I Siciliani - maggio 2013

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Mazzeo MUOS, IPOCRISIE E RICATTI Cavalli LOMBARDIA: VIA LIBERA ALL’INVASIONE Caruso QUARTO STATO Gubitosa LA VERA CASTA Orsatti LA MAFIA A ROMA Di Maggio LEGGE ANTICORRUZIONE Giordano LA COSTITUENTE DEI BENI COMUNI CATANIA LE INDAGINI SU CIANCIO CATANIA 7 MILIONI IN PIU’ A VIRLINZI Gulisano IL GIOCO DELLE PARTI Giacalone ANDREOTTI, TRAPANI E I MAFIOSI Berra/Manisera GIUSTIZIA PER LEA Pettinari UN "SAGGIO" PER LE COSCHE De Gennaro ADDIO PD JACK DANIEL Capezzuto IL FORTINO ASSEDIATO Abbagnato GOVERNO FORZATO “MAMMA” Salvo Vitale PEPPINO, SEMBRA IERI Vita LE NOZZE SEGRETE FRA GOOGLE E ASSANGE Iacopino ACHTUNG, RAGAZZINI Dalla Chiesa/ I 33 anni del Centro Impastato Caselli/ Ma la mafia è un interlocutore? I Siciliani maggio 2013 www.isiciliani.it “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” Ma non doveva arrivare il cambiamento? Grillo Bersani e Renzi sono riusciti a gettarlo via. Ma è proprio finito tutto? No, dice la base giovani Invece di Falcone Italia/ I nuovi eroi ebook L’Era Alemanna 18 maggio La Fiom in piazza Il braccio destro di Dell’Utri, Micchichè, di nuovo al ministero. Berlusconi, di nuovo a cavallo, minaccia i giudici per non finire in galera.

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Rivista di politica, attualità e cultura

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Mazzeo MUOS, IPOCRISIE E RICATTI Cavalli LOMBARDIA: VIA LIBERA ALL’INVASIONECaruso QUARTO STATO Gubitosa LA VERA CASTA Orsatti LA MAFIA A ROMADi Maggio LEGGE ANTICORRUZIONE Giordano LA COSTITUENTE DEI BENI COMUNICATANIA LE INDAGINI SU CIANCIO CATANIA 7 MILIONI IN PIU’ A VIRLINZIGulisano IL GIOCO DELLE PARTI Giacalone ANDREOTTI, TRAPANI E I MAFIOSIBerra/Manisera GIUSTIZIA PER LEA Pettinari UN "SAGGIO" PER LE COSCHEDe Gennaro ADDIO PD JACK DANIEL Capezzuto IL FORTINO ASSEDIATOAbbagnato GOVERNO FORZATO “MAMMA” Salvo Vitale PEPPINO, SEMBRA IERIVita LE NOZZE SEGRETE FRA GOOGLE E ASSANGE Iacopino ACHTUNG, RAGAZZINIDalla Chiesa/ I 33 anni del Centro ImpastatoCaselli/ Ma la mafia è un interlocutore?

I Siciliani mag

gio

2013

www.isiciliani.it“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”

Ma non doveva arrivare il cambiamento?Grillo Bersani e Renzi sono riusciti a gettarlo via.Ma è proprio finito tutto? No, dice la base

giovani

Invecedi Falcone

Italia/I nuovieroi

ebookL’Era Alemanna

18 maggioLa Fiomin piazza

Il braccio destro di Dell’Utri, Micchichè,di nuovo al ministero.Berlusconi, di nuovoa cavallo, minacciai giudici per nonfinire in galera.

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Ventun anni dopo i giorni di Falcone - che per noi antimafiosi

segnano una svolta nella storia - l'Italia è ancora lontana dai suoi

ideali. Una parte del popolo è molto regredita sul piano civile. E

quella che invece resta fedele alla democrazia è estremamente

divisa e priva di riferimenti politici e organizzativi adeguati.

La crisi economica - dovuta a una lunga gestione rozza e egoi-

sta - ha la sua parte in questo. Ma pesano ancor più i lunghi

anni di democrazia “liquida”, di politica-spettacolo, di leader

“carismatici”, di delega a qualcun altro. Quel che avevano con-

quistato i cittadini, lo perdono gli spettatori. In questo senso la

crisi è “morale” - non come moralità astratta, ma come insieme

di valori comuni - e non solo politica o istituzionale.

* * *

L'antimafia, in tutti questi anni, ha fatto da collante per i mi-

gliori. Indicando un servizio comune, un'etica condivisa, un

modo militante e civile di vivere il bene comune. Per due gener-

azioni di giovani, essa è stata una scuola e una Città.

Adesso, probabilmente, è arrivato il momento di fare un passo

avanti. Portare questi valori in un ambito più vasto, organizzarne

la realizzazione pratica, farne - in una parola - una “politica”

militante. Non per dividere ancora, ma anzi per unire.

E di unità c'è bisogno, fra i cittadini non-sudditi, in questo

momento. Sono la maggioranza, ma non riescono a farsene uno

strumento. Le loro lotte “plebee”, che sono numerosissime, con-

tinuamente ondeggiano fra protesta senza seguito e riassorbi-

mento in questa o quella lotta “patrizia” di palazzo.

L'elementare concetto dell'unità fra i poveri, della solidarietà

fra vite simili e simili interessi, sembra ancora un'utopia strana.

Noi dell'antimafia sociale affrontiamo ogni giorno e diretta-

mente dei poteri. Non delle ideologie, non delle costruzioni

complesse, ma semplicemente dei potenti che comandano e vo-

gliono continuare a farlo. Questa è una buona metafora, e anche

un modello, che potrebbe utilmente estendersi all'intera società.

La rete, i beni comuni, la mobilitazione a-ideologica su singoli

obiettivi sono altri modelli che s'intrecciano ad esso, e che nella

nostra pratica noi cerchiamo di unire sempre più strettamente.

* * *

Da qui la buona politica, che verrà coi suoi tempi. Dobbiamo

accelerarli il più possibile, perché la crisi - lasciata a se stessa - è

inumana. E lancia segnali “non-politici” (in realtà profonda-

mente politici) di disumanità e de-civilizzazione, come questo:

venticinque donne, nei primi quattro mesi del 2013, uccise da

altrettanti uomini. Bisogna fare presto.

I Siciliani

(r.o.)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 3– pag. 3

I giornidi Falcone

DA' UNA MANO: I Siciliani giovani, Banca Etica, IT 28 B 05018 04600 000000148119

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani maggio 2013 numero quattordici

Questo numeroI giorni di Falcone/ I Siciliani 3Andreotti Rimozioni e realtà/ di Gian Carlo Caselli 6 La memoria che non si arrende/ di Nando dalla Chiesa 7

PolisLombardia Mano libera all'invasione/ di Giulio Cavalli 8Muos Fra ipocrisie e ricatti/ di Antonio Mazzeo 9L'Italia della Mezza Repubblica/ di Riccardo Orioles 11Le mafie a Roma/ di Pietro Orsatti 12Comuni Un voto di coscienza/ di Giovanni Caruso 14Subito la legge anticorruzione/ di Umberto Di Maggio 15La costituente dei beni comuni/ di Giulia Giordano 1618 maggio La parola agli operai/ di Pietro Orsatti 17

PoteriNuovo intervento in Libia da Sigonella?/ di Antonio Mazzeo 19La casta più pericolosa: i politici?/ di Carlo Gubitosa 20Le indagini su Mario Ciancio/ 22In 23 anni 7 milioni in più ai Virlinzi/ di Salvo Catalano 23Muos Gioco delle parti/ di Sebastiano Gulisano 24

MemoriaNoi e Peppino/ E sembra ieri/ di Salvo Vitale 26

MafieAndreotti, Trapani e i mafiosi/ di Rino Giacalone 30Giustizia per Lea / di Valerio Berra e Sara Manisera 33Trapani La miseria e le mazzette/ di Rino Giacalone 36Chiude la sede Dia della Malpensa/ di Roberto Nicolini 37Un "saggio" guida le cosche/ di Aaron Pettinari 38Cronistoria di fuoco/ di Pino Maniaci e Salvo Ognibene 40

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 4– pag. 4

RIEPILOGANDOFra i tanti premi giornalistici che si danno ogni giorno in Italia

uno - per fortuna non dei più importanti - è andato a finire da noi, nelle persone di alcuni compagni che, a pensarci un momento, sono un condensato preciso dell'intera nostra banda.

C'è Claudia, la giornalista giovane, ma già professionista e “regolare” con le sue inchieste fatte a norma di manuale. C'è Ester, che in poco più d'un anno s'è vista piombare addosso sindaci, 'ndranghetisti, politici collusi, e tutti li ha affrontati bravamente, né impaurita dalle minacce né confusa dai tentativi di corruzione. Ci sono - onnipresenti - Enrica, Daniela, Francesco, Angela, Antonio, quelli del “Clandestino”, questi Asterix siciliani che dalla loro piccola città in fondo all'Italia non hanno paura di niente e di nessuno.

C'è infine Fabio, il più ragazzino di tutti nel ricordo ma ormai un uomo fatto e maturo, che da più di vent'anni (non ne aveva sedici quando venne aiSiciliani) segue la nostra strada. Una stra-da difficile, specialmente per lui: solo, non sostenuto da nessun-o, eppure professionalmente agguerrito, difficile da smontare.

Ci piacerebbe che i colleghi “importanti”, fra i loro molti e importantissimi pensieri, ne trovassero uno anche piccolo per lui. Per dirgli “grazie”, magari, visto che è grazie a lui, e a quellicome lui, che i Siciliani – cioè il giornalismo libero, cioè Giuseppe Fava – sono ancora qua.

*

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SOMMARIOTerre

Avvertimento al sindaco anti-discarica?/ di Carmelo Catania 42Antimafia nella piccola città/ di Rosanna Chillemi 43Istanbul, guerre "diverse"/ di Alessandro Romeo e G.Caruso 44Il cielo di Librino/ di Stefania Di Filippo 46

SatiraMAMMA/ a cura di Gubitosa, Kanjano e Biani 49

ItaliaMunnizza e omertà/ di Domenico Pisciotta 54Emergenza rifiuti/ di Carmelo Catania 55Modica Il miracolo tarocco/ di Francesco Ragusa 56 Il grido della farfalla/ 53Achtung ragazzini / di Bruna Iacopino 58Le donne si raccontano/ di Norma Ferrara 60

Culture'U Parrinu/ di Claudio Zappalà 61Gli omaggi di William Manera/ di Salvo Ognibene 62"Lei disse sì"/ di Teresa Campagna 63

StoriaMa chi fu Antonio Canepa?/ di Elio Camilleri 64

StorieAlla ricerca del tempo perduto/ di Jack Daniel 65

ItaliaUn governo forzato/ di Giovanni Abbagnato 66Il fallimento del Pd/ di Riccardo De Gennaro 67Palermo La mafia sottovalutata/ di Giovanni Abbagnato 68Messina Un sindaco "bene comune"?/ di Tonino Cafeo 69

L'acqua la città la polis/ di Giovanni Caruso 70Palagonia La primavera ferita/ di Claudia Campese 72Napoli Il fortino assediato/ di Arnaldo Capezzuto 74Pio La Torre trentun anni dopo/ di Antonio Cimino 75

MestieriLa Sartoria/ di Marcella Giammusso e Paolo Parisi 76

PianetaLe nozze segrete fra Google e Assange/ di Fabio Vita 78

GiornalismoL'informazione precaria / di Attilio Occhipinti 80Laboratorio Scrivere di mafia di Stampoantimafioso 82

Nord e Sud/ di Tito Gandini 86

Il filoIl potere in Italia/ di Giuseppe Fava 88

ebookPietro OrsattiL'Era AlemannaUn pampletscintillante e spietatosull'ultima invasionebarbarica dell'Urbe:gli Alemanni

I Siciliani I Sicilianigiovanigiovani – pag. 5– pag. 5

DISEGNI DI MAURO BIANI

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Andreotti/ Rimozioni e realtà

Ma la mafia èun interlocutore?di Gian Carlo Caselli

Tutti coloro (e sono un esercito tra-

sversale, politici e media) che hanno

nascosto o stravolto la verità sull’esito

del processo palermitano a Giulio An-

dreotti hanno reso un pessimo servizio

alla trasparenza democratica del no-

stro paese. I fatti incontestabili sono

questi.

Il sen. Andreotti era imputato (in estre-

ma sintesi) di rapporti con la mafia. In

primo grado c’è stata assoluzione. In ap-

pello la sentenza del tribunale è stata par-

zialmente ribaltata. Mentre per i fatti

successivi il sen. Andreotti è stato ancora

assolto, per quelli fino alla primavera del

1980 è stato dichiarato colpevole, per

aver COMMESSO il reato contestatogli.

Il reato COMMESSO è stato dichiarato

prescritto, ma resta ovviamente COM-

MESSO.

La Cassazione ha confermato la sen-

tenza d’appello anche nella parte in cui si

afferma la penale responsabilità

dell’imputato fino al 1980. Processual-

mente è questa la verità definitiva.

La verità processuale

Parlare di assoluzione è fuori di ogni

realtà. Difatti fecero ricorso in cassazio-

ne sia l’accusa che la difesa. Non ho mai

visto, in oltre 50 anni di magistratura, un

imputato che ricorre contro la sua assolu-

zione. Non esiste in natura. Ecco la pro-

va provata, secondo una logica elementa-

re, che non vi fu “assoluzione” per i fatti

fino al 1980.

La corte d’appello (confermata, ripeto,

in Cassazione) si è basata su prove sicure

e riscontrate. In particolare ha ritenuto

provati due incontri del senatore, in Sici-

lia, con Stefano Bontade, all’epoca capo

dei capi, e altri mafiosi dello stesso cali-

bro. Negli incontri (lo dice la sentenza) si

discusse di fatti criminali gravissimi rela-

tivi a Pier Santi Mattarella, capo della

DC siciliana, politico onesto che pagò

con la vita l’essersi opposto a Cosa no-

stra.

Principale fonte di prova fu il collabo-

ratore di giustizia Francesco Marino

Mannoia, un “pentito” rivelatosi sempre

analiticamente preciso (già con Giovanni

Falcone) e mai smentito

“Una vera e propria partecipazione”

La corte d’appello sottolinea poi che

l’imputato non ha denunziato le respon-

sabilità dei mafiosi incontrati, “in parti-

colare in relazione all’omicidio di Matta-

rella, malgrado potesse al riguardo offri-

re utilissimi elementi di conoscenza”. In

conclusione, la Corte d’appello ha ravvi-

sato a carico di Andreotti “una vera e

propria partecipazione all’associazione

mafiosa apprezzabilmente protrattasi nel

tempo”.

Rapporti anche organici con la mafia

Negare tutte queste verità documentate

da una sentenza della Cassazione signifi-

ca non voler elaborare la memoria di ciò

che è stato perché si teme il giudizio sto-

rico su come (in una certa fase) si è for-

mato almeno in parte il consenso in Ita-

lia.

Significa pure legittimare, per il passa-

to per il presente e per il futuro, un modo

di fare politica che contempla anche rap-

porti organici con la mafia. Significa in-

debolire la nostra già fragile democrazia.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.6– pag.6

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I 33 anni del Centro Impastato

La memoriache non si arrendeMaggio1980: il Centro siciliano di documenta-zione sulla mafia viene intitolato a “Giuseppe Impastato”

di Nando dalla Chiesa

Tutto era iniziato nel 1977, quando

due giovani contestatori, Umberto San-tino e Anna Puglisi, marito e moglie dal ‘72, scelsero di pensare un po’ meno all’imperialismo e più alla forza cre-scente della mafia e fondarono il centro.

Sembrava una iniziativa retrò, provin-ciale, in un’Italia che viveva il canto del cigno della rivoluzione giovanile, tra ag-guati all’alba, indiani metropolitani e p38 agitate e usate per le strade.

Passò un anno e un giovane di Cinisi, Peppino appunto, venne fatto a brandelli dalla mafia di Tano Badalamenti nel modoche sappiamo. Vite parallele, poiché anchePeppino testimoniava lo slancio rivoluzio-nario attraverso un sessantotto tutto suo: altrove Vietnam e centralità operaia, lui Cosa nostra e l’eroina. Si era presentato alle elezioni comunali di quell’anno nelle liste di Democrazia proletaria. E, da mor-to, venne eletto.

Questo lo sanno tutti. Quel che però nonsi sa è che l’ultimo comizio, l’11 di mag-gio del ‘78, venne tenuto al suo posto pro-prio da Umberto Santino, chiamato dai compagni di Peppino a reagire alla violen-za mafiosa. Due anni esatti dopo Umberto decise con Anna di intitolargli il Centro. “Non perché fosse mio amico , non ci fre-quentavamo, io avevo nove anni più di lui.Ma perché seppi che veniva da una fami-glia di mafia. E questo per noi ebbe subito un valore enorme. Doveva diventare il simbolo di ciò che era possibile”.www.ilfattoquotidiano.it

Decenni di battaglie

Sono trascorsi decenni. Marito e moglie,che apparivano allora così diversi a chi li avesse visti per la prima volta, si sono an-dati assomigliando sempre di più. L’anti-mafia li ha modellati, li ha come fusi, mentalmente, fisicamente, nella realizza-zione del loro generoso progetto. Decenni trascorsi a raccogliere materiale, a cercare testimonianze, a catalogare, a organizzare convegni. A scrivere, anche; perché in par-ticolare Umberto ha scritto decine di libri, alcuni di valore assoluto. “A quale tengo di più? Alla Storia del movimento antima-fia, questa grande storia di liberazione, ini-ziata con i Fasci siciliani e che non si è an-cora conclusa”.

Loro due e, con loro, un pugno di volon-tari. Con la sede ricavata eroicamente nel-la propria abitazione divisa a metà: di qui casa Santino-Puglisi, di lì il Centro Impa-stato. Chi faceva tesi di laurea sulla mafia veniva mandato qui da tutta Italia, nella certezza che avrebbe trovato consigli e bi-bliografie di eccellenza. Oltre a qualche ironia al vetriolo sul proprio relatore, per-ché Umberto è scorbutico, polemico, an-che se capace di dolcezze imprevedibili. Ma uno dei veri, grandi meriti storici del Centro è stata una battaglia da molti e a lungo considerata marginale: quella, infi-nita, per dare giustizia a Peppino Impasta-to.

Chinnici prima e Caponnetto poi

E a Felicia, la mamma ribelle, e a Gio-vanni, il fratello minore. “Abbiamo fatto dossier, ricostruzioni, abbiamo ottenuto che Chinnici prima e Caponnetto poi di-chiarassero quella morte orribile un omici-dio di mafia, anche se non se ne poteva identificare l’autore; abbiamo fatto riaprirel’inchiesta quando poi si seppe che Salva-tore Palazzolo, membro di una famiglia vi-cina a Badalamenti, si era pentito. Finché la giustizia della Repubblica ha indicato nel boss di Cinisi, che era poi uno dei più grandi capimafia in assoluto, il mandante dell’assassinio”.

E non basta. Perché Umberto e Anna si sono pure battuti per fare istituire dalla Commissione parlamentare antimafia uno speciale comitato, presieduto da Giovanni Russo Spena, per ricostruire il depistaggio delle indagini sull’assassinio. “E anche lì abbiamo vinto. Visto che il depistaggio eraprescritto, volevamo che almeno la storia non dimenticasse. E alla fine la tesi delle deviazioni compiute da uomini della magi-stratura e dei carabinieri, è stata messa nero su bianco da una larga maggioranza”.

L’Italia avrebbe capito l’importanza di quella ventennale battaglia solo nel 2000, quando a Venezia un film destinato a fare epoca e cultura, “I cento passi”, avrebbe raccontato a una platea di spettatori com-mossi fino alle lacrime la storia del giova-ne di Cinisi salutato ai funerali da una sel-va di bandiere rosse. Umberto e Anna ora hanno un altro, più ambizioso progetto. È la loro eredità per Palermo.

“Un Memoriale della lotta alla mafia”

“Sogno un Memoriale della lotta alla mafia. Uno spazio grandissimo, dove si possa coltivare la memoria, vedere film, studiare. Un museo internazionale perché Palermo è stata capitale di mafia ma anchedi antimafia. Gli regaleremmo i 7500 vo-lumi del Centro, e anche i miei 2000 libri di storia e scienze sociali. Ho 74 anni, e questo Memoriale vorrei vederlo nascere ecrescere insieme con Anna. Palermo se lo merita. Sto rivolgendo appelli al Comune e a tutte le istituzioni. Ma perché, non sa-rebbe giusto farlo?”.

L’intellettuale polemico, aspro, torna dolce sotto gli occhialini. Lui che non ha mai avuto finanziamenti pubblici (“tranne una volta per una ricerca europea sulla droga, scriva di darci il 5 per mille”) sognaquel che da solo non potrà mai fare. Lo guardi e provi ammirazione. Dietro, c’è una storia dedicata alla più grande e ri-schiosa causa della sua Sicilia. Da quel co-mizio dell’11 maggio del 1978, in cui ar-ringava chi lo guardava da sotto le finestrechiuse, fino ai dibattiti di questi giorni. Giorni di anniversari. Pio La Torre, Portel-la delle Ginestre. E Cinisi, naturalmente.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 77

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Lombardia

E adessomano liberaall'invasione

La sconfitta di Umberto Ambrosoli e il

centrosinistra in Lombardia è (anche)

una sconfitta dell’antimafia lombarda.

Inutile negarlo; peggio ancora fingere di

non volerlo analizzare perché sarebbe

troppo totalizzante, secondo alcuni. Non

c’è cultura antimafiosa nel formigoni-

smo, non ce n’è nel percorso ciellino che

ha demolito la meritocrazia nel mondo

della sanità e non ce n’è nella Lega Nord

che in Consiglio Regionale in passato ha

negato l’istituzione di una Commissione

Antimafia archiviandola con un sorriso

di sufficienza.

Poi c’è stato Maroni, e su Maroni si è

scritta una certa letteratura (figlia di un

berlusconissimo revisionismo e di una

neodeclamazione dei numeri e degli arre-

sti) che l’ha avvicinato a rappresentazio-

ne di “antimafioso nonostante Berlusco-

ni”.

Dalla denuncia alla connivenza

Sarebbe inutile elencare per l’ennesima

volta solamente le colpe storiche del mo-

vimento leghista che è passato dal latrato

antiberlusconiano con la foto di Dell’Utri

in prima pagina de ‘La Padania’ alla con-

vivenza sopita fino alla connivenza più

spietata nell’ultimo periodo del Governo

Berlusconi (quello contro la magistratu-

ra, la trattativa, il reato di concorso ester-

no, lo scudo fiscale e troppo altro

ancora). Eppure la verginella Maroni è

riuscita a scrollarsi di dosso le gocce del-

la melma e ripresentarsi candido, candi-

dabile e perfino nuovo Governatore della

regione cameriera delle mafie, ‘ndran-

gheta in primis: la sfiorita Lombardia.

C’è stata in campagna elettorale la so-

lita desolante sensazione di un centrosi-

nistra applicato ad un’antimafia di “ma-

niera” che si è ritenuta sazia dell’avere

candidato il figlio dell’avvocato Ambro-

soli. Troppo facile - si diceva - vincere

contro una parte politica decaduta dal go-

verno regionale sotto le accuse di uno

scambio mafioso di voti. Troppo facile -

pensavano. E pensavano male.

Tant’è che mentre nel sottobosco lom-

bardo si vive una primavera di giovani

attivi, preparati e consapevoli (vengono

in mente i ragazzi di Stampo Antimafio-

so, per fare un esempio) il centrosinistra

ha balbettato qualche ovvietà di cortesia

sulla mafia che è brutta, sporca e cattiva

poi qualche pensierino di memoria e ca-

rità e speravano che bastasse così. E non

è bastato.

Nessun piano a lunga scadenza

Alla fine nella Lombardia leghista

Bobo Maroni ha comunque deciso di isti-

tuire una Commissione Antimafia (ex

post, si direbbe) aprendo uno spazio di

azione possibile.

Verrebbe da pensare che i partiti (tutti i

partiti) con il centrosinistra in testa col-

gano l’occasione per scaldare i propri uo-

mini migliori e per chiedere ad Umberto

Ambrosoli di guidare la praticata diversi-

tà e discontinuità conclamate tante volte

su questo tema, ci si aspetterebbe un “ti-

rare su le reti” delle esperienze sociali di

tutti questi anni per cogliere l’eccellenza.

E invece? E invece le nomine che tra-

pelano non prevedono Ambrosoli e nem-

meno un piano a lunga scadenza. E tutti

qui ci auguriamo che non sia così. Perché

perseverare è diabolico, no?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 88

Passata la tempesta Ambrosoli, le classi dirigentilombarde tornano a ficcare la testa sotto la sab-bia di fronte all'invasione mafiosa. Abbandonan-do i giovani che lottano per difendere da mafia e 'ndrangheta la Regione di Giulio Cavalli

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Sicilia

Cresce la base Muosfra ipocrisie sicilianee ricatti romani

Ci hanno messo di tutto. Il cuore. La rabbia. Mille speranze. Le illusioni. Gli splendidi volti segnati dai tanti sorrisi e pure dalle lacrime. Ma soprattutto ci han-no messo i corpi. Corpi che gli apparati repressivi dello Stato hanno violato, feri-to, sradicato dalla Madre Terra che loro, i No MUOS di Niscemi, difendono dal mostro della guerra e della morte.

Un’orgia di violenze, menzogne, tradi-menti. Ministri, politici e funzionari dalla lingua biforcuta. Promettono sospensioni ai lavori illegittimi ma intanto alle impre-se in odor di mafia assicurano il pass nellariserva naturale convertita in base di di-struzione di massa. Un territorio stuprato, desertificato, avvelenato da un quarto di secolo dalle invisibili microonde. Mentre intanto tanti altri corpi si piegano per le mutazioni genetiche e il cancro infestante.

Un gelido inverno insonne. Presidi no stop, sit-in, blocchi stradali, sabotaggi e invasioni simboliche. L’azione diretta e la disobbedienza civile per testimoniare anti-che verità. Per invocare diritti e libertà. Per rifiutare l’inesorabilità della guerra globale e permanente. Per riappropriarsi della sovranità della terra e dell’acqua, delle cento specie della flora e della faunache i superguerrieri del XXI secolo vor-rebbero estinte. Per costruire nuove sog-gettività e sperimentare pratiche politiche dal basso, l’autogestione e il rifiuto delle deleghe in bianco.

Per costruire solidarietà, radicalità, per-corsi e progetti di antimafia sociale. Mi-gliaia di giovani, donne, disoccupati e la-voratori precari che tornano nelle piazze achiedere pace, lavoro e giustizia.

I governi accecati dall’arroganza e dallostillicidio dei golpe bianchi sono inamovi-bili. Il MUOS s’ha da fare, in nome della vecchia amicizia con l’Impero a stelle e strisce e degli affari del complesso mili-tare-industriale-finanziario di casa nostra. Stracciando quel poco che resta della Co-stituzione antifascista, negando il diritto alla vita, alla salute, alla difesa del territorio e dell’ambiente. Violando leggi, decreti, regolamenti, i principi di cittadi-nanza e perfino le fondamenta stessa dellademocrazia formale.

Gli accordi della Guerra Fredda

Il Governo dei poteri forti ha la fiducia delle grandi intese mentre il sommo presi-dente vigila a vita sul rispetto degli accor-di della Guerra Fredda con il grande fratello d’oltreoceano.

Eppure, paradossalmente, le partite sul MUOS, i droni, gli F-35 e le famigerate basi USA e NATO, sono tutt’altro che de-finite. I movimenti di opposizione alla mi-litarizzazione crescono dalla Val di Susa al Nord-est e alla Sicilia, mobilitando altricorpi e altri volti.

Che allora ci mettano almeno la faccia e

un po’ più di coraggio quelle forze politi-che che si dicono vicine ai bisogni di cambiamento e partecipazione della mag-gior parte degli italiani. Aprendo lo scon-tro nelle legittime sedi istituzionali, le Ca-mere, dove prima possibile devono essere imposti le discussioni e il voto contro i nuovi programmi di morte, a partire ap-punto dal MUOS, il sistema di telecomu-nicazioni satellitari che sancirà la trasfor-mazione della Sicilia in piattaforma avan-zata per le guerre iper-tecnologiche - disu-manizzate e disumanizzanti - delle forze armate degli Stati Uniti d’America.

All’Assemblea Regionale Siciliana, il fronte politico-istituzionale anti-MUOS è stato unanime. La mozione per imporre all’esecutivo la revoca a delle autorizza-zioni ai lavori è stata votata da tutti quei gruppi che oggi siedono al Governo na-zionale o tra i banchi dell’opposizione in Parlamento. Ci mettano la faccia allora e dicano se e perché quello che si fa a Roma può essere il contrario di quello chesi è fatto a Palermo.

I No MUOS non sono certo ingenui, sanno benissimo con chi hanno a che fare.Lo hanno pagato a suon di manganellate edenunce. Ma hanno il sacrosanto diritto a una risposta chiara. Non fosse altro per capire come e dove estendere le pratiche di lotta e, in comunione con i movimenti sociali del pianeta, continuare a difendere l’umanità dall’Olocausto finale.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 99

A parole, tutte le forze politiche sono contrarie, in Sicilia, alle pericolosissime installazioni Muos di Niscemi. Però a contrastarle lasciano solo i ragazzi dei movimenti: difendono la terra e la pace coi loro corpi e con le loro vite. E sono soli

di Antonio Mazzeo

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I Sicilia iI Sicilianigiovanigiovani p – pag. 19

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Politica

L'Italia dellaMezza Repubblica

Prima e seconda repubblica, poi terza... In realtà, viviamo ormai in una Mezza Re-pubblica, che non solo ha poco a che vede-re con la repubblica di prima, ma è ormai alcunchè d'intermedio fra repubblica e monarchia. E' il secondo “governo del Presidente” consecutivo. L'unico prece-dente è il governo Salandra del 1914, lega-le - come questo - certamente, ma altret-tanto irrituale, e altrettanto lontano dalla maggioranza elettoralmente espressa.

Nel 1914, la maggioranza era senza dubbio di sorta giolittiana. Ma il capo del-lo Stato scavalcò il leader del centrosini-stra e dette - legalmente - l'incarico a Sa-landra, che fu poi confermato dal Parla-mento. Nel 2013, le urne avevano espressouna precisa volontà di cambiamento (divi-sa fra due partiti, che entrambi avevano esplicitamente escluso qualsiasi accordo col centro-destra) ma il capo dello Stato imbrigliò il leader del centrosinistra e det-te - legalmente - l'incarico a Letta, che fu poi confermato dal Parlamento.

In entrambi i casi il governo, teorica-mente “tecnico” e d'union sacrée, bloccò le spinte sociali, emarginò la sinistra e af-frontò l'emergenza nel modo più catastro-fico, liberando spinte eversive e abbassan-do il livello civile, che già non era altissi-mo, del Paese.

Il Sudamerica (quello di prima)

Siamo arrivati così al Sudamerica (quel-lo di prima): il capo dei fazenderos mi-naccia i giudici in piazza (né il capo dello stato, Rey o Presidiente che sia, intervie-ne); fra i liberales regna l'anarchia.

Questi ultimi si dividono in due partiti, nemicissimi fra di loro. Il primo, guidato da un caudillo che per i suoi è ”come un padre che accompagna un bambino che cammina ancora carponi”, punta tutte le sue carte sull'imminente révolucion, e non discute nemmeno con chiunque non ne sia più che convinto. Il secondo, fra i suoi nu-merosi caciques, periodicamente elegge un Secretario Général entusiasticamente acclamato da tutti ma che poi, nel segreto dell'urna, viene sistematicamente trombatodai suoi seguaci.

Altro che gollismo. E' Pétain

“In realtà, se non facevamo così i tede-schi ci facevano a pezzi - fa trapelare qual-cuno - La banca centrale, i mercati...”. Ahimé, neanche questa è nuova. “Tenersi buoni i tedeschi”, “Ordine prima di tutto”, “Tutti col Capo dello Stato!” l'han-no già fatto a suo tempo in Francia, e non con un governo gollista (sogno di tanti no-tabili) ma con Pétain.

* * *S'è vista, in questa crisi, una incredibile

differenza di “professionalità politica” - per così dire - fra destra e sinistra. Da un lato l'indeciso Bersani, l'adolescente pre-suntuoso Renzi, il simpatico pasticcione Grillo; dall'altro dei professionisti freddi e duri - i Letta, i Napolitano, i Berlusconi. Non c'era partita.

Ha contato relativamente poco (anche secentouno deputati “traditori” su quattro-cento non son cosa da poco) il “tradimen-to”. A contare è stata la superficialità, il personalismo, il leaderismo da quattro sol-di. L'Italia profonda, insomma. Che ormai da molti anni - da quando è ricca - in poli-tica si esprime così. Qua, in questa “auto-biografia della nazione”, bisogna mettere mano. Ma i vecchi non possono farlo.

Un segretario di trent'anni, e antimafioso

Conosciamo diversi trentenni - antima-fiosi militanti - che potrebbero ben dirige-re un partito, fra i giovani del Pd. Sarebbeun cambiamento vero, non demagogico e di facciata. Potrebbe persino inalberare (cosa che nessuno ora osa o vuol fare) il nome di Berlinguer, chiaro e solare.

Lo accetterebbe, il partito, uno scossone del genere? Un segretario di trent'anni? Labase, sì certo. Ma quanto conta la base?

I Cinque stelle, in parte per loro merito, si son trovati a gestire i ventisette milioni di voti del referendum Rodotà sull'acqua pubblica di due anni fa. Sono all'altezza i Grillo e i Casaleggio, e i loro immediati seguaci, di dirigere un simile movimento? Esistono nel Cinque stelle militanti giova-ni (giovani, ma con una storia precisa, nondei “vaffanculisti” generici di quest'ultima annata) in grado di farlo al posto dei loro vecchi, ormai evidentemente dannosi?

Fra queste due domande - apparente-mente generazionali, ma in realtà profon-damente politiche – si gioca la politica ita-liana di questi anni. Da queste generazionie dal loro incontro (e l'attuale governo nonè stabile, e le occasioni di rovesciarlo non sarebbero poche) noi ci attendiamo la ri-scossa, non dagli anziani capibranco.

Abbiamo ragione - e trent'anni di lotta mai nel palazzo ma sempre orgogliosa-mente dalla strada ci danno qualche dirittodi rivolgerci a loro – nell'affidare le nostre speranze a questi giovani, in questo diffi-cilissimo momento?

Niente “pacificazione” con i padroni d'Italia, niente guerra fra chi, anche confu-samente, gli vuole andare contro. E un pri-mo momento di lotta e di unità già da su-bito può essere l'antimafia, come dice (v.pag.15) don Ciotti.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1111

Il governo Napolitanodi Riccardo Orioles

ALCUNE COSE UTILI DA FARE- Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di mal-versazione, corruzione o grande evasione fi-scale; assegnarli a cooperative di giovani la-voratori, e sostenerle adeguatamente;- Legge anticorruzione (riforma art. 416ter);- Trasparenza bancaria;- Applicare l’art.41 della Costituzione (“pro-grammi e controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”);

- Applicare l’art.42 della Costituzione (espro-prio per motivi d'interesse generale) per san-zionare le delocalizzazioni, l’abuso di preca-riato e il mancato rispetto degli accordi di la-voro;- Separazione fra capitale finanziario e indu-striale; tetto alle partecipazioni finanziarie nell’editoria; Tobin tax;- Regolarizzare per legge i rapporti di lavoro difatto;- Gestione pubblica dei servizi pubblici essen-

ziali (scuola, università, difesa, acqua, energia, infrastrutture tecnologiche, credito in-ternazionale); ristrutturazione della Rai su base pubblica; limite regionale per l’emittenza privata;- Progetto nazionale di messa in sicurezza delterritorio, sul modello TVA, come volano eco-nomico soprattutto al Sud; divieto di ulteriori cementificazioni;- Controllo del territorio nelle province ad alta intensità mafiosa.

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Italia

Le mafiea Roma

Le mafie a Roma ci sono, da decenni. E a Roma è in corso una guerra di mafia e non slegati regolamenti di conti fra qualche bullo di periferia. Una guer-ra sanguinosa e nasco-sta. Dai media e so-prattutto dalla politica

di Pietro Orsatti www.orsattipietro.wordpress.com

Una storia già vista, quella della ne-gazione dell'esistenza del potere mafio-so in un determinato territorio. E che oggi nella capitale si ripete.

Guardiamo al passato per capire l'oggi.Fra il 1983 e il 1993 in Italia le mafie

uccisero diecimila persone. In Sicilia, Campania, Calabria e Puglia principal-mente. Ma anche in altre zone del paese iboia procedettero tranquillamente nella loro contabilità di morte. Ce lo ricorda, spietatamente, Enrico Deaglio nel lbro “Raccolto Rosso” che quella strage ha cercato di raccontarci. Una guerra, o la somma di più guerre contemporanee che insanguinarono la penisola in un silenzio,il più delle volte, assordante. Per il con-trollo del traffico dell’eroina, degli ap-palti, del racket, del rapporto preferenz-iale con pezzi della politica e della finanza. In tutto il paese.

Numeri impressionanti

Numeri impressionanti e terribili. Che si tentò all’epoca in tutti i modi – da par-te della politica – di disgregare dalle sta-tistiche e spesso sminuire e che oggi ab-biamo affrettatamente dimenticato. Certooggi ricordiamo ile troppe vittime inno-centi, gli appartenenti agli organi dello Stato, i giornalisti, testimoni, imprendito-ri, semplici cittadini caduti. Troppi, si, ma che sono comunque una frazione mi-nima di quei diecimila. E quell’enormità ora abbiamo dimenticato irresponsabil-mente. Perché se gran parte dei caduti di questo terrificante conflitto erano appar-tenenti alle organizzazioni mafiose il bi-lancio del “Raccolto Rosso” colpisce e lacera l’intera società italiana. Ancora oggi.

Perché anche se si uccide meno si con-tinua a uccidere anche in questi anni. La guerra, anche se meno visibile, prosegue.Non c’è zona del paese che non vi sia stata coinvolta. La famosa linea della palma di Leonardo Sciascia, quella che descrive nel libro Il giorno della Civetta, si è affermata da decenni, salendo lenta-mente e inesorabilmente a Nord. È nelle cose, l’abbiamo cosi metabolizzata nella nostra geografia interiore fino ad averne una percezione fatalistica se non addirit-tura di normalità.

Si uccide ancora, con regolarità. In questo momento uno dei luoghi dove si uccide di più in Italia è Roma. È in corsoda alcuni anni una guerra di mafia nella capitale e nessuno la chiama con il suo nome. Perché si ha una paura terribile di pronunciare la parola “mafia”. Sembra quasi che ci si vergogni di aver abbassatola guardia e di aver sottovalutato la pene-trazione e il radicamento delle mafie nel tessuto economico e sociale della capita-

le, e allora meglio negare che assumersene pubblicamente la responsa-bilità. E ancora, temo – anche se sempre più spesso trovo conferma dei miei timo-ri -, a qualcuno conviene non definire, non chiamare con il proprio nome, la ma-fia o le mafie per pura convenienza. Per-ché le mafie portano soldi e affari. E po-tere. Come trent’anni fa. Come anche prima.

Mafia o “criminalità organizzata”?

Ma la mafia, a Roma, si dice che non esista. Si dice.

Quando invece di parlare di mafia o mafie si usa il termine “criminalità orga-nizzata” già si mette in atto una sottova-lutazione consapevole del problema. Quando un’esecuzione di mafia viene de-finita come “regolamento di conti fra bande” si mette in atto un’operazione di rimozione che abbiamo già vissuto e su-bito nel passato e che ha causato enormi tragedie a tutta la nostra comunità.

“Finché si ammazzano fra loro”. Esat-tamente quello che accadeva all’alba del-la mattanza a Palermo, la scalata dei cor-leonesi di Liggio, Riina e Provenzano ai vertici di Cosa nostra. L’ho sentita oggi quella frase. A Roma, “Finché si ammaz-zano fra loro” e quindi non si definisce questa emergenza, usare il termine “ma-fia” è pericoloso, anzi no, è consapevole disfattismo, attentato all’economia della città, del paese.

Anzi, le mafie

La mafia è a Roma. Anzi le mafie, per-ché ci sono tutte e prosperano da decennianche se di tanto in tanto ci scappa un morto o, peggio, qualche arresto a distur-bare quel pacifico prosperare.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1212

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“Cosa nostra siciliana, i casalesi,

la 'ndrangheta, i camorristi, gli scissionisti campanie i discendenti della banda della Magliana”

Ci sono Cosa nostra siciliana, i casalesie i camorristi e gli scissionisti campani, la ‘ndrangheta calabrese e pure la nuova mafia autoctona figlia della vecchia ban-da della Magliana. Senza poi parlare del-le organizzazioni straniere come quella cinese. Negli anni ’70 e ’80 le parole d’ordine delle mafie che operavano nella capitale erano quattro: eroina, politica, appalti, affari. Oggi è cambiato solo un fattore, la cocaina ha sostituito l’eroina (anche se quest’ultima sta lentamente ri-prendendo piede).

Il conflitto sanguinoso in atto in questi anni ha proprio la droga al centro delle sue motivazioni. Attenzione, non si ucci-de solo per il controllo delle piazze dello spaccio. Quello si è una ragione del con-flitto, ma la questione è altra e con ben altre dimensioni. Si uccide per il traffico di cocaina a livello nazionale e interna-zionale. Almeno il 30% (ed è la stima piùottimistica) di tutta la coca trafficata in Europa transita per il Lazio e la capitale.

Miliardi di euro

Parlo di un affare di molti miliardi di euro l’anno. E il cartello delle organizza-zioni mafiose tradizionali (calabresi, campane e siciliane) hanno l’assoluta ne-cessità di garantirsi un controllo totale del territorio. Si, un cartello mafioso, sperimentato e consolidato negli anni a Fondi nel basso Lazio (la presenza del più grande mercato ortofrutticolo d’Europa a fare da copertura a ogni traf-fico possibile) e che ora sta imponendo anche con il sangue la propria dittatura nell’hinterland e nella capitale.

Perché a Roma, in continuità con quel-lo che fu la banda della Magliana, si è ri-creata un’organizzazione autoctona di stampo mafioso – a volte con l’aiuto di

fuoriusciti dalle altre organizzazioni – che ha cercato di occupare spazi strategi-ci nello spaccio e nel traffico. Hanno al-zato il tiro, hanno chiesto la loro fetta della grande torta della cocaina e forse anche degli altri affari che l’incredibile liquidità garantita dal traffico e dallo spaccio di droga garantisce soprattutto inquesta fase di crisi economico/finanziariadove credito e liquidità legali sono di-ventati un miraggio.

Da qui l’esplosione di un conflitto uni-direzionale. A riprova il fatto che la mag-gior parte dei “caduti”, sicuramente di quelli “eccellenti”, appartengono a que-sta organizzazione. il cartello non tollera nuovi concorrenti. Soprattutto non tollerache i gregari e la manovalanza cerchino di salire un gradino nella gerarchia degli affari.

Ma andiamo ai numeri di questa guerradi mafia. Ufficialmente non ce ne sono. Non c’è una certa contabilità di morte. Quasi tutti gli omicidi – e si tratta di ese-cuzioni e non conflitti a fuoco – vengonoderubricati -spero solo nei comunicati stampa e non nelle indagini – come “re-golamenti di conti” strettamente locali. Questo il messaggio lanciato all’opinionepubblica. Poco più che criminalità comu-ne.

Un coro anestetizzante

Poche le voci discordanti e stonate in questo coro anestetizzante. Qualche di-chiarazione proveniente dalla procura (puntualmente inascoltata e pubblicata intaglio basso dai giornali) altre da parte dialcuni esponenti delle forze di polizia. Ma la versione più accreditata dalla poli-tica e dalla stampa capitolina è quella minimalista. Si, forse la mafia c’è a Roma come in tutto il paese del resto, ma

certo non è in atto alcuna guerra. State tranquilli.

Ho fatto una veloce ma faticosa verifi-ca sull’archivio dell’Ansa usando come parametri di selezione le modalità di ese-cuzione degli omicidi e il “curriculum” degli uccisi. Questo dopo l’ultima esecu-zione alla vigilia di Pasqua in un bar di Tor Bella Monaca. In 30 mesi 64 fatti di sangue nella capitale e nell’hinterland. Ed è certo un numero calcolato per difet-to.

Assoluto controllo sul territorio

Se poi dovessimo andare a censire il numero di intimidazioni verso imprendi-tori e commercianti, gli attentati incen-diari a mezzi e negozi, i casi di usura, non finiremo più.

Si tratta non di segnali tutti da interpre-tare ma delle innumerevoli prove dell’assoluto controllo che le mafie eser-citano sull’intero territorio di Roma. In-tero, non solo in pezzi delle più degrada-te periferie.

Ho avuto più di una segnalazione di atti di intimidazione in pieno centro a Roma. Uno in particolare mi ha colpito perché fisicamente avvenuto a metà stra-da fra la Camera dei deputati e la sede dell’ordine dei giornalisti. Una zona del-la città dove il controllo dello Stato sul territorio dovrebbe essere fortissimo. E invece…

Quanti morti dovremo censire, quante infiltrazioni, quante penetrazioni nel tes-suto economico attraverso il racket e l’usura, quanti appalti truccati, quante tonnellate di cocaina trafficata dovremo contare prima che si abbia il coraggio di pronunciare la parola mafia?

Mafia. Usiamola questa parola. Mafia.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1313

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Comuni/ Quarto Stato

Un votodi coscienza

Nel povero quartiere, igaloppini sono scate-nati a cercare i voti.La destra ha distrutto Catania, il centrosini-stra presenta un vec-chio barone, i grillini (benintenzionati) cre-dono di essere alle ele-zioni di Stoccolma e non a quelle di una cit-tà divorata da mafia e ingiustizia sociale...

di Giovanni Caruso www.associazionegapa.org

Tante volte, da questo foglio, ci sia-mo appellati al popolo di San Cristofo-ro e degli altri quartieri affinché si ri-fletta prima di andare a votare.

Infatti, in occasione delle elezioni che ci dovrebbero dare un nuovo sindaco e un nuovo consiglio comunale, rilanciamoun appello a tutti e tutte voi affinché pri-ma di votare riflettiate!

Noi non siamo certo qui per indicarvi chi votare, ma semmai per ricordarvi chi fino ad oggi ha governato Catania, come l'ha amministrata e sopratutto cos'ha fattoper i nostri quartieri.

Abbiamo avuto negli anni '90 il sinda-co Bianco, seguito da momenti di crisi politica. Poi è arrivato Scapagnini e poi Stancanelli. Tutti hanno contribuito al di-sastro economico, ai "comitati d'affari", al clientelismo, attraverso i consulenti superpagati o peggio alle connessioni tra mafia e politica.

Dimenticano sempre le periferie

Insomma, una mala politica che ha amministrato con atti di "facciata" senza mai risolvere i problemi della giustizia sociale, del lavoro, di come conservare ilterritorio e l'ambiente, mapensando piut-tosto a come cementificare sempre di piùattraverso varianti del piano regolatore, che questa città peraltro non ha mai avu-to. L'hanno fatto favorendo gli amici de-gli amici e i privati, attraverso i "progetti di finanza"o con appalti poco trasparenti.

Tutto questo, dimenticando il popolo dei quartieri popolari e delle periferie.

La loro presenza in questi territori è stata costante solo durante le campagne elettorali, affidandola ai "capibastone" o allo scambio di voti per un "pacco di pa-sta", speculando sulla vostra povertà.

Oggi questi vecchi e consumati politicisi fanno passare per "il nuovo che avan-za"!

Unica novità - che non vuol dire neces-sariamente progresso, ma staremo a ve-dere! - è il movimento cinque stelle. Leg-giucchiando qua e là i loro programmi, più o meno sono uguali. Poco si parla di quartieri, di lotta alla corruzione e alla mafia, che sono i mali assoluti che di-struggono il nostro vivere civile.

Secondo noi, e con i dovuti distinguo, nessuna di queste formazioni politiche haun vero progetto politico, nessuna ha adottato una vera politica che venga dal basso, nessuna ha adottato una vera de-mocrazia partecipata. Non vi ha chiesto, cioè cosa vogliate realmente per il vostroquartiere.

Se ci avessero chiesto un parere, avremmo risposto:

- vogliamo la riqualificazione urbani-stica del nostro quartiere;

- vogliamo un'economia sostenibile, ri-volta alle attività turistiche e in particola-re al parco archeologico (che potrebbe dare molto lavoro a giovani e disoccupa-ti):

- vogliamo il recupero di tutte mestieri artigianali che con l'apprendistato potreb-bero reclutare i tanti adolescenti che non lavorano e non vanno a scuola, e finisco-no in preda alla manovalanza mafiosa;

- vogliamo il recupero delle piazze - costruite e abbandonate allo spaccio - perrenderle fruibili alle famiglie, agli anzia-ni e ai bambini che non hanno spazio per i loro giochi e per una sana crescita.

L'ingiustizia che genera la crisi

Allora, uomini e donne di San Cristo-foro, quando entrerete nella cabina elet-torale riflettete!

Pensate non solo al vostro bisogno, pensate e votate per una intera collettivi-tà, perché essa si esprima come una sola voce, che urli democrazia, costituzione, eun forte no alla mafia e all'ingiustizia so-ciale, che genera la crisi che stiamo attra-versando.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1414

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Politica/ Parlamento

Subito la legge anticorruzione!

Ce la facciamo a unircitutti gli antimafiosi al-meno per portare avanti in Parlamento lalegge, richiesta da donCiotti di Libera e fir-mata da migliaia di cit-tadini, contro la corru-zione politica e il voto di scambio?

di Umberto DI Maggio Libera Sicilia

La corruzione è un cancro che, al

pari delle mafie, rende impossibile

l'applicazione di politiche di sviluppo e

lavoro e diminuisce la fiducia degli in-

vestitori esteri.

Sessanta miliardi di euro

Aggredendola davvero si potrebbero

recuperare ogni anno quei sessanta mi-

liardi di euro (fonte: Corte dei Conti

2012) che darebbero alle tasche degli ita-

liani quei mille euro necessari a tirare

avanti la carretta, ammortizzando la sfil-

za infinita di tasse e balzelli che avvili-

scono la nostra economia.

Confiscare i patrimoni corrotti

Ma allora perché non fare subito una

legge anti-corruzione che migliori

l'impianto della norma voluta dall'ex mi-

nistro Severino e aggredisca, tanto per

cominciare, lo scambio elettorale poli-

tico-mafioso? Perché non tagliare di net-

to questo strumento - lo scambio di voti -

che rende così forti quei politicanti che

con clientele e favoritismi riescono a oc-

cupare gli scranni più importanti della

rappresentanza istituzionale? Perché non

applicare i risultati ottenuti con la confi-

sca dei patrimoni dei mafiosi anche a

quelli dei corrotti?

E perché non farlo adesso, con un Par-

lamento con una composizione tra le più

giovani d'Europa?

Duecentosettantasei parlamentari di di-

verso colore politico - eletti tra gli 878

candidati che hanno aderito agli impegni

di trasparenza chiesti dalla campagna Ri-

parte il Futuro - prima delle elezioni si

erano impegnati a dare un segnale netto e

deciso, e non solamente formale.

A questi parlamentari (il trenta per cen-

to del Parlamento) vanno sommati i

214mila cittadini che hanno firmato la

petizione per una Politica che agisca con

i fatti contro la corruzione.

Pene più severe e ineleggibilità

Qualche esempio? Pene più severe ed

evitare il rischio di prescrizione, il falso

in bilancio, l'autoriciclaggio, l'incandida-

bilità e l'ineleggibilità per avere vere "li-

ste pulite".

Che questi passaggi però non siano

solo meri auspici. Del resto, come recita

il proverbio dei nostri nonni, "chi vive di

speranza, disperato muore".

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1515

Per sostenere la leggeADERISCONO PARLAMENTARI SEL, PD, M5S

7 maggio. Oltre 200mila cittadini chiedono di cambiare la leggesulla corruzione. E di fare presto e bene. Dopo i primi cinquanta giorni dalle elezioni del Parlamento, con un nuovo Governo ap-pena nato, i parlamentari che hanno aderito alla piattaforma di proposte contro la corruzione della campagna “Riparte il futuro” si sono incontrati questa mattina a Palazzo Giustiniani a Roma per dare inizio ai lavori. Un impegno che hanno preso pubblica-mente sottoscrivendo la proposta di “Riparte il futuro”che mira a migliorare la legge anticorruzione varata dal precedente Parla-

mento, sulla quale – come ricorda nel suo intervento il presidentedi Libera e Gruppo Abele, Don Luigi Ciotti “sono stati fatti alcuni compromessi” che hanno bloccato l’efficacia del testo di Legge.

I parlamentari si sono riuniti oggi per formare un gruppo inter-parlamentare che possa procedere con il primo intervento sul 416 ter: punire lo scambio fra voti e “altre utilità”. In caso di corruzione a fini elettorali (strumento utilizzato soprattutto dalle mafie per inquinare il voto), infatti, attualmente è sanzionabile il voto di scambio, solo se dietro c’è un passaggio di denaro.

Norma FerraraLiberainformazione

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Società civile

La costituentedei beni comuniRoma, L'Aquila, Pisa, Ancona, Padova, Sici-lia, Valdisusa, Napoli etante altre comunità dicittadini sono le prota-goniste della costituen-te dei beni comuni

di Giulia Giordano teatropinellioccupato.wordpress.com

Il percorso della commissione Rodo-tà riparte con la società civile, su pro-posta dei movimenti che in questi anni hanno portato avanti lotte di riappro-priazione e liberazione di beni comuni,a partire dalla vittoria del referendum sull'acqua e dalle occupazioni di teatri e spazi culturali, alle lotte per il diritto all'abitare e il diritto alla città.

Ma cosa sono i beni comuni? Se per l’acqua, l’aria, la cultura sembra una ca-tegoria abbastanza condivisa il dibattito si accende su tutto il resto e su come si possano gestire i beni comuni. Una cosa è certa: i beni comuni emergono attraver-so le lotte, attraverso l'uso, la riappro-priazione di una ricchezza che è stata sottratta, ed è percepito dalla collettività come necessario per la comunità e per le generazioni future.

I beni comuni si oppongono alla steriledicotomia tra pubblico e privato, sono unsuperamento che tiene conto dei processidi partecipazione reale alla gestione di tali beni.

Questa inedita alleanza tra movimenti e giuristi della ex commissione Rodotà sipropone l'arduo obbiettivo di raccontare e “normare” i beni comuni, partendo pro-prio dalle pratiche di lotta e non da un mera catalogazione dei beni. è il momen-to in cui le vecchie istituzioni implodonomentre proliferano occupazioni, si speri-mentano pratiche di autogoverno.

In molti hanno deciso di non essere piùsudditi di pochi notabili che detengono ilpotere portando avanti interessi di privatiprivanti della ricchezza collettiva. È il momento in cui attraversando insieme l'Italia migliaia di cittadini la ricostrui-scono per permanere, per rafforzare rela-zioni, creare le condizioni per la vita del-le generazioni future.

Un mondo di diritti

La costituente è frutto del lavoro di chipensa al diritto come qualcosa di vivo, che sgorga attraverso le lotte dei cittadinie non come un organismo repressivo a servizio di chi detiene il potere.

Ogni giorno una larga parte della so-cietà civile contribuisce a far vivere i beni comuni, le istituzioni troppo impe-gnate a dismettere beni e privatizzare servizi provano a reprimere riducendo conflitti politici a questioni di ordine pubblico, da qui emerge la necessità di avere un riconoscimento anche giuridico per i beni comuni e delle leggi che tuteli-no i cittadini che se ne prendono cura (anche il diritto penale deve essere rifor-mato). I beni comuni sono beni inaliena-bili, indisponibili al mercato, ma fruibili a tutti, partendo dalla valorizzazione del-le comunità che li fanno vivere.

Le lotte per beni comuni aprono un mondo di di diritti, ma anche di conflitti: puntano il faro sulle speculazioni, sugli interessi della mafia, su i soprusi di chi

pratica il saccheggio delle risorse collet-tive per trarre profitti. Vengono fatti mol-ti attacchi ideologici ai beni comuni: sono frutto di anni di individualismo spietato per cui i diritti della persona vengono prima dei diritti della comunità.

Ma il problema è: i diritti di quali per-sone? Nel mondo neocapitalista vengonotutelati solo gli interessi di pochi, mentre i più poveri, i migranti non sono ricono-sciuti, i più fragili spesso sono torturati ed emarginati dalla vita sociale. L'indivi-duo può essere libero nell'essere, ma li-mitato nell'accumulo.

È il momento di mettere al centro la comunità, come ha dichiarato il giurista Ugo Mattei nel corso dell’assemblea co-stituente a L’Aquila. Ed è proprio in que-sta città distrutta che si apre il discorso del diritto alla città: lo spazio urbano è un bene comune della collettività che se ne prende cura, non può essere sottratto da uno stato-catastrofe che interviene portando avanti distruzione dei legami sociali, speculazione, privatizzazione e mercificazione dei beni.

Come difenderli dal mercato?

Come difendere i beni comuni dal mer-cato, come affrontare la questione della proprietà, come garantire l’accesso all’abitare, sono molte le domande aperteche però sono forti di pratiche che resi-stono e ogni giorno si diffondono sempresu tutto il territorio, dal cinema palazzo al colorificio di Pisa, dal teatro Pinelli di Messina all’ex asilo Filangieri di Napoli, dal teatro Valle alle case occupate a Tor di Nona, dalla lotta contro la Tav, ai co-mitati No Muos, alla lotta contro le gran-di opere e le grandi navi: tanti laboratori culturali e politici esplodono e contagia-no pratiche che forniscono risposte crea-tive a questa crisi.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1616

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18 maggio: la Fiom in piazza

La parolaagli operaiNon solo una manife-stazione sindacale

di Pietro Orsatti www.orsattipietro.wordpress.com

La Fiom, oggi, sembra essere l’unicaorganizzazione a sinistra che abbia te-nuto dritto il timone davanti alla crisi economica e politico-istituzionale che sta attraversando il paese, e alle conse-guenze dell’implosione del Partito De-mocratico.

La Fiom, in questa fase, è l’unica or-ganizzazione che chiede e progetta un cambiamento anche dopo le ultime aper-ture da parte di settori ampi della produ-zione a trovare con le forze sindacali for-mule di proposte comuni chiudendo la stagione dei veti e dei blocchi ideologici degli ultimi anni.

“Il lavoro al centro”

“Il lavoro al centro, un piano straordi-nario di investimenti, il reddito di cittadi-nanza, l'incentivazione alla riduzione di orario, la cancellazione dell'articolo 8. Piani per i trasporti, la mobilità. Lotta all'evasione fiscale, alla corruzione e allacriminalità. Una legge per la rappresen-tanza e la democrazia”, ecco quello che ilsegretario del primo sindacato dei metal-meccanici italiani propone.

Questi saranno i punti della manifesta-zione del 18 maggio e della mobilitazio-ne che seguirà: pur essendo nata su una piattaforma sindacale essa “si rivolge a tutti i cittadini che vogliono un vero cambiamento” - ha spiegato Landini, an-nunciando la partecipazione di “studenti, precari, giovani, movimenti e associazioni che non vogliono più aspet-tare e chiedono un nuovo corso”.

In questa fase la piattafor-ma della Fiom sembra lacosa più seria e concretamessa in gioco a sinistra. IlPd ormai non riesce a guar-dare al paese, travolto dauna lotta interna fra le trop-pe personalità e anime di unpartito mai nato. Rivalità in-sanabili, giochi di potere in-terni, che cancellano l’azio-ne e le idee delle personeper bene presenti nel partitoche sono state travolte emarginalizzate dalle lotte in-terne. Altrettanto insuffi-ciente sembra delinearsi iltentativo di Rodotà di fardialogare alcuni pezzi dellasinistra e il M5S: non bastail prestigio dell’intellettualea creare connessioni,soprattutto quando la linea di una delle parti che si vorrebbe coinvolgere viene dettata da strategie di marketing come quelle disegnate dalla Casaleggio Associati per Grillo. E, ancora, Sel - nonostante la buona volontà - sta mettendo in campo un’iniziativa fondata sul vecchio metodo (dall’Arcobaleno in poi assolutamente fallimentare) di unire ceti politici e organizzazioni e non puntando alla riorganizzazione dal basso di una sinistra diffusa che non trova più un riferimento nelle organizzazioni politiche in campo.

Una credibilità senza pari

Per questo la mobilitazione della Fiom assume ancora più importanza. Perché è evidente che un sindacato non si può farepartito, ma è altrettanto chiaro che un’organizzazione come quella guidata da Landini che ha resistito e tenuto il campo nonostante gli attacchi e l’isola-mento degli ultimi anni ha una capacità euna credibilità che nessun’altro ha di progetto e azione politica.

Ricordiamoceli, quei tentativi ossessividi cancellare la radicalità della Fiom por-tati avanti dai governi Berlusconi e Monti e dalla Confindustria e in partico-lare dalla direzione della Fiat targata Marchionne e da quelle due aziende ex pubbliche come Fincantieri e Finmecca-nica al centro oggi di inchieste giudizia-rie.

Sono stati anni terribili. Ma il sindaca-to ha retto – nonostante gli auspici dei presunti rivoluzionari Grillo e Casaleg-gio che il sindacato lo vorrebbero cancel-lare – e la Fiom in particolare ha fatto passi enormi sul piano della coerenza e della credibilità.

Per queste ragioni l’iniziativa del 18 maggio ha un’importanza enorme. Per il paese e per la sinistra. Perché è l’unico luogo dove si potrà cercare un sentire co-mune fra sindacato, movimenti, persone e perfino pezzi della politica per avviare un tentativo difficile e lungo di ricostru-zione di un’area progressista che oggi i partiti tradizionali – e anche la nuova po-litica - non rappresentano.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1717

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Il foglio dei SicilianigiovaniI SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1818

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Sicilia base avanzata

Pronto nuovo interventoin Libia da SigonellaGli Stati Uniti starebbe-ro pensando di lanciareun nuovo attacco mili-tare in Libia dalla sta-zione aeronavale di Si-gonella

di Antonio Mazzeo

Cinquecento marines sono stati tra-sferiti nei giorni scorsi in Sicilia dalla base di Rota in Spagna. Gli uomini fan-no parte della Marine Air Ground TaskForce (MAGTF), la forza speciale costi-tuita nel 1989 per garantire al Corpo dei Marines flessibilità e rapidità d’azione nei differenti scacchieri di guerra internazionali.

L’unità di Rota è stata attivata dal Pen-tagono solo due mesi fa per sostenere il Comando Usa in Africa (Africom) nell’ addestramento e la formazione delle forzearmate dei partner continentali e interven-ire rapidamente in Africa in caso di crisi.

La decisione di dar vita alla nuova task force è stata presa nel settembre 2012 dopo l’attentato terroristico contro il con-solato Usa di Bengasi in cui persero la vita quattro funzionari tra cui l’ambascia-tore in Libia, Christopher Stevens.

Secondo il portavoce del Pentagono George Little, i marines potranno interve-nire da Sigonella in tempi rapidissimi nel caso di nuovi attacchi al personale diplo-matico o ai cittadini Usa presenti in Libia per “effettuarne eventualmente l’evacua-zione”. “Siamo preparati a rispondere se necessario, se le condizioni peggiorassero o se venissimo chiamati” ha aggiunto.

Qualche giorno fa il Dipartimento di Stato ha ridotto sensibilmente lo staff dell’ambasciata di Tripoli, ordinando di contro il rafforzamento del dispositivo ge-stito in loco da una dozzina di militari Usa.

Inoltre sono stati invitati i cittadini statunitensi a viaggiare a Tripoli solo per necessità improcrastinabili ed evitare in assoluto Bengazi o altre località in Libia. Washington parla di “crescente clima d’instabilità e violenza” e di “deteriora-mento delle condizioni di sicurezza”.

Così è stato decretato lo stato d’allerta per gli special operations team di stanza a Stoccarda (Germana) e per la task force dei marines in Spagna che prima del tra-sferimento a Sigonella, il 19 aprile aveva raggiunto da Rota la base aerea di Morón de la Frontera. Il 3 e 4 aprile, i Comandi delle forze navali Usa in Europa e Africa e della VI Flotta avevano pure ospitato a Napoli i responsabili della neo-costituita marina militare libica e del corpo della guardiacoste per discutere di “sicurezza marittima” e “cooperazione strategica”.

Otto Boeing CV-22

Insieme ai marines sono giunti a Sigo-nella pure otto velivoli da trasporto e as-salto anfibio Bell Boeing CV-22 “Osprey”(falco pescatore). Si tratta dei controversi “convertiplani” (bi-turboelica in grado di atterrare e decollare come un elicottero e volare come un normale aereo), costo uni-tario 129 milioni di dollari circa, in grado di trasportare fino a 24 soldati del tutto equipaggiati, alla velocità di 509 Km all’ora. Numerosi esperti militari hanno ripetutamente messo sotto accusa l’“Osprey” per le sue scarse condizioni di sicurezza in volo. Da quando è divenuto operativo, il velivolo è stato al centro di numerosi incidenti e una trentina tra con-tractor e militari sono morti durante test ed esercitazioni.

Quando nel 2000 un velivolo in forza all’US Navy cadde negli Stati Uniti cau-sando la morte di 23 marines il Pentagono

pensò di abbandonare il programma ma sotto il pressing della potente lobby dei costruttori, esso fu presto riavviato e gli “Osprey” furono destinati alla guerra in Iraq e Afghanistan. Nella primavera dello scorso anno due “Osprey” si sono schian-tati al suolo, il primo durante un’esercita-zione militare in Marocco (morti due ma-rines) e il secondo in Florida.

Per l’alto rischio di incidenti e l’insoste-nibile rumore emesso dal velivolo durantele operazioni di decollo e atterraggio, mi-gliaia di cittadini giapponesi hanno dato vita a numerose manifestazioni di protestacontro la decisione di dislocare 12 conver-tiplani nella grande base aerea Usa di Okinawa.

Special Purpose Marine

Il Corpo dei marines ha progressiva-mente ampliato il proprio impegno di con-trasto, congiuntamente ad Africom, delle milizie islamiche operanti nelle regioni settentrionali del continente.

Nel 2011, nello specifico, fu creata pro-prio a Sigonella una forza speciale di pronto intervento del tutto simile a quella di Rota, la Special Purpose Marine Air Ground Task Force (SPMAGTF-13). Gli uomini sono impegnati periodicamente come consiglieri e formatori degli eserciti africani o in attività di supporto logistico e “gestione di tattiche anti-terrorismo”.

“La task force di Sigonella ha come compiti prioritari la fornitura d’intelligen-ce e l’addestramento dei militari africani che combattono i gruppi terroristici in Maghreb e Corno d’Africa o svolgono at-tività di peacekeeping in Somalia”, ha di-chiarato il maggiore Dave Winnacker, re-sponsabile del gruppo dei marines.

La SPMAGTF-13 include componenti navali, terrestri ed aeree caratterizzate da notevole flessibilità; conta su circa 200 marines organizzati in team aviotrasporta-bili dai grandi velivoli KC-130. Con i 500uomini giunti dalla Spagna, Sigonella ac-cresce ancora di più il ruolo di gendarme armato del Mediterraneo e del continente africano.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1919

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Economia

Ma la casta piùpericolosa è davveroquella dei politici?E' arrivato il momento di fare i conti...

di Carlo Gubitosa www.mamma.am

Quando la foga contro i privilegiati e le analisi economiche superficiali fanno perdere lucidità negli obiettivi delle lot-te sociali. sprechi, rischia di essere una misura inutile e velleitaria se ci fa per-dere di vista i problemi più devastanti legati al dilagare della finanza predato-ria.

Il Movimento Cinque Stelle ha presen-tato una proposta che consentirebbe di ta-gliare più o meno quarantadue milioni di euro dai costi della politica, e sulla mia bacheca Facebook sono fioriti commenti di segno opposto che si dividono in plau-denti e benaltristi, in altre parole equa-mente suddivisi tra chi applaude all'inizia-tiva e chi dice che i problemi sono ben al-tri.

Il mio giudizio si colloca in una via di mezzo, e considero questa cosa da applau-dire sul piano etico ma poco efficace sul piano pratico. E provo a dimostrarlo leg-gendo i dati economici che sono riuscito araccogliere al meglio della mia capacità didocumentazione, sintetizzati anche nel fu-metto "Raschiatutto", realizzato a quattro mani con Marco Pinna.

Un'analisi Confcommercio del 28/10/11 dice che la politica spreca 9 mi-liardi di euro all'anno.

La "relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2008" della Corte dei Conti dice che "il fenomeno della corru-zione nella pubblica amministrazione" ci costa "50/60 miliardi di euro/anno".

Il Ministero dell'Economia ha stimatonel 2010 una evasione fiscale di 120 mi-liardi di euro/anno.

Il 17 maggio 2011 il presidente della Commissione Parlamentare Antimafia ha parlato di "150 miliardi di fatturato annuo delle mafie".

Il supplemento del bollettino statisticoBankitalia del 16/12/2009 ha rilevato che nel 2008 "a prezzi costanti, la riduzione della ricchezza complessiva rispetto al 2007 è risultata pari a circa 433 miliardi di euro del 2008" ma "la dinamica delle attività reali è risultata positiva" (+3%). Inbreve, 88 miliardi di euro risparmiati sonostati travolti da 521 miliardi di euro persi nel casinò della finanza.

10 ricchi = 3 milioni di poveri

Seguite quei soldi e scoprirete con chi prendervela: "In Italia i 10 individui più ricchi posseggono una quantità di ricchez-za che è all'incirca equivalente a quella dei 3 milioni di italiani più poveri". (Ban-kitalia, Occasional Papers 115, 02/12).

Ma l'Irpef per i ricchi è sceso dal 72% del 1974 (aliquota applicata a chi guada-gnava più di 500 milioni di vecchie lire/anno, che attualizzati corrispondono a2 milioni di euro/anno) fino al 43% del 2012, il minimo storico di sempre.

Nel frattempo il supplemento al bolletti-no statistico Bankitalia del 25/01/12 dice che "la quota di individui poveri risulta

pari al 14,4% e la percentuale di famiglie indebitate è pari al 27,7%".

Dov'è la progressività fiscale?

La nostra Costituzione stabilisce all'arti-colo 53 un principio di progressività fisca-le funzionale alla redistribuzione del red-dito. Ma l'unico "sacrificio" che non ci è stato chiesto come misura anticrisi è pro-prio il ripristino di una aliquota del 72 percento per quei dieci fortunati intoccabili che da soli fanno reddito come i tre milio-ni più poveri: un'entrata fiscale che per-metterebbe di rilanciare l'economia e al-leggerire le tasse sui più deboli.

E non ci vengano a dire che quei soldi risparmiati servono a rilanciare l'econo-mia, perchè finora sono stati soltanto bru-ciati in finanza, per inseguire profitti mag-giori in tempi più brevi.

La guerra di chi accumula contro chi tira a campare è invisibile sui mass media,è totalmente assente dal dibattito parla-mentare, dove anche il movimento politi-co più rivoluzionario e agguerrito contro le ruberie si è finora limitato a ragionare sul primo dei dati che ho fornito, quei nove miliardi di sprechi, concentrando le proprie energie sugli stipendi troppo alti dei Parlamentari mentre il vero male oscuro che divora il nostro benessere e le nostre speranze di futuro si chiama finan-za predatoria.

I “cerotti” servono a poco

Ma per combattere questo cancro con una terapia efficace servono a poco i "ce-rotti" dei risparmi anticasta (poco impat-tanti sul piano economico anche se alta-mente condivisibili sul piano etico).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2020

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“Le banche chegiocano d'azzardo

sui tavoli della finanza tengono in ostaggio

i risparmiatori e i loro conti

correnti”

Bisognerebbe invece separare le banche

d'affari dalle banche di risparmio a cui si rivolgono i cittadini, ad esempio con l'introduzione in Italia di una normativa simile al Glass-Steagall Act, la legge Usa che proteggeva i risparmiatori dal falli-mento delle banche, purtroppo abrogata nel 1999 dal presidente Clinton ("non c'è niente di meglio di un governo di sinistra per far politiche di destra"...).

Questa legge – riporta Wikipedia - è stata "la risposta del Congresso Usa alla crisi finanziaria iniziata nel 1929 che all'inizio del 1933 mise in ginocchio nu-merose banche americane. Prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. La ratio di tale provvedimento era di evitare che il falli-mento dell'intermediario comportasse an-che il fallimento della banca tradizionale, impedendo che l'economia reale fosse di-rettamente esposta al pericolo di eventi negativi prettamente finanziari. Per via della sua successiva abrogazione, nella crisi del 2007 è accaduto proprio questo, quando l'insolvenza nel mercato dei mu-tui subprime ha scatenato una crisi di li-quidità che si è trasmessa all'attività ban-caria tradizionale".

Separare speculazione e risparmio

Sarebbe bastato separare le banche vo-tate alla speculazione da quelle orientate al risparmio per scongiurare la grande truffa del Monte dei Paschi di Siena: un regalo da quattro miliardi di soldi pubblic-i, possibile non solo per gli intrecci tra il mondo bancario e quello politico, ma an-che e soprattutto perchè le banche che giocano d'azzardo sui tavoli della finanza

"tengono in ostaggio" i risparmiatori e i loro conti correnti.

Quando le cose si mettono male per gli squali della finanza, per cavarsela basta minacciare di far andare a fondo assieme a loro anche chi ha guadagnato onesta-mente i propri risparmi, e con questa "of-ferta impossibile da rifiutare" i governi ci obbligano a tappare di tasca nostra i buchicausati dall'utilizzo spregiudicato di stru-menti finanziari senza regole.

Strumenti finanziari senza regole

Per questa ragione, ciò che andrebbe frenato e combattuto come prima misura di emergenza sono le fughe di capitali all'estero, cioè il casinò della finanza che arricchisce le grandi banche d'affari, per la maggior parte straniere,

Ma i parlamentari a cinque stelle sem-brano ancora troppo concentrati sui costi della Politica per studiare i danni della Fi-nanza, e Beppe Grillo si è limitato a pro-porre sui temi economici una soluzione che non prende posizione: facciamo deci-dere ai cittadini se restare o meno nell' euro. Purtroppo però la finanza predatoriaè ormai in grado di fare danni enormi sia dentro che fuori dall'euro se lasciata agire indisturbata e senza freni.

E c'è anche un problema di redistribu-zione del reddito tale da rendere auspica-bile l'aumento delle tasse ai più ricchi per sollevare dai sacrifici le famiglie a basso reddito che finora hanno pagato da soli il prezzo della crisi con più Imu, più Iva, piùaccise sulla benzina e più tasse sui servizi.

Per questa ragione, mi sembra piuttosto velleitario basare il rilancio dell'economiasulle decine di milioni di euro all'anno chesi potrebbero risparmiare tagliando stipen-

di e rimborsi ai parlamentari, se non si de-cide prima di aggredire i problemi di una finanza predatoria che sottrae ricchezza per centinaia di miliardi di euro l'anno.

La finanziarizzazione dell'economia

La "foga anticasta" non è cosa buona se distrae da un altro problema che per entitàe dimensioni è di quattro ordini di gran-dezza superiore al problema che assorbe la tua attenzione. Il cancro non si cura conl'aspirina, e se arriva l'ambulanza per un grave incidente, prima si sistemano emor-ragie e fratture, e poi con calma si pensa alividi ed escoriazioni.

Se proprio vogliamo semplificare il di-scorso con slogan di facile comprensione, oltre ai nemici più noti che si chiamano mafie, sprechi, corruzione ed evasione, c'èun nemico più devastante di tutti che si chiama finanziarizzazione dell'economia.

Eppure, gli strumenti ci sono

C'è un alleato per combattere questo ne-mico: si chiama costituzione repubblica-na. Ci sono strumenti che si chiamano re-distribuzione del reddito basata sulla pro-gressività del prelievo fiscale, c'è un setto-re di attività legalmente lecite ma moral-mente odiose che si chiama speculazione finanziaria, e che va nettamente separato dalla lecita e morale attività di risparmio dei cittadini.

Nel combattere questa battaglia dobbia-mo essere consapevoli che il giro d'affari della speculazione ci ha succhiato negli ultimi anni centinaia di miliardi di euro, mentre i costi della “casta” non arrivano nemmeno alla decina.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2121

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Catania/ 1

Le indaginisu Mario Ciancio

Mario Ciancio

E' vicina la data dei 150 giorni fissata a no-vembre dalla Procura per approfondire l’in- chiesta a carico di Ma-rio Ciancio Sanfilippo

Ciancio, editore fra l'altro del quoti-diano La Sicilia, proprietario lo stabili-mento in cui vengono stampati i quoti-diani nazionali per tutta la Sicilia, è unodei massimi imprenditori edili siciliani. Dal marzo 2009 è indagato dalla Procu-ra di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa.

Diversi gli elementi, reali e da accerta-re, al vaglio dei magistrati.

Una intercettazione del 2001 in cui unindagato per mafia dice di aver individua-to con Ciancio (avrebbe anche "garantito"per le autorizzazioni necessarie ) i terreni per un nuovo centro commerciale. Anni dopo, questi diventeranno edificabili con una variante al piano regolatore.

Mancata pubblicazione - per «decisio-ne insindacabile del direttore Mario Cian-cio » - su La Sicilia dei necrologi del gior-nalista Giuseppe Fava e del commisario diPolizia Beppe Montana, uccisi dalla mafiarispettivamente nel 1984 e '85.

Articoli pubblicati durante le indagini per il delitto Fava sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, ritenuti un tentativo di depistaggio.

Presunti rapporti col boss Pippo Erco-lano, piombato - secondo il collaboratore di giustizia Angelo Siino - nella redazionede La Sicilia per minacciare un cronista.

Pubblicazione senza commenti della nomina di Angelo Ercolano, incensurato nipote del boss, a capo della Federazione autotrasportatori di Catania.

Pubblicazione di una lettera (trapelatain circostanze non chiare nell'ottobre 2008) di Vincenzo Santapaola, figlio del boss Nitto, detenuto al carcere duro e quindi impossibilitato a comunicare con l'esterno.

Aquisizione di una quota del pacchet-to azionario del Giornale di Sicilia, che secondo Massimo Ciancimino avrebbe coinvolto anche suo padre don Vito Cian-cimino, ex sindaco mafioso di Palermo vi-cino al boss Bernardo Provenzano.

Centri commerciali

Sotto indagine anche alcune operazioni

imprenditoriali di Ciancio, come il centrocommerciale «nei territori limitrofi la tan-genziale di Catania, direzione Siracusa».

Antonello Giostra, di Scaletta Zanclea, a suo tempo condannato per bancarotta fraudolenta per riciclo di denaro prove-niente da usura mafiosa, è indagato con Ciancio per riciclaggio con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa.

Tra i progetti da realizzare con costui, un centro commerciale da costruire a Misterbianco, per il quale Ciancio compraterreni per milioni di euro in contrada Cardinale. A un certo punto sorge l'interesse di un’altra società e di Cosa nostra (secondo la parallela indagine Iblis) a costruire un diverso centro commerciale nella confinante contrada Cubba, l'attuale Centro Sicilia: ma i due soggetti mantengono rapporti cordiali, si accordano e (come emerge da alcune in-tercettazioni di mafiosi) Cosa nostra si vede costretta a “rallentare” il proprio progetto per il contemporaneo interesse diCiancio.

“Personaggi vicini a Cosa Nostra”

Indagate anche altre attività: l’Outlet Si-

cilia Fashion Village ad Agira, appaltato in associazione temporanea a imprese come quelle di Mariano Incarbone e San-dro Monaco, entrambi imputati per con-corso in associazione mafiosa; il "villag-gio degli americani", residence per milita-ri Usa di Sigonella da realizzarsi a fine 2004 presso Lentini, anche stavolta in concorrenza con un progetto simile che interessava, secondo i magistrati, il boss Vincenzo Aiello. Casi che renderebbero «sempre inverosimile la casuale presenza,in occasione della realizzazione di grandi opere, accanto al Ciancio Sanfilippo di personaggi vicini a Cosa Nostra». Come nel caso del centro commerciale Porte di Catania, il primo a essere indagato.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2222

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Catania/ 2

In 23 anniai Virlinzi7 milioni in più

Ennio Virlinzi

Per la costruzione di piazza Europa, grazie a un “accordo bonario” col Comune

di Salvo Catalano www.ctzen.it

7 maggio. Inaugurata stamattina la nuova piazza Europa: 2300 metri qua-drati, di cui 1400 di verde pensile, men-tre continuano i lavori nei piani inter-rati dove sorgeranno un parcheggio e attività commerciali.

I cambiamenti dividono i cittadini. «Mai vista una piazza con un buco al cen-tro», denuncia una residente. Mentre fa discutere l’accordo siglato il 2 maggio tra il Comune e la società Parcheggio Euro-pa: un risarcimento da 325mila euro all’anno per 23 anni a causa dei cinque anni di stop ai lavori.

La nuova piazza Europa torna a disposi-zione dei cittadini. A distanza di undici anni dal progetto voluto dall’ex sindaco Umberto Scapagnini e dopo sei anni di se-questro ordinato dai giudici per una vicenda giudiziaria risolta in appello con l’assoluzione degli imputati, stamattina i catanesi hanno potuto vedere il nuovo volto della piazza. Un restyling profondo, mentre nei piani interrati continuano i la-vori per la realizzazione del parcheggio e del piano commerciale.

«Come promesso, riconsegniamo ai ca-tanesi questo parte della città», annuncia il sindaco Raffaele Stancanelli che non nasconde la felicità per il fatto che «ciò

avvenga proprio in questo momento». Cioè in campagna elettorale.

«Un regalino ai Virlinzi (gli imprendito-ri proprietari della società Parcheggio Eu-ropa ndr)», secondo Catania Bene Comu-ne e il candidato sindaco Matteo Iannitti. Mentre i cittadini presenti all’inaugurazio-ne si dividono tra entusiasti e scettici.

La piazza sul livello della strada copre 2300 metri quadrati, di cui 1400 di verde pensile, mentre sono 1500 i metri quadratidestinati ad attività al coperto. E poi, non ancora pronta, una piazza sul mare da 800metri quadrati, di cui 600 a verde pensile. «I cittadini, che a differenza di qualcun al-tro non hanno retro pensieri sono contenti di riappropriarsi di questo bene comune», sottolinea Stancanelli.

“Ma hanno rovinato la piazza”

Non la pensano allo stesso modo alcunesignore, residenti della zona, che, sedute su una panchina, esprimono le loro criti-che al passaggio del sindaco. «Questa nonè una piazza, chiamatela come volete ma non ho mai visto una piazza con al centro un buco enorme – spiega la signora Simo-na Mirenda – Io qui ci sono cresciuta e si poteva correre liberamente, ora non più. Ben vengano i privati quando migliorano la città, ma non è questo il caso. Sotto possono farci quello che vogliono, par-cheggi, uffici, ma hanno rovinato la piaz-za».

A far discutere è anche l’accordo bona-rio siglato tra il Comune di Catania e la Parcheggio Europa lo scorso 2 maggio. Accordo che cambia i termini economici del progetto.

La novità è che il Comune dovrà versa-re alla società 325mila euro all’anno per 23 anni. E ciò avverrà tramite la conces-sione di 230 stalli a raso limitrofi al par-

cheggio, attualmente nella disponibilità della comunale Sostare. «Un risarcimento che ammonta a sette milioni e mezzo di euro», attacca Iannitti. In più la ditta dei Virlinzi potrà far pagare servizi come i bagni, le docce e gli spogliatoi.

Per Lorena Virlinzi, amministratore de-legato della Parcheggio Europa, questo è dovuto alle nuove condizioni per raggiun-gere l’equilibrio economico e finanziario del progetto in project financing. «L’accordo – spiega – è motivato da cin-que anni di arresto del cantiere, tre aggior-namenti dei prezzi del prezziario regiona-le, un aumento del 25 per cento del costo dei lavori. Le spese sono lievitate da sette milioni a dieci milioni e mezzo».

L’amministratore delegato sottolinea inoltre che il bando prevedeva l’alternati-va di scelta per tutti i partecipanti alla gara, tra 600 stalli o il dieci per cento di superficie del parcheggio da utilizzare a discrezione del gestore, anche a fini com-merciali. «Avevamo scelto gli stalli per-ché ci garantivano più certezza di liquidi-tà. Ma nel 2006 il Comune ci ha chiesto ditornare indietro, per non arrecare altri pro-blemi alla Sostare. Noi abbiamo accettato la proposta e abbiamo costruito il piano commerciale con maggiori oneri».

“Potevamo ottenere di più”

Adesso quindi la Parcheggio Europa avrà sia la gestione per quarant'anni delle attività commerciali realizzate nei piani interrati, sia per ventitrè anni quella di 230 stalli in superficie.

«Non è un risarcimento – conclude Vir-linzi – perché se avessimo voluto, avrem-mo potuto fare causa civile e sicuramente avremmo ottenuto di più». E’ prevista a settembre la consegna dei lavori del par-cheggio e del piano commerciale.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2323

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Muos Niscemi

Un maldestrogioco delle parti fra governi e regioneNon si sa chi è Ponzio e chi Pilato... Intanto la base militare cresce,e con essa il malcon-tento popolare

di Sebastiano Gulisano

[email protected]

Il ministero della Difesa italiano che

cita per danni la Regione siciliana è

l'ultimo paradosso nella vicenda del

Muos di Niscemi, il sistema di teleco-

municazioni satellitari della marina

militare Usa che governerà l'apparato

bellico Usa nei prossimi decenni.

Il 10 maggio, al Tar del Lazio, deci-

sione sul ricorso del dicastero guidato da

Mario Mauro, ma promosso dal suo pre-

decessore, l'ex comandante del fronte

Sud della Nato, ammiraglio Giampaolo

Di Paola, che vorrebbe spillare dalle ta-

sche dei siciliani venticinquemila euro al

giorno a partire dal 29 marzo scorso, data

in cui l'assessorato regionale al Territorio

ha revocato le autorizzazioni necessarie a

realizzare l'opera, all'interno della Riser-

va della Sughereta di Niscemi, un sito

Sic, cioè protetto dalla Comunità euro-

pea.

Vicenda paradossale perché i siciliani

potrebbero presto trovarsi nella situazio-

ne di dovere sborsare altri soldi qualora,

com'è probabile, la Ue dovesse avviare la

procedura d'infrazione per avere consen-

tito la devastazione dell'area protetta. In-

somma, c'è il rischio di dovere pagare

due volte: per avere consentito lo scem-

pio e per avere impedito che proseguisse.

È un paradosso perché non si capisce a

che titolo il Governo italiano sarebbe

danneggiato dal blocco dei lavori di una

base militare Usa (non Nato, come inve-

ce cercano insistentemente di fare crede-

re governo e regione) costruita dal colos-

so bellico dell'apparato militare indu-

striale statunitense Lockheed Martin.

Vicenda paradossale

Il presidente regionale, Rosario Cro-

cetta, bolla come “infondato” il ricorso

ministeriale e ricorda che la sospensione

dei lavori è stata concordata dalla giunta

da lui retta con governo Monti, nel corso

di un incontro al quale era presente lo

stesso ministro, accordo sigillato con un

comunicato congiunto dal quale abbiamo

appreso che il futuro del Muos sarebbe

legato a un parere “indipendente” affida-

to all'Istituto superiore di sanità (Iss), che

il 31 maggio dovrebbe esitare una rela-

zione “scientifica” per spiegare se le

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2424

DiarioUNA RESISTENZA ARMATA DI PACE

La vedi sventolare proprio lì dove non ti saresti mai aspettato che fosse. E sembra così vivace e stabile che proprio non sem-bra possibile. La bandiera NO MUOS sopra un' antenna piazza-ta proprio al centro della base. E' stato Nicola a portarla, mentrec' era chi in tranquillità si trovava davanti ad una tazza di caffè, chi davanti al televisore, comodamente seduto sul divano, con la camicia appena stirata e le mani pulite...e la coscienza an-che., dato che con essa ci fa i conti troppe poche volte.

Lì, fuori da quella base, tra i No Muos, ormai sono conosciuti Turi, col suo flauto, Nicola, Desi e Simona, che hanno raggiuntole antenne, arrampicandovisi tranquillamente sopra. Le forze dell' ordine non hanno potuto fare altro che rimanere a guarda-re, mentre Turi scavalcava il filo spinato che recinta la base di Niscemi e, con una naturalezza da bambino, percorreva tutto il

tratto che separa la recinzione dall' antenna, fino ad arrampicar-si su di essa. Ho sognato che scoppiava la terza guerra mon-diale e poi è anche importante dare visibilità alla vicenda". Nulladi concordato con Nicola, Simona e Desi, che si sono lasciati trascinare da quel vento di ribellione pacifica che s'era sveglia-to: "Avevo buttato un berretto dentro la base e sono entrato per riprenderlo. Poi mi sono convinto che ormai ero dentro e valeva la pena di rischiare...".

L' azione del 22 aprile e quella bandiera appesa su un' antenna NTRF-8 della base si portano dietro un grande merito, quello di aver creato la consapevolezza di poter fare molto di più. Con la sola forza della pace, esercitata li a Niscemi, contro una gigantesca macchina da guerra, due uomini e due donne, che al cospetto di essa appaiono come delle formiche, hanno creato coscienza, hanno dato forza e hanno allargato la visibilitàdi uno scempio che ancora tiene in bilico Niscemi e la Sicilia.

Rosanna Chillemi

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“I militari Usacompletano i lavoriin barba alle leggi.Le autorità italiane

lasciano fare.Sono solo i NoMuosa prendere sul serio

decreti e leggi”

onde elettromagnetiche emesse dall'ordi-

gno bellico statunitense possono causare

danni alla salute dei niscemesi e dei resi-

denti nei comuni del centro-sud orientale

dell'isola.

La situazione rasenta il grottesco se si

considera che l'Iss è tutt'altro che indi-

pendente, essendo parte del ministero

della Salute, cioè dipende dal governo

nazionale che il Muos lo vuole a ogni co-

sto perché “fondamentale” per gli assetti

difensivi della nazione e dei Paesi alleati

(lo stesso assessore regionale Mariella

Lo Bello ha più volte sottolineato che il

Muos s'ha da fa).

Posizioni minimizzanti

Se poi si considera pure che l'Iss ha

fama consolidata per le sue posizioni

minimizzanti circa l'impatto sulla salute

delle persone a contatto prolungato con

onde elettromagnetiche, non ci vuole

molto a indovinare le conclusioni.

“L'Iss ce lo siamo trovati sempre con-

tro, anche nella vertenza sull'antenna di

Radio vaticana, a Roma” ricorda il pro-

fessore Massimo Zucchetti, il docente

del Politecnico di Torino autore, col col-

lega Massimo Coraddu, della relazione

per il comune di Niscemi che ha consen-

tito l'azzeramento delle autorizzazioni

edilizie concesse per la costruzione della

megaopera, che, ricordiamocelo, andreb-

be a sommarsi all'attuale sistema di tele-

comunicazioni a bassa frequenza NRFT,

composto da 46 antenne che da vent'anni

deturpano il cuore della Riserva e soven-

te superano il limite di 6 volt/metro fissa-

to per impedire danni alla salute delle

persone.

L'ironia del professore

Zucchetti, al quale era stato fatto

credere che avrebbe fatto parte di una

commissione di esperti, sulla sua pagina

Facebook si dichiara pronto a scrivere in

anticipo le conclusioni cui approderanno

i tecnici dell'Iss, in cambio di una granita

siciliana. Ironizza, Zucchetti.

E la sua ironia pare l'unica cosa seria

in quest'Opera Buffa in cui si revocano

autorizzazioni edilizie, urbanistiche e

ambientali e si tenta di metterci una

pezza con una relazione “scientifica

indipendente” sulla salute che c'entra

come i cavoli a merenda e, comunque,

dovrebbe essere un ulteriore passaggio

autorizzativo e non l'unico “semaforo”

istituzionale sulla strada del Muos.

Gli unici a prendere sul serio la legge

In questo guazzabuglio, la giunta Cro-

cetta e le istituzioni nazionali stanno in-

scenando un maldestro gioco delle parti

svelato dal fatto che i soli a tentare di

fare rispettare il decreto regionale di re-

voca delle autorizzazioni sono i militanti

del Coordinamento regionale dei comita-

ti No Muos, che da otto mesi presidiano

pacificamente la base Usa tentando di

impedire il transito di mezzi e operai, op-

ponendo i propri corpi.

Quasi finita la terza torretta

Malgrado ciò e in barba alle leggi, gli

statunitensi hanno quasi completato la

terza torretta d'acciaio su cui dovrà

poggiare una delle tre parabole del

sistema bellico.

Dopo il decreto del 29 marzo, né la

Regione, né il Governo centrale, né la

Procura della Repubblica di Caltagirone

hanno mosso un dito per bloccare i lavori

abusivi, nemmeno di fronte all'inconfuta-

bile documentazione video e fotografica

fornita dagli attivisti No Muos.

Rimossi con la forza i blocchi

Anzi: le Istituzioni hanno usato le

forze dell'ordine per rimuovere con la

forza i blocchi del “tappeto umano” che

si oppone alla costruzione dell'opera e

pretende lo smantellamento delle 46

antenne esistenti, per la salvaguardia

della salute, del territorio e della pace.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2525

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Trentacinque anni

E sembra ieri

I compagni di Peppino:cosa fanno ora?

di Salvo Vitale

10 maggio 1978: davanti alla casa di Peppino, a partire dal primo pomerig-gio, c’era un gruppo di persone. Il no-stro avvilimento, la nostra tristezza era legata non solo alla perdita di un amico,ma anche al modo in cui si stavano con-ducendo le indagini, con le quali il bal-do maggiore Subranni sperava di tro-vare, nella profonda Sicilia mafiosa, un gruppo di terroristi emuli delle bravate delle Brigate Rosse.

Arrivarono i resti di Peppino, sottoposti prima ad l’autopsia: si trattava solo del troncone di una gamba, perché il resto erastato polverizzato.

A “Casa 9 maggio”, (d’ora in avanti, siapure in modo unilaterale, la chiameremo così, perché ci siamo stancati di chiamarlaex-casa Badalamenti ed essere costretti a nominare abitualmente il nome di un ma-fioso assassino), esponiamo una mostra che rappresenta momenti di quel giorno, quando ci sostituimmo alle forze dell’ordine e ci mettemmo a fare le inda-gini: arrivammo sul posto, vedemmo la macchina di Peppino, che era stata lascia-ta lì, senza alcun rilievo delle impronte, raccogliemmo, per terra, sulle agavi, sui fili dell’alta tensione, i resti di Peppino, lasciati in pasto ai corvi, ne riempimmo tre sacchetti, che la sera consegnammo al prof. Ideale del Carpio, direttore dell’isti-tuto di medicina legale di Palermo. Poi cominciarono ad affluire dal fondo del corso, i tipi più strani, capelli lunghi, zai-no, bandiere rosse.

Quando arrivò la bara fu una pioggia di fiori, e allora, tra la folla, per la prima

volta gettai un grido, uno slogan che poi ci siamo portati appresso in tutti questi anni: “Peppino è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai”. Sapevo benissimo che di Peppino era ri-masto ben poco, che era morto, che ave-vano tentato di far saltare in aria, con lui, anche le sue idee, ma sentivo anche che i lunghi anni di vita politica comune, avrebbero lasciato un segno indelebile della sua presenza.

“Ogni anno, prima del corteo...”

Ogni anno, prima del corteo del 9 mag-gio penso che, come tutte le cose di que-sto mondo, anche la dinamica che ruota attorno a Peppino dovrebbe avere le carat-teristiche, diciamo biologiche, di tutte le cose, ovvero dovrebbe invecchiare, come sono invecchiati i compagni di Peppino, come sono invecchiati tutti coloro che, a partire dai sognatori del 68 ad oggi hanno creduto che esistessero dinamiche di forte intervento dal basso per cambiare le rego-le della storia, cioè per costruire una so-cietà dell’uguaglianza.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2626

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“Due tipiche situazionidi uguaglianza

” E ogni anno, inevitabilmente, constato

che Peppino è rimasto giovane, che gio-vani, e non solo anagraficamente, sono lagran parte di coloro che partecipano al corteo, che giovani sono “le nostre idee” che “non moriranno mai”.

Le idee giovani

Conosco molti compagni che vengono da ogni parte d’Italia per “rigenerarsi”, per “ricaricarsi” dopo tempi di delusioni,di sconfitte e di amarezze, per tornare a fare un bagno in quelle idee nelle quali inpassato hanno creduto e che poi sono sta-te, piano piano occultate dalla quotidiani-tà, dal martellamento mediatico, dall’ab- bandono progressivo di tanta gente che era con noi e che, piano piano, ci ha la-sciato soli. E d’altra parte possiamo cal-colare che oggi Peppino avrebbe sessant-acinque anni, possiamo immaginare quel che avrebbe potuto essere: di fatto egli rimane un uomo di trent’anni, si è ferma-to a quell’età perché la sua vita è stata rubata in quel momento.

La sua giovinezza non è quella di Anti-noo, che si uccise a vent’anni, per rima-nere giovane e bello nella memoria dell’imperatore Adriano, suo amante. Ol-tre la bellezza, la prestanza dell’età, in Peppino ci sono le “idee”, che si possonoriassumere nelle due parole che il fratelloGiovanni ha fatto scrivere sulla sua tom-ba: “comunista rivoluzionario”. Dove il comunismo non à quella parola “offensi-va” che un l’uomo più ricco d’Italia, un salame imbragato, ha fatto diventare, snaturandone il significato, soprattutto per cautelare la sua condizione. Comuni-smo non è la lontana utopia che il rifor-mismo socialista ha escluso, "relegando Marx in soffitta”, come diceva Turati.

“Il comunismo non è un oggetto di li-bera scelta intellettuale, né vocazione ar-tistica. E’ una necessità materiale e psi-cologica”. Così scrive Peppino. Significache il comunismo è un elemento essen-ziale e basilare della condizione umana, legato alle caratteristiche biologiche dell’uomo, è un modo di esistere, è vita.

“Una necessità materiale”

E d’altronde, cosa c’è di più vicino allanatura se non la coscienza dell’uguaglianza, la consistenza di realtà in cui sia ban-dito il privilegio, si escluda la negazione di qualcosa al più debole, ci si senta partedi un tutto in cui ci siano uguali condi-zioni di partenza , senza mortificare le capacità singole? Forse che l’uomo nascecon tutti gli orpelli di cui si è circondato con la civiltà? Nasce nudo. Nascita e morte sono due tipiche situazioni di ugua-glianza, di comunismo, anche se poi i re-sti del più ricco riposano nella piramide oin un’artistica cappella, mentre quelli del povero finiscono nella terra nuda.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2727

9-10-11 maggio: Forum nazionale antimafiaCRONACA DI TRE GIORNATE DIMENTICATECome al solito la stampa, sia locale che nazionale, di tutto si occupa tranne che di quello che succede nel mondo dell’antimafia e soprattutto di quel che succede a Cinisi nei giorni in cui si ricordala figura di Peppino Impastato attraverso le sue lotte, ma anche at-traverso un’attenta riflessione su quanto succede, sia in Italia che in altre parti del pianeta, nel tempo della crisi.Per quel che riguarda le iniziative del 9 maggio, si è parlato della sfilata dei sindaci, una decina, ma non della lapide lignea che i compagni di Peppino sono andati a piantare sul muro del casolaree del lavoro di pulizia dello stesso, che, quantomeno, ha reso visi-tabile il posto, ancor oggi affidato a un vaccaro che vi porta a pa-scolare i suoi animali. Doveva intervenire il presidente della Regio-ne Crocetta, che ancora una volta ha dato forfaitt. Da lui si spera-va in un impegno per l’acquisizione del casolare e per l’apposizio-ne di un vincolo quale bene culturale.. In tal senso, per iniziativa diRadio Cento Passi, sono state raccolte online 30mile firme che al più presto saranno inviate agli organi competenti.Anche la casa di Badalamenti, attualmente suddivisa in tre parti, una del Comune di Cinisi, una dell’Associazione Impastato, una di Casamemoria, versa in uno stato di degrado e avrebbe bisogno di una ristrutturazione, ma al momento le richieste di finanziamento per il recupero del bene confiscato, sono tutte bloccate. Comun-que le varie realtà che compongono il Forum Sociale Antimafia an-che quest’anno ne hanno fatto il centro propulsore e organizzativo delle varie iniziative. Al piano superiore è stato installato un media-center, visitatissimo, che trasmetteva in diretta tutte le iniziative con commenti, interviste, testimonianze, musica.

Nessun accenno, su nessun giornale, al forum tenutosi a Casa 9 maggio sul tema: ”Conflitti di classe: processi di ricomposizione daNord a Sud”. Affollatissimo, con la partecipazione di numerose realtà, dagli extracomunitari di Rosarno, agli operai dell’Ilva di Ta-ranto, a quelli della Fiat e di numerosi call center.Nessun accenno neanche alle mostre esposte nella casa che fu del boss Badalamenti: una di foto e documenti inerenti al Solariumdi Terrasini, una sorta di stabilimento balneare che rappresenta unvero scempio paesaggistico, oltre che una sorta di furto di un bel-lissimo angolo di costa, sinora proprietà di tutti e che finirà col di-ventare proprietà di pochi speculatori. Molto belle anche le imma-gini sulle lotte territoriali, dagli operai Fiat di Termini Imerese, alle lotte NoMuos di Niscemi. Sono intervenute alcune madri NoMuos, una delle quali ha cantato il dramma degli abitanti di quella zona con un pezzo eseguito nel tipico stile dei cantastorie siciliani. Una terza mostra comprendeva una ventina di fotografie scattate da Paolo Chirco la mattina del 9 maggio; una quarta i quadri del pitto-re antimafia Gaetano Porcasi, di cui diversi dedicati a Peppino.Il 10 maggio si è parlato di solidarietà di classe, e delle varie pro-spettive che si riscontrano attualmente non solo in Italia ma anche in Argentina e in altre parti del mondo. Il giorno dopo, l'11, ci si è occupati del tema: “Di chi è il territorio, percorsi autogestiti di riap-propriazione”, con particolare riguardo alle lotte dei No-Tav, dei No-Muos a Niscemi e contro il Solarium di Terrasini. Nel pomeriggio ha avuto luogo l’ultimo forum sul tema “Antimafie a confronto”: sono state prese in esame le varie attività antimafia, daquelle istituzionali a quelle sociali, per chiedersi quale efficacia e risultati possono avere alcune forme di antimafia troppo legate allaritualità o ai finanziamenti dello stato. S.V.

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“Nessuno può essere completamente libero o felicese accanto c'è qualcun altro che non è libero o che soffre”

E comunque, il ricco non potrà mai com-prare la vita: forse potrà solo allungarselase riesce a trovare buoni medici e buoni protettori. Ma anche su questo, noi che siamo abituati a illuderci che “la legge è uguale per tutti” dobbiamo poi essere ob-bligati ad accettare il contrario, ovvero che “la furca è pi li poviri, la giustizia pi li fissa”.

Una “condizione dell'animo”

E non sono bastati secoli di storia, per smontare questo assunto della disegua-glianza di fatto. Non secoli di cristianesi-mo a rendere concreta la condanna delle ricchezze nelle mani di pochi. Il comuni-smo, “necessità materiale e psicologica” conserva la caratteristica categoria mar-xista del materialismo storico, ma vi ag-giunge quella “psicologica”.

Senza bisogno di scrivere trattati, in una semplice frase, Peppino dice sempli-

cemente che il comunismo è “condizionedell’animo”, è la situazione, per tornare aMarx, in cui “la felicità, la libertà dell’uno è condizione della libertà e dellafelicità di tutti”, in cui nessuno può essere libero o felice se accanto a lui o lontano da lui c’è qualche altro che non èlibero o che soffre. Come siamo lontani dall’arroganza di chi esibisce le sue ric-chezze e la sua condizione per dimostra-re di essere al di sopra di tutto e di tutti, ma soprattutto per non preoccuparsi mi-nimamente di chi soffre e muore di fame.

Una sorta di comunità

Certe distanze tra cristianesimo e co-munismo diventano minime, se si esclu-de che il regno della presunta uguaglian-za e della presunta giustizia per i cristianiè nell’aldilà, per i riformisti è un’ utopia ,invece, per i comunisti, è un progetto chesi realizza giornalmente attraverso le lot-te e attraverso un continuo superamento dell’immobilità. Il comunismo di Peppi-no era, è quello di una sorta di comunità, che egli sognava di fare, costruendo in un suo terreno un centro dove avrebbero potuto ritrovarsi tutti i rivoluzionari del mondo.

E qua siamo all’altro termine “rivolu-zionario”. Non si tratta di ipotizzare la rivoluzione come evento finale che, prima o poi dovrà arrivare, “l’addà venì Baffone” degli stalinisti italiani. Non si tratta nemmeno del disperato che si armaper sparare su due carabinieri, davanti a Montecitorio, per uccidere un giornalista o per rapire, processare e uccidere il po-vero Aldo Moro, accumunato a Peppino nello stesso giorno della morte.

“Sentirsi” rivoluzionario

Essere rivoluzionario è, prima di tutto “sentirsi rivoluzionario”,cioè, anche in questo caso, “una necessità materiale e psicologica,” un modo di leggere ogni momento della propria vita, ogni scelta, come un tassello, un frammento di cambiamento, uno stimolo costante di

superamento dell’attuale momento di vita verso uno stadio successivo che comporti la liberazione progressiva di vincoli, orpelli, leggi, clausole, barriere che costituiscono la zavorra che impedisce il volo verso l’infinito. La finedell’utopia, diceva Marcuse nel ’68. In-somma, una rinascita costante di riappro-priazione di se stessi e di tutto quello checi è stato sottratto nel corso della storia.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2727

Maggio 2013SE CI FOSSE PEPPINOSe ci fosse Peppinoanche oggi forse lo prenderebbero per pazzo,se ci fosse Peppinonon tutti lo capirebbero,se ci fosse Peppinosarebbe facile ancora denigrarlo,isolarlo, allontanarlo,se ci fosse Peppinoqualcuno degli amici e dei compagnioggi farebbe finta di niente, tranne qualcuno,se ci fosse Peppino.Lui sì, a dispettodi tutti questi nuovi rivoluzionari del "mi piace",dei cosiddetti nuovi borghesi e reazionari,contrari al vento nuovo,luì si che non avrebbe aspettato un solo attimo.Anche da solo.Altro che stelle e stelline,tanto attaccate al rigido controllo del piffero,al mediatico streaming solo virtuale,se ci fosse Peppinosarebbe un giorno bellissimo e coraggioso,sempre,se noi solo lo volessimo qui accanto a noie non solo il nove maggio,a prescindere dai fastidi dei benpensantie degli imprenditori del nulla,allora non dovremmo più dire"se ci fosse Peppino".

Anonimo, 1 maggio 2013

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“Come se in questo momento ci dicesse: guardiamoci in facciaprima di esplodere in una risata che ci faccia sentire più vicini”

Protagonisti di un insieme

E’ come se, in questo momento, Peppi-no ci dicesse: guardiamoci in faccia, ne-gli occhi, “na 'u biancu ri l’uocchi” primadi esplodere in una risata che ci faccia sentire più vicini, non monadi isolate, maprotagonisti di un insieme in cui non c’è più tempo né spazio per compiangersi, per intristire, per avvilirsi, per odiarsi, per azzannarsi, per incupirsi.

Respingere il puzzo di morte che vienedai domicili dei mafiosi, dalle stanze del potere e della politica, dagli incunaboli dove si nasconde il delitto, l’odio, la so-praffazione.

Ridere del perbenismo borghese

Proviamo a ridere, ora, adesso, e poi a rifarlo ogni qualvolta che il disgusto per le perversioni che ci circondano minac-cia di soffocarci.

Ridere del perbenismo borghese, dell’ipocrisia di tutti quelli che ci guarda-no disgustati, si voltano dall’altra parte, mormorano: “Ma chi vannu circannu? Chi vannu arriminannu ancora a merda n’cannistru? Ma che stanno ancora a fare, perché non si stanno a casa, invece di venire a disturbare la nostra quiete? Non hanno avuto tutto quello che voleva-no? Che vogliono ancora? Perché non ci lasciano in pace?”.

Ridere delle persone in cravatta, di quelli che scendono dalla limousine o si fanno scortare, di quelli che obbedisconocome pecoroni a tutti gli ordini, senza chiedersi se ce ne siano di sbagliati, ride-re di chi ha bisogno di un capo cui asser-virsi, di un pastore, e opertanto, accettareper se stesso il ruolo di pecora.

E poi ricostruire una società

E poi ricostruire, dalle ceneri di un cir-cuito che comprenda politica, economia, banche, onorevoli, disoccupazione,

morte, suicidi per l’impossibilità di portare avanti dignitosamente la propria vita, euro, ambizioni, droghe, pizzo, tan-genti, rimborsi elettorali, ruberie vari e altre porcate, una società in cui si possa essere - come ci insegna Peppino - comunisti e restare sempre rivoluzionari.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2299

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Il verbale di un ispettore di polizia

Andreotti, Trapani e i mafiosi“Il giorno 19.8.1985, in occasione di una vi-sita a Mazara dell'on. Giulio Andreotti...”

di Rino Giacalone

Giulio Andreotti uscì dal processo istruito dalla Procura antimafia di Pa-lermo con una sentenza di prescrizio-ne. I suoi rapporti con l’associazione mafiosa per i giudici furono veri, e passavano per la provincia di Trapani. Episodi però che risalivano ad un pe-riodo così antico rispetto alla celebra-zione del processo che l’unico pronun-ciamento giudiziario possibile fu quel-lo della prescrizione.

“Il giorno 19.8.1985, in occasione di una visita a Mazara del Vallo dell’on. Giulio Andreotti, fui incaricato, dall’allo-ra Dirigente del Commissariato di P.S. diMazara del Vallo dott. Germanà, di so-vraintendere al servizio d’ordine predi-sposto presso l’Hotel Hopps, ove il par-lamentare doveva recarsi e pernottare.

Era con me altro personale del Com-missariato, tra cui ricordo l’Agente di P.S. Giorgio Mangiaracina. Il mio compi-to era di controllare le sale dell’albergo onde prevenire pericolo di attentati, non-ché di controllare le persone che entrava-no, per verificare se non compivano qualche atto sospetto (come ad es. lascia-re borse o bagagli in qualche sala). L’on. Andreotti, provenendo dal Consiglio Co-munale, giunse all’Hotel Hopps ove ten-ne un breve discorso in una delle sale. Dopo di ciò, io notai, innanzi alla porta di una saletta dove si trovava un apparec-chio televisivo, l’on. Andreotti, il Sinda-co di Mazara Zaccaria, e un giovane che riconobbi in Manciaracina Andrea.

Riconobbi il giovane perché l’avevo già visto in Commissariato e sapevo che era uno dei figli di Manciaracina Vito, quest’ultimo persona che sapevo essere agli arresti domiciliari. Ebbene, notai – come ho detto – i tre insieme, e vidi che Zaccaria presentava il giovane Manciara-cina all’on. Andreotti, che gli strinse la mano.

Ricordo che rimasi un po’ sorpreso di ciò, poiché pensai che l’on. Andreotti trattava cortesemente una persona del tipo di Manciaracina e magari poi a noi della polizia neanche ci guardava.

Dopo la presentazione, l’on. Andreotti e Manciaracina Andrea entrarono nella saletta di cui ho detto, e chiusero la por-ta. Il sindaco Zaccaria rimase invece fuo-ri della stanza, davanti alla porta chiusa, senza muoversi.

Passarono circa dieci minuti, quindi, laporta si riaprì, il giovane Manciaracina uscì, e si introdusse nella stanza il sinda-co Zaccaria che richiuse la porta dietro disé. Io seguii il Manciaracina il quale si diresse verso l’uscita dell’Hotel, e andò via. Per quanto io ricordo, non vidi l’on. Andreotti intrattenersi a parlare con nes-sun altro, né in quella stanza, né altrove nell’albergo”.

L'incontro con Mangiaracina

Il verbale finito agli atti del processo contro il senatore a vita Giulio Andreotti è stato così reso da un ispettore di Poli-zia, Francesco Stramandino. Segna uno dei rapporti pericolosi che l’on. Andreottinella sua carriera avrebbe avuto con la mafia. Il “bacio” con Riina è leggenda, l’incontro con Andrea Manciaracina è dato certo.

In quel periodo a Mazara del Vallo tra-scorreva le sue “vacanze” proprio Totò Riina, “protetto” dalla potente mafia ma-zarese e della quale Manciaracina, padre e figlio facevano parte.

L'”aggiustamento” del processo Rimi

Antecedente al faccia a faccia mazare-se vi è un altro episodio. Si tratta dell’”aggiustamento” del processo a cari-co degli alcamesi Vincenzo e Filippo Rimi celebratosi nei vari gradi di giudi-zio tra Roma e Perugia tra il 1968 ed il 1979, per gli omicidi di Giovanni Gian-greco, ucciso il 5 settembre 1960 a Villa-bate, nel palermitano e di Leale Lupo, ucciso il 30 gennaio 1962 a Palermo: questi era figlio di Serafina Battaglia la donna che nell’aula della Corte di Assise era andata ad accusare i sicari del figlio, ucciso perchè si dava da fare per cercare di vendicarsi dei killer del padre ucciso anni prima. Lui stesso era andato ad Al-camo per cercare i due Rimi ed ucciderli.

Il racconto di Buscetta

Il processo ai due Rimi si concluse a Roma il 13 febbraio 1979 con l’assolu-zione di Filippo Rimi, il padre era uscito dal processo, Vincenzo Rimi era morto 4 anni prima.

Del processo aggiustato in favore dei Rimi per primo parlò Tommaso Buscetta,l’avvicinamento ad Andreotti sarebbe stato possibile grazie all’intervento di don Tano Badalamenti, cognato di Filip-po Rimi, i due avrebbero discusso della cosa direttamente con Andreotti, a Roma,nel suo studio. Buscetta svela di averr sa-puto da Badalamenti che in quell’occa-sione Andreotti ebbe a dire a don Tano che “uomini come lui ce ne voleva uno per ogni strada di ogni città italiana”.

I Rimi costituiscono da sempre uno deiriferimenti mafiosi più forti del trapane-se. Il tentato golpe Borghese aveva previ-sto per i Rimi un ruolo preciso, la loro partecipazione per le cose che i pentiti hanno dettocome sentite dall’interno di Cosa Nostra era collegata proprio alla loro adesione al tentativo eversivo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3030

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“Carlo Palermosopravvisse

ma fu indottoa lasciare

le indaginie la toga”

Il processo “Iside 2”

“Badalamenti spingeva – confermò ai giudici il pentito Calderone - spingeva moltissimo, avrebbe fatto la qualunque, voleva risolvere questo processo in qual-siasi modo e in qualsiasi maniera, tutta Cosa Nostra si muoveva intorno al pro-cesso contro i Rimi.

Non ci si ferma però qui. Sparpagliati qua e là ci sono altri episodi.

Nel processo sulla loggia massonica Iside 2 scoperta a metà degli anni ’80 a Trapani, la loggia dove erano scritti ma-fiosi, politici, colletti bianchi, super bu-rocrati, venne fuori la circostanza che perun periodo a controllare l’aeroporto di Trapani c’erano dei massoni, che si sa-rebbero fatti carico di fare scomparire al-cuni piani di volo particolari, tra questi quelli relativi a missioni con aerei privatiche Andreotti avrebbe fatto per giungere senza essere notato in Sicilia. Trapani perlui sarebbe stato un aeroporto sicuro.

Le accuse del giudice Almerighi

Il nome di Andreotti compare poi sullosfondo della vicenda processuale relativaalla corruzione dell’ex pm di Trapani An-tonio Costa.

Nel processo contro il senatore a vita a Palermo un giorno andò a deporre un giudice, Mario Almerighi, che da An-dreotti fu definito, per la testimonianza resa, «pazzo» e «falso teste».

Almerighi infatti riferì dei contatti tra il senatore Andreotti e il presidente di Cassazione, Corrado Carnevale, svelò la confidenza ricevuta da un suo collega, Piero Casadei Monti, allora capo di gabi-netto del ministro della Giustizia Virgi-nio Rognoni. E il «segreto» svelato pas-sava per l’indagine sul giudice Costa, ar-restato nel 1985.

Accadeva che la Cassazione, presiden-te Carnevale, accogliendo una richiesta

della difesa dell’ex pm Costa, fece cele-brare il processo a Messina, sottraendolo alla competenza del Tribunale nisseno.

La cosa portò il pm che indagava, Claudio Lo Curto, a fare un esposto al Csm e al ministro Rognoni. Ma tutto finì in archivio.

Secondo la testimonianza di Almeri-ghi, il Csm avrebbe insabbiato il «proce-dimento», stando alle confidenze del capo di gabinetto del ministro, «per le pressioni di Andreotti» che all’esito di questa testimonianza rispose dandogli del pazzo. Almerighi querelò Andreotti per quelle dichiarazioni ingiuriose, e vin-se la causa.

Le indagini di Carlo Palermo

Il nome di Andreotti compare poi nel racconto dell’ex pm Carlo Palermo, il magistrato sfuggito ad un attentato a Piz-zolungo (Erice) il 2 aprile 1985.

A Trapani era giunto dopo che era statosollevato da indagini che conduceva da pm di Trento. Mentre era pm a Trento Carlo Palermo conduceva una indagine su traffici di armi e droga, su riciclaggio di denaro e su politici collusi e corrotti.

Un'inchiesta molto scottante. Il 15 di-cembre 1983 da pm trentino andò alla Farnesina a Roma per sentire come teste l’allora ministro degli Esteri. Giulio An-dreotti. Finita quell’attività partì per Brindisi dove doveva partecipare ad un convegno. All’arrivo in serata nella città pugliese trovò una chiamata del presi-dente del Tribunale di Trento che gli co-municava che il procuratore generale della Cassazione aveva minacciato la suasospensione dal servizio per avere fatto una attività di indagine nei confronti di parlamentari senza autorizzazione.

Fu il primo atto questo che lo avrebbe portato nel febbraio 1985 a prendere ser-vizio alla Procura di Trapani e dove dopo40 giorni dall’insediamento trovò lungo

la strada che ogni giorno percorreva una autobomba il cui timer fu azionato dalla mafia alcamese.

Carlo Palermo si salvò, vennero strito-lati dal tritolo Barbara Rizzo Asta ed i fi-glioletti della donna, Salvatore e Giusep-pe, che in auto percorrevano la stessa strada. Carlo Palermo sopravvisse ma perlo Stato fu come fosse morto. Dapprima gli fu proposto di cambiare identità e la-sciare l’Italia, al suo rifiuto fu fatto in modo che lasciasse la toga e le sue inda-gini.

Il sostegno a Giammarinaro

L’ultima presenza certa di Andreotti a Trapani risale al 1991, quando venne a sostenere un suo “figlioccio”, il salemita-no Pino Giammarinaro, eletto alla Regio-ne con 50 mila preferenze e qualche mese dopo costretto a fuggire dalla Sici-lia per evitare l’arresto.

Pochi anni addietro Andreotti partecipòad una cena in Senato offerta da un con-sorzio ittico di Mazara. Apprezzò molto ciò che venne servito a fine cena com-mentò che una cena del genere l’avrebbe potuta fare solo tornando in Sicilia, a Mazara, ma considerato quello che gli era capitato (l’incontro col mafioso nel frattempo svelato dal processo di Paler-mo) aveva deciso di non tornarvi più.

Sarà stato vero? Oramai oggi non può più sapersi, questo è l’ultimo e meno im-portante dei segreti che si è adesso porta-to nella tomba.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3131

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Michele GambinoAndreottiIl Papa neroAntibiografiadel divo Giulio Giulio Andreotti, detto anche ildivo Giulio, Belzebù, il Papa nero, èil personaggio più longevo dellastoria italiana e al tempo stesso ilpiù controverso. L’unico politico distatura nazionale di cui sono statiaccertati i rapporti con la mafiaalmeno fino al 1980, ma anchel’amico sincero di molti pontefici e ilgeneroso dispensatore di oboli agliorfani e alle vedove. Ascetico neicomportamenti ma capace diaccumulare enormi quantità di fondiocculti per mantenere il potere. Nemico storico della sinistra, ma anche primo fautore di un governo appoggiato dai comunisti. Da Sindona a Moro, da Pecorelli a Dalla Chiesa, dai militari golpisti a Licio Gelli, dai palazzinari romani ai mafiosi siciliani, l’intera vita di Andreotti è costellata di delitti, di misteri, di nemici per bene e di amici impresentabili.Dal secondo dopoguerra all’era Berlusconi, Michele Gambino traccia un profilo del personaggio in larga parte inedito, ricostruendone, oltre alle vicende giudiziarie e storiche, la psicologia, la religiosità, i sentimenti e le pulsioni celate dietro la maschera di cera. Michele Gambino, giornalista, ha iniziato la carriera con “I Siciliani”, mensile fondato da Giuseppe Fava. Ha lavorato a lungo per il settimanale “Avvenimenti” occupandosi di malaffare politico e criminalità organizzata,è stato inviato e autore per molti programmi Rai e nel 1996 ha vinto il premio “Ilaria Alpi” per i suoi reportage dall’Afghanistan occupato dai Taliban. Con Manni ha pubblicato Orgogli e pregiudizi. Islam e Occidente

dopo le Twin Towers (2001) e Il cavaliereB. (2001), biografia non autorizzata diBerlusconi. Attualmente è condirettoredell’agenzia televisiva “H24”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3232

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Documenti

Giustiziaper LeaMilano. La Corte d'Ap- pello è riunita a giudi-care gli assassini di Lea Garofalo, rapita e uccisa per essersi ri-bellata alla 'ndranghe-ta. In aula la giovanis-sima figlia, Denise, a testimoniare contro gli assassini di sua madre.In aula e fuori, le ra-gazze e i ragazzi del presidio di Libera: “Non lasciamo Denise sola” è il tam-tam che da due mesi gira in tut-te le scuole della città

di Valerio Berra e Sara Manisera

www.stampoantimafioso.it

ATTO I: LA CONFESSIONE

13 aprile. L'udienza è finita. Gli avvo-cati si stanno togliendo le toghe, i giudici cominciano ad alzarsi e il pubblico già si avvia verso l'uscita. Dalla gabbia degli imputati si solleva una voce tremante, dal forte accento calabrese che chiede ai giu-dici di poter leggere un foglio che tiene stretto tra le mani.

Sono le 14.30 di martedì 9 aprile e nel tribunale di Milano si sta per concludere la prima udienza del processo d'appello per il caso Lea Garofalo, la testimone di giustizia rapita e uccisa nel novembre 2009. A parlare è Carlo Cosco, ex com-pagno della donna, uomo di 'ndrangheta e condannato con altri cinque imputati all'ergastolo per il suo omicidio. La presi-dente della corte, Anna Conforti, invita tutti i presenti a sedersi. Davanti al microfono Cosco comincia la sua dichiar-azione spontanea. «Mi assumo la totale responsabilità per questo omicidio. Chie-do di poter vedere mia figlia che è sotto protezione. Da chi deve essere protetta? Io adoro mia figlia. Guai a chi la tocca. Io prego di avere un giorno il suo perdono».

Il clima di terrore

La figlia a cui si riferisce è Denise, classe 1991, una ragazza che ora vive sot-to protezione per aver testimoniato contro chi ha ucciso sua madre. Anche lei è in aula. Nascosta da un paravento per pro-teggere la sua identità, Denise ha già do-vuto raccontare nel primo processo il cli-ma di terrore in cui viveva con la madre e nelle prossime udienze dovrà testimoniareancora. Per sostenerla, per farle sapere che non è più sola, ci sono anche molti ra-gazzi di Libera, alcuni provenienti addirit-tura da Reggio Emilia. Per tutta l'udienza sono rimasti fra il pubblico, fianco a fian-co con i parenti degli imputati.

Questi sono stati gli ultimi atti di un'udienza iniziata verso le 9.30 con la lettura della sentenza del processo di pri-mo grado, che risale al marzo 2012. Dopoquesto atto formale, sono state avanzate lerichieste da parte degli avvocati. Il Procu-ratore Generale Marcello Tatangelo,

pubblico ministero alla corte d'Assise, ha richiesto che venga ascoltato come testimone Carmine Venturino. Si tratta di uno dei condannati in primo grado per il processo, che dal luglio 2012 ha cominciato a collaborare con la giustizia.

Immobilke nella cella

Venturino segue l'udienza dal carcere e la sua presenza è testimoniata da una tele-camera predisposta nella sua cella. L'in- quadratura è fissa, l'uomo immobile, più che un filmato sembra un fermo immagi-ne. Venturino chiede ai giudici: «Vorrei testimoniare in tribunale, non dalla mia cella. Se è possibile, se non ci sono rischi vorrei venire in prima persona a racconta-re quello che è successo». Grazie alle in-formazioni da lui fornite, la magistratura sta ora indagando su un altro uomo coin-volto nell'omicidio, Damian Jancaza, un polacco vicino alla famiglia Cosco.

Il Procuratore Generale richiede l'acqui-sizione dei sopralluoghi avvenuti dove si è consumato il delitto, fra cui il magazzi-no di Crivaro, dove sono stati trovati i re-sti della donna. L'avvocato di Denise Co-sco, Enza Rando ha invece chiesto l'acquisizione di due denunce, che prova-no il furto e l'incendio dell'auto di Lea Garofalo. Avvenuti nel 2002, questi due fatti insieme al tentativo di sequestro av-venuto a Campobasso nel 2009 evidenzia-no quanto il rapimento della donna sia stato ben meditato e preparato da molto tempo. Gli avvocati che difendono gli im-putati hanno invece proclamato ancora una volta la totale innocenza dei clienti.

Alla luce di queste informazioni, le di-chiarazioni fatte da Carlo Cosco al termi-ne del processo, appaiono tutt'altro che spontanee. Più che un reale pentimento sembra una strategia difensiva in due di-rezioni: tentare di assumersi totalmente la colpa del delitto, scagionando così i fra-telli Vito e Giuseppe; e rimarcare il pro-prio amore paterno – per una una ragazza di cui ha ucciso la madre - nel tentativo dimostrare un lato umano ai giudici e forse anche quella di far crollare la figlia, por-tandola a ritirare la sua fondamentale te-stimonianza.

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LA VERSIONE DI VENTURINO

20 aprile. Separato da un paravento bianco da coloro che «per tre anni sono stati – così come li ha definiti – la mia fa-miglia», Carmine Venturino, collabora-tore di giustizia dal 31 luglio 2012, si è trovato nel secondo giorno di udienza del processo di secondo grado per la morte di Lea Garofalo a dover confermare le dichiarazioni fatte nei mesi scorsi al pub-blico ministero e ad autoaccusarsi del concorso all’omicidio della madre della ragazza che lui stesso dice di amare.

Il 10 aprile dichiara dunque davanti allacorte d’Assise del Tribunale di Milano: «È una scelta d’amore per Denise perché deve sapere come sono andate le cose sull’omicidio di sua madre». Con queste parole Carmine Venturino, nato a Crotone nel 1987 da una famiglia di incensurati, inizia la ricostruzione di tutte le fasi di or-ganizzazione dell’omicidio di Lea Garofa-lo; dal progetto sventato a Campobasso nel maggio del 2009 fino al giorno, il 24 novembre 2009, in cui la donna viene ra-pita, torturata e uccisa. Strangolata con unnastro floreale delle tende dell’apparta-mento di Via Fioravanti, il cadavere mes-so in uno scatolone e alla fine trasportata in un garage. Lì l’ordine di Carlo Cosco: «La dovete carbonizzare».

“La dovete carbonizzare”

Poche parole quelle dell’ex compagno della donna ma soprattutto poche doman-de, afferma Venturino: «Non si fanno do-mande nella ‘ndrangheta, significherebbe poca serietà; l’unico commento di Carlo Cosco è stato ‘la bastarda se n’era accor-ta’». Il collaboratore poi prosegue il suo agghiacciante racconto sulla distruzione del cadavere di Lea Garofalo: «Apriamo lo scatolone e rovesciamo il corpo a testa in giù nella benzina; si intravedevano solole scarpe. Poi abbiamo buttato la benzina ma il cadavere bruciava lentamente, così mentre il corpo bruciava venivano spacca-te le ossa con un badile. Ciò che rimaneval’abbiamo messo in una borsa e coperto da una lamiera».

Continua poi la sua ricostruzione, rac-contando alla corte il recupero degli abiti sporchi di sangue di Carlo Cosco, nascostivicino al cimitero monumentale e recu-perati da Rosario Curcio perché “erano firmati”. Dettagli che lasciano intravederelo scenario ‘ndranghetista dentro il quale si è consumato il terribile omicidio: «Lui doveva ammazzare la compagna per le re-gole della ‘ndrangheta; io non sono un af-filiato, sono un contrasto onorato, ho pre-so parte a questo disegno criminoso per-ché facevo parte della famiglia, in quanto spacciavo per loro e quindi dovevo loro dei soldi; non potevo dire di no; a Paglia-relle non si muove una foglia che i Cosco non voglia».

“Le regole della 'ndrangheta”

E sulla dichiarazione spontanea rila-sciata da Carlo Cosco il 9 aprile, alla fine della prima udienza, Carmine Venturino dichiara: «Secondo Carlo Cosco si dovevadovevano uccidere anche Denise; nel pro-cesso di primo grado c’è stato un episodioin cui l’avvocato ha mostrato delle foto-grafie rimaste appoggiate sul banco della difesa e Carlo Cosco quando le ha viste hadetto, ‘ancora davanti a me la metti questaputtana’».

Carmine Venturino ha dovuto riporta-re tutto quello che ha detto anche nel cor-so della terza udienza, tenutasi venerdì 11 aprile. In questa giornata la corte ha ascol-tato anche altri due testimoni, che hanno definito meglio l’ambiente malavitoso in cui si è consumato l’omicidio di Lea.

L’udienza si è aperta con il contro esa-me da parte degli avvocati difensori, in primo luogo il legale diCarlo Cosco, Da-niele Sussman Steinberg. La maggior parte delle domande era mirata ad un uni-co tema: la ‘ndrangheta. Sussman ha cer-cato di far cadere le informazioni che Venturino aveva rilasciato riguardo a quell’ambiente malavitoso in cui operava Carlo Cosco. Incalzato dall’avvocato, Carmine Venturino dichiara le doti, i gradidi potere, che avevano i membri della fa-miglia Cosco. Giuseppe avrebbe il grado di sgarrista, Massimo di picciotto, Vito di camorrista e infine Carlo avrebbe la dote

di Santa, facendo così parte della Società Maggiore. Con questa dichiarazione vienequindi sollevata l’ipotesi che non solo l’imputato sia vicino alla ‘ndrangheta, ma che ne ricopra una posizione di rilievo neivertici. Certo davanti a lui ci sono altre doti, altri gradi, da raggiungere prima di arrivare in cima, ma comunque lui sareb-be un capo zona.

“Carlo Cosco era il capo”

Il collaboratore di giustizia ha quindi chiarito anche alcune dinamiche interne algruppo degli imputati. «Carlo Cosco era ilcapo. Rosario Curcio era uno dei suoi soldati. Suo fratello Giuseppe invece era quello più indipendente della famiglia, si occupa dello spaccio di droga». Per quan-to riguarda poi la sera dell’omicidio, Ven-turino afferma ancora l’estraneità dei fatti per Massimo Sabatino, mentre a Giusep-pe Cosco attribuisce solo un ruolo orga-nizzativo. «Carlo non è che abbia tutto questo cervello, a preparare tutto quanto, per me può essere stato solo Giuseppe». Sembra infine che Rosario Curcio fosse già sulla lista nera dei Cosco, colpevoli di averli insultati in pubblico.

«I Cosco avevano aperto un’impresa edile, la Olimpia srl, che si occupava di cartongesso. Avevano fatto diversi lavori in giro, per esempio a Desio o Buccina-sco. Nella ditta c’era anche Curcio, ma luinon aveva preso nemmeno un euro per tutte queste opere. Una sera allora, dopo che si era ubriacato, aveva insultato i Co-sco in mezzo al cortile, apertamente. Da quel momento Carlo ha sempre avuto l’idea di ucciderlo».

Venturino non ha risposto a tutte le do-mande, spesso si è riservato di non parlareperché le informazioni richieste erano coperte da segreto istruttorio. L’ipotesi piùprobabile è che dalle sue dichiarazioni sia iniziato un altro procedimento penale, cheriguarda invece l’usura, lo spaccio e tutte le altre attività criminali dei Cosco.

Il processo è continuato poi con la de-posizione di Giulio Buttarelli, tenente colonnello dei carabinieri, che ha riportatol’esito dei sopralluoghi fatti grazie alle in-dicazioni di Venturino.

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Ha confermato il ritrovamento di una scheda sim distrutta e poi nascosta in una grata e ha dichiarato anche che dal suo ap-partamento mancava la corda di una ten-da, quella usata per strangolare Lea.

Il coraggio di Denise

Ultima ad avvicinarsi al microfono è stata Denise. La ragazza si è mostrata su-bito decisa, disposta a rispondere a qual-siasi tipo di domanda le venisse rivolta. La sua testimonianza è stata breve, ha do-vuto solo riconoscere dei gioielli che por-tava la madre il giorno della sua scompar-sa. Questo piccolo esame è servito per identificare ancora il corpo di Lea Garofa-lo, dato che, per adesso, non si è ancora riusciti ad estrarre il suo Dna dai resti.

Prima di andarsene Denise ha però vo-luto chiarire una cosa. Era stato detto in-fatti che lei aveva partecipato alla festa organizzata da suo padre Carlo in occasio-ne del suo diciottesimo compleanno. Era il 4 dicembre del 2009, pochi giorni dopo la scomparsa di sua madre. «Io a quella festa non ci sono mai andata, non volevo neanche che la organizzasse. Mia madre era appena scomparsa. Io non avevo nien-te da festeggiare, forse gli altri sì».

Tramite il suo legale, Carlo Cosco ha infine chiesto di poter testimoniare in au- la. Dopo essersi sempre dichiarato inno- cente fino alla prima udienza del processodi secondo grado, il principale imputato per la morte di Lea Garofalo si siederà perla seconda volta davanti ai giudici.

CARLO COSCO: “NDRANGHETA?IO NON LE APPARTENGO”

25 aprile. La quarta udienza di secondo grado di giudizio per l’omicidio di Lea Garofalo si è aperta martedì 16 aprile 2013 con la testimonianza dei consulenti di medicina legale dell’università degli Studi di Milano. I periti hanno riportato alla Corte i risultati dei resti rinvenuti nel tombino indicato dal collaboratore di giu-stizia Carmine Venturino, tra via Cano-nica e Via Lomazzo; risultati che – nono-stante le difficoltà ad identificare la donna- «sono coerenti con i racconti del Ventu-rino», afferma il perito. Il cadavere, infat-ti, bruciato ad altissime temperature, i cui resti sono stati meccanicamente frammen-tati in seguito alla combustione, è stato identificato grazie alle protesi dentarie comparate ad una lastra trovata dalla fi-glia Denise tra gli oggetti della madre.

Dai dati scientifici dei consulenti tecnicisi è poi passati all’interrogatorio di Carlo Cosco da parte del suo avvocato. Una di-fesa, quella di Daniele Sussman Stein-berg, interamente costruita sull’amore di Carlo Cosco per la figlia Denise, sui diffi-cili anni passati separati quando lui era in carcere, sulle sue preoccupazioni derivate dalla decisione di Lea Garofalo, all’epoca ventunenne, di trasferirsi a Bergamo con la figlia di quattro anni. Solo paure e ansieper la figlia Denise dunque. Tanto che, perpunire la madre di sua figlia per un litigio con la suocera, Carlo Cosco ordina a Mas-simo Sabatino di recarsi a Campobasso –

dove all’epoca vivevano le donne – per picchiare Lea Garofalo.

«Non la volevo assolutamente uccidere,ma solo darle due schiaffi, per la storia di mia madre», chiosa l’imputato. Che rivelapoi i dettagli dell’omicidio, indicando nel-le ragioni che lo hanno portato a compierequel gesto solo un raptus di follia scaturitadalle minacce di Lea di non fargli vedere più la figlia. «Mi ha detto brutte parole; che non mi faceva vedere mia figlia e queste cose qua; allora l’ho presa e l’ho sbattuta a terra. Se non mi sono conse-gnato subito è stato per paura di perdere mia figlia; il mio errore è stato quello».

“Mai fatto parte di una 'ndrina”

Raptus di follia e non omicidio preme-ditato collegato alla cultura mafiosa. «E’ vero che fa parte di un’associazione cri-minale di stampo mafioso chiamata ‘ndrangheta?», domanda Steiner all’impu-tato, «No, assolutamente no, mai fatto parte di una ‘ndrina».

Con questo tentativo, la difesa ha così cercato di mostrare sotto una luce diversa,legata a dinamiche di amore tra padre e fi-glia, l’omicidio di Lea Garofalo. Nello stesso tempo viene screditata anche la de-posizione di Carmine Venturino, che non è fondamentale solo per questo processo, ma potrebbe far aprire anche altri procedi-menti penali, legati agli affari della fami-glia Cosco. Insomma, il solito delitto pas-sionale. La ‘ndrangheta? No, di quella nessuno fa parte.

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I PRESIDII DEGLI STUDENTI AL PROCESSO

Non lasciamo sola Denise!Il 15, 16 e 21 maggio avranno luogo altre udienze del processo. Gli studenti antimafiosi fanno appello a tutte le ragazze e i ragazzi di Milano perché vengano in massa a testimoniare la loro solidarietà con Lea e Denise.Per partecipare, contattare i responsabili dei presidii nelle varie giornate:- per mercoledì 15: Lucia [email protected] per giovedì 16: Arianna [email protected] per martedì 21: Giulio [email protected] ogni altra informazione: Presidio giovani di Libera [email protected] Redazione di Stampoantimafioso [email protected]

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Trapani

La miseria e le mazzette

Qua in periferia come al centro, la crisi non èarrivata per caso...

di Rino Giacalone

E’ il mondo moderno, ragazzi. Stiamocombattendo una guerra in Europa, manon tutti ce ne rendiamo conto. Non ci sono palazzi sfondati dalle bombe, ma ci sono intere classe sociali distrutte.

Chi sostiene che lo spread è stata una invenzione per far dimettere Berlusconi, chi che la crisi serve a fare il Governo dell’”inciucio”, pardon, “di servizio” come lo chiama il giovanissimo presiden-te del Consiglio Enrico Letta.

Come una guerra

E’ guerra invece, se è vero com'è vero che ci sono famiglie che non arrivano alla fine del mese, sono lavoratori che da un giorno all’altro si trovano senza lavoro, gente che in preda a sconforto uccide e si uccide. Non c’è bisogno di sentircelo dire che siamo ancora in fondo al tunnel, guar-dando a quelle che accade nelle periferie del Paese, a Trapani per esempio, dove unesercito di precari, anche donne e uomini ultracinquantenni, si trova a inseguire un'assunzione qualunque, dove ci sono operai che occupano palazzi delle istitu-zioni, e giovani che ogni giorno lasciano questa terra per cercare fortuna altrove, come negli anni bui del dopoguerra.

Certamente tutto questo non è avvenutoperché si sono mossi autonomamente i grandi eserciti dell’economia internazio-nale, ma perché c’è stata una politica, ci sono stati Governi che hanno colpito da dentro il Paese. A Roma come a Trapani. Le “mazzette” hanno mosso la politica. Ma nessuno, dei politici della casta, se lo vuol sentire dire.

La magistratura scopre appalti truccati, opere mal costruite, senatori - come il tra-panese pidiellino-berlusconiano Tonino D’Alì - che a leggere le intercettazioni avrebbe assicurato grandi appalti a questo e a quello, e nessuno - a cominciare dai presunti avversari - si è mostrato capace di dire qualcosa.. Non “qualcosa di sini-stra” alla Moretti, almeno qualcosa di buono per il Paese.

“Bisogna convivere con la mafia”

Restando a Trapani, di cose, malfatte, dicuis parlare ce ne sono parecchie. I risul-tati sono dinanzi agli occhi di tutti, il por-to che doveva essere volano di sviluppo ha visto la crisi dei grandi cantieri navali. La petroliera che doveva costituire esem-pio tangibile di rilancio resta non conse-gnata al committente, per mesi qui si sonoasserragliati gli operai che l’hanno co-struita, licenziati su due piedi.

La trasformazione del porto, fatta con fior di milioni (pubblici), è stata un'occa-sione di infiltrazione che la mafia non si èfatta sfuggire, e le conseguenze sono pale-si. Ci sono banchine finanziate con 40 milioni di euro, che dovevano essere pronte nel 2005 e invece oggi costituisco-no una grande opera incompiuta.

Nessuno si aspettava che quando tanti anni fa il ministro Pietro Lunardi auspica-va che lo Stato sapesse convivere con la mafia, a Trapani si facessero le prove ge-nerali di questo “inciucio”. E quando Lu-nardi venne a vedere i lavori in corso al porto, accompagnato dai “potenti”, il se-natore D’Alì, il sindaco Fazio, il prefetto Finazzo, praticamente fu come mettere il sigillo a quell’accordo.

Trapani, città del sale e del vento, c’è scritto sui cartelloni di benvenuto nei pun-ti d'ingresso della città. Trapani città si-lente, città della distensione, tanta distens-ione che forse nemmeno piacerebbe del tutto al presidente Napolitano che in que-sti giorni ha fatto tanto uso di questa paro-la, città dove la politica segue regie tra-sversali, dove non ci sono steccati se non quelli apparenti che servono solo a fare scena.

Corrotti da Cosa Nostra

Uno scenario dove sparisce, per compa-rire solo nelle poche ore che seguono un blitz o un'operazione di sequestro e confi-sca, la perdurante latitanza del sanguina-rio boss mafioso Matteo Messina Denaro, il campiere dei borghesi trapanesi, l’inter-locutore dei politici, il titolare di segreti inconfessabili sulla trattativa stato-mafia, il custode del papello di Totò Riina, lo stratega delle stragi, il colpevole delle bombe assassine di Firenze, Roma e Mila-no del 1993.

Attorno a Matteo Messina Denaro si sono scoperte collusioni, funzionari pub-blici corrotti da Cosa nostra che si arric-chiva grazie al sostegno di politici, si sonosequestrati e confiscati beni e casseforti. Etutto questo è stato circondato da silenzi, o da apprezzamenti ipocriti alla magistra-tura e alle forze dell’ordine operanti. Poi tutto è continuato come sempre, l’area grigia della mafia ha proseguito a pulsare.

Le condanne e le carriere

Eppure, per citare i fatti più recenti, ci sono stati consiglieri provinciali arrestati e condannati, Sacco e Pellerito, consiglie-ri comunali, come tale Giuseppe Ruggi-rello, che si è scoperto si faceva corrom-pere in cambio anche di incontri a luci rosse, sindaci come quello di Valderice Camillo Iovino rimasti in carica sebbene condannati per favoreggiamento ad un imprenditore mafioso, consiglieri condan-nati per corruzione che, riabilitati, hanno fatto carriera come l’attuale presidente delConsiglio comunale di Trapani Peppe Bianco.

Oggi a Trapani c’è una società che è co-stretta a inseguire i suoi bisogni che quan-do esauditi non suonano come un diritto riconosciuto ma come un favore concesso,e la malapolitica, come la mafia, con la mafia, ha bisogno per vivere di avere at-torno gente allo stremo che chiede e che garantisce consenso sociale. E’ da questi scenari che bisogna fuggire via.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3636

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Lombardia

Chiude la sede Diadella Malpensa

Era utile per l'Expo, dove diversi cantieri odorano di mafia, ma evidentemente la sicu-rezza e legalità dell'Expo non è stata giudicata una priorità

di Roberto Nicolini www.stampoantimafioso.it

La lotta alle infiltrazioni criminali in

Expo “sarà una delle nostre ossessioni.

Ovviamente lo faremo applicando le

leggi, ma anche mettendoci qualcosa di

più in termini di attenzione e

impegno”.

Diceva così il neo premier Enrico Letta

pochi giorni fa, lasciando ben sperare.

Ma a poche ore di distanza arriva un fat-

to per niente positivo: l’altro ieri il Nu-

cleo Informativo della Direzione Investi-

gativa Antimafia, dell’aeroporto di Mal-

pensa viene chiuso.

Stando a quanto riportato dal sindacato

dei lavoratori di polizia della Cgil le mo-

tivazioni sarebbero da legare ad esigenze

di ottimizzazione.

Pochi giorni fa, per voce del suo segre-

tario generale, Daniele Tissone, la Silp

Cgil aveva denunciato l’irresponsabilità

dell’atto poiché non rappresenta altro che

“un segnale decisamente negativo nella

lotta contro la criminalita’ organizzata”.

Lo stesso sgomento è arrivato anche

dal sindacato Siulp legato alla Cisl che,

inoltre, in un comunicato stampa ha ri-

chiamato una nota del direttore della

DIA, del 12 gennaio 2012, nella quale si

sosteneva l’importanza del mantenimen-

to del Nucleo Informativo proprio in vi-

sta di Expo.

Uno scenario preoccupante

I lavori di Expo procedono a rilento

mentre la criminalità avanza infiltrandosi

sempre più. Due cantieri sono nel mirino

della magistratura e un’azienda, la Ven-

tura Spa, è già stata estromessa dai lavori

di Expo perché avrebbe intrattenuto rap-

porti con la cosca mafiosa di Barcellona

Pozzo di Gotto, e altre imprese sono sot-

to inchiesta.

È in questo scenario che si inserisce la

chiusura della sede operativa della Dia

nell’aeroporto di Malpensa, luogo che,

vista la vicinanza alla zona dove sorgerà

Expo, sarà destinato a diventare uno dei

punti di snodo principali per l’evento.

Oltre a questa vicinanza, Malpensa è

situata nel varesotto, una zona non certo

immune dalla presenza della criminalità

organizzata e nella quale è stata dimo-

strata la presenza attiva di locali di

‘ndrangheta in due comuni limitrofi

all’aeroporto, Busto Arsizio e Lonate

Pozzolo, quest’ultimo adiacente all’aero-

porto.

Fatti, non parole

Se il governo Letta è davvero intenzio-

nato a mantenere alta l’attenzione sulle

infiltrazioni criminali in Expo, dia un se-

gnale concreto e operi affinche il Nucleo

Informativo sia ripristinato.

Appelli al Ministero degli Interni sono

stati presentati sia dal livello locale, in

maniera congiunta da Gabriele Ghezzi,

vice presidente della commissione sicu-

rezza del Comune di Milano e da David

Gentili, presidente della Commissione

Antimafia del Comune di Milano, sia a

livello nazionale, da Emanuele Fiano ca-

pogruppo Pd in commissione Affari Co-

stituzionali della Camera.

Il governo deve rispondere e agire per

tener fede alle parole pronunciate pochi

giorni fa dal Primo Ministro. Come ha

scritto Giulio Cavalli sul suo blog, non

bisogna passare “dalla mafia che non esi-

ste all’antimafia che chiude”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3737

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Cosa Nostra

Un “saggio” guidale cosche provincialipalermitanePartinico e San Giu-seppe Jato riunite in un unico mandamento,quello di Camporeale

di Aaron Pettinari www.antimafiaduemila.com

L'unione fa la forza. Devono aver pensato questo le famiglie mafiose di Partinico e San Giuseppe Jato, negli ul-timi anni colpite duramente da una se-rie di operazioni da parte delle forze dell'ordine.

L'ultima di queste, avvenuta lo scorso aprile, ha portato all'arresto di 37 persone permettendo di smantellare il nuovo “su-permandamento” di Camporeale, sorto dalla fusione dei due mandamenti storici. Le indagini, condotte dai Pm della Dda Francesco Del Bene, Sergio De Montis e Daniele Paci, hanno ben edivenziato l'opera di rifondazione da parte di Cosa Nostra per riorganizzare le proprie fila. L'uomo designato per il “rinnovamento” era Antonino Sciortino, 51enne allevatore di Camporeale, tornato in libertà nel 2011 dopo essere stato condannato per mafia e detenuto al carcere duro per dodici anni. Un tempo infinito in cui non ha mai rispo-sto ad una domanda postagli dai magistra-ti.

Una nomina non frutto dell'improvvisa-zione visti gli stetti legami avuti sia con i capi indscussi del mandamento di Partini-co, Leonardo e Vito Vitale, che con il ca-pomafia di Altofonte, Domenico Raccu-glia, arrestato il 15 novembre 2009.

Una volta libero, seppur limitato negli spostamenti a causa delle prescrizioni e delle limitazioni imposte dalla misura di prevenzione personale della Sorveglianza Speciale, si è subito adoperato per il rias-setto del territorio prendendo in mano le redini del comando, riservandosi un ruolo di supervisore, una sorta di “saggio” a cui erano tenuti a dar conti i “delegati” alla direzione sul territorio, Salvatore Mulé a San Giuseppe Jato e Giuseppe Speciale, genero di Vito Vitale, a Partinico.

Un riassetto necessario nel cuore della Sicilia Occidentale che riveste una grandeimportanza, soprattutto economica, all'interno di Cosa Nostra. E in cinque mesi il nuovo mandamento diventa realtà.

Il primo intervento è stato proprio quel-lo di dare una nuova collocazione alle fa-migie mafiose di Monreale ed Altofonte, transitate nel frattempo sotto Villagrazia eSanta Maria di Gesù di Palermo. Lo stes-so è valso per quelle di Montelepre e Gir-dinello, in quel periodo subordinate a San Giuseppe Jato rispetto all’assetto tradizio-nale nel mandamento di Partinico. A par-larne gli stessi boss in un'intercettazione ambientale in cui veniva evidenziato il ruolo apicale di Sciortino, appena pochi giorni dopo la scarcerazione. “I tempi cambiano” diceva Giuseppe Libranti, esponente della famiglia mafiosa di Mon-reale, al cugino Francesco Vassallo. E ri-ferito a Sciortino raccontava: “ha fatto tre ore sempre a discutere lui, no però... comediscutiamo noialtri!Non ti dico quando ha finito il discorso metteva l'accento, ma ti faceva capire che già là era finito e ne ini-ziava un'altro, finiva e ne iniziava un'altro, finiva e ne iniziava un altro!... Un cretino solo non poteva capire... tu vedi … quattro, cinque, quanti minchia erano, nessuno ha parlato!... (ride) no... passiamo al cambio, cominciava e finiva, cominciava un'altro e finiva... dalle dieci all'una e un quarto, l'una e venti che eranolà... l'una e mezza, una cosa di questa!”.

Per riorganizzarsi Cosa Nostra non ave-va lasciato nulla al caso ed anzi aveva puntato ancora una volta sulla forte tradi-zione, come la “punciuta”, con cui veni-vano affiliate le nuove reclute. Una mafia che, oltre a fare affari (in particolare estorsioni e controllo nella gestione dei confini delle terre), non aveva neanche paura di tornare ad uccidere. Tra gli ele-menti raccolti anche un caso di “lupara bianca” con tanto di frase registrata dalle microspie degli inquirenti (“Pigliami due, tre lacci. Due tre lacci puliti prendimi”). Esarebbero stati quelli i lacci utilizzatti per uccidere Giuseppe Billitterri, scomparsi mesi fa dopo che, è l'ipotesi degli inqui-renti, si era messo di traverso all'azione del nuovo capomafia.

Il rapporto mafia-politica

Affari, racket e appalti. Cosa nostra ri-parte e come sempre non manca il legamecon la politica. Tra gli arrestati spicca il nome del sindaco di Montelepre, il paese noto ai più per aver dato i natali al banditoSalvatore Giuliano, Giacomo Tinervia, ex Grande Sud di Micciché, alle ultime re-gionali siciliane candidato con Fli. L'accu-sa contro di lui è di estorsione e concus-sione e ad incastrarlo vi sarebbero le in-tercettazioni. Gli inquirenti, che seguiva-no i passi del capomafaia del paese Giu-seppe Lombardo, hanno registrato un dia-logo in cui il boss ha raccontato un episo-dio riguardante una mazzetta intascata dallo stesso sindaco. “Che è Giacomino? Quanto ti sei fottuto? - ricordava - Min-chia ma io… Quanto ti sei fottuto tu? Dice, ma che c’entra. Giacomino, allora non lo hai capito, quanto ti sei fottuto tu? Giusè, dice, che in tutto il lavoro mi può dare sei, settemila euro? Ah, lo hai messo a posto tu? Ma che c’entra, io poi te li fa-cevo avere. Giacomino, me li facevi avereche? Gli ho detto, duemila euro? Dice,

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3838

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“L'uomodi garanzia,

l'unicoa garantirei segreti”

quelli che restavano. Quelli che restava-no? Gli ho detto, ventimila euro voglio”. E dopo quell'incontro il sindaco avrebbe fatto da intermediario con l’imprenditore, per non scontentare Cosa nostra, che do-vette così pagare 20mila euro come “piz-zo”. Soldi che si erano aggiunti ai 7mila euro già intascati dal primo cittadino.

Ma i legami con la politica si sviluppa-no anche nel piccolo comune di Giardi-nello con i boss che festeggiano l'elezionea sindaco di Giovanni Geloso. “Vedi che noialtri abbiamo fatto un figurone. Il bottonoialtri lo abbiamo fatto, no loro” com-menta al telefono con la propria amante il capomafia Giuseppe Abbate. Un capoma-fia, sì, strafottente e sicuro di sé tanto da lasciare più volte il telefono aperto con la sua donna, mentre parlava con i propri so-dali o con alcuni politici locali.

Come quando il boss rimproverò il con-sigliere comunale Vito Donato perchè aveva discusso dello spostamento di un candidato da una lista all'altra senza inter-pellarlo: “Vedi che si muore Vitù, la poli-tica non si fa così, la politica noialtri la dobbiamo fare giusta, precisa”. In un altrodialogo con l'amante commentava poi la richiesta di aiuto di un altro candidato sin-daco, Marcello Bommarito, mentre il pri-mo cittadino uscente di Giardinello, Sal-vatore Polizzi, chiese aiuto per il figlio, candidato consigliere.

Nell'operazione è stata anche sequestra-ta una impresa edile, riconducibile a Luci-do Libranti, che ha permesso alla famigliadi far muovere grossi flussi economici, garantendo il monopolio degli appalti in tutto il territorio monrealese e l'assunzio-ne di personale indicato nelle altre impre-se. Come se non bastasse, secondo quantoemerso dalle intercettazioni, fra le azioni promosse dalla cosca ci sarebbero anche quattro distinti furti di bestiame.

Altro elemento importante raccolto du-rante le indagini è il legame sempre vivo con la mafia statuintense. Per ammettere

nei suoi ranghi un nuovo membro la fami-glia mafiosa Gambino di New York pre-tendeva garanzie scritte dalle cosche sici-liane. Così uno degli arrestati, Salvatore Lombardo, che da 20 anni viveva in Ame-rica, era tornato in Italia con una lettera dei Gambino che chiedevano per iscritto alle famiglie palermitane garanzie sulla qualità di uomo d'onore di Lombardo e la conferma che questi fosse stato messo fuori dalla “famiglia” di Montelepre, re-quisito minimo per poter esser affiliato formalmente negli Usa. Prima di rispon-dere a tale lettera, Lombardo si è visto co-stretto a recarsi da Salvatore Mulè, l'unicoche sul momento avrebbe potuto "certifi-care" tale autorizzazione.

Secondo il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo l'operazione “dimo-stra la perdurante presa di Cosa nostra sulle strutture politiche locali” e “confer-ma lo spiccatissimo interesse per le strut-ture comunali da cui può controllare gli appalti”. Inoltre l’indagine è “molto im-portante perché conferma la fortissima aspirazione di Cosa nostra ad accrescere la sua presa sul territorio, con l'intento deiboss di riorganizzare le strutture territoria-li con l’eliminazione di due mandamenti: San Giuseppe Jato e Partinico, per for-marne uno solo, Camporeale, cioè un Su-per Mandamento, questo per rafforzare le periferie rispetto al centro”.

E proprio quest'ultimo aspetto non è da sottovalutare. Sono gli stessi boss Salva-tore Mulé e Giuseppe Lo Voi, in un'inter-cettazione del marzo 2012, a sottolineare la forza della fusione: “Eh? Si… che que-sti sono passati qua… una potenza di que-sta maniera non c’è stata mai – dicono - Io non é che sono minchia che non ho ca-pito che Partinico è passato a San Giusep-pe!”. Segno di una nuova scalata al poteredella Provincia verso Palermo? Indagini sono in corso, anche se gli stessi inquiren-ti non smentiscono che vi siano stati con-tatti.

Messina-Denaro in libertà

L'indagine sul mandamento di Campo-reale, a quanto è dato sapere, non presentaparticolari elementi a indicare contatti tra il “saggio” Sciortino e il superlatitante tra-panese Matteo Messina Denaro. Ma appa-re improbabile che il boss di Castelvetra-no fosse all'oscuro di questa operazione diriorganizzazione. Le operazioni degli ulti-mi anni, “Perseo” nel 2008 ed “Araba Fe-nice” del 2011 (quella del summit mafiosoa Villa Pensabene nel mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale), hanno dimo-strato come siano le stesse famiglie paler-mitane a ricercare il parere della Provin-cie, in particolare proprio quella trapane-se. Messina Denaro non rappresenta solo “l'ultimo padrino” in libertà.

E' dei giorni scorsi la denuncia rivela-zione dell'attuale caposcorta di Di Matteo,il maresciallo Masi, che ha parlato di in-dagini bloccate o intralciate tra il 2001 e il2007 nel tentativo di catturare prima Ber-nardo Provenzano (arrestato nel 2006) e poi lo stesso boss di Castelvetrano.

E' lui l'uomo di garanzia, capace di uni-re davvero le famiglie siciliane, a cui ci si affida per un parere ma anche per avere la“benedizione” sull'operato. Arrestati uno dopo l'altro Riina, Bagarella, Provenzano ed i Lo Piccolo, è sul boss trapanese che gravita la “guida” di Cosa nostra. Matteo Messina Denaro, custode di segreti inim-maginabili, è pronto a far suonare nuova-mente il suono delle bombe nche ad ucci-dere i magistrati. L'avvertimento ricevuto da un “anonimo” da parte del pm della trattativa Nino Di Matteo, non lascia dub-bi: “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento diconfusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d'accordo”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3939

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Partinico

Cronistoria di fuoco

Fra Borgetto e Partini-co – tradizionali dominidi Cosa Nostra – trent' anni di guerra mafiosa per il controllo del ter-ritorio. La risposta della società civile

di Pino Maniaci e Salvo Ognibene

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Mentre Giuseppe Giambrone detto “U Stagnalisi” e Nicolò Salto da alcuni chiamato “Lazzaro” continuano a pas-seggiare per le vie del paese e le istitu-zioni portano con successo a termine l’operazione “Nuovo Mandamento” sgominando l’organizzazione criminale del nostro comprensorio in fase di costi-tuzione e riportando nella patrie galere alcuni presunti affiliati.

Noi di TeleJato continuiamo instanca-bilmente a chiedere agli imprenditori di Borgetto, Partinico ed altri paesi del com-prensorio di non cedere ai ricatti della ma-fia, di non pagare il pizzo e soprattutto di denunciare ogni forma di estorsione alle forze dell’ordine.

Agli imprenditori che continuano a pa-gare il pizzo, che partecipano negli appaltiseguendo il protocollo di legalità “Accor-do quadro Carlo Alberto Dalla Chiesa” stipulato il 12 luglio 2005 fra la Regione siciliana, il Ministero dell’interno, le Pre-fetture dell’Isola, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, l’INPS e l’INAIL, in cui si impegnano a collaborare con le

forze di polizia, denunciando ogni tentati-vo di estorsione, intimidazione o condi-zionamento di natura criminale) chiedia-mo di denunciare, chi denuncia non è solo, noi di Telejato, insieme alle Associa-zioni Antiracket ed Antiusura Liber Jato, Libero Futuro e Addio Pizzo, siamo sem-pre pronti ad accompagnare in Questura e dai Carabinieri chi denuncia un estorsore, noi siamo disposti anche a firmare insie-me alla vittime le denunce come accom-pagnatori solidali. Ai mafiosi diciamo chenon abbiamo paura, ai mafiosi chiediamo di pentirsi e raccontare tutto il loro passa-to alle istituzioni, in particolar modo di farluce sugli omicidi del passato, al fine di far ritrovare i cadaveri delle persone scomparse nel tempo con il metodo della lupara bianca .

Ma facciamo una cronistoria di tutti gli omicidi di mafia commessi tra Borgetto e Partinico a partire dal 1984.

Lupara bianca a Borgetto

Nel 1984 venne inghiottito dalla lupara bianca a Borgetto, Francesco Zuccarello, un giovane pregiudicato, di Borgetto, l’ultima persona che lo vide vivo, fu Vito Giambrone (fratello di Giuseppe Giam-brone detto “U Stagnatisi”), Zuccarello infatti sali sulla sua auto e nessuno ebbe più notizie di lui. Per quella vicenda Vito Giambrone venne indagato nell’ambito della prima maxi inchiesta sulla mafia, as-sieme ad altri quaranta indagati indiziati ma in corte d’Assisi venne assolto per in-sufficienza di prove. Successivamente il Pentito Giovanni Mazzola di Montelepre lo tirò nuovamente in ballo, ma Vito Giambrone evitò l’arresto perchè per i fat-ti narrati dal collaboratore di giustizia era già stato assolto in via definitiva.

Nel 1991 venne inghiottito dalla lupara bianca a Borgetto, Giuseppe Badalà di 34 anni, i giornali dell’epoca scrissero che

non era un mafioso ma frequentava perso-ne vicine all’organizzazione. Un giovane assessore che in pochi anni aveva accu-mulato un bel po’ di denaro, un’auto di lusso e appartamenti alle porte di Borget-to. La famiglia sporse denuncia dopo 48 ore. Il corpo non venne mai ritrovato.

Corpo mai ritrovato

Nel 1998 venne ucciso Salvatore Riina (omonimo del boss di Corleone), esecuto-ri materiali del delitto, furono Michele Seidita e Francesco Salvatore Pezzino, che sparò a Riina, con una calibro 38 che Giusi Vitale consegnò al killer insieme con una bicicletta che servì a Pezzino, ve-stito con una tuta da ciclista con tanto di guanti bucati, per recarsi verso l’ abitazio-ne della vittima che fu uccisa nel garage. «Chiesi a Pezzino e a Seidita – disse GiusiVitale se preferivano una 7.65 o una cali-bro 38. Pezzino mi rispose che gli avrebbefatto piacere usare una calibro 38 perchè la 7.65 poteva incepparsi». La pistola ven-ne procurata dalla stessa Vitale .

«La consegnai a Seidita, che poi la dettea Pezzino – dichiarò al processo Giusi Vi-tale ai Pm della Dda di Palermo, MaurizioDe Lucia e Francesco Del Bene – e an-dammo insieme nel mio garage dove re-cuperai anche la bicicletta. La pistola era nascosta in un soppalco tra la biancheria del mio bambino». Giusi Vitale all’epoca rese la testimonianza mentre era in colle-gamento il fratello, che l’ha ripudiò dopo essere venuto a conoscenza della sua col-laborazione con la magistratura.

«L’ordine di ucciderlo mi era stato dato da mio fratello durante un colloquio in carcere – disse la Vitale che scelse di pen-tirsi e collaborare per amore dei figli – Riina era vicino a Provenzano ed in paese (a Partinico) stava spargendo la voce che iVitale non li rappresentava più nessuno.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4040

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La cosa, mi disse Leonardo, andava fatta altrimenti quelli l’avrebbero fatta a noi».

“O lo fate o lo facciamo a voi”

Nel 1998 in via Crocifisso a Borgetto venne ucciso Vito Giambrone (fratello di Giuseppe Giambrone detto “U Stagna-lisi”) mentre usciva dalla carnezzeria Rii-na, lui non si accorse di nulla, i colpi gli furono sparati alla schiena ed il colpo di grazia alla tempia, il fratello Giuseppe erastato arrestato insieme a Vito Vitale qual-che mese prima, e gli inquirenti ipotizza-rono che Vito fu punito con la morte poi-ché voleva prendere il comando del paese in accordo con la famiglia dei Nania.

Nel 1999 Francesco Paolo Alduino (in contrasto con il clan Vitale-Fardazza) e Roberto Rossello persero la vita all’inter-no del forno che gestivano, Salvatore Ba-gliesi aveva pedinato le vittime avvisandoil gruppo di fuoco della loro posizione. A far fuoco con il fucile era stato Michele Sedita che successivamente divenne colla-boratore di Giustizia. Salvatore Bagliesi dopo anni di latitanza venne arrestato a Partinico in via delle Capre nel 2009.

Nel 2002 scomparve a Partinico, il mec-canico Antonino Vitale. Si pensò da subitoad un omicidio per lupara bianca” perché la sua auto venne ritrovata bruciata.

Vitale era stato arrestato per favoreggia-mento nel ’98 (ma successivamente sca-gionato) perché era l ‘affittuario di una casa di campagna dove erano stati trovati i due latitanti, Nicolò Salto, considerato il braccio destro del capomafia Vito Vitale, e Giuseppe Lo Bianco, ricercato per un omicidio. Il corpo non è stato mai ritrova-to.

Nel 2005, il 24 di giugno, venne ucciso Mario Rappa, Imprenditore ed affiliato alla famiglia dei Vitale, I killers gli tesero un agguato in aperta campagna, freddan-

dolo con diversi colpi di pistola.. Il corpo venne rinvenuto a Grisì, nel territorio di Monreale.

Nel 2005 venne ucciso a Partinico Mau-rizio Lo Iacono, figlio del capomafia Francesco in carcere da diverso tempo. Un solo colpo mortale giunse a bersaglio, solo dopo essere rimbalzato sulla portiera dell’auto da cui la vittima stava scenden-do. L’ucciso era sorvegliato speciale sotto processo per associazione mafiosa

Ex uomo di fiducia del capomafia Vito Vitale, dopo l’arresto di quest’ultimo si sarebbe alleato a Bernardo Provenzano. Gli inquirenti ipotizzarono che l’omicidio fu ordinato da Mimmo Raccuglia, alleato dei Vitale, che avrebbe così voluto dare un avvertimento a Provenzano e una ri-sposta all”uccisione di Mario Rappa, del clan Vitale, ucciso a giugno dello stesso anno.

Una fucilata al viso

Nel 2007, il 19 maggio, scomparve An-tonino Frisella, meccanico, alcuni giorni dopo in contrada Cicala a Partinico, un agricoltore ritrovò l’autovettura della vit-tima interamente bruciata. Il corpo non è mai stato ritrovato.

Nel 2007, Giuseppe Lo Baido, venne ucciso da alcuni sicari che lo attendevano nei pressi dell’abitazione di proprietà nel territorio Partinico e, dopo avergli aperto lo sportello dell’auto dallo stesso guidata, gli spararono diversi colpi di pistola a bruciapelo. Venne freddato con un colpo di fucile in viso.

Nel 2007, Antonino Giambrone, figlio di Vito Giambrone ucciso nel 1998, e ni-pote del odierno boss del paese Giuseppe Giambrone detto “U Stagnalisi” venne ammazzato all’interno dell’officina da lui gestita all’entrata di Borgetto, i killers a bordo di uno scooter con il volto coperto

da casco, fecero irruzione nell’officina sorprendendolo ed attingendolo con 11 colpi di pistola di cui 4 colpi al viso.

Nel 2008, due killers sorpresero i due fratelli Giuseppe e Gianpaolo Riina vicinoad un Bar, a bordo di motocicletta e con ilvolto coperto e gli spararono diversi colpi di pistola esplosi a bruciapelo, nonostante un disperato tentativo di fuga da parte di entrambe le vittime. Giuseppe e Gianpao-lo Riina erano figli di Salvatore Riina (omonimo del boss di Corleone Totò Rii-na) ucciso nel 1998 da Michele Sedita e Francesco Paolo Pezzino

Nel 2008. Alcuni killer Tentarono di uc-cidere Nicolò Salto, odierno boss del pae-se. I killers lo attesero nei pressi della pro-pria abitazione ubicata in Borgetto in con-trada Carrubbella e, dopo essere entrati dal piazzale antistante, gli spararono 4 colpi di pistola, di cui tre esplosi da un re-volver, ferendolo gravemente.

Ogniqualvolta viene effettuata una reta-ta dai carabinieri, giovani leve di mafia cercano di riorganizzarsi.

A loro noi di TeleJato vogliamo dire le seguenti parole: “Nun è strata chi spunta”.La mafia vi usa a suo piacimento e poi quando vi arrestano e buttano la chiave, nessuno vi pagherà l’avvocato, nessuno darà i soldi alle vostre famiglie per cam-pare, sarete abbandonati e le vostre fami-glie finiranno in mezzo ad una strada.

“Nun è strata chi spunta”

Oggi siamo sempre più convinti che la mafia è destinata a scomparire, la gente non ha più paura di denunciare, ed im-prenditori una volta collusi hanno saltato la barricata passando dall’illegalità alla le-galità iscrivendosi anche alle nascenti as-sociazioni antiracket.

Noi di TeleJato denunciamo e denunce-remo sempre ogni forma d’illegalità.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4141

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Sicilia

Bruciata l’auto al sindaco anti-discaricaDa anni Mario Foti, sindaco di Furnari nel messinese, è impegna-to contro gli abusi e gli effetti della vicina di-scarica di Mazzarrà Sant’Andrea e gli inte-ressi criminali legati al ciclo dei rifiuti

di Carmelo Catania

«Da mesi subisco delle minacce per lemie denunce contro gli affari delle co-sche che ruotano attorno alla discarica di Mazzarrà Sant’Andrea che si trova vicino al mio comune».

È la spiegazione che Mario Foti, avvo-cato, sindaco di Furnari nel messinese si dà per l’attentato incendiario che ha di-strutto la notte del 16 aprile l’autovettura che utilizzava per i suoi spostamenti.

Pochi giorni prima aveva avuto sentore di un possibile attentato ai suoi danni (da una “strana” conversazione tra due persone casualmente ascoltata da una sua parente) e per sicurezza, aveva fatto installare diverse telecamere attorno alla sua abitazione e chiesto un intervento an-che dei carabinieri per monitorare gli spo-stamenti sul territorio.

I responsabili – tre giovani del luogo poco più che ventenni – sono stati subito individuati dai carabinieri proprio grazie alle riprese delle telecamere e alle dichia-razioni del sindaco e dei suoi familiari.

Atto vandalico di balordi, o esecutori sumandato altrui? Ha colto nel segno Foti nel sostenere che sono state le sue denun-ce contro la discarica a scatenare la rap-presaglia di certi ambienti criminali?

C’entra la discarica?

Una battaglia – quella contro la discari-ca e i connessi impianti industriali per i trattamento dei rifiuti attualmente in co-struzione – che Mario Foti, porta avanti da tempo, ancora prima dell'elezione.

Grazie anche alle sue denunce, la pro-cura di Barcellona P.G. ha attivato diverseindagini sulla discarica riscontrando nu-merose anomalie gestionali e attualmente sono sotto processo l’attuale amministra-tore delegato di Tirrenoambiente Pino In-nocenti e l’ex presidente della stessa so-cietà Nello Giambò – condannato in pri-mo grado a 14 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Vi-vaio alla mafia delle discariche.

Al centro delle inchieste penali sono fi-

nite anche le strane modalità attraverso cui la Tirrenoambiente ha ottenuto le au-torizzazioni a costruire l'impianto di pro-duzione di energia elettrica dalla combu-stione di biogas – sequestrato dalla magi-stratura – e l'impianto fotovoltaico.

“Difendo la salute dei furnaresi”

Un’opposizione a tutto campo e in tutte le sedi istituzionali.

Lo scorso 7 dicembre due sentenze del Tar di Catania – accogliendo il ricorso di alcuni privati cittadini furnaresi – hanno annullato i due decreti regionali del 2009 con i quali si consentiva lʼampliamento della discarica, la realizzazione di un im-pianto di biostabilizzazione e quindi l’esercizio dell’attività di smaltimento ri-fiuti. Per i giudici amministrativi «Non è stato valutato, secondo le previsione di legge, lʼimpatto sulle popolazioni vicine dei cattivi odori. Non si è considerato che a pochi passi dalla discarica di Mazzarà esiste lʼabitato di Furnari».

I “vizi formali”

Il Cga di Palermo – in attesa di pronun-ciarsi sul merito – ha intanto accolto il ri-corso di Tirrenoambiente e sospeso l’immediata esecutività delle sentenze. Haprevalso la tesi, sostenuta dai legali di Tir-renoambiente, che deve prevalere l'inte-resse generale su eventuali vizi formali in quanto la discarica ha una funzione di pubblico servizio nelle emergenze igieni-co sanitarie di ben 78 comuni siciliani.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4242

SCHEDAMARIO FOTI

Mario Foti, 57 anni, avvocato, dal 1984 al 1997 ha ricoperto la carica di consigliere comunale e anche di Presidente del Civico consesso fur-narese. È stato eletto sindaco nelle elezioni amministrative indette antici-patamente nel novembre del 2011 dopo 18 mesi di commissariamento seguiti allo scioglimento per infiltrazione mafiosa degli organi ammini-strativi del Comune di Furnari nel dicembre del 2009. Tra il 2008 e il 2010, le indagini condotte dal Ros e dalla Dda di Messina – da cui sono scaturiti i procedimenti denominati “Vivaio” e “Torrente” – in particolare leintercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno dimostrato un pesante condizionamento del voto esercitato dal clan dei Mazzarroti sulle elezioni

amministrative nel Comune di Furnari nel maggio 2007, con una serie di appoggi elettorali che sarebbero stati messi in atto a favore del candida-to Salvatore Lopes e a danno di Foti, sconfitto per soli 17 voti. Lopes una volta eletto avrebbe poi ricambiato gli esponenti del clan dando ap-palti per lavori pubblici e concessioni per l’apertura di attività commercia-li. Il “patto” prevedeva la spartizione tra le imprese “amiche” delle sommeurgenze affidate dopo l’alluvione del dicembre 2008 nei Comuni di Mazzarrà Sant’Andrea e Furnari. L’operazione Torrente, portò nel 2010 all’arresto anche dell’ex sindaco furnarese Lopes, attualmente imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’omonimo processo in corso presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) dove Foti oltre ad essersi costituito parte civile è anche uno dei principali testi dell’accusa.

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Sicilia

Antimafia in una piccola città

Il sindaco si sta inoltre opponendo al progetto della stessa società (in fase di ap-provazione presso l’Arta) di ampliamento e completamento di un impianto di smalti-mento dei percolati da discarica, ritenuto pericoloso per la salute «considerato che in quel luogo, a meno di 300 metri, esiste una riserva idrica protetta, i pozzi del Co-mune di Furnari utilizzati per il consumo umano e a circa un chilometro il mare conporti e strutture turistiche ed alberghiere».

Un episodio a sé o una strategia?

È legato all’attività amministrativa del sindaco – sembra che gli inquirenti stiano indagando in tal senso – oppure c’è un filo rosso che lega l’attentato a Foti con gli altri gravissimi episodi che in poche settimane hanno colpito un maresciallo dei Carabinieri della Compagnia di Bar-cellona, il cronista della Gazzetta del Sud,Leonardo Orlando, l’imprenditore barcel-lonese Coppolino proprietario degli storiciMagazzini Lea, ed un altro sindaco della zona tirrenica, Alessandro Portaro primo cittadino di Castroreale? Un “colpo di coda” dei “Barcellonesi” i cui vertici sonostati decapitati dalle ultime operazioni an-timafia e dalle defezioni di alcuni dei principali esponenti del suo “gotha” che hanno deciso di collaborare con la giusti-zia?

Di certo è inquietante la recrudescenza degli atti criminali ed intimidatori indice che sono saltati gli equilibri nel barcello-nese.

Per l’associazione antimafie “Rita Atria” «l’attentato intimidatorio che ha di-strutto i “Magazzini Lea” di Barcellona certifica che siamo in “guerra”. Una guer-ra condotta a colpi di pistola, teste mozza-te di animali, auto bruciate e, ora, l’incen-dio di ben quattro piani di un magazzino storico. Una “guerra” dichiarata da una criminalità organizzata che, persi, almeno momentaneamente, i propri riferimenti storici, tenta di riprendersi il territorio conil terrore».

A Falcone, non lontanoda Furnari, intanto...

di Rossana Chillemi

«Micciché dice è stato un errore inti-tolare l'aeroporto di Palermo a Falconee Borsellino, perché chi arriva in Siciliasi ricorda di essere in terra di mafia… No! Si ricorda piuttosto di essere in ter-ra di antimafia!».

La manifestazione “Venti di legalità de-mocratica”, organizzata dall'associazione Un’altra storia a Falcone, piccolo centro della Messina tirrenica, è stata l’occasionedi parlare dell’antimafia che parte dalla società civile e non più chiusa dietro le mura dei tribunali, un’azione sociale con cui ogni cittadino può eliminare dalla pro-pria vita la minaccia del potere mafioso..

Le due facce della mafia

«La mafia ha due facce - dice Santo La-ganà dell’Associazione Rita Atria - Quel-la impresentabile dei vari boss che si sonoresi famosi per una serie di omicidi, e quella presentabile di coloro che frequen-tano i salotti borghesi. E' qui che occorre colpire: negli ambiti della politica, locale o nazionale, della finanza, nei settori che con le loro scelte condizionano la società. Se la mafia è questa, l'antimafia non può solo essere fatta di cortei, slogan o ricordi.È antimafia l’azione di denuncia verso i mafiosi, ma soprattutto verso i loro com-pari che non sono indicati come mafiosi dalla Giustizia».

Oggi la denuncia non è più una questio-ne di coraggio, ma forse d’intelligenza e ne è la prova l’esperienza di Giuseppe Scandurra, un imprenditore che ha reagitoe che ne ha trascinato con sé altri, tessen-do un percorso di reazione per chi li se-guirà. «La risposta dello Stato deve esseresicuramente migliorata, però è anche veroche c’è gente che di fronte all’uccisione diun genitore non collabora, ma di fronte alla confisca di un bene, al sequestro di un

bene decide di farlo. Anche noi dobbiamo collaborare affinché si cambi».

Cambiare è possibile, basta evitare la zona grigia, quella in cui tutti sono com-plici ma nessuno appare esserlo, affian-cando alla necessità di una politica traspa-rente quella di una collaborazione attiva della società, che deve avvenire attraversoun approccio culturale nuovo e la mobili-tazione di idee, penetrando nelle coscien-ze della gente, indignandosi di fronte a chifa affari con soggetti dalle posizioni di-scutibili, boicottando l'economia del ma-laffare. Azioni semplici ma efficaci se rese concrete da tutti e da ogni singolo cit-tadino.

Semplici azioni da buon cittadino

«Non sono obbligato ad entrare in quel negozio se so che il titolare è in odor di mafia, c è tanta altra scelta, basta prenderele distanze, scegliere da che parte stare».

Non si può in ogni caso chiudere gli oc-chi di fronte al passato; questo nuovo ven-to di speranza che si respira innegabil-mente, è sicuramente importante ma è la memoria, la capacità di ricordare che deveinsegnare – soprattutto ai giovani – che il ricordo non può essere il confine ultimo di ciò che è stato. Ricordare sempre, par-larne, senza paura, come la madre di Atti-lio Manca: «Parlare di mafia non era pos-sibile fino a qualche anno fa a Barcellona P.G. ma oggi, possiamo dire che le tre C, mi riferisco a Cassata, Canali e Cattafi, sono state estirpate e Barcellona ora è più libera».

Un grande insegnamento la nostra so-cietà ha da percepire, un antidoto a questacappa irrespirabile: il ricordo delle stragi, delle vittime cadute per mano mafiosa, la memoria che diventa maestra di una società malata e soggiogata dalle logiche dell’omertà e della connivenza, ma soprattutto il dovere che essa ha di risvegliarsi, d’ indignarsi, e di compiere l'abbraccio ad una legalità che parte dal basso, dalla coscienza dei cittadini, in un terra che per troppo tempo ha sopportato il fardello di essere conosciuta come terra di mafia.

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Periferie/ Istanbul

Le guerre”diverse”Parla un giovane cur-do, che non può dire il suo nome. Parla di vitemartoriate dalla violen-za. In nome di un razzi-smo – turchi contro curdi – che forse è solol'etichetta di un conflit-to fra emarginazione e potere. Come qui da noi, nei nostri ghetti

di Alessandro Romeo e Giovanni Caruso

www.associazionegapa.org

Le vie strette, i bambini che giocano in strada e gli anziani nei bar, le piccolebotteghe colorate, le strade un po spor-che animate da quella parte della socie-tà legata a lavori umili, alle scelte obbli-gate o precluse. Periferie.

Halil è un giovane universitario, ha vent'anni poco più e tante idee in testa, come ogni suo coetaneo ha il sogno e la volontà di cambiare se non il mondo al-meno il suo mondo. Halil vive la sua peri-feria due volte, in quanto circoscritta ad una zona vecchia e povera della città (ma piena di bellezza e di storia, come spesso accade anche nelle nostre “periferie del centro”), ed in quanto periferia dei diritti dei popoli. Perché Halil vive e studia ad Istanbul ed e’ di etnia curda, che in Tur-chia significa appartenere non solo una minoranza, ma ad una cultura in ostaggio.

“Spiegherò i problemi che il popolo Curdo ha qui in Turchia. Voglio parlare prima di tutto del passato e di come siamoarrivati a questa situazione. Quando guar-diamo indietro vediamo i Curdi sotto una continua oppressione. La loro identità nonriconosciuta”.

Ci vuole parlare Halil della sua gente, quando diciamo di essere italiani, di essere interessati alle vicende curde è lui achiederci di essere di ascoltato, vuole rilasciare un’intervista “politica”.

“Il Governo cominciò una politica fascista discriminatoria. A causa di ciò molti giovani Curdi furono imprigionati e torturati. Questo diventò motivo per moltidi spostarsi sulle montagne in gruppi e da lì combattere per mettere fine a questa tortura ed oppressione verso il proprio po-polo. Cominciarono un offesa militare no-minandosi partito PKK "Partiya Karkeren Kurdistan”, che in Turco significa Partito dei lavoratori Curdi”.

Un'intervista “politica”

Come hai detto molti giovani hanno deci-

so di nascondersi sulle montagne del Kurdi-

stan per iniziare una resistenza partigiana.

Quali ideali hanno portato ad una decisione

cosi’ difficile?

“Il PKK cominciò l'offesa militare per liberare il proprio popolo, per la propria identità. Molte persone persero la vita. Curdi e Turchi morirono in questa guerra. Ma essendo una guerra, le persone muoio-no da entrambe le parti. Il motivo di tutto questo è che i fascisti Turchi non voglionoaccettare e riconoscere il popolo Curdo. Ma i Curdi arrivano dalla Mesopotamia, dalla loro terra. I Turchi vi hanno allarga-to i loro confini e colonizzato i Curdi che non accettano questa sottomissione e de-cidono di resistergli”.

Credi che oggi, dopo tutte le morti da en-

trambe le parti, abbia ancora senso una resi-

stenza militare?

“L'offesa militare non ha perso la sua importanza anche se i Curdi cercano di ot-tenere i loro diritti legalmente, democrati-camente, lavorando anche diplomatica-mente. Come fanno? Cominciarono in Turchia con il loro partito politico, prima HADEP, poi DTP ed oggi BDP. HADEP eDTP furono chiusi a causa delle oppres-sioni fasciste turche. Molte persone furo-no imprigionate, torturate ed alcune perse-ro la vita. Ma nonostante tutto, oggi i Cur-di sono più organizzati ed ancora conti-nuano a combattere per i loro diritti in maniera diplomatica”.

Cosa impedisce allora di trovare un punto

di incontro, di pace, tra il popolo curdo e

quello turco?

“In migliaia hanno perso la vita. Per questo motivo, Curdi e Turchi oggi vo-gliono la pace. Ma alcuni non vogliono che questa pace avvenga. Forse è l'Iran o la Syria. Tre donne attiviste del PKK sonostate uccise [il 10 Gennaio nei locali dell’Istituto curdo di Parigi], un massacro.Può essere stata la mano Turca, o Iranianao Siriana.

I Curdi oggi sono molti e organizzati e vivendo anche in questi paesi c'è la paura che possano muoversi bene anche lì. Può essere che il massacro delle tre attiviste sia stato fatto per prevenire questa pace. Noi Curdi la vogliamo la pace, e credo che anche i Turchi la vogliono. Sono sicu-ro che arriverà presto e che vivremo paci-ficamente insieme”.

“Un giorno vivremo in pace insieme”

La libertà di un popolo passa sicuramente

dalla sua capacita’ di avere dei figli istruiti.

Tu hai deciso di non limitarti al liceo e iscri-

verti all’università’.

“Essere uno studente è difficile perché studiare è possibile solo se hai soldi. Ciò crea ingiustizie e disuguaglianze. Una fa-miglia che lavora regolarmente non può educare i suoi figli come vorrebbe.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4444

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“Territori militarmente occupati:il Kurdistan o un quartiere siciliano.

Da un esercito in divisaoppure da un potere mafioso”

Quindi alcuni di loro interrompono lo studio per il lavoro, mentre quelli che continuano a studiare non riescono ad ot-tenere a scuola i loro diritti. I bambini di famiglia burjuva possono frequentare qualsiasi università vogliano, anche se non studiano, perché queste sono private. Gli studenti devono indossare un solo tipodi uniforme. Non siamo contro le unifor-mi ma vengono imposte come se fossero militari. In alcune università c'è la polizia che non vuole che gli studenti abbiano una propria visione ideologica e quindi li opprimono”.

Polizia nelle università

E della condizione delle donne curde cosa

puoi dirci?

“In Turchia le donne Turche e Curde hanno gli stessi problemi. Ma con una leggera differenza per le donne Curde. I loro figli sono stati perseguitati e le "Ma-dri del Sabato", come le chiamiamo noi, sono madri che cercano i loro figli disper-si. In linea generale l'uomo predomina sulla donna. Accade che le donne non possano camminare da sole in strada e chegli uomini irrompono in ogni parte della vita di una donna, limitandone i diritti”.

In Turchia parlare della situazione curda

può essere pericoloso, perciò hai chiesto di

non essere ripreso per timore di rappresa-

glie della polizia. Hai voluto invece essere

rappresentato da un quadro con un fiore.

“Il colore del fiore è rosso, verde e gial-lo. Fatto artigianalmente da un amico in prigione, i colori simboleggiano la ban-diera Curda. Noi lo guardiamo come un fiore che si apre alla libertà”.

Nella civileItalia, invece...

Via delle Salette, quartiere di San Cri-stoforo, Catania. Un vento primaverile spazza le strade e svuota i cassonetti stra-colmi per via dello sciopero dei netturbi-ni, accanto a questi un uomo e una donna anziani litigano: “stu cassunettu è do me!”l’altro risponde: “No, arrivai prima iù!”

Si, litigano perché la miseria e la pover-tà li ha portati a questo punto, sono armatidi due bastoni con uncini e con questi ro-vistano i cassonetti, chissà o per cercare qualcosa da poter vendere, o semplice-mente per cercare qualcosa da mangiare.

Certo è strano che a Catania in Sicilia, in Italia, fra gli otto paesi più ricchi del mondo si possa assistere a queste scene.

“Mi chiamo Cettina, sono già una don-na matura, quasi anziana e da tanti anni lavoro presso un’organizzazione religiosa,come donna delle pulizie, e dai preti non me l’aspettavo che mi sfruttassero! Infatti è da diversi mesi che mi danno sempre meno lavoro e nelle ore che mi rimangonomi fanno lavorare anche di più.

Ho paura, ogni settimana mi dicono di ridurre i giorni di lavoro, ho paura che mi vogliano licenziare, cosa farò? Come an-drò avanti con un figlio che non riesce a trovare lavoro?”

“Non riesce a trovare lavoro”

“Ho sedici anni e mi chiamo F. ho tanta voglia di fare un regalo alla mia ragazza, ho tentato di trovare un lavoro e l’ho tro-vato, mi danno venti euro alla settimana per scaricare i camion pieni di confezioni d’acqua, mi ammazzo di fatica e a causa di questo non vado più a scuola, anche perché la scuola non mi piace più, non mi dà più niente!

Mi hanno proposto di “iri a’ spacciari, mi dissuru ca si vadagna bonu, a’ cosa m’interessa, accussì ci possu fari u rialu a’me carusa, i me cumpagni mi dissuru di stari attentu, picchi a galera è brutta e su dicuni iddi ca’ l’hannu pruvatu, fossi è veru!”

Questi frammenti di storia vissute nel quartiere di San Cristoforo a prima vista possono non essere paragonate alla storia di Halil ragazzo curdo che vive in Tur-chia? Certo a San Cristoforo non c’è la guerra, almeno quella guerreggiata, ma esiste la guerra “a bassa intensità”.

Una guerra “a bassa intensità”

L’esercito turco che opprime con le armi il popolo curdo potrebbe essere la mano armata delle mafie o la mala politi-ca che ti toglie il diritto di avere diritti, to-gliendoti le scuole senza possibilità di fu-turo, che ti compra un voto “per un pacco di pasta”.

Un potere politico e mafioso che specu-lando sulla povertà dei quartieri fa in modo di organizzare “un’economia ma-fiosa” che costringe intere famiglie a ven-dere droga. Famiglie che durante la notte subiscono le irruzioni armate dentro casa da parte delle forze dell’ordine che cerca-no gli stupefacenti, unica risorsa per gua-dagnare quel tanto per vivere la giornata, perché quelli che guadagnano veramente sono i pusher e le cosche mafiose del quartiere.

Certo, diversi anni fa anche qui c’era una guerra guerreggiata e i morti ammaz-zati erano a decine sui selciati delle stradedi San Cristoforo, adesso non si spara più per uccidere ma la guerra esiste ancora, così come non esiste la libertà di ogni abi-tante del quartiere di scegliere la propria vita, la propria onestà, di essere conside-rati uomini e donne in un Paese che si dice democratico e si chiama Italia.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4545

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Periferie/ Catania

Il cielo è più grandequi a LibrinoGhetti dove i bambini giocano al buio, fra i rifiuti, fra carcasse d'automobili e odore di liquami... Non è il Terzo mondo, ma la faccia nascosta delle nostre città

di Stefania Di Filippo www.associazionegapa.org

“Sei della televisione?’ Con questa

domanda mi sorprendono dei ragazzi-

ni alti poco più di un metro. Devo pro-

prio dare l’impressione di un corpo

estraneo al contesto. Il palazzo visto da

giù appare una massa inerte, sventra-

ta. Un cadavere con gli occhi cavi.

I liquami fognari occupano interamen-

te la superficie del piano terra, colano giù

dal soffitto, per i gradini delle scale, ren-

dono il passaggio impraticabile, l’aria in-

salubre.

Rifiuti d'ogni genere

Rispondo che... no, non sono della te-

levisione. Mi infilo dentro un buco prati-

cato nel muro e mi fanno da guida nel

buio di questo mondo sotterraneo, che è

per loro un grande parco giochi.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4646

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“Nonvivonoqui. Ci

giocanoe basta”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4747

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I garage sono pieni di rifiuti di ogni ge-

nere. Brandelli di materassi, carcasse di

elettrodomestici, di automobili bruciate.

Ogni oggetto sembra essere stato cata-

pultato qui all’interno con l’unico scopo

di depositarsi al suolo e iniziare lenta-

mente a decomporsi. Natura morta con

caos.

Non puoi dire a nessuno che vivi qui

No, loro non vivono qui, ci giocano e

basta. Non lo puoi dire a nessuno che

abiti dentro al palazzo. E’ un’onta che

persino un bambino capisce fin troppo

bene. Sarà passata un’ora, due, ho perso

ogni riferimento con l’esterno, nemmeno

i rumori trapassano più il cemento. Fino

a quando sono di nuovo fuori, alla luce.

Sembra più grande il cielo, qui a

Librino..

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4848

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I Sicilia iI Sicilianig v nigiovani p – pag. 49

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5050

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 51 – pag. 51

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puoi richiedere i volumi su www.mamma.am/libri

KaNJaNo & car o gubi osag autor d scaricabi erokuro aKu mP

nicola. r–esistenza precaria

the Holy Bileno alla guerra,no al nucleare

La mia terra la difendo

Un libro per scoprire che non esiste un “nucleare civile” senza applicazio-

ni militari derivate, non esiste “energia atomica pulita” senza rischi inaccettabili, non esistono “armi sicure” all’uranio impoveri-to senza vittime di guerra.Il figlio di una sopravvissuta alle radiazioni di Nagasaki ha tra-sformato in una appassionata denuncia a fumetti la cronaca degli incidenti alle centrali nucle-ari giapponesi e statunitensi, che sono stati nascosti da un velo di silenzio. Nana Kobato, studentessa delle medie, si affaccia sul “lato oscuro del nucleare”, e scopre i pericoli delle centrali atomiche, gli effetti dei proiettili all’uranio impoveri-to, le devastazioni ambientali che uccidono adulti e bambini. In un racconto a fumetti chiaro e docu-mentato, Rokuro haku descrive gli effetti delle guerre moderne sull’uomo e sull’ambiente, e met-te a nudo i poteri occulti che so-stengono l’energia nucleare.

www.mamma.am/nonuke

ISBN 9788897194002

Il libro degli autori di Scarica-Bile, il “pdf satirico di cattivo gusto” che ha ridefinito su

internet la soglia dell’indecenza con 32 numeri di puro genio e follia, centinaia di pagine maledu-cate, migliaia di lettori incoscienti.Da oggi lo spirito del magazine più scorretto d’Italia rivive nel li-bro “The holy Bile”, una raccolta differenziata di scritti e fumetti inediti su qualunquismo, castità, religione e sondini terapeutici.Un concentrato purissimo di anticlericalismo, blasfemia, co-profagia, incesto, morte, pedofilia, prostituzione, sessismo, sodomia, violenza e volgarità gratuite. In breve, uno specchio perfetto dell’Italia moderna, per chi non ha paura di guardare in faccia la realtà con le lenti deformanti del-la satira.Testi e disegni di Daniele Fabbri, Pietro Errante, Jonathan Grass, Tabagista, MelissaP2, Vladimir Ste-panovic Bakunin, Eddie Settem-brini, Blicero, G., Ste, Perrotta, Marco Tonus, Mario Gaudio, Fla-viano Armentaro, Maurizio Bo-scarol, Mario Natangelo, Alessio Spataro, Andy Ventura.

www.mamma.am/bile

ISBN 9788897194026

Certi fumetti non possono farli i radical chic col culo parato o gli intellettuali

da salotto. Ci voleva un lavora-tore emigrato come Marco “MP” Pinna, che si è bruciato due set-timane di ferie per partorire la saga di Nicola, l’antieroe in tuta blu del terzo millennio. Un mondo precario dove Nicola lotta per salvare la sua fabbrica dalla chiusura, e scopre i trucchi più loschi con cui i padroni frega-no le classi medio–basse.Più spericolato di Batman, più sfigato di Fantozzi, più ribelle di Spartacus e più solo di Ulisse: Nicola è il simbolo della nostra voglia di resistere alle ingiustizie. Contro di lui un padrone senza scrupoli e una famiglia senza ver-gogna, incarognita dalle mode più devastanti del momento.Uno spietato “reality show” a fumetti, un micromanuale di eco-nomia finanziaria, un prontuario di autodifesa sindacale ma so-prattutto lo sfogo di satira rab-biosa di un “artista–operaio”.Ottanta pagine di sopravvivenza proletaria: astenersi perditempo.

www.mamma.am/nicola

ISBN 9788897194019

La storia di Giuseppe Gatì, 22 anni, pastore per vocazione, produttore di formaggi per

mestiere, attivista antimafia per passione.Il suo volto è salito agli onori delle cronache nel dicembre 2008 per la contestazione al “pregiudicato Vittorio Sgarbi”, che ha scosso la città di Agrigento al grido di “Viva Caselli! Viva il pool antimafia!”Con l’aiuto degli amici e dei fa-miliari di Giuseppe, Gubi e Kanja-no hanno scoperto gli scritti, le esperienze e il grande amore per la terra di Sicilia di questo ragazzo, che ha lasciato una ere-dità culturale preziosa prima di morire a 22 anni per un banale incidente sul lavoro.Un racconto a fumetti che non cede alle tentazioni del sentimen-talismo e della commemorazione, per restituire al lettore tutta la bel-lezza di una intensa storia di vita.

www.mamma.am/giuseppe

ISBN 9788897194033

I Sicili iI Sicilianigiov nigiovani p – pag. 52

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S C A F F A L ES C A F F A L E

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5353

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Periferie

Munnizzae omertà

Pochi teppisti e molti che fanno finta di nien-te. E la diossina dilaga

di Domenico Pisciotta www.associazionegapa.org

Angolo via del Principe – via Mulino

a Vento, è notte a San Cristoforo,

quartiere del centro storico di Catania.

Un uomo si agita, nervosamente, in

mezzo alla strada. La sua voce risuona

tra le case mentre chiede, telefonica-

mente, l’intervento dei pompieri. Alle

sue spalle un intero angolo di strada,

ricoperto da spazzatura, sta prenden-

do fuoco.

Altri roghi sono accesi in via Cordai e

in via Plebiscito. Colonne di fumo si al-

zano un po’ ovunque.

Sono, ormai, giorni che gli operatori

addetti alla raccolta sono in sciopero.

Cumuli di rifiuti ingombrano le vie, gli

incroci e i marciapiedi, rendendo diffi-

coltosa la circolazione stradale e pedona-

le. Mi fermo con la macchina vicino a un

gruppo di persone e li informo che vicino

le loro abitazioni stanno prendendo fuo-

co alcuni cassonetti.

Loro allungano lo sguardo nella dire-

zione da me indicata, e poi tornano a

chiacchierare come

facevano prima che li

disturbassi.

Nessuna preoccu-

pazione segna i loro

visi. Non so se si trat-

ta di disinteresse o

complicità verso chi

ha acceso i roghi; ad

ogni modo, mi allon-

tano stupito dal loro

disinteresse, per

qualcosa che sta ac-

cadendo a dieci metri

da loro, per qualcosa

che produce diossina

che può nuocere a loro e alle loro

famiglie.

Mi allontano, mentre risuonano le sire-

ne dei vigili del fuoco e mentre un palo

della linea telefonica, già gravemente de-

vastato da precedenti incendi, subisce il

colpo di grazia, lasciando l’intero isolato

senza collegamenti telefonici per qualche

settimana.

Giorni dopo, mentre, ancora, un odore

acre si alza dai cumuli di immondizia,

andata a fuoco, una signora, dal primo

piano della sua abitazione, mi ferma e mi

chiede di gettare, nell’unico cassonetto

rimasto indenne, una bottiglia di plastica

vuota.

Una strana sensazione sulle spalle

Compiuta l’operazione mi fermo a par-

lare con lei e, a fine discussione, le dico:

“Certo signora che qualcuno, sicurament-

e, avrà dato fuoco ai cassonetti, lei che

dice?”, la signora allarga le braccia e,

successivamente, si porta l’indice della

mano destra davanti al naso. Me ne vado

con una strana sensazione sulle

spalle.Munnizza e omertà.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5454

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Sicilia

L’emergenza rifiuti, l’incubo Tares e la miopia della politicaPalermo, Caltanisset-ta, Messina. Sono solole ultime, in ordine di tempo, "emergenze" ri-fiuti che da più di die-ci anni tormentano l'Isola del Sole in un Mare di Luce.

di Carmelo Catania

Quotidianamente i telegiornali, an-

che nazionali, ci riversano addosso im-

magini di chilometri e chilometri di

munnizza accatastata per le strade.

Ci sono stati anche amministratori

pubblici che hanno addirittura invocato

lo stato di calamità, come se la smisurata

produzione di rifiuti degli isolani sia pa-

ragonabile ad un terremoto o ad un allu-

vione.

Non scherziamo. La disastrosa situa-

zione in cui ci troviamo non è frutto di

eventi imprevedibili e incontrollabili

dall'uomo, anzi è proprio l'opposto. È

proprio colpa nostra!

Siamo noi con il nostro ormai non più

sostenibile modello di sviluppo e consu-

mo a produrre troppi rifiuti e troppo

velocemente per la capacità finanziaria e

gestionale degli enti locali.

È stata la miopia dimostrata dalla poli-

tica, a tutti i livelli, che ha generato lo

stato attuale di emergenza finanziaria de-

gli enti.

Ce lo dice l’Europa

Qualche esempio? A Messina, capo-

luogo e provincia producono circa

350.000 tonnellate all’anno di rifiuti, il

cui costo di conferimento in discarica è

di decine di milioni di euro. Sembrereb-

be dunque ovvio che per affrontare

l’emergenza, sanitaria e finanziaria, i

principali e più urgenti provvedimenti

dovrebbero essere tesi ad una riduzione

dei quantitativi che vengono conferiti in

discarica.

In verità il Decreto Legislativo n. 205

del 3/12/2010, che ha recepito la Diretti-

va Europea 2008/98/CE “La società del

Riciclaggio”, stabilisce che prima del

conferimento in discarica si debbano at-

tuare in ordine di priorità a) la prevenzio-

ne dei rifiuti; b) il riuso ed il recupero dei

materiali post-consumo; c) il riciclo; d)

l’eventuale recupero energetico e in ulti-

mo, per quel poco che resta, e) lo smalti-

mento. Tutti gli enti locali che non opera-

no secondo questa gerarchia sono dun-

que fuorilegge ed esposti sanzioni euro-

pee, con ulteriore aggravio dei costi per i

contribuenti.

Le soluzioni pratiche ci sono, come

quella portata avanti dalla Rete nazionale

Rifiuti Zero – che in questi mesi sta rac-

cogliendo le firme per una legge di ini-

ziativa popolare – improntata al massimo

recupero dei materiali post-consumo.

Sembrerebbe l’uovo di Colombo e visto

che la raccolta differenziata in Sicilia è

ferma a pochi punti percentuale, bisogne-

rebbe chiedersi quali interessi economici

la riduzione dei rifiuti lede.

La Tares peggiorerà la situazione

Intanto l’emergenza finanziaria sarà ul-

teriormente aggravata dall'entrata in vi-

gore, ancora non si sa quando, ma è solo

questione di pochi mesi, della Tares, la

nuova imposta comunale che accorpa in

sé tutta una serie di servizi (strade, illu-

minazione pubblica) tra i quali la gestio-

ne del servizio di igiene urbana.

Un’imposta che per come è stata, mala-

mente, concepita porterà al raddoppio

dell’imposizione e, conseguentemente,

all’evasione. Essendo basata sulla metra-

tura degli immobili invece che sulla pro-

duzione effettiva dei rifiuti, non incenti-

verà il cittadino a tenere separati in casa i

rifiuti e meno che mai a servirsi delle

isole ecologiche, visto che pagherà quan-

to chi, meno responsabilmente, produce

montagne di spazzatura. Una soluzione

insostenibile che non incentiva la ridu-

zione dei rifiuti e quindi non risolverà

l’emergenza.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5555

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Modica/ Prestiti a tassi minimi per truffare le aziende

Attenti al miracolotarocco...Profonda crisi, profon-do rosso: aziende in panne davanti al mi-raggio di un prestito a tassi minimi. Ma la truffa è dietro l'angolo

di Francesco Ragusa www.ilclandestino.info

Una congiuntura finanziaria, dive-nuta praticamente uno status quo, continua a mettere in ginocchio le pic-cole e medie imprese. Una crisi cronicadi liquidità per le aziende che innesca un circolo vizioso paradossalmente le-tale: fidi bancari esauriti, serie di car-telle Serit / Equitalia come incubi, RIDrispediti al mittente, nuovi ordini bloc-cati, Enel sul piede di guerra.

É a questo punto che prende il via una faticosa ed estenuante, ma allo stessotempo vitale, ricerca di denaro. Corsa a ostacoli che può contare su metodi più o meno legali per raggiungere l'obiettivo. Primo e naturale approdo è rappresentatodagli istituti bancari, assai restii negli ul-timi tempi a concedere credito.

Ragioni più o meno valide conducono al rifiuto della richiesta di prestito. Un “no” pesante che porta l'imprenditore a rivolgersi ad “amici” in grado di prestaredenaro con tassi di interessi a livelli di usura.

Ma non basta: c'è chi propone vie d'uscita miracolose, a mò di specchietti per allodole, nel tentativo di trarre in “trappola” soggetti già duramente colpiti a livello economico. É il caso di S. J., truffatore francese che ha scelto Modica e la provincia di Ragu-sa come terreno di battaglia..

Tutto parte da un messaggio, assai allet-tante, inserito strategicamente su diversi siti di annunci: si offrono prestiti, fino al milione di euro, con interessi al 2%, rim-borsabili in un lasso di tempo a scelta.

Fino a un milione, al 2% di interesse

Roba da far sbrilluccicare gli occhi ad un imprenditore in panne che si ritro-verebbe davanti ad una manna dal cielo in versione 2.0, un'iniezione di liquidità con tassi praticamente nulli rispetto a quelli proposti dalle banche (nell'ordine dell'8%). Basta mandare una mail, e chiedere maggiori informazioni.

Alla richiesta la controparte, con il nome italianizzato S. G., risponde in una lingua evidentemente ricavata da una tra-duzione fatta con Google Translate. Si ri-badisce la disponibilità del prestito e si invita ad inviare una serie di dati, alcuni sensibili: nome, cognome, città, carta d'identità, iban su cui ricevere la somma richiesta. E poi reddito mensile, durata del prestito, occupazione. Si chiede qualche delucidazione, le risposte possono sembrare sensate.

Vengono inviati i parametri del credito:importo richiesto 100.000 euro rimborsa-to in sessanta mesi. Rate mensili di 1.752,78 euro, la prima nel Giugno 2013.Il totale rimborsato, dopo i cinque anni, sarà di 105.166,56 euro, interessi vera-mente minimi. Non si chiede nessuna ga-ranzia, nessuna prova dei dati poco pri-ma inviati. Cosa succede nel caso che una rata non venga pagata? Giusto una “piccola” penale di 48 euro.

A questo punto entra in campo un nuovo soggetto, assolutamente fittizio: il notaio.

Contratto maccheronico

Nel giro di poche ore giunge una bozzadi contratto, anch'esso redatto in una lin-gua “maccheronica”, da rimandare indie-tro firmato e scannerizzato. Si tratta di unpdf, sullo sfondo un logo con la scritta “le notaire”. L'aria è fortemente farlocca.

Indicazione del prestatore, del mutua-

tario. E qual-che clausola:“L'istituto dicredito conce-de in comodatoper l'uso prin-cipalmenterimborso inconformità conle disposizionidegli articoli1875 e seguen-ti del codicecivile, che ildestinatario lo accetta, secondo le condizioni, i termini e gli obblighi di legge e la pratica, e specialmente in quelli specificato nel presente contratto, il seguente importo: 100.000,00 € (euro) / tasso di interesse: 2%. Scopo del prestito via [indirizzo indicato poco prima via mail]”. Firma del prestatore, spazio per la firma del mutuatario, e il timbro del notaio ap-positamente tagliato nel punto in cui do-vrebbe essere indicata città e numero di telefono. Una piccola genialata.

Il contratto, compilato, viene rispedito via mail. A questo punto la svolta: per il prestito è tutto ok, basta fare un piccolo versamento per spese notarili di 330 euro, e poi la somma di 100.000 euro sarà accreditata nel giro di quarantotto ore. Sembra quasi un miracolo. Miracolofrancese, miracolo tarocco.

S.J. chiede di ricevere la somma tramite trasferimento Western Union. Western Union è, in maniera assai rinomata, la modalità di pagamento preferita dai truffatori e quella meno tracciabile dalle Forze dell'Ordine. I 330 euro inviati, considerati a mò di obolo per spese notarili, appaiono come un sacrificio accettabile per poter ri-solvere i problemi economici.

Il truffatore, intascato il contante, scap-pa via. E scompare. Ogni suo riferimentoè falso, il magheggio è compiuto. Tutto èpronto per “colpire” un nuovo soggetto.L'annuncio è ancora lì, e attende un'altra azienda della provincia.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5656

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Ottantanoveinchieste hanno partecipato alla seconda edizione del “Premio Gruppo dello zuccherificio per il giornalismo d’inchiesta”. Fra i vincitori diverse "firme" della rete dei Siciliani giovani: Antonio Mazzeo per l'inchiesta “Mafia-Stato. La tratta-tiva continua ora”, Claudia Campese per “Confiscate e abbandonate” (su CtZen), i ra-gazzi del "Clandestino" di Modica per l'inchiesta"Amici strozzini", Ester Castano per le inchieste su "Stampoantimafioso" e "Altomilanese".

Giornalisti coraggiosi

Un premio speciale - per il lunghissimo e costante impegno di giornalismo e militanza an-timafia - è stato assegnato a Fabio D'Urso, uno dei primissimi redattori dei Siciliani giovani chedomenica 19, insieme a Luciano Bruno e altri colleghi, parlerà al meeting dell'informazione libera su “Combattere la mafia... questione di coraggio?”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5757

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Italia/ Minori sotto tiro

Achtungragazzini

Roma, pesante opera-zione nei centri acco-glienza. Tre minorennifiniscono al Cie

di Bruna Iacopino www.liberainformazione.org

Valentina riaggancia il telefono e la gioia esplode sul suo viso. L'incubo sembra essere finito, i ragazzi sono tornati al centro di accoglienza dopo lanotte passata al Cie di Ponte Galeria. “Andiamo a trovarli?” dice guardandoEva con gli occhi pieni di lacrime. “Certo che ci andiamo” risponde Eva, allargando le labbra in un sorriso. La tensione accumulata negli ultimi giornivola via in pochi secondi.

Eva e Valentina sono due volontarie dell'associazione Yomigro, e negli ultimi giorni, alla vigilia di Pasqua, sono state involontarie protagoniste di un caso di “mala gestione” da parte del comune di Roma ai danni di alcuni minori stranieri non accompagnati, ospiti di uno dei tanti centri sorti nella capitale anche in seguitoalla cosiddetta emergenza Nord-Africa.

Una vicenda con pesanti anomalie ma che per essere capita necessita di un paio di passi indietro.

Ottobre 2012. La cronaca locale di Re-pubblica titola: “La Procura indaga sui finti minorenni - Nel fascicolo i nomi di 400 falsi adolescenti. Ai raggi X gli atti dei vigili e i certificati medici, nel mirinoci sono gli immigrati indagati per aver detto il falso.”

In sostanza sembra che a un certo pun-to, in seguito alla gestione emergenziale e caotica seguita agli ingressi del 2011, con l'emergenza nord Africa, ci si sia ac-corti che la maggior parte delle persone che avevano ricevuto ospitalità dentro i centri tutto fosse tranne che minorenne, grazie anche all'aiuto di medici, avvocati e vigili compiacenti. Un business vero e proprio alimentato abbondantemente dai fondi stanziati per l'emergenza e ormai finiti. Passano i mesi e dell'inchiesta non si trovano notizie o riscontri recenti. I centri però continuano a riempirsi di nuovi ragazzi che nulla hanno più a che fare con l'emergenza Nord-Africa e che per la maggior parte provengono dal Bangladesh.

Ottocento ragazzi

Primi di marzo 2013. Ai centri di acco-glienza per minori cominciano ad arriva-re una serie di fax con elenchi di nomi di presunti finti minori a cui viene richiesto di presentarsi in dipartimento per una ve-rifica: “ Qui ai ragazzi viene offerta la possibilità di dichiararsi maggiorenni, la-sciare immediatamente il centro e bec-carsi un'espulsione” si legge nel comuni-cato diramato da Yomigro. “In caso di ri-fiuto, il giorno seguente vengono sotto-posti ad una seconda visita medica di ac-certamento dell’età presso l’Ospedale militare del Celio, e lì dichiarati maggio-renni. Allontanati immediatamente dal centro con un provvedimento di espul-sione e una denuncia penale per esibizio-ne di documenti falsi, falso ideologico e truffa ai danni dello Stato.” L'operazione,sostiene Yomigro, potrebbe riguardare fino a ottocento ragazzi.

Il tutto, dicono le due volontarie senza che sia data loro una spiegazione ed, es-sendo minori (anche se presunti), senza la possibilità di una tutela legale essendo tutore per loro il responsabile del centro.

Direttamente a Ponte Galeria

L'incubo inizia martedì 26 marzo, di sera verso l'ora di cena. Tre ragazzi ben-galesi, precedentemente portati al Celio per l'accertamento dell'età in seguito ad una visita piuttosto invasiva e che niente hanno a che fare con gli arrivi dell'emer-genza Nord Africa, mi spiegano le due volontarie, vengono prelevati dal centro di accoglienza San Michele e, in quanto giudicati maggiorenni, “buttati” letteral-mente in strada insieme ai loro effetti personali con l'obbligo di presentarsi il giorno dopo presso l’U.O. di Sicurezza Pubblica della Polizia Locale di Roma Capitale a Ponte di Nona.

Quando arrivano a Ponte di Nona con un giorno di ritardo rispetto a quello loro indicato, dopo aver vagato per la città e aver passato un'altra notte all'addiaccio accade il peggio: in quanto maggiorenni vengono accompagnati direttamente al Cie di Ponte Galeria per non aver ottem-perato all'obbligo di recarsi all'ufficio operativo il giorno stabilito.

Visibilmente molto giovani

I tre, visibilmente molto giovani anche agli occhi del personale del Cie, vengonosottoposti ad una nuova visita, e per uno di loro la minore età verrà dichiarata la mattina successiva, in ogni caso dovrà trascorrere la notte al Cie, nella sezione maschile.Per gli altri due l'attesa sarà più lunga.

In seguito alle pressioni esercitate dall'associazione, e, probabilmente in virtù dei dubbi ancora legati alla loro età anagrafica, i due ragazzi rimasti trascor-rono la notte di venerdì nella sezione femminile, in una stanza a parte. Potran-no uscire solo nel pomeriggio di sabato 30 marzo, dopo ulteriori accertamenti fatti in altre strutture.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5858

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“Nessunogiochi

con le nostrevite”

Vittime due volte

“Noi non sappiamo se dietro la storia dei finti minori ci sia un business vero e proprio- commenta Valentina prima di correre dai “suoi ragazzi”- quello che sappiamo per certo è che con questa ope-razione sono vittime due volte, vittime della tratta, di cui peraltro nessuno si è preoccupato di chiedere loro conto, vitti-me di questa operazione che colpevoliz-za loro, ultimo anello della catena spin-gendoli verso le dimensione del nero e del sommerso.”

“Quando tutto questo sarà finito si leg-ge ancora nel comunicato di denuncia- quanti minori non accompagnati avrannoancora il coraggio di emergere? Quante giovani e giovanissime vittime di trafficoo truffe saranno disposte a denunciare chi si è approfittato di loro? Sicuramente pochissimi. Gli altri troveranno nuovi faccendieri, pronti a vendergli a caro prezzo la speranza di un futuro migliore.”

L'emergenza Nord Africa

I centri di accoglienza per minori, stan-do al sito del comune di Roma sarebbero solo sei, divenuti molti di più ( 19 in tut-to il Lazio) con una capienza che si aggi-ra intorno alle 2.000 persone in seguito all'emergenza Nord Africa e foraggiati fino a dicembre dello scorso anno dai fondi stanziati per la stessa dal Ministerodell'interno.

In data 20 febbraio il sindaco Aleman-no scrive così in una lettera inviata al mi-nistro dell'Interno, Anna Maria Cancel-lieri, e al prefetto di Roma, Giuseppe Pe-coraro per chiedere il rimborso di quantoanticipato dal comune in fatto di acco-glienza minori: ''Roma Capitale vive da anni la difficile condizione di “Città di secondo sbarco”, per ciò che riguarda la

tematica dei Minori Stranieri Non Accompagnati (i cosiddetti 'Misna') che pone nella diretta responsabilita' del Sindaco della Città nella quale viene identificato il minore, l'onere della protezione dello stesso. Già prima degli eventi socio politici che hanno interessato il Nord Africa, Roma sopportava l'accoglienza del 30% dei Misna presenti sul territorio nazionale (1.500 su un totale di 5.000), con uno sforzo a carico del Bilancio comunale di circa 15 milioni di euro, solo parzialmen-te coperto dai trasferimenti dello Stato (circa il 20% delle risorse necessarie). Dalla emanazione dell'Ordinanza 3933 del 2011, stiamo inoltre affrontando la difficile situazione dei Minori provenien-ti dall'Emergenza Nord Africa per la qua-le Roma Capitale ha subito il raddoppio delle ordinarie presenze di minori che sono divenuti quasi 2.800, comportando una spesa straordinaria nel 2012 di quasi 20 milioni''.

Stando alla cronaca, e all'inchiesta av-viata dalla procura, la cifra versata per ogni ospite si aggirerebbe intorno ai 70 euro al giorno, cifra che tuttavia, denun-ciano alcune associazioni, non corrispon-derebbe a effettivi servizi erogati, a parti-re dai kit personali, alla biancheria, al pocket money, fino all'abbonamento per imezzi pubblici. E che il più delle volte, come sembra ormai accertato va a copri-re anche quelli che sono i falsi minori.

Quante anomalie in questa vicenda

Secondo Salvatore Fachile avvocato dell'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione) che sta seguendo la vicenda nel complesso e nello specifico in seguito al mandato affidatogli da 4 ra-gazzi ormai ex-ospiti dei centri di acco-glienza, le anomalie in questa vicenda sarebbero molteplici.

Senza ordine della magistratura

“Quello che sappiamo per certo è che si tratta di un controllo a tappeto a partiredagli ultimi arrivi per andare a ritroso neltempo fino agli arrivi della cosiddetta emergenza nord Africa; la procedura è di carattere amministrativo dunque non c'è un ordine individuale da parte della ma-gistratura - e qui sta il suo punto debole, sottolinea Fachile - Diventa penale solo successivamente, quando l'ospite, dichia-rato maggiorenne, oltre al decreto di espulsione viene accusato di reati pesan-tissimi”. “Come Asgi - continua - ci stia-mo muovendo per intraprendere azioni dicarattere politico e poter fermare questa assurda procedura”.

La protesta delle associazioni

Quanto al caso dei tre ragazzi bengale-si riconosciuti minorenni in seguito alla visita fatta nel Cie, Fachile non ha dubbi:“Questa è la dimostrazione di come la macchina messa in moto abbia diverse falle e gli accertamenti fatti al Celio non siano infallibili, il caso di questi tre ra-gazzi ne è la dimostrazione... e poi c'è il fatto grave che tre minori abbiano dormi-to dentro un Cie...”. Ovvero tutti gli estremi per intraprendere un'azione lega-le pesante quanto questa operazione.

A reagire però in maniera convinta sono stati i ragazzi ospiti dei centri, che in prima battuta hanno deciso di presidia-re il dipartimento delle politiche sociali in via Merulana per un'intera mattinata e successivamente, accompagnati da asso-ciazioni e comitati, hanno fatto sentire il loro grido di protesta a piazza Venezia, come a dire: “ Nessuno giochi con le no-stre vite...” ottenendo la promessa di un interlocuzione con il Comune.

Peccato che, a distanza di un mese, at-tendano ancora di essere convocati.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 5959

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Società civile

Il Sud, le mafieLe donne si raccontanoMagistrate, letterate, sociologhe, ammini-stratrici, fotografe e giornaliste. Insieme per costruire una nuo-va antimafia

di Norma Ferrara www.liberainformazione.org

Alla Casa internazionale delle donne, tre giorni di dibattiti, performance tea-trali e musicali, analisi e confronto su “I Sud e le mafie e le donne” universi per troppo tempo considerati distanti e raccontati per stereotipi.

L’iniziativa, organizzata in collabora-zione con la Società Italiana delle Lettera-te, Libera e daSud, ha messo al centro l’analisi delle “trasformazioni messe in atto dalle donne nel contesto in cui vivo-no, portando al centro del convegno da unlato le testimonianze delle donne impe-gnate in prima linea contro mafie e corru-zione e dall’altro la narrazione del sé e deitanti Sud in cui le donne vivono e opera-no, come luogo di partenza e ”re/esisten-za” alle mafie.

E ha ragionato sui tanti ”Sud” come paesaggi interiori, come luoghi dell’immaginario, che entrano in relazion-e con le donne, diventando da luogo dell’assenza e dello spaesamento, luogo della presenza, dell’essenza e della tra-sformazione collettiva del sé e della socie-tà.

Molte di loro sono giornaliste, impe-gnate nei Sud dell’informazione, come Angela Corica, Marilena Natale e Ester Castano. Altre sono amministratrici locali,“le sindache” Elisabetta Tripodi, prima cittadina di Rosarno, Maria Carmela Lanzetta, sindaca di Monasterace. Ma anche registe, scrittrici, studiose del femminismo, come Gisella Modica e Emma Baeri. Tre giorni in cui la storia di donne come Lea Garofalo, uccisa a Milano nel 2009 e Giusi Pesce, attuale collaboratrice di giustizia in Calabria, sono state al centro della riflessione attuale sul potere di cambiamento e rottura dei sistemi e della subcultura mafiosa che le donne hanno dentro e fuoridall’organizzazione criminale nei tanti Sud in cui vivono.

Un punto di ri-partenza

Franca Imbergamo, magistrata, ha ricor-dato alle donne che l’unico modo per ca-pire e contrastare un fenomeno così radi-cato nella nostra società come quello cri-minale, nel quale le donne hanno fatto an-che la loro parte, è abbandonare l’atteg-giamento dell’entomologo “quello di chi studia un insetto, un qualcosa che è altro da sé. L’unico modo per essere efficaci è sporcarsi le mani, scegliere la giusta di stanza dal fenomeno che vogliamo capire,trovare il coraggio di guardare interrogan-doci con maggiore franchezza, con più onestà”.

Un convegno che è un punto di ri-par-tenza, che ha permesso a molte donne im-pegnate da anni sui territori di prendere la parola, confrontare i metodi dell’analisi narrativa e sociologica, per un nuovo per-corso antimafia che parta soprattutto dalletante donne che sui territori, dalla Cala-

bria alla Lombardia, hanno scelto da che parte stare nella battaglia antimafia.

Una lotta che per molte di loro coincide con l’affermazione di sé dei propri diritti di persona, una battaglia individuale che diventa immediatamente politica. E che appartiene, dunque, immediatamente a tutti noi.

Alcuni interventi della tre giorni “I Sud,le mafie. Le donne si raccontano”

La sindaca di Rosarno, Elisabetta Tripo-di – “Chi me lo fa fare? il mio senso civi-co, la necessità di non restare alla finestra a guardare il disastro che si stava com-piendo sotto i nostri occhi”

Maria Carmela Lanzetta, sindaca di Monasterace, interviene via skype al con-vegno e racconta la sua lotta contro la ‘ndrangheta fatta solo di buona ammini-strazione, di un comune che funzioni, di un territorio che valorizzi le sue risorse culturali e storiche.

Ludovica Ioppolo, ricercatrice e socio-loga, impegnata con Libera. Al convegno porta il suo contributo di analisi dell’impegno antimafia delle donne sui territori, la loro lotta per “re/esistere” alle mafie, le storie di “Al nostro posto” il li-bro scritto a quattro mani con Martina Panzarasa, che racconta le storie di sei donne impegnate sul fronte ”antimafia”.

Alessandra Clemente, figlia di “Silvia Ruotolo”, vittima innocente della camor-ra. Attualmente è neo assessore al Comu-ne di Napoli. Alessandra è impegnata da anni nei percorsi di educazione alla legali-tà e memoria. In questi mesi ha intrapresouna nuova sfida: portare questo percorso antimafia direttamente al servizio dei gio-vani, attraverso l’azione dell’amministra-zione pubblica. “Una sfida che mi appas-siona, che mi mette anche un po’ di paura.Ma è più forte la voglia di farcela”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6060

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Memoria

'U Parrinu

“Storia di Padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia”. La vicenda di un cristiano che ha di-feso il suo popolo, sen-za odio e senza paura

di Claudio Zappalà

Nel ventesimo anniversario della

morte di Padre Pino Puglisi, la Chiesa,

il 25 maggio, lo proclamerà Beato. La

cerimonia si svolgerà allo stadio Bar-

bera di Palermo e si prevede

un’affluenza di 35 mila persone.

Tra gli eventi che fanno da contorno

alla cerimonia di beatificazione si inseri-

sce lo spettacolo U parrinu – Storia di

Padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia

che andrà in scena il 22 maggio nella

chiesa di S.Gaetano a Brancaccio.

Lo spettacolo è scritto e interpretato da

Christian Di Domenico, attore e insegna-

te di recitazione 44enne, figlio di genitori

meridionali, vissuto in Lombardia per

trent’anni e che adesso, per un caso di

emigrazione al contrario, vive e lavora a

Bari.

Titoletto

Come affronti il tema della mafia in

questo spettacolo, tu che la mafia l’hai

sempre vista da lontano?

“Non vivendo quelle realtà ho avuto

solo la possibilità di sfiorare episodi. Ho

passato, da quando ero piccolo fino

all’adolescenza, ogni estate tra Gela e

Manfria, e ogni estate episodi ne accade-

vano, e avevano a che fare, non voglio

chiamarlo malcostume, con attitudini.

Poi ho avuto una ragazza calabrese, e

cambiamo settore, Ndrangheta, e per set-

te anni le estati le passavo li. Adesso

vivo a Bari, e i miei suoceri hanno dovu-

to aprire e chiudere diversi negozi per

non pagare il pizzo. Tutto questo io non

so se sia mafia, o quella mafia. Sicura-

mente sono molto lontano da Palermo e

dalla Sicilia.”

Lo storia che Christian vuole racconta-

re, più che del Beato Padre Pino Puglisi,

o del prete antimafia, è la storia di una

persona di famiglia: “Mia madre era fini-

ta in collegio a Palermo e in quegli anni

ha avuto la fortuna di conoscere Padre

Pino come guida spirituale, come confes-

sore, come insegnante di religione.

Quando poi è emigrata in un paese vici-

no Monza, a Brugherio, dove io sono

nato, sono sempre stati in contatto; è ve-

nuto a celebrare il matrimonio dei miei

genitori; ogni anno, quando poteva, qual-

che giorno di vacanza li veniva a passare

da noi”.

Lo spettacolo del 22 maggio in realtà è

un evento speciale, più che una prima na-

zionale: “Ho voluto offrire questo ricor-

do. Non volevo essere al di fuori

dell’organizzazione della Chiesa di Pa-

lermo. Stiamo ancora cercando fondi per

avere una produzione che mi permetta di

raggiungere le parrocchie senza avere

una ricaduta sul costo dei biglietti per i

ragazzi.”

Lo spettacolo infatti verrà rappresen-

tato principalmente negli oratori di tutte

le chiese d’Italia che vorranno ospitarlo.

“Vorrei caricarmi della piacevole

responsabilità di portare a quanti più ra-

gazzi possibile questa storia, far cono-

scere questa parabola; ma non l’apologia

di un santo, ma le azioni semplici che lui

conduceva da uomo, profondamente ra-

dicati nella Fede e nel senso del giusto.

Lui diceva: Se ognuno di noi fa qualcosa

allora si può fare tanto”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6161

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Dalla Sicilia a Bologna

Gli omaggi diWilliam ManeraNella città di Lucio Dallaè successo qualcosa...

di Salvo Ognibene www.diecieventicinque.it

Abbiamo conosciuto William Manera l’anno scorso, grazie a Bologna e agli ami-ci di Caracò (qui) suonava il piano con un’incredibile allegria e ironizzava “sul suo naso” con fare cabarettistico. In estate ha pubblicato il suo album “I miei omag-gi”, un disco da ascoltare e riascoltare. Dieci canzoni uguali e diverse tra loro. Uguali perché è facile intuirlo, riconoscer-lo, nei testi mai noiosi e incolore. Diversi perché le sue basi musicali spaziano dal blues allo swing al jazz con una straordi-naria facilità.

Manera è uno che si diverte con le paro-le e col pianoforte, e si vede. Testo e musi-ca, un binomio esplosivo che si riversa nella quotidianità di un siciliano che vive aBologna da anni. La città che gli ha rega-lato il premio più importante della prima edizione di “Una canzone per Bologna”, vinto a casa di Lucio, a Piazza Maggiore, “A due passi da qui”.

L’abbiamo incontrato qualche giorno fa, in un bar sotto le due torri.

William Manera, dalla Sicilia a Bolo-gna. “I miei omaggi”.

I miei omaggi a te, è il titolo dell album no?

C’è molta sicilianità nel titolo, se lo dovessimo spiegare ad un bolognese?

(ride) Ha una duplice iniziativa, la prima“i miei omaggi” detto da un siciliano è unacosa bella, positiva ed ossequiosa (in modo simpatico). Inoltre il mio album è un contenitore di omaggi a persone, luoghie circostanze che sono avvenute.

Nei tuoi testi descrivi sempre bene quello che ti circonda e che c è intorno, anche di Bologna, dove di recente hai vinto un premio abbastanza importante.

Si c’è tanto di Bologna, del mio paese diorigine, di persone che hanno influito sul

mio modo di essere, non solo sotto l’aspet-to artistico ma anche umamente.

Uno di questi è Vincenzo Consolo, un illustre vicino di casa, a cui dedichi la traccia numero nove…

“Tra la mensola e il muro”. Consolo ha avuto una voce importante nella letteraturadel ‘900, per me è stato un prezioso esem-pio, soprattutto nel modo che ha avuto di vivere il distacco dalle origini.

E Bologna? Vivi qua da dieci anni…Bologna è bellissima ed è la città dove

ho trascorso un terzo della mia vita, gli al-tri due terzi li ho passati in Sicilia.

Sono delle proporzioni che rispetti an-che nel disco?

Direi che il disco è un 50 e 50. Ci sono dei rimandi a Dalla, Guccini ma anche allamusica popolare. E’ un miscuglio e di can-zone in canzone viene fuori una parte, o l’altra, o anche tutte e due assieme.

C’è anche un brano dedicato a Paolo Borsellino, una bella sorpresa…

E’ stata una sorpresa per molti, non tan-to per il tema della canzone ma perché è latraccia che più si discosta dalla soluzione del genere musicale che ho trovato per l’album ossia lo swing e il blues.

È di intermezzo…Appunto sta al centro del disco ed è ov-

viamente un omaggio. È un brano più ri-flessivo, più intimo rispetto a tanti altri che sono espliciti e anche grazie a questo èmesso in risalto.

Sciascia divideva l’umanità in cinque categorie, gli ultimi erano i quaquara-quà “che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre...”. Come sono i tuoi quaquaraquà?

Devo dire che è una parola foneticamen-te spettacolare, senti già cosa vuol dire (ride). Il quaquaraquà è un personaggio particolare che fa poco ma fa capire di far troppo, che parla, parla, promette… ne co-nosco parecchi anche da queste parti...

Un 2012 da incorniciare: un premio importante nella tua città, un premio importante anche a Bologna, il 2013 com’è iniziato?

Siamo ancora in fase promozionale ma stiamo lavorando abbastanza, vogliamo farci trovare pronti per quello che divente-rà il passaggio alla fase due, far conoscere il disco e il progetto. L’album è in vendita su tutto il territorio nazionale e dal 22 marzo anche in 107 webstore online.

Continueranno a fioccare date perché la mia musica trova la giusta dimensione dal vivo, sarò in gara in qualche concorso, tal-volta con band al completo, talvolta con soluzioni più acustiche. Stiamo pensando ad alcune sorprese...

Quindi?Live, presentazioni in tutta Italia, mag-

giori città dove poter acquistare l’album e… le cose belle per l’estate non le posso ancora dire.

E Lucio Dalla? Noi di Dieci e Venti-cinque gli abbiamo dedicato il mensile di marzo…

Io ricordo che Bologna un anno fa era a lutto. Ma non era un lutto con strazio e do-lore bensì un lutto allegro, ci ha lasciato distucco ma in bellezza. Quando se ne va ungrande artista sei contento per quello che ha fatto e lo saluti con il sorriso.

Lascia un vuoto enorme a Bologna. Era come lo zio burlone della famiglia. Quelloche ti fa ridere e a cui vuoi tanto bene. Quello che risolve le cose e con il quale vivi momenti felici. Quello che quando muore lo ricordi sempre con un pizzico di tristezza ma col sorriso stampato in faccia.

Punti vendita:@Bologna: Disco D'Oro, Via Galliera 23.@Milano: MusicaMusica, Via Giulio Romano 21.@Roma: L'Allegretto Dischi, Via Oslavia 44.@Firenze: Dischi Fenice, Via Santa Reparata 8.@Napoli: Giancar, Piazza Garibaldi 44.@Taranto: Musica è, Via Cesare Battisti, 23.@Modena: We Rock Music Store, Via Bacchini 11. @ReggioEmilia: Tosi Dischi, Via Emilia S.Pietro [email protected] Militello: Tabaccheria Ninone; Edicola sta-zione.@Varese: Record Runners Varese, Via Albuzzi 8.oppure via mail richiedendolo a [email protected]

www.williammanera.comwilliammaneraofficial@gmail.comwww.facebook.com/WilliamManeraOffi cial @WilliamManerawww.youtube.com/user/WilliamManer aChannel

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6262

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Storie d'amore

“Lei disse sì”Foto di

Grazia Bucca

Un matrimonio contrastato nell'Italia del Medioevo

di Teresa Campagna www.arcisicilia.info

Lorenza: A volte un po’ “burbi” (bur-bera) ma con un cuore tenero, da 7 anni èfidanzata con Ingrid che la sopporta e supporta nonostante tutto… Mediatrice di conflitti per studi e lavoro, non è in pace se non sente armonia tra le persone che la circondano e per questo è promo-trice, con Ingrid, di pranzi, cene, concer-tini tra amici in cui stare bene tutti insie-me... Dopo anni di basket si è data alla pallavolo con scarsissimi risultati. Vor-rebbe un cane (ma non lo dice ad Ingrid perché altrimenti domani potrebbe tro-varselo già a casa).

Ingrid: Ha il passaporto svedese ma è nata a Firenze e cresciuta a Rifredi. Un’educazione “tormentata” tra religionee pianoforte. Architetto per passione, chef per talento, oggi insegna visual de-sign e comunicazione. Di facile entusia-smo, ha la sventata tendenza a volare troppo in alto e per questo è eternamente riconoscente a Lorenza che l’aiuta a te-nere i piedi per terra. Avrebbe voluto la proposta di matrimonio in ginocchio e con un diamante ma non demorde, è pronta ad aspettare le nozze d’argento.

Una storia normale

“Lei disse si" è una normale storia d’amore. Ma in Italia, la normalità per le coppie omosessuali è fantascienza. Due giovani donne fiorentine che hanno deci-so di mettere in piazza il loro privato per cercare di sfondare delle porte che in Ita-

lia sembrano essere inesorabilmente chiuse. E quindi il loro racconto in giro per l’Italia, scanzonato ed ironico, ha un risvolto sociale: parità di diritti per tutti.

Perché in Italia no?

Il loro scopo è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica italiana su un argo-mento così delicato e dibattuto come l'unione civile tra persone dello stesso sesso. Ingrid e Lorenza per fare questo hanno messo su un blog (Lei disse si), sono su Repubblica D con una rubrica fissa, sono apparse in tv (con un servizio su LA7) e radio nazionali, ed ora hanno anche avviato un crowdfunding (racolta fondi) per autofinanzare "dal basso" la produzione di un documentario. Ecco cosa scrivono sul sito della"Produzioni dal Basso".

"Lei disse sì" è il racconto dei mesi cheprecedono il matrimonio di Ingrid e Lo-renza, che si sposeranno a giugno in Sve-zia perché in Italia due persone dello stesso sesso non possono farlo.

Ingrid e Lorenza raccontano che l'espe-rienza del matrimonio è la stessa per tuttie che per organizzarlo i passi tradizionalisono sempre quelli: annunciarlo a parentied amici, trovare un posto in cui fare la

festa, fare la lista degli invitati, pensare agli abiti,alle fedi, al cibo, etc.

"Lei disse sì" è un progetto cross-mediale che attraverso un blogattivo da dicembre 2012 e una pagina facebook sta raccontando questo percorso,

in modo più o meno leggero, incontrandola partecipazione di un'intera community.

“I diritti che spettano a tutti”

Ingrid e Lorenza sono state due giorni

a Palermo, invitate da Arci Palermo, che ha voluto dare un suo contributo per Ver-so il Pride 2013. Hanno incontrato gli studenti del duca Abruzzi, rispondendo con semplicità e gioiosità a tutte le do-mande dei ragazzi, cercando di far capirel’obiettivo delle loro iniziative: “siamo normali e vogliamo una vita normale, con i diritti che spettano a tutti”. Hanno partecipato ad un incontro istituzionale con il Comune di Palermo e con il comi-tato del Pride 2013.

Nessuna differenza

E ancora, hanno preso parte ad un in-contro in cui hanno messo a confronto la loro esperienza pre matrimonio con una giovane coppia etero sposata da pochi mesi. Risultato: nessuna differenza.

Ingrid e Lorenza, dopo il matrimonio in Svezia, torneranno in Italia e comince-ranno la loro battaglia, fra carte, avvocatie tribunali, per rivendicare il diritto, non solo loro, a vivere una vita normale.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6363

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Storia

Ma chi fuAntonio Canepa?Il fascismo e la sua fine, la guerra e la Resi-stenza, il separatismo e la sua guerra furono gli ambiti in cui si svolse laturbinosa esistenza di Antonio Canepa

di Elio Camilleri

Il delitto Matteotti (10 giugno 1924) indusse il giovane Canepa, che non ave-va ancora compiuto sedici anni, ad esprimere tutto il suo sdegno contro il governo fascista.

Questa ostilità contro il fascismo si ma-terializzò nella preparazione di un attenta-to a Mussolini: attraverso un passaggio segreto aveva progettato di giungere addi-rittura nella Sala del Mappamondo, a Pa-lazzo Venezia, ma la chiusura del passag-gio fece fallire il piano.

Ma, poi, nel 1937 ottenne la cattedra di Dottrina del Fascismo, con tre volumi dal titolo “Sistema della Dottrina del Fasci-smo. Una formidabile contraddizione che lo stesso Canepa ammette, ma che invita asciogliere attraverso una lettura attenta deltesto, dal quale si può capire che il fasci-smo è pericoloso per l’Italia e per gli altri Stati, che il fascismo si può combattere, che ci sono molti scrittori che lo giudica-no negativamente.

Allo scoppio della seconda guerra mon-diale entrò in contatto dei servizi segreti britannici, preparò ed attuò con successo, la notte del 10 giugno 1943, l’attentato all’aeroporto di Gerbini, neutralizzando i caccia tedeschi, distruggendo bombe, armi e munizioni.

Come si sa bene, dopo trenta giorni gli angloamericani sbarcarono dalle parti di Gela non incontrando, anche per merito del sabotaggio alla postazione tedesca di Gerbini, un’adeguata resistenza.

A questo punto ecco un altro fatto in-spiegabile o, quanto meno, difficile da spiegare: Canepa lasciò la Sicilia e si recòtra l’Abruzzo e la Toscana a fare il parti-giano.

La lotta partigiana intrapresa da Canepafu assolutamente finalizzata alla liberazio-ne dai nazifascisti in particolare dei terri-tori in cui operò tra l’Abruzzo e la Tosca-na. Avendo conseguito questo risultato e giunto a Firenze nel maggio del 1944, lan-ciò un’operazione politica di segno diver-gente rispetto alla linea politica dei CLN edel governo: in nome del Partito Dei La-voratori, diffuse, il 20 giugno, un appello in cui, per un verso si ringraziavano gli al-leati per il decisivo aiuto fornito per la li-berazione dai nazifascisti, per un altro si chiedeva agli Alleati di collaborare con i partigiani ed in particolare con la compo-nente comunista, per l’instaurazione di ungoverno liberato dalla “borghesia – un pu-gno di capitalisti, di speculatori e di paras-siti – (che) ha portato l’Italia alla rovina”.

I contenuti del manifesto non potevano essere condivisi neppure dagli Alleati, sic-ché Canepa – Tolù perse i riferimenti con il SIS (Secret Intelligence Service), il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale)lo arrestò e lo condannò a venti giorni di reclusione con la condizionale e a mille lire di multa.

Decise, quindi, nell’autunno del 1944, di tornare in Sicilia, di morire come Cane-pa –Tolù e di rinascere come Mario Turri. Molto probabilmente dopo l’eccidio di Palermo, il 19 ottobre 1944, Mario Turri incontrò Andrea Finocchiaro Aprile , riu-scendo a convincerlo dell’opportunità di istituire l’EVIS.

Canepa tenne conto, necessariamente, degli intendimenti espressi da FinocchiaroAprile e da Togliatti: certamente nel pri-mo, il “fatto” istituzionale contava di più di quello sociale e non poteva che essere così (non dimentichiamo che Andrea Fi-nocchiaro Aprile faceva parte di un triun-virato in cui c’era il conte Luigi Tasca, la-tifondista, e Calogero Vizzini, ex gabello-to e ora latifondista mafioso), mentre per Togliatti, condizionato ancora dalla “svol-ta di Salerno”, e lui stesso al governo, considerava la soluzione “autonomistica” quella più avanzata, oltre la quale non era lecito, per impedimenti nazionali ed inter-nazionali, pensare di potere andare; in ogni caso, per Togliatti, restava la monu-mentale questione sociale della riforma agraria ancora da risolvere e i comunisti ne sarebbero stati ancora i grandi protago-nisti.

Indipendentista o comunista?

Non si sa bene se Canepa fu più indi-pendentista o comunista, ma, forse, Tasca,Finocchiaro Aprile e Vizzini lo considera-rono più comunista e forse anche per que-sto fu tolto di mezzo a Murazzu ruttu il 17giugno 1945, colpito a morte in uno scon-tro a fuoco con una pattuglia di carabinie-ri che lo intercettarono a bordo di un fur-gone guidato da Pippo Amato. Assieme a Canepa quel giorno morirono Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.

Nessuno ha mai saputo come si svolseroi fatti, chi dette inizio alla sparatoria, chi avvisò i carabinieri di Randazzo del pas-saggio del furgone, perché i corpi furono sepolti in tombe senza nome. La storia della Sicilia è soprattutto storia di personedifficili da capire, di fatti difficili da capi-re e da spiegare perché volutamente cen-surati e tacitamente dimenticati.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6464

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Storie

Alla ricercadel tempo perduto

dajackdaniel.blogspot.it/

. Gli insetti, per esempio. Leggi qua, un interessantissimo resoconto della So-cietà italiana delle Scienze del 1853 :”È innegabile la somma affinità della Tho-reyella coi Rafigastri. Le particolarità delle antenne dello scutello e delle ale superiori sono differenze di poco mo-mento e non escono dalle file de caratte-ri meramente specifici. Ma non così quelle della struttura del capo. Il notevo-le avvanzamento delle gene al di là dellafronte è sufficiente a dimostrare l’ impos-sibilità dell’ innalzamento del primo arti-colo della mascella al di sopra dell’ asselongitudinale del corpo durante l’atto della manducazione, impossibilità che non sarebbe manifesta nei casi frequenti in cui l’origine della mascella è attigua all’ apertura della bocca e in cui l’aper-tura della bocca è all’ estremità anterio-re della testa.”.

Decisivo, chissà perché mi era sfuggitosino ad ora...

Nel silenzio di casa mia

Non solo: mi rendo conto di aver tra-scurato, e molto, anche la mineralogia. Illuminante questo ricordo di Pini del 1832, strano che non l’abbia letto prima: “I feldspati trovati dal Pini sul S Gottar-do erano generalmente o bianchi, o lat-tei, e tra questi secondi alcuni pochi ave-

vano una tinta verdiccia; non crepitava-no al fuoco, sebbene cristallizzati, il che,come nota il N.A., è un'eccezione al principio asserito da Kirvan, il quale sembra perciò non avere conosciuti i feldspati del S Gottardo: la maggior par-te, spezzati, esalano un odore quasi simi-le a quello della pietra suilla, indizio dello sviluppamento di qualche sostanza volatile combinata con qualche acido”.

Ma cosa è questo fracasso? Ah, la tele-visione dei vicini a tutto volume. Il tele-giornale: voto di fiducia al Governo, Berlusconi e il partito di Prodi votano in-sieme.

“Analizzando poi scrupolosamente e coll’ appoggio di apposite figure la strut-tura lamellare di questi feldspati trova il Pini ch’essa è ben diversa da quella, cheil signor De Saussure ha riconosciuta in altre pietre di tale natura, e che il signor De l’Isle non solo riguarda come gene-rale ai feldspati, ma assume anche come un principio per ispiegare le diverse cri-stallizzazioni de medesimi.”

Quanto tempo ho sprecato… Perché, intutti questi anni, non ho letto queste pagi-ne? Cosa mi ha distratto? E la bellezza della matematica? Perché non l’ho colti-vata? Senti, senti...

“Dunque: il seno iperbolico è la lun-ghezza della perpendicolare calata dall’estremità dell’arco iperbolico corri-

spondente ad un dato settore, sul prolungamento dell’asse principale che passa pel vertice della iperbole equilate-ra. La lunghezza CP dicesi coseno iper-bolico. Dunque: il coseno iperbolico è quella distanza che corre tra il centro della iperbole equilatera ed il piede del seno."

La tv dei vicini

Ancora la televisione dei vicini. Le notti passate ad aspettare i risultati eletto-rali. Chilometri di girotondi, marce, ma-nifestazioni contro Berlusconi. Ma non distraiamoci ”La retta AT dicesi tangenteiperbolica del settore ACM onde :

La tangente iperbolica è quella porzio-ne della tangente al vertice della iperbo-le equilatera limitata da quella retta che partendo dal centro va all’estremità dell arco corrispondente al settore.

La retta CT dicesi secante iperbolica onde...”

Applausi in aula. Deputati del PD stringono la mano ai berlusconiani. Quanto tempo buttato.

“La seconda iperbolica è quella por-zione della retta, la quale dal centro del-la iperbole equilatera andando al punto estremo dell’ arco corrispondente al set-tore...

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6565

Girotondi, marce, manifestazioni, l'impegno di una vita: ma ne valeva la pena, per poi vedere alla fine il partito di Prodi allearsi con quello di Berlusconi? di Jack Daniel

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Politica

Le incredibiliragionidi un governo forzatoE' cambiato moltissi-mo – nei fatti – il siste-ma istituzionale italia-no. Dietro la ripetizio-ne dei riti, cosa c'è davvero?

di Giovanni Abbagnato

Non servono riferimenti tecnico-politici per definire un governo – quel-lo nominalmente affidato a Enrico Letta - “condannato ad esistere” da un’incredibile serie di vicissitudini in-crociatesi tra il complessivo decadi-mento del sistema politico-istituzionalee le vicissitudini interne al Partito De-mocratico.

Quello che è forse più interessante - e anche più significativo - è provare a ra-gionare sulle mutazioni, di fatto interve-nute nel sistema istituzionale italiano che, come la storia insegna, sono la spia più evidente di una disgregazione della sostanza delle Istituzioni stesse.

Conseguenzialmente, tali mutazioni - di fatto - rendono, più che obsoleto, pres-soché insignificante il complesso della normativa e delle prassi che in tutti i si-stemi democratici sta a guardia della so-lennità, in senso di importanza e straordi-narietà, dei passaggi modificativi di atti costitutivi delle Istituzioni.

Non è, infatti, insignificante, per il pre-sente e per gli sviluppi futuri, una tra-sformazione “ in automatico” in questa fase politica del ruolo del Presidente del-la Repubblica, dalla funzione di rappre-sentatività e garanzia a quella più squisi-tamente di governo.

Attenzione, funzioni di governo ancor più cogenti perché prescindono dalle scelte tecnico-politiche di un Esecutivo “nominato”, come in una sorta di “gran-de fratello” e, quindi, obbligato a fare quello che in buona parte è già scritto, non essendo prevista la sottrazione

In questo senso cambia pure il ruolo del Presidente del Consiglio, che oggi definire ancora Premier suscita qualche amara ilarità, perché in realtà si tratta di un esecutore di indicazioni che non han-no nemmeno un preciso profilo tecnico-politico del Presidente, come può succe-dere ai capi del governo, per esempio francesi o russi.

Giaculatorie prive di senso

In Italia, ormai, c’è solo un Presidente del Consiglio che dovrà portare avanti ungoverno. Il resto – programmi, prospetti-ve programmatiche, ecc. – sono solo gia-culatorie prive di senso e, come tutto quello che è privo di senso in politica può diventare pericoloso per la democra-zia, almeno quella sostanziale.

In estrema sintesi, questo è un terreno che potrà piacere o no, che potrà essere considerato inevitabile o no, ma che in ogni caso sfugge al senso politico delle cose perché non si baserà più su scelte orginali, nel senso letterale del termine, ma su di un paradigma di governabilità

fine a se stesso che, paradossalmente, avrà un rapporto assai relativo con le rea-li necessità del Paese.

C’è un governo. Punto. E questo basti.In questo ulteriore passo verso l’abdi-

cazione della politica, è evidenza logica che chi potrà trarre il massimo dei van-taggi da questa situazione sarà Silvio Berlusconi, il più “im-politico” dei sog-getti in campo che confermerà il valore dell’immagine del Caimano, sempre vivoe mimetizzato, che un preveggente film ha consegnato alla cronaca.

Alle condizioni di Berlusconi

Il cavaliere potrà mostrare al mondo quanto ingiusto e insensato era il giudi-zio di impresentabilità su di lui e i suoi ministri ai quali è richiesta adesso “leale”collaborazione dopo averli demonizzati considerandoli irresponsabili incompe-tenti attentissimi solo ai “casi loro” e del loro principale.

Potrà dire che è vero che la legittima-zione elettorale può consentire di supera-re norme di ineleggibilità, di attaccare, senza limiti e con occupazioni, delle lorosedi tutte le Istituzioni più importanti – dalla Magistratura alla Corte Costituzio-nale – perché, se non fosse così, non si chiederebbe a lui di risalire sul suo pre-dellino stavolta per vestire i panni dello Statista che, addirittura calma i suoi più facinorosi sottoposti per consentire al go-verno di vivere, almeno fin quando vorràlui e i suoi avvocati.

In estrema sintesi, avere fatto il gover-no alle condizioni di Berlusconi è consi-derato un atto di grande responsabilità istituzionale. Incredibile ma vero.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6666

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Politica

La casta nella castae il fallimentodel PdUn governo democri-stiano, con in più Ber-lusconi: è l'esito finale di un progetto politico che, partito per unire “anime” politiche dif-ferenti, ha finito col sa-crificare i valori della sinistra ai disvalori delle destre

di Riccardo De Gennaro

Un presidente della Repubblica di 88anni, che ne avrebbe 95 alla fine del suo secondo mandato, un governo Letta-Alfano che ricorda quelli del vecchio pentapartito a guida democri-stiana, ma con l’aggravante dell’ano-malia Berlusconi, il quale vincolerà ancora una volta le decisioni all’anda-mento dei suoi processi.

L’Italia non è un paese per giovani,

l’Italia non è un paese votato al cambia-

mento. Dopo il congresso del Pd potrà

anche nascere un nuovo soggetto politico

di sinistra, costruito intorno a Vendola,

Rodotà, Barca, Civati, Cofferati e

quant’altri, ma le forze della conserva-

zione continueranno a prevalere su quel-

le che vogliono davvero cambiare le

cose.

“Mai al governo col Pdl”

“Mai al governo con il Pdl”, aveva giu-

rato il segretario dimissionario Bersani,

ma la diga è crollata al primo soffio. Era

chiaro che, nel momento in cui si sarebbe

dovuto passare dalle parole ai fatti, il Pd

avrebbe scaricato Vendola, tagliato fuori

Grillo e guardato a destra, fino ad accet-

tare come vicepresidente del Consiglio e

ministro dell’Interno il “pupazzo” di

Berlusconi (gli altri ministri non contano,

ad eccezione di Saccomanni, che guiderà

l’economia con l’auricolare della Bce).

“Una parte è ricattabile”

Come ha detto Barbara Spinelli in una

recente intervista, “parte del Pd è ricatta-

bile”. Non è difficile individuare quale,

basta trovare i 101 franchi tiratori spun-

tati in occasione della votazione di Ro-

mano Prodi e sapere chi li ha armati.

Qualche anno fa uno scrittore unghere-

se, ricordando i fatti del ’56, mi disse

questa verità: “Quando i comunisti pren-

dono il potere i primi ad essere eliminati

sono i comunisti”. Funziona così anche

da noi: quando la sinistra potrebbe pren-

dere il potere i primi a tagliare fuori sono

gli uomini di sinistra.

Perché faceva paura Rodotà

C’è cattiva coscienza nel mancato ap-

poggio a Rodotà: Fassino l’ha spiegata

col fatto che era un candidato grillino,

Fassina dicendo che non aveva i numeri,

ma la verità è che l’ex garante della pri-

vacy e presidente del Pds si sarebbe

schierato, in primo luogo nella scelta del

presidente del Consiglio, a favore di quel

cambiamento (rispetto agli interessi dei

potentati economici, nazionali ed euro-

pei) che in Italia non è dato.

“Io non la sento, la base”

Tra il sostegno a Rodotà e quello a

Berlusconi (che qualcuno addirittura pre-

vede già senatore a vita e successore di

Napolitano al Quirinale), il gruppo diri-

gente del Pd ha scelto la seconda innatu-

rale opzione, infischiandose della mag-

gioranza dei suoi elettori. Come ha detto

la dalemiana Finocchiaro all’uscita del

cinema Capranica: “Io non la sento la

base”.

Il problema della credibilità

Un errore che i dirigenti del Pd, quasi

una casta nella casta, pagheranno sicura-

mente caro alle prossime elezioni. Il pro-

blema che riassume tutti i problemi è che

non hanno più credibilità.

È questa la ragione principale del falli-

mento di un progetto che, per ragioni di

potere, puntava a tenere insieme anime

politiche totalmente differenti tra loro e

che, a partire dalla legge sul conflitto di

interessi e da quella sui Dico per arrivare

al governo Letta-Alfano, ha portato a sa-

crificare i valori della sinistra a favore

dei disvalori delle destre.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6767

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Palermo/ Cantieri navali

La mafiasottovalutataA Palermo non fanno atempo ad abbassarsi gli echi dei proclami diimprovvidi osservatoridi un presunto declinoinarrestabile delle cosche mafiose che la cronaca s'incarica di palesare esattamente ilcontrario

di Giovanni Abbagnato

L'ultimo esempio di queste “scoper-te”, di norma frutto di gravi sottovalu-tazioni, ha riguardato il cantiere nava-le, l'ultimo stabilimento industriale delCapoluogo ancora degno di tale defini-zione, nonostante il suo notevole ridi-mensionamento produttico e occupa-zionale.

Uno stabilimento che fin dall'inzio del '900 ha rappresentato un sito da aristo-crazia operaia, significativamente sinda-calizzata e capace di una notevole attivitàvertenziale, fin dai tempi del segretario della Fiom Giovanni Orcel, assassinato nel 1920. Maestranze, quelle del Cantie-re, in grado di condurre, oltre ad evolutevertenze contrattuali, un contrasto con la mafia del quartiere Montalbo-Acquasan-ta, da sempre interessatissima al control-lo delle attività economiche nel cantiere e nel porto.

Questo scontro è culminato nel 1947 inuno scontro nel quale gli sgherri del bossNicola D'Alessandro spararono a degli operai che a loro volta stavano per im-piccare un mafioso e pretesero l'allonta-namento del dirigente fascista Emilio Ducci, voluto dalla proprietà dei Piaggio e connivente con i mafiosi.

Nei decenni successivi si è attenuata notevolmente la capacità di reazione de-mocratica e antimafiosa degli operai e della dirigenza politico-sindacale e tanto era impunita quanto risaputa la presenza invasiva nello stabilimento dei mafiosi dell'Acquasanta, soprattutto i Galatolo. Questa antica ed influente dinastia ma-fiosa controllava, il quartiere del cantie-re, avendo addirittura in mano la locale Stazione dei Crabinieri, e facendo il bel-lo e cattivo tempo nello stabilimento controllando i subappalti e il caporalato dei lavoratori avventizi.

Le denunce di Basile

Verso la fine degli anni '80 la situazio-ne esplose quando le indagini della Pro-cura di Palermo dimostrarono la fonda-tezza delle denunce dell'operaio Gioac-chino Basile - minacciato dai mafiosi, li-cenziato dalla Fincantieri e perfino espulso dal sindacato della Cgil – circa l'asfissiante controllo del cantiere ancoraad opera dei Galatolo e dei loro affiliati. Iconseguenti provvedimenti giudiziari, ol-tre a colpire alcuni esponenti influenti della cosca, suscitarono alcune utili ini-ziative extragiudiziarie come l'adozione di un protocollo di legalità, ma senza ap-profondire adeguatamente le responsabi-lità, personali ed oggettive, del manage-ment del cantiere che pure dalle carte giudiziarie non usciva con una buona im-magine.

Sembrava a qualcuno che il clamore diquella indagine, con i suoi sviluppi giu-diziari, potesse avere creato una sorta di

cordone di legalità attorno allo stabili-mento, ma, in realtà, chi viveva nel quar-tiere coglieva i segni non scalfiti del po-tere dei Galatolo, con i suoi esponenti e affiliati a piede libero, non solo nel can-tiere, ma anche nel porticciolo turistico dell'Acquasanta.

La realtà raccontata da recentissime in-dagini, culminati in una retata di mafiosi,hanno confermato il controllo mafioso dei Galatolo – direttamente ma anche mediante il prestanome Giuseppe Corra-dengo, tutt'altro che insospettabile come titolato dai giornali - non solo del cantie-re di Palermo, ma anche di quelli di Tra-pani, Messina e di altri cantieri del nord come Porto Marghera e La Spezia.

Questa vicenda suscita parecchi dubbi e, tuttavia, è probabilmente utile concen-trare la riflessione in due domande-chia-ve. Nello specifico, c'è da chiedersi se non c'è una costante sottovalutazione della capacità di adattamento della mafia anche da parte degli organi investigativi tendenti a svolgere indagini troppo lega-te ad episodi eclatanti e non ad un con-trollo costante del territorio che potrebbe monitorare per tempo l'effettiva presenzae pericolosità delle famiglie mafiose.

Le responsabilità aziendali

Dalle azioni repressive a seguito delle denunce di Basile ad oggi sono trascorsi circa 25 anni in cui del declino del con-trollo mafioso del territorio del cantiere navale non si è accorto nessuno. Inoltre, c'è da chiedersi come mai il managementdel Cantiere reiteratamente non ha notatonulla di sospetto dentro lo Stabilimento ese non sarebbe il caso di approfondire re-sponsabilità di gestione aziendale, a par-tire delle procedure per l'affidamento e lagestione complessiva dei subappalti in Fincantieri, visto che la Magistratura so-stiene che da Palermo si controllavano anche gli altri cantieri del nord?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6868

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Messina

Un sindaco“bene comune”?Un candidato anomaloin una “normale” cata-strofe: come finirà?

di Tonino Cafeo

Renato Accorinti, professore di edu-cazione fisica, è diventato - in qua-rant’anni di battaglie civili, pacifiste e ambientaliste - quasi un'icona dell’impegno disinteressato e della po-litica fatta per passione, in strada.

Renato era a Comiso negli anni ottan-ta, era a Messina quando i quattro gatti che si opponevano allo scempio del Pon-te sullo Stretto sono piano piano diventa-ti ventimila e poi sempre di più. E' stato con i rom e tutti gli emarginati, con le vittime di mafia come Graziella Campa-gna e Attilio Manca, con i ragazzi e le ra-gazze del Teatro Pinelli Occupato.

Nel campetto di atletica “ Santamaria “ex Gil, in quella che una volta era la peri-feria sud di Messina, ha allenato genera-zioni di giovani atleti che lo ricordano più come un maestro di vita che come unsemplice trainer. Come le centinaia di ra-gazzi che lo hanno avuto per insegnante alle medie, in ore che – fra una canzone di de Andrè e un ricordo di Don Milani- sono state molto più che semplice scuola dell’obbligo.

La candidatura a sindaco di Renato Ac-corinti matura in un momento drammati-co della storia messinese. In una città an-cora una volta commissariata, dopo un’amministrazione di centrodestra sui cui uomini si addensa un fondato giudi-zio di assoluto disinteresse per il bene comune, tremila cittadini dalle più varie estrazioni sociali e culturali, firmano unapetizione in cui gli chiedono di mettere la faccia per la prima volta anche in una battaglia franca ed esplicita di conquista delle istituzioni.

E’ l’autunno 2012, quello dello Tsuna-mi grillino e dello sfacelo politico: il Pd pensa al fidanzamento con l’Udc speri-mentato a Palazzo dei Normanni, persinoSel di Nichi Vendola (che Renato non ha mai nascosto di apprezzare) si limita a ri-volgergli un appello a partecipare alle primarie. Finisce che, dopo un momento di incertezza, Accorinti, in una fredda mattina di gennaio, annuncia la sua corsain solitaria a una emozionata e gremita platea, nel Salone delle Bandiere del mu-nicipio di Messina.

Gruppi parrocchiali, volontariato...

Da quel giorno è un crescendo di ade-sioni e di iniziative. Renato batte, come del resto ha sempre fatto per le innume-revoli cause per cui si è impegnato, stra-de e villaggi. Uno per uno. Rifondazione Comunista è con lui, così come la galas-sia del sindacalismo di base e del movi-mentismo messinese. Ma questo schiera-mento non si cristallizza in un’etichetta. Aderiscono a “Cambiare Messina dal Basso” (come la lista di Accorinti s'è vo-luta chiamare) soggetti e personalità non riconducibili al piccolo mondo della sini-stra antagonista. Molto volontariato cat-tolico, molti gruppi parrocchiali di peri-feria, intellettuali miti e ragionatori comel’economista Guido Signorino, la “men-te” accademica del movimento. E soprat-tutto la cosiddetta gente comune.

Mai prima d’ora a Messina, per strada, nei mercatini rionali, nei villaggi in colli-na, un candidato dal look così aperta-mente “alternativo” era stato applaudito o perlomeno ascoltato senza pregiudizi quanto Renato Accorinti.

Ma perché un uomo che a sessant’anni mantiene l’aspetto gioioso e un po’ naif degli hippies anni 60 riscuote un succes-so così vasto in una città in fondo provin-ciale e venata di bigottismo come Messi-na? Sicuramente c’entra molto la crisi del vecchio sistema di potere. Potenti clientele mantenute nel corso dei decennicon un sapiente controllo della spesa pubblica sono in affanno per le ricadute della crisi del debito sulla realtà siciliana.

Il clan di Totò Cuffaro e quello - tutto sommato omologo - di Raffaele Lombar-do sono crollati sotto i colpi delle inchie-ste giudiziarie e soprattutto per il pro-sciugamento delle risorse che alimenta-vano stipendifici e fabbriche di privilegi.

Il welfare locale, mai di alto livello, è definitivamente entrato in affanno a cau-sa dei debiti che stanno portando le fi-nanze del Comune sull’orlo del default. acittà è quotidianamente percorsa da cor-tei e punteggiata da presidi di lavoratori disperati, che non hanno più nemmeno una controparte con cui scontrarsi. I pun-ti di maggior sofferenza si chiamano Ser-vizi sociali, Teatro Vittorio Emanuele, Birra Messina, ATM (trasporti pubblici).

In questo quadro drammatico il Partito che fu di Bersani non ha saputo nè volutocandidarsi a rappresentare un’alternativa credibile, preferendo il piccolo cabotagg-io degli accordi coi pezzi del vecchio po-tere in fuga da posizioni discreditate.

Una città da cui si fugge

Se a livello regionale questa strategia si è concretata nell’esperienza per certi versi anomala della giunta Crocetta, a Messina la proposta politica del PD in sostanza consiste nel patto fra i due gol-den boys dei giovani Dc anni '80: Fran-cantonio Genovese e il neo-ministro Giampiero D’Alia. Troppo poco per una sinistra priva di memoria e marginale, e soprattutto troppo poco per una città in cui si vive male, da cui i giovani fuggonoa gambe levate.

Accorinti ai messinesi parla di cose an-tiche come la politica come servizio, la dignità, la qualità della vita. Quando rac-conta delle scuole materne di Reggio Emilia o delle biblioteche pubbliche ber-linesi allude a cose che in un paese civilesarebbero persino banali ma che in riva allo stretto sembrano fantascienza.

I cittadini, però, sembrano credergli davvero. Forse perché prima delle parole astratte l’esperienza politica di Renato è costruita sulla quotidianità di una perso-na che parla come pensa e agisce allo stesso modo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6969

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Catania

L'acquala cittàla polisSara Giorlando è stata una delle protagoniste del forum dell’acqua che ha portato alla vit-toria del referendum “acqua bene comune”.Una grande vittoria di popolo che ha sancito il diritto alla partecipa-zione democratica e il principio che le deci-sioni d'interesse comu-ne debbono partire da una “polis” costruita dal basso

di Giovani Caruso www.associazionegapa.org

Puoi raccontarci in breve le motiva-zioni ideali che ti spinsero a partecipa-re ai movimenti dell’acqua bene comu-ne?

È stato un percorso naturale, fin dai collettivi studenteschi ci siamo resi contoche stavano privatizzavano la scuola, l’università, i saperi. Nel frattempo arri-vò Seattle, il movimento no-global, e così ci siamo accorti che ci battevamo, intanti e in Paesi diversi, contro la mercifi-cazione dell’esistenza.

Poi nel 2000 migliaia di persone mani-festarono a Cochabamba contro la priva-tizzazione dell’acqua, venduta ad una multinazionale. Una risorsa indispensa-bile alla vita veniva trasformata in una merce.

Un piccola rete di cittadini

E così, anche, in Italia nacque una pic-cola rete formata da chi pensava che la privatizzazione dell’Acqua fosse l’emblema degli effetti delle politiche neoliberiste di sottrazione degli spazi e dei beni comuni. Per noi parlare di acquavuol dire parlare di tutte le privatizzazio-ni dei beni pubblici e dei danni che crea questo modello economico.

Inoltre, ha permesso di unire approcci e percorsi diversi: perché parlando di ac-qua parliamo di tutela del territorio, di cambiamenti climatiche, di grandi infra-strutture; di mafia e di guerre dell’acqua, di immigrazione; di salute e di qualità delle acque; di inquinamento, risparmio, riuso e riciclo; di lavoro; di che tipo di agricoltura e di che produzione voglia-mo, quali bisogni soddisfare, come sod-disfarli e con quali priorità.

Nel frattempo discutevamo anche di democrazia partecipativa, guardando a Porto Alegre, e arrivammo alla costitu-zione del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, che dal basso e mettendo in-sieme l’esperienza dei tecnici e dei mili-tanti dei vari comitati locali, scrisse una legge di iniziativa popolare, che però ri-mase chiusa in un cassetto e così, corag-giosamente ci lanciammo nell’avventura del referendum.

I movimenti per l'acqua bene comu-ne vinsero nel 2011 il referendum e i “si” furono la stragrande maggioran-za, pensi che a due anni dal referen-dum questa vittoria sia stata rispettata

dalle amministrazioni ed enti pubblici in tutto il territorio nazionale?

Purtroppo no. Anche il Comune di Ca-tania, in barba al referendum, qualche mese fa ha tentato di privatizzare la Si-dra, la società di gestione dell’acqua, ma presidiando il Consiglio Comunale siamoriusciti ad impedirlo. Abbiamo dimostra-to che la lotta paga, che l’unico modo perdifendere i diritti e i beni comuni è parte-cipare. Il nostro assedio continuo al con-siglio comunale ha dato i suoi frutti. Se non fossimo stati lì presenti per mesi a spiegare che non era vero che la privatiz-zazione fosse un obbligo e che privatiz-zare l’acqua fosse addirittura illegittimo non avremmo ottenuto questo risultato.

Tuttavia abbiamo salvato solo l’acqua: l’amministrazione ha imposto di votare una delibera con cui ha deciso di priva-tizzare le altre società partecipate.

Però il referendum ha cambiato tante cose e da lì dobbiamo ripartire. Innanzi-tutto, ha dimostrato che la maggioranza degli italiani si sta risvegliando dal “pen-siero unico”, che non è vera la favoletta del “privato è bello” e che possiamo spe-rimentare un pubblico nuovo basato sullapartecipazione diretta dei cittadini.

Un salto di qualità

Cosa ti ha fatto decidere di entrare in un movimento politico come “Cata-nia bene comune”, che parteciperà allacompetizione elettorale per le ammini-strative catanesi del 9 giugno?

Penso che i movimenti debbano conti-nuare il proprio percorso compiendo un ulteriore salto di qualità: proporsi come capaci di amministrare. Ed è proprio dal livello comunale che si possono speri-mentare nuove forme di governo parteci-pato ed è da qui che si può organizzare una mobilitazione vincente contro le po-litiche di austerità.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7070

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“Prendersi cura della città”

Ciò si può fare, innanzitutto, chiarendoche la creazione del debito comunale è andata a vantaggio di pochi e non della maggioranza delle persone. Occorre dire che non abbiamo intenzione di pagare debiti che riteniamo illegittimi, perché sono serviti non a realizzare politiche di sviluppo sociale della città, ma a coltiva-re gli interessi di pochi.

Partendo dalla ripubblicizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, energie…) si può pensare un’economia nuova, che salvaguardi insieme ambien-te, occupazione, redditi ed equità; che valorizzi le professionalità e le esperien-za esistenti; che valorizzi i quartieri ri-scoprendoli e rispettandoli, che grazie aduna pianificazione urbanistica partecipa-ta rilanci un turismo equo e sostenibile. Questo è “Catania Bene Comune”.

“Catania Bene Comune”

Ma l’idea di partecipare alla costruzio-ne di “Catania Bene Comune” nasce, per me, anche da un’altra esigenza: dire che sono di sinistra e lo sono perché voglio invertire le politiche dei ricchi contro i

poveri, perché voglio liberarmi dal fasci-smo, dalle mafie e dall’affarismo.

Uno dei limiti del movimento è stato quello di non far emergere esplicitamentecome vi sia una classe sociale che paga earricchisce le altre e di non essersi soffer-mato ad analizzare da chi è composta questa classe. Adesso credo sia giunto il momento di farlo.

Per l’affermazione di tali diritti, per la tutela del territorio, per la salva-guardia delle periferie e dei quartieri di Catania, ritieni che l’ostacolo più grande siano la corruzione e le mafie? E come pensi di combattere questi due fenomeni in modo concreto?

L’esperienza che ho raccontato sopra sul consiglio comunale è l’esempio di un’Amministrazione che utilizza i servizipubblici come ammortizzatori sociali, i lavoratori come bacino di voti e i consi-gli di amministrazione per piazzare i po-litici non eletti. È l’ulteriore riprova che iComuni oggi sono svuotati di legittimità.Un Comune che trasforma i propri citta-dini in “clienti” addirittura del proprio Sindaco (azionista dentro le partecipate) rompe ogni idea di comunità e quindi di democrazia. Tutto ciò nel nostro

territorio vuol dire lasciare spazio ai poteri affaristici e mafiosi.

Ricostruire da basso il “Comune”

Per questo l'unica arma capace di scon-figgere le mafie è ricostruire dal basso il “Comune”, liberare pezzo per pezzo que-sta città combattendo l’abbandono scola-stico, creando delle scuole nuove che sappiano essere inclusive e aperte ai bi-sogni dei quartieri, creando un’alternati-va economica che non si basi sullo sfrut-tamento del territorio, ma su piccoli in-terventi decisi insieme agli abitanti, che crei spazi di socialità e condivisione (orticollettivi, luoghi per lo sport e il gioco…) e quindi di democrazia e re-sponsabilità. Un Comune che risponda alle reali esigenze dei suoi abitanti. Una nuova idea di città, che parte dal prender-si cura della città stessa.

Il percorso è solo all’inizio ed è lungo, anche perché richiede un profondo cam-biamento culturale, ma se non iniziamo acoltivare il sogno di una Catania diversa questa non vivrà mai.

Foto di Pasqualino Cacciola

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7171

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Sicilia/ Società civile

Palagonia,la primaveraferita Fra debiti e vandali,unanno dopo le elezioni del rinnovamento

di Claudia Campese www.ctzen.it

Si aspettavano le casse vuote, ma hanno trascorso i primi 12 mesi di nuova amministrazione tra i conti pi-gnorati e i continui atti di vandalismo verso scuole, strutture comunali e per-sino la stessa auto del presidente del consiglio Salvo Grasso.

E’ il bilancio del primo anno del sin-daco Valerio Marletta e della sua giovanegiunta. I palagonesi, intanto, restano in attesa: «Per come ha trovato il Comune, è passato ancora troppo poco tempo per giudicare»

Un anno fa gridavano alla liberazione.

Oggi è ancora di attesa l’aria che si respi-ra a Palagonia, dove i cittadini conserva-no un ricordo di quella che doveva esserela primavera palagonese in parte sbiaditodai tanti problemi di questi mesi.

Dopo anni di governo gestito da una sola famiglia – i Fagone, nonno, padre e figlio – e macchiati da indagini e proces-si antimafia, l'elezione di un sindaco, unagiunta e un consiglio per lo più giovani eprovenienti da Rifondazione comunista erano stati il riscatto di una comunità.

Col settanta per cento

A dirlo, lo scorso maggio, un ballottag-gio lampo, durato meno di un'ora, con il quale Valerio Marletta si è imposto sullo sfidante Francesco Di Stefano con oltre il70 per cento delle preferenze dei palago-nesi. Eppure a quell'entusiasmo sembra essersi sostituita la stanchezza del primo cittadino Marletta e del presidente del consiglio comunale Salvo Grasso, così

come la rassegnazione dei cittadini. Che da mesi assistono a continui atti vandalici contro le scuole e altre strutturedel Comune.

“Eppure nessuno ha parlato”

«Non può essere un caso», commenta-va il sindaco a proposito del raid vandali-co di novembre contro le scuole materne di via Amedeo e via Archi. Arredi di-strutti, libri e quaderni strappati, i nuovi pannelli fotovoltaici scomparsi. Un dan-no di circa cinquemila euro, secondo l’amministrazione.

«Una risposta da parte di qualcuno ce l’aspettavamo, ma è anche impossibile che nessuno dei cittadini abbia visto niente – continua Marletta – Eppure nes-suno ha parlato. Noi l’avevamo detto chiaramente: non era cambiando l’ammi-nistrazione che si creava il bene comune,ma preservandolo»

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7272

SchedaSICILSALDO: IERI PAGAVA LA MAFIAOGGI PIGNORA ILCOMUNEIl passato del Comune di Palagonia è spesso al centro delle udienze del processo Iblis, che si svolgono nel carcere di Bicocca di Catania. A marzo, mentre la nuova amministrazione stringeva la cinghia al limite, a testimoniare in aula è stato Angelo Brunetti, titolare della Sicilsaldo, la stessa ditta che in un primo momento aveva ottenuto il pignoramento delle casse pubbliche palagonesi. Una delle tante aziende vittime di estorsione non solo da parte di Cosa nostra, secondo i magistrati, ma anche dell'area grigia tra mafia e politica.Un caso di imprenditoria connivente, invece, secondo i legali della difesa di alcuni imputati. E quello che viene tratteggiato in aula è in effetti uno scenario contorto. Rappresentante della ditta appaltatrice dal 1999 di diversi lavori a Palagonia - dalla via di fuga «da un paio di milioni di euro» al metanodotto -, Brunetti racconta che «fin dal primo lavoro, il sindaco Salvino

Fagone mi aveva detto che dovevo rivolgermi a ditte e personale del luogo, anche se noi avevamo tutte le attrezzature». Società di personaggi oggi imputati o condannatiin primo grado per associazione mafiosa o ancora sospettati di concorso esterno a Cosa nostra.Dal subappalto alla richiesta della cosiddetta messa a posto il passo è stato breve: in due tranches da 50 e 60mila euro. Richieste che però non sarebbero bastate a Brunetti per prendere le distanze dai suoi presunti estorsioni, ipotizzano gli avvocati della difesa. C’è chi mostra una foto del testimone a una cerimonia di famiglia a casa di un imputato. E chi ricorda invece come la moglie di Brunetti, proprietaria di una cantina vinicola, abbia fatto affari vendendo il proprio vino nel bar del distributore di benzina del presunto boss di Ramacca Rosario Di Dio.Di certo c'è solo che, 14 anni dopo e ormai trascorsi diversi governi di Fagone padre e figlio, la Sicilsaldo avanza e richiedeun credito dal Comune di Palagonia per due milioni e 400mila euro.

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“Quando dicidi no

e imponile regole

della legge,a qualcuno

dà fastidio”

E che non si tratti di comuni atti di

vandalismo è dimostrato anche dall'ulti-mo caso quando, pochi giorni prima del 25 aprile, l'impianto elettrico della basili-ca di San Giovanni, dove l’amministra-zione aveva deciso di festeggiare la ri-correnza della Liberazione, è stato dan-neggiato e il contatore rubato.

L'automobile bruciata

Il motivo di questi attacchi, secondo i nuovi amministratori, sarebbe il nuovo corso della gestione della cosa pubblica inaugurato a Palagonia. Servizi sociali controllati «mentre prima erano gestiti inmodo clientelare», appalti pubblici ad importi più contenuti, convenzioni a tito-lo gratuito come per il fotovoltaico o il wifi libero.

«Quando dici dei no e torni a regola-rizzare tutto, a qualcuno dà fastidio», spiega Salvo Grasso. Che ha dicembre haritrovato la sua auto bruciata. Un evento di certo doloso, ma sul quale i carabinieristanno ancora indagando. «Colpendo me hanno voluto avvertire l’amministrazio-ne», commenta Grasso, senza lasciarsi

tropo trasportare dall’emozione. «Abbia-mo visto Salvo tranquillo e anche la sua famiglia, quindi l’intimidazione non ci ha sconvolto più di tanto», aggiunge il sindaco.

Anche perché di cose a cui pensare, a Palagonia, in questi mesi ce ne sono statetante. Il macigno più pesante per la nuo-va amministrazione è stato di certo il contenzioso con la SicilSaldo. Azienda – tra le protagoniste del processo Iblis sullepresunte collusioni tra politica, mafia e imprenditoria nel Catanese – che aveva svolto alcuni appalti nel Comune.

La SicilSaldo

Correva l’anno 1999 e, da allora, nes-suno aveva mai pagato alla ditta gli ade-guamenti di fine lavori. Una cifra che, nel tempo, è lievitata fino a raggiungere un credito di due milioni e 400mila euro.L’azienda in un primo momento ottiene ilpignoramento delle anticipazioni di cassadel Comune.

Si tratta del prestito che ti concede la banca per pagare la spesa corrente: dagli stipendi dei dipendenti alla manutenzio-

ne spicciola – spiega Grasso – Il necessa-rio per andare avanti quotidianamente». Inetturbini non raccolgono più i rifiuti. I dipendenti comunali non ricevono gli stipendi. «Da due mesi siamo costretti a mettere anche di tasca», spiega il sindaco. Fino alla decisione del giudice, arrivata lo scorso 27 marzo, di sbloccare le casse comunali. Comunque vuote.

E il passato ritorna ancora una volta a Palagonia a fine aprile, quando al Comu-ne vengono chiesti altri 400mila euro perun debito che risale al 2003: il mancato pagamento del conferimento in discarica dei rifiuti. «I debiti che hanno lasciato glialtri, se li è caricati lui», sospira un an-ziano cittadino.

Un debito di dieci anni fa

«Per quello che c’era al Comune, che era disastroso, è passato ancora troppo poco tempo», aggiunge un ragazzo. «Cambiamenti ce ne sono stati pochi, però il signor sindaco ha la buona volon-tà di rimettere in sesto questo paese che va a rotoli da dieci anni», gli fa eco un altro. Non tutti sono d’accordo. «L’ho votato perché mi sembrava una persona perbene, ma sicuramente ha da mangiare qualcosa anche lui – commenta un giova-ne – Qua lavoro non ce n’è, non c’è nien-te, Palagonia fa schifo».

Una voce non del tutto isolata, ma che sembra comunque minoritaria nel clima di attesa generale. I più disillusi sono gli anziani palagonesi, che tante ne hanno vissute in questi anni. «Se fosse stato per me – sentenzia un cittadino, interrom-pendo la sua partita a carte – Io avrei dato le dimissioni».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7373

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Napoli

Il fortino assediato

Cosa sta accadendo a Napoli? Un

clima pesante sembra aver avvolto la

città. Esplosione di ordigni sotto la

sede del Comune di Napoli, finti fune-

rali, ripetuti allarmi bomba contro il

municipio e le stazioni della metropoli-

tana, blitz improvvisi e occupazioni dei

palazzi delle istituzioni.

Serrate a tappeto dei commercianti

contro i provvedimenti di Ztl (zona a

traffico limitato), blocchi stradali, im-

provvisi scioperi dei dipendenti dello

stesso Comune in coincidenza con mani-

festazioni internazionali.

E se non bastasse anche la strana con-

vergenza di una parte dei media con

gruppi di pressione “talebana” sorti come

funghi sui social network. Non è solo le-

gittimo dissenso ma qualcosa in più. I

successi dell'amministrazione arancione

restano sullo sfondo: l'organizzazione di

grandi eventi, (Coppa America, Giro

d'Italia, concerto di Bruce Springsteen),

l'aver cacciato una variegata vegetazione

di lobbisti e strani personaggi borderline,

l'aver ridotto il debito accumulato dalle

gestioni precedenti e aggravatosi con i

tagli dei trasferimenti del Governo e gli

effetti della spending review sugli enti

locali.

Un assalto continuo

Il sindaco Luigi de Magistris è sotto

scacco. Un assalto continuo. Un assedio

al fortino che scatena gli istinti più pri-

mordiali e naimaleschi. Un rancore e un

odio che cova sotto le ceneri di una città

abituata ai compromessi, al mercanteg-

giare, al barare con il gioco delle tre car-

te. E' difficile capire una città, dove nor-

malmente non si capisce nulla.

La domanda ritorna : Cosa sta acca-

dendo a Napoli? E' in corso una saldatura

tra ambienti apparentemente lontani che

trovano un inaspettato coagulo e sintesi

nella contrapposizione al primo cittadi-

no. Commenti, per usare un eufemismo,

al limite della diffamazione sono venuti

fuori dai social network dopo la notifica

di un avviso di garanzia al sindaco e al

suo assessore al traffico per una presunta

responsabilità oggettiva per la presenza

delle buche nelle strade partenopee. Un

venticello che soffia e fa il paio con ciò

che si muove nella piazza.

Strategia di spodestamento

Chiariamo: non ci troviamo di fronte al

legittimo protestare o l'espressione del

sacrosanto dissenso; è un qualcosa che

ha il sapore della ritorsione, della vendet-

ta, delle restaurazione più bassa. Una

sorta di lenta ma implacabile strategia di

spodestamento. C'è la palese volontà

d'imporre e dettare un'agenda al governo

della città, un tentativo di riportare indie-

tro le lancette della storia, aprire varchi

per riportare dinosauri e interessi partico-

lari nelle stanze del municipio.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7474

Un sindaco in bilico, stretto all'angolo e stritolatoda proteste e ritorsioni. Un saldatura tra ambienti apparentemente lontani che puntano suPalazzo San Giacomo

di Arnaldo Capezzutowww.ladomenicasettimanale.it

La legge La Torre, fondamentale per il controllo dell'imprenditoria mafio-sa, venne approvata solo dopo l'assassinio del suo promotore. Di cui, tanti anni dopo, sono ancora sconosciuti gli assassini e a malincuore tol-lerate le idee

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Memoria

Pio La Torre trentun anni dopo

Il 30 aprile del 1982, la vigilia della festa dei lavoratori, veniva ucciso a Palermo Pio La Torre, segretario re-gionale del Partito comunista. Insieme a lui veniva trucidato il suo collabora-tore Rosario Di Salvo.

Morivano due comunisti, si riannodavadopo più di trent'anni anni un filo tragi-co: la strage di Portella Della Ginestra, l'eccidio di magistrati, sindacalisti, gior-nalisti e tanti altri uomini che hanno combattuto a viso aperto il sistema poli-tico-mafioso.

Alla fine degli anni 70 Pio La Torre, allora deputato al parlamento, inizia a preparare la legge che introdurrà l'artico-

lo 416 bis del codice penale.Il 31 marzo del 1980 l'on. Pio La Torre

presenta alla Camera Dei Deputati la proposta di legge dal titolo "Norme di prevenzione e repressione del fenomeno mafioso e costituzione di una commissio-ne parlamentare permanente di vigilanzae di controllo".

La legge che porta il suo nome viene approvata ma solo dopo la sua uccisione.

Pio La Torre si era battuto contro l'installazione della base missilistica a Comiso, aveva percepito quanto fosse pericolosa questa miscela di interessi lo-cali ed intenazionali.

Alla fine Pio La Torre viene ucciso an-che perchè isolato dentro il suo partito.

Dopo la sua uccisione si incomincia a parlare di una cosiddetta "pista interna".

La moglie di La Torre dichiarò più vol-te che Pio era tornato in Sicilia per fare pulizia nel partito.

Rifiutò la Costituzione di parte civile nel processo nella convinzione che ciò spettasse al partito.

Dopo trentun anni dall'eccidio ignoti rimangono i mandanti.

Il male profondo ha un solo nome, si chiama isolamento, solitudine, voglia di dimenticare.

E' accaduto per Pio La Torre, sarebbe accaduto per tante altre vittime del siste-ma politico-mafioso.

Antonio Cimino

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7575

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Mestieri

Le “compagne”della sartoriaUn vecchio laboratorio di taglio e cucito, nel cuore del quartiere. Maforse qualcosa di più

di Marcella Giammusso foto di Paolo Parisi

www.associazionegapa.org

“Sin da bambina mi piaceva cucire, e

quando da ragazzina cominciai a lavo-rare in una fabbrica tessile, dove io fa-cevo piccoli lavori di manovalanza, mi piaceva osservare le operaie che taglia-vano le camice o i pantaloni.

Avevo tanta voglia di imparare quel me-stiere! Così quando una capo operaia si accorse della mia vocazione e mi diede la possibilità di imparare il taglio dei capi nefui molto felice. Tagliavo le stoffe per molte ore della giornata, ma siccome le forbici erano molto pesanti e molto grandirispetto alla mie piccole mani, spesso mi venivano le piaghe alle dita. Ma non mi importava, mi importava solo di imparare a tagliare e cucire!”

Insegnare l'arte

Con queste parole Antonella Motta, la sarta del quartiere di San Cristoforo a Ca-tania, l'anno scorso ha iniziato il primo in-contro del laboratorio di sartoria nella sede dell’associazione Gapa in via Cordai 47. Un laboratorio proposto dalla stessa Antonella e sostenuto dai volontari del Gapa con l’obiettivo di insegnare a chi neavesse voglia l’arte del cucire e nella spe-ranza che questa potesse diventare un mezzo di lavoro e di guadagno per chi ne avesse voglia, capacità ed entusiasmo. Già, perché l’entusiasmo per il suo lavoro,la gioia di insegnare e la generosità versogli altri sono le caratteristiche che distin-guono Antonella.

“Io qualcosa la so fare, però mi piace frequentare perché imparo cose nuove e faccio qualcosina per me, e poi mi piace perché trovo gente accogliente e disponi-bile” dice Maria.

“Vengo per imparare”, interviene Meli-na “così compro la stoffa e mi faccio i ve-stiti picchì sugnu ponchia.”

Dopo le prime lezioni teoriche si è pas-sati subito alla pratica e sotto la guida dell’insegnante le partecipanti hanno cuci-to dei capi per loro stesse, per le loro fi-glie e per i loro mariti ed a fine corso c’è stata una bellissima sfilata con la premia-zione degli abiti più belli.

Adesso siamo al secondo anno del cor-so di sartoria e grazie al passaparola fra lesignore del quartiere c’è un’affluenza maggiore. Al laboratorio partecipano an-che due ragazze laureate, Vanila e Cristi-na, che hanno un lavoro precario, che vo-gliono imparare a tagliare e cucire sia per potere guadagnare qualcosa cucendo abiti

e vendendoli, sia perché questa attività può aiutarle a realizzare altri oggetti arti-gianali. Le signore vengono in sede, tira-no fuori dalle proprie borse le stoffe, ta-gliano i capi, imbastiscono, cuciono, pro-vano, riprendono le cuciture, allargano, stringono.

Solidarietà e amicizia

Ma il corso di sartoria non è solo que-sto, è qualcosa di più. E’un modo per in-trecciare rapporti di amicizia e solidarietà attraverso la concretezza di un’attività manuale. Infatti durante tutta questa atti-vità di taglio e cucito c’è un continuo par-lare fra le donne, un assiduo confronto frapersone che vivono le stesse ansie che hanno le stesse preoccupazioni.

Un continuo raccontare i propri proble-mi familiari. Il marito che non c’è più, i figli che non trovano lavoro, i soldi che

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“I figli senza lavoro,i soldi che

non bastano mai...”

z

non bastano mai. E poi il loro ruolo di donne, un ruolo pesante che non viene mai riconosciuto, ma che viene sempre portato avanti con responsabilità, forza e volontà.Occuparsi della casa e del marito, badareai figli e spesso anche ai nipoti, farsi ca-rico dei genitori anziani e malati e poi quando il marito non lavora quello di sbracciarsi le maniche e fare qualsiasi la-voro, anche il più umile.

Senza piangersi addosso

Ne parlano senza piangersi addosso. Trovano solidarietà fra loro e si danno consigli utili a superare i grossi proble-mi.

“Qui siamo come una famiglia” affer-ma Lucia “ organizziamo incontri, a vol-te andiamo a mangiare fuori e stiamo bene insieme.”

Mimma, 75 anni ”Avevo 23 anni quan-do sono andata in Belgio a lavorare ed hofatto la pantalonaia per 10 anni perciò so cucire. Faccio la nonna, la mamma, la sorella e la badante. Ma nonostante tutto

sono una donna solare ed allegra e vengoqui perché mi piace stare in compagnia e perché mi piace fare qualcosa per gli al-tri... Qualche giorno mi ritiro a casa con gli occhi neri perché mi interesso sempreagli altri!”

“Peccato che non sono venuta prima”!

“Ho cresciuto i miei figli, i miei nipoti-ni ed adesso ne sto crescendo un altro.” dice Enza “Ad un certo punto non mi sentivo realizzata e volevo fare qualcosa di diverso per tenere la mente occupata, anche perché ho avuto un po’ di depres-sione perché ho mio figlio che non lavo-ra. Venire qui mi fa sentire bene e non penso a niente. E’ bello anche per le per-sone che ci sono. Peccato che non sono venuta prima!”

Poi all’improvviso Mimma tira fuori una battuta di spirito e allora si ride in-sieme, si sdrammatizza, si parla d’altro. Basta piagnistei, basta pensare ai proble-mi giornalieri. Quella mattinata è dedi-cata a noi donne della sartoria e ce la dobbiamo godere tutta.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7777

TEATRO MESSINA,26 MAGGIOPOPOLARE AL PINELLI

“LIBRINO”"Librino" è una parte della mia vita

da ragazzino nel mio quartiere a Ca-tania. Non è un monologo, è la mia storia raccontata agli amici. Sono i miei umori, e le voci della strada chemi sono portato dappresso; dal mo-mento in cui sono andato via da quella periferia.

Che senso ha, portarlo qui al Tea-tro Pinelli? Il senso sta nella voglia di denuncia di ogni violenza, di ogni violenza implicita, rimosso dai silen-zi Il senso sta nel provare a incon-trare qui, persone e voci e storie chelegano la periferia di Catania, a quel-la di Messina, e di ogni altra perife-ria.

Non voglio restare in silenzio.Tra stare zitti e gridare, preferisco

la possibilità di essere solidale con ogni altra violenza, vissuta in questopaese: la violenza a quella donna, il licenziamento sul lavoro di quell'operaio, la malasanità, la com-pravendita del diritto a non soccom-bere.

Dei giornali, della televisione, dei dibattiti, della piazza virtuale, dei mercati, della pubblicità, da questo o quella condizione, possiamo deci-dere di morire senza gridare.

Oppure uscirne insieme.

Luciano Bruno https://www.youtube.com/watch?v=t21vw8OBwu0

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Pianeta

Le nozze segretefra Googlee AssangeL'incontro, riservatissi-mo, è venuto fuori soloora. Schimidt e Assan-ge hanno parlato a lun-go di strategie, e so-prattutto di moneta elettronica e Bitcoin

di Fabio Vita www.bitcoinquotidiano.com

Poco più di un anno fa (Siciliani gio-vani, feb.2012) scrivevamo che il presi-dente di Google Eric Schmidt aveva ri-velato l'intenzione della sua compagnia di studiare una moneta elettronica.

Adesso, la trascrizione di un incontro - finora segretissimo - tra Schmidt e il fondatore di Wikileaks Julian Assange conferma l'interesse di Google per la moneta elettronica.

L'incontro è avvenuto nel giugno del 2011, con un Assange quindi non ancora barricato nell'ambasciata equadoriana ma già in stato di fermo in una casa della campagna inglese.

Si sapeva che numerosi personaggi del mondo tecnologico e alternativo - come Steve Wozniak, co-fondatore di Apple - erano andati a visitare Assange durante le sue peripezie. Ma che fra loro ci potesse essere il capo del principale brand del pianeta nessuno l'aveva mai lontanamenteimmaginato.

La trascrizione completa

Wikileaks pubblica ora la trascrizione completa, con tanto di audio, delle cinque ore di incontro fra "il capo della gilda dei ladri" - diciamo così - e il massimo potentato dei Sette Regni. C'erano anche Jared Cohen, ex consigliere del Segretariodi Stato di Hillary Clinton e coautore con Schmidt di The New Digital World (pubblicato il mese scorso), Lisa Schields,vicepresidente del Council on Foreign Relations e Scott Malcomson, speechwriting director dell'ambasciatrice Usa all'Onu Susan Rice.

A un curioso Schmidt, Assange spiega l'evoluzione dei sistemi crittografici. Poi ildiscorso cade sul Bitcoin. "I link magneti-ci e così via stanno iniziando a venire. C'è

anche un bel paper in giro su Bitcoin, che... Ma tu sai qualcosa di Bitcoin?".

"No".

"Ok, Bitcoin è qualcosa che si è evolutodalle cypherpunk un paio di anni fa ed è una alternativa a... si tratta di una moneta senza stato. Ha un algoritmo con cui chiunque può creare, chiunque può essere la propria zecca. Un modo semplice per dirlo è... c'è una ricerca continua di se-quenze di bit zero. Una ricerca random. Quindi un sacco di lavoro di calcolo. Con ogni software Bitcoin che viene distribui-to il lavoro aumenta algoritmicamente. Quindi la difficoltà di produrre Bitcoin di-venta sempre maggiore col tempo.

Schmidt matura un'idea...

È qui che è maturata l'idea per Schmidt di creare una moneta elettronica (dei "Google bucks", scrivemmo allora sul modello di Bitcoin, o magari di utilizzare Bitcoin stesso? E presto, prima di un'eventuale concorrenza (un Amazon- coin, per esempio)?

Al momento dello straordinario incon- tro, Bitcoin cominciava appena ad essere diffuso. Ma già allora Assange precisa cheBitcoin inizia a essere scambiato in dollari, e azzarda un paragone con un metallo prezioso come l'oro.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7878

La moneta senza bancheTrend, tecnologia, applicazioni, mercati

Tutto sul bitcoin, in tempo reale

SchedaBRANI DI CONVERSAZIONEAssange: Questa è la cosa più ottimista che sta accadendo. La radicalizzazione di giovani istruiti con internet. Le persone che ricevono i loro valori da internet ... e poi quando le trovano compatibili ne creano un'eco. L'eco è ormai così forte che anne-ga le dichiarazioni originali. Completamente. Le persone che hanno affrontato, dal 1960... I radicali che hanno contribuito a liberare la Grecia e... Salazar. Dicono che questo momento è il più simile a quello che è successo in quei periodi di movimenti di liberazione negli anni '60, che hanno visto...

Cohen: Lo vedi in ordine di grandezza diverso da quanto abbiano fatto negli anni '60?Assange: E per quanto riguarda ciò che è entrata in Occidente, perché ci sono alcune regioni del mondo, io non sono a cono-scenza, ma per quanto mi rendo conto che - e naturalmente non ero in vita nel 1960 - ma come... Per quanto posso dire, questa affermazione è vera. Questa è la formazione politica di tecnici apolitici. È straordinario, nello stesso modo che il giovane...Schields: Apolitico? Vuoi dire una parola?Assange: Una parola. La gente sta andando a... I giovani stannoandando dall'apolitico alla politica. Si tratta di un passaggio molto interessante da vedere.

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Per la facile divisibilità, per la facilità con cui se ne puà saggiare l'autenticità, e perchè se sotterrato non decade "come mele o bistecche"

Il clima dell'incontro è molto informale,Assange viene chiamato Julian, e non mancano scene memorabili come il balzo felino di Assange che capovolge il notebook di Lisa Schields per salvarlo dall'acqua distrattamente versatogli su dalla vicepresidente mentre si parlava di Pgp e di Zimmerman.

Un clima molto informale

"Se il sistema non fosse così inefficente - fa Jared Cohen, a proposito di tasse - tutti avrebbero i loro soldi offshore". "Non credo ai martiri - proclama Assange

- Moglio combattere e scappare"."Non è trasparente, il Patriot Act" fa

Eric Schmidt.Poi Assange si butta sulla filosofia.

“Una battaglia in corso”

"C'è una battaglia tra tutte queste cose in corso. Con persone diverse, economie diverse... non vedo una differenza tra governo e grandi corporations e piccole imprese. In realtà è tutto un continuum, sono tutti sistemi che cercano di ottenere quanto più potere possibile. Ecco, questo sono. Un generale che cerca più potere per la sua parte dell'esercito, e così via. Pubblicizzano, producono qualcosa che secondo loro è un prodotto, la gente lo compra, la gente non lo compra, lo rendono “complesso” per nasconderne i difetti...

Non vedo una grande differenza tra governo e non-governativi. Ci sono differenze quanto a forza coercitiva, ma anche lì si vede che le società ben collegate sono in grado di sfruttare governo e sistema giudiziario e riescono aimplementare... efficacemente anche la forza coercitiva, con l'invio di forze di polizia per fare requisizioni o buttare fuoria calci i dipendenti dell'ufficio".

Il re e Robin Hood...

Va avanti a lungo, lo strano incontro fra il re e Robin Hood. Il superhacker ricer-cato da decine di polizie e il megamana-ger galattico si scambiano suggerimenti e opinioni, lontani dai riflettori dei media (che per quasi due anni non ne sapranno niente) ed anche da qualsiasi riflessione su un qualsivoglia potere statale, che qui appare non meno obsoleto del regno di Bisanzio o del Sacro Romano Impero.

Google e i servizi di pagamento

Eric Schmidt nel lasciare il ruolo di Ceo(amministatore delegato) di Google - dal 2001 al 2011: l'epoca d'oro della compagnia - per diventarne presidente disse che, nonostante tutti i traguardi raggiunti, nel campo nel social network c'era ancora molto da fare, inventandosi servizi adeguati, per raggiungere Facebook e Twitter.

Da allora, Google ha investito molto in sistemi di pagamento, puntando soprattutto all'uso dello smartphone con i servizi Nfc. Ma forse Schmidt si chiede seha perso tempo prezioso nei confronti dei "rivali" Paypal e soprattutto Bitcoin.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7799

Fabio Vita Senza banche Bitcoin, la moneta di Internet

Saperne di piùwikileaks.org/Transcript-Meeting-Assange-Schmidt#688www.pcmag.com/article2/0,2817,2417957,00.aspit.wikipedia.org/wiki/Hash

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Giornalismo

Ma qua ormail'informazioneè precariaSi parla di giornalismo al convegno importan-te...

di Attilio Occhipinti www.generazionezero.org

L’International journalism festival, che si è tenuto a Perugia dal 24 al 28 aprile, è giunto alla sua settima edizio-ne. Si tratta di un momento importante per l’informazione, uno di quei mo-menti che spinge alla riflessione maturae onesta sulla situazione attuale del giornalismo nel mondo e, soprattutto, nel nostro Paese. “Per fare il giornalistain Sicilia ci vuole anche un avvocato”. Fermi tutti, forse sarebbe opportuno chiarire.

L’appuntamento con questo importante festival ci ha fornito un’occasione parti-colare, quella cioè di prendere una bella lente di ingrandimento e di puntarla dritta sulla Sicilia. Perché? La risposta l’ha già data Vincenzo Barbagallo, giornalista e videomaker, con l’affermazione di cui so-pra. Insomma, quale migliore occasione per parlare della condizione in cui verte il giornalismo siciliano di nuova generazione. A che punto siamo?

Sull'equo compenso

Per sfruttare al massimo questo momento abbiamo chiesto ad alcuni nostriamici e colleghi di chiarirci meglio (e di chiarirlo soprattutto a voi lettori) che cos’è il mestiere del giornalista, soprattutto se lo si relaziona al precariato, agli esigui pagamenti, all’incontro tra in-formazione e informati, quindi, alla Sici-lia. D’altronde negli ultimi mesi si è in-tensificato il rapporto tra le varie realtà dell’informazione siciliana per far fronte comune contro una condizione che chia-marla precaria è poco, specie se parliamo di equo compenso: “La battaglia sull'equocompenso, portata avanti dal Presidente Iacopino e dai vari gruppi regionali di giornalisti, certifica lo stato in cui ci tro-viamo, gente sfruttata per fare andare avanti le piccole redazioni come le grandi redazioni di giornali ed emittenti naziona-li. Purtroppo non credo che questa legge risolverà i problemi. La legge sarà appli-cabile solo per gli iscritti all'Ordine, ma cisono tantissimi che,non essendo iscrittiall'Ordine dei giorna-listi per diversi moti-vi, continuano ad es-sere pagati, quando losono, una miseria”,così continua Vincen-zo Barbagallo.

Sempre sulla questione legata all’equo compenso l’opinione di Saul Caia, gior-nalista free-lance e collaboratore di diversi quotidiani, è che “l'approvazione della legge sull'equo compenso è certa-

mente una grande vittoria per i giornalisti,freelance e precari che siano, ma biso-gnerà capire come ogni regione ed Ordinerecepirà la nuova norma e come sarà at-tuata. Conosco colleghi che per una noti-zia sono pagati da un minino di 2 ad un massimo di 10 euro, per non parlare dei video, dove spesso ricevi 5 o 10 euro, mentre se sei più fortunato puoi arrivare a 15/20. Questo deve cambiare. Non si può certo lavorare per la gloria”. Andrea Ses-sa, giornalista e collaboratore de Linkie-sta, è molto diretto nel dire che si tratta di “una vittoria indubbiamente, ma che la-scia l'amaro in bocca. Ancora oggi essere pagati 4 euro al pezzo per tanti nostri col-leghi è normale. Se un cameriere lo pa-gassero 5 euro per 3 ore di lavoro farebbe la rivoluzione. Un giornalista non la fa e tiho detto tutto”.

Ed è stata proprio la proposta sull’equo compenso per i giornalisti che ha dato il laalla costituzione del Coordinamento Giornalisti Precari Siciliani, con tanto di sito internet. Un gruppo unito di giornali-sti precari, pubblicisti, professionisti, free-lance che ha le idee chiare su quanto acca-de nella loro (nostra) terra.

Sul mestiere in Sicilia

“Uscire per strada e andare a caccia di notizie è diventato un lavoro per pochi privilegiati. E’ più comodo stare a casa e scopiazzare gli altri dal proprio computer.

Credo che bisognerebbe rimettere un serio ordine nel giornalismo, sia sotto l'aspetto dei pagamenti e del compenso, sia per quanto riguarda le categorie e le regole”, così Caia specifica il suo punto di

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8080

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“A un giornalista precarioc'è ben poco da dire: se capisceche non ci guadagnerà nulla,eppure continua lo stesso,allora comincia a far parte di quello sparutomanipolo di eroi sporchi d'inchiostro”

vista riguardo alla qualità del nostro gior-nalismo e gli fa eco Barbagallo poiché “fare il giornalista e fare più in generale informazione in Sicilia è quasi una mis-sione, o per lo meno si dovrebbe interpretare così”. Ordine e missione, due parole che vogliono dire tanto e che dovrebbero stare alla base di questo mestiere, ma forse, specialmente se parliamo di ordine, siamo ancora lontani.

“Pippo Fava parlava di Catania come di una donna meravigliosa e meravigliosamente facile, e credo che questo renda bene l'idea. La voglia di svelarla era troppa, e indomabile. Fatale.

In Sicilia se scegli di fare il giornalista, e di raccontare la terra senza tralasciare alcun dettaglio, allora scegli di vivere di passione, ma devi farci i conti”, le parole di Seba-stiano Ambra, giornalista

e autore di Agendaerre, sono chiare, nette, non lasciano nulla al caso perché, precisa Giorgia Landolfo, giornalista free-lance, “essere giornalista, sottolineo precario, in Sicilia, significa lottare ogni giorno contro la legge dell'omertà che schiaccia e appanna la volontà di de-nuncia. Significa raccontare una terra meravigliosa ma piena di contraddizioni, nella quale peraltro senza uno stipendio che possa reputarsi tale né la possibilità di progettare il futuro, è molto difficile conservare l'entusiasmo”.

Un percorso ad ostacoli quello che si affronta ogni giorno per una notizia, per una foto, per una testimonianza e a volte “ci rimetti tanto, e decidi tu quando è troppo. Conosco qualcuno che ha deciso che non sarà mai troppo, e attorno a lui laterra, adesso, è irrimediabilmente nera. Ma l'aria, quella no, è pura”, e di questo Sebastiano Ambra ne è sicuro.

D’altronde la temperatura in Sicilia è alta e siamo sempre in guerra, questo nonbisogna dimenticarlo: allora diventa complicato lavorare in certe condizioni, con il signorotto pronto a minacciarti conla querela o peggio e con l’altro signorot-to, quello per cui lavori, che ti dà due lire.

Eppure a questa guerra partecipano tanti soldati, molti di loro con spirito rivoluzionario.

Sui consigli a un precario

Se il meccanismo dell’informazione in Sicilia s’inceppa ed è sempre più compli-cato andare avanti, allora che cosa fare? In questa terra strana e pazza, colma di contraddizioni, ma dal sangue caldo, bel-la e dannata, ragazze e ragazzi a volte prendono una penna e scrivono, altre volte schiacciano il bottone di una mac-china fotografica e immortalano luci e ombre dei nostri paesaggi. A tutti loro si rivolgono le attenzioni di Giorgia perché “fare rete tra noi inoltre è fondamentale per condividere idee e riflettere sui nostridiritti, per allontanare quel senso di soli-tudine nella quale spesso un cronista pre-cario può sprofondare”.

E a chi ha paura di zoppicare Saul con-siglia “di non ricercare costantemente lo scoop o la notizia bomba, basta fare benequelle piccole cose quotidiane. Evitare discopiazzare dai colleghi (in caso citare lafonte), cercare sempre di confrontare bene quello che dice il proprio contatto ola propria fonte, e quando si snocciola uncomunicato stampa è sempre meglio farequalche chiamata in più, per avere un'intervista o un diritto di replica che possa aggiungere nuovi dettagli a quello che già si sa”.

Lo spettro del precariato aleggia co-stantemente: “Più in generale direi ai tan-

ti ragazzi di esserecoscienti che digiornalismo non sicampa: io per tirare afine mese, il pomeriggiofaccio lezioni private e,al mattino, faccio laguida turistica”, cosìprudentemente parla Andrea. Ma a prescindere dai compensi e dalla fatica “ad un giornalista precario oggi posso solo consigliare di fare il proprio mestie-re con passione e con dovizia. Mirare alla qualità che alla lunga viene sempre premiata, non appiattirsi alle notizie di agenzia e di cercare sempre l'inedito an-che a rischio di sembrare "inopportuno" o "aggressivo" secondo il potere”, questoil parere di Vincenzo.

“L'unica vera paga”

E in conclusione Sebastiano si rivolge ai giovani con molta onestà, perché do-potutto “ai giornalisti precari di utile non c'è molto da dire: chi continua a scrivere pur avendo coscienza della propria condizione retributiva, allora comincia a far parte, in questa buia epoca che vede sempre più distanti i ricchi dai poveri, di uno sparuto manipolo di eroi sporchi d'inchiostro. E a questi bisogna solo fare forza. Ai giovani giornalisti, piuttosto, quelli che affacciano la testa sul mestiere- magari dopo aver sparso manciate di parole sui social media - bisogna presen-tare la realtà com'è, ricordando loro che l'unico modo per non dare adito a chic-chessia di attaccarli è attenersi sempre, scrupolosamente - senza mai cedere alle immancabili e pesantissime inclinazioni dell'animo - alla verità sostanziale dei fatti. E quella, per gli irriducibili precari di ogni età, vuoi o non vuoi è la prima paga. L'unica vera, spesso”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8181

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Un laboratorio di giornalismo antimafioso

Scrivere di mafia: studiando s’impara

Sempre la veritàPerché la negazione aiuta la mafiadi Alice Bertola

Negli anni Settanta a Palermo non si

riusciva a parlare di mafia. Non era una

possibilità accettabile socialmente e

quindi negata politicamente . Circa

trent’anni dopo, questa volta a Milano, si

fa ancora fatica a capire l’infiltrazione

delle mafie in Lombardia nonostante i

processi, le condanne e gli omicidi.

Pare che sia la negazione il filo con-

duttore tra spazio e tempo, dalla Sicilia

alla Lombardia, come un disco rotto o

una barzelletta raccontata troppe volte e

che ormai davvero non fa più ridere. Ed

è proprio questa negazione codarda che

ha generato conseguenze, tragiche e va-

rie, raccontate con precisione da due

film-documentario: “Global mafia”, di-

retto dalla redazione di Stampo Antima-

fioso dell’Università degli Studi di Mila-

no, e “Uomini soli” prodotto da Attilio

Bolzoni con Paolo Santolini.

I documentariPer strada e nel mondodi Adelia Pantano

Due diversi modi di fare giornalismo,due diversi modi di rivelare un fenome-no. Da una parte c'è Global Mafia, ideatodai ragazzi di stampoantimafioso.it, men-tre dall'altra c'è Uomini Soli che AttilioBolzoni, realizza nel 2012, anno di ricor-renze eccellenti. Con Bolzoni si cammi-na per le strade di una città che ricorda lesue vittime ad ogni angolo, Palermo ap-punto. Con Global Mafia sì gira per ilmondo, per denunciare i numeri di un fe-nomeno che fa paura.

Reti collettivee solitudine dei singolidi Valentina Duosi “Global Mafia” e “Uomini Soli”. Dueracconti di denuncia e un grande para-dosso: da un lato le “reti” alle spalle del-le organizzazioni mafiose, dall'altro quel-le alle spalle degli uomini delle istituzio-ni. Ai gemellaggi culturali, ai legami in-dissolubili, a un gruppo capace di mante-nere una forte e compatta chiusura inter-na, si contrappone la drammatica solitu-dine degli uomini di Stato, di coloro chepiù di ogni altro avrebbero dovuto essereprotetti dalla propria “comunità” di rife-rimento e invece sono stati lasciati soli acombattere la loro guerra personale. Il ri-sultato è una lotta alla mafia personaliz-zata: la centralità delle singole personecome somma di scelte individuali.

“Fuori la mafiadallo Stato”A colpi di tamburellodi Vincenzo Raffa

Palermo. La città mattatoio. La città

come dei morti ammazzati. “Palermo

come Beirut” dice qualcuno. “No è anche

peggio” gli fa eco qualcun altro. Profumi

di mercato. Delle verdure vengono espo-

ste in bella vista da mercanti dalla gola

secca per quanto pubblicizzano la loro

mercanzia: “pesce fresco”. Una foto di

un giocatore del Palermo calcio primeg-

gia sorridente appesa ad una parete spor-

ca di una delle tante vie della conca

d’oro.

Poco più in la un boato squarcia la

tranquillità di un pomeriggio nella citta-

dina siciliana di Capaci. Un altro a via

d’Amelio. Corpi dilaniati. Macchine

sventrate. Morte. Tanta morte. Un fumo

acre di qualche decina di metri sale im-

perioso e nero segnalando al mondo che

qualcosa di brutto era appena successo.

Le strade sono interamente divelte. I can-

celli delle case sono un vago ricordo.

Cocci ovunque. Un odore amaro ristagna

nei polmoni ed inquina l’aria. Polvere. Il

silenzio è rotto da pianti e singhiozzi di

chi conosceva le vittime. Chi non piange

per loro, lo fa perché ha gli occhi pieni di

polvere. La folla si rivolge urlante ai po-

litici accorsi per i funerali solenni di Fal-

cone e Borsellino: “fuori la mafia dallo

Stato”.

8282 Stampo antimafiosoStampo antimafioso - pag. I

Succede a Milano, alla facoltà di Scienze Politi-che. Ecco brevi estratti degli articoli prodotti

www.isiciliani.it

Servitori dello StatoLa forza dell'onestàdi Giorgia Venturini Parlare di mafia vuol dire anche raccon-

tare di chi ha sempre creduto nel riscatto

di un popolo onesto. Vuol dire non di-

menticare persone come Nino Agostino,

il poliziotto ucciso a Palermo da <<igno-

ti>>. Talmente ignoti che lo stesso Totò

Riina aprì un inchiesta interna a Cosa

Nostra per scoprire chi sparò. Ha giurato

sul nome del figlio, Vincenzo Agostino,

padre di Nino. Ha giurato che finché la

giustizia non gli darà un colpevole, lui, la

sua barba non se la taglierà mai. Ancora

dopo anni, però, quella barba, è sempre

più bianca e più lunga.

La facoltà di Scienze Politiche.

Salvatore Borsellinodi Silvia Macellaro "...C’è un uomo poi, un uomo che resta

sulle sue, nascosto rispetto agli altri; for-

se per cercare conforto in un ricordo, for-

se per rabbia. Un uomo con le spalle ri-

curve, con le braccia che cadono lungo i

fianchi e con la testa

china sul pavimento. È Salvatore Bor-

sellino. Una testimonianza forte, dura,

“un pugno nello stomaco”. Una memo-

ria, la sua, che non è stata solo ricordo, è

stata lotta, è stata ricerca della verità,

benché questa non sia mai stata trovata.

Rabbia, foga, sete di giustizia nelle sue

parole. Un nodo alla gola, la voce spez-

zata dal dolore e una lacrima che gli se-

gna il viso: “Paolo Borsellino è vivo”. Lo

sdegno nei confronti delle istituzioni, il

rammarico per un fratello ucciso due vol-

te: una prima dalla mafia e una seconda

dall'omertà delle persone. Un’omertà che

ha massacrato ripetutamente chi era già

stato ammazzato, celando con il silenzio

quelle verità forse troppo sconvenienti."

Ricordare,sempre e ovunquePercorsi di Memoriadi Gemma Ghiglia L'ultimo intervento, il più toccante, è di

Salvatore Borsellino. Il punto del suo di-

scorso è semplice e chiaro: la memoria

come lotta. Lotta contro un sistema:

"Troppo spesso il più grande vilipendio

delle Istituzioni è stato fatto dalle stesse

persone che lavorano per esse". Lotta in-

sieme a chi dopo la morte di Paolo ha

avuto il coraggio di dire, a Palermo, "Io

sono contro la mafia".avuto il coraggio

di dire, a Palermo, "Io sono contro la ma-

fia". Dopo vent'anni l'urgenza comunica-

tiva è ancora irreprimibile, il ricordo an-

cora intenso, la lotta ancora accesa. Si

alza in piedi, con il braccio e nella mano

una delle sue agende rosse: la pagina è

aperta su una foto del fratello. Alta, visi-

bile a tutti.

Un gesto che vale più di ogni parola.

La memoria è lottadi Adriana Varriale Milano, 22 febbraio. Presentazione del

Coordinamento lombardo dei familiari

delle vittime di mafia

A conclusione della serata interviene

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo.

Per lui la memoria è la lotta contro colo-

ro che gli hanno portato via il fratello e

non permettono giustizia. Ricorda come

l’omicidio di Paolo non fu una morte di

mafia bensì una morte di Stato. Riporta

alle menti dei presenti gli attimi successi-

vi la morte del fratello, ricordando la

scomparsa dell’agenda rossa su cui pro-

babilmente si sarebbero trovati i mandan-

ti dell’omicidio. Un discorso commoven-

te e coinvolgente, una narrazione quasi

urlata di quello che accadde. “La memo-

ria è lotta” e Salvatore Borsellino lotta

per la verità.

Stampo antimafiosoStampo antimafioso - pag. II 8383

Un percorso formativoIl laboratorio

Il giornalismo antimafioso esiste. È unacombinazione di conoscenza, abilità stili-stica e sensibilità civile che fa i conti conun vuoto di spazio nel sistema informati-vo mainstream. Un vuoto che si fatica acolmare, però, e questo è paradossale. Dipiù: è inaccettabile, a Milano, capoluogodella Lombardia colonizzata dalla‘ndrangheta. Da questa premessa prendele mosse il laboratorio di giornalismo an-timafioso. Ideato dal professor Nandodalla Chiesa, la redazione di Stampo An-timafioso si è cimentata nel ruolo di tu-tor. Universitari, una studentessa liceale,un paio di giornalisti, un maresciallo deicarabinieri: loro sono gli iscritti che, dagennaio a marzo, hanno ripercorso la sto-ria del giornalismo antimafioso, si sonomisurati con i generi della scrittura, han-no ragionato sulle sfide poste dal giorna-lismo digitale. Ma soprattutto hanno ca-pito che non si può scrivere di mafia sen-za averla studiata. E che non basta stu-diarla: è importante anche imparare araccontarla. Contro l’invisibilità, sapernominare la mafia per denunciarla.

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Attenzione al nordMafia e memoria nell'Italia del Norddi Daniele Cavalli La memoria è il tema che è si fatto stra-

da durante l’incontro svoltosi a Vittuone

il 9 Febbraio scorso, organizzato dalla

sezione locale dell’ANPI. Al Nord la me-

moria è finita spesso in un angolo: la

gente, fino all’ Operazione Crimine Infi-

nito del 2010, non si convinceva del fatto

che qui la mafia esiste, eccome. Alla

base sta il problema dell’incapacità di

leggere gli eventi, ma anche quello della

voglia di rimuovere i segnali. C’è anche

la memoria rivendicata con fervore da

chi si attiva contro la mafia. Questa corre

però il pericolo di essere strattonata o di

perdere la propria solidità e, anche invo-

lontariamente, di allontanare da un effi-

cace contrasto alla criminalità organizza-

ta, in ogni luogo questa operi.

Mafia e politica: il dissenso della società civile di Vittuonedi Andrea Zolea Il 9 febbraio nella sede del Comune di

Vittuone, ad ovest di Milano, la sezione

locale dell'Anpi ha organizzato un

convegno antimafia con ospiti illustri:

Nando dalla Chiesa, il sindaco Fabrizio

Bagini e i giornalisti del settimanale

'L'Altomilanese' Ersilio Mattioni e Ester

Castano. L'evento, realizzato per appro-

fondire le questioni giudiziarie sui rap-

porti tra 'ndrangheta e politica dell'area

magentina, ha visto molti cittadini espri-

mere un forte disaccordo sull'operato di

esponenti politici della zona. Vincenzo

Capuozzo, segretario dell'Anpi di Sedria-

no/Vittuone ha marcato il senso

dell'incontro ''quello che accomuna la

lotta alla mafia di oggi alla lotta della re-

sistenza durante la seconda guerra

mondiale è la battaglia per la libertà''.

DISEGNO DI MARCO BRUNO

Dubbi e domandesulla gestione Alerdi Luana Petre

Milano, Audizione in Commissione

Antimafia. Loris Zaffra giustifica la no-

mina di Di Chiano come una prestazione

d'opera che in realtà non è mai avvenuta.

Nel 2012, essendo stata ALER sottodi-

mensionata, si è deciso di ampliare

l'organico, assumendo nuovo personale,

tra cui Di Chiano, il quale riportava an-

che la certificazione di invalidità civile.

Rilevanti sono i fatti collegati a Di Chia-

no, il suo tentato suicidio, l'intestazione

di una casa dal Comune di Milano ubica-

ta in via Ca' Granda, la condanna per as-

sociazione mafiosa, l'assunzione real-

mente avvenuta nonostante non abbia

mai esercitato la professione presso

l'azienda, la sua certificazione di invali-

dità ancora da verificare.

Tempo di agireOcchi apertiallo Zucchidi Marco Bruno All'interno dell'aula magna del “Liceo

Bartolomeo Zucchi" di Monza, lo scorso

6 febbraio si è svolto l'incontro tra gli

studenti e Stefano Paglia, volontario di

Libera. Associazioni, nomi e numeri con-

tro le mafie.

L'oratore ha stuzzicato i liceali chie-

dendo loro come possano contrastare

questo fenomeno, proponendo tre moda-

lità di contrasto: non acquistare droghe,

esprimere sempre la preferenza nelle

schede elettorali e pretendere lo scontri-

no fiscale dopo aver acquistato qualcosa.

La nave della legalitàdi Vincenzo Raffa Siamo noi gli unici che possono cambia-

re. La vita fatta come regalo per liberare

chi libero non lo è. Chi vive nelle catene

della mafia e non solo: una vita fatta di

prostituzione, di vessazioni, di scorte, di

denigrazioni, di male parole, di usura.

Questa non è vita. Allora si evince che è

giunto il tempo in cui noi dobbiamo fare

noi stessi. Non cittadini ad intermittenza

quindi, come ripete più e più volte un

energico Ciotti.

La scuola è l’unica che può dire ad un

bambino in età scolare, che risolvere i

problemi con la forza non è giusto! Che

ricevere dei soldi in cambio di favori,

non è giusto! Che chiedere il pizzo o pra-

ticare l’usura, non è giusto! La scuola

come “progetto corale” per educare non

solo una persona, ma anche tutte quelle

in cui quest’ultima vive e riceve insegna-

menti extrascolastici. Riuscire a staccare

il figlio alla mafia, vista come madre per-

ché ai suoi bambini questa da una forte

identità (quella che secondo alcuni que-

sto Stato oggi non dona), è l’obiettivo

principale per rigenerare la società. Ma

bisogna farlo subito.

8484 Stampo antimafiosoStampo antimafioso - pag. III

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I Sicilia iI Sicilianigiovanigiovani p – pag. 85

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mondo su NORD &SUD mondo giù a cura di Tito Gandini

Padri, figliE BUROCRAZIAFrancia, matrimonio gay, il problema nonè tanto il matrimonio, quanto la possibili-tà o meno di esercitare il ruolo genitoria-le e questo, paradossalmente anche sui figli propri, oltre che su figli adottivi. Mase la questione si risolve in maniera posi-tiva per i figli propri ovviamente ne con-segue la possibilità di adozione.

Armi chimiche 1SIRIA: LE USA IL GOVERNO?Siria. L’amministrazione USA, ritiene di avere prove sufficienti che dimostrino l’utilizzo di armi chimiche, in dosi non massicce contro gli insorti. Considerato che Obama aveva determinato come punto di non ritorno per un coinvolgi-mento diretto degli USA proprio l’utiliz-zo di armi chimiche, adesso bisogna ve-dere che succede.

ScusePER UN MASSACROSerbia. Il presidente nazionalista, Tomi-slav Nikolic, chiede scusa per il massa-cro di Sebrenica: “M’inginocchio e do-mando che la Serbia sia perdonata per il crimine commesso a Sebrenica, mi scusoper i crimini che sono stati commessi in nome del nostro stato, da qualche indivi-duo del nostro popolo.” Allusione piutto-sto evidente a Ratko Mladic, comandantein capo delle forze serbe e che comandò personalmente l’attacco all’enclave, che secondo la croce rossa è costato la vita a 8000 persone.

RécordSENZA GLORIA3224600 disoccupati in Francia, è record.Tre su cinque hanno accesso al sussidio di disoccupazione che copre il 69% del loro ultimo stipendio.

Poveri ariani (E POVERO CHI CI CREDE)Nueva Germania è in

Paraguay, una colonia

fondata da due razzisti

tedeschi nel 1887 con

l’obbiettivo di creare

una razza pura a partire

da 14 famiglie ariane

DOP.

In capo a pochi anni il

progetto fallì, malattie, povertà, manie di

grandezza fecero sì che alcune famiglie

siano tornate in Germania e che altre si

siano progressivamente acconciate alla

vita locale, superando qualunque vincolo

DOP, per concentrarsi sulla mera

sopravvivenza. Oggi la colonia esiste

ancora, molti hanno ancora cognome

tedesco, ma la "razza", quella è

assolutamente indistinguibile dal resto

dei paraguaiani. Tanto per dire, noi

ancora ci preoccupiamo dell’impatto po-

litico dello Ius Soli.

La bpmbaFAI-DA-TEBoston. Una decina d’anni fa, furoreg-giava una vignetta che imitando le istru-zioni di montaggio Ikea spiegava come costruire una bomba. Bene pare che le pentole a pressione di Boston, con la pol-vere da sparo estratta dai fuochi d’artifi-cio, con la scelta di un evento all’aperto (quindi senza controlli d’accesso e di se-curity), fossero fatte su istruzioni comunemente scaricabili da web. L’autore era morto per un attacco dei droni americani un paio d’anni fa, ma si sa le idee circolano.

Armi chimiche 2SIRIA: LE USANO I RIBELLI?Siria, pare che adesso si faccia uso di armi chimiche, ma dalla parte sbagliata. Carla Del Ponte, sostiene di avere degli indizi che siano i ribelli ad usarle. Ovve-ro i buoni, quelli che gli Usa vorrebbero sostenere. Nelle ultime settimane gli americani avevano iniziato a dire che se il Governo siriano avesse deciso di utiliz-zare armi chimiche contro i ribelli sareb-bero intervenuti e ora? Ma chi li riforni-sce i ribelli? Intanto Israele per non saperne leggere ne scrivere, ha bombardato siti militari strategici a Damasco, riu-scendo a tirarsi contro la lega araba. Il ti-more di Israele è che le armi dei depositisiriani, finiscano nelle mandi degli He-bollah. Come dargli torto? Se armi chi-miche finissero per essere utilizzate con-tro Israele, avremmo la base strutturale diun conflitto enorme. Nethaniau si è ca-tapultato in Cina per discuterne e ne ha parlato al telefono con Putin.

InquinareNON E' PIU' UN AFFAREI certificati CO2 avevano raggiunto un valore di 40 dollari la tonnellata in ago-sto 2008, questo costo incoraggiava le aziende a sostituire infrastrutture obsole-te e a progettare riduzioni strutturali de-gli agenti inquinanti emessi. Poi è venutala crisi e le aziende hanno cominciato a produrre tanto di meno. Il business case sugli investimenti per ridurre le emissio-ni è cambiato drammaticamente. Oggi il valore del certificato è sceso a 2 dollari la tonnellata, le aziende sono piuttosto incoraggiate a tenere le vecchie infra-strutture, finché la crisi non sia passata.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8686

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mondo su NORD &SUD mondo giù a cura di Tito Gandini

Baa-bo-cho-neeWHAT MEANS IT?Gran Bretagna, gli inglesi scoprono i bamboccioni, secondo un recente studio pare addirittura che il 43% dei giovani compresi tra i 18 e i 30 anni abbia chie-sto soldi ai genitori per comprare da mangiare, il 36% abbia confessato di chiedere aiuto per pagarsi le ferie , il 16% per ripianare debiti, l’8% per com-prarsi casa. Insomma pare che addiritturail 31% dei ragazzi non si senta indipen-dente economicamente. (Ma in Italia abbiamo rinunciato a farle queste indagini?)

In GermaniaLI PROCESSANO (I NAZI)Germania, si apre il processo per 24 omi-cidi ad un gruppetto neonazista di tre persone. L’obbiettivo non era avere visi-bilità, era uccidere, uccidere uno stranie-ro era una cosa buona. In realtà sotto processo ci finisce tutto il lavoro di un decennio della polizia e dei servizi segre-ti, tutte le negligenze e le eventuali con-nivenze, tutto un sistema di burocrazia elefantiaca o sviste paradossali che han-no permesso al gruppetto di agire indi-sturbato. La Germania si auto processa incasi del genere, ed entrano in tutti i micro dettagli dei perché e dei percome esono disposti a mettere in crisi tutto il sistema. (Diciamolo per Cucchi, Aldovrandi, …)

ProtesteANTICORRUZIONE (IN RUSSIA)Mosca, dicembre

2011, malgrado un

freddo boia,

migliaia di attivisti

invadono le strade

di Mosca per

protestare contro la corruzione. Nella

primavera 2012 la protesta aveva

raggiunto la provincia, sfidando i sindaci

del partito di Putin Russia Unita e

spingendoli a varare delle riforme locali.

La protesta raggiunse il proprio culmine

a poche ore dalla rielezione Putin alla

presidenza, dopo una pausa di quattro

anni. Poi però scattò la controffensiva:

un’ondata di arresti per atti di

hooliganismo, gli Usa furono accusati di

fomentare le proteste, l’agenzia

americana per lo sviluppo internazionale

è stata ridimensionata, la Usaid è stata

cacciata malamente, ogni leader

dell’opposizione fu controllato per capire

se avesse o meno rapporti con organizza-

zioni internazionali. Ora alla velocità del

bradipo la giustizia sta celebrando i pro-

cessi di quella stagione e l’opposizione è

ridotta al lumicino.

PresidenteFIGLIO DI PRESIDENTEMalesia, Najib Razak è stato rieletto pre-sidente, conservatore, a sua volta figlio dell’ex presidente del consiglio Abdul Razak. Non ci si aspetta grande innova-zione.

Mi son fattoLA PISTOLAUna pistola vera, realizzabile tramite unastampante 3d, in plastica dura, è stata te-stata con successo dall'associazione ame-ricana Defense Distributed.

India e CinaE LA GUERRA DIMENTICATAConflitti dimenticati: India e Cina si con-tendono dal 1962 un territorio di frontie-ra sull’Himalaya. Adesso stanno disar-mando.

EuropeiTUTTI IN GERMANIA!Nel 2012 369000 persone sono immigra-te in Germania, +32% rispetto all'anno prima, oltre il 50% vengono da altri Pae-si europei.

Per oggiNON LI LANCIO PIU'La Corea del Nord ha tolto i propri mis-sili dalle basi di lancio.

900 operaiAMMAZZATIBangladesh: 912 morti in un crollo di una fabbrica tessile il 24 aprile. Si conti-nua a scavare. E' praticamente impossibi-le sapere se questa mia felpa ora, sia statafatta in quella fabbrica. Indizi? Econo-mica, comprata al mercato di Isola a Mi-lano. (Fra gli utilizzatori finali, anche Benetton).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8787

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IL FILO

Il potere in Italia di Giuseppe Fava

Nel paese di Camporeale, provincia di Palermo, nel cuore della Sicilia, assedia-to da tutta la mafia della provincia paler-mitana, c'era un sindaco democristiano, un democristiano onesto, di nome Pa-squale Almerico, il quale essendo anche segretario comunale della DC, rifiutò la tessera di iscrizione al partito ad un pa-triarca mafioso, chiamato Vanni Sacco ed a tutti i suoi amici, clienti, alleati e complici. Quattrocento persone. Quat-trocento tessere. Sarebbe stato un trionfo

politico del partito, in una zona fino allora feudo di liberali e monarchici, ma il sindaco Almerico sapeva che quei quattrocento nuovi tesserati si sarebbero impadroniti della maggioranza ed avrebbero saccheggiato il Comune. Con un gesto di temeraria dignità, rifiutò le tessere.

La segreteria della DC

Respinti dal sindaco, i mafiosi ripre-sentarono allora la domanda alla segrete-ria provinciale della DC, retta in quel tempo dall'ancora giovane Giovanni Gioia, il quale impose al sindaco Alme-rico di accogliere quelle quattrocento ri-chieste di iscrizione, ma il sindaco Al-merico, che era medico di paese, un ga-lantuomo che credeva nella DC come ideale di governo politico, ed era infine anche un uomo con i coglioni, rispose

ancora di no. Allora i postulanti gli fece-ro semplicemente sapere che, se non avesse ceduto, lo avrebbero ucciso, e il sindaco Almerico, medico galantuomo, sempre convinto che la Dc fosse soprat-tutto un ideale, rifiutò ancora.

La segreteria provinciale s'incazzò, so-spese dal partito il sindaco Almerico e concesse quelle quattrocento tessere. Il sindaco Pasquale Almerico cominciò a vivere in attesa della morte. Scrisse un memoriale indirizzato alla segreteria provinciale e nazionale del partito denunciando quello che accadeva e indicando persino i nomi dei suoi probabili assassini. E continuò a vivere nell'attesa della morte. Solo, abbandonato da tutti. Nessuno gli dette retta, lo ritennero un pazzo visionario che voleva continuare a comandare da solo la città emarginando forze politiche nuove e moderne.

Due scariche di lupara

Talvolta lo accompagnavano per stra-da alcuni amici armati per proteggerlo. Poi anche gli amici scomparvero. Una sera di ottobre mentre Pasquale Almeri-co usciva dal municipio, si spensero tut-te le luci di Camporeale e da tre punti opposti della piazza si cominciò a spara-re contro quella povera ombra solitaria.

Cinquantadue proiettili di mitra, due scariche di lupara. Il sindaco Pasquale Almerico venne divelto, sfigurato, ucci-so e i mafiosi divennero i padroni di Camporeale. Pasquale Almerico, per anni, anche negli ambienti ufficiali del partito venne considerato un pazzo alla memoria.

I Siciliani,gennaio 1983

I Siciliani I Sicilianigiovanigiovani – pag. 88– pag. 88

Questa è la povera storia di un sindaco sicilianodi tanti anni fa, uno che non vole scendere a patti con la mafia. Il partito lo scaricò, i mafiosi lo ammazzarono. Solo un giornalista coraggioso si ricordò di lui, e ce ne ha tramandato il nome

____________________________________La Fondazione FavaLa fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promo-zione di attività culturali che coinvolgano i gio-vani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette la consultazione gratuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani.Per consultare gli archivi fotografico e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazione, scrivere a [email protected] [email protected]____________________________________Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani. Senza retorica, senza celebra- zioni, semplicemente uno stru- mento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

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I SicilianiI Sicilianigiovani giovani Rivista di politica, attualità e cultura

Fatta da:Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Lorenzo Baldo, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Paolo Brogi, Luciano Bruno, Anna Bucca, Grazia Bucca, Tonino Cafeo, Elio Camilleri, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Salvo Catalano, Giulio Cavalli, Teresa Campagna, Carmelo Catania, Giulio Cavalli, Rossana Chillemi, Antonio Cimino, Giancarla Codrignani, Dario Costantino, Irene Costantino, Tano D’Amico,Fabio D’Urso, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Giacomo Di Girolamo, Tito Gandini, Rosa Maria Di Natale, Francesco Feola, Norma Ferrara, Pino Finocchiaro, Paolo Fior, Enrica Frasca, Renato Galasso, Rino Giacalone, Marcella Giamusso, Giulia Giordano, Giuseppe Giustolisi, Carlo Gubitosa, Max Guglielmino, Sebastiano Gulisano, Diego Gutkowski, Bruna Iacopino, Margherita Ingoglia, Kanjano, Gaetano Liardo, SabinaLonghitano, Luca Salici, Michela Mancini, Sara Manisera, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Massimiliano Nicosia, Attilio Occhipinti,Salvo Ognibene, Antonello Oliva, Riccardo Orioles, Pietro Orsatti, Salvo Perrotta, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Domenico Pisciotta, Francesco Ragusa, Antonio Roccuzzo, Alessandro Romeo, Vincenzo Rosa, Luca Rossomando, Giorgio Ruta, Daniela Sammito, Vittoria Smaldone, Mario Spada, Sara Spartà, Giuseppe Spina, Miriana Squillaci, Giuseppe Teri, Marilena Teri, Fabio Vita, Salvo Vitale,Chiara Zappalà, Andrea Zolea

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 89– pag. 89

I Siciliani giovani/ Reg.Trib.Catania n.23/2011 del 20/09/2011 / d.responsabile riccardo orioles

GiambattistaScidà e GianCarlo Casellisono stati frai primissimipromotori dellarinascita dei Siciliani.

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Lo spirito di ungiornale"Un giornalismo fatto diverità impedisce moltecorruzioni, frena laviolenza e la criminalità,accelera le operepubbliche indispensabili.pretende il funzionamentodei servizi sociali. tienecontinuamente allerta leforze dell'ordine, sollecitala costante attenzionedella giustizia, impone aipolitici il buon governo".Giuseppe Fava

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libertà

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I Siciliani giovani ­ rivista di politica, attualità e culturafatta da: Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Antonio Roccuzzo,Giovanni Caruso, Margherita Ingoglia, Norma Ferrara, MichelaMancini, Sara Spartà, Francesco Feola, Luca Rossomando, LorenzoBaldo, Aaron Pettinari. Salvo Ognibene, Beniamino Piscopo, GiulioCavalli, Paolo Fior, Arnaldo Capezzuto, Pino Finocchiaro, LucianoMirone, Rino Giacalone, Ester Castano, Antonio Mazzeo, Carmelo

Catania, Giacomo Di Girolamo, Francesco Appari, Leandro Perrotta,Giulio Pitroso, Giorgio Ruta, Carlo Gubitosa, Mauro Biani, Kanjano,Luca Ferrara, Luca Salici, Jack Daniel, Anna Bucca, Grazia Bucca,Luciano Bruno, Antonello Oliva, Elio Camilleri, Fabio Vita, DiegoGutkowski, Giovanni Abbagnato, Pietro Orsatti, Roberto Rossi, BrunaIacopino, Nerina Platania, Nadia Furnari, Riccardo De Gennaro, FabioD'Urso, Sabina Longhitano, Salvo Vitale.

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Cronache

Gli ebookdei SicilianiI Siciliani giovani sono stati fra i primissimi in Italia adadottare le tecnologie Issuu, a usare tecniche diimpaginazione alternative, a trasferire in rete e su Pdf iprodotti giornalistici tradizionali. Niente di strano,perché già trent'anni fa i Siciliani di Giuseppe Favafurono fra i primi in Italia ad adottare ­ ad esempio ­ lafotocomposizione fin dal desk redazionale.Gli ebook dei Siciliani giovani, che affiancano ilgiornale, si collocano su questa strada ed affrontanocon competenza e fiducia il nuovo mercato editoriale(tablet, smartphone, ecc.), che fra i primi in Italia hannosaputo individuare.

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Webmaster: Max Guglielmino. Net engineering: CarloGubitosa. Art director: Luca Salici. Coordinamento:Giovanni Caruso e Massimiliano Nicosia. Segreteria diredazione: Riccardo Orioles.Progetto grafico di Luca Salici

I Siciliani giovani/ Reg.Trib.Catania n.23/2011 del 20/09/2011 / Dir.responsabile RiccardoOrioles/ Associazione culturale I Siciliani giovani, via Cordai 47, Catania / 30 agosto 2012

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dalla vita com'è

Ai lettori 1984Caro lettore, sono in tanti, oggi, ad accusare la Siciliadi essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia inprima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca ditradizioni, storia, civiltà e cultura, tiranneggiata dallamafia ma non rassegnata ad essa. Questo, però,bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere ditutti noi siciliani, prima che di chiunque altro; di frontead esso noi non ci siamo tirati indietro.Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci,non con le parole ma coi fatti. Abbiamo bisogno dilettori, di abbonamenti, di solidarietà. Perciò tiabbiamo mandato questa lettera: tu sai che dietro diessa non ci sono oscure manovre e misteriosi centri dipotere, ma semplicemente dei siciliani che lottano perla loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo stessoPaese: la mafia, che oggi attacca noi, domanitravolgerà anche te.Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze nonbastano. Perciò chiediamo la solidarietà di tutti isiciliani onesti e di tutti coloro che vogliono lottareinsieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lostesso: ma sarà tutto più difficile. I Siciliani

Ai lettori 2012Quando abbiamo deciso di continuare il percorso,mai interrotto, dei Siciliani, pensavamo che questaavventura doveva essere di tutti voi. Voi che ci aveteletto, approvato o criticato e che avete condiviso connoi un giornalismo di verità, un giornalismo giovanesulle orme di Giuseppe Fava.In questi primi otto mesi, altrettanti numeri deiSiciliani giovani sono usciti in rete e i risultati cilasciano soddisfatti, al punto di decidere di uscire entrol'anno anche su carta e nel formato che fuoriginariamente dei Siciliani.Ci siamo inoltre costituiti in una associazioneculturale "I Siciliani giovani", che accoglierà tutti icomponenti delle varie redazioni e testate sparse danord a sud, e chi vorrà affiancarli.Pensiamo che questo percorso collettivo vadasostenuto economicamente partendo dal basso,partendo da voi. Basterà contribuire con quello chepotrete, utilizzando i mezzi che vi proporremo nelnostro sito.Tutto sarà trasparente e rendicontato, e per esserecoerenti col nostro percorso abbiamo deciso diappoggiarci alla "Banca Etica Popolare", che con i suoiprincipi di economia equa e sostenibile ci garantiscetrasparenza e legalità. I Siciliani giovani

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www.isiciliani.it Una pagina dei Siciliani del 1993

Nel 1986, e di nuovo nel 1996, i Sicilianidovettero chiudere per mancanza dipubblicità, nonostante il successo dipubblico e il buon andamento dellevendite. I redattori lavoravano gratis, magli imprenditori non sostennero in alcuna

maniera il giornale che pure si batteva per liberare ancheloro dalla stretta mafiosa.Non è una pagina onorevole, nella storia dell'imprenditoriasiciliana.

Chi sostiene i Siciliani

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I Siciliani giovani è un giornale, è un pezzo di storia,ma è anche diciotto testate di base ­ da Milano aModica, da Catania a Roma, da Napoli a Bologna, aTrapani, a Palermo ­ che hanno deciso di lavorareinsieme per costituire una rete.Non solo inchieste e denunce, ma anche il raccontoquotidiano di un Paese giovane, fatto da giovani, vissuto inprima persona dai protagonisti dell'Italia di domani. Fuori daipalazzi. In rete, e per le strade.

facciamorete!In rete, e per le strade

I Siciliani giovani che cos'è

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"A che serve essere vivi, se non c'èil coraggio di lottare?"

1982-2012

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