I Siciliani giovani - foglio aprile 2015

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uschwitz può assu- mere tante for- me, nella sto- ria, e una è la nostra. Saremo ricordati con orrore, co- me noi ricordiamo i tedeschi degli anni ‘30. “Ma non ci abbiamo pensato, ma non ce n’eravamo accorti...”. Neanche loro se ne accorge- vano, nè davano troppa im- portanza: “Perché dovrem- mo preoccuparci noi per gli ebrei?”. Il meccanismo è lo stesso: frustazione e paura. Isis, la Lega, il partito nazista, agiscono esattamente sugli stessi meccanismi. E nessuno dei tre è isolato, nessuno è il solo colpevole, forse neanche il maggiore. Folle di “volente- rosi carnefici” aiutano, senza muovere un dito, a tagliare le teste, a aprire le camere a gas, ad annegare. Nessuno veniva arrestato, nella Germania nazista, per- ché incitava a fare strage de- gli ebrei. Oggi si può tranquil lamente esaltare la strage de- gli emigranti su facebook: c’è differenza? Davvero un Salvi- ni è molto migliore di uno Streicher? “Sono solo paro- le..”. Certo: anche allora, all’ inizio, erano parole: e la gen- te le votava allegramente. * * * In questa situazione è difficile provare emozioni per ciò che pure attendavamo da tanto tempo, un Ciancio trascinato davanti alla giustizia. E i suoi volenterosi aiutanti? “Ah, noi non sape- vamo, noi non c’en- triamo niente”. * ISICILIANI.IT Da’ una mano IT 28 B 05018 04600 000000148119 IBAN Assoc.Culturale I Siciliani Giovani/ Banca Etica “A che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare?” Giuseppe Fava Il foglio de aprile 2015 www. 1 euro ______________________________ La città della tirannia condivisa CATANIA CAPITALE A PAG.2 _______________________________ Diritto d’asilo o altre stragi? DECIDERE ORA A PAG.3 _______________________________ Confiscati? Solo sulla carta BENI SEQUESTRATI AI MAFIOSI: MA QUI, CHI LI HA VISTI? MAPPA E NOTE A PAG.4 _______________________________ Un’avventura di Mario Ciancio AFFARI, ALBERGHI E CRONISTI IMBAVAGLIATI A PAG.6 _______________________________ La Resistenza che cos’è A PAG.8 _______________________________ politica Trent’ anni memoria mediterraneo Anti mafia socia le Un comunicato a Catania “In relazione alle notizie di stampa diffuse in data odierna da varie fonti in ordine all’esercizio dell’azione penale nei confronti di Mario Ciancio Sanfilippo ed alla avvenuta designazione del Giudice dell’Udienza Preliminare, si precisa che in data 1 aprile 2015 la Procura Distrettuale della Repub- blica di Catania ha depositato presso la cancelleria del G.I.P. la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del predetto imputato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e che la designazione del Giudice, non ancora effettuata, avverrà secondo le previsioni tabellari. Il Procuratore della Rapubblica Giovanni Salvi 10 aprile 2015 Dieci obiettivi: Abolire il segreto bancario; Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di corruzione o grande evasione fiscale; Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori, con aiuti per chi le sostiene; Anagrafe reale dei beni confiscati; Sanzionare le delocalizzazioni, l’abuso di precariato, il mancato rispetto dello Statuto dei Lavo- ratori o di accordi di lavoro. Separazione di capitale finan- ziario e industriale; tetto alle partecipazioni in editoria; Tobin tax; Gestione pubblica dei servizi pubblici essenziali: scuola,università,difesa, acqua, energia, strutture tecno- logiche, credito internazionale; Progetto nazionale di messa in sicurezza del territorio, come volano economico soprattutto al Sud; moratoria edilizia; divieto di industrie inquinanti; ristrutturazione di quelle esi- stenti e bonifica del territorio a spese di chi ha inquinato; Applicazione dell'articolo 41 della Costituzione: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge de- termina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Una lapide a Catania “Qui è stato ucciso Giuseppe Fava La mafia ha colpito chi con coraggio l’ha combattuta, ne ha denunciato le connivenze col potere politico ed economico, si è battuto contro l’installazione dei missili in Sicilia” Gli studenti di Catania 5 gennaio 1985 LA PRIMA APP ANTIMAFIA A PAG.8 Futuro? “MAFIOSI ACROBATI”, DI GIUSEPPE FAVA

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In questo foglio: La città della tirannia condivisa / Diritto d’asilo o altre stragi? / Confiscati? Solo sulla carta / Un’avventura di Mario Ciancio / Resistenza che cos’è

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uschwitz può assu- mere tante for-

me, nella sto- ria, e una è

la nostra.Saremo ricordati

con orrore, co- me noi ricordiamo i

tedeschi degli anni ‘30. “Ma non ci abbiamo pensato, ma non ce n’eravamo accorti...”. Neanche loro se ne accorge- vano, nè davano troppa im- portanza: “Perché dovrem- mo preoccuparci noi per gli ebrei?”. Il meccanismo è lo stesso: frustazione e paura.Isis, la Lega, il partito nazista, agiscono esattamente sugli stessi meccanismi. E nessuno dei tre è isolato, nessuno è il solo colpevole, forse neanche il maggiore. Folle di “volente- rosi carne�ci” aiutano, senza muovere un dito, a tagliare le teste, a aprire le camere a gas, ad annegare.Nessuno veniva arrestato, nella Germania nazista, per- ché incitava a fare strage de- gli ebrei. Oggi si può tranquil lamente esaltare la strage de- gli emigranti su facebook: c’è differenza? Davvero un Salvi- ni è molto migliore di uno Streicher? “Sono solo paro- le..”. Certo: anche allora, all’ inizio, erano parole: e la gen- te le votava allegramente.

* * *In questa situazione è dif�cile provare emozioni per ciò che pure attendavamo da tanto tempo, un Ciancio trascinato davanti alla giustizia. E i suoi volenterosi aiutanti? “Ah, noi non sape-vamo, noi non c’en- triamo niente”.

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ISICILIANI.IT

Da’ una manoIT 28 B 05018 04600 000000148119IBAN Assoc.Culturale I Siciliani Giovani/ Banca Etica

“A che serve essere vivi,se non c’è

il coraggio di lottare?”Giuseppe Fava

Il foglio de

aprile 2015

www.

1 euro

______________________________

La città dellatirannia condivisaCATANIA CAPITALE A PAG.2_______________________________

Diritto d’asiloo altre stragi?DECIDERE ORA A PAG.3

_______________________________

Con�scati?Solo sulla cartaBENI SEQUESTRATI AI MAFIOSI:MA QUI, CHI LI HA VISTI? MAPPA E NOTE A PAG.4_______________________________

Un’avventuradi Mario CiancioAFFARI, ALBERGHI E CRONISTIIMBAVAGLIATI A PAG.6_______________________________

La Resistenzache cos’è A PAG.8_______________________________

politica

Trent’anni

memoriamediterraneo

Antima�asociale

Un comunicato a Catania“In relazione alle notizie di stampadiffuse in data odierna da varie fonti in ordine all’esercizio dell’azionepenale nei confronti diMario Ciancio San�lippoed alla avvenuta designazionedel Giudice dell’Udienza Preliminare,si precisa che in data 1 aprile 2015la Procura Distrettuale della Repub-blica di Catania ha depositatopresso la cancelleria del G.I.P.la richiesta di rinvio a giudizionei confronti del predetto imputatoper il reato di concorso esternoin associazione ma�osae che la designazione del Giudice,non ancora effettuata, avverràsecondo le previsioni tabellari.Il Procuratore della Rapubblica Giovanni Salvi10 aprile 2015

Dieci obiettivi:● Abolire il segreto bancario;

● Con�scare tutti i beni ma�osi o frutto dicorruzione o grande evasione �scale;● Assegnarli a cooperative di giovani

lavoratori, con aiuti per chi le sostiene;● Anagrafe reale dei beni con�scati;

● Sanzionare le delocalizzazioni,l’abuso di precariato, il mancato

rispetto dello Statuto dei Lavo-ratori o di accordi di lavoro.

● Separazione di capitale �nan-ziario e industriale; tetto alle

partecipazioni in editoria; Tobin tax;● Gestione pubblica dei servizi pubblici

essenziali: scuola,università,difesa, acqua, energia, strutture tecno-logiche, credito internazionale;

● Progetto nazionale di messa insicurezza del territorio, come

volano economico soprattutto al Sud; moratoria edilizia;divieto di industrie inquinanti; ristrutturazione di quelle esi-

stenti e boni�ca del territorio a spese di chi ha inquinato;● Applicazione dell'articolo 41 della Costituzione:

“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersiin contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno

alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge de-termina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica

pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a �ni sociali”.

Una lapide a Catania“Qui è stato uccisoGiuseppe FavaLa ma�a ha colpitochi con coraggiol’ha combattuta,ne ha denunciato leconnivenze col poterepolitico ed economico,si è battuto control’installazione dei missiliin Sicilia”Gli studenti di Catania5 gennaio 1985

LA PRIMAAPPANTIMAFIAA PAG.8

Futuro?“MAFIOSI ACROBATI”, DI GIUSEPPE FAVA

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CHE TI DICE LA PATRIA di Riccardo Orioles

L’Italiadei Mario CiancioMolti anni fa, a un ricevimento romano, il cavaliere del lavo -ro Rendo (uno dei quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa denunciati da Fava, dalla Chiesa e Carlo Palermo) si avvici- nò a un ministro col solito sorriso e la mano tesa. Il ministro (Spadolini) lo squadra. Poi senza una parola si volta e se ne va. Quello resta là, col sorriso gelato e la mano per aria.Ecco, la storia dei cavalieri è finita in quel momento lì. Rendo, nonostante le inchi-este, non fu mai arrestato e i Rendo contano ancora parec- chio (negli Usa, in Ungheria, in Est Europa). Ma il potere assoluto, nel loro paese, non l'hanno avuto mai più. Questa è l'aria che tira in que- sti giorni nella capitale dell'I- talia nascosta, che è Catania. Non sappiamo se Ciancio, al- la fine di una delle inchieste che lo riguardano, sarà arre- stato; del resto noi, alla sua età, non gli augriamo certo la galera.Ma potrebbe arrivare il mo- mento, in nome del popolo italiano, in cui un magistrato emetterà, o per una cosa o per l'altra,una condanna. A un mi- nuto di carcere, non più: tanto da lasciar dire ai superstiti, anche se tardi e inutilmente, che giustizia è fatta.Cosa porta a pensieri del ge- nere? La cronaca giudiziaria, certamente. Ma soprattutto il fatto che da qualche tempo in qua non si sente altro che "Ciancio? Mai visto, mai co- nosciuto!". Giornalisti, nota- bili, cortigiani, affaristi, tutti sotto il liotru prendono le di- stanze. Chi rozzamente, chi con letteraria eleganza. "Ma chi erano i fascisti, in Italia?" si chiedeva Churchill dopo il '45. Lo stesso, i cronisti futuri studiando le rovine di Catania (speriamo metaforiche) per le generazioni che verranno.I quarant'anni di Ciancio, in realtà, sono stati una tirannia condivisa. Tirannia perché nella città, per quarant'anni,

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non c'è stato nè sindaco nè podestà (che poi qui diffe- rivano solo di nome) nè ve- scovo nè prefetto nè toghe nè deputati; gli stessi boss della mafia, massima istitu- zione locale, comandavano fino a un certo punto, do- vendosi rapportare a inte- ressi ben superiori ai loro. E condivisa perché tutti costoro, e molti altri, non obbedivano a bocca storta, violentati, ma con gioiosa sollecitudine, certi di fare il bene proprio e della patria.Immaturità democratica, ignoranza? Certo, di demo- cratico qui non ci fu mai niente, salvo qualche occa- sionale rivolta di plebe o ciò che nei tempi moderni le si assomiglia; noi votia- mo, a Catania, solo perché gli americani, conquistata la città, c'imposero con le armi la democrazia.Ma, la spiegazione antro- pologica non convince. Perché Catania è città col- tissima, ha dozzine di scrit tori e scrittrici che vanno sui giornali, opinion-maker di Repubblica, un’universi- tà del quindicesimo secolo (ma i più accesi dicono dei tempi di Caronda) e uno stuolo di intellettuali e ba- roni in grado di disquisire su qualunque argomento.E con tanta cervella in giro, come ha fatto un tirannello di provincia a imporre un’ egemonia di quarant’anni su cotanta città? Professori di Ciancio (“Qua, la mafia non esiste!”), avvocati di

Ciancio, pensatori di Cian- cio (“Fava? Storia di fim- mine, fu!”), destr-sinistr di Ciancio, persino uno stile architettonico ciancesco. Colpa di Santapaola (che pure col nostro eroe fu cul-e-camicia per tutto il tempo)?No, no. Niente capri espia- tori. La verità è che a Cata- nia, per quarant’anni, non c’è stato un Ciancio solo ma ce ne sono stati venti- mila: tutti coloro cioè che hanno messo ogni mattina una cravatta,se la sono an- nodata con serietà e atten- zione e si sono guardati al- lo specchio soddisfatti di sè e della propria importanza.La borghesia mafiosa, dice- vano gli antichi maestri.

* * * Eccezioni pochissime, e quelle poche strane e origi- nali. Dall’ingegnere Migne mi, coi suoi su-e-giù in via Etnea col cartello “no alla speculazione” al collo, ai preti di miseria come padre Greco, agl’ingegneri ribelli come Pippo D’Urso, ai professori selvatici come Nino Recupero, ai giornal-isti scherniti come Giusep- pe Fava; ai parrocchiani di don Resca che denunciava Santapaola al posto di poli- zia e magistrati, ai volonta- ri del Gapa, ai poveri gior- nalisti dei Siciliani, ai po- chi compagni fedeli come Cosentino e Centineo; ai giudici come Scidà, brucia- to dalla pietà per i ragazzi dei ghetti; e pochi ancora.

Tutti dimenticati, morti e vivi, allegramente digeriti dalla città grassa e crudele, non puttana simpatica co- me diceva Fava ma prosti- tuta degli occupanti come nei centoventi giorni - qui, furono quarant’anni - di Pasolini.L'onore della città, in que- sta interminabile occupazi-one (che non è terminata: il dopo-Ciancio sarà più “de- mocratico” ma non meno feroce) s'è rifugiato nei po- veri e nei ragazzi. I poveri di Catania, ferocemente ab- bandonati all'ignoranza e ai loro ghetti, in guerra ogni santo giorno per il pranzo o la cena, tiranneggiati dalla mafia e costretti a fornirle parte dei propri giovani come in un tributo ottoma- no, eppure si ribellarono, nell'84 e nel '93, sia pure per pochi giorni.I giovani e giovanissimi, in quattro generazioni succes- sive, crearono movimenti e si batterono, soli e senza potere,come leoni. Non fu- rono colpa loro le sconfit- te (incontri ai quattro ango- li d'Italia emigrati che “io ero nei Siciliani”) né l'or- rore sociale che, un decen- nio dopo l'altro, spremè fe- rocemente sangue e anima di quella che era stata la più allegra e spavalda città del Sud.Va bene: hai letto con civi- le attenzione, amico mio romano o milanese, ma ora cominci a chiederti: “E io che c’entro”?

Ma vedi: in realtà abbiamo parlato di Roma e Milano. Catania e la Sicilia sono state un punto d'inizio, ma ciò che era nato qui adesso è compiutamente e piena- mente - perlomeno - italiano.Dell'Utri, eletto a Milano, ha governato l'intera Italia (con altri, famosi e non) per un pieno ventennio; il suo “governo”, se è vero che Berlusconi è ancora socio in maggioranza, in un certo senso dura ancora.Questo nella politica, che è lo strato superficiale del potere: ma pensa agli “im- prenditori” e alla finanza, a quelli che comandano dav- vero. Quanta percentuale di questo potere è “mafioso”?“Mafioso”, bada bene, non significa “che spara e am- mazza” (per questo ci sono dei tecnici dedicati) ma che nel suo complesso, esercita una potestà sempre più pie- na e assoluta, non rifuggen- do dalla violenza ma usan- dola con precisione chirur- gica quando conviene.

* * * Il Sistema (che chiamare mafioso è ormai un po' ob- soleto) è un mix di mecca- nismi sociali, egemonie culturali, violenze mirate e consenso artificialmente indotto.Noi, quaggiù, l'abbiamo visto crescere, a Palermo e Catania, ben prima di Berlusconi. Noi non ce l'abbiamo fatto a fermarlo, e ora è un problema vostro.

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Catania come metafora. Ascesa e cadutadi una tirannia condivisa

DISEGNI DIGEORGE BIANI EMAURO GROSZ

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MAI PIU’ NAUFRAGI! di Francesco Nicosia e Ivana Sciacca (Collettivo Scatto Sociale)

“Diritto d’asiloeuropeo!” “Ma che vengono a fare qua che non possiamo campare più neanche più? Paghiamo le tasse per farli vivere nel lusso! Non siamo più padroni neanche a casa nostra!”. E anche: “Ben gli sta, loro che ammazzano i cristiani!”.Sono alcune delle frasi che circolavano su Facebook in questi giorni. Siamo “occidentali”, più evoluti quindi: ma è davvero così? Siamo davvero così civili, se non riusciamo a capire, per opportunismo o per ipocrisia, che la dispera-zione costringe quelle persone ad abbandonare la propria terra per cercare di sopravvivere altrove, siamo davvero così civili? Se con tutte le nostre nobili Carte Costituzionali Europee non riusciamo neanche ad immaginare di poterle mettere in pratica?La “solidarietà” a parole è tanta, ma senza una base base concreta, assume solo un sapore d’ipocrisia.Il Comitato Antirazzista il venti aprile ha presidiato il porto di Catania attedendo i ventotto superstiti della scia- gura, alzando striscioni che dicevano “Mai più naufragi, diritto d’asilo europeo!”. Ma è davvero una piccola mino- ranza in quest’Italia ormai allo sbando., noncurante della propria cultura cristiana basa- ta sull’amore verso il prossi- mo, assolutamente incoscien- te dei doveri morali di ogni essere umano verso i propri simili, incapace di immedesi-marsi nelle vite di questi di- sgraziati. Eppure non è molto lontano il ricordo delle dittat- ure e delle emigrazioni subite dai nostri nonni appena ieri.

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“Ma noi che ci possiamo fare?.Che possiamo fare se nelle loro terre vivono nell’ incubo di essere persegui- tati, torturati, uccisi, priva- ti di ogni minima libertà? Se non possono dormire di notte per la paura di essere bombardati, nemmeno li- beri di pensare e pregare? Se debbono avventurarsi nelle mani di individui che in nome del dio denaro sono padroni del traffico delle vite umane?”

* * *Voltarsi dall’altra parte non si può. Fingere che ciò che accade a “casa d’altri” non ci riguardi significa essere complici con tutto questo. Non è possibile che un’Eu- ropa globalizzata, intercon-nessa col mondo, che si vanta della libera circolazi-one di merci e capitali (ma non delle persone!) chiuda gli occhi di fronte a ciò che accade al suo vicino. Dopo tutte le guerre fatte per “esportare la democrazia”, la democrazia dov’è? Chi la garantisce”.Le frontiere non sono un portone da sbarrare e pro- teggere. Casa nostra non è un muro chiuso: casa no- stra è il mondo, è la casa di tutti.

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Il procuratore della Repub- blica di Catania, Giovanni Salvi, smentisce il capo del governo secondo cui la stra ge sarebbe accaduta egual- mene anche se fosse conti- nuata la missione "Mare Nostrum". Salvi non è d'ac- cordo, e lo dice coi dati alla mano: le nostre navi, che un anno fa andavano fin sotto le coste libiche, allora salvavano molte vite uma- ne. Ma forse Renzi deve giustificare gli sbagli dei suoi sei mesi di presidenza italiana in Europa.Neanche il nostro governa-tore - per carità, ha tutto il diritto di stare in quel molo - spiega come fa a concili-are la sua commozione per

QUALE SOLIDARIETA’ di Giovanni Caruso

Aspettandoal portoGiornalisti di tutto il mondo, uomini e donne dei movimenti sociali e antirazzisti, polizia, magistrati e perfino il governa-tore Crocetta attendono sul molo del porto di Catania l'arri- vo della nave che porterà i superstiti del naufragio av- venuto l'altra notte in quel canale di Sicilia diventato ormai un’immensa bara.Là giacciono uomini donne e bambini, che oltre la vita hanno perso ogni diritto a vi-vere in pace, in dignità.Fuggono da guerre e fame, e pur di vivere vanno in terra straniera. Senza sapere che a volte la terra che li dovrebbe accogliere li rifiuta, li consi- dera solo merce da sfruttare.Qui e oggi, in questo porto di Catania c'è un movimento che li vuole accogliere, che denuncia le inefficienze di un governo che piange lacrime di coccodrillo buone solo a insultare quei morti in fondo al Mediterraneo.

queste novecento vittime e la sua arrendevolezza agli americani del Muos nella sughereta di Niscemi.Siamo ancora su questo molo ad aspettare la nave che porta un pugno di uomini scampati al naufragio. Solo uomini, perché tutte le donne e i bambini sono rimaste laggiù in quel freddo mare.I centri che dovevano accoglierli nella nostra città stanotte saranno più vuoti.Quei pescatori che sono partiti da Mazzara del Vallo, per salvare il più possibile di esseri umani, hanno detto piangendo: "Siamo arrivati e non c'era più nessuno da salvare”.

FOTO DI FRANCESCO NICOSIA

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BENI CONFISCATI/1 di Scatto Sociale

Regolamento?C’è solo sulla cartaTra l’elenco dei beni immobili confiscati del Comune di Catania e le associazioni che risultano usufruirne c’è un reale riscontro? Una villetta e un appartamento in via Chiesa e un terreno in via Speri non sono assegnati, mentre il restante degli edifici risulta regolarmente utilizzato. Aver constatato che questi “palazzi reali” dei boss mafiosi oggi sono perlopiù adoperati per aiutare la collettività è stato confortante.Naturalmente le condizioni di ogni singolo immobile variano a seconda dei casi. Molti edifici sembrano abbandonati perché spesso le associazioni non hanno fondi a sufficienza per poter fare gli interventi di ristrutturazione necessari e quindi operano arrangiandosi, badando più al fine che al “mezzo”, come ad esempio la SiRu in via Segusio. Stessa cosa per i tempi di assegnazione: - “Noi operiamo sul territorio da trent’anni ma ci è stata assegnata una sede solo negli ultimi dieci” – dichiara il Presidente della AVULSS in via Chiesa.

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Per altre associazioni, co- me il Centro Astalli, i tem- pi sono stati invece molto più brevi.“Ma qualche istituzione verifica - abbiamo chiesto – il regolare svolgimento delle vostre attività, almeno periodicamente?” La risposta è stata univoca: nessuno se ne occupa. Ciò potrebbe avere delle conse- guenze e infatti qualche caso di assegnazione dubbia c’è. Di fatto finché il Comune non renderà operativo il re- golamento riguardo ai beni confiscati, la Commissione che dovrebbe vigilare sulla sua corretta applicazione continuerà ad essere un fantasma di carta.

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BENI CONFISCATI di Giovanni Caruso

Un dirittoe un dovere politicoQuando fu approvata la legge La Torre-Rognoni, che introduceva il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni alle mafie, fu una grande vittoria in quanto colpiva il cuore del potere economico mafioso.L’attuazione di questa legge è stata però sempre resa difficile per l’eccesso di burocrazia e la mancanza di chiari regolamenti, ne è un esempio l’Agenzia Nazionale per i Beni Confi scati alle Mafie, invenzione del ministro Maroni. Un organismo definito dal procuratore aggiunto di Regio Calabria, Nicola Gratteri “un carrozzone vuoto" lento ed inefficiente.Insomma, il percorso per ottenere ed avere assegnato un bene confiscato è difficile e rischia di vanificare la via indicata da Pio La Torre, le sue idee, il suo sacrificio.

* * *

Quella che vedete in questa pagina è la mappa da noi realizzata che conta solo 29 beni confiscati e assegnati alle associazionei dal comune di Catania.Sono ben pochi rispetto a quello che risulta a noi, e che non possiamo elencare in quanto la stessa Agenzia Nazionale per i Beni Confis-cati alle Mafie nel suo sito, poco chiaro e trasparente, non dà altre indicazioni che il totale di tutti i beni confiscati nella regione Sicilia, che è di 2928 beni. Il 17 giugno del 2014 anche l’amministrazione comunale di Catania si è dotata di un regolamento per l’assegnazione dei beni confiscati, ma è trascorso quasi un anno e quel regola-mento riposa ancora in un cassetto, nè tanto meno il sindaco Bianco è in grado di rispondere alle domande delle associazioni che chiedono altri beni.

È anche vero che le organizzazioni sociali, cooperative e di terzo settore, per poca informazi-one o per poca volontà, non richiedono e non fanno fronte comune affinchè questo diritto e dovere di avere assegnato ciò che ci è stato tolto dalla mafia venga restituito alla società civile.Nel novembre del 2013 ci fu un tentativo di creare un coordinamento di associ-azioni che chiedeva con forza l’assegnazione dei beni confiscati. Purtroppo molte di queste associ-azioni hanno preferito arrendersi o trovare altre vie per avere un luogo che gli permetta di operare. Noi restiamo fermi nel continuare questa battaglia, e ancora una volta vogliamo chiedere con forza due beni confiscati che per noi sono dei presidii di libertà:● una Casa dell’informa- zione libera, intitolata a Giuseppe Fava, dove possano risiedere le redazioni dei piccoli giornali in contrasto al monopolio de La Sicilia;● una Casa delle Associ-azioni, dove possano coabitare le associazioni senza sede: e questa non pò che essere intitolta a Giambattista Scidà, che tanto lottò per i minori nei quartieri popolari in mano alle mafie, sostenendo che ciò accadeva a causa dell’ingiustizia sociale provocata dallo Stato.

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SICILIA di Luciano Mirone

Un’avventuracon Mario CiancioUn giorno mi telefonò l’uomo più potente di Sicilia, il dottor Mario Ciancio in persona, colui che da editore dell’unico quotidiano di Catania, era riuscito a diventare nientemeno che presidente nazionale della Federazione editori giornali, predecessore addirittura di Luca Cordero di Montezemolo. L’amico di presidenti della Repubblica, di presidenti del Consi- glio, di ministri, di sottosegretari, di presidenti di Regione, sindaci, di prefetti, di que- stori, ma anche di boss, al punto da essere incriminato per con corso esterno in asso- ciazione mafiosa; proprietario di terreni agricoli trasformati in immensi centri commercia li; unica persona della Sicilia orientale in grado di dare o di negare visibilità a un politico, quindi l’unica persona in gra- do di orientare il voto di mi- gliaia di elettori. Ma se quel politico si chiamava Claudio Fava ed era stato il primo de- gli eletti in Sicilia, e magari denunciava la mafia e i guasti dell’informazione catanese ed era pure colpevole di essere il figlio di un giornalista ucciso dalla mafia, ecco, quel politi- co doveva essere assoluta-mente ignorato. Ciancio era fatto così: aveva un’idiosincrasia per le perso- ne con la schiena dritta. L’e- sperienza con Nino Milazzo gli aveva fatto capire che bi- sogna sempre diffidare dei giornalisti. A fine anni ‘80, mentre Nino Milazzo era a Milano a fare il vicedirettore del Corriere, Ciancio lo chia- mò per fargli dirigere La Sici- lia: “Fallo per amore della no stra città”. Milazzo si trasferì in Sicilia ma fu cacciato po- chi mesi dopo perché si era messo in testa di denunciare Santapaola e i Cavalieri, il che a Ciancio non stava bene. Stesso destino capitò, anni dopo, a una dozzina di croni- sti di Telecolor, cronisti col brutto vizio della verità.Per Repubblica, allora, mi stavo occupando dello scem- pio edilizio che si stava per- petrando nella zona di Taor- mina. Per caso incappai in un mega albergo che l’editore catanese stava costruendo abusivamente in un luogo bellissimo, considerato inedificabile dal piano regolatore

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Dunque quel giorno mi arrivò questa telefonata di Mario Ciancio, il quale mi spiegava bonariamente che era cosa buona e giusta la realizzazione di questo albergo in un posto dove un cittadino comune non poteva modificare neanche un balconcino.Il Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo, accogliendo i ricorsi di cittadini e albergatori, ave- va sospeso i lavori e Mario Ciancio era incazzato per- ché ci stava rimettendo un sacco di soldi. Il problema è che il Cga si era pronun-ciato nello stesso giorno in cui Repubblica aveva pub- blicato la prima puntata della mia inchiesta, con tanto di foto della costruzi-one abusiva. Chi poteva levare dalla testa di Mario Ciancio che si trattava di una semplice coincidenza? In ogni caso, anche se sen- tenza e articolo non fossero usciti in contemporanea, lui si sarebbe incazzato lo stesso, per la semplice ra- gione che, essendo azioni- sta di Repubblica, non po- teva consentire che il gior- nale che lui negli anni ‘80, con voto determinante,ave- aveva salvato dalle grinfie di Berlusconi gli facesse saltare uno degli affari più importanti della sua vita. Quel voto aveva creato un rapporto nuovo fra il Grup- po Ciancio e il Gruppo De Benedetti. L’occasione del- lo sdoganamento di Cian- cio si ebbe quando Repub- blica decise di aprire a Ca-tania una redazione per l’e- dizione siciliana. DeBene-detti aveva fiutato l’affare: commercialmente parlan- do, Catania è la città più vivace della regione, e

Non sia mai! La Sicilia de- ve continuare ad essere l’u- nico quotidiano della pro- vincia, disse più o meno Ciancio. Se Repubblica sbarca a Catania mi toglie lettori. E questo l’editore più potente della Sicilia non lo poteva permettere. Dietro la paura della perdi- ta di lettori c’era molto al- tro. Perché Ciancio, per promuovere i suoi interes- si, ha sempre avuto biso- gno del suo giornale. E te-: nere a bada i tuoi cronisti (magari autoproclamandosi direttore dopo la cacciata di Milazzo) è un conto, ma farlo con quelli degli altri è un altro: mica puoi stare sempre attaccato al telefo- no per dire agli editori amici di cacciare i cronisti maleducati. Perciò. niente redazione a Catania. La redazione siciliana si aprì a Palermo, ma a due condi- zioni: che Repubblica ve- nisse stampata nello stabili- mento catanese di Ciancio, e che nelle province di Ca- tania, Ragusa e Siracusa Repubblica uscisse sì, ma senza le pagine regionali.Se volevo leggere un mio pezzo pubblicato sulle pa- gine siciliane di Repubbli- ca dovevo farmi duecento chilometri fra andata e ri- ritorno fino a Giardini Na- xos, al confine fra Catania e Messina, e comprare lì il giornale.Il Caso Catania non è solo la storia di una città che ha il primato europeo della criminalità minorile, dell’a- nalfabetismo, dei senzaca- sa, di certi magistrati che a- cquistano casa dai mafiosi, o di un giornalista ucciso dalla mafia. Il caso Catania è anche una storia di disa- gio, di malessere, di solitu- dine in cui si trovano i cro- nisti che in quella città han- no il coraggio di dire no. Ma scrivevo per Repubbli- ca e ne valeva la pena.Il giornale ospitava spessoinchieste, reportage, pezzi di cronaca scritti da me.

Quel viaggio surreale fino a Giardini mi pesava fino a un certo punto perché scri- vevo su un quotidiano sul quale valeva la pena di scrivere, il punto di riferi- mento di tante battaglie democratiche. Scrivere per Repubblica mi dava la pos- sibilità di essere letto in tutte le città della Sicilia, tranne che nella mia. Avete presente l’inviato di un giornale che manda i suoi pezzi dal buco più im- pensato del mondo, dove non c’è telefono, luce elet- trica, ufficio postale,e dove non arrivano neanche i giornali? Quello ero io!E così un giorno mi recai per la prima volta in reda- zione a Palermo. “Oooh-ma-sei-tu-Luciano-Miro- ne?-Che-piacere!-Noi-da-qui-ti-seguiamo-sempre” Nel giro di dieci minuti si raccolsero una decina di giornalisti che mi chiede- vano le cose più impensate. Il cronista di punta mi fece leggere in an- teprima il pezzo che stava scrivendo, “dimmi-cosa-ne-pensi”. Di assunzione manco a parlarne, “la-redazione-è-in-sovrannumero”... Per un po’ fu il mio cruccio, poi mi accorsi che era il mio punto di forza: mi consen-tiva di essere libero da qualsiasi condizionamento. Dopo la prima puntata sul- l’abusivismo a Taormina mi accingevo a scrivere la seconda, dando la parola a tutti. Raccolta una notevole mole di materiali, telefonai al presidente dell’Unione albergatori (socio di Cian- cio) che avevo intervistato in occasione della prima puntata. Era lui, assieme all’editore catanese, che a Taormina stava realizzando l’albergo abusivo. Quando gli spiegai i motivi della telefonata, garbatamente mi rispose: “A lei non rila- scio interviste”. “Perché?”. “Perché il suo articolo ci ha causato un sacco di danni, lo sa quanti milioni?”.

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“Mi dispiace, ma mi sono limitato a fare il mio lavo- ro”. “Lo so, e vedo che lo fa bene, ma mi consenta di dirle che a lei non rilascio dichiarazioni”. “Sto intervi- stando tutti, è giusto sentire anche lei”. “Lei è troppo di parte, so benissimo da qua- le parte sta, non mi faccia aggiungere altro”. “Guardi, io non sto da nessuna parte, sennò non l’avrei neanche chiamata”. “Mi dispiace. Se vuole posso farla parlare col mio socio, il dottor Ma- rio Ciancio. Lo chiamo, fisso un appuntamento e le telefono subito”.Il dottor Mario Ciancio for- se mi conosceva per aver- mi letto sui Siciliani o for- se… ma sì, aveva letto Gli insabbiati. Ne era uscito a pezzi anche per il tentativo di gettare discredito su un “suo” cronista, Beppe Alfa- no, corrispondente da Bar- cellona Pozzo di Gotto. (Per Gli insabbiati, il presi- dente dell’Ordine dei gior- nalisti di Sicilia mi aveva proposto per il Premio Ma- rio Francese: nel Consiglio dell’Ordine volarono le sedie, niente premio, ma questa è un’altra storia…). Dopo cinque minuti ricevet ti una telefonata. Non era il presidente dell’Unione al- bergatori ma Mario Cian- cio in persona. Da noi un un giornalista che fa parte del sistema o aspira a farne parte, una chiamata del ge- nere se la gioca: quello ti fa capire diplomaticamente di lasciar perdere, e tu altret- tanto diplomaticamente gli fai capire che un favore è un favore... Ma per uno che come punto di riferimento ha Giuseppe Fava è un’a- ltra cosa. Per uno così, la telefonata dell’ uomo più potente della Sicilia è una telefonata come le altre.“Le dicevo… A Taormina c’è un cretino che sta co- struendo un albergo… Si renda conto, hanno fermato i lavori, tanti padri di fami- glia in mezzo alla strada...”

Mica puoi stare sempre attaccato al telefonoper dire agli editori amici

di cacciare i cronisti maleducati. Perciò...

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E il giornale, per evitare lo sputtanamento completo, non potè tirarsi indietro. Così finalmente i catanesi, come i siracusani e i ragu- sani, furono autorizzati a leggere qualcosa di diver- so da La Sicilia. Dopo tanti anni di attese, finalmente l’inserto siciliano di Re- pubblica usciva anche dalle mie parti. La svolta! Mi sembrava un sogno. A dirigere la redazione di Pa- lermo arrivò una firma da Roma, Sebastiano Messina, ovviamente - credevo - per rilanciare l’inserto.Andai a trovarlo. Fu genti- lissimo. “Sì, certo. Scrivi pure. Inviami le proposte”.Cominciai con gli scandali del Teatro Bellini di Cata- nia e con la cementificazi-one della montagna di Le- tojanni, sotto Taormina. Non so cosa sia successo dietro le quinte, anzi non so se veramente sia succes- so qualcosa. So solo che a poco a poco le cose cam- biarono. Ero stato rimesso in gioco con le inchieste, di nuovo su un territorio off limits. Immagino le discus- sioni, ma appunto posso solo immaginare.A poco a poco Catania di- ventò un puntino invisibile sulla carta geografica di Repubblica. Qualche pezzodi cronaca ogni tanto, ma sempre scritto da altri.Io intanto venivo inviato ai convegni di neurochirurgia o alle gare fra muratori per chi riusciva a costruire la fioriera più bella.Sul tema dei poteri catane- si, la sintonia fra il giornale e la società civile a questo punto si interruppe.

E giù lettere di protesta: “Repubblica è democratica a Roma, ma a Catania è di destra”.Uscivano pagine e pagine sul mare invaso dalle me-duse, sull’intonaco caduto dalla facciata, sul tombino scoppiato (a Palermo). Al-tro che svolta...Al nuovo direttore inviai una lettera accorata: il giornale ha i suoi progetti e non li discuto, Palermo al centro di tutto, e va bene, ma occupiamoci anche delle altre parti dell’isola, facciamo delle inchieste, raccontiamo delle storie, parliamo di certi perso-naggi... Silenzio. Ogni giorno inviavo pro- poste su qualsiasi cosa. A Paternò la Patrona sfila fra due ali di immondizia arri- vate fino al primo piano. Silenzio. Posso fare un’in- chiesta sugli Ato? Sullo scandalo dei termovaloriz-zatori? Silenzio. Posso fare un servizio sul Caso Cata- nia? Silenzio. Hanno am- mazzato un giovane urolo- go di Barcellona,si sospetta che la mafia. Silenzio. Ho uno scoop sulla morte di Mauro Rostagno. Silenzio.Alla fine scrissi al direttore a Roma. “Ho scritto un li- bro sull’argomento,ho fonti in tutta Italia, ho uno scoop sull’omicidio Rostagno, mi fa sapere per favore?”.Silenzio. Due giorni dopo, in prima di Repubblica uscì un’inchiesta sul caso Rosta gno. Firmato: il vicediret-tore. Solita minestra riscal- data. Un segnale definitivo. Mi attacco al telefono. “Pronto, Palermo, la segreteria di redazione?

“Mi dispiace. Però, dottor Ciancio, poco fa il suo so- cio mi ha detto che sto fa- cendo l’inchiesta perché di parte.Lo pensa anche lei?”.“Assolutamente no. Il mio amico ogni tanto si fa pren- dere dalla foga”. Ciancio si dimostrava una persona affabile e simpatica, diplo- matica. Non amava appari- re,ma era il vero re di Cata- nia. Tutti dovevano pro- strarsi ai suoi piedi per far- si pubblicare una merda di comunicato stampa. Ma in questo caso era lui a cercare me. Evidentemente era in piena emergenza. Ma per cosa? Non lo disse, ma non era difficile intuirlo. Una cosa era chiara: voleva capire le mie intenzioni. “Dottor Ciancio, posso avere il piacere di venirla ad intervistare?”. Qui egli comprese che non mi sarei piegato. E soprattutto che stavo diventando perico-loso. E se un potente si sco moda per chiamare un il- lustre sconosciuto, o ottie- ne ciò che vuule o si orga- nizza adeguatamente. Quell’albergo era nulla ri- rispetto agli affari che l’e- ditore aveva in mente, a Taormina come altrove. E quando in affari non puoi permetteti ostacoli. Mario Ciancio capì, e impassibil-mente ne prese atto.“Ma certo. Mi lasci vederel’agenda. La richiamo”.Ovviamente non richiamò. Ma il bello doveva ancora venire. Scrissi la seconda puntata, più dirompente della prima. Carte, testimo-nianze, i nomi dei politici nazionali e locali che ave- vano coperto lo scandalo.

A Paler-mo cominciarono indecisioni e marce indie- tro. Prima pensarono di far- melo scrivere con un colle- ga di Palermo. Poi con una firme nazionale. Poi... Poi niente. Sulla vicenda calò il silenzio. Eppure in redazione mi avevano avvi- sato: vedi che questo è uno pericoloso. Io non ci feci caso. Il pezzo restò nel cas- setto. Pare che la succesiva telefonata non sia venuta dalla Sicilia ma da Roma. Qualche mese dopo il di- rettore della redazione pa- lermitana, quello che mi a- veva dato fiducia, fu trasfe- rito. “Avvicendamento re- dazionale”.Da allora il silenzio calò non solo sulla mia inchie- sta. ma anche su di me. Garbatamente mi spiega-rono che non mi sarei più occupato di certi argomen- ti. “Tu sei adatto per la cultura”. Per la cultura, certo. Da ogni parte della Sicilia mi chiamavano per denunciare scandali, ma dovevo inven- tarmi scuse per non andare. Ormai mi occupavo solo di cultura...Poi Report di Milena Gaba nelli si occupò del caso Ca- tania e tutta l’Italia seppe la storia dell’imputazione per concorso esterno in asso- ciazione mafiosa di Mario Ciancio, del monopolio dell’informazione, delle pagine siciliane di Repub-blica che non dovevano essere lette a Catania. La società civile catanese, in un sussulto d’indigna- zione, raccolse migliaia di firme e le spedì a Repub-blica: vogliamo l’inserto siciliano anche a Catania.

Potete riferire al capo che vorrei vederlo?”. Un mese di silenzio. Poi, trenta giorni dopo: “Parlo con la segreteria di reda- zione? Vi avevo detto che volevo vedere il diretto-re....”.“Il-direttore-si-è-preso-l’appunto-Ha-detto-che-ti-avrebbe-richiamato-Non-lo-ha-fatto?-Glielo-diremo”. “Ditegli che è importante”. Silenzio.

* * * [“E’ stato-lui a-andarsene mica-l’abbiamo cacciato-noi Ma-no-che-non-è una- cosa-personale...”]

* * *Magari il direttore non ha avuto il tempo di leggere. Magari le mie mail non le avrà ricevute. Magari mi voleva chiamare ma se n’è dimenticato. Magari l’ap-punto è volato via dalla suascrivania. Magari.... Intanto le meduse (palermi- tane) infestavano il mare (palermitano), i muri (pa- lermitani) delle scuole (pa- lermitane) continuavano a scrostarsi e i tombini (paler mitani) scoppiavano dopo i temporali (palermitani), e intanto i catanesi si avvi- cendavano, non io, ma quelli - rigorosamente - del gruppo Ciancio...

* * * [“Ohhh... che-piacere-sei-Luciano-Mirone?”“Lei-è-di-parte-un-sovver sivo!”.“Certo, consulto l’agenda -e-la richiamo...]

“Repubblica èdemocratica

a Roma,ma a Catania

è di destra...”

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UN VOLANTINO dei “Siciliani”

La Resistenzache cos’è [aprile ‘94]

"Non rompere le scatole al tuo padrone. Non parlare di mafia. Non chiedere i soldi che ti spettano. Non dire mai "i miei diritti". Perché tu di diritti non ne hai. Tu non conti niente. Tu non sei nessuno".Te lo dicono ogni giorno e se non bastano le parole te lo dicono a legnate. A Catania Costanzo ha fatto sempre quello che ha voluto. Come i democristiani e i socialisti sotto Craxi. Come i gerarchi fascisti sotto il fascismo. Quando cambia il vento, cam -biano il colore della camicia (viva il duce, viva Andreotti, viva Craxi, viva Berlusconi) ma restano sempre al potere.Resistenza vuol dire che per almeno una volta nella storia non è andata così. Che per una volta nella storia tu ti sei incazzato e hai detto: Adesso basta. Voglio contare anch'io.Questo è successo un venti- cinque aprile di molti anni fa. I padroni e i gerarchi ne han- no ancora paura. Perché se è successo una volta può succe- dere ancora.

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I Siciliani giovani sono una rete di testate giovani di base, su carta e web, che fanno insieme un sito, una rivista pdf, una serie di ebook e questo foglio. E sperano, prima o poi, di riportare in edicola i Siciliani.In rete: I Cordai (Catania),Telejato (Partinico), StampoAntimafioso e WikiMafia (Milano), Filidicanapa (Canavese) Diecieventicinque (Bologna), Napoli Monitor e La Domenica Settimanale (Napoli), Generazione Zero (Ragusa), Il Clandestino (Modica), Tp24.it (Trapani), Mamma!, Antimafia Duemila, Liberainformazione, Reportage.Con: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Gaetano Alessi, Lorenzo Baldo, Antonella Beccaria, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Giorgio Bongiovanni, Luciano Bruno, Anna Bucca, Daniela Calcaterra, Elio Camilleri, Giulio Cavalli, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Salvo Catalano, Carmelo Catania, Giulio Cavalli, Antonio Cimino, Giancarla Codrignani, Andrea Contatto, Dario Costantino, Irene Costantino, Tano D’Amico, Fabio Michele D’Urso, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Giacomo Di Girolamo, Alessio Di Florio, Tito Gandini, Rosa Maria Di Natale, Pierpaolo Farina, Francesco Feola, Norma Ferrara, Marino Ficco, Pino Finocchiaro, Paolo Fior, Enrica Frasca, Renato Galasso, Rino Giacalone, Marcella Giammusso, Giuseppe Giustolisi, Valeria Grimaldi, Carlo Gubitosa, Sebastiano Gulisano, Bruna Iacopino, Flavia Iraci, Sara Levrini, Alfredo Magnanti, Carlo Majorana, Sara Manisera, Stefania Mazzara, Max Guglielmino, Diego Gutkowski, Bruna Iacopino, Margherita Ingoglia, Kanjano, Gaetano Liardo, Sabina Longhitano, Luca Salici, Dario Lo Presti, Mattia Maestri, Michela Mancini, Sara Manisera, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Loris Mazzetti, Frances- co Moiraghi, Massimiliano Nicosia, Francesco Nicosia, Attilio Occhipinti, Salvo Ognibene, Antonello Oliva, Simone Olivelli, Riccardo Orioles, Maurizio Parisi, Salvo Perrotta, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Domenico Pisciotta, Gaetano Porcasi, Antonio Roccuzzo, Alessandro Romeo, Vincenzo Rosa, Roberto Rossi, Luca Rossomando, Francesco Ruta, Giorgio Ruta, Marco Salfi, Daniela Sammito, Ivana Sciacca, Daniela Siciliano, Vittoria Smaldone, Mario Spada, Sara Spartà, Giuseppe Spina, Miriana Squillaci, Domenico Stimolo, Marilena Teri,Giuseppe Teri, Mara Trovato, Adriana Varriale, Lillo Venezia, Fabio Vita, Salvo Vitale, Patrick Wild, Chiara Zappalà,Teresa Zingale, Andrea Zolea.

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Per questo dicono che sono cose vecchie e superate,che non bisogna pensarci più. Ma noi invece ce le ricor- diamo.Molte persone come noi e come te hanno combattuto perché gli operai non venis sero bastonati per la strada, perché i mafiosi come Co- stanzo fossero inseguiti e non protetti dalla polizia, perché i ladri andassero in galera e non tornassero in- vece a governare sotto un'altra bandiera. E' grazie a loro che siamo un popo- lo, nonostante tutto, e non un gregge. Un popolo può sbagliare una volta, può la- sciarsi imbrogliare. Ma alla lunga, prima o poi, ragiona.Viva la Resistenza contro i fascisti e i mafiosiViva il Venticinque Aprile

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