chiunquepotrà constatare l’enorme numero di asso-ciazioni locali e di quartiere con sede nei degradati quartieri nord di Marsiglia. Tut-tavia si tratta di tante piccole associazioni la cui portata, seppur importantissima e fondamentale, resta sempre a cortissimo raggio. E contro la criminalità transnazio-nale, l’associazionismo locale rischia di essere poco efficace.

“L'unica a non pagare il pizzo”

Un altro ragazzo ci ha raccontato con orgoglio che la madre, che gestisce un ne-gozio in centro a Marsiglia, sarebbe la sola a non pagare il pizzo alla criminalità nel quartiere. Il pizzo a Marsiglia? Abbia-mo fatto qualche domanda in alcuni nego-zi della zona Vieux Port e Opéra. Ma nes-suno si è detto a conoscenza di racket in città. “Una trovata pubblicitaria della ma-dre del ragazzo?”, mi suggerisce un com-merciante scettico. Eppure non è un mi-stero che la brasserie David, un locale allamoda in posizione privilegiata sulla famo-sa Corniche, sia stata incendiata due volte.E gli inquirenti parlano di roghi dolosi. Un’altra donna, che preferisce restare anonima, ci ha confidato che molti locali ed attività commerciali del quartiere della Plaine sono vittime del racket, oppure i proprietari sono obbligati ad installare dello slot machine (vietate al di fuori dei casinò in Francia) da parte della criminali-tà organizzata.

Venendo da Parigi, da sempre diffidentenei confronti della più antica città di Fran-cia, ci aspettavamo di vedere una città de-gradata e pericolosa.

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Al contrario, mai una situazione di pericolo, mai un momento in cui ci siamo sentiti insicuri.

Ma allora la stampa si inventa tutto soloper fare notizia e vendere di più? E poi, perché le redazioni parigine non danno al-trettanto spazio alla criminalità dell’Ile de France, addirittura più concentrata e ugualmente potente? Questo modo di fare giornalismo rischia di rivelarsi pericoloso poiché invece di spegnere un disagio au-menta la vergogna degli onesti cittadini del posto, con la conseguente chiusura in se stessi e l’isolamento di Marsiglia.

Quello che si può osservare facilmente è la scelta politica di spaccare Marsiglia in due parti: da un lato la zona turistica, del centro storico, ad est della Canebière, sicura, tranquilla e dinamica capitale dellacultura 2013; dall’altra parte la zona dei quartieri nord, da sempre il bastione della sinistra, dove si concentrano gli alloggi popolari, dove si annida la miseria, dove le associazioni di quartiere lamentano l’assenza dello stato?

La sensazione è proprio questa. Quella di una sorta di ghettizzazione dei quartieria nord ovest: quelli dal tredicesimo al se-dicesimo arrondissement . Dove abita un terzo della popolazione. Non bisogna di-menticare che Marsiglia è il capoluogo della Provenza non solo nei quartieri cen-trali dove passeggiano i turisti e si vota UMP. Marsiglia si estende da l’Estaque aicalanchi.

L'incontro al liceo

L’incontro nel liceo Bosco, un istituto professionale, è durato due ore e mezza circa. Una settantina di ragazzi e tre ra-gazze hanno ascoltato con la consueta at-tenzione delle assemblee di istituto quat-tro interventi molto diversi ma con un filoconduttore comune.

Per rompere il ghiaccio, una presenta-zione emblematica del modus operandi della ‘ndrangheta tramite delle scene di documentari e reportage scelte e commen-tate da Fabrice. A seguire, Concetta ricor-dava brevemente la vita e le opere dei per-sonaggi più importanti nella lotta alle ma-fie in Italia. Chiara analizzava e decrittavala scena del backstage di Gomorra che po-tremmo intitolare “l’angoscia di morire”.

Infine i ragazzi erano esortati a passare all’azione attraverso la presentazione del-la realtà di Libera e dei campi estivi. In-fatti dall’estate 2014 gli ormai famosi campi di Libera sono attrezzati per acco-gliere anche ragazzi e ragazze stranieri. Un’occasione unica per fare antimafia in maniera concreta attraverso il lavoro nei campi un tempo appartenenti ai mafiosi. Un modo efficace per mostrare come la lotta all’illegalità ed alle mafie non possa essere limitata all’Italia ma debba avere per protagonisti tutti in Europa.

Abbiamo deciso di non andare a “La Croix-Rouge” in compagnia di polizia e del presidente della locale associazione di quartiere per scattare due foto, constatare il degrado e l’abbandono da parte dello Stato, avvicinare due ragazzi che spaccia-no e poi documentare con dovizia di parti-colari l’eroica fuga verso la civiltà scortatidai gendarmi mentre dei delinquenti spie-tati ci lanciano pietre addosso insultando-ci. Fin troppi reportage, anche molto ben fatti, giacciono ignorati o strumentalizzati nel web e nella stampa.

Ci è sembrato giusto far luce anche su altre questioni e realtà che spesso la stampa tralascia o decide di omettere. È troppo facile scaricare tutti i problemi di Marsiglia sugli immigrati dei quartieri nord.

Capitale del Mediterraneo

Sabato sera, al tramonto, ci godiamo il panorama, superbo, dalle pendici che ospitano la basilica di Notre Dame de la Garde. Qui si ha l’impressione di poter controllare tutta Marsiglia. Si vede il por-to più antico di Francia, fondato 2600 anni fa in seguito al matrimonio tra un turco ed una ligure, Protis e Gyptis. Af-fianco svetta la Maison de la Méditerra-née: ci ricorda che questo lato del Medi-terraneo è ancora sinonimo di casa e di speranza per molti che sono nati dalla par-te sbagliata del mondo e che spesso deci-diamo di lasciar morire.

Una volta che si viene qua sopra si capi-sce tutto e non si hanno più dubbi: Marsi-glia può essere la capitale del Mediterra-neo. La città che è nata ed è diventata una grande potenza grazie al suo crogiuolo di culture deve agire adesso per risolvere i suoi problemi. Può collassare o affrontare la realtà e trasformare i suoi problemi in risorse.

“Riusciremo a vincere?”

“Ma c’è anche a Marsiglia la mafia?” Senza il consenso e la connivenza della gente le mafie e la criminalità non soprav-vivono. I marsigliesi hanno più che mai l’occasione e la necessità di prendere l’iniziativa per risvegliare le coscienze di un Paese e di un Continente. Per riaffer-mare il diritto ad una vita felice, sicura e libera.

“Ma si riuscirà a vincere le mafie?” è l’ultima domanda che ci viene posta al li-ceo don Bosco. Il giudice Giovanni Falco-ne amava ripetere che “La mafia è un fe-nomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzionee avrà quindi anche una fine”.

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Libera informazione

Da Radio dei poveri cristia Radio AutDanilo Dolci e PeppinoImpastato: cosa ci inse-gnano, come può conti-nuare la loro storia oggi? Uno dei protago-nisti racconta

di Salvo Vitale

Il 25 marzo del 1970, alle ore 19,30 chi si fosse sintonizzato sui 98,5 mhz della modulazione di frequenza e sulla lunghezza d’onda di m 20.10 delle onde corte, avrebbe potuto sentire uno stra-no messaggio: “ S.O.S…S.O.S…Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occi-dentale, attraverso la radio della nuova resistenza. Qui si sta morendo…Sicilia-ni, Italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto dienorme gravità, assurdo, si lascia spe-gnere un’intera popolazione…”

L’appello durava circa 20 minuti ed era seguito da una serie di altri messaggi che denunciavano lo stato di abbandono e di sfascio della popolazione delle Valli del Belice, dello Jato e del Carboi, ovvero di quella zona della Sicilia occidentale dove,due anni prima, un terribile terremoto aveva causato circa cinquecento morti e distrutto interi paesi: baracche, freddo, si-tuazioni igieniche assenti, fame, sete, un

panorama desolato su cui volteggiavano i corvi del clientelismo, della mafia, della disoccupazione, della disperazione. Il messaggio , accuratamente preparato, fa-ceva appello all’art. 21 della Costituzione italiana: “Tutti hanno il diritto di manife-stare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Ventisei ore di libertà

L’esperienza durò 26 ore, dopo di che un centinaio di carabinieri, già stati preav-visati con lettera, della natura non violen-ta dell’iniziativa, “attrezzatissimi di po-tenti mezzi meccanici, in pochi minuti scassavano, con innegabile perizia, porte e cancelli, impadronendosi delle trasmit-tenti” (1).

Nei locali di Palazzo Scalia, a Partinico,si erano asserragliati, con il trasmettitore, Franco Alasia e Pino Lombardo, due col-laboratori di Danilo Dolci, con cento litri di benzina, che avrebbero dovuto servire adissuadere chi avesse voluto penetrare con forza nei locali: in realtà si è poi sa-puto che non si trattava di aspiranti kami-kaze, ma che il carburante serviva ad ali-mentare un generatore di corrente, in casodi interruzione dell’energia elettrica.

I due redattori vennero arrestati, assie-me a Danilo, processati e infine rilasciati per una sopravvenuta amnistia.

Era nata “Radio Sicilia Libera”, la pri-ma radio libera italiana, “la radio della gente che solitamente non ha voce, che non riesce a farsi sentire” (1)

Dall’esperienza della “Radio dei poveri cristi” (1970) a quella di “Radio Aut” ( 1977) passano appena sette anni, all’interno dei quali matura e si configura una situazione completamente diversa e una trasformazione radicale nel campo delle radiocomunicazioni.

Nel ’70 Danilo progettava “per evitare al massimo inciampi, di trasmettere su ac-

que extra-territoriali su un’imbarcazione di bandiera non italiana”.

Qualche altro tentativo, come quello di Radio Milano International venne effet-tuato e subito fermato con il sequestro delle attrezzature nel 1975 (10 marzo): il 26 aprile dello stesso anno il pretore di Milano, Cassala, definì legittima “l’attivi-tà di trasmissioni radiofoniche fino a quando non si determinano interferenze che possano nuocere o disturbare le emit-tenti di stato”.

La totale “deregulation” consentiva, tra il ‘75 e il ‘77 una grande fioritura di emittenti private, in gran parte commerciali, in piccola parte legate al cir-cuito delle “radio libere”, con forti carat-terizzazioni politiche.

Peppino e Danilo

Peppino aveva sentito parlare di Danilo sin dai tempi in cui frequentava il Liceo Classico di Partinico. Le lotte per la diga sullo Jato, l’attenzione verso la vita e i problemi del mondo contadino, la denun-cia delle collusioni politiche tra la mafia eBernardo Mattarella, gli scioperi della fame, le scritte murali, ma soprattutto la grande capacità di Danilo di coinvolgere masse di gente e di intellettuali provenien-ti da ogni parte d’Europa, avevano affa-scinato il giovane studente.

Nel ’67 egli aveva partecipato alla “Marcia della protesta e della pace” : il re-soconto di quella storica iniziativa venne scritto da Peppino, in qualità di corrispon-dente, su un giornale locale “L’idea”, che lui stesso aveva contribuito a creare e co-stituì un forte momento di contatto tra unapersonalità politicamente matura, come Danilo, e un giovane di 20 anni, alle sue prime esperienze politiche.(2)

Qualche mese dopo, durante il terremo-to del gennaio ’68, Peppino fu tra i tanti volontari che raccoglievano abiti, cibo, merci, per portarle nei paesi terremotati:

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“La radio come strumentopedagogico per la formazionedi coscienze politichee come strumento di lotta”

frequentò anche alcuni seminari sulla rico-struzione della Valle del Belice organizzatia Borgo di Dio, la grande struttura creata da Danilo a Trappeto.

Sul modo con cui Peppino visse le vi-cende della “Radio dei poveri cristi” non ho testimonianze, tuttavia stupiscono al-cune impressionanti analogie sul modo di concepire la comunicazione come mo-mento politico fondato su una precisa concezione dell’intervento.

Il confronto è possibile sull’analisi di due documenti: un opuscolo dattiloscritto di sei pagine, scritto da Danilo tra il di-cembre del ’69 e il marzo del ’70, con il titolo: “Radio libera: alcune considerazio-ni preliminari”, (3) e pochi appunti, scrittida Peppino, nell’estate del ‘77 dal titolo “Proposte d’intervento radiofonico”. (4)

Non lasciar nulla all'improvvisazione

La posizione di Danilo si sviluppa su al-cuni punti fermi:

1) non lasciare nulla all’improvvisazio-ne;

2) analisi della situazione3) indicazione dei tempi: un’ora la mat-

tina e un’ora la sera, con una parte cultu-rale e una parte d’attualità;

4) organizzazione e rete di redattori e corrispondenti locali;

5) individuazione degli obiettivi: carat-tere educativo inteso come auto-educazio-ne, autogestione culturale, processo de-mocratico;

6) individuazione dei problemi: finan-ziario, tecnico, organizzativo, culturale, politico, giuridico;

7) favorire la“produzione di nuove strutture democratiche attraverso la de-nuncia e il superamento di quelle cliente-lari-mafiose attraverso una presenza co-stante penetrante.

La struttura radiofonica è pertanto con-cepita come “espressione del malcontentosociale, come strumento di conoscenza

per determinaredirezionialternative disviluppo e comestrumento dicoagulo”, consi-derate le carenzedi vita associati-va che caratteriz-zano la zona.

La radio comestrumento per realizzare il diritto-dovere all’informazione e alla libertà d’espressio-ne e come espressione diretta della culturapopolare, come “comunicazione dal bas-so” che faccia sentire “le voci dei lavora-tori, di chi più soffre ed è in pericolo”.

Alla base del progetto una semplice premessa : “Il mondo non può svilupparsi in vera pace finché una parte degli uominiè costretta alla disperazione”.

Nelle sue “Proposte” Peppino Impastatomanifesta singolari analogie con il docu-mento di Danilo, che egli non conosceva: uguale la concezione della radio come momento di formazione e di aggregazionedi un gruppo di lavoro, come strumento d’informazione alternativa rispetto all’informazione di regime e come espres-sione dei drammi e dei problemi esisten-ziali delle classi sociali subalterne, ugualela concezione dell’intervento radiofonico come strumento pedagogico per la forma-zione di coscienze politiche e come stru-mento di lotta.

Molte affinità presentano anche l’indi-viduazione delle fasce orarie e delle orga-nizzazioni sociali con cui confrontarsi: Abbiamo una uguale concezione della ra-dio come strumento di comunicazione di-retta dei bisogni e della cultura della gen-te: quelli che per Peppino sono gruppi di “organizzazione autonoma del sociale”, per Danilo sono “persone, tavole rotonde, gruppi come consorzi, cooperative, sinda-cati e così via”: termini diversi per indica-re gli stessi soggetti.

“Fare esprimere tutti direttamente”

- Scrive Danilo: “Occorre uno strumen-to di comunicazione che arrivi a ciascuno facendo esprimere alla popolazione diret-tamente , esattamente il contrario di quan-to avviene oggi, la sua più autentica cultu-ra e i suoi bisogni…uno strumento che siaoccasione non solo di conoscenza, ma, siapure nel modo più aperto, di nuova orga-nizzazione; sia martellante pressione sugliorgani male e non funzionanti degli enti pubblici, dello stato, delle vecchie struttu-re in genere; scelga e si esprima dunque inmodo rivoluzionario”.

- Scrive Peppino: “Solo a partire da una premessa politico-culturale nel territorio, che sia al tempo stesso proposta di mobi-litazione e organizzazione autonoma del sociale (comitati di disoccupati, organismidi lotta dei precari, collettivi femministi, circoli e cooperative culturali ed economi-che, associazioni sportive ecc.) si può pre-tendere di costituire un rapporto dialetticotra la struttura radiofonica e l’ambiente”

- Danilo; “non c’è dubbio che sia deter-minante allo sviluppo di una nuova socie-tà democratica l’infrangere il monopolio dell’informazione e dell’espressione, in mano alle vecchie strutture del potere”.

“Il primo livello è l'informazione”

- Secondo Peppino “esiste un primo li-vello, quello dell’informazione e contro-informazione, che si presenta immediata-mente come momento di rifiuto e di ridi-mensionamento dell’informazione di regi-me e del monopolio dell’industria del consenso (Rai, TV, stampa e mass media in genere)”;

- Danilo: “agendo in modo concentrato e massiccio da alcuni punti strategici di zone omogenee attraverso l’azione di cen-tri-pilota dal rompere la crosta in un puntonevralgico, sarebbe derivata una notevole facilità nel determinare screpolature in tutta la superficie interessata.

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“Il secondo è l'intervento politico”

Peppino: “un secondo livello è quello dell’intervento politico. La radio diventa strumento diretto, come il volantino, il vi-deotape o il megafono. dell’iniziativa di lotta e del progetto politico complessivo di una struttura di base “dislocata social-mente e territorialmente”.

E’ questo il livello dell’agitazione poli-tica vera e propria, dell’istigazione alla ri-volta e all’organizzazione autonoma delle proprie lotte…”

- Danilo “una precisa conquista in que-sto senso non ha solo un significato localee riesce a produrre reazioni a catena, non solo in quanto riesce a produrre qualità at-traverso il lavoro: una propulsiva reazionea catena può venire dal diffondersi della valorizzazione stessa dello strumento.

- Peppino “il tutto è da intendere evolu-tivamente in direzione del terzo livello, quello degli spazi autogestiti. E’ il livello in cui la realtà sociale si appropria dello strumento radiofonico e lo usa diretta-mente per allargare e difendere le “mac-chie liberate” e come mezzo di coordina-mento delle lotte e delle iniziative di mas-sa”;

“Le radio di liberazione”

- Danilo “l’esperienza ci dice come e quanto la popolazione ascolti la radio, so-prattutto le notizie locali, pur sapendo da che parte vengano e che non ce ne si può fidare: tanto più e meglio ascolterebbe la propria voce, la voce che la esprime e la libera. Chi di noi ha avuto esperienza di-retta delle radio di liberazione sa cosa esse rappresentano”

- Peppino “la notizia discende diretta-mente dal sociale e va riproposta, in ma-niera amplificata, al sociale stesso, senza filtri e interventi manipolatori…Tutto questo presuppone un uso molto ampio di registrazioni dal vivo e di notevole dispo-nibilità della presenza politica.”

- Danilo “il carattere complessivo delle trasmissioni deve essere educativo sulla base delle esperienze locali (secondo un’educazione concepita come autoeduca-zione, autogestione culturale, processo democratico)”

- Peppino: : “questi spazi si inseriscono a pieno titolo nel processo di crescita di un movimento di opinione democratico e di opposizione”

“Premere con la non-violenza”

- Danilo: “Premere non-violentemente, scioperando attivamente e passivamente, non collaborando a quanto si stima danno-so, protestando e operando pubblicamentein forme diverse che possono venir sugge-rite dalle circostanze, dalla propria co-scienza e dalla necessità: valendosi delle leggi buone quando esistono e contribuen-do a realizzarne di nuove quando sono in-sufficienti, ma premere con forza serena finché non vincono il buon senso e il sen-so di responsabilità” (5)

– Peppino: “Per quel che riguarda la selezione della notizia, il criterio di priorità viene indicato dalla collocazione che una radio si è data all’interno della dinamica dello scontro politico e di classee delle esigenze del sociale ad emergere autonomamente. Centrale è la creazione di un forte movimento di opinione non scissa dalla crescita di ogni movimento di contropotere”.

La formazione e la rivoluzione

Queste due ultime note tuttavia eviden-ziano la differenza tra le due formazioni politiche e culturali di Danilo e Peppino e il diverso rapporto con lo strumento della comunicazione che si è sviluppato nei sei anni che dividono l’esperienza delle due radio: in Danilo c’è la costante ricerca di strumenti di formazione popolare per la costruzione progressiva di un mondo di-verso fondato sui principi della non vio-lenza e della conquista lineare della de-mocrazia, in Peppino c’è l’urgenza di co-struire questo mondo nuovo attraverso la frattura traumatica della lotta di classe e della rivoluzione come momento catarticodi eliminazione delle ingiustizie.

Comune invece l’esigenza di conquista-re la libertà d’informazione come stru-mento per la conquista della democrazia equindi l’uso del mezzo informativo come strumento di formazione politica oltre chedi denuncia di tutte le distorsioni e le mal-versazioni del potere. Messaggio attualis-simo.(6)

Note:1) Danilo Dolci: “Il limone lunare. Poema per la radio dei poveri cristi” Bari Laterza 1970 – premessa2) Salvo Vitale: “Nel cuore dei coralli” Rubbettino 1995 pag.783) Danilo Dolci: ”La radio dei poveri cristi” a cura di Salvo Vitale e Guido Orlando, edizioni Navarra Palermo 20084) Salvo Vitale: “Peppino Impastato, una vita contro la mafia” Rubbettino, 2008 pagg.147/1525) Danilo Dolci: “Esperienze e riflessioni” Laterza 1974 pag. 2046) Questo articolo, a parte alcune inte-grazioni, è stato pubblicato in: “Peppino Impastato e i suoi compagni: Radio Aut – materiali di un’esperienza di controinfor-mazione” Edizioni Alegre Roma 2008 pagg. 37-42

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Documentari

I morti dimenticatidi Alcamo MarinaIntervista al regista Ivan Vadori

di Giuseppe Cugnata www.generazionezero.org

Salvo: “Adesso vediamo cosa prevedeil programma: distribuzione gratuita diricotta in ciotole.”

Peppino: “Tutti a pigghiari a ricotta! Tutti a pigghiari a ricotta! A mia! A mia!”

Salvo: “Fermi, fermi: i primi ad essere serviti devono essere i componenti del consiglio comunale.”

Peppino: “A ricotta p'u Sinnicu, pigghiaa ricotta p'u Sinnicu!”

Salvo: “Don Tano! Don Tano! Vinissi ccà, a ricotta ppi Don Tano.”

Peppino: “Qua sono, fatemi posto. Gra-zie, grazie.”

Salvo: “L'amministrazione comunale è stata servita, e ca cci vinissi a tutti un grancacaruni! Eccoli che scappano! Corrono, corrono! Cos'è successo?”

Peppino: “Oè, si ni stannu iennu a caca-ri tutti rarrieri u spitalettu. A carta igieni-ca, a carta igienica p'u sinnicu!”

Salvo: “Don Tano, chi ci sta viniennu u cacaruni puri a vossia?”

Peppino: “Stai attento a comu parri, pir-chì Don Tanu nun caca e se caca, caca duru.”

Bastano poche battute e la platea esplo-de in una risata generale. A pronunciarle èSalvo Vitale, uno degli amici e collabora-tori più intimi di Peppino Impastato, rife-rendosi alla trasmissione radiofonica “Onda Pazza”, attraverso la quale Peppinoe gli altri autori della celebre “Radio Aut” facevano satira nei confronti dei politici e dei mafiosi dell’epoca.

Salvo Vitale è uno dei dieci interlocuto-ri, protagonisti del film-documentario “LaVoce di Impastato”, del giornalista e regi-sta friulano Ivan Vadori, che dopo Milano,Parigi e Agrigento ha fatto tappa anche a Ragusa, all'auditorium del Liceo Fermi.

Durante la proiezione del film, coglia-mo l'occasione per avvicinare il regista.

Usciamo dall'auditorium e, seb-bene la porta si trovi a pochimetri dal grande schermo, inpochi notano la nostra mancanz-a, tanta è l'attenzione rivolta alfilm. Fuori dall'auditorium l'ariaè meno pesante, saliamo le scalee troviamo posto a pochi metridall'ingresso del Liceo,nell'androne centrale.

Le parole rimbombano e dallesegreterie vicine fuoriesconotipici rumori d’ufficio. Devotenere il registratore vicinissimoal mio interlocutore. “Nel 2012mi stavo laureando in scienzemultimediali e ho pensato di fare la tesi attraverso uno dei new media, che è rappresentato dalla radio. Radio, Radio Aut, Peppino Impastato: un'amicizia mi stringe alla famiglia Impastato dal 2006. Inizio le ricerche e vengo a scoprire che tutto l’archivio di Peppino Impastato (nel mio documentario il giornalista Salvo Palazzolo di Repubblica parlerà di dieci sacchi di materiale e documenti) è scom-parso la notte tra l'8 e il 9 Maggio '78.

Durante la ricerca mi imbatto in una cosa nuova: Alcamo Marina, 1976, erano morti due carabinieri ed erano stati arre-stati quattro ragazzi innocenti. Uno dei quattro, Giuseppe Vesco, si suicida. Nel 2012 finalmente arriva la sentenza di scar-cerazione e di innocenza su Giuseppe Gullotta, che stava scontando l’ergastolo.

Peppino Impastato aveva capito che dietro la morte dei due carabinieri e dietrol’arresto fin troppo repentino dei quattro ragazzi c’era qualcosa di non corretto, perquesto aveva raccolto del materiale dentroad una cartellina, con su scritto: Strage di Alcamo Marina. Quella cartellina, come l'agenda rossa di Paolo Borsellino, non c'èpiù. Forse, se avessimo ritrovato quella cartellina, il signor Giuseppe Gullotta e gli altri tre ragazzi non avrebbero scontatotutti questi anni di carcere.”

Si parla di processi, quindi non posso astenermi dal chiedere un parere sul caso Impastato. Vadori sottolinea che “il pro-cesso Impastato è durato 23 anni. La mag-gior parte delle persone che hanno cercato

la verità sono state uccise (Chinnici, Fal-cone), mentre la totalità delle persone che hanno depistato (Antonio Subranni, di-ventato generale dei ROS), hanno fatto carriera. Forse Peppino Impastato aveva toccato degli interessi che non erano sol-tanto quelli di Tano Badalamenti, forse aveva toccato degli interessi che vanno ol-tre: parliamo di istituzioni, di forze dell'ordine deviate. Sicuramente in quei dieci sacchi di materiale, c’era qualcosa diancora più interessante. Non penso che si sia detto tutto di Peppino Impastato e il mio documentario in parte lo dimostra”.

Che ne pensa Vadori del giornalismo in Italia? “Purtroppo viviamo in un Paese che per libertà di stampa è messo abba-stanza male, siamo al pari di Paesi sotto-sviluppati, come Israele, Benin. Dico che il giornalismo, soprattutto quello di in-chiesta, non è un lavoro per tutti, ma è una passione che va oltre. Il problema è che i grandi editori sono ammanicati con ipoteri forti. La mia speranza sono esclusi-vamente le nuove generazioni”.

Suona la campanella e il discorso viene interrotto. Dopo qualche istante, però, tor-na la quiete e Vadori può riprendere: “Io ho ritrovato la speranza con le nuove ge-nerazioni. Un ragazzino di Bagheria mi scrive su Facebook: 'grazie a questo film mi hai dato la speranza'. Ecco, le parole diquel ragazzino, mi fanno credere che que-sto Paese possa cambiare e quando cam-bierà questo Paese cambierà anche il gior-nalismo.”

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Contro le antenne della guerra

La forza della nonviolenza

Continua la lotta degli abitanti di Niscemi, so-stenuti da pacifisti di tutt'Italia, contro il MUOStro ormai incom-bente

di Danila Sammito www.ilclandestino.it foto di Maurizio Parisi

Turi Vaccaro osserva il digiuno e me-dita. Dal 21 marzo. Beve acqua e, di tanto in tanto, si concede qualche frut-to. Adesso si trova a Comiso, ospite del Reverendo Gyosho Morishita, nella Pa-goda della Pace, e si è unito al digiuno che il Reverendo osserva durante i pri-mi tre giorni di ogni mese.

Il pacifista, chein una fredda epiovosa giornata diaprile dello scorsoanno si era arram-picato su una dellequartasei antenneNrtf, continua la

sua battaglia nonviolenta contro il Muos, strumento di guerra, e contro lo stesso si-stema Nrtf, che dal 1991 trasmette ordini alle unità militari della Marina statuniten-se, bombardando il territorio con le sue potentissime emissioni elettromagnetiche. A lui si sono uniti Antonella Amato, Anto-nella Santarelli, Salvatore Giordano, e molti altri pacifisti. che nelle ragioni dellapace e del disarmo hanno trovato spazi di condivisione. Con una lettera inviata a Salvatore Giordano ha aderito anche il pa-cifista torinese Enrico Peyretti.

Il digiuno di protesta

Per loro, il digiuno non è un'arma di ri-catto politico. E chiariscono che tra i tanti livelli di azione e dissenso contro il Muos,questo è uno strumento in più, che serve arichiamare l'attenzione sulla gravità e sull'importanza della questione. Il Coordi-namento dei Comitati NoMuos annuncia che il digiuno proseguirà fino al 25 aprile,giorno della Liberazione, quando il presi-dio permanente di contrada Ulmo a Nisce-mi, ove saranno presenti numerosi attivistiattesi da ogni parte d'Italia e dall'estero, e l'Arena di Verona saranno idealmente col-legate nell'iniziativa “Arena di pace e di-sarmo”.

Intanto, l'attesissima sentenza del 27 marzo al Tar di Palermo ha inflitto ai No-Muos, e al popolo siciliano, una cocente

delusione: la sentenza definitiva sui cinque ricorsi riguardanti il Muos è stata rinviata a novembre. Il Presidente del Tri-bunale D'Agostino si è riservato di acqui-sire lo studio dell'Istituto Superiore di Sa-nità – che, in realtà, era già stato prodotto dalle parti ed era, perciò, in possesso del Tribunale – e di chiedere al suo stesso consulente tecnico, il prof. D'Amore, di “confrontare le proprie conclusioni con quelle alle quali è giunto l'Istituto Supe-riore di Sanità”.

Per i Comitati, e per il legali che seguo-no la vicenda, le motivazioni su cui si è basato il rinvio non sono affatto condivisi-bili e appaiono dettate dalla mera volontà di rimandare la decisione finale. “La con-sulenza del verificatore prof. D'Amore e lo studio dell'ISS non sono fra loro so-vrapponibili: la prima riguarda la regolari-tà delle autorizzazioni rilasciate nel 2011,

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il secondo riguarda invece gli effetti delle onde elettromagnetiche sulla salute”.

I gravissimi vizi rilevati dal prof. D'Amore, negli atti sui quali sono fondate le autorizzazioni, da lui definiti “di una superficialità imbarazzante”, erano già sufficienti a far pronunciare l'annullamen-to delle autorizzazioni e in nessun modo possono essere sanati dal parere dell'ISS, che è un atto estraneo al procedimento au-torizzatorio, di parte, e dichiarato dallo stesso ISS “non utilizzabile a fini autoriz-zativi”.

“A scopi sperimentali”

Se si pensa che, a breve, il Muos po-trebbe essere messo in funzione “a scopi sperimentali”, questo temporeggiare appa-re molto pericoloso. Ecco perchè i legali NoMuos si dichiarano pronti a depositare una nuova richiesta di sospensiva. Lo scorso ottobre, il Tar aveva accolto la lororichiesta cautelare ma senza sospendere gli atti impugnati, ritenendo l'esigenza cautelare sufficientemente tutelata dall'anticipazione, proprio al 27 marzo, della sentenza. L'avvocato Paola Ottaviano non ha dubbi: “Ora che la decisione è slittata chiederemo, in forza delle stesse esigenze cautelari già accertate, che le autorizzazioni siano sospese e con esse la messa in funzione del Muos, sia pure a fini sperimentali”.

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Appuntamenti/ Febbraio-marzo, Bologna 2014

Processo alla NazioneGiuseppe Fava trent'anni dopoUn omaggio collettivo e itinerante tra cinema, giornalismo, teatro, cultura

a cura diNomadica, Caracò, I Siciliani giovani

Con la collaborazione di: Fondazione Fava, Coordinamento Fava, Kinodromo,

SpazioMenomale, MadreporaTeatro (Centro delle donne/Associazione Orlando), SalaDoc, Cineteca di Bologna,

Distribuzioni dal basso, Il Campanile dei Ragazzi, Dieci eVenticinque, Ass. Gli anni in tasca / Il cinema e i ragazzi,

Presidio Studentesco e Universitario di Libera-BolognaCol patrocinio di: Comune di Bologna - Quartiere San Vitale;Media Partner: Radio Città del Capo, Libera Radio, Indaco

* * *Durante gli ultimi anni di vita Giuseppe Fava giunge ad un'analisi lucida: la mafia è un potere multinazionale che siede nelle poltrone del parlamento. E' un potere che riguarda e tocca tutti noi sin da bambini, anche se non ce ne accorgiamo, e che fa di noi, in partenza, dei mafiosi. Solo attraverso una consapevolezza profonda del fenomeno come delle sue innumerevoli manifestazioni è possibile prendere coscienza di questo rapporto e cercare di superarlo.Fava parla di un'isola che è l'Italia, di un'Italia che è il mondo occidentale. Da questo il "Processo alla Nazione" – parafrasando il titolo del suo primo libro-inchiesta "Processo alla Sicilia" (1967) – ma fatto a colpi di cultura: di cinema, di televisione, di romanzi, di opere teatrali, di vero giornalismo; fatto con la convinzione che solo attraverso la dignità di questi mezzi è possibile costruire una società altrettanto degna.Un "processo", di cui conosciamo già la sentenza, diventa così l'omaggio stesso a Giuseppe Fava, 30 anni dopo il suo assassinio (Catania, 5 gennaio 1984). Questa manifestazione toccherà decine di spazi differenti della città di Bologna e verrà ripropostain altre città d'Italia.

* * *Giovedi 6 Febbraio, Sala Silentium, Vicolo Bolognetti - h18.00"Processo alla Nazione". Evento di presentazione. Con la presenza di:- Antonello De Oto, Presidente della commissione legalità del Quartiere San Vitale;- Elena Fava, presidente Fondazione Fava;- Ester Castano, giornalista e Premio Fava Giovani 2014;Con le associazioni organizzatrici dell'omaggio bolognese

Lunedì 10 Febbraio, KINODROMO – h20.00Giuseppe Fava, un uomo.Incontro con:- Massimiliano Perna, giornalista e scrittore;- Elena Fava, presidente Fondazione Fava; - Maurizio Chierici, giornalista, Premio Fava 2014Nel corso dell'incontro verrà presentato il libro-inchiesta "I siciliani" (1978, ried. 2014).Proiezione di: "Da Villaba a Palermo. Cronache di mafia"(regia Vittorio Sindoni, di e con Giuseppe Fava, 1980, 55')

Venerdì 14 febbraio, SALA DOC – h18.45Il viaggio legale. Dall'Emilia alla Romagna.Presentazione del libro "Non diamoci pace" di Alessandro Gallo e Giulia Di Girolamo (ed. Caracò, 2014)Incontro con:- Stefania Pellegrini, docente Sociologia del Diritto e mafie e An-timafia, Università di Bologna;Proiezione di: "Romagna Nostra: le mafie sbarcano in riviera", un documentario realizzato dal G.A.P. (Gruppo Antimafia Pio La Torre), Ita, 2013, 50'(anteprima bolognese con la presenza degli autori)

Mercoledì 19 febbraio, Facoltà di Giurisprudenza, ore 18.00Giornalismo e mafie in Emilia-Romagna.Incontro con:- Gaetano Alessi, giornalista, Premio Fava Giovani 2011;- Lucia Musti, magistrato;- Federico Lacche, giornalista Radio Città del Capo;Proiezione di: “Senza regole: l’avanzata criminale, economicae culturale delle mafie nell'Emilia-Romagna che resiste” un documentario-inchiesta di Giovanni Tizian, Federico Lacche, Laura Galesi (Ita, 2013, 50')

Mercoledì 26 febbraio, SalaNomadica|SpazioMenomale - h21.45Giuseppe Fava, l'intertestualità tra scrittura e cinema.Reading di articoli tratti dal libro-inchiesta "I Siciliani". Legge Marinella Manicardi, attrice e registaProiezione di:dalla serie "Siciliani": "Opere Buffe" e "La rivoluzione mancata"(regia Vittorio Sindoni, da e con Giuseppe Fava, 1980, durata complessiva 60')

Sabato 1 marzo, Il campanile dei ragazzi - Magazzino di Socialità e Cultura, Pioppe di Salvaro (Grizzana Morandi) – h16La nostra storia, la loro storia: Giuseppe Fava.Incontro con:- Valeria Grimaldi, Diecieventicinque, I Siciliani giovani;- con un intervento di Nomadica;Proiezione di:- "Violenza e Mafia, i giovani e la scuola contro", intervento di Giuseppe Fava a Palazzolo Acreide (20 dicembre 1983, 30')

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Mercoledì 12 marzo, Scuole superiori (nelle assemblee)Giuseppe Fava e i giovani. In diverse scuole di Bologna e provincia, in contemporanea, verranno presentati e proiettati due film tratti dalla serie "Siciliani", realizzati da Giuseppe Fava nel 1980.

Giovedì 13 marzo, Biblioteca delle donne – h18.00"Mi dovete fare parlare!", un grido contro la mafia.Presentazione del libro "L'osso di Dio" (Flaccovio Editore) di Cristina ZagariaIncontro con:- Giancarla Codrignani,- Cristina Zagaria, scrittricea seguire reading di alcuni estratti dal libro a cura di Miriam Capuano e Alessandro Gallo;Proiezione di:La madre nelle opere di Giuseppe Fava, con estratti dai film: "Da Villalba a Palermo" (interpretata da Ida Di Benedetto), "La Violenza" (interpretata da Mariangela Melato), "Anonimo Siciliano" (interpretata da Mariella Lo Giudice).

Venerdì 14 Marzo, Cineteca di Bologna – h20.30Prima che vi uccidano. Giuseppe Fava, idea di un'isola.Incontro e presentazione con:Riccardo Orioles, I Siciliani;Claudio Fava, vice presidente Commissione parlamentare antimafia;Salvo Ognibene, giornalista I Siciliani giovani;Alessandro Gallo, autore teatrale e scrittore, Caracò editore ;Giuseppe Spina, cineasta e direttore di Nomadica;Proiezione di:Palermo oder Wolfsburgregia: Werner Schroetersceneggiatura: Giuseppe Fava, Werner Schroeter, O. Torrisi, K. Dethlofforigine: RFT/Svizzera 1980 durata: 175'Con Ida Di Benedetto, Antonio Orlando, Nicola Zarbo, Brigitte Tolg, Gisela Hahn21 Marzo, Sala Silentium, Vicolo Bolognetti – h17 / 20

YoungLegalità (Giornata della legalità in ricordo delle vittime della mafia, nell’ambito del Festival Youngabout)Proiezione di: dalla serie "Siciliani": "La rivoluzione mancata"(regia Vittorio Sindoni, da e con Giuseppe Fava, 1980, 30')Presenta Giuseppe Spina, direttore di Nomadica

Ven 21 Marzo, Vag61, Distribuzioni dal basso – h21.00Anime morteIncontro e presentazione con:Giuseppe Spina, direttore di NomadicaProiezione di:dalla serie "Siciliani": "Da Villaba a Palermo. Cronache di mafia" (1980, 50’)“Opere Buffe” (1980, 30’)“L’occasione mancata” (1980, 30’)

Mercoledì 26marzo – SalaNomadica|SpazioMenomale – h21.45La Repubblica CriminaleIncontro con :- Arnaldo Capezzuto, giornalista (La Domenica Settimanale, I Siciliani giovani);- Milena Cozzolino, attrice;- Alessandro Gallo, autore teatrale e scrittore, Caracò editore;- Maria Cristina Sarò, regista teatrale;Spettacolo teatrale: "Di carne" di e con Alessandro Gallo, con la partecipazione di Miriam Capuano; regia Maria Cristina Sarò

Info: [email protected] Viola _ ufficiostampa@processoallanazione.itwww.processoallanazione.ithttps://twitter.com/ProcessoNazionehttps://www.facebook.com/pages/Processo-alla-Nazione/499433930175889?ref=hl

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IL FILO

Mafia e antimafiain tempo d'elezioni

di Giuseppe Fava

Cosa c'è al centro di tutto, cosa de-termina gli equili-bri di potere più

profondi? Che cosa di-vora il Sud e insangui-na la Nazione? Qual'è la battaglia politica da cui tutto il resto dipen-de? Che cosa bisogna chiedere prima di tuttoai politici e (quando ancora c'erano) ai par-titi?

Per molti anni il cuore politico del Sud non ha avuto palpiti, ribellioni, sussulti. Inerte, la gente ha capito che non valeva più battersi per gli immensi problemi col-lettivi. Era inutile, spesso pericoloso, sem-pre ridicolo. Per campare si potevano sol-tanto scegliere gli uomini di potere o le correnti di partito che ti davano maggiore garanzia di efficienza, non era una lotta ideale di moltitudini, ma una oscura, spes-so miserabile sottomissione di individui, ognuno per risolvere il suo problema. Di-pende anche da questo la glorificazione ditanti imbecilli, disponibili tuttavia alle in-finite, piccole corruzioni personali.

E nemmeno la mafia è un caso: nasce dalla convinzione che almeno il mafioso può risolvere il tuo problema umano e tanto vale essergli amico, o almeno non essere contro di lui.

Da questo punto di vista l’appiattimentodel voto su posizioni che da decenni sem-brano indeformabili, non significa certo coerenza politica ma letargo dell’anima popolare nel Sud. Questa anima popolare del Sud formata da milioni di individui, ognuno dei quali, lapidariamente, si fa i cazzi suoi! Per chi detiene il potere, que-sta è la condizione politica privilegiata.

L'assenza politica dello Stato

E tuttavia stavolta potrebbe essere di-verso! Non che questa anima, improvvisa-mente acquisti coscienza del suo compito storico, e si levi intrepida e romantica, a rivendicare il ruolo del Sud nella evolu-zione della nazione, né che possano veri-ficarsi sconvolgimenti elettorali tali da in-fluenzare il futuro dei governi nazionali o regionali, ma almeno i partiti stavolta non potranno più mentire su alcuni problemi di tragica attualità. Che sono problemi si-ciliani ma stanno anche nella pelle di tutti gli italiani. I seguenti: l’assenza politica dello Stato provoca lo scoramento dei cit-tadini; lo scoramento la vigliaccheria col-lettiva; dalla vigliaccheria germina fatale la mafia. Questo è un teorema!

Nella massoneria, nelle banche...

La mafia! Essa è dovunque oramai. Ha divorato le energie produttive del Meri-dione, sta insanguinando tutta la nazione.

La mafia è nelle pubbliche amministra-zioni, nella massoneria, nelle banche, nel-la giustizia, negli enti locali, nei parla-menti. La mafia controlla l’amministra-zione di intere province, decide quale opera pubblica s’abbia da fare e da chi debba essere fatta, e quanti miliardi debbacostare.

La mafia controlla i mercati, le iniziati-ve economiche, i commerci. La mafia go-verna centinaia di migliaia di miliardi per lo smercio della droga nel mondo. La ma-fia è padrona di Palermo e incalza su Ca-tania e la Sicilia orientale. La mafia ha uc-ciso tutti i migliori siciliani: Terranova, Costa, Basile, Russo, Giuliano, Mattarel-la, La Torre che hanno osato opporsi in nome dello Stato.

Esiste una legge antimafia che certo nonci sarebbe se Pio La Torre non avesse pa-gato con la vita la colpa di averla propo-sta, e il generale Dalla Chiesa non si fossefatto uccidere per averla voluta applicare prima ancora che fosse approvata. È' una legge micidiale contro la mafia perché, at-traverso le indagini nelle banche, consenteveramente di ferire il cuore oscuro della mafia. Appunto per questo è micidiale: soprattutto per coloro che passano per ga-lantuomini, o capipopolo, e hanno sotter-rato nelle banche il marchio della loro mafiosità.

Ogni partito deve prendere posizione

Ogni partito deve assumere posizione: cioé deve spiegare attraverso quali costan-ti azioni, nel parlamento, nella giustizia, e in qualsiasi altro luogo di dibattito pubbli-co, intende pretendere e garantire l’eserci-zio della legge antimafia.

I Siciliani, giiugno 1983

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____________________________________La Fondazione FavaLa fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promo-zione di attività culturali che coinvolgano i gio-vani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette la consultazione gratuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani.Per consultare gli archivi fotografico e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazione, scrivere a [email protected] [email protected]____________________________________Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani. Senza retorica, senza celebra- zioni, semplicemente uno stru- mento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

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Fatta da:Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Gaetano Alessi, Lorenzo Baldo, Antonella Beccaria, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Giorgio Bongiovanni, Paolo Brogi, Luciano Bruno, Anna Bucca, Elio Camilleri, Giulio Cavalli, Arnaldo Capezzuto, EsterCastano, Salvo Catalano, Carmelo Catania, Giulio Cavalli, Antonio Cimino, Giancarla Codrignani, Dario Costantino, Irene Costantino, Tano D’Amico, Fabio D’Urso, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Giacomo Di Girolamo, Alessio Di Florio, Tito Gandini, Rosa Maria DiNatale, Francesco Feola, Norma Ferrara, Pino Finocchiaro, Paolo Fior, Enrica Frasca, Renato Galasso, Rino Giacalone, Marcella Giamusso, Giuseppe Giustolisi, Valeria Grimaldi, Carlo Gubitosa, Sebastiano Gulisano, Bruna Iacopino, Massimi- liano Nicosia, Max Guglielmino, Diego Gutkowski, Bruna Iacopino, Margherita Ingoglia,Kanjano, Gaetano Liardo, Sabina Longhitano, Luca Salici, Mattia Maestri, Michela Mancini, Sara Manisera, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Loris Mazzetti, Attilio Occhipinti, Salvo Ognibene, Antonello Oliva, Riccardo Orioles, Maurizio Parisi, Salvo Perrotta, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Domenico Pisciotta, Antonio Roccuzzo, Alessandro Romeo, Vincenzo Rosa, Roberto Rossi, Luca Rossomando, Francesco Ruta, Giorgio Ruta, Daniela Sammito, Vittoria Smaldone, Mario Spada, Sara Spartà, Giuseppe Spina, Miriana Squillaci, Giuseppe Teri, Marilena Teri, Adriana Varriale, Fabio Vita, Salvo Vitale, Chiara Zappalà, Andrea Zolea

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Lo spirito di ungiornale"Un giornalismo fatto diverità impedisce moltecorruzioni, frena laviolenza e la criminalità,accelera le operepubbliche indispensabili.pretende il funzionamentodei servizi sociali. tienecontinuamente allerta leforze dell'ordine, sollecitala costante attenzionedella giustizia, impone aipolitici il buon governo".Giuseppe Fava

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Cronache

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Gli ebookdei SicilianiI Siciliani giovani sono stati fra i primissimi in Italia adadottare le tecnologie Issuu, a usare tecniche diimpaginazione alternative, a trasferire in rete e su Pdf iprodotti giornalistici tradizionali. Niente di strano,perché già trent'anni fa i Siciliani di Giuseppe Favafurono fra i primi in Italia ad adottare ­ ad esempio ­ lafotocomposizione fin dal desk redazionale.Gli ebook dei Siciliani giovani, che affiancano ilgiornale, si collocano su questa strada ed affrontanocon competenza e fiducia il nuovo mercato editoriale(tablet, smartphone, ecc.), che fra i primi in Italia hannosaputo individuare.

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dalla vita com'è

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Ai lettori 1984Caro lettore, sono in tanti, oggi, ad accusare la Siciliadi essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia inprima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca ditradizioni, storia, civiltà e cultura, tiranneggiata dallamafia ma non rassegnata ad essa. Questo, però,bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere ditutti noi siciliani, prima che di chiunque altro; di frontead esso noi non ci siamo tirati indietro.Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci,non con le parole ma coi fatti. Abbiamo bisogno dilettori, di abbonamenti, di solidarietà. Perciò tiabbiamo mandato questa lettera: tu sai che dietro diessa non ci sono oscure manovre e misteriosi centri dipotere, ma semplicemente dei siciliani che lottano perla loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo stessoPaese: la mafia, che oggi attacca noi, domanitravolgerà anche te.Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze nonbastano. Perciò chiediamo la solidarietà di tutti isiciliani onesti e di tutti coloro che vogliono lottareinsieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lostesso: ma sarà tutto più difficile. I Siciliani

Ai lettori 2012Quando abbiamo deciso di continuare il percorso,mai interrotto, dei Siciliani, pensavamo che questaavventura doveva essere di tutti voi. Voi che ci aveteletto, approvato o criticato e che avete condiviso connoi un giornalismo di verità, un giornalismo giovanesulle orme di Giuseppe Fava.In questi primi otto mesi, altrettanti numeri deiSiciliani giovani sono usciti in rete e i risultati cilasciano soddisfatti, al punto di decidere di uscire entrol'anno anche su carta e nel formato che fuoriginariamente dei Siciliani.Ci siamo inoltre costituiti in una associazioneculturale "I Siciliani giovani", che accoglierà tutti icomponenti delle varie redazioni e testate sparse danord a sud, e chi vorrà affiancarli.Pensiamo che questo percorso collettivo vadasostenuto economicamente partendo dal basso,partendo da voi. Basterà contribuire con quello chepotrete, utilizzando i mezzi che vi proporremo nelnostro sito.Tutto sarà trasparente e rendicontato, e per esserecoerenti col nostro percorso abbiamo deciso diappoggiarci alla "Banca Etica Popolare", che con i suoiprincipi di economia equa e sostenibile ci garantiscetrasparenza e legalità. I Siciliani giovani

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www.isiciliani.it Una pagina dei Siciliani del 1993

Nel 1986, e di nuovo nel 1996, i Sicilianidovettero chiudere per mancanza dipubblicità, nonostante il successo dipubblico e il buon andamento dellevendite. I redattori lavoravano gratis, magli imprenditori non sostennero in alcuna

maniera il giornale che pure si batteva per liberare ancheloro dalla stretta mafiosa.Non è una pagina onorevole, nella storia dell'imprenditoriasiciliana.

Chi sostiene i Siciliani

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I Siciliani giovani è un giornale, è un pezzo di storia,ma è anche diciotto testate di base ­ da Milano aModica, da Catania a Roma, da Napoli a Bologna, aTrapani, a Palermo ­ che hanno deciso di lavorareinsieme per costituire una rete.Non solo inchieste e denunce, ma anche il raccontoquotidiano di un Paese giovane, fatto da giovani, vissuto inprima persona dai protagonisti dell'Italia di domani. Fuori daipalazzi. In rete, e per le strade.

facciamorete!In rete, e per le strade

I Siciliani giovani che cos'è

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Per dare una mano:IT 28 B 05018 04600 000000148119 <---(IBAN Banca Etica, “Associazione Culturale I Siciliani Giovani")

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1983-2013Trent’annidi libertà

“Un giornalismo fatto di veritàimpedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminali-tà, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo” Giuseppe Fava

In rete e per le strade“I Siciliani giovani” sono una rete di testate di base, da Milano a Modica, da Catania a Roma, da Bologna a Napoli. Il racconto quotidiano di un paese giovane, fatto da giovani, vissuto. Fuori dai palazzi. In rete, e per le strade.

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