I Siciliani - marzo 2013

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I Siciliani marzo/aprile 2013 Cavalli ANTICORPI ALLA MAFIA Caruso e Romeo CINQUE CHILOMETRI DI PACE Sammito LA RESISTENZA ROSA Capezzuto COSENTINO NON DIMENTICA Baldo LA FALANGE E LA TRATTATIVA Lentini HOLDING ‘NDRANGHETA Giacalone IL PREFETTO ANTIMAFIA Cafeo I LUCCHETTI DI MESSINA Pisciotta PERIFERIE Iacopino TEATRO VALLE Ferrara AL NOSTRO POSTO De Gennaro IL CAOS JACK DANIEL Orsatti CHI DIVORA I MOVIMENTI Vitale PEPPINO E IL ‘77 “MAMMA” Abbagnato A PALERMO SI SPARA Gutkowski IL BOSONE DI HIGGS Vita L’EURO IL DOLLARO E IL BITCOIN Dalla Chiesa/ L’Italia che non si squaglia Caselli/ Quelle parole false sarebbe un governo! www.isiciliani.it Utopia? E chi lo sa A che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare? Ci vuole un altro Pertini. E forse c’è giovani Antonio Roccuzzo Giuseppe Fava e il ministero dei ragazzi Mentre i politici vecchi e nuovi si accapigliano, in Sicilia camminano i movimenti Questo ebook gratis

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Rivista di politica, attualità e cultura

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Cavalli ANTICORPI ALLA MAFIA Caruso e Romeo CINQUE CHILOMETRI DI PACESammito LA RESISTENZA ROSA Capezzuto COSENTINO NON DIMENTICABaldo LA FALANGE E LA TRATTATIVA Lentini HOLDING ‘NDRANGHETAGiacalone IL PREFETTO ANTIMAFIA Cafeo I LUCCHETTI DI MESSINA Pisciotta PERIFERIE Iacopino TEATRO VALLE Ferrara AL NOSTRO POSTO De Gennaro IL CAOS JACK DANIEL Orsatti CHI DIVORA I MOVIMENTIVitale PEPPINO E IL ‘77 “MAMMA” Abbagnato A PALERMO SI SPARA Gutkowski IL BOSONE DI HIGGS Vita L’EURO IL DOLLARO E IL BITCOINDalla Chiesa/ L’Italia che non si squagliaCaselli/ Quelle parole false

sarebbeun governo!

www.isiciliani.it

Utopia?E chi lo sa

A che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare?

Ci vuoleun altroPertini.E forsec’è

giovani

AntonioRoccuzzoGiuseppeFava e ilministerodeiragazzi

Mentre i politici vecchie nuovi si accapigliano,in Sicilia camminanoi movimenti

Questoebookgratis

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C'è un'Italia-cicala che non riesce a risolvere neanche i

problemi più elementari (chiudere Berlusconi e Monti, dare una

prima risposta alle grida drammatiche della Nazione) e si

contorce e s'accapiglia, in preda alle ideologie più disparate, pur

di non dire il banale “uniamoci e mettiamoci al lavoro”.

E c'è un'Italia-formichina che umilmente lavora, va nelle

piazze, ride, fatica ogni santo giorno per vivere un po' meno

peggio, per vivere un poco di più..

L'Italia-cicala... non facciamo nomi: è l'Italia “politica”,

vecchia e nuova. L'Italia-formichina? Eccola qua. In queste

povere pagine, costruite con sacrificio e con passione, c'è l'Italia

dei senzapotere, dei poveri, di quelli che fanno tutto e non sono

calcolati da nesuno.

Leggete con intelligenza, con attenzione. Non limitatevi agli

articoli - pensate anche agli autori. Ci sono i vecchi compagni,

quelli che han combattuto con Peppino Impastato e Pippo Fava.

Ci sono i ragazzi che lottano, con trent'anni di meno ma identico

animo e cuore, esattamente per le stesse cose.

Bersani, Grillo, Napolitano, Monti... Vaffanculo! Ma sì, per

una volta diciamo la malaparola anche noi. Saranno grandi

politici, avranno il paese in pugno, ma noi abbiamo i ragazzi del

Clandestino. Dispersi sulla faccia del mondo, studenti

precarissimi a Torino, ragazze pacifiste a Niscemi, camerieri a

Roma – li trovi tuttavia dappertutto, sorridenti, non domi. Questi

sono i nostri “politici”, questo il nostro “partito”.

Nel chiacchericcio dei notabili, nel brusìo egocentrico di

vecchi e nuovi rancori, il loro passo leggero si sente appena. Ma

è l'unico che percorre l'avvenire. Nei quartieri a Catania,

all'università di Milano, nei vicoli militarmente occupati dal

Sistema a Napoli, loro e non altri portano la vecchia idea

libertaria del cuore e della ragione.

Gobetti morì solitario (o Peppino, o Giuseppe, o uno dei tanti

viandanti di questa strada), ma alla fine la libertà arrivò. Con

quella generazione che la sua vittoriosa sconfitta aveva saputo

illuminare.

I Siciliani

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 3– pag. 3

Le dueItalie

DA' UNA MANO: I Siciliani giovani, Banca Etica, IT 28 B 05018 04600 000000148119

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani MARZO-APRILE 2013 numero tredici

Questo numeroLe due Italie I Siciliani 3 Parole false contro la giustizia di Gian Carlo Caselli 6 L'Italia che non si squaglia di Nando dalla Chiesa 7

PolisCi vuole un altro Pertini. E forse c'èAttenti al Sistema di Riccardo Orioles 9 Anticorpi contro la mafia di Giulio Cavalli 10Fava e il ministero dei ragazzi di Antonio Roccuzzo 115 km di pace di Giovanni Caruso/ foto di Alessandro Romeo 12Niscemi/ Resistenza rosa di Daniela Sammito 16Tunisi/ “Futura umanità” di Anna Bucca 17Messina/ Lucchetti anti-primavera di Tonino Cafeo 18Al Teatro Valle va in scena l'avvenire di Bruna Iacopino 20Donne antimafia di Norma Ferrara 22

MafieLe stragi, la trattativa e la Falange di Lorenzo Baldo 24Transcrime di S.Manisera, C.Racioppi e V.Raffa 26Ombra nera sull'Abruzzo di Alessio Di Florio 28Emilia terra di mafia di Salvo Ognibene 29Periferie di Domenico Pisciotta 30Antimafia al Nord di Rosaria Malcangi e Andrea Zolea 32Cosentino non dimentica di Arnaldo Capezzuto 33

InchiesteNapoli/ Curarsi dentro il Vesuvio di Pier Paolo Milanese 34Catania/ Università: il nuovo e l'indagato di Salvo Catalano 36Partinico/ Che cosa ci aspetta di Pino Maniaci 38NoTerna: comitati in ordine sparso di Carmelo Catania 40Sole, vento e mafia di Carmelo Catania 42Holding 'ndrangheta: l'affare sanità di Rocco Lentini 44

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 4– pag. 4

RIEPILOGANDOOltre al solito mensile (questo che state leggendo, e che spa-

riamo di portare in edicola prima o poi), adesso facciamo an-

che una specie di foglio, una coserella senza pretese, che un

vecchio tipografo ci stampa e i ragazzi distribuiscono in giro

per le città.

Come sempre nella storia dei Siciliani, le lodi e la solidarietà

sono tante ma gli aiuti concreti pochi. E, come sempre, noi an-

diamo avanti lo stesso. Questo è un altro piccolo passo avanti.

In tempi di cicale, servono ancor di più le formichine.

*

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DA' UNA MANO: I Siciliani giovani, Banca Etica, IT 28 B 05018 04600 000000148119

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SOMMARIOSatira

Mamma! a cura di Gubitosa, Kanjano e Biani 49Società

Memoria di Gabriella Galizia 53Trapani e il prefetto antimafia di Rino Giacalone 54Catania: Il saccheggio dell'Antico Corso di Experia 56Un giornalista col vizio della notizia di Norma Ferrara 57Matilde il call center e la delocalizzazione di Vincenzo Rosa 58

Il ClandestinoLa bellezza di fare un giornale di Enrica Frasca Caccia 60Il compleanno del Clandestino 62

StoriaLa strage di Palermo di Elio Camilleri 64

StorieProtocollo di democrazia Jack Daniel 65

PoliticaIl distruttore di movimenti di Pietro Orsatti 66Dove il caos non paga di Riccardo De Gennaro 69"A Palermo si riprende a sparare" di Giovanni Abbagnato 70

Pianeta

L'euro, il dollaro e il bitcoin di Fabio Vita 72Scienze

Il bosone di Higgs di Diego Gutkowski 74

Percorsi

Peppino e il '77 di Salvo Vitale 78Luoghi

Le mimose di Bucarest di Miriana Squillaci 82Lavora e diventerai come noi (forse) di Attilio Occhipinti 84E ti senti per sempre un po' cambiato di Beniamino Piscopo 85Nord e Sud di Tito Gandini 86

Il filoLe guerre dei siciliani di Giuseppe Fava 8

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 5– pag. 5

DISEGNI DI MAURO BIANI

Un ebook in omaggio con questo numero Dario Vicari La mafia e la plebe La psicoterapia e la violenza rimossa della politica in Sicilia mobi epub pdf

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Nella crisi e sofferenza profonde che caratterizzano l’attuale stagione politica italiana una parte importante hanno le “parole”, la perdita del loro significato comune, il loro uso distorto o deviato. Quando si tratta di legalità e di giustizia, le parole più frequenti – ormai - sono quelle malate o false.

Sintomo di un malessere grave

Sono parole malate (elencarle compor-ta un esercizio di… masochismo) quelle usate per denigrare i magistrati definen-doli faziosi, matti, cancro da estirpare, associati per delinquere, disturbati men-tali, antropologicamente diversi dal resto della razza umana, figure orribili e ini-que, peggiori del fascismo, maledetti dal Vangelo...

Parole malate che sono sintomo di un grave malessere della politica, in quanto favoriscono - sfiduciando pregiudizial-mente un’istituzione fondamentale dello stato - la desertificazione delle coscienze.

Parole, quindi, che se possono andar bene a qualcuno per un comizio o per vincere una partita politico-giudiziaria, sono comunque causa di gravi perdite per tutti, a destra come a sinistra, perchè

contribuiscono a deteriorare il senso mo-rale del nostro Paese. E così una società non regge.

Poi ci sono le parole false: accanimen-to, persecuzione giudiziaria, politicizza-zione dei magistrati, teoremi, uso della giustizia per fini politici, complotti, par-tito dei giudici, golpe, giacobinismo, giu-stizialismo, toghe rosse... Fino alle re-centissime accuse di processi fatti solo per mettere qualcuno alla gogna mass-mediatica senza preoccuparsi più di tantodegli esiti.

* * *Parole false, perché basate sul nulla (se

si facessero finalmente parlare gli atti e i documenti: tacerebbero le bufale propa-gandistiche), ma ripetute con tanta osses-siva frequenza, impiegando le stesse tec-niche pubblicitarie dei detersivi, che alla fine uno finisce per crederci o per subirlecon rassegnata passività, accettando di usarle nel linguaggio corrente.

Perché questo impiego massiccio, scientificamente organizzato, di parole false?

Innanzitutto per squalificare chiunque osi dissentire dal “pensiero unico”, mar-chiandolo d’infamia ed espellendolo dal

campo di gioco. Poi per impedire qualun-que confronto serio sui problemi della giustizia, riducendo tutto ad una spirale soffocante di luoghi comuni, slogan e falsità. Infine perchè parlare del falsa-mente presupposto colore delle toghe (rosso o azzurro) aiuta a non parlare dei problemi veri. Che sono poi questi: chi è accusato di corruzione, ha corrotto o no ?chi è accusato di aver avuto rapporti con la mafia, è stato o no colluso?

Insomma, hanno corrotto o no?

Ma le parole false servono soprattutto per delegittimare e scoraggiare i magi-strati che abbiano la “sfortuna” di dover-si occupare di certe materie.

Si sa bene che a forza di calunniare, qualcosa alla fine resta sempre. E diventasempre più sfumata la linea di confine fraaggressione ed intimidazione. Mentre si consolida il teorema (che le parole false hanno introdotto) secondo cui giustizia giusta – quando si tratta di imputati che contano – è quella che assolve; mentre quella che osa indagare o addirittura ( a volte capita...) condannare è giustizia in-giusta, giustizia iniqua, da bollare con campagne mediatiche feroci.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag.6– pag.6

Neolingua

Parole falsecontro la giustizia di Gian Carlo Caselli

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Firenze, con Libera, il primo giorno di primavera. Dovevate esserci per capire leragioni vere della forza delle mafie. “Mio padre era maresciallo dei carabi-nieri. Venne ucciso in piazza mentre il suo superiore prendeva il caffè con il boss e per non restare coinvolto nella sparatoria tirò giù la serranda del bar. Quando l’Arma, dopo un’indagine inter-na, punì il superiore con un trasferimen-to, il consiglio comunale gli manifestò invece ufficialmente la sua gratitudine”. “Cercavo protezione per mia figlia con-tro quei delinquenti. Chiesi al marescial-lo di potergli parlare. Mi diede appunta-mento di notte in una piazzola della su-perstrada ma non venne. Poi mi fece sa-pere di stare attenta, era meglio lasciar perdere, quei tipi erano pericolosi”. “Dopo le intimidazioni e gli attentati concui cercavano di fermare la mia azione disindaco, chiesi al prefetto più attenzione per quel che stava accadendo. Lui mi dis-se che davanti al mio portone non sareb-be stato acceso nemmeno un cerino. Un cerino no, ma la bomba che uccise mio padre sì”. Massimiliano e Maria Rosaria

persero il padre Domenico Noviello, imprenditore con la schiena diritta, grazie a un oculista di Pavia chedichiarò la cecità del killer di camorra facen-dolo uscire dal carcere. Tracimano di queste

viltà i racconti che si inseguono il venerdì pomeriggio. La zona grigia, la vigliaccheria, la corruzione, la paura. La vera montagna che fa la differenza nella lotta contro la mafia.

Una comunità sempre più grande

Sono una comunità sempre più grande,i familiari. Perché i poteri criminali ucci-dono tutti gli anni. Perché c’è sempre chidecide di venire per la prima volta, comeCristina, la figlia di Bruno Caccia, il pro-curatore capo di Torino ucciso nell’83, appunto trent’anni fa. Perché c’è sempre qualcuno che prova a portare qui la sua domanda di giustizia dopo essersi viste sbattere in faccia tutte le porte del mon-do. Centinaia di storie, un’infinità di umiliazioni come medaglie, che si fanno pezzo insanguinato ma dignitoso e indo-mito della più vasta storia d’Italia.

Una società che non si piega

Nomi e cognomi che intessuti insieme danno l’idea di uno Stato in cui credere, di una società che non si piega al denaro e alla convenienza.

Recitati insieme, tra le strade e i monu-menti del più grande Rinascimento della cultura occidentale. Le bandiere lilla, gialle e arancioni galleggiano sul fiume immenso di giovani. Si è raccolta un’umanità speciale: Bettina Caponnetto,la vedova novantenne del grande giudice

fiorentino, che sul palco sembra una regina, Cesare Prandelli che applaude con umiltà l’elenco delle vittime, figli che fissano muti negli occhi i padri o le madri al suono del “loro” nome, gli amministratori coraggiosi riuniti in “Avviso Pubblico”, quella irripetibile combinazione di lutto e di gioia che scoppia puntuale a questo appuntamento.

Ecco in che cosa credere

Ecco in che cosa credere, questa è ma-teria che non si squaglia. Non percentualidi voto che vanno e vengono, non cariati-di in cerca di potere o rivoluzionari che guardano il proprio ombelico. Ma l’Italiache non si è voltata dall’altra parte.

Sono i suoi valori, riassunti da centina-ia di nomi, a dire ciò in cui si può crede-re, come hanno deciso di fare ieri le cen-tocinquantamila persone arrivate da ogni parte d’Italia, ragazzi partiti in pullman alle quattro di notte, venuti a Firenze nonper vedere la città, ma per esserci. Con-vinti che le bandiere della giustizia, dellaCostituzione e della lotta alla mafia sianoquelle che vale la pena di tener sollevate.

Sono loro che senza volerlo ripetono aiciechi e agli orbi quel che Neruda risposein poesia quando gli chiesero perché non parlasse delle nevi e dei vulcani del suo paese natale: “venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere il sangue per le strade”.

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Società civile

L'Italiache non si squaglia di Nando dalla Chiesa

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Politica Politica

Ci vuoleun altro Pertini.E forse c'è

Cinquant'anni fa di questi tempi avevamoil governo più fascista che ci sia stato fra Mussolini e Berlusconi, un centrodestra Dc-Msi che per prima cosa provvide a “re-visionare” - come si dice ora – la storia ita-liana facendo occupare Genova dagli ex re-pubblichini di Salò.

Genova insorse e anche nel resto d'Italia ci furono manifestazioni contro il governo. Nel sud si mescolarono con quelle per l'ac-qua e per l'occupazione.

La polizia, in perfetto stile sovietico (ma i comunisti qui erano gli sparati) , sparò sulla folla in diverse città: a Reggio Emilia uccise cinque operai, a Licata (Agrigento) restarono per terra venticinque manifestanti(un morto), a Palermo furono uccisi un an-ziano sindacalista, un precario diciottenne euna donna che stava alla finestra. A Cataniamassacrarono un ragazzo a manganellate (Salvatore Novembre, 19 anni) e lo lascia-rono a morire in piazza Stesicoro, dove ora la gente passeggia senza sapere.

Nei giorni successivi il governo crollò, travolto dalle proteste (allora la gente si ri-bellava). Ma al sud e specialmente in Sici-lia la vita rimase quelle di prima, cioè di-soccupazione e miseria e mafia per i conta-dini: mancava ancora un sacco di tempo peril Sessantotto.

* * *Da allora molte cose sono cambiate e al-

cune sono rimaste le stesse. La polizia, dopo Falcone e gli altri, non sparerebbe piùsulla folla. Ci sono più telefonini, ma menoallegria. Lavoro continua a non essercene, eora non solo al sud. Invece c'è sempre la mafia, che ha ancora più amici nei partiti digoverno.

E proprio a questo proposito, c'è una dif-ferenza importantissima: adesso,della ma-fia, nessuno fra i politici si accorge più.

Allora i partiti di sinistra (i “socialcomu nisti” che poi si scissero, uno al governo l'altro all'opposizione: ma sempre restando di sinistra fino a tutti gli anni'70), se una cosa sapevano, è che con la mafia non si di-scute e che la mafia sempre si combatte.

Persero più di cento compagni (un'altra cosa che ora non vi raccontano) combatten-do i mafiosi, fra il '43 e gli anni Sessanta. Avevano mille difetti, ma non di fare com-promessi coi mafiosi.

E ora? Adesso lo vedete: condannano un politico fondamentale (un fondatore di For-za Italia, un braccio destro di Berlusconi) per mafia, e una settimana dopo tutti se lo sono già dimenticato. Non è che non prote-stino, non facciano begli articoli, non siano – per alcuni giorni – virtuosamente indi-gnati: ma tutto si ferma lì. Poi arriva la “po-litica” dei politici, e tutto ritorna normale.

Per ora, nella sinistra “normale”, fervono le trattative e le avances (allearsi con Fini? con Micciché in Sicilia? con Calderoli e Bossi?), con strategie complessissime, de-gne di Sun Tzu o Napoleone. Peccato che falliscano sempre.

E quanto agli assetti interni: chi sarà il candidato finale, alle elezioni? Bersani, Vendola? Di Pietro? Oppure - tocchiamo ferro – un D'Alema o un Veltroni? O l'abi-lissimo Letta? E chi appoggiato da chi, che schieramenti interni, che alleati? Manovre complicatissime, degne di Giulio Cesare o Machiavelli.

E anche queste regolarmente finiscono col pugno di mosche in mano. Finirà che dalla crisi verrà fuori un governo Tremonti (che in effetti c'è già) o un Tremonti-Fini, oun Fini-Calderoli-allargato (tutto è possibi-le) o... E tutto, in nome dell'emergenza, conl'appoggio pià o meno esplicito della sini-stra.

Da un canto è divertentissimo vedere gli schieramenti che si compongono, le con-giure reciproche, i tradimenti dei ras (non a caso fra poco è venticinque luglio...); dall'altro, noi popolo di ogni giorno in tutto ciò non ci guadagniamo proprio niente. Ri-schiamo un governo Berlusconi senza di lui, che duri altri vent'anni e che sia sempree altrettanto padronale. Un otto settembre che duri vent'anni.

* * *

Quanto a noi, che di “politica” non ne mastichiamo, abbiamo poche idee e tutte fuori moda. Primo, coi mafiosi non si tratta,neanche per un istante. Secondo, se gover-no di emergenza ha da esserci, che sia di emergenza vera, e cioè in primissimo luogoantimafioso. Abbiamo un candidato, persi-no (a sua insaputa, ovviamente...), ed è un giudice antimafioso.

Volete un governo unitario, che gestisca il dopo-Berlusconi e prepari (diciamo, nel giro di un anno) le elezioni? Benissimo. Eccolo qua. Caselli.

A Berlusconi (e a Dell'Utri) non va bene, ovviamente. Ma a tutti glialtri? E' democra-tico. E' settentrionale. E' anche siciliano, in un certo senso. Non è di destra. Non è di si-nistra. E' più istituzionale della carta bolla-ta. Non si è mai immischiato di politica (a volte la politica se l'è presa con lui) e hs sempre fatto seriamente ed efficacemente quel che l'Italia gli chiedeva, combattere i terroristi o stangare i mafiosi.

E' giovane e pimpante, soprattutto, alme-no quanto Pertini. E infatti rischierebbe d'essere proprio un altro Pertini.

Chi ha paura di un altro Pertini? Chi ce lofarebbe, un pensierino?

Riccardo Orioles

ISTITUZIONILETTERA DI UN MAGISTRATO

Catania, 29 giugno 2010Al Sig. giudice Dott. Mariano Sciacca

Sez.commerciale del Tribunale di Catania

Permettimi auspicare da cittadino come fa-rei da magistrato se fossi ancora in servizio che nell’imminente rinnovo del CSM elet-tori e coscienza pubblica possano conoscer-e il tuo pensiero di candidato circa la situa-zione giudiziaria della nostra Catania: se tu la ritenga normale nonostante le vicende ri-feribili all’area mafiosa di S. G. La Punta o invece bisognevole per tali fatti e per altri di accertamenti ministeriali e di misure dell’organo di autogoverno.

Giambattista Scidà

|| www.ucuntu.org || 05 luglio 2010 ||

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 88

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Politica

Attential Sistema

Mentre ferveva il dibattito sul finanzia-mento ai partiti, a marzo il megamanager Fiat Marchionne s'è aumentato la paga del 47,7 per cento, portandola a 7,387 milioni di euri, più azioni per un valore di 7,2 mi-lioni. Praticamente nessuno ne ha parlato.

A febbraio, i magistrati di Torino hanno verificato l'esistenza di un immenso patri-monio clandestino "in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti". Fra Liech-tenstein (Celestina Co. Limited), Jersey (Triaria Investments), Isola di Man (Del-phburn Limited), Zurigo (Morgan Stanley)e altri "paradisi" si parla di valuta e beni per circa 1,166 miliardi di euri. Pratica-mente neanche di questo s'è parlato.

Infine, pochi giorni fa, a Vito Nicastro, un prestanome del boss Messina Denaro, èstato confiscato un tesoro di 1,3 miliardi dieuro. Di questo - trattandosi di mafiosi - almeno per qualche giorno s'è parlato. Me-glio tardi che mai, visto che l'inchiesta su Nicastro di Giorgio Ruta su i Siciliani gio-vani era uscita nel dicembre 2011.

Nessuno di questi tre casi ha avuto la benché minima eco nel dibattito "politico" in corso. Quanto costa il buffet del Senato? Chi paga il tempo libero dei ga-loppini? Chi farà il questore alla Camera, un rivoluzionario grillino o un inamidato del piddì? Tutti problemi giustissimi, per carità. Ma l'Italia sta andando in malora - guarda le cifre sopra - per altre cose.

"Andare in malora" vuol dire che oggi, stando a Confcommercio, ai quattro milio-

ni italiani di poveri se ne sono aggiunti mediamente 615 nuovi. Non parliamo dei lavoratori immigrati perché questi, per unanime decisione di tutti i partiti vecchi enuovi., nelle discussioni politiche non de-vono nemmeno essere nominate.

Chi comanda davvero

I governi in Italia in realtà sono almeno due. Uno si vede, e non conta niente. Gli altri, che non si vedono, hanno l'Italia in mano. Legali (Marchionne, Agnelli) o ille-gali (Cosa Nostra) che siano, hanno in co-mune il fatto di fare solo i loro interessi, e di non dare conto a nessuno. Di essi pro-babilmente Cosa Nostra è il più feroce, maquesto è un dettaglio etico: ai fini pratici, cioè dell'impatto sulla nostra (di noi pove-racci) umile vita quotidiana sono più o meno la stessa cosa.

La vita quotidiana dei politici - vecchi e nuovi - è però un bel po' diversa dalla no-stra. Per cui si possono permettere il lusso di giocare a Risiko fra di loro - Lìder con-tro Lìder, armate gialle contro armate ros-se – mentre noi li stiamo a guardare a nasoall'aria, chiedendoci fantozzianamente quando si decideranno a darci un governo (lo potrebbero fare anche subito, se fosse-ro meno superbi) che ci liberi il groppone da quella gente.

Balanzon, Pantalon, Capitan Spaventa

Non so se è Commedia dell'arte o se è l'Opera dei Pupi. C'è Balanzon-Bersani e Grillo-Capitan Spaventa. Non manca (Na-politano) Pantalone, né Gano 'u traituri, che sarebbe il buon Renzi. “Distruggere-mo il sistema! Noi soli! Abbasso tutto!”. “Sciòrbole! Ma il grande Ippocrate l'era minga d'acordo!”. “Ghe pensemo noi veci,portèe pasiensia...”. “Io, io, io!”. Allegria, la musica continua, si va avanti.

Ma davvero “hamo scherzato”?

Finora, i risultati sono questi: Berlusconiche stava affogando è tornato a galla, sal-vato dieci anni fa da D'Alema e ora da Grillo. Monti, cacciato a fischi e pernac-chie, è tuttora al governo. Si doveva rinno-vare la politica, e difatti eccoli là Violante e Quagliarello (e ai bordi del campo si scaldano Tutankamon e Amato). S'è votatoa gran maggioranza per la svolta, e siamo più impantanati di un camion di calce-struzzi quando piove a Messina. “Hamo scherzato”, si direbbe a Roma.

Qua nella capitale...

Qua nella capitale (che ormai è Catania, per come stanno messe le cose) debbono fare il sindaco. O Bianco (centrosinistra), cioè privatizzazione dell'acqua e legnate agli studenti (a Napoli, dieci anni fa, anti-cipò il G8); o una signora Adorno, porta-voce grillina, mai vista qua nei quartieri, mai parlato di mafia. Mai esistito Scidà, mai visto Giuseppe Fava.

La mafia, sì. Dei tre partiti, uno (Dell' Utri,) non è lontano da essa. Uno (Pd) ha avuto, ma molti molti anni fa, Pio La Tor-re. Il terzo (M5) è inaffidabile (“Qua ma-fia non ce n'è più, ormai è tutta al nord!”) e non capisce nemmeno la differenza fra un (mediocre) giudice antimafia e un (pimpante ed efficientissimo) non nemico dei mafiosi.

Berlusconi il golpista

Si può nominare Pertini? O – visto che che la P2 ora è ufficiale, e che Berlusconi il golpista è una forza politica come le altre – Pertini oramai è vietato? E' vietato, sì, multa a chi sgarra. Niente parlare di Pertini o Berlinguer, amici miei, sennò poila gente magari fa paragoni, e questo ai politici di ora non fa piacere. Ma voi pensateci a Pertini, pensateci lo stesso.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 99

Si accapigliano per il governo. Ma i governiin realtà sono due

di Riccardo Orioles

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Movimenti

Anticorpicontro la mafiaal Nord

C’è una frase di Pino Maniaci che mi colpisce profondamente. Pino è così: vola con leggerezza dai giudizi più sprezzanti fino alle considerazioni più intime che meritano di essere al più presto collettive.

Diceva, durante un suo incontro con i ragazzi su Milano, “dovete stare attenti, perché in Sicilia abbiamo il virus ma an-che gli anticorpi, qui il virus è arrivato, ma non avete ancora gli anticorpi”.

I corpi estranei alla Costituzione

Gli anticorpi, appunto: ho passato sera-te a spaccarmici la testa, sugli anticorpi, su queste proteine umanoidi che dovreb-bero neutralizzare i corpi estranei alla legge e alla Costituzione riconoscendoneogni determinante antigenico.

E’ possibile? mi chiedevo. Come im-piantarceli qui dove la malattia è in incu-bazione continua mentre la devastazione è in corso d’opera?

Forse (è una mia umile considerazione personale) facendo rete (sì, ce lo siamo detti mille volte e tutte le sante mille vol-te abbiamo applaudito) ma diversamente da come lo stiamo facendo.

E’ un’autocritica certo (mica un rime-stamento di macerie), ma è un fatto visi-bile e evidente che l’antimafia sociale, culturale e dell’associazionismo viaggi ad una velocità (colpevolmente) troppo diversa e troppo slegata da quello che ac-cade là dentro dove i cambiamenti cam-biano per davvero le cose: centinaia di insegnanti spendono energie e tempo per organizzare incontri di alfabetizzazione sulle mafie ma la scuola intanto resta inerte (quella dell’Aprea, della Gelmini, di Comunione e Liberazione e di Formi-goni, per intendersi, quella terribile idea di scuola tutta minuscola come servizio obbligatorio per adempiere stancamente ai doveri della Costituzione), decine di amministratori si incontrano per scam-biarsi esperienze e buone pratiche su rici-claggio e gioco d’azzardo ma la Regione (e il Parlamento) si ridestano al massimo un secondo solo per congratularsi in car-ta bollata, invitiamo testimoni di giusti-zia a raccontarsi mentre abbiamo un pro-gramma di protezione testimoni che vie-ne smantellato quotidianamente, applau-diamo nelle serate gli uomini della Cattu-randi mentre ci raccontano l’ultimo arre-sto dell’ultimo latitante e intanto le forze dell’ordine scivolano nel volontariato per

terminare le indagini.Queste e molte altre discrepanze (usia-

mo un eufemismo, va') testimoniano le maglie troppo larghe di una rete che non riesce a contenere.

Indicare referenti certi

Stringersi, forse. Servirebbe stringersi per rendere più palesi (e leganti) le re-sponsabilità di tutti i nodi. Avere il co-raggio, stretti, di indicare referenti certi con potere legislativo, testimoni attivi nella magistratura, interpreti responsabilinell’imprenditoria, in un’attività di “lob-by” nell’accezione positiva: tre o più per-sone che si occupano dell’interesse pub-blico danneggiando (anche, se serve) l’interesse privato. Una sorta di 416 qua-ter che non sia un delitto ma un dovere dianticorpi.

Costa, lo so, non è facile: richiede un’esposizione a tutto campo che superi iconfini della testimonianza. Eppure l‘antimafia non può restare sospesa, non è credibile nei mezzi toni di una scala con un estremo buio; richiede luce, vita, scelta e politica. Da che parte stare: esse-re partigiani e non tollerare indifferenze.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1100

Facciamo rete, organizziamoci, superiamo i con-fini della testimonianza. Indichiamo referenti con potere legislativo, testimoni attivi nella magi-stratura, interpreti responsabili nell' imprendito-ria. Mettiamo l'interesse pubblico prima di quel-lo privato di Giulio Cavalli

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Movimenti

La memoria di Favae il ministerodei ragazzi

In una stanza di un palazzone roma-no di viale Trastevere è successo un pic-colo “miracolo” civile.

La parola – mi rendo conto da ateo con-vinto - va fin troppo di moda, dopo l’irru-zione in scena di papa Francesco, ma qui non c’è nulla di cattolico, state tranquilli. Anche se di miracoli così ce ne sono tanti tra le pieghe nascoste d’Italia e molti altri ne dovrebbero accadere.

È accaduto, e io ne sono stato testimo-ne, che il ministero dell’istruzione ha fir-mato un’intesa con la Fondazione Giusep-pe Fava. Elena Fava, la figlia del giornali-sta ucciso dalla mafia a Catania il 5 gen-naio 1984 e mio maestro di giornalismo, ela professoressa Giovanna Boda, respon-sabile del dipartimento dello studente del Miur, hanno messo la firma sotto sette fo-gli di carta. “Da oggi ci siamo alleati”, ha detto una sorridente “burocrate” che non ha nulla di burocratico nei toni e nelle pa-role.

Il miracolo è questo: 30 anni (quasi) dopo l’assassinio di Fava un pezzettino dello Stato si è accorto di questo luogo della civiltà italiana, la Fondazione Fava, e le ha porto la mano, facendo proprio questo “esempio civile”. Per fare iniziati-ve e cultura insieme, mettendo tutte le

scuole italiane nella condizione di ricor-dare (senza retorica) un cronista ucciso dal potere politico-mafioso siciliano e italiano.

Non era mai successo finora, non c’era stato nessun brandello di Stato (tribunali aparte) che, dal 1984 a oggi, avesse dato questo segno concreto di voler tutelare questa memoria e di darle lo spazio di esprimersi uscendo dai suoi confini.

Tutte le scuole italiane

In cosa consisterà questa “santa” e civi-le alleanza? Accadrà che da qui al 5 gen-naio 2014 (anniversario del delitto Fava), tutte le scuole italiane potranno studiare lecose dette e scritte da Pippo Fava, farannolezioni con esperti, scriveranno articoli, gireranno video, scatteranno foto.

Fava ha scritto: “A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?”. Lo face-va dire a un suo personaggio nella com-media “la Violenza”. E questo fu lo spiritodel giornale, lottare per la verità, che ani-mò la redazione dei ragazzi de “I Sicilia-ni”, la rivista che Fava fondò nel 1982 dando l’occasione di imparare un mestiereliberamente (e come si potrebbe farlo sen-za?) a una decina di ragazzi italiani.

Per me e per gli altri compagni di quellabella e dura avventura giovanile fu l’atti-mo fuggente, l’occasione di provare a scrivere ed esprimersi liberi. Un privilegioper un cronista italiano, una grande scuoladi vita e una splendida bottega dove ap-prendere un mestiere.

Ecco, lo spirito di questa alleanza tra Fondazione Fava e Miur è proprio questo:dare ai ragazzi italiani l’occasione di stu-diare (fuori dai testi) la figura di un gior-nalista libero, un grande educatore civile, un appassionato cronista. “Apri la finestrasulla tua città e racconta dove vedi traccia di mafie”.

Sarà questo – più o meno – il titolo del bando intitolato a Fava e l’Ansa.it acco-glierà i lavori delle scuole che aderiranno al bando del Miur. Poi, a gennaio, Cataniadiventerà capitale delle scuole italiane. Come Palermo per il 23 maggio.

Perché i miracoli civili hanno i loro esempi e i loro nomi da proporre per far camminare le idee.

Ragazzi di tutte le scuole d’Italia, datevida fare a scrivere. Fava avrebbe creduto invoi. Come – 30 anni fa – credette in me, in Claudio, in Michele, in Elena, Rosario, Riccardo, Sebastiano, Lillo, Fabio e in tutti quelli che sono venuti dopo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1111

Da qui al 5 gennaio 2014 (anniversario del delitto Fava), tutte le scuole italiane potranno studiare le cose dette e scritte da Pippo Fava, faranno lezioni con esperti, scriveranno articoli, gireranno video, scatteranno foto...

di Antonio Roccuzzo

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Niscemi 30 marzo

cinquechilometri

di pace

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1212

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30 marzo a Niscemi

Il giorno dellapace di Giovanni Caruso

Il verde dei campi che si unisce all'azzurro cielo. Le tante voci coloratedei dialetti di tutta Italia. Il colore dei suoni e del vocio gioioso, di chi vuole pace e diritti...Insomma, colori di ogni tipo che contra-stano, con il freddo acciaio delle antenne della istallazione americana.Oggi a Niscemi, è festa!"Si! caro signore, lei racconta oggi, con parole poetiche, ma oggi è come il 25 aprile, il giorno delle resistenze!O il primo maggio, la festa del lavoro contro i vecchi e nuovi sfruttamenti.Oggi noi donne madri, contro il Muos, siamo qui a resistere per difendere Nisce-mi, i nostri figli e tutte le mamme del mondo che vedono morire i loro figli e figlie a causa di guerre assurde che ser-vono ad arricchire i mercanti di armi e l'occidente".Ma cosa accadrà, con il nuovo governo del presidente?"I comitati NoMuos hanno raggiunto un primo importante successo, il governato-re Crocetta ha revocato le autorizzazioni concesse dal suo predecessore ed ex al-leato Lombardo. E’ una mossa dettata dalla necessità di mantenere in piedi la sua giunta o da sincera convinzione? La storia ce lo dirà, adesso possiamo solo aspettare la risposta del governo ameri-cano, sempre in guerra con il "terzo mondo" più povero.Quale sarà la loro reazione?Chi avrà ragione?Noi che resistiamo per i nostri diritti, o lagrigia e vecchia politica dei potenti, che potrebbe far sbiadire i mille colori sparsi in questi cinque chilometri di pace?"

foto di Alessandro Romeo

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1133

ALTRI GIORNI DI LOTTA 5 APRILE LA CAROVANA ANTIMAFIAIl programma a Catania: alle 9.30 davanti alle Zagare incontro coi lavoratori delle aziende confi-scate Aligroup e Riela, a cura della Cgil; a mezzogiorno a piazza Verga (lato Excelsior) ricordo diPierantonio Sandri, mentre contemporaneamente nel Tribunale di fronte si svolge la seduta del processo di Appello); alle 16 al call-center "Almaviva" di Misterbianco, convegno sul Lavoro a cura dell'Arci e del Presidio; alle 19 festa & cena a Librino al campo S.Teodoro.

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di giro”

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1144

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1515

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Mamme NoMuos

Niscemi:Resisten-za rosa di Daniela Sammito

Le mamme lo chiamano MUOStro e sono decise a sconfiggerlo a tutti i co-sti, con tutta l'irresistibile potenza dell'istinto con cui ogni donna difende-rebbe il proprio piccolo in pericolo.

Dopo i fatti della notte tra il 10 e l'11 gennaio - quando i ragazzi che presidia-no giorno e notte la Sughereta, interve-nuti a bloccare l'accesso alla base di una gigantesca gru, furono respinti a manga-nellate dalle forze dell'ordine, un gruppo di mamme di Niscemi decise di costituir-si in comitato. Con la nascita del Comita-to delle Mamme NoMuos, la battaglia contro l'eco-mostro di Niscemi e le azio-ni di resistenza contro la militarizzazionedella Sicilia ha assunto una vitalità irresi-stibile.

Davide Floridia, attivista NoMuos di Modica, ha trascorso un mese al presidio e descrive così il primo incontro con le Mamme: “E' stato bellissimo quando sono arrivate le mamme, qualche giorno dopo il passaggio delle gru. Per noi è sta-to un giorno di primavera. Hanno portatol'armonia, l'ascolto. Il loro gruppo è cre-sciuto tanto e noi siamo stati spesso con loro alle assemblee in piazza”.

Una primavera “rivoluzionaria”

Ma di primavera qua si può parlare an-che in un altro senso, quello che rende il termine sinonimo di rinnovamento, anzi di rivoluzione. Perché la carica rivoluzio-naria nelle parole delle mamme NoMuos è innegabile: “Ogni giorno lottiamo per garantire ai nostri figli ciò di cui hanno bisogno. E adesso lotteremo per tutelare la loro salute e il loro futuro. Questa bat-taglia è la nostra principale forma di li-bertà, il nostro modo di sentirci veramen-te libere”. Così Marisa Di Corrado - ni-scemese, madre di tre ragazzi - racconta la sua decisione di aderire al comitato.

E aggiunge: “Edu-cherò i miei figli adifendere i loro dirit-ti. Questa è l'ereditàche lascerò loro”.“Le donne devonoimparare a reagire -conclude - Non de-vono più subire. Da-vanti a ciò che nonfunziona, bisogna co-minciare a denuncia-re, a parlare, a farequalcosa per cambia-re la situazione”.Qui e dappertutto.

Le mamme provengono da percorsi di vita differenti - insegnanti, impiegate, operaie e casalinghe - ma sono accomu-nate dalla volontà di lottare per la difen-dere la salute dei propri figli dal pericolo attuale delle antenne del sistema militare di telecomunicazioni NRTF-8 e da quellopotenziale, ma imminente, della stazione terrestre del Muos.

Percorsi di vita differenti

Come per tutti i Comitati nati nel corsodegli ultimi quattro anni in tutta la Sici-lia, e anche oltre lo Stretto, per le mam-me NoMuos l'obiettivo è di ottenere la definitiva e irrevocabile sospensione dei lavori di costruzione delle parabole satel-litari Muos e lo smantellamento delle quarantasei antenne NRTF-8, che dal 1991 provocano a Niscemi livelli molto elevati di inquinamento elettromagneti-co, determinando un preoccupante au-mento delle patologie tumorali nella po-polazione.

Per il loro impegno in difesa del terri-torio, della pace e dei diritti le mamme NoMuos hanno ricevuto, a Roma, il Pre-mio speciale “Donne, Pace e Ambiente Wangari Maathai”. Era il 6 febbraio. Lo stesso giorno in cui, al presidio perma-nente di contrada Ulmo, sono state spin-tonate dalla polizia mentre cercavano di bloccare l'ingresso alla base di un furgo-ne carico di militari e operai che avreb-bero dovuto lavorare al Muos.

In base ad un precedente accordo tra lapolizia e i Comitati, i manifestanti avreb-bero dovuto far passare soltanto i militariper il cambio dei turni. Ma quel giorno nel furgone c'erano anche operai camuf-fati da militari. Alcuni di loro erano ni-scemesi e sono stati riconosciuti dai ma-nifestanti. Così le mamme si sono oppo-ste al loro passaggio, mettendosi davanti all'automezzo.

I poliziotti sono intervenuti “stratto-nando, spingendo, colpendo, trascinando a terra e strappando la giacca di una di loro”. Non si è trattato di un intervento armato come quello dell'11 gennaio, ma sicuramente è stata un'azione violenta contro queste donne, mamme che faceva-no resistenza passiva.

Marisa Di Corrado ha riportato una contusione alla caviglia (tre tre giorni di ricovero), e il suo racconto di quella giornata non lascia margini di dubbio: “Gli agenti ci hanno messo le mani ad-dosso. Sono stata acchiappata per il giub-botto e strattonata. Il giubbotto si è strap-pato e io sono caduta a terra”.

Addolorata e sorpresa la reazione dellemamme: “Ci domandiamo in che mondo viviamo quando si usa violenza contro donne e mamme che pacificamente presi-diano per tutelare il diritto alla salute. Persone che hanno già problematiche fa-miliari pesanti. Chi presidia, possibil-mente, è gente che ha vissuto sulla pro-pria pelle e quella dei propri cari proble-matiche di salute gravi. Ma lo Stato chi dovrebbe tutelare?”.

Vale più la strategia o la salute?

Legittima domanda. Che ne apre altre, di carattere più generale. Merita maggior tutela il diritto alla salute dei cittadini o l'interesse strategico degli USA ad eser-citare un incontrastato controllo nel Me-diterraneo? A cosa si riduce la democra-zia quando l'esercizio dei propri fonda-mentali diritti incontra limiti calati dall'alto e imposti con la violenza? Quanto vale un atto formale della Regio-ne Siciliana – la revoca delle autorizza-zioni del MUOS notificata alla Marina statunitense – rispetto alla volontà condi-visa del governo nazionale e degli Stati Uniti di fare della nostra isola un avam-posto per i conflitti del terzo millennio?

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1616

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www.isiciliani.itFOTO DI GRAZIA BUCCA

Il Forum di Tunisi

“Futuraumanità”Volontari e mi-granti, studiosi edonne ribelli,precari e gentesfruttata del ter-zo mondo. E allafine, da qui èpartita la Caro-vana Antimafieinternazionale...

di Anna Bucca www.arcisicilia.info

Seminari, workshop, assemblee, minie grandi cortei, organizzazioni cene, riunioni di delegazione, incontri, birre notturne: tante sono state le occasioni per ritrovarsi, incontrarsi e conoscere altra gente durante la settimana tra-scorsa tra il campus universitario di Al Manar 1 dove si è svolto il forum e l’avenue Bourguiba, luogo di riferi-mento per i militanti “notturni” e per l’avvio della manifestazioni di aperturae di chiusura dell’edizione 2013 del FSM.

Un forum in cui si è respirata un’aria diversa, che dieci anni fa nessuno avrebbe immaginato potesse svolgersi nelMaghreb, in Tunisia, e che appena due mesi fa, dopo l’assassinio di Chokri Be-laid, in molti temevano che non si riuscis-se più a organizzare.

Ma il coraggio, l’impegno e la determi-nazione sono stati più grandi della paura e il progetto è stato portato avanti, pur lavorando in condizioni di difficoltà e conmeno fondi del solito e del necessario.

Un nuovo universalismo

Il primo risultato che porta a casa è sta-to di confermare che è possibile costruire alternative al capitalismo e alla globaliz-zazione economica neoliberista, basate suprincipi di cooperazione; che è possibile pensare insieme un nuovo universalismo e comunità locali fondate sui valori di di-versità, giustizia sociale, uguaglianza tra tutti e tutte.

In questa edizione hanno avuto centra-lità alcune temi rimasti un po’ al margine negli anni precedenti. Due su tutti: il mo-vimento dei migranti e la Palestina, prota-gonista della manifestazione di chiusura il 30 marzo, la giornata della terra, gior-nata che sta particolarmente a cuore a unaNazione che lotta da 65 anni per riavere uno Stato, e non un insieme di bantustan.

La parola Karama: dignità

Un forum nel segno della parola Kara-ma, dignità, che potevi leggere scritta in 20 lingue diverse sulle borse che i parte-cipanti, portandole a tracolla, sfoggiava-no attraverso i viali del campus. Vari gli spazi allestiti: il villaggio migrazioni, l’area dell’alternativa mediterranea, le tende delle donne e le tende delle diverse rappresentanze territoriali: saharawi, ira-keni, palestinesi, egiziani, il forum socia-le libico, i siriani nelle loro varie compo-nenti, bandiere e convinzioni. Per citarne alcuni. Più di mille le attività seminariali proposte che hanno trovato sintesi nelle assemblee di convergenza del pomeriggiodel 29 e della mattina del 30.

Uno dei momenti più emozionanti si è avuto nel corteo finale, all’interno del quale ha anche simbolicamente preso av-vio la Carovana Internazionale Antimafie.Ad un certo punto ci siamo ritrovati a cantare in tante lingue la stessa canzone: da un lato arrivavano le parole in arabo, dall’altro in italiano e in spagnolo, con le voci che si intrecciavano e mescolavano.

Mi sembra che questa immagine resti-tuisca il senso di questi giorni a Tunisi e quello che potrà essere il percorso futuro:fare ritrovare insieme tante persone di di-verse esperienze e provenienze in un pro-getto collettivo. Buon cammino!

p.s.: per la cronaca, le note che risuona-vano erano quelle dell’Internazionale.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1717

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Messina

Lucchettianti-primavera

Al parco Aldo Moro tutto era pronto per cominciare la primave-ra con un regalo alla città, un magnifico spazio verde per la cultura. Ma...

di Tonino Cafeo

Messina. La domenica delle palme

era già tutto pronto per una magnifica

festa di primavera al parco Aldo

Moro. Su invito del Teatro Pinelli Iti-

nerante, che dopo essere stato sfrattato

dai locali del Teatro In Fiera organizza

“Zone Temporaneamente Liberate” in

giro per la città dello stretto, decine di

ragazze e ragazzi erano pronti con

zappe e rastrelli, fin dalle prime ore

del mattino, a rendere vivo e acco-

gliente uno spazio verde nel cuore di

Messina, ma sono rimasti dietro ai

cancelli chiusi. E non c’entrano per

nulla i capricci del tempo marzolino.

“Era tutto pronto per una giornata dav-

vero particolare - racconta Michele -

Dopo i lavori di pulizia del giardino e

una meritata pausa di relax, ci sarebbe

stato un seminario tenuto dall’architetto

Celona sul Piano Borzì e la storia urbani-

stica messinese e infine un’assemblea

aperta alla città per iniziare ad im-

maginare un uso collettivo di uno spazio

per troppo tempo negato alla pubblica

fruizione”.

Ma già alle nove del mattino davanti al

cancello del parco c’era un’auto dei Ca-

rabinieri a cui si sono aggiunte subito

dopo due volanti della Polizia. “Gli

agenti - spiega Michele - ci hanno detto

che l’INGV (Istituto nazionale di

Geofisica e vulcanologia),proprietario

dell’area, avrebbe sporto nei giorni scorsi

una denuncia contro ignoti per l’apertura

abusiva della cancellata.”

Vuoto, chiuso, abbandonato

Il Parco Aldo Moro si trova in viale

Regina Margherita, sulla Circonvallazio-

ne. E’ uno spazio di circa 13mila metri

quadri situato su una collinetta panora-

mica attigua all’Istituto Sant’Ignazio.

Al suo interno si trova un edificio che

ha ospitato per decenni gli strumenti

dell’Osservatorio Geofisico e Sismologi-

co di Messina.

Il contratto tra il Comune, antico pro-

prietario del terreno, e l’INGV è stato sti-

pulato nel lontano 1949 e sanciva la

“cessione a titolo gratuito” del fondo,

prevedendo però la restituzione all’ente

locale dello stesso e degli immobili even-

tualmente costruiti nel suo perimetro in

caso di cessazione dell’utilizzo da parte

del beneficiario della donazione.

L’Osservatorio ha ospitato apparati

scientifici attivi fino al 2008 anche se,

come hanno confermato i dirigenti della

sede regionale dell’INGV, è rimasto pri-

vo di personale da quando, nei primi anni

’90, l’ultimo custode è andato in pensio-

ne. Dopo il 2008 ha sostanzialmente ces-

sato di funzionare.

Un polmone verde

Si sarebbero così potute creare le con-

dizioni affinché si verificasse la clausola

prevista dal contratto del ’49 e il Comune

di Messina avrebbe avuto a disposizione

un importante polmone verde in una

zona sempre più densamente popolata.

Niente di tutto questo si è però verificato.

Secondo quanto sostengono i dirigenti

regionali dell’INGV la continuità opera-

tiva prevista come condizione per assicu-

rare la proprietà del complesso all’ente di

ricerca non sarebbe mai venuta meno.

“Dal 2008 ad oggi abbiamo attuato un

piano di lavori di ristrutturazione e po-

tenziamento dell’Osservatorio, che è sta-

to portato a buon fine nel febbraio di

quest’anno con il collaudo amministrati-

vo delle nuove strutture - precisano da

Palermo - mentre delicati strumenti come

il rilevatore geodetico gps non hanno mai

cessato di raccogliere dati e di inviarli ai

centri di elaborazione”.

Stando a queste notizie, dunque, chi

sperava di dotare Messina di nuovi spazi

di verde attrezzato avrebbe dovuto met-

tersi il cuore in pace.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1818

Page 19: I Siciliani - marzo 2013

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“Il parco è un bene comuneche appartiene alla città”

Manifestazione No Ponte a Messina. Foto di Sebastiano Gulisano

Per la verità,

un’altra strada

per assicurare la

fruizione pubbli-

ca almeno di

parte del giardi-

no esiste e le

amministrazioni

comunali che si sono succedute a Messi-

na hanno pure provato a praticarla.

Nel 2006 il sindaco Francantonio Ge-

novese aveva rinnovato la concessione

all’INGV del complesso. Nel frattempo

la possibilità che gli spazi verdi fossero

curati e aperti al pubblico era stata riven-

dicata da associazioni giovanili come

Energie Messinesi e sostenuta da diversi

consiglieri di quartiere e comunali.

“Niente parco, perché...”

Tre anni dopo, nel marzo del 2009 ,

toccò all’assessore all’Arredo urbano

della Giunta Buzzanca Elvira Amata

confrontarsi con l’Istituto Nazionale di

Geofisica. Nel corso di un incontro fra

l’esponente del centrodestra e i funziona-

ri dell’INGV emerse che il sito non sa-

rebbe stato interamente utilizzabile come

parco pubblico per ragioni legate alla de-

licatezza delle apparecchiature presenti.

In quell’occasione fu resa nota l’inten-

zione dell’Istituto di rilanciare la propria

attività a Messina con il potenziamento

delle strutture dell’osservatorio e la con-

testuale disponibilità del medesimo a sti-

pulare col Comune un protocollo d’inte-

sa per il recupero dell’area rimanente,

nella quale ricadono la casa del custode e

alcuni ruderi d’epoca spagnola.

Gli accordi di collaborazione fra INGV

e Università di Messina, siglati all’inizio

del 2011, confermano l’impegno in dire-

zione dell’ampliamento delle attività di

ricerca sismologica e vulcanologica nel

nostro territorio, senza fare però alcun ri-

ferimento ad eventuali diverse funzioni

del Parco Aldo Moro, citato solo in quan-

to sede messinese dell’Istituto.

Si deve arrivare al gennaio dello scorso

anno per riavere notizie del protocollo

d’intesa fra Palazzo Zanca e l’INGV. A

quel periodo risale infatti il via libera del

Consiglio comunale all’accordo di colla-

borazione pensato nel 2009.

Un atto i cui effetti sono rimasti sospe-

si in aria per altri dodici mesi, fino a

quando, cioè, i ragazzi del Pinelli non

hanno riaperto la questione liberando il

parco Aldo Moro e rinfrescando la me-

moria persino sulla sua esistenza a tutti,

compresi i dirigenti dell’Ente pubblico di

ricerca, che si sono affrettati a spedire in

riva allo stretto un funzionario incaricato

di “portare a compimento tutti gli adem-

pimenti necessari ad una rapida ripresa

delle attività scientifiche dell’Osservato-

rio Geofisico”.

Il dottor D’Anna, questo il nome del

funzionario, ha preso contatto con Palaz-

zo Zanca per riprendere e concludere

l’iter del protocollo di intesa ma non ha

voluto sottrarsi comunque ad un con-

fronto pubblico con il Teatro Pinelli Iti-

nerante impegnandosi a far conoscere al

consiglio di amministrazione dell’INGV

le obiezioni e le controproposte dei tem-

poranei occupanti della struttura.

“Usiamolo in comune”

“Siamo convinti che sia possibile

portare avanti il progetto del centro di ri-

cerca dell'INGV e contemporaneamente

prendersi cura in comune del parco e di

parte delle strutture - sostiene Giulia - Il

parco è un bene comune di cui la città è

stata privata per troppo tempo. Pensiamo

che, in un momento in cui i tagli alla

ricerca stanno avendo ripercussioni su

tutta la collettività, possiamo pensare a

nuove possibilità di finanziamento, dal

basso, e di autogestione anche degli enti

e delle strutture pubbliche, consapevoli

del bisogno immediato di risposte con-

crete alle domande dei ricercatori, dei

precari e di tutta la collettività. Stiamo

lavorando a una nostra proposta di uso in

comune del parco”.

L’impegno a più breve scadenza è

quello di arrivare subito dopo Pasqua ad

un tavolo pubblico per la riscrittura

dell’atto in termini che rendano chiara e

inequivocabile la volontà di aprire alla

cittadinanza - compatibilmente con le

esigenze del lavoro di ricerca - il parco

Aldo Moro.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 1919

Page 20: I Siciliani - marzo 2013

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Beni comuni

Al Teatro Valleva in scenal'avvenire“Occupiamo per occu-parci di ciò che è no-stro. È nostro come cittadini, come lavora-tori dello spettacolo, della cultura e dell’ arte...”. E' stato un modello per tanti, que-sta storia. Perché?

di Bruna Iacopino

“Lo spettacolo dell’anno è stato l’occupazione del Valle. Una maratonateatrale che va avanti da un mese, con duecento artisti sul palco, decine di migliaia di spettatori, recensioni sulle pagine e i siti del mondo, dal New YorkTimes a Libération. Un sogno di mezza estate che ha trasformato il più antico teatro di Roma nella casa della culturaitaliana, dove sono passati davvero tut-ti, in un laboratorio del futuro e final-mente in una notizia da prima pagina”.

Era il 16 luglio 2011 e Curzio Maltese,editorialista de la Repubblica, raccontavacosì il primo mese di occupazione del Teatro Valle, uno dei teatri storici della Capitale, sito al centro della città, a un tiro di schioppo dal Senato.

E il teatro Valle fu davvero per molti mesi, i primi mesi per lo meno, la notiziadi prima pagina, o magari di seconda , sumolti quotidiani, italiani e internazionali.

Il perchè è presto detto: quella che all'inizio era sembrata la semplice brava-ta di un gruppo di teatranti aveva assuntopian piano i connotati di una lotta politi-ca giocata non più sulla piazza ma dalla platea di un teatro del '700, uno dei più antichi di Roma, e argomentata punto perpunto non solo sul piano della protesta ma anche e soprattutto su quello della proposta.

“Riprendiamoci la cultura”

E la proposta in questione suonava come una sfida: “Come l'acqua e l'aria ora riprendiamoci anche la cultura”.

All'indomani del referendum che ave-va portato alle urne milioni di italiani at-torno al concetto antico eppure nuovo deibeni comuni, a partire da un bene fonda-mentale come l'acqua, a qualcuno era sembrato quasi naturale decidere che di fronte al rischio dello snaturamento di uno dei teatri più antichi d'Italia la solu-zione più logica non potesse essere altro che la riappropriazione dal basso attra-verso la pratica dell'occupazione e della successiva autogestione, ampia e parteci-pata, trasversale.

“Com'è triste la prudenza”

Ed ecco che, al motto di “Com'è triste la prudenza”, liberamente tratto da Ra-fael Spregelburd, motto che campeggia ancora in alto su uno striscione, lavorato-ri e lavoratrici dello spettacolo (attori, at-

trici, tecnici, sceneggiatori, registi, dan-zatori...) tentano un'impresa mai provata prima: riappropriarsi di un teatro fermo da quasi un anno e farlo rivivere attraverso il libero contributo di tutti, la-voratori e spettatori per la prima volta sullo stesso piano a confrontarsi e ripen-sare una diversa idea di cultura.

“Occupiamo per occuparci di ciò che ènostro. È nostro come cittadini, come la-voratori dello spettacolo, della cultura e dell’arte. Con questo spirito il 14 giugno,lavoratrici e lavoratori dello spettacolo autorganizzati hanno occupato il teatro Valle”. Così scrivevano, il 22 giugno del 2011, gli occupanti del Valle per far capi-re al mondo, che li osservava dall'ester-no, quello che erano e soprattutto quello che volevano raggiungere.

Un nuovo modo di agire

Un modo nuovo di pensare e di agire che risultò subito vincente.

Se volevi partecipare ad una delle tanteassemblee che si tenevano nei primi mesi, quando ancora era tutto da definire,potevi star certo che avresti avuto diffi-coltà a trovare un posto per sederti.

Gli spettacoli poi, tutti proposti a livel-lo gratuito da parte degli artisti e sovven-zionati attraverso libera sottoscrizione dagli spettatori, erano un'incognita anco-ra maggiore. File interminabili per poi scoprire da un volto stanco ma sorridenteche “ci dispiace ma c'è davvero troppa gente, non riusciamo a far entrare tutti...”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2020

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“Alla fine, questaimprudenza paga”

E intanto il nucleo dei primi occupanti ingrossava le fila, strada facendo qualcunaltro si appassionava (e continua ad ap-passionarsi) alla causa, l'abbracciava, sentiva che era la direzione giusta da per-correre, una direzione che aveva anche un altro obiettivo: quello di spianare la strada e creare degli emuli nel resto d'Ita-lia, con occupazioni analoghe che avreb-bero finalmente spinto le istituzioni a prendere atto di un fronte unito in difesa e a sostegno del bene più prezioso ma, per sua natura, “immateriale”.

Il contagio dilaga

Scommessa vinta anche questa: nel giro di poco il morbo si diffonde e ad es-sere occupati, o per dirla come lo direb-bero loro, ad essere “liberati” sono altri

spazi: dal Teatro cinema Palazzo a Roma, al Marinoni e Sale Docks a Vene-zia, al Macao a Milano, il Teatro Rossi aperto a Pisa, la Balena a Napoli, il Pi-nelli a Messina, il Coppola a Catania e il Garibaldi a Palermo. Il contagio dilaga e il dibattito si accende.

Al Valle ci passano tutti: chi a portare solidarietà, chi per semplice curiosità, chi a incoraggiare, chi a fare la passerel-la, ma ci passano... e tanta simpatia di-fende e ha difeso in tutti questi mesi da qualsiasi azione di forza da parte del nuovo gestore, cioè il Comune di Roma.

Dopo gli spettacoli improvvisati dell'inizio il cartellone si struttura, a di-mostrazione del fatto che anche in man-canza di un direttore artistico si può ottenere una buona programmazione.

Teatro, certo, classico e contempora-neo con una maggiore attenzione a quest'ultimo, ma anche laboratori, nella prospettiva di rendere il Valle, appunto, un laboratorio permanente di drammatur-gia contemporanea; dibattiti e incontri, assemblee pubbliche, giocate il più delle volte, sul tema dei beni comuni, cinema e performance, lo spazio per i ragazzi delle scuole e le visite guidate, il tutto costruito attorno a specifiche linee pro-gettuali e che per il 2013 sono già definite in “corpi, scritture, città”.

“Ogni testa un voto”

“Nella progettualità artistica dell’occu-pazione – si legge sul blog sempre ag-giornato che si affianca all'intensa pre-senza sui social network - stiamo speri-mentando un modello concreto di auto-governo: le decisioni vengono prese in forma assembleare, la programmazione ècogestita con artisti e compagnie da tutta Italia. Il principio che ci ispira è quello del lavoro d’ensemble.”

Principio analogo a quello che adesso spinge il Valle occupato verso una nuova impresa, anche questa, mai tentata: la co-stituzione di una fondazione aperta all'interno della quale qualsiasi socio, in-dipendentemente dalla sua quota di ade-sione, abbia identico peso ( “in assem-blea ogni testa un voto”).

Con Mattei e Rodotà

Una forma giuridica nuova e studiata atavolino con l'aiuto e il supporto, forniti dal primo istante, di personalità del cali-bro di Ugo Mattei e Stefano Rodotà e che rispecchia quello statuto elaborato in forma aperta e partecipativa secondo il principio ispiratore dei commons.

La sfida ora è ancora oltre: riuscire a raccogliere i fondi necessari contando sullibero contributo di tutti. Al momento la quota raggiunta è di 150.000 euro: ce ne vorranno molti di più.

Ma i nostri non demordono: alla fine l'imprudenza paga sempre.

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Altre Italie

Al nostro posto. Storiedi donne che resistono

Maria Carmela, Marti-na, Lucrezia, Ludovi-ca, Cinzia, Valentina. Emolte altre così

di Norma Ferrara www.liberainformazione.org

Monasterace è un piccolo Comune sulla costa ionica, l’ultimo a rientrare geograficamente nella provincia di Reggio Calabria. In questo angolo di Italia nasce e cresce una storia simbolodella resistenza alle mafie nel nostro Paese.

E a portarla avanti è una donna, Maria Carmela Lanzetta, per due mandati sin-daco del suo paese, amministratrice che vive il suo impegno, anche oltre la politi-ca: “Bisogna scegliere con chi avere a che fare, nelle amicizie e nella vita priva-ta, sul lavoro e nelle proprie, relazioni e frequentazioni sociali”.

“La scelta – spiega Martina Panzarasa nel libro Al nostro posto. Donne che resi-stono alle mafie, scritto a quattro mani con Ludovica Ioppolo – secondo Maria Carmela è ciò che ti permette di essere li-bera, di svincolarti dalla ‘ndrangheta. Dai legami che ti costringono in gabbia eti privano della possibilità di decidere di te stesso.

Bisogna scegliere per essere liberi”. Maria Carmela ha visto bruciare la sua farmacia, ma - racconta nel libro - “il giorno dopo l’importante per me era ga-rantire i farmaci ai cittadini”.

Con un occhio al merito, alla prepara-zione e l’altro ai diritti della persona, allagiustizia sociale, Maria Carmela è una delle tante donne che in Calabria e nel resto del Paese guidano amministrazioni locali, guardate a vista dalle cosche. La loro colpa principale è quella di voler far funzionare la macchina amministrativa con trasparenza, efficienza, qualità e di-ritti uguali per tutti. Aspirazioni davvero strane in territori a sovranità limitata, dove a governare non è solo lo Stato.

Donne del sud, donne del nord

Accade al sud, ma anche al Nord. A Desio, in Lombardia, nel cuore della pro-duttiva Brianza, Lucrezia Ricchiuti, don-na “pratica e solare” ed oggi vicesindaco dopo dieci anni di opposizione nel consi-glio comunale, ragioniera di formazione con “il culto delle regole”, studia i bilan-ci comunali, “guarda, vede, ascolta” quello che accade in Comune. Lo fa con curiosità e passione: vuol capire come funziona la macchina amministrativa chedecide dei destini dei suoi concittadini, della loro qualità della vita, dei servizi alle persone.

Lucrezia chiede che le regole vengano rispettate, che ci sia un uso consapevole del territorio in una provincia, quella di Monza e Brianza, che è la più cementifi-cata d’Italia. La Direzione distrettuale antimafia, con le operazioni messe a se-gno negli ultimi anni, conferma quello che inizialmente per Lucrezia era solo un

sospetto: un sodalizio illegale metteva in comunicazione l’ufficio tecnico del Co-mune con personaggi poco raccomanda-bili. E dietro d'era il business dei boss.

Mafie, quelle descritte nel libro “Al nostro posto”, che arrivano al Nord e provano a riprodurre lo stesso “pacchettocriminale” già sperimentato al Sud: soldi,violenza, condizionamento, omertà. Tuttestorie che Rosaria Capacchione, giornali-sta de “ll Mattino” , intervistata da Ludo-vica Ioppolo, ha visto con i suoi occhi e descritto nelle sue cronache, raccontandola violenza della camorra e l’ascesa cri-minale del clan dei Casalesi.

Del suo lavoro, che l’ha portata a viso aperto contro i boss, racconta senza trop-pi fronzoli: “Io sto da una parte e loro da un’altra, quindi non abbiamo nessun tipo di confronto”. Ed è solo con il tempo – scrive la Ioppolo – che giornalismo e an-timafia, per questa “giornalista – giorna-lista”, diventano un tutt’uno. Sino a farneoggi una memoria storica della storia dell’organizzazione criminale campana euna firma di eccellenza nel panorama giornalistico italiano.

“Io da una parte, loro dall'altra”

È stato cosi anche per Cinzia Franchi-ni, presidente nazionale della Cna Fita, una delle associazioni di rappresentanza degli autotrasportatori, che in Emilia-Romagna, uno dei territori di “approdo” criminale dei clan della camorra e della ‘ndrangheta, porta avanti due battaglie convergenti: quella contro i pregiudizi (“una donna a capo di un9associazioni dicamionisti?”) e quella contro le cosche, infastidite dalla sua scelta di trasparenza e etica nella gestione di un settore a forte

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“I miracolipossibili

che l'antimafiasociale

a volte riescea tradurrein realtà”

rischio di infiltrazioni criminali, come di-mostrano numerose operazioni delle for-ze dell’ordine. Una battaglia ancora oggi in corso e che ha portato avanti grazie adaltre donne - come Enza Rando, avvoca-tessa dell’ufficio legale di Libera - e a una vasta rete di associazioni impegnate contro le mafie.

Una rete di associazioni

Essere a capo di una associazione di categoria o a capo di una azienda è già una sfida in un Paese come il nostro in cui, ai posti di comando, ci sono ancora quasi esclusivamente uomini.

È cosi per Valentina Fiore, “cervello infuga” dalla Sicilia, preparata e determi-nata, appassionata di economia al servi-zio della collettività, che da Bologna, al-cuni anni fa, sceglie di tornare in Sicilia. L’avventura le permette di tornare al Sudè quella della Placido Rizzotto, la prima cooperativa nata in Italia grazie alla leg-ge sul riutilizzo sociale dei terreni dei boss. Dopo aver curato lo sviluppo e l’amministrazione della cooperativa Va-lentina è oggi direttrice di “Libera Terra Mediterraneo”, il consorzio imprendito-riale che riunisce alcune delle cooperati-ve sociali nate sui terreni del clan.

Le coop sociali nate contro i clan

In una terra indebolita nelle sue risorseanche da una emigrazione forzata, Valen-tina è uno di quei miracoli possibili che i percorsi di antimafia sociale hanno fatto diventare realtà nel nostro Paese: con i suoi ricci neri e i suoi occhi intensi è una donna libera di stare “al proprio posto” a

fare quello in cui crede e per cui ha stu-diato.

E proprio in Sicilia c’è una parte della vita di Maddalena Rostagno, intervistata nel libro da Martina Panzarasa. Di quellaterra Maddalena è uno dei fiori più belli, sebbene sia nata altrove. La sua storia, diversa dalle altre raccontate nel libro, parla di memoria, impegno e di un padre,Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia in Sicilia mentre si occupava della “diffi-coltà a vivere” per molti giovani tossico-dipendenti, e come giornalista, dagli schermi della tv Rtc, denunciava gli in-trecci fra malaffare locale e Cosa nostra. Depistaggi, lentezze, approssimazioni nelle indagini hanno lasciato questo de-litto ancora senza giustizia e verità.

Ancora senza giustizia e verità

In questi anni è in corso a Trapani il processo che vede imputati due mafiosi del mandamento trapanese. Nella stessa aula, a seguire il processo, Maddalena Rostagno e la madre, Chicca Roveri, compagna di vita di Mauro, esempio di donna che ha resistito al dolore, alle ma-fie, alle ingiustizie e oggi dedica il suo tempo agli altri, come Maddalena con il Gruppo Abele a Torino. Anche quella di Maddalena è una storia che racconta di una “scelta”: quella di restare libera e dalla parte degli ultimi.

Le storie di Rosaria Capacchione, Va-lentina Fiore, Cinzia Franchini, Maria Carmela Lanzetta, Lucrezia Ricchiuti, Maddalena Rostagno sono, nei titoli dei giornali, quelle de “il sindaco antimafia”,“la giornalista contro i boss”, “le donne coraggio”. Non lo sono, invece, nel libro di Ludovica Ioppolo e Martina Panzara-

sa, ed è una scelta di linguaggio che ne rivela una di analisi e metodo che ha po-chi precedenti. Nelle oltre cento pagine che raccontano dell’impegno antimafia di queste donne c’è uno spaccato di ge-nere e di impegno antimafioso che sfug-ge alle classificazioni e agli stereotipi.

Rifiutano immagini cucite addosso

Come scrive nella prefazione al libro ilsociologo Nando dalla Chiesa, "tutte queste donne rifiutano l’immagine di donne antimafia. Fanno il loro dovere, ci mancherebbe, sindaco o vicesindaco, giornalista o autotrasportatrice, manager delle cooperative o creativa per il Grup-po Abele. Mica si tirano indietro. Non ci fosse la mafia starebbero bene, cento vol-te meglio. E alla mafia non vogliono le-gare la loro identità, perché nessuno ama specchiarsi in chi gli fa ribrezzo. Cose sante”.

Accanto all’impegno di queste donne, la memoria di molte altre che sono state uccise perchè affermavano il loro diritto ad una vita libera come mogli, madri, fi-glie, sorelle – le loro storie nel dossier “Sdisonorate” - c’è quello, non meno im-portante, dell’assunzione di responsabili-tà da parte di tutte le altre, quelle che nonvivono in territori ad alta densità mafio-sa, che non sono familiari di vittime di mafia ma che, come Ludovica Ioppolo e Martina Panzarasa, scelgono in questi anni di impegnare la propria vita, la loro professionalità, per tenere insieme il filo della memoria e quello dell’impegno, consapevoli che, anche attraverso la te-stimonianza, si possa rivendicare il dirit-to di stare “al nostro posto”. Quello che si sceglie liberamente.

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Mafia e poteri

Le stragi, le trattativee la Falange ArmataI terroristi della Falan-ge rientravano nella strategia mafiosa? Op-pure la mafia rientrò nella strategia della Falange? Oppure, fa-langisti e mafiosi rien-travano nella strategia di qualcun altro?

di Lorenzo Baldo www.antimafiaduemila.com

“Dall’esame delle fonti indicate si ri-cavano elementi a sostegno di una ipo-tesi di esistenza di un progetto eversivodell’ordine costituzionale, da persegui-re attraverso una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti ealte cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange Armata e compiuti con l’utilizzo di materiale bellico prove-niente dai paesi dell’est dell’Europa”.

Nel decreto di rinvio a giudizio del gupPiergiorgio Morosini nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia, la presenza della Falange Armata si fa sempre più tangibile. “Nel perseguimento di questo progetto Cosa Nostra sarebbe alleata con consorterie di ‘diversa estrazione’, non solo di matrice mafiosa (in particolare sul versante catanese, calabrese e messi-nese). E nelle intese per dare forma a taleprogetto sarebbero coinvolti ‘uomini cer-niera’ tra crimine organizzato, eversione nera, ambienti deviati dei servizi di sicu-rezza e della massoneria, quali ad esem-pio Ciancimino Vito”.

Il riferimento è alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino sul coinvolgimentodel padre nelle vicende di Gladio, Ustica e del caso Moro.

La riunione di Enna

Nel documento, Morosini si sofferma sulla riunione tenutasi ad Enna nel di-cembre del 1991, nella quale Totò Riina, prevedendo un esito per lui sfavorevole del primo maxi-processo in Cassazione, traccia le “linee guida” di un piano di “destabilizzazione” della vita del Paese per “obiettivi eversivo-separatisti”. Per ilgup le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Leonardo Messina, Filippo Malvagna e Giuseppe Pulvirenti avallanola tesi che in un contesto sociale “esaspe-rato dal terrore degli attentati e possibil-mente domato da successivi eventi golpi-stici”, sarebbe stato possibile per Cosa Nostra “ricavare nuove chances di ‘trat-tativa’ miranti ad ottenere vantaggi anchesul piano della repressione penale per gli associati”.

Lo stesso Malvagna, ricordando quan-to dettogli dal Pulvirenti, riferisce della riunione di Enna del ‘91, alla presenza diRiina e Santapaola, degli “obiettivi con-cordati” e delle “decisioni assunte” an-che “con riferimento alle modalità di rea-lizzazione degli attentati (rivendicazione degli attentati doveva essere con la sigla della ‘Falange Armata’ nell’ambito di un più ampio disegno di destabilizzazione)”.

Secondo Morosini, questo progetto “andrebbe di pari passo con un secondo ‘piano’ di Cosa Nostra, più legato alle esigenze contingenti di fronteggiare la dura repressione da parte dello Stato ini-ziata già nel 1991”. E questo programma mafioso “sarebbe finalizzato a indurre esponenti di vertice delle istituzioni ita-liane a ‘trattare’ con l’organizzazione in vista di una soluzione ‘a breve scadenza’ dei problemi legati alla giustizia penale eal trattamento penitenziario”. Un obietti-vo “verosimilmente facilitato dal ‘capita-le di contatti’ che, nel frattempo, matura-

no per via dell’attività finalizzata alla realizzazione del progetto più ambizioso e di lunga scadenza di tipo eversivo”.

Morosini sottolinea che tra le fonti di prova del procedimento sulla trattativa Stato-mafia, con riferimento all’obiettivopiù contingente per Cosa Nostra, e cioè la realizzazione di gravissimi atti intimi-datori finalizzati a indurre lo Stato a “trattare” sulla repressione penale, vi sono almeno tre soggetti “che offrono un contributo conoscitivo sulla base del ruo-lo, a loro dire svolto all’epoca dei fatti, di‘anello di congiunzione’ tra Cosa Nostra ed esponenti delle istituzioni, in partico-lare ufficiali del ROS dei carabinieri”.

Ciancimino. Bellini e Cattafi

“Pur trattandosi di soggetti con ‘carriere criminali’ diverse e di differenteestrazione delinquenziale, sociale e territoriale – specifica il gup –, si tratta ditre personaggi di ‘caratura criminale trasversale’, ossia di uomini a contatto non solo con l’organizzazione mafiosa ma anche con sodalizi collegati ai servizidi sicurezza, a logge massoniche e alla eversione di destra: Ciancimino Vito, Bellini Paolo, Cattafi Rosario Pio”.

Nel decreto di rinvio a giudizio Moro-sini ribadisce che sulla base delle dichia-razioni di Massimo Ciancimino e del ma-teriale documentale da lui proposto in più tranches agli inquirenti, riconducibilea manoscritti e dattiloscritti del padre, è da Vito Ciancimino che principalmente scaturiscono le informazioni sui contatti con gli ufficiali del ROS dei carabinieri dal giugno al dicembre del 1992. Per fo-calizzare meglio i contatti ultradecennali di Vito Ciancimino con la ‘Ndrangheta, i “segmenti deviati” dei servizi di sicurez-za e della massoneria, il gup rilegge le dichiarazioni di Cannella Tullio sul vertice di Lamezia Terme del 1991 per lacostituzione delle Leghe meridionali e quelle di Massimo Ciancimino sui con-tatti del padre con la organizzazione se-greta “Gladio”.

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“In una prospettivadi destabilizzazione

della vitapolitica italiana”

Di seguito è il ruolo di Paolo Bellini a

finire sotto la lente di ingrandimento di Morosini per la sua “intermediazione peruna ‘trattativa’ condotta nel 1992 da al-cuni esponenti di Cosa Nostra e i carabi-nieri per il recupero di opere d’arte in cambio di benefici penitenziari per alcu-ni capi mafia, proviene da ambienti della destra eversiva (Avanguardia Nazionale)”.

L'assassinio di Alceste Campanile

Il profilo criminale di Bellini viene così ricordato nel documento partendo dal 1975, anno in cui lo stesso riveste il ruolo di esecutore materiale dell’omici-dio dell’attivista di Lotta Continua Alce-ste Campanile. Viene ugualmente evi-denziato come Bellini sia stato latitante per anni in Brasile grazie a coperture de-gli ambienti dell’estrema destra, per poi rientrare in Italia nel 1981 con il nome diRoberto Da Silva. Altrettanta attenzione viene riservata agli omicidi commessi per conto della ‘Ndrangheta da lui stesso confessati.

Ultima, e non certo per importanza, è la figura di Rosario Pio Cattafi, che ha ri-ferito dei contatti del 1993 con il vice capo del DAP Francesco Di Maggio e con i R.O.S. “in vista della apertura del dialogo con Cosa Nostra sul 41 bis”. Mo-rosini evidenzia come Cattafi sia un capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), con alle spalle una militanza in Or-dine Nuovo, già coinvolto in indagini dell’autorità giudiziaria milanese per rea-ti di estorsione e porto di armi da guerra, unitamente al capo mafia catanese Nitto Santapaola e all’esponente di vertice del-la ‘Ndrangheta Cosimo Ruga.

Da Lima alle stragi

Nel documento il gup si sofferma sulla“nuova linea strategica” di Cosa Nostra “alla ricerca di nuovi referenti negli am-bienti politico istituzionali, inaugurata con l’omicidio Lima”.

“Proprio con riguardo alle minacce de-dotte nella contestazione (dal 1992 al 1994) e sui caratteri che le legherebbero tutte ad un unico disegno criminoso di ri-catto allo Stato, a partire dall’omicidio Lima – specifica ancora Morosini – van-no evidenziate le indicazioni ricavabili a pagina n.58 dell’informativa della DIA del 4 marzo 1994 a firma del Capo Re-parto Investigazioni Giudiziarie dott. Pippo Micalizio”.

Nell’informativa si registrava infatti che la Falange Armata aveva rivendicato l’omicidio Salvo Lima, le stragi di Capa-ci e di via D’Amelio, gli attentati di via Fauro a Roma, di via dei Georgofili a Fi-renze, di San Giovanni in Laterano e via del Velabro a Roma e di via Palestro a Milano.

L'omicidio Guazzelli

Secondo il gup a questi attentati deve essere aggiunta la rivendicazione da par-te della Falange Armata di un altro omi-cidio che, secondo l’accusa rientra nel progetto di minacce, ossia quello del ma-resciallo Guazzelli.

Per Morosini “vanno evidenziate la fonti che attribuiscono sempre alla Fa-lange Armata le minacce direttamente ri-volte a ‘personaggi chiave’ delle istitu-zioni, all’epoca dei fatti coinvolti a vario titolo nella repressione degli illeciti ma-fiosi, di cui si occupa il presente procedi-mento”.

Le minacce a “personaggi chiave”

Si tratta delle sentenze del Tribunale diRoma del 17 marzo 1999 e della Corte diAppello di Roma del 20 novembre 2011 (divenute irrevocabili il 15 luglio 2002), emesse nel processo a carico di Carmelo Scalone, accusato di partecipazione all’associazione denominata Falange Ar-mata, violenza e minaccia aggravata a pubblico ufficiale e attentato a organi co-stituzionali dello Stato.

Secondo le sentenze, i soggetti minac-

ciati sono: l’onorevole Vincenzo Scotti, ministro degli Interni, il 16 giugno 1992; l’on. Nicola Mancino, ministro degli In-terni, il 19 novembre 1992, i giorni 1 e 21 aprile 1993 e il 19 giugno 1993; il dott. Vincenzo Parisi, capo della Polizia, il 19 novembre 1992, il 1 aprile 1993 e il 19 giugno 1993; il Presidente della Re-pubblica Oscar Luigi Scalfaro, il giorno 1 aprile 1993 e i giorni 19 e 21 settembre1993; il dott. Adalberto Capriotti, all’epoca direttore del DAP, il 16 settem-bre 1993; il dott. Francesco Di Maggio, all’epoca vicedirettore del DAP, il 16 set-tembre 1993; il Presidente del Senato Giovanni Spadolini, il 21 aprile 1993.

“Va ricordato, sempre richiamando le suddette sentenze relative all’imputato Scarano – sottolinea il gup –, che la Fa-lange Armata, il 14 giugno 1993, ebbe modo di manifestare la sua soddisfazioneper la nomina del dott. Adalberto Ca-priotti come direttore del DAP, al posto del dott. Nicolò Amato, considerando la sostituzione di quest’ultimo come una vittoria della stessa Falange Armata.

Scarpinato, Lo Forte, Ingroia

Le medesime sentenze dell’autorità giudiziaria capitolina ricordano che le ri-vendicazioni da parte della ‘Falange Ar-mata’ sono state spesso utilizzate in Italiaper assecondare piani eversivi orditi da sodalizi di vario genere, in una prospetti-va di ‘destabilizzazione’ della vita poli-tico-istituzionale italiana”.

Quella stessa “prospettiva di destabi-lizzazione” della vita politico-istituzionale del nostro Paese di cui si erano già occupati Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte, Nico Gozzo ed Antonio Ingroia nell’inchiesta palermitana deno-minata “Sistemi criminali”.

Un’indagine che all’epoca si poteva definire decisamente “pionieristica”, e che oggi finalmente vede la sua naturale evoluzione nel processo allo Stato-mafia.

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Mafia/ Gli investimenti

Il Rapporto Transcrime

Pubblichiamo un estratto del rapporto presentato al Ministero dell’Interno da Transcrime, centro universitario di ricerca sulle mafie

di Sara Manisera, CarmelaRacioppi e Vincenzo Raffa www.stampoantimafioso.it

Transcrime è il Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dell’Università degli Studi di Trento, il cui direttore è Ernesto Ugo Savona, professore di criminologia dell’università di Largo Gemelli.

Lo studio, attraverso la realizzazione di una mappa della presenza mafiosa su tutto il territorio nazionale per Camorra, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Criminalità pugliese, ha confermato in maniera scientifica il sempre maggior controllo criminale nelle aree di non tradizionale insediamento, demistificando allo stesso tempo l’immaginario collettivo della mafia come società per azioni.

Misurando l’indice di presenza mafiosa (IPM), ottenuto dalla combinazione dei dati riguardanti omicidi e tentati omicidi di stampo mafioso (2004-2011), persone denunciate per associazione mafiosa (2004-2011), comuni e pubbliche amministrazioni sciolte per infiltrazione mafiosa (2000-2012), beni confiscati alla criminalità organizzata (2000-2011) e gruppi attivi riportati nelle relazioni DIA eDNA (2000-2011), si è potuto constatare che solo in poche aree la presenza di criminalità organizzata assume valori pari a zero.

Allarme in Lazio e Lombardia

I valori più alti sono ottenuti dalle regioni e dalle province a tradizionale presenza mafiosa: rispettivamente prima laCampania, seguita da Calabria, Sicilia e Puglia, e prima Napoli, seguita dalle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Palermo. Ciononostante, a livello regionale “Lazio, Liguria, Piemonte, Basilicata e Lombardia fanno registrare una rilevante presenza di organizzazioni mafiose”. Non a caso, tra leprovince del centro e del nord che occupano le posizioni più alte si trovano Roma, Imperia, Genova, Torino, Latina, Milano e Novara (rispettivamente 13ª, 16ª,17ª, 20ª, 25ª, 26ª e 29ª).

Le sei regioni a rischio

Un dato che testimonia visibilmente la pervasività delle organizzazioni mafiose è quello dei beni confiscati, la maggior partedei quali è localizzata in sei regioni italiane: Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Puglia e Sicilia. I valori più alti sono rappresentati dalle regioni Sicilia (4654), Calabria (1558) e Campania (1502), che rappresentano l’82% del totaledegli immobili confiscati. Se si aggiungono Lazio e Lombardia si raggiunge il 95%.

Solo la provincia di Milano è la quinta per numero di beni confiscati (910 pari al 5,3% del totale), seguita da altre importanti città lombarde (Varese, Como, Monza e Brianza, Bergamo e Pavia).Colpisce inoltre che le confische siano ordinate da autorità giudiziarie aventi sedein altre province. E in questo caso la primaposizione è occupata da Milano (colpita 19 volte da confische ordinate da Autorità Giudiziarie con sede in altre province), mentre l’ottava posizione è occupata da Varese. Per quanto riguarda i beni confiscati alla ‘ndrangheta da Autorità giudiziarie calabresi, le prime province sono Milano, Roma, Arezzo e Como.

Il controllo del territorio

Le analisi condotte, inoltre, hanno cercato di quantificare in maniera rigorosal’ammontare del denaro che i consorzi mafiosi ricavano dalle attività illegali, analizzando –attraverso i beni immobili confiscati– la destinazione finaledell’investimento. Ciò che emerge è la naturale vocazione delle associazioni di stampo mafioso per il controllo del territorio e per l’acquisizione del consensosociale, requisiti prioritari rispetto al profitto economico. Infatti “le concentrazioni di immobili nelle aree più redditizie sembrano suggerire delle scelte legate più al prestigio delle abitazioni e albenessere dei singoli membri delle organizzazioni che a logiche di massimizzazione degli investimenti ”.

Un insediamento programmato

Dalla percentuale di immobili confiscatirisulta che nel Nord Italia vi è una più alta concentrazione di beni ad uso personale rispetto a quella di immobili considerati come investimento; questo testimonia la suprema pretesa delle organizzazioni di insediarsi nel territorio.

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“La 'ndranghetain Piemonteguadagnaquanto in Calabria”

Se nell’area urbana milanese la percen-tuale di appartamenti confiscati oggetto di investimento costituisce il 33.4%, a Reggio Calabria raggiunge ben l’80%. Ancora una volta, si evidenzia la tenden-za delle mafie ad investire nelle regioni atradizionale presenza mafiosa dove mag-giore è il controllo del territorio e quindi la sicurezza dell’investimento.

Il rapporto, tuttavia, sottolinea la forte propensione delle organizzazioni mafiosead occupare zone di insediamento non originarie; mentre la Camorra, oltre alla Campania, ha una presenza, quasi esclu-siva, in Abruzzo (80,6%) e Molise (93.4%), la ‘Ndrangheta assume una po-

sizione prevalente (oltre che in Calabria),in Trentino Alto Adige (100%), in Pie-monte (95.2%), in Liguria (70,3%), in Emilia Romagna (66.9%) e Valle d’Aosta (100%). Cosa Nostra invece opera in Sicilia e in Friuli-Venezia Giulia(73,9%). Questo non significa che non visiano aree in cui agiscano contempora-neamente più organizzazioni di stampo mafioso; nelle città di Roma, Milano, Fi-renze e nelle provincie di Brescia, Viter-bo e l’Aquila ad esempio, sono presenti Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra si-multaneamente.

Attività illegali classsiche

La presenza di organizzazioni crimina-li di tipo mafioso in territori non tradizio-nali conduce inevitabilmente ad un tra-sferimento anche delle loro attività ille-gali più classiche, tra cui sfruttamento sessuale, traffico illecito di armi da fuo-co, droghe, contraffazione, gioco d’azzardo, traffico illecito di rifiuti, traf-fico illecito di tabacco, usura ed estorsio-ni, che rappresentano le voci principali dei bilanci delle consorterie mafiose. Se le droghe, seguite da estorsioni, sfrutta-mento sessuale e contraffazione genera-no i maggiori ricavi, le estorsioni forni-scono invece la quota maggiore di introi-ti che finisce direttamente alle organizza-zioni mafiose. Interessante notare che la regione che genera i maggiori ricavi ille-gali (3,7mld €) è la Lombardia, seguita dalla Campania, dal Lazio e dalla Sicilia.

L'economia legale

E nell’economia legale, che settori pre-diligono le mafie?

Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra e criminalità pugliese sono caratterizzate da una diversificazione del loro portafo-glio di investimenti; i settori di investi-mento privilegiati sono quelli a bassa tecnologia, come il commercio

all’ingrosso, al dettaglio, le costruzioni e la ristorazione, i settori poco regolamen-tati o la cui normativa è in costante evoluzione e i settori dove il rischio d’impresa è moderato.

La forma societaria preferita è la S r.l. per la facilità di costituzione e per le re-sponsabilità patrimoniali limitate; infatti “le organizzazioni mafiose prediligono modalità che consentono un controllo piùdiretto ed intra moenia delle aziende. In questo senso accanto alle srl si riconosce anche un discreto utilizzo di società di persone e di imprese individuali, sopra-tutto nei casi legati alla ‘ndrangheta, che storicamente e culturalmente pare predi-ligere modalità di gestione e controllo più familistiche e dirette”.

A livello nazionale, Camorra e ‘Ndran-gheta sono le organizzazioni criminali che conseguono i maggiori ricavi; analiz-zando i proventi di quest’ultima si può notare, inoltre, che Calabria e Piemonte forniscono una quota quasi equivalente dei ricavi.

Il livello internazionale

A livello internazionale, nonostante la carenza di studi, le analisi delle relazioni della DNA e della DIA individuano Spa-gna, Germania e Olanda come i principa-li stati importatori europei delle organiz-zazioni mafiose italiane. Si registra, tut-tavia, la loro presenza anche in Canada, Australia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Svizzera, Romania, Tur-chia e Albania, presenza imputabile a di-versi fattori, quali il ruolo strategico nei mercati illegali, la presenza di latitanti e iflussi migratori dello scorso secolo.

Per quanto il rapporto di Transcrime abbia rilevato la presenza di tutte le for-me di criminalità organizzata in territori non autoctoni, la ‘ndrangheta si confer-ma come l’organizzazione con molteplicibraccia internazionali ed un’unica, po-tente, casa madre italiana.

I Sicili iI Sicilianigiovanigiovani p – pag. 27

SchedaLOMBARDIA E MILANONELLO STUDIO TRANSCRIME

La Lombardia è nel novero delle re-gioni che “fanno registrare una rilevantepresenza di organizzazioni mafiose”;

Tra le province del centro e del nord, Milano è la 26esima per presenza ma-fiosa; Novara la 29esima;

La Lombardia è tra le regioni in cui si localizza il maggior numero di beni con-fiscati;

La provincia di Milano è la quinta per numero di beni confiscati (910 pari al 5,3% del totale) seguita da altre impor-tanti città lombarde (Varese, Como, Monza e Brianza, Bergamo e Pavia);

Nel Nord Italia vi è una più alta con-centrazione di beni ad uso personale ri-spetto a quella di immobili considerati come investimento; questo testimonia lapretesa suprema delle organizzazioni diinsediarsi nel territorio;

Nell’area urbana milanese la percen-tuale di appartamenti confiscati oggetto di investimento costituisce il 33.4%;

Nella città di Milano e nella provincia di Brescia, ad esempio, sono presenti Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra simultaneamente;

La regione che genera i maggiori rica-vi illegali (3,7mld €) è la Lombardia.

Page 28: I Siciliani - marzo 2013

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Abruzzo

Ombra nerasul futuroDal 2007 l'Abruzzo si oppone ai progetti del-le multinazionali petro-lifere che vorrebbero farne terra di conqui-sta. Nel 2010 tra i progetti bloccati figura-va Ombrina Mare 2

di Alessio Di Florio

In questi anni abbiamo visto dei veri

e propri capolavori di marketing lin-

guistico: la demolizione dei diritti dei

lavoratori per esempio ora si chiama

"ammodernamento del mercato del la-

voro", il regalo dell'acqua al business

privato invece "obbligo europeo".

Uno dei settori dove questa tendenza è

più in auge è quello energetico: da diver-

si anni i nostri Governi stanno cercando

di riportare le lancette indietro di decenni

per puntare su fonti di approvvigiona-

mento vecchie e pericolose.

Ci hanno provato col nucleare, ma il

referendum del Giugno 2011 li ha sono-

ramente bocciati. E' rimasto l'altro gran-

de pilastro: le fonti fossili. La "moderna"

strategia energetica nazionale (così or-

wellianamente l'hanno chiamata) voglio-

no basarla su carbone e petrolio. Il Go-

verno Monti in questi mesi ha dato spinte

forse decisive in tal senso.

Tra le regioni a rischio petrolizzazione

c'è l'Abruzzo, che da alcuni anni resiste e

combatte contro i progetti di varie multi-

nazionali. Nel 2010 l'opposizione locale,

insieme ad un decreto dell'allora Mini-

stro dell'Ambiente Prestigiacomo dopo il

noto incidente del Golfo del Messico,

aveva respinto uno dei maggiori progetti

petroliferi: Ombrina Mare 2, un'enorme

impianto a pochi chilometri dalla costa e

che prevede anche una fitta rete di tubi

che la collegano alla terraferma.

200 tonnellate di fumi al giorno

Secondo le stime della stessa MOG (la

società proponente), è previsto che Om-

brina Mare 2 ogni giorno immetta in at-

mosfera circa 200 tonnellate di fumi da

combustione dai motori, dal termodi-

struttore e dalla torcia atmosferica; nei

pochi mesi di perforazione e prove di

produzione dovrebbe produrre 14mila

tonnellate di rifiuti tra fanghi perforanti

ed altro.

Nei mesi scorsi, nel suo furore di “am-

modernamento”, il Governo Monti ha

cancellato quanto previsto nel decreto

Prestigiacomo e (con il voto positivo in

Parlamento, nessuno escluso, neanche tra

i parlamentari abruzzesi, dei tre grandi

partiti che lo sostenevano) e ha fatto ri-

partire il progetto di Ombrina Mare 2.

La minaccia sulle coste abruzzesi

In pochi mesi si è completato il nuovo

iter e la minaccia è incombente sulle co-

ste abruzzesi.

La mobilitazione, che in questi anni sta

difendendo la "Regione Verde d'Europa"

e che già nel 2010 fu efficace, si è rimes-

sa in moto.

Sarà una lotta lunghissima, senza tre-

gua, che sta già coinvolgendo tutta la po-

polazione, le associazioni, i comitati.

Chi è stato in prima fila contro i pro-

getti petroliferi (a partire da associazioni

come WWF, Legambiente, Confcommer-

cio, Nuovo Senso Civico, fino al centro

sociale Zona22, all'Abruzzo Social Fo-

rum, ad alcuni comuni per arrivare a par-

titi come Rifondazione Comunista, PCL,

Verdi, Mov.5 Stelle) si sta mobilitando in

massa. Il 13 Aprile un'enorme massa di

cittadini, migliaia e migliaia, attraversa-

no Pescara in una manifestazione dalla

risonanza nazionale.

Il Parco della Costa Teatina

Ma Ombrina è oggi soltanto il maggio-

re di tutta una serie di progetti che coin-

volgono, in mare o a terra, quasi tutto il

territorio regionale. La mobilitazione

quindi non si limita a fermare nuovamen-

te Ombrina ma punta alla fine dell'avven-

tura petrolifera e alla scelta di un futuro

più pulito e rispettoso del territorio.

A partire dall'istituzione del Parco Na-

zionale della Costa Teatina, di cui abbia-

mo già avuto modo di accennare nei nu-

meri scorsi de I Siciliani, che continua ad

essere bloccata dagli interessi e dagli ap-

petiti speculativi ed egoistici di poche

lobbies.

Come in Val Susa, a Vicenza, in Sici-

lia, in Liguria, sarà dura. Ma non si mol-

lerà mai. Anche questa, nell'epoca della

Crisi (diventata ormai da evento un vero

e proprio sistema di potere economico-

finanziario), è una Resistenza.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2828

Page 29: I Siciliani - marzo 2013

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Emilia-Romagna

Una terraper le mafieNon ancora al livello di Liguria o Lombar-dia, ma i numeri sono già preoccupanti e la politica dovrebbe in-tervenire

di Salvo Ognibene www.diecieventicinque.it

"O la smette o gli sparo in bocca". Lodice Guido Torello (imprenditore) a Nicola Femia (boss della 'ndrangheta),arrestati entrambi in un’operazione di qualche settimana fa che ha portato a 29 ordinanze di custodia cautelare e che ha smantellato l'organizzazione, che con base a Ravenna, gestiva in tut-ta Italia e all'estero, i settori del gioco on line e delle videoslot manomesse.

Chi avrebbe dovuto smetterla è Gio-vanni Tizian, giornalista della Gazzetta di Modena, sotto scorta da un anno per lesue denunce. Tutto ciò avviene nella ci-vile Emilia-Romagna, quella che, Pippo Fava, più di trent’anni fa, definiva la più grande lavanderia d’Italia, oggi è ben al-tra cosa.

La colonizzazione mafiosa

Il Pg di Bologna Emilio Ledonne, ha lanciato l’allarme sulla colonizzazione della regione da parte delle mafie e con almeno 11 organizzazioni presenti sul territorio (tra cui 7 straniere) è difficile contraddirlo.

Pisanu rincara: “Sappiamo che la cri-minalità organizzata ha già acquistato delle case di cura”. Nel nord Italia la mafia si presenta con il volto rassicurantedi manager e colletti bianchi e certamen-te la ‘ndrangheta è l’attore economico più attivo.

Il fatturato delle organizzazioni mafio-se in Emilia Romagna è pari a 20 miliar-di di euro, quasi il 10 % rispetto a quello di tutta Italia.

I beni confiscati fino ad oggi sono 110,di cui buona parte a Bologna e in provin-cia, e almeno l’8,6 % tra commercianti e imprenditori è coinvolta in attività di pre-stiti a strozzo.

Nove attentati in sei mesi

Nell’ultimo rapporto della DIA si leg-ge che ci sono stati nove attentati negli ultimi sei mesi del 2011 (160 intutta Ita-lia), più che in Sicilia (7) e quasi alla paridella Calabria (10).

Il 30% delle imprese di autotraspor-ti (2.599 su 9.083) non risultano proprie-tarie di nessun veicolo, mentre circa 900 imprese risultano "non titolate a poter svolgere questa attività".

Il settore del trasporto merci risulta spartito soprattutto tra ‘ndranghetisti e casalesi, mentre il movimento terra è in-vece interamente nelle mani delle ’ndri-ne.

Lavoratori in nero e irregolari

Una regione, l’Emilia-Romagna, primain Italia per i lavoratori “in nero” e se-conda sul fronte dei lavoratori irregolari: sono rispettivamente 7.849 e 16.586. (leggi qui il resto del dossier)

E la ricostruzione? I contributi ministe-riali stanziati sono 8,4 miliardi, le istitu-zioni hanno adottato il protocollo di inte-sa per dire no al massimo ribasso negli appalti ma le mafie sono già arrivate.

Certo. Ancora nessun Comune sciolto (nonostante il caso di Serramazzoni che ha rischiato) per “infiltrazioni mafiose” ma questo non fa della civile Emilia-Romagna un territorio felice.

Una terra non di mafie ma per le ma-fie. Un territorio, freddo, che oggi si è ri-scaldato. Non siamo “ancora” ai livelli diLiguria e Lombardia ma i numeri sono preoccupanti, sempre che la “politica” abbia voglia di ascoltare.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 2929

Giornalismo d'inchiestaPremio “Gruppo dello Zuccherificio”

Il “Gruppo Dello Zuccherificio”, in collaborazione con LiberaInformazione,Altreconomia e Articolo 21, indice la IIa edizione del Premio per il Giornalismo d’Inchiesta “Gruppo dello Zuccherificio”dedicato alle inchieste realizzate nel 2012, inedite o diffuse tramite carta stampata, internet e nuovi media.

Il Premio, realizzato grazie al contributo di Comune di Ravenna e ANPI Ravenna, prevede le seguenti categorie:

- Premio Giovani: per inchieste realizzate da giovani di età inferiore ai 30 anni, su tutto il territorio nazionale.

- Premio Nazionale: per inchieste riguardanti l’intero territorio nazionale realizzate da autori oltre il trentesimo anno d'età.

Possono concorrere al premio giornalisti, singoli o associazioni con articoli ed inchieste pubblicate su quotidiani, periodici e agenzie di stampa, nonché con servizi pubblicati da testate giornalistiche online dal 01.01.2012al 15.04.2013.

Il montepremi di 3000 € verrà diviso tra i primi due classificati di ogni sezione, che saranno premiati al 5° Meeting dell’Informazione Libera a Ravenna (maggio-giugno 2013).

La giuria è composta da Loris Mazzetti, Giorgio Santelli, Carla Baroncelli,Norma Ferrara, Gaetano Alessi, Pietro Raitano.

Info: www.gruppodellozuccherificio.orgmail: [email protected].: 3295356864/ 3409149014

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Periferie

“Ho bisognodi soldi per l'uovodi Pasqua”“E quindi ora mi met-to a spacciare”. Lo dice un ragazzino del quartiere, nel crocchiodei suoi amici...

di Domenico Pisciotta www.associazionegapa.org

“Ho bisogno di soldi: devo comprare

un uovo di Pasqua”. E comincia a

spacciare. Sguardo basso, gli occhi fis-

sano i piedi che si muovono avanti e

indietro nervosamente. Lo sguardo si

alza, per un istante, solo quando pro-

nunciano il suo nome. Poi, torna subito

giù; il suo sguardo non sembra capire

lo sgomento di chi gli sta intorno.

Un cerchio di persone si è formato in-

torno a lui. Sono ragazzi più grandi di lui

e sono preoccupati. L’hanno sentito par-

lare con i suoi coetanei. Gli hanno sentito

dire: “Se devi spacciare, 'a spacciari

bonu” (devi spacciare bene).

Il suo nome non ha importanza: l’età,

invece, sì. È un ragazzo che ha, da poco,

compiuto sedici anni e che vive nel quar-

tiere di San Cristoforo, a Catania. Chi ti

ha proposto di spacciare? Quanto ti han-

no promesso? Sai cosa rischi se ti becca-

no? gli chiedono i ragazzi che si sono

fermati attorno.

Lui, mani dietro la schiena e testa bas-

sa, risponde che è un’idea che gli è venu-

ta così, nessuno gli ha detto niente. Ha

bisogno di soldi, dice che vuole fare un

regalo alla sua ragazza, vuole regalarle

un uovo di Pasqua. Racconta che ha cer-

cato di trovarsi un lavoretto, ma, dove lo

prendevano non lo pagavano mai, o gli

davano molto meno di quanto gli pro-

mettevano.

Un regalo alla sua ragazza

Dice che ha scaricato i camion per due

mesi, casse di acqua per 20 euro la setti-

mana, mattina e pomeriggio, domenica

inclusa. I soldi a casa sono pochi; suo pa-

dre lavora tutto il giorno portando bom-

bole a domicilio e sua madre cerca di ar-

rotondare con lavori di pulizia, quando ci

sono.

Un ragazzo che lo stava ad ascoltare

gli racconta che, una volta, ha ricevuto

un’offerta di 400 euro per fare il palo per

ragazzi che dovevano spacciare; lui ave-

va rifiutato e, a coloro che gli avevano

offerto quel “lavoro”, aveva detto che

preferiva spaccarsi le mani nei campi per

30 euro al giorno.

“Ma qui il lavoro onesto dov'è?”

Un altro ragazzo cerca di fargli capire

che, se lo beccano, per lui sarà dura. Non

potrà rivedere la sua ragazza. Avrà biso-

gno di un avvocato ma soldi non ne avrà,

e rischierà di rimanere dentro per tanto

tempo. Gli racconta che l’esperienza del

carcere è massacrante, che vedere il

mondo da dietro le sbarre ti uccide

lentamente. Qualcuno gli chiede

nuovamente chi sia stato a proporgli di

spacciare, ma ottiene sempre la stessa

risposta.

Forse è vero che nessuno gli ha propo-

sto di spacciare; forse quel ragazzo ha vi-

sto soltanto un’opportunità facile per fare

un po’ di soldi.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3030

Page 31: I Siciliani - marzo 2013

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“Quei bambinili vedrai fra poco

passare la cocainaai clienti perbene,

o li ritroveraiin una piccola fotosulla pagina della

cronaca giudiziaria”

Tanti suoi coetanei, anche più piccoli

di lui, spacciano. Su motorini più grandi

di loro sfrecciano, impennano e si

divincolano tra le macchine in fila per

via delle Calcare o via della Concordia.

Li vedi schizzare fuori a suon di clacson

su Via Plebiscito quando arriva la polizia

per una retata.

“Arriva la polizia!”

Accanto a quei ragazzi vedi bambini

più piccoli, spaventati quando un elicot-

tero della Polizia sorvola le loro teste;

quei bambini li vedrai, poco tempo dopo,

passare “stecche” di fumo o palline di

cocaina a studenti e professionisti, o li ri-

conoscerai in una piccola foto sulla pagi-

na della cronaca giudiziaria.

Per spacciare non serve alcun titolo di

studio: tutti possono mettersi a un angolo

e fare il palo, o trasportare piccole dosi.

È un mestiere che garantisce soldi facili,

ma altrettanto facilmente ti può privare

del sorriso.

“Ma questa che vita è?”

Qualcuno cerca di ripetergli fino alla

nausea che quella non è vita. Quel ragaz-

zo che ormai da qualche tempo non fre-

quenta più la scuola se ne va, prometten-

do di non spacciare più, ma la strada è

sua compagna di viaggio per troppe ore

al giorno e non c’è un pallone o dei coe-

tanei, amici veri, che lo possano dissua-

dere da scelte pericolose per il suo futu-

ro.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3131

SchedaIL MIO QUARTIERE/I LUOGHI DI SPACCIO

San Cristoforo è definita dall’Autorità Giudiziaria e dai giornali il "supermarketdegli stupefacenti". La mafia gestisce un business che genera, ogni anno, mi-lioni di euro e fornisce “lavoro” a centi-naia di persone, la maggior parte impie-gati come pusher e vedette. In tale atti-vità sono coinvolti anche minori; a Cata-nia nel 2012, si sono registrati 146 arre-sti di minorenni. Questo dato pone Ca-tania al 5° posto nella classifica nazio-nale, dopo città come Roma e Napoli. Molto probabilmente si tratta dell’azien-da con le maggiori entrate del territorio cittadino. Gli arresti e i sequestri per spaccio di sostanze stupefacenti sono decine ogni mese. È stato quantificato che, a San Cristoforo, la mafia ottiene più di trentamila euro al giorno di gua-dagni con lo spaccio. Le piazze di spac-cio sono numerose. Tra le altre:

- L’area di S. Maria delle Salette; la zona è stata luogo dell’operazione Re-venge 2 condotta dai Carabinieri contro la famiglia Bonaccorsi, detti “Carateddi”,che ha portato all'arresto di 24 persone,su ordine del gip Giuliana Sammartino.

- La zona del Tondicello e di Via della Concordia; la zona è stata luogo dell'operazione Mulini, che ha messo in evidenza come su Catania si riversa un quantitativo immenso di cocaina, acqui-stata da persone di ogni estrazione so-ciale.

- La zona di via Mulini a Vento.

SchedaIL MIO QUARTIERE/LA CRONOLOGIA

- 17 febbraio 2013, San Cristoforo, Ca-tania. Quattro spacciatori in manette sorpresi a cedere la droga ai clienti in via Trovatelli, a San Cristoforo. Seque-strati 60 grammi di marijuana e 350 euro, ritenuti l’incasso dello spaccio.- 6 marzo 2013, San Cristoforo, Cata-nia. I Carabinieri hanno arrestato due uomini per detenzione e spaccio di so-stanze stupefacenti. In via Della Lava i due individui cedevano degli involucri ad occasionali acquirenti. Bloccati e perquisiti, sono stati trovati in possessodi 51 dosi di marijuana, per un peso to-tale di 110 grammi, e 38 dosi di cocai-na, per un peso complessivo di 12 grammi.- 15 marzo 2013, San Cristoforo, Cata-nia. Tre spacciatori acquistavano la dro-ga a San Cristoforo per smerciarla ad Enna. I tre sono stati bloccati in via Santa Chiara e sono stati trovati in pos-sesso di 100 grammi di marijuana. La perquisizione in casa del venditore ha permesso di sequestrare 1,5 chili di ma-rijuana.16 marzo 2013, San Cristoforo, Catania.

I carabinieri arrestano una donna di 56 anni per detenzione e spaccio di co-caina e marijuana. Nell’abitazione sono stati sequestrati 53 involucri di carta stagnola contenenti 23 grammi di cocai-na e 2.800 euro in banconote, ottenuti grazie all'attività di spaccio.

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Antimafia al Nord

Un libro ripulisceil circolo Arci Dove i mafiosi avevano brindato in onore del loro capo, adesso gli an-timafiosi si riuniscono per riaffermare i valori della legalità

di Rosaria Malcangi e Andrea Zolea

www.stampoantimafioso.it

Paderno Dugnano. Molto di più della presentazione di un libro. Ha il sapore di una messa laica l’incontro organizza-to il 17 febbraio al circolo Arci Falcone e Borsellino. Il libro al centro del dibat-tito è Buccinasco, La ’ndrangheta al nord di Nando dalla Chiesa Martina Panzarasa. C'era anche Piero Grasso, ex procuratore nazionale dell’Antima-fia.

Il circolo in questione è quello in cui nell’ottobre 2009 si svolse un summit di ‘ndranghetisti. A diciannove chilometri da Milano, sotto la foto dei due magistrati as-sassinati, una trentina pranzarono e brin-darono a Pasquale Zappia, diventato refe-rente nel nord Italia delle cosche calabresi.

I carabinieri filmarono tutto e nel luglio 2010 l’operazione Crimine-Infinito, coor-dinata dalle Direzioni distrettuali antima-fia (Dda) di Reggio Calabria e Milano, portò in carcere quasi trecento persone. Tra di loro assassini, trafficanti di droga, persone ritenute colpevoli di riciclaggio, estorsione, usura e altro.

A distanza di tre anni e mezzo da quell’insulto si avvertiva però ancora la necessità di una bonifica morale di quel luogo di cultura, intitolato ai più famosi martiri della mafia ma profanato da essa.

Una bonifica morale

Bisognava «archiviare» la cena dell’inferno e rendere omaggio a chi ha pagato con la vita la lotta alla mafia riaf-fermando l’impegno civile che parte dalla conoscenza della mafia, della ’ndrangheta e di altre organizzazioni criminali.

Il professor dalla Chiesa lo ripete a ogni occasione: «La battaglia contro la ’ndran-gheta inizia imparando a pronunciare e scrivere correttamente il nome. ‘Ndran-gheta. Non andrangheta». Perché ciò che non si riesce nemmeno a nominare ha gio-co facile a sparire dalla vista e dalle co-scienze.

Mentre fuori un sole freddo prometteva l’arrivo della primavera, nel circolo Arci sirespirava la speranza - smentita dal demo-cratico esito delle urne - che la Lombardia potesse finalmente cambiare passo. Ad al-tre latitudini di democrazia e cittadinanza, gli scandali emersi negli ultimi mesi in Regione sarebbero bastati a seppellire per sempre i destini politici dei responsabili. In Italia no.

Ndrangheta nell'interland milanese

E allora acquista ancora più spessore l’imperativo di diffondere la conoscenza del fenomeno mafioso. Obiettivo a cui il libro - segnalato di recente anche dal Mi-nistero della Pubblica Istruzione alle varie scuole italiane - dà un prezioso contributo.Esso ricostruisce tutta la parabola della ’ndrangheta nei centri dell’hinterland mi-lanese, il cui epicentro è Buccinasco, non a caso denominata la Platì del nord.

Negli anni ’70 la ‘ndrangheta inizia a farsoldi con i sequestri di persona, poi nel de-cennio successivo passa al traffico della droga. Le cosche così accumulano in fretta

ingenti quantità di denaro ma – come ri-corda Martina Panzarasa – l’obiettivo non sono tanto i soldi, quanto il potere e il con-trollo del territorio. Controllo che può ini-ziare banalmente con l’acquisto di piccoli terreni, poi di una casa, un bar, una palaz-zina fino ad arrivare a comprare o costitui-re una società immobiliare.

Non è mancato un «fuori programma». Maurizio Luraghi, ex imprenditore edile, imputato per associazione di tipo mafioso nel processo Cerberus, attualmente sospe-so, è intervenuto dalla platea. Dopo il falli-mento della sua azienda, l’imprenditore, a dispetto dell’ampia circonferenza vita, si èriciclato come maestro di ballo.

L'Expo e il movimento terra

Citato nel libro di Dalla Chiesa e Panza-rasa e in altri affini, l’uomo parla come un fiume in piena ogni volta che può. Rim-provera allo Stato la lentezza con cui vienegestito il fondo di solidarietà, lo strumentoche garantisce alle vittime di reati mafiosi,purchè dotate di precisi requisiti, il risarci-mento dei danni subiti. La figlia di Lura-ghi, imprenditrice nel settore edilizio, at-tende oltre un milione di euro dopo un in-cendio e il successivo fallimento della sua azienda.

La tensione scatenata dalle sue parole, soprattutto per i riferimenti ai pericoli di gestione mafiosa connessi ai lavori dell’Expo 2015, e in particolare al movi-mento terra, si è sciolta in una foto in qualche modo liberatoria scattata agli or-ganizzatori e ai loro ospiti sotto l’immagi-ne di Falcone e Borsellino sorridenti.

Ma forse la fotografia vera, quella che siè depositata nel profondo della coscienza dei presenti, è un’altra. È il professor Dal-la Chiesa, dopo aver ascoltato Luraghi coninteresse, conserva i documenti che l’uomo gli passa, poi si avvicina al ban-chetto dei libri, acquista una copia, ci scri-ve dentro una dedica e la regala alla figlia di Luraghi. Ed e proprio da qui che si rico-mincia: da un libro.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3232

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Poteri

Cosentinonon dimenticaE' la fine di un'epoca. La caduta di un intoc-cabile...

di Arnaldo Capezzuto www.ladomenicasettimanale.it

Si è costituito nel carcere di Secondi-gliano di Napoli, un penitenziario duro dove sono reclusi padrini mafiosi e bosscamorristi, Nicola Cosentino, deputato uscente del Pdl, ex sottosegretario all'Economia con delega al Cipe nell'ultimo governo Berlusconi e poten-te coordinatore regionale campano.

Non appena è terminata l'immunità par-lamentare – il 15 marzo – l'ex onorevole èfinito in una cella nel padiglione T1, quel-lo riservato ai detenuti di alta sicurezza. L'uomo politico che ha contribuito a far vincere il Pdl a livello nazionale, eleggen-do nel 2008 in Campania ben 38 deputati e 14 senatori, rastrellando oltre un milionee seicento mila voti, pari al 12 per cento del consenso totale dell'armata costruita da Silvio Berlusconi è ristretto nella casa circondariale partenopea.

Nicola Cosentino, conosciuto anche conil nomignolo di Nick 'o mericano è impu-tato in due diversi processi con accuse chevanno dal reimpiego di capitali illeciti, alla corruzione aggravati dalla finalità mafiosa e al concorso in associazione ma-fiosa. Nicola Cosentino non è un prigio-niero politico, non è vittima di una perse-cuzione orchestrata dalle toghe rosse, non è il nuovo Enzo Tortora. I profili penali contestati all'ex sottosegretario – in questi anni – sono molto gravi anzi gravissimi. Nel corso delle indagini e dei due processiche si stanno celebrando presso il Tribu-nale di Santa Maria Capua Vetere emergo-no sempre di più legami inquietanti e chiari contorni in cui camorra, politica, classe dirigente e imprenditoria sono fili dello stesso intreccio.

Non c'è dubbio che l'arresto di Cosenti-no sancisce la fine di un'epoca.

E Nick 'o mericano è stato solo il primo della lista. L’ex senatore Pdl Sergio De Gregorio, la gola profonda che ha ingua-iato Silvio Berlusconi sulla compravendi-ta dei parlamentari, è serenamente finito ai domiciliari, stesso destino per VincenzoNespoli, senatore uscente e sindaco deca-duto di Afragola.

Non è finita. Qualche problema, per la verità più d'uno, si addensa anche sul capo di Amedeo Laboccetta, deputato Pdl,trombato alle ultime consultazioni e in rapporti d’affari con l’imprenditore lati-tante Francesco Corallo, re delle slot ma-chine. C’è poi l’incognita grossa come una cosa del riconfermato deputato Pdl Luigi Cesaro, noto come Giggino ‘a pur-petta, sempre in bilico per un’inchiesta su politica e camorra ormai in dirittura d’arrivo. Non è casuale infatti se per la prima volta il boss pentito del clan dei Ca-salesi Luigi Guida ’o ndrink, per anni ai vertici della cosca casertana, ha deciso di parlare del potente politico di Sant’Anti-mo e della sua famiglia.

L'ex padrino vuota il sacco

L’ex padrino nel corso dell’udienza del 6 marzo al Tribunale di Santa Maria Ca-pua Vetere ha vuotato il sacco raccontan-do ai giudici degli interessi dei Cesaro nelcomune di Lusciano e in particolare sve-lando accordi segreti su gare d’appalti : quella per il Pip (piano insediamento pro-duttivi) e una riguardante un centro di ria-bilitazione. Esce fuori un patto d’acciaio tra politica, imprenditoria e camorra. La “cosa pubblica” diventa “cosa loro”.

Non è la prima volta e non sarà l’ultimache Luigi Cesaro, ex presidente della Pro-vincia di Napoli, viene tirato in ballo in storie che per usare un eufemismo chia-miamo “opache”. Il deputato Giggino ‘a purpetta era rimasto già coinvolto a metà degli anni Ottanta in un’inchiesta sul clan capeggiato da Raffaele Cutolo e assolto con sentenza definitiva dopo una condan-na in primo grado per favoreggiamento a 5 anni di carcere.

Non molto tempo fa durante un’inter-cettazione effettuata nel corso di un collo-quio in carcere, il padrino Cutolo riferiva a una nipote – in cerca di un favore – di farsi aiutare da Cesaro, ora uno important-e, che anni addietro gli avrebbe anche fat-to “da autista”. Il nuovo Parlamento in-somma a breve potrebbe occuparsi del de-putato Cesaro: risalirebbe a circa un anno fa la richiesta d’arresto dell’onorevole, da parte della Procura all’Ufficio gip di Na-poli. L’inchiesta prende le mosse dalle di-chiarazioni del 2008 di Gaetano Vassallo, stakeholder dei rifiuti per conto dei Casa-lesi, che accusa Cesaro di relazioni con elementi di spicco del clan.

“Non pagherò per tutti”

Ecco, la caduta di Nicola Cosentino, il tramonto del suo sistema di potere ha fat-to maturare, evidentemente, delle scelte e accelerato un cambio di scenario signifi-cativo. Oltre a “’o ndrink” altri potrebberosentirsi liberi d’illuminare con i loro rac-conti le zone d’ombra che spesso al Sud accompagnano il successo di alcuni im-presentabili e le loro formazioni politiche.Ci sono spazi. S’intravedono praterie di verità. E’ caduto il Cosentinismo – si sa – quando la barca affonda c’è il “si salvi chipuò”.

Il comandante – però – è rimasto al ti-mone di quel potere e sta dimostrando an-cora una volta di essere un leader. L’atteg-giamento del detenuto Cosentino è rigoro-so. Finita l’immunità, si è consegnato alla casa circondariale senza fiatare. Nell’interrogatorio di garanzia in carcere ha ribadito al gip di essere innocente e di respingere tutte le accuse. E’ in cella e non si lamenta. Ha deciso e promesso allafamiglia che da detenuto non vuole pre-senziare ai suoi processi e farsi vedere dietro le sbarre di una gabbia. Il suo mes-saggio sembra inequivocabile per chi dal-la parte sua sa capire: “Io sono un vero uomo. Non mi nascondo. Mi prendo gli oneri. Difendo una storia. Non pagherò per tutti”.

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L'Ospedale del Mare sostituirà i presidi sanitari dell'Ascalesi, del Loreto mare, del San Gennaro e degli Incurabili. C'è un particolare non da poco: con la nuova riperimetrazione della Protezione Civile, la struttura è in piena Zona Rossa, quella da evacuare in caso di eruzione del Vesuvio di Pier Paolo Milanese

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Napoli

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Lo scandalo si chiama “Ospedale del Mare”, un mostro di cemento più o menoantisismico con travi d'acciaio e grosso-lane pomposità architettoniche di dubbia utilità. Una mega struttura che adesso con la riperimetrazione della Zona Rossaquella cioè che dovrebbe essere evacuataprima dell'inizio di una eventuale eruzio-ne del Vesuvio, si trova al centro di una emergenza. La decisione è stata adottata dalla Protezione civile nazionale che va-gliando rapporti tecnici e studi sul rischioeruzione del Vesuvio ha deciso di esten-dere i confini dell'area di massimo ri-schio anche a parte della zona orientale di Napoli, e, in particolare a Ponticelli dove appunto sorge il cantiere della gran-de struttura ospedaliera.

Chi ha progettato a suo tempo l'inse-diamento dell'ospedale non lo sapeva chesi edificava a ridosso di una potenziale Zona Rossa? Perché è stato consentito unprogetto del genere? Perché la Regione all'epoca guidata da Antonio Bassolino ha avallato questa soluzione? Quali inte-ressi c'erano in gioco? C'entra qualcosa la moglie (famiglia di costruttori) di un potente ex assessore, ora eurodeputato e uomo da sempre di Bassolino? La collo-cazione dell'Ospedale del Mare nella vecchia zona gialla, tecnicamente “a pe-ricolosità differita”, non metteva - certo- al riparo la struttura e i suoi futuri ospiti dalla furia distruttiva del vulcano. In realtà, dopo il superamento di tanti intop-pi creati dalla formula del project finan-cing scelto per la realizzazione della struttura, proprio ora che secondo l'ulti-ma versione ufficiale, i lavori dovrebberoconcludersi definitivamente nel 2015, riesce difficile immaginare un clamorosodietro front. L'Ospedale a Ponticelli sarà,insomma, completato. Ma proprio per questo occorre pretendere garanzie per la sicurezza del personale e dei circa 500 degenti. La struttura, infatti, ingloberà i presidi ospedalieri dell'Ascalesi, del Lo-reto mare, del San Gennaro e degli Incu-rabili che a breve chiuderanno. Motivo: abbattere la spesa sanitaria. Quindi in caso di emergenza bisognerà evacuare degenti e personale. Bene. Si farà in tem-po? E dove li trasferiranno?

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Catania/ Università

Il nuovoe l'indagatoPignataro nuovo retto-re. Recca trombato alle politiche e indaga-to dalla Procura per lamail elettorale inviata a professori e studenti dell'ateneo catanese

di Salvo Catalano www.ctzen.it

Sette giorni per cambiare l'universi-tà di Catania. Il tempo che c’è voluto per assistere a un avvicendamento al vertice di uno dei maggiori atenei del Sud, e non solo a seguito delle elezioni accademiche del 28 febbraio per il nuovo rettore. Vicende politiche e giu-diziarie sembrano aver fatto il resto.

Tutto comincia poco prima di marzo, con l'aspettativa richiesta dall'ormai ex Magnifico Antonino Recca - già coordi-natore regionale Udc - per correre alle elezioni nazionali per un posto al Senato. Non avendo ottenuto la poltrona

a palazzo Madama, Recca avrebbe dovuto mantenere quella di rettore etneo fino alla scadenza del suo mandato, il 31 ottobre.

Ma tutto cambia la mattina del 6 marzoquando, con una email alla comunità ac-cademica, annuncia le proprie dimissio-ni. A distanza di poche ore, si diffonde la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati dello stesso Recca da parte dellaprocura di Catania per il cosiddetto caso Mailgate: l'invio di un messaggio di po-sta elettronica elettorale a favore della candidata Udc Maria Elena Grassi duran-te le scorse consultazioni regionali.

A tutti i docenti e gli studenti...

Un messaggio inviato a tutti i docenti eagli studenti catanesi di Unict attraverso iserver di posta dell'Università di Catania,dove lavora il marito della donna, Nino Di Maria, membro dello staff del rettore. Sette giorni dopo la notizia e le dimissio-ni di Recca, si insedia il nuovo rettore eletto: Giacomo Pignataro, docente di Economia.

«Non esistono più, a mio parere, le condizioni di serenità per il completamento del mio secondo

mandato di rettore. Pertanto, rassegno le dimissioni irrevocabili dalla carica con decorrenza 11 marzo 2013».

Le critiche alla sua decisione di restarefino a ottobre e soprattutto l'annuncio di alcuni “urgenti interventi” non erano di certo mancate. Come quelle di studenti, docenti e ricercatori del Coordinamento unico d'ateneo che, con una nota, hanno accusato il rettore di voler restare in cari-ca per «una puerile idea di rivalsa e onni-potenza».

«Se qualcuno ha come unica ambizio-ne – affermano - quella di trasformare questi mesi di transizione in una semina di mine antiuomo per la prossima ammi-nistrazione, diciamolo subito: è ridicolo».

Ma forse, oltre alle ostilità interne, a pesare sulla decisione di Recca di abbandonare anzi tempo potrebbero essere state le tre accuse formulate nei suoi confronti dalla procura etnea che indaga sullo scandalo delle email elettorali partite dai server dell’ università: rivelazione e uso di segreti d’ufficio, violazione della privacy e intralcio alla giustizia, con promesse in cambio di false dichiarazioni ai magistrati.

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SchedaDA ECONOMIA AL RETTORATO

Quasi cinquantenne, sposato, con un figlio, è docente di Scienze delle finanze al dipartimento di Economia dell'universi-tà di Catania. In questi anni è stato membro del Consiglio d’amministrazione dell’ente e, tra il 2009 e il 2010, presidente della Scuola superiore etnea. Dopo la laurea proprio all'univer-sità di Catania, consegue un master e un dottorato a York, nel Regno Unito. Torna in Italia e rinuncia a un posto di lavoro in banca per un contratto da ricercatore a Unict. È l'inizio degli anni '90. Nel 2000 diventa professore associato e due anni dopo è ordinario. Tra i suoi settori di ricerca c'è soprattutto l’economia sanitaria con un approfondimento sull’organizzazio-ne ospedaliera.

Negli ultimi tempi è stato tra i più critici oppositori dell'ex rettore Antonino Recca, il primo turno di votazioni accademichesi è chiuso per lui con un ottimo risultato, seppure senza quorum: più del doppio dei voti ottenuti da Giuseppe Vecchio, candidato appoggiato dal Magnifico allora in carica. In attesa del secondo turno, considerate le preferenze andate al collega,è lo stesso contendente Vecchio a ritirare la propria candidatura. Eletto il 28 febbraio, Pignataro resterà in carica per sei anni. Tra i punti i fondamentali del suo programma ci sono «la discussione e il coinvolgimento diretto» di tutti i mem-bri dell'università, la scelta di «regole chiare esplicite, certe e uniformi, senza nessuno spazio a forme di autoritarismo» e la revisione del tanto contestato statuto d'ateneo in un’ottica più pluralista.

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“Il pocoprestigio

della laureacatanese”

Un carico pesante per quella che Recca

aveva definito «una ragazzata, che ha dato il via a una smisurata enfasi media-tica caratterizzata da un’ostilità cavalcatada alcune parti politiche». «I dati sensibili degli studenti non risultano es-sere stati mai violati e sono rigorosamen-te protetti presso i server dell’Università.–aggiungeva il direttore generale Lucio Maggio – Al fine di non produrre inop-portune interferenze, l’Università si asterrà da ulteriori indagini interne, re-stando in fiduciosa attesa degli esiti delleinvestigazioni svolte dagli organi compe-tenti». Indagini sulla mail elettorale in-viata da Daniele Di Maria, figlio della candidata Grassi e del dipendente Unict Nino Di Maria, che sono arrivate puntua-li. Oltre ai tre, infatti, ad essere iscritti nel registro degli indagati sono adesso

due tecnici della divisione informatica dell’ateneo – che avrebbero material-mente aiutato i Di Maria a inviare il mes-saggio – e lo stesso rettore. Che, secondol’ipotesi dei magistrati, avrebbe potuto dare origine all’intero caso.

Sarebbe Recca la persona che, «abu-sando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio, le quali debbono rimanere se-grete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza». Nel caso specifico, concor-rendo all’invio di mail di propaganda elettorale a studenti e docenti iscritti alla mailing list interna dell’università attra-verso un indirizzo che solo in rettorato potevano conoscere.

A questo si aggiunge la violazione del-la privacy per aver trattato, fuori dalle funzioni istituzionali, i dati personali di studenti e docenti. Aggravante, secondo i

magistrati, è l’«aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione deidoveri inerenti a una pubblica funzione oa un pubblico servizio». Come quella delrettore dell’università di Catania, appunto.

Mentire all'autorità giudiziaria

Al Magnifico dimissionario, infine, viene contestato di aver tentato di indurreil suo collaboratore e marito della candi-data Nino Di Maria a mentire all’autoritàgiudiziaria. Promettendo una facile via d’uscita: scaricare la colpa sul figlio Da-niele. Su questa terza accusa sembra non abbia giocato a favore di Recca la deci-sione, poche settimane dopo il caso, di promuovere Di Maria da membro dello staff del rettore a direttore del Cinap, il centro che si occupa dell’accessibilità delle strutture e dei servizi agli studenti diversamente abili.

L'intera questione passa però sottotrac-cia davanti alle dimissioni dello stesso Magnifico e alla sua poltrona lasciata vuota. Il suo successore Giacomo Pigna-taro, già eletto, dovrà aspettare il via li-bera dal ministro dell’Istruzione France-sco Profumo per potersi insediare. Pas-saggio burocratico che avviene la sera del 12 marzo, sei giorni dopo. L'indoma-ni Pignataro si presenta come nuovo ret-tore dell'università di Catania. Promette di non aumentare le tasse, si augura di poter rendere il tanto contestato statuto voluto dal suo predecessore «più equo e rappresentativo» e annuncia uno dei suoi primi atti da Magnifico: una riunione contutti i rappresentanti degli studenti «per discutere dei problemi dell’Ateneo e cer-care di risolverli insieme. Perché la lau-rea a Catania non abbia solo valore lega-le, ma significhi anche prestigio».

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SchedaQUANDO RECCALAUREO' CALTAGIRONE

Una petizione online per chiedere la sospensione in via cautelativa della lau-rea ad honorem conferita nel 2009 dall’Università di Catania a Francesco Bellavista Caltagirone, finito in carcere per truffa ai danni dello Stato. Ad avviar-la un gruppo di docenti dell’Ateneo cata-nese. La decisione di insignire dell’onori-ficenza l’imprenditore romano è stata tra le più contestate del mandato dell’ex ret-tore Antonino Recca

«Per riparare, almeno in parte, alla brutta figura non ci resta, come docenti estudenti, che chiedere che la laurea cosìimprovvidamente conferita venga rapida-mente sospesa in regime di autotutela, in attesa che si verifichino le eventuali responsabilità penali del sig. Francesco Gaetano Caltagirone».

Così alcuni docenti dell’Università di Catania, in particolare il gruppo che

compone il Cuda (Coordinamento unico d’Ateneo), hanno avviato una petizione online per chiedere la sospensione della laurea honoris causa che l’Ateneo catanese ha conferito nel 2009 al noto imprenditore arrestato lo scorso 19 marzo con l’accusa di frode nelle pubbliche forniture, appropriazione indebita e trasferimento fraudolento di denaro a terzi, a seguito di un’indagine della Procura di Civitavecchia sulla realizzazione del porto turistico di Fiumicino.

Secondo i suoi detrattori, Francesco Bellavista Caltagirone non rientrerebbe tra le persone che, come richiede il testounico approvato con decreto regio 1592/1933 per l’assegnazione delle lau-ree ad honorem, «per opere compiute o pubblicazioni fatte, siano venute in meri-tata fama di singolare perizia nelle disci-pline della Facoltà per cui è concessa». Il titolo, come ironizzano i docenti che hanno avviato la petizione, non sembra avere portato bene all’imprenditore.

Desirée Miranda

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Sicilia

Mafia a PartinicoCosa ci aspetta

È l´inizio dell´ultima guerra di mafia a Par-tinico, con due schie-ramenti che affilano le armi...

di Pino Maniaci telejato.globalist.it

Recentemente abbiamo approfondi-to la storia dei mafiosi di Borgetto che oggi sono liberi di scorrazzare per le vie del Paese, dopo aver scontato la pena nelle patrie galere. Ed a Partinicocosa succede? Chiaramente noi non possiamo farci mancare nulla, ed ecco che ritroviamo in giro nomi ben cono-sciuti negli ambienti di Cosa nostra che da poco sono in circolazione.

Parliamo di Michele Vitale, fratello di Leonardo e Vito Fardazza, e dell'anziano Nino Nania, fratello dell'ergastolano Fi-fiddu, ancora rinchiuso nelle patrie gale-re. Parliamo di due storici esponenti del-la malavita organizzata che, in passato, sifacevano la guerra. Difatti, ricordiamo che la corrente Nania-Giambrone era an-tagonista ai mafiosi Vitale-Salto. Oggi sono fuori, cosa potrebbe accadere? Si dice che Michele Vitale sia nella via del-la conversione, e sia pronto a prendere ledistanze dalla sua storia. In effetti, per l'esponente della famiglia Fardazza non sussiste alcuna accusa di omicidio.

Come direbbe Provenzano amava la sommersione, ed oggi è a caccia di lavo-ro, costretto alle condizioni vincolate della libertà vigilata. Tuttavia, rimane sempre un Fardazza, quindi un ipotetico punto di riferimento per i rampolli locali di Cosa nostra. Ama muoversi e riunirsi campagne campagne e vestire di marca, atteggiandosi come un dandy locale.

Su decisione di Provenzano

Ma ricordiamo un po' di storia...A giugno del 2005 fu Bernardo Pro-

venzano a decidere che anche Partinico doveva seguire quella regola della "som-mersione", che negli ultimi anni di go-verno di Cosa nostra era stata l´arma vin-cente del boss corleonese. E nominò come reggente quel Maurizio Lo Iacono che solo quattro mesi dopo era già morto.

Ucciso dagli uomini dello schieramento che si era improvvisamenteritrovato sotto le insegne di Antonino Nania, un vecchio boss con i contatti giusti oltreoceano, e di suo figlio Francesco, che proprio negli Stati Uniti trascorreva la sua latitanza, pur continuando a curare gli affari di famiglia. Persino Bernardo Provenzano, come si sarebbe appreso poi da un "pizzino" con una richiesta di informa-zioni avanzata a Lo Piccolo, rimase in-terdetto per quell'omicidio.

È l´inizio dell´ultima guerra di mafia a Partinico, con due schieramenti che affi-lano le armi e che non fanno più mistero dei loro sponsor ad alto livello: i rampan-ti, i giovani scalpitanti che riconoscono solo l´autorità di "'u zu Ninu", Antonino

Nania, che insieme con Antonino Giam-brone accetta di fare da sponda alle vel-leità di allargamento oltre i confini dei palermitani di Salvatore Lo Piccolo alla ricerca di nuovi appalti e di nuovi affari, come la cava American Rock di Monte-lepre, proprietà di Francesco D´Amico, da sempre vicino a Raccuglia e poi costretto a scendere a patti con gli appetiti di Lo Piccolo.

Dall´altra parte il potere costituito, rap-presentato da due capimafia in quel mo-mento detenuti, Nicolò Salto e Salvatore Corrao, longa manus del superlatitante Domenico Raccuglia, gli eredi naturali dei Vitale. Il 2006 è l´anno in cui Nania riesce a imporre la sua leadership: nomi-na capo di Partinico Gaetano Lunetta (poi arrestato) e Borgetto Antonino Giambrone. La cosca può contare sulla complicità di alcuni imprenditori come i fratelli Riina, e su uomini di peso come Giuseppe Lo Baido e Antonino Frisella.

“Dobbiamo risistemare l'officina”

Nomine che scatenano l´ira dello schieramento avversario che, tra le altre cose, contesta ai Nania di non provvede-re al sostentamento delle famiglie dei de-tenuti, così come invece prevedono le "leggi" di Cosa nostra. Nei colloqui in carcere con il nipote, il boss-meccanico Salvatore Corrao usa il linguaggio cripti-co del suo mestiere per annunciare che «dobbiamo risistemare quest'officina».

Dopo avere scontato la pena di 10 annidi reclusione torna nella sua casa Miche-le Vitale, uno dei tre fratelli per anni a capo della cosca mafiosa di Partinico.

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“La nostraemittente

sarà semprevigile

e attenta”

Michele, che dei tre è stato sempre

considerato il più "tranquillo", ha sconta-to la pena comminata dal tribunale di Pa-lermo unificata con quella del 9 luglio 1999, per il delitto di cui all'art. 416 bis C.P. per avere, in concorso con numerosealtre persone fatto parte dell'associazionemafiosa denominata "Cosa Nostra", av-valendosi della forza di intimidazione delvincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deri-va per commettere reati contro la vita, l'incolumità individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, tra i quali quelli di cui ai capi che seguono, nonché per acquisire il controllo di attivi-tà economiche e appalti pubblici e, co-munque, per realizzare profitti o vantaggiingiusti. Con l'aggravante del quarto comma trattandosi di associazione arma-ta.

“Controllo di attività economiche”

Il calcolo di cui si è tenuto conto per lapena è il seguente: pena base anni 5 di reclusione, aumentata di anni due per le contestate aggravanti ed in esito all'unifi-cazione si aumenta di altri 3 anni e si perviene alla pena sopra indicata di anni 10. A questa pena si deve aggiungere la misura di sicurezza della assegnazione ad una casa di lavoro per la durata di anni 2.

Tra l'altro è stato condannato per avere,dallo stato di detenzione in cui si trova-va, messo a disposizione delle attività il-lecite della famiglia mafiosa i propri figliillegittimi. In tutto questo non possiamo fare a meno di ricordare che i componen-

ti della sua famiglia, e parliamo dei fra-telli e delle sorelle, sono tutti protagoni-sti della vita delittuosa di Partinico degli ultimi decenni.

A cominciare dal più grande, Leonar-do, capo carismatico della famiglia ma-fiosa, che ha ormai collezionato qualche ergastolo per associazione mafiosa e per avere commesso diversi delitti.

Per proseguire con Vito, che teneva i rapporti con il capo dei capi e con i boss corleonesi: il più violento da quello che racconta Giusy Vitale, autrice -insieme a Camilla Costanzo- del libro Ero cosa loro (Milano, Mondadori, 2009).

Staccarsi da Riina e Provenzano

Dai più anziani - Riina e Provenzano - Vito si voleva staccare, insieme a Gio-vanni Brusca, a Mimmo Raccuglia e a Matteo Messina Denaro, per potere agirein piena autonomia senza dovere a tutti i costi chiedere loro l'autorizzazione.

Anche la mite Nina è stata condannata per associazione mafiosa. Recentemente la Corte d'Appello le ha aumentato la pena a 10 anni di reclusione in base a di-verse intercettazioni che ne hanno aggra-vato la posizione. In ultimo Giusy Vitale,la prima donna boss di Partinico che ave-va preso il posto dei fratelli nella gestio-ne del mandamento e che, dopo essere venuta a conoscenza di diversi fatti e complicità, ne ha riferito poi ai magistra-ti della dda.

Oggi Michele troverà sicuramente una situazione molto cambiata rispetto a 10 anni fa; non troverà più niente del suo re-gno di Valguarnera, dove al posto delle

stalle ci sono distese incolte intestate a uomini che hanno segnato la lotta alla mafia. E difficilmente troverà terreni dove pascolare gli animali come se fos-sero a casa loro.

La mafia non fa più parte della storia

E tante altre cose sono cambiate. Ades-so ci sono le associazioni antiracket e persino qualche suo concittadino com-merciante, come d'altronde lui sa bene, siè stancato di sottostare alle continue ri-chieste di estorsione.

Ma quello che troverà sicuramente stravolta è la mentalità dei suoi concitta-dini e della maggior parte di politici (vecchi e nuovi) ormai consapevoli del fatto che la mafia a Partinico non fa più parte della storia attuale. La nostra emit-tente sarà sempre vigile ed attenta nell'analizzare i movimenti dei rampolli locali. L'attenta e competente attività del-le forze dell'ordine ha permesso, negli ul-timi anni, di bloccare con efficienza l'attività criminale della mafia.

Cosa Nostra in difficoltà

Pertanto, oggi, Cosa nostra si ritrova inestrema difficoltà e con pochi punti di ri-ferimento. Speriamo di non sbagliare nel dire che, attualmente, respiriamo la quie-te prima della tempesta di una futura guerra di mafia, e che soltanto l'azione della autorità competenti e la coscienza dei cittadini onesti potranno debellarla del tutto.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 3939

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Sicilia/Ambiente

No Terna: comitatiin ordine sparso

Protestano per difendere il diritto alla salute e alla vita. I cittadini della Valle delMela si oppongono fermamente alla costruzione dell’elettrodotto Sorgente Rizziconi che la società Terna sta realizzando sulla costa tirrenica messinesema...

di Carmelo Catania

Va avanti da mesi il braccio di ferro

sull’elettrodotto Terna in corso di

realizzazione tra la Sicilia e la

Calabria.

Un’opera contestata dai comitati locali

nell'area della piana di Milazzo,

soprattutto tra Serro, San Filippo del

Mela, San Pier Niceto e Pace del Mela,

secondo i quali l'infrastruttura sarebbe

pericolosa per la popolazione perché

troppo vicina ai centri abitati, in una

zona già dichiarata a rischio ambientale

per la presenza nell'area di una centrale

elettrica e di una raffineria.

Protestano i cittadini, protestano i

sindaci ma, diversamente da altre realtà

di protesta, come il No Ponte o il No

Muos, manca il fronte comune e ogni

comitato si trincera dietro la sigla

“Nimby”, “Not in my backyard”,

concetto così riassumibile: l’opera in

questione può anche essere giusta e utile,

purché non sia costruita nel mio

territorio.

L’appoggio dei grillini

Comitati di cittadini e sindaci hanno

portato la loro protesta fin davanti al

Palazzo dei Normanni esponendo cartelli

e striscioni contro Terna e hanno trovato

il loro megafono nel Movimento 5 Stelle

che, dopo quella sul MUOS, fa

approvare il 6 marzo scorso – a larga

maggioranza trasversale – all’Assemblea

regionale siciliana una nuova mozione

con cui si impegna il governatore

Crocetta a chiedere a Terna «a porre in

essere tutte le iniziative necessarie

affinché il progetto esecutivo venga

modificato nelle parti in cui il tracciato

dell'elettrodotto attraversa tutta l'area

definita dalla Regione siciliana ad

elevato rischio di crisi ambientale e la

Zona di protezione speciale, in modo da

prevedere, per la sua realizzazione, il

passaggio in galleria».

«Teniamo a precisare – spiegano dal

Movimento - che non siamo contrari a

prescindere al progetto Terna, anche

perché ci rendiamo conto dell’esigenza

dei servizi da fornire alla popolazione.

Vogliamo, però, che in primo piano

vengano messe le questioni della salute e

dell’ambiente. E per questo che abbiamo

voluto una riformulazione del progetto».

Comitati divisi, Regione in stallo

Ma a tutt’oggi, nonostante una

generica dichiarazione sulla mancanza

della verifica di compatibilità nessuna

iniziativa risulta avviata da parte del

Governo regionale e – secondo il

Coordinamento Ambientale Tutela del

Tirreno – Terna «continua

nell’irragionevole intento di

sopraffazione della volontà popolare.

L’illustrazione della mozione, a cura

della Deputata Zafarana, ha evidenziato i

notevoli punti critici del progetto che il

nostro coordinamento ha sempre indicato

nelle numerose istanze portate avanti in

questi anni.»

Critici contro Crocetta anche il

comitato Pacesi per la vita,

l’associazione TU.DIR.DAI e

l’associazione T.A.T.che – in occasione

di un sit-in per commemorare i morti di

Passo Vela (il tristemente noto “quartiere

delle parrucche” del comune di Pace del

Mela) – in un comunicato, si rivolgono al

presidente della Regione siciliana, per

illustrargli ancora una volta quello che

sta accadendo in questa terra

«dimenticata da Dio».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 4040

Page 41: I Siciliani - marzo 2013

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“L'inquinantepresenza

deglielettrodotti”

Le associazioni fanno riferimento al

fatto che Pace del Mela non sia mai stata

nominata da Crocetta nell’elenco delle

località maggiormente colpite dalla pre-

senza degli elettrodotti, circostanza veri-

ficatasi – secondo i comitati pacesi – an-

che durante la seduta del 6 marzo scorso,

quando il governatore ha menzionato

solo una parte dei territori compromessi

dalla presenza dei tralicci dell’alta ten-

sione.

«La Valle del Mela – scrivono – non è

confinata al solo paesino di cui Lei parla

sempre e mostra il tracciato [San Pier Ni-

ceto, ndr], località che è si colpita dagli

elettrodotti, ma non presenta le gravi cri-

ticità che invece insistono a Pace del

Mela e che, ad oggi, non è stata oggetto

della sua attenzione. Molto probabilmen-

te non è informato della grave situazione

sanitaria e della mortalità che esiste a

Pace del Mela».

L’associazione Passo Badia di San

Pier Niceto ribadisce invece la propria fi-

ducia nel Governo regionale per l’attività

che sta svolgendo contro le criticità pro-

vocate dal tracciato dell’elettrodotto Ter-

na.

«Il Presidente Crocetta – scrive l’avvo-

cato Rosy Giorgianni, presidente dell’as-

sociazione – è stato accusato di non esse-

re Sindaco di tutti i siciliani e di fare fa-

voritismi ai cittadini di San Pier Niceto.

Il Comitato Passo Badia, ha fornito agli

organi regionali una documentazione

tangibile, attestante la criticità e l’assur-

dità del tracciato nell’area di Passo Ba-

dia, ovvero San Pier Niceto».

Cosa che – secondo la Giorgianni – il

comitato Cittadini Pacesi per la Vita,

non avrebbe mai fatto, evidenziando il

fatto che il nuovo elettrodotto Terna nulla

avrebbe a che vedere con il rione di Pas-

so Vela.

Nella sua replica inoltre il presidente

dell’associazione Passo Badia fa riferi-

mento anche alla brusca virata dell’elet-

trodotto prevista nel nuovo progetto, che,

anziché proseguire lungo una traiettoria

lineare come faceva in origine, ora va a

finire sopra le abitazioni dei cittadini.

«In quell’area – scrive la Giorgianni –

il tracciato inizia a fare una molteplicità

di deviazioni che avvicinano l’elettrodot-

to alle case, per poi ricongiungersi a Tor-

regrotta sulla vecchia linea dell’elettro-

dotto in dismissione. Recentemente, il

Dott. Motawi, dirigente Terna, ci infor-

mò che tale deviazione sarebbe stata ri-

chiesta e concordata con la precedente

amministrazione comunale».

Per Rosy Giorgianni però «l’unico ne-

mico è, e rimane Terna. Le guerre tra po-

veri, ovvero tra le associazioni non ser-

vono a null’altro che a rafforzare questo

gigante che oggi, a causa di queste ten-

sioni tra di noi, non si trova più di fronte

una barricata, ma piccoli muretti facil-

mente scavalcabili.»

I sostenitori dell’opera

C’è anche chi sostiene che l’elettrodot-

to sia strategico per la Sicilia: per il quo-

tidiano economico Il Sole 24 Ore, con-

sentirebbe un abbattimento dei costi

energetici «la sua mancata realizzazione

ha fin qui portato – secondo alcune stime

– un aggravio di spesa da 3,5 miliardi»,

mentre per Antonello Montante, presi-

dente di Confindustria Sicilia, «È neces-

sario trovare al più presto un punto d’in-

contro per sgombrare il campo dalle re-

more e dagli ostacoli che ancora si frap-

pongono alla realizzazione dell’elettro-

dotto, un’opera indispensabile, peraltro,

anche per lo sviluppo dell’energia da

fonti rinnovabili, che rappresentano perla

nostra Regione una grande opportunità.

Sono certo che tutti gli attori coinvolti –

ha concluso il presidente di Confindu-

stria – riusciranno ad individuare solu-

zioni idonee che consentano la realizza-

zione di questa opera infrastrutturale

strategica salvaguardando al contempo la

salute dei cittadini e dell’ambiente».

E intanto Terna va avanti

I lavori all’elettrodotto intanto non si

fermano, anzi, sono stati quasi completati

i basamenti dei tralicci di Pace del Mela,

e se su alcune modifiche Terna ha fatto

sapere di essere disponibile – ma solo

dopo il completamento dell'opera e la sua

messa in esercizio – su altre, come l'in-

terramento, ribadisce – nonostante le ri-

chieste dell’assessore regionale al territo-

rio e ambiente Mariella Lo Bello – un

secco no perché non sarebbero fattibili

sul piano tecnico.

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Ecomafie

Sole, ventoe mafia

La mafia è sempre più un’impresa flessibile, capace di adattarsi allacrisi economica tanto da cogliere le potenzia-lità della green econo-my approfittando dellemaglie normative

di Carmelo Catania

Le prospettive di ripresa dell’econo-mia globale in buona parte si stanno concentrando su nuove forme d’inve-stimento e nell’Italia in recessione una di quelle più promettenti in grado di creare nuovi posti di lavoro è rappre-sentata dalla green economy.

Infatti gli obiettivi fissati in ambito co-munitario assegnano all’Italia il compito di coprire entro il 2020 il 17% dei consu-mi con energia prodotta da fonti rinnova-bili.

E se a ciò si aggiunge che – per effetto del “protocollo di Kyoto” – le multina-zionali del settore energetico, sono obbli-gate a produrre una quota di energia puli-ta e quindi intervenire sul mercato delle rinnovabili per approvvigionarsene ecco che per numerosi investitori il settore co-mincia ad essere considerato di grande interesse e con ottimo potenziale.

Elevati incentivi...

Il settore delle rinnovabili ha fatto regi-strare nel 2012 un aumento della produ-zione di energia fotovoltaica, che si è at-testata a 15,4 terawattora e di quella eoli-ca, che ha raggiunto i 9 terawattora, con-centrandosi quasi esclusivamente nelle regioni meridionali come dimostra la lo-calizzazione geografica degli investi-menti (la maggior parte dei parchi eolici è presente in regioni quali Puglia, Cam-pania, Calabria e Sicilia che insieme do-vrebbero rappresentare oltre il 50% del totale nazionale).

Lo sviluppo dell’eolico e del fotovol-taico procede grazie anche al sistema de-gli incentivi costituiti dai costituiti dai certificati verdi e dalla tariffa onnicom-prensiva.

I primi sono dei veri e propri titoli, scambiati alla borsa elettrica, che in me-dia valgono 80 euro a megavattora a cui si sommano i proventi che il produttore incassa per lʼenergia venduta al sistema eimmessa in rete, al prezzo medio di 70 euro megawattora.

… e semplificazione normativa

Il settore è divenuto dunque particolar-mente appetibile ed ha attirato ingenti ca-pitali oltre che per effetto degli incentivielargiti anche come conseguenza della semplificazione normativa dei procedi-menti amministrativi autorizzativi che, sia pure mirando a snellire procedure burocratiche, spesso farraginose, non ha consentito di attivare idonei meccanismi di controllo, fondata com’era sulla “autorizzazione unica”.

In un contesto così lucroso e “semplifi-cato” la maf ia ha preso per mano il nuo-vo business. In questo preciso momento storico-economico cosa nostra è l’unica realtà che può disporre di grande liquidi-tà da riciclare in attività legali e in pieno sviluppo, come le rinnovabili.

Piatto ricco per tutti

Eolico e fotovoltaico sono così diven-tati i due nuovi “rami d’impresa” utiliz-zati dalle organizzazioni criminali anche per imporre la scelta delle imprese locali cui affidare lavori in subappalto come hanno dimostrato numerose operazioni antimafia condotte in Sicilia negli ultimi cinque anni, a partire dallʼindagine Eolo del 2005 per arrivare allʼinchiesta Zefiro dello scorso febbraio che hanno coinvol-to imprenditori, colletti bianchi e istitu-zioni compiacenti impegnante nella rea-lizzazione di parchi eolici.

Ulteriori indagini giudiziarie non sono mancate in altre regioni del Sud. In Pu-glia è da ricordare l’arresto di alcuni bosslegati alla Sacra Corona Unita coinvolti nel controllo degli investimenti nel parcoeolico di Torre Santa Susanna.

La ‘ndrangheta calabrese si è infiltrata nel business dei parchi eolici nelle pro-vince di Catanzaro e Crotone.

Il sistema criminale riesce ad adattarsi anche a territori dalle caratteristiche dif-ferenti. Come in Sardegna dove lo svi-luppo del settore eolico è diventato predadella criminalità pur in assenza di com-portamenti intimidatori preferendo, al contrario, ricorrere alla corruzione. Da ricordare la famosa inchiesta ribattezzata dai media “Eolico e P3” che ha portato

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“Un imperoeconomico

da oltreun miliardo”

all’arresto dell’imprenditore sardo FlavioCarboni rivelando l’esistenza di un vero e proprio gruppo d’affari per la realizza-zione di impianti eolici accusato di cor-ruzione di funzionari pubblici, associa-zione a delinquere e riciclaggio.

E se fino al 2008, le mire delle ecoma-fie erano indirizzate all’energia del ven-to, da tre anni a questa parte è quella fo-tovoltaica ad attirarle: non solo per gli incentivi, ma anche compravendite di terreni, riciclaggio di denaro sporco, ma-nodopera illegale da utilizzare nei campi.

È il caso della Tecnova di Brindisi che ha utilizzato nella costruzione di parchi fotovoltaici nelle provincie di Lecce e Brindisi operai per la maggior parte stra-nieri sottoposti a condizioni di lavoro massacranti: dalle 12 alle 24 ore di lavo-ro al giorno per due euro l’ora..

Il ruolo del Facilitatore”

In tutte le indagini svolte finora emer-ge anche un’altra importante figura car-dine, che esiste solamente in Italia, chia-mata “sviluppatore” o “facilitatore” che manovra i meccanismi del sistema scon-finando spesso nell’illegalità. Specializz-ato nell’ottenere le autorizzazioni e le concessioni richieste, questo attore si propone in seguito di rivendere a caro prezzo il progetto alle imprese o ai fondi d’investimento.

Emblematico esempio del complesso sistema di relazioni tra mondo degli affa-ri, mafia e politica è lo “sviluppatore di progetto” Vito Nicastri, considerato il re dell’eolico siciliano.

Nicastri corrisponde perfettamente all’identikit del “facilitatore”, fonda e

amministra una miriade di società a re-sponsabilità limitata che con appena 10 mila euro di capitale possono richiedere autorizzazioni e concessioni, accedere a finanziamenti per milioni di euro, acca-parrarsi i terreni per poi cedere la società o l’attività alle grandi imprese che ven-deranno l’elettricità al gestore del servi-zio elettrico nazionale.

Oltre i confini della legalità

L’imprenditore alcamese è finito al centro di numerose inchieste a fianco di esponenti mafiosi ed è ritenuto dagli in-vestigatori il collegamento tra la crimina-lità organizzata e il potere politico locale,il suo impero economico – oltre un mi-liardo e mezzo di euro – è stato seque-strato nel 2010 dalla Direzione Investiga-tiva Antimafia.

Dalle indagini risulterebbero rapporti con apparati criminali operanti nel mes-sinese, nel catanese ed anche con la ‘ndrangheta. Con l’impiego di decine professionisti del settore al suo servizio edi varie società di sede ad Alcamo, Mila-no, Lussemburgo e Olanda, Nicastri si adoperava per ottenere le autorizzazioni e le concessioni dei terreni dove sarebbe-ro sorti i parchi eolici.

Una volta ottenute le autorizzazioni necessarie al parco eolico di Mazara del Vallo, Nicastri ha venduto il progetto allasocietà Wind Project della famiglia vero-nese Bogoni, proprietaria di altri sei par-chi eolici (quattro solo nella provincia di Palermo).

I rapporti tra Nicastri e la mafia fanno pensare che sia sempre quest’ultima a decidere a quali società verranno venduti

i pacchetti pronti e soprattutto che per-corso dovrà seguire il denaro frutto di queste operazioni.

Il progetto SCORE

Gli investitori stranieri, interessati allo sviluppo delle energie pulite in Sicilia, hanno spesso intrecciato rapporti con le cosche, ignari, ecco perché il Governo regionale ha bloccato i progetti inerenti ilsettore, al fine di valutare norme e svi-luppare strumenti atti a contrastare l’interferenza della mafia.

Sarebbe comunque errato pensare che la green economy è tutta da buttare. Un contributo alla promozione di strumenti concreti, linee guida e proposte positive rivolte alle imprese, banche, pubblica amministrazione è rappresentato dal pro-getto “Score” (Stop Crimes On Renewables and Enviroment), finanziato dalla Commissione europea. Il progetto coinvolge sia la Fondazione (come capo-fila) che Banca Etica, da tempo impegna-te nel settore ambientale e delle rinnova-bili coadiuvati da un pool di partner ed esperti qualificati.

I documenti elaborati nell’ambito del progetto sono stati presentati a dicembre e si configurano come uno strumento per le aziende che intendono scommettere susole, vento e legno senza intaccare però eticità, legalità e ambiente: il coinvolgi-mento (più o meno diretto) delle ecoma-fie può infatti generare distorsione del mercato, concorrenza sleale e perdita di ricchezza ambientale in territori di eleva-to pregio paesaggistico.

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Calabria

Holding 'ndranghetal'affare sanitàIl “sistema Crea” da Reggio alla Brianza. Mezzo milione un postoletto. Sullo sfondo le in-quietanti motivazioni dell’omicidio Fortugno

di Rocco Lentini

"Ma che te ne fotte a te, cretino, dello stipendio di consigliere? Diecimila euro almese... e che cazzo sono? Quando io a quello storto di B... gli ho detto vieni a far-mi il direttore generale che gli volevo dire? Gli volevo dire che di miliardi ne ab-biamo 3 mila, 4 mila, 7 mila… con me, Pino, Bruno, Sandro sono diventati tutti miliardari... il più fesso di loro è miliarda-rio”, spiegava l’ex consigliere e assessore della Regione Calabria Mimmo Crea al suo braccio destro Antonio Iacopino, già direttore generale dell’Asl di Palmi e di al-tre aziende sanitarie calabresi. "Dai Anto-nio... come budget 7 mila miliardi di vec-chie lire, la sanità ha 3 miliardi 360 milio-ni di euro ogni anno.. cioè uno fa una cosauno fa un'altra, va nelle Asl e gestisce le Asl, tu hai bisogno almeno di quattro o cinque che siano con te, cinque o sei brac-cia in questo settore... sempre sugli indi-rizzi che do io. Mi segui Antò? Oppure parlo arabo io?”

È l’enunciazione intercettata del “siste-ma Crea” contenuta nell’inchiesta Onora-ta sanità, che ha svelato come "una serie di organizzazioni criminali radicate sulla fascia ionica reggina (...) abbiano coaliz-zato le loro forze dando luogo, attraverso soggetti a essi legati da stretto rapporto fi-duciario, a un'unitaria struttura di sostegnoalla candidatura di Domenico Crea", con-siderato il più adatto "a garantire al megliogli interessi delle cosche…", inchiesta che ha portato, infine, a pesanti condanne per il politico calabrese.

L’inchiesta svelava che Mimmo Crea era a capo di una vera e propria cosca poli-tico-mafiosa annidata nelle istituzioni re-gionali, con tentacoli ramificati su tutto il territorio reggino. Capo di un'associazionea delinquere disposta a tutto, ivi compreso il ricorso all'omicidio politico, per aumen-tare i suoi loschi guadagni in campo sani-tario. L'ipotesi più agghiacciante avanzata dagli inquirenti, non confermata da riscon-tri oggettivi, è che Crea sia stato tra i man-danti dell'assassinio di Francesco Fortu-gno. Anche perché, alle elezioni regionali della primavera del 2005, era risultato il primo dei non eletti nelle liste della Mar-gherita nella provincia reggina ed era statoscavalcato proprio da Fortugno, poi nomi-nato vice presidente del consiglio regiona-le calabrese.

Un'elezione che ha disarcionato Crea e compromesso il piano della ‘ndrangheta. Crea avrebbe cancellato, secondo l’ipotesi investigativa, l’elezione di Fortugno ordi-nando l'assassinio al fine di prenderne il suo posto nel Consiglio regionale. L’ipote-si secondo i giudici reggini era supportata anche dal fatto che Alessandro e Giuseppe Marcianò, arrestati e condannati in primo grado all’ergastolo come presunti mandan-ti ed esecutori materiali del delitto erano tra i principali supporter di Crea.

Uno scenario inquietante, un verminaio con il debito della sanità in Calabria che sarebbe circa 870 milioni di euro: sarebbe,perché la quantificazione non è stata mai fatta e forse non è possibile farla.

Troppe sviste, omissioni, coperture, in-trallazzi. Un “sistema” che assorbe l'80% del bilancio regionale: tremila dipendenti in esubero, un'emigrazione sanitaria che fattura 238 milioni di euro annui e ospeda-li del nord che fanno ponti d'oro ai cala-bresi. Cavallo di ritorno: la quota procapi-te destinata per la sanità del sud prende la via del nord. Un business sicuro.

Le mete più gettonate -che si dividono ilquaranta per cento- in Lombardia sono l'Irccs San Raffaele, l'Humanitas e l'Istitu-to nazionale dei tumori; nel Lazio il Poli-clinico Gemelli e l'Umberto I. Un altro venti per cento se lo spartiscono in parti uguali Emilia Romagna e Toscana. Eppure

in Calabria le strutture ospedaliere -pub-bliche e private- sono 73, e dispongono di 8.874 posti letto. Una disponibilità nume-ricamente sufficiente per i bisogni della regione, ma appena qualificata per gestire,non senza pericoli, l’ordinario, fatte salve le eccezioni, ma ci piacerebbe definirle normalità, della cardiologia di Catanzaro ed ematologia di Reggio Calabria, che rap-presentano l’eccellenza della sanità cala-brese.

Una rete ospedaliera, per utilizzare un eufemismo, dove si muore con una dram-matica ripetitività e sulla quale ci siamo soffermati in diverse occasioni per casi eclatanti di malasanità. Tra i piccoli peri-colosi ospedali, non adeguatamente attrez-zati, ma soprattutto a causa di una esaspe-rata politica di comparaggio e di nepoti-smo nella nomina dei primari, nelle assun-zioni e nelle carriere e per le innumerevoliingerenze criminali negli appalti e nei ser-vizi, undici strutture sono a rischio sicu-rezza. Sono quelli con meno posti letto e ubicati in un’area a forte incidenza crimi-nale come Palmi (18), Oppido Mamertina (18) e Taurianova (18).

L'80 per cento del bilancio regionale

Flavio Scutellà aveva dodici anni e stavagiocando con i coetanei quando è caduto dall’altalena. Ha battuto con la testa. Il 118 giunse in ritardo, poi cominciò a gira-re per tutti i sei ospedali della Piana. Ro-sarno, il settimo, non ha mai aperto. Nes-suno interviene sull’ematoma, che intanto si allarga. Nove ore dopo il ragazzino, simbolo dell’inefficienza sanitaria della Piana, giunge a Reggio Calabria, ma il suodestino è segnato. Muore dopo quel vergo-gnoso viaggio e quattro giorni di agonia.

È qui, nella Piana, che i costi della sani-tà, gravati quasi esclusivamente dal perso-nale, sono altissimi. Il primato spetta a Taurianova, con il 90% di incidenza della spesa per i dipendenti sul costo totale del presidio: centoquarantanove dipendenti sa-nitari (8,27 persone per posto letto, ma la media aumenta se si raffronta il dato con i degenti effettivi). Nel 2008, ultimo dato noto, ha speso 9 milioni 950 mila euro.

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“L'ospedaledi Oppidoemblema

della sanitàcalabrese”

Di cui solo il 10% per gestire i 18 posti letto dell’ospedale e i servizi.

Qui si è visto di tutto. A metà degli anni Settanta il dott. Francesco Macrì, padrone politico della città, meglio conosciuto come “Ciccio mazzetta”, che ha poi finito in carcere i suoi giorni, cedette per un ca-none annuo di tre milioni e cinquecento-mila lire le terre della “Fondazione Princi-pe Serra” -cento ettari di uliveto che val-gono, al prezzo corrente, oltre un miliardo di euro- a Giuseppe Barone, pregiudicato poi ucciso in un agguato mafioso.

Aveva aperto un vero e proprio ufficio di collocamento, “Ciccio mazzetta”. Per il lavoro si passava da lui e dai suoi fidatissi-mi procacciatori. Era specialista in piante organiche gonfiate, in falsi attestati profes-sionali, in concorsi truffa. Bastava pagare. Lo aveva ampiamente dimostrato assu-mendo la sorella Ada come primario a pe-diatria, la sorella Olga (già sindaco di una giunta sciolta per mafia) come ufficiale sa-nitario, la sorella Antonella come medico apsichiatria, il cognato Totò a medicina, il nipote Orlando in dialisi. Parentopoli, sa-nitopoli, nepotismo, clientelismo, affari-smo. No, non c’è un termine per definire quello che è stata ed è ancora la sanità ca-labrese figlia di “Ciccio mazzetta”.

I dirigenti delle Asl calabresi, oggi Asp, hanno osato di tutto e di più. Hanno as-sunto figli, mogli, cognate, cugini, fratelli. Ma in Calabria è la norma. Egidio Masel-la, al tempo in cui era assessore regionale al Lavoro per Rifondazione comunista, ha assunto come responsabile amministrativola moglie Lucia. Pino Guerriero, ex presi-dente socialista della Commissione regio-nale antimafia ha assunto come autista il nipote. E il capogruppo dell’Udc Gianni Nucera, consigliere regionale che si muo-ve agevolmente, ancora oggi, dal centro-destra al centrosinistra e viceversa, tentò ilcapolavoro: l’assunzione a spese della re-gione prima della moglie Felicia, poi del figlio Carmelo, e infine dell’altro figlio Francesco, ma fu bloccato al novantesimo minuto.

Quando si dice il trasversalismo! A que-sto stato di cose - come rilevò qualche anno fa Gian Antonio Stella sul Corriere

della Sera - qualcuno si è opposto. Che cazzo, basta con i parenti. Michele Fazzo-lari, precario all'Azienda sanitaria provin-ciale di Cosenza, ma con un passato da se-gretario provinciale della Cisl, chiamato ad occuparsi della stabilizzazione dei pre-cari ha istruito e firmato una delibera per stabilizzare, con un contratto a tempo in-determinato e la qualifica di dirigente, se stesso. Franco Petramala, direttore genera-le dell’epoca, ha firmato l’atto in scioltez-za. Nessuna obiezione, nessun tentenna-mento.

Cronaca di una domenica di fine agosto duemilaeundici. Eleonora Tripodi aveva trentatré anni ed era al suo terzo parto. La sua bambina non l’ha mai vista, è stata stroncata da una emorragia.

Morta durante il viaggio in ambulanza dall’ospedale di Vibo Valentia a quello di Lamezia Terme in un trasferimento deciso per “mancanza di posti liberi nel reparto dirianimazione” dell'ospedale di Vibo.

Stroncata da un'emorragia

Indagati per omicidio colposo, i medici che hanno avuto in cura la donna dicono, con il ginecologo Domenico Princi, di “avere fatto di tutto per salvarla”. Un’altrainchiesta, l’ennesima nell’ospedale killer. Parliamo di una Asl con quasi duemila di-pendenti tra i quali 386 medici e 680 in sei strutture ospedaliere - l’altra, la setti-ma, Pizzo Calabro, iniziata circa ses-sant’anni fa, non ha mai aperto - per un to-tale di 200 posti letto e 191 ricoveri medi. Duemila dipendenti per duecento posti letto: dieci persone per ammalato!

A Vibo Valentia l’ "ospedale killer" non è un ospedaletto. Le ispezioni dei Nas or-dinate dopo la morte di Federica Monte-leone, il caso più eclatante di malasanità, hanno denunciato 800 violazioni delle norme che dovrebbero garantire la sicu-rezza e la salute dei cittadini. Federica èmorta folgorata dalla corrente elettrica in sala operatoria, poi l’amministrazione dell’Ospedale di Vibo è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, ma l’ex presidente della Commissione Sanità del Consiglio regionale, Nazzareno Salerno ha sostenuto

che la nomina dei commissari non ha de-terminato l’auspicata discontinuità nella gestione.

È l’ospedale di Oppido Mamertina, però, l’emblema della sanità calabrese: ol-tre mezzo milione di euro per posto letto, supera anche Palmi, centro direzionale e culturale della Piana, dove un posto letto costa “appena” quattrocentomila euro. No-nostante gli esuberi tra i 1.758 dipendenti, la pulizia dei nosocomi -oltre 3.000 euro al giorno- è stata affidata ad una società esterna e gli oltre trecento ex ausiliari, tol-tagli scopa e mocio dalle mani, sono tran-sitati a mansioni d’ufficio. A società ester-ne sono stati appaltati, nel tempo, anche lastesura del bilancio, la compilazione delle buste paga, la lavanderia, (667 mila euro l’anno), la mensa (due milioni di euro e 27cuochi adibiti ad altre mansioni), ed è me-glio tacere sugli sprechi di apparecchiaturesanitarie e medicali, in lauto comodato d’uso, dei quali si è occupata anche, rara-mente per la verità, la magistratura.

Il “sistema” decreti ingiuntivi. I “forni-tori” emettono fattura cui segue il decreto ingiuntivo e il pignoramento delle somme.Sembrerebbe tutto regolare. In effetti i “fornitori” -parliamo di quelli reali ché ci sono anche i presunti- emettono la fattura che, puntualmente, non viene liquidata en-tro i termini di legge. Ne consegue il de-creto ingiuntivo con aggravio di interessi espese legali. Neanche con il decreto in-giuntivo si riesce ad ottenere le somme percui segue la procedura di pignoramento, con ulteriore aggravio di spese. Lo studio legale, ce ne sono alcuni specializzati a Reggio Calabria e in provincia, presenta a sua volta la fattura per le spese legali e, di fronte alla puntuale mancata liquidazione, ricorre al decreto ingiuntivo e al pignora-mento rivolgendosi ad altro legale -megliose dello stesso studio- il quale a sua volta presenta il conto. Una catena di S. Anto-nio. Un artifizio che consente di raddop-piare, tra interessi, spese legali e quant’altro, le somme delle forniture. Quando ci sono. Le forniture, intendiamo: i soldi ci sono sempre. A volte sono stati pignorati, non si sa con quale logica, an-che quelli per gli stipendi del personale.

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“Un dominiotrasversale

su un budgetdi tre miliardi””

A fianco:L'ospedaledi Taurianova

“Il problema del deficit della sanità cala-brese sta nell'incertezza del suo ammonta-re e nell'inattendibilità dei dati forniti. Ma non si possono dimenticare i danni erarialiper i contenziosi e le successive transazio-ni per forniture di beni mai resi” ha affer-mato Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta su-gli errori sanitari e le cause dei disavanzi sanitari regionali.

Commissario ad acta - nominato dal go-verno Berlusconi- è ancora il presidente della Regione Calabria Peppe Scopelliti, seppure affiancato dalla Guardia di Finan-za. Tocca a lui -controllato e controllore- fare luce nello sfascio della sanità in Cala-bria: in questi giorni ha girato la Calabria in lungo e in largo promettendo finanzia-menti, migliorie, ristrutturazioni e poten-ziamento per tutte le strutture sanitarie re-gionali in cambio di voti per il Pdl.

I tempi di attesa per una TAC o una riso-nanza magnetica però variano da 250 a 40 giorni, e così i cittadini, infuriati, aggredi-scono a Cosenza il governatore-commissa-rio Peppe Scopelliti in visita all’Ospedale dell’Annunziata. Insulti, urla, spinte, lanci di pietre, vetri infranti. Momenti di conci-tazione e confusione, domate a stento dal cordone di sicurezza. Qualche giorno pri-ma l’ospedale era stato al centro della cro-naca per una interrogazione parlamentare di Maria Antonietta Farina Coscioni sulla morte sospetta di due donne, Rosita Prestae Caterina Loria -37 e 27 anni-, decedute una per emorragia al settimo mese di gra-vidanza ed una in seguito al parto cesareo.

La criminalità ha un peso notevole nella gestione della sanità in Calabria. Il budget è di 3 miliardi di euro: si può immaginare quindi qual è il business per lobby affari-stiche e 'ndrangheta. L’On. Angela Napoli,già componente della commissione anti-mafia, ex finiana defenestrata, ipotizzò in una interrogazione parlamentare che la sa-nità calabrese è una holding della ‘ndran-gheta. A sostegno citava il dato dello scio-glimento di tre aziende sanitarie calabresi per infiltrazioni mafiose e la condanna conrito abbreviato, a 2 anni e 6 mesi, di PietroMorabito, ex direttore generale dell’Azienda Sanitaria di Reggio Calabria

e manager dell’Asp di Catanzaro nel pro-cesso “Onorata Sanità”.

È d’uso, in questa regione, che i pregiu-dicati per reati vari nella sanità, meglio se per concussione, anziché rimossi dall’incarico siano premiati con nuovi più importanti incarichi. È emblematico il caso dell’ex provveditore dell’Asp di Pal-mi -un ragioniere dirigente apicale senza laurea- che, ripetutamente condannato per truffa e concussione nelle forniture, venivapuntualmente reintegrato nel posto di la-voro e confermato alla direzione del prov-veditorato mentre un altro dirigente dello stesso settore -due lauree, master, espe-rienza ventennale - è mandato a marcire all’economato di un ospedale.

Ci si sbrana per una nomina

Qui ci si sbrana per una nomina di diri-gente o di amministratore nella sanità, ma alla fine la spuntano parenti, compari e “amici degli amici”. Udc, Pd, Pdl, destra, sinistra, centrodestra, centrosinistra. Parti-ti, famiglie mafiose, liberi professionisti, fornitori, procacciatori d’affari. Tutti all'assalto della diligenza. È sulla sanità che si legge l’attivismo politico calabrese, il trasversalismo, il cambio di casacca, il “familismo amorale”. Quelli che non tro-vano spazio di qua vanno di là e quelli cheerano di là vengono di qua. A dirigere il traffico però c’è la ‘ndrangheta, i capiba-stone che hanno utilizzato la politica per fare diventare primari i figli e i nipoti e che ora decidono gli assessori alla sanità, icommissari straordinari, i dirigenti e perfi-no i portantini mentre si muore per una ap-pendicite, un ascesso, una polmonite.

Il dominio è polverizzato, trasversale. A Cosenza comandano i fratelli Gentile, An-tonio, deputato e già sottosegretario, e Giuseppe detto “Pino”, consigliere regio-nale, tutti e due del Pdl, una famiglia dedi-cata alla sanità; ma non sono soli, c'è pure Ennio Morrone, ex parlamentare dell'Udeur. A Catanzaro, Agazio Loiero dell’Mpa. A Reggio Calabria, Peppe Sco-pelliti. A Crotone Enzo Sculco, ex consi-gliere regionale della Margherita che ha dovuto lasciare il seggio nel precedente

Consiglio regionale per una condanna a sette anni per corruzione.

“L'azienda di Vibo è l'azienda di Tasso-ne, hai capito?”, spiegava Santo Garofalo, direttore generale dell'Asl 8 a un impren-ditore. Con stupefacente normalità illustra-va le “regole” in quella provincia: “Non ti dimenticare, Vibo è di Tassone e non di Ranieli né di quegli altri né di Stillitani. Letre aziende: una di Galati, una di Tassone el'altra è di Trematerra”. Mario Tassone è parlamentare uscente dell'Udc, come Pino Galati e Gino Trematerra. Michele Ranieli è un ex deputato. Francesco Stillitani era all'epoca assessore regionale. Anche loro dell'Udc. Telefonate di appena due anni fa.È l'Udc che era ed è padrona dell'Asl di Vibo Valentia dove la prima pietra del nuovo ospedale l'ha portata un costruttore della 'ndrangheta.

A Palmi e Locri i partiti contano quanto il due di spade se la bricola è a coppe. Zero, nulla. Conta solo la 'ndrangheta: Pi-romalli, Molè, Pesce, Bellocco, Morabito, Cordì, Cataldo. Hanno occupato gli ospe-dali con figli, generi e nipoti. Tutti medici di rispetto. Pasquale Morabito era lo psi-cologo di Bovalino dal 1992 al 2002. Quando l'hanno arrestato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, conti-nuarono a pagargli lo stipendio in carcere. “La Asl se n'è accorta e non ha nemmeno avviato azioni di recupero”, scrive nella sua relazione Paola Basilone, il prefetto mandato a Locri dal Ministero degli Inter-ni dopo l'omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno.

Il direttore generale dell'assessorato alla sanità era, a quel tempo, Peppino Biamon-te, più volte direttore generale delle Asl calabresi, lo stesso che falsificava le carte per far avere cinquecentomila euro alla clinica Villa Anya di Domenico Crea. “Agli ordini”, rispondeva quando Crea te-lefonava per chiedere conto della sua pra-tica su Villa Anya. Un criminale intreccio affaristico-politico-mafioso per il controllototale della sanità in Calabria.

È l'agghiacciante scenario descritto nelleoltre mille pagine dell'ordinanza di custo-dia cautelare emessa dal Gip di Reggio Calabria Roberto Lucisano.

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L'inchiesta“OnorataSocietà"

L'inchiesta Onorata Sanità portò dietro

le sbarre Domenico Crea detto “Mimmo”, consigliere regionale, ex assessore regio-nale, ex esponente dell’Udc, del centrode-stra e del centro-sinistra e della “Dc per le autonomie”; suo figlio Antonio, direttore sanitario della clinica di Melito Porto Sal-vo “Villa Anya” sottoposta a sequestro;

Alessandro Marcianò e il figlio Giuseppe, condannati all’ergastolo (per Alessandro lasentenza d’appello fu riformata) quali mandanti ed esecutori del delitto Fortu-gno; Giuseppe Pansera, genero di Peppe Morabito, detto “tiradritto”; gli ex direttoridelle Asl Peppino Biamonte e Pietro Mo-rabito; Francesco Cassano, già direttore del Distretto sanitario e dirigente medico del “Tiberio Evoli” di Melito Porto Salvo, insieme ad un nutrito gruppo di alti diri-genti medici della stessa struttura ospeda-liera; Santo Emilio Caridi, già direttore sa-nitario dell'Asl 11 di Reggio; Domenico Latella, direttore amministrativo dell'Asl 11 di Reggio, già direttore generale dell'Asl 9 di Locri.

Nella sanità calabrese rubano in tanti, altri tengono il sacco. Non solo “addetti ai lavori”. Monsignor Antonio Luberto si è arricchito sulla pelle dei quasi quattrocent-o poveracci della casa di cura “Papa Gio-vanni”, costretti a vivere con la scabbia e nel sudiciume. I soldi non li portava nella clinica affidatagli dalla Curia. Comprava quadri d’autore, arredi per il suo apparta-mento, mobili di lusso, automobili (dodici)e rimpinguava i suoi conti correnti. Da missionario a milionario della sanità.

Farmaci prescritti a defunti

Quasi sempre le truffe sono “invisibili” (oltre ottantamila pazienti fantasma, emi-grati o morti da decenni sono ancora iscrit-ti negli elenchi dell'assistenza sanitaria re-gionale) e i farmaci vengono “regolarmen-te” prescritti a defunti e assistiti ignari per malattie inesistenti e terapie non necessa-rie. L’ultimo episodio alla fine di luglio a Crotone, dove la procura e i Nas scoprono un giro di prescrizioni (di fascia A, le più costose) fasulle, arrestano un farmacista, Luigi Lucente, e mettono sotto inchiesta 42 medici. Oltre ventimila ricette, alcune delle quali intestate ad almeno trenta per-sone decedute da tempo, sarebbero state confezionate con fustelle fasulle e presen-tate all’Asp per ottenere i rimborsi previstidal servizio sanitario nazionale per le far-macie. Il “sistema” - oltre un milione di euro truffati all’Asp di Crotone - sarebbe

stato messo su da Lucente con la complici-tà dei medici di famiglia.

Nella Piana di Gioia Tauro non va me-glio con i servizi territoriali: 23 ex uffici sanitari, oggi uffici periferici Sisp, il dop-pio di quanti ne servono. I presidi di Ano-ia, Cittanova, Feroleto della Chiesa, Meli-cuccà, Rizziconi, Serrata e Terranova sonostati chiusi, ma stanno riaprendo alla spic-ciolata. Nella guardia medica di Cosoleto, un paese di novecento abitanti, lavorano a rotazione “solo” quattro medici per coprireil fabbisogno degli utenti e a due passi c’è anche l’ufficio di Varapodio, poco più di duemila abitanti, e l’ospedale di Oppido Mamertina. Il Sisp centrale, nella sede di Palmi è diretto dall’ex capitano medico Domenico Mittica - nipote di Ciccio, morto nel Lager nazista di Fullen -, coadiuvato dalla sua ex compagna e da una puericultrice adibita a mansioni amministrative.

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SchedaNELLA PIANADI GIOIA TAURO

Sette ospedali, più Villa Elisa -una clinica privata profumatamente convenzionata dove simuore per un parto- sono l’ossatura, ma è me-glio dire lo scheletro, della sanità nella Piana di Gioia Tauro. Rosarno. Ospedale di Rosarno.Iniziato nel 1965 e costato decine di miliardi, non ha mai funzionato nonostante fosse pron-to. Dotato di eliporto e di sale operatorie at-trezzate, arredi e cucine, tecnologie radiologi-che e di diagnostica d’avanguardia è svuotato degli arredi, dei macchinari, delle attrezzature, degli infissi, dei servizi igienici. Destinazione attuale? Ricovero per le pecore. Nessuno vede. Nessuno interviene. Nessuno paga. Il 3 agosto 2010, è stata presentata dai deputati Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecac-ci, Maurizio Turco e Zamparutti un’interroga-zione al Ministro della salute sulla vicenda dell’ospedale di Rosarno, ubicato su Pian delleVigne, una importante area archeologica dell’antica città greca di Medma.

Leggiamo: “Nonostante sia stato inaugurato nel 1997 (dopo 24 anni di lavori), l'ospedale di Rosarno, in Calabria, non è stato attivato ed stato lasciato in balia dei vandali, che hanno portato via ogni infrastruttura possibile, e degli animali che vi pascolano liberamente”.

Il primo finanziamento per la sua costruzion-e risale a 43 anni fa: 346 milioni di lire della Cassa per il Mezzogiorno per intercessione del ministro dei lavori pubblici Giacomo Manci-ni. I lavori sono durati ben 24 anni, “nei suc-cessivi 19 la struttura ospedaliera è stata ridot-ta a quello che non è improprio definire un le-tamaio, dal momento che dove si dovevano curare i malati, pascolano e trovano rifugio ca-valli e pecore; risulta razziata ed asportati abu-sivamente persino gli ascensori, le ringhiere delle scale e le vasche incassate nella muratura”, si legge nell’interrogazione.

Doveva diventare il gioiello della sanità cala-brese, l’ospedale di Rosarno. Ma i lunghissimi corridoi e le camere sventrate sono coperte da“merda di pecora”: montagne di letame, una bella metafora della politica regionale.

Scheda“TUTTI ASPETTAVANOIL DOTTOR CREA”

Per aprire la clinica, nel 2001, Crea utilizzò un miliardo e 100 milioni delle vecchie lire, de-positati improvvisamente su un conto corrente intestato ai genitori e poi girati sul conto dello stesso Crea. “Sono soldi -spiegò Crea- che mio padre aveva conservato nel materasso”. Giustificazioni che i Pm hanno definito “sempli-cemente grottesche”.

C'è davvero da rabbrividire nel leggere le deposizioni di alcuni testimoni dell'inchiesta e le intercettazioni telefoniche sul turpe tratta-mento riservato ai poveri anziani malati ricove-rati a Villa Anya, la clinica-lager fondata da Do-menico Crea. Intestata a sua moglie Angela, direttore sanitario il figlio Antonio, amministra-tore delegato la figlia Annunziata e direttrice amministrativa la nuora Laura. A Villa Anya c’era di tutto: cartelle contraffate, timbri fasulli, data e ora dei decessi falsificate, trasporto ille-gale di cadaveri, almeno 11 episodi di omissio-ne di soccorso, almeno cinque casi in cui il pa-ziente è morto perché lasciato solo e senza le necessarie cure mediche. Tra i tanti orrori sco-perti dalla Dda di Reggio, agghiacciante quelloche riguarda un’anziana signora. La paziente sta male. Due dipendenti della clinica chiama-no Crea per avvisarlo, ma lui si rende irreperi-bile. Risponde la moglie Laura che, scocciata, ricorda all'infermiera qual è la prassi da segui-re in questi casi.

Sarcastica la risposta dell'infermiera: “Va bene, intanto la facciamo fuori noi, ciao”. Se-gue risata.

Le condizioni della paziente peggiorano, nessuno chiama il 118, tutti aspettano l'arrivo del dottor Crea, che giungerà in clinica quandola paziente è ormai morta. Senza battere ciglioCrea dispone il trasporto del cadavere al pron-to soccorso spacciando la morta per “malata”, nasconde la cartella clinica e il giorno dopo fal-sifica la data e l'ora del decesso.

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“E chi li dovrebbeontrollare?”

A fianco:AlessandroMarcianò.In basso:GiuseppeScopelliti

Si capisce, lavoratori infaticabili: certificati medici e infermità che li impossibilitano al loro lavoro per lunghi periodi e compiacenti dichiarazioni per ottenere il cambio di mansioni.

Fatiscenti strutture

Come gli infermieri della chirurgia di Gioia Tauro e di Melito Porto Salvo, dove le lunghe malattie non guardano in faccia a nessuno. Il 35% dei dipendenti è affetto da inidoneità fisiche: mal di schiena, aller-gie al sangue, depressioni li costringono a lavori d’ufficio invece che a turni di notte o in sala operatoria.

Si spende ancora in appalti per queste fatiscenti strutture. A Taurianova e Citta-nova sono stati ultimati da poco i lavori di adeguamento dei locali delle sale mortua-rie. A Taurianova le sale mortuarie sono state destinate, con provvedimento del di-rettore generale del’Asp 5 di Reggio Cala-bria d.ssa Rosanna Squillacioti, ad uffici del Servizio veterinario; a Cittanova sono state ultimate, ma l’ospedale era chiuso datempo.

E chi dovrebbe controllare? Centinaia diettari di agrumeti e uliveti, fabbricati, qua-dri, argenterie ed ogni sorta di bene donato

da famiglie patrizie agli ex Enti ospedalie-ri sono finiti nelle mani della ‘ndrangheta con la complicità ed il silenzio colpevole di funzionari, dirigenti, amministratori e politici. Basterebbero, da soli, per risanare il bilancio dell’Asp di Reggio Calabria. Ma nessuno se ne occupa, neanche l’inventario si è riusciti a fare, e poi “ad occuparsi di queste cose si rischia”, ripeto-no gli addetti all’ufficio patrimonio.

Nel pubblico impiego, in generale, il sindacato conta molto poco. Qui niente.

Il silenzio del sindacato

Non esiste sindacato né sindacalismo, esiste il “sindacalista” una sorta di sbrigafaccende che mira, ed ottiene, solo risultati ad personam: un trasferimento, una revoca di un ordine di servizio, un incarico di comodo, un cambio di mansioni per sé e per gli iscritti che devono rinnovare l’investitura nell’incarico. Con il sindacato, di qualsiasisigla, non si può discutere di politiche sanitarie, di funzionalità dei servizi, di accorpamenti, di nomine illegittime, di mancanza di farmaci, di strutture pericolo-se, di prevenzione e quant’altro. Qui i sin-dacalisti barattano qualcosa.

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Scheda'NDRANGHETA-SANITA'DA SUD A NORD

La ‘ndrangheta non conosce confini, e il verminaio del rapporto ‘ndran-gheta-sanità si espande da sud a nord. Intercettato nei contatti con Carlo Antonio Chiriaco -direttore dell'Asl di Pavia, potente collettore tra pubblica amministrazione, sanità e ‘ndrangheta-, il boss Pasquale Libri è volato giù dalla tromba delle scale dall'ottavo piano dell'ospedale S.Paolo di Milano.

“Qua trattiamo tutto, da noi dipendono tutti gli ospedali e i cantieri, dia-mo noi i soldi, abbiamo una squadra che funziona a meraviglia”. Il gruppo di Chiriaco, scrive la Dia, “ha un controllo quasi completo” del Cda dell’ospedale San Matteo di Pavia caratterizzandosi come “un centro di potere a disposizione della ‘ndrangheta”.

Carlo Antonio Chiriaco -vice direttore sanitario e direttore di presidio presso il Policlinico "S. Matteo" di Pavia, Presidente delle Istituzioni Assis-tenziali Riunite, direttore sanitario della ASP che riunisce le strutture sani-tarie "Pertusati", "Santa Margherita", "Gerolamo Emiliani" e della Fonda-zione Maggi", direttore sanitario del "Poliambulatorio Medico Odontoiat-rico-Centro Dentistico Lombardo" di Mozzo (BG), titolare del "Centro Den-tale La Prevenzione", di Zibido San Giacomo (PV), titolare di studio denti-stico in Alessandria - nei primi anni Novanta gestisce, con Pino Neri e Sal-vatore Pizzata, la discoteca Vertigo collezionando denunce e condanne per estorsione, usura, esercizio abusivo della professione sanitaria; fre-

quenta esponenti della ‘ndrangheta; è indagato per corruzione elettorale e intestazione fittizia di beni per eludere esecuzioni erariali.

“Chiriaco si è assicurato, per la sua coalizione, l’assegnazione dell’inca-rico di presidente del San Matteo ad Alessandro Moneta”, ex assessore re-gionale, già sindaco di Milano tre e amico di Silvio Berlusconi. Chiriaco e i suoi compari a Pavia -la sola Asl gestisce un budget annuo che sfiora il mi-liardo di euro- erano in grado di condizionare l'esito delle amministrative per fare eleggere chi era utile agli interessi della 'ndrangheta. Lo facevano sia attraverso uomini del PD che del PDL e della Lega Nord, ma anche con liste "civiche”. La ’ndrangheta è trasversale, non si attacca all’ideolo-gia, destra o sinistra è lo stesso. Il fine conta, non i mezzi, e Chiriaco con ilsuo entourage programmava il riutilizzo dell’area dell'idroscalo e del gaso-metro per creare la cittadella "Europa", da destinare ad eventi sportivi, mondani, parcheggio, pista ciclabile ed altre strutture.

Milano, sanità e 'ndrangheta. Inchiesta “Infinito”. Pietrogino Pezzano al telefono parlava in libertà: prometteva appalti pubblici in cambio di banali favori ai suoi interlocutori, uomini della ‘ndrangheta. I brogliacci delle inter-cettazioni sono chiarissimi, e nonostante questo Pietrogino Pezzano, clas-se ’47, di Palizzi in provincia di Reggio Calabria, viene nominato direttore generale dell’Asl di Milano, la più grande d’Italia. Nomina voluta dall’ex go-vernatore Roberto Formigoni e dall’assessore alla Sanità, il leghista Luciano Bresciani, dopo che la sua posizione - era stato iscritto nel regi-stro degli indagati per il delitto di cui all’articolo 416-bis - fu stralciata e ar-chiviata dal Gip il 3 dicembre 2010.

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Se ci leggi e' Giornalismo, se ci quereli e' Satira

Paura, eh?

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KaNJaNo & car o gubi osag autor d scaricabi erokuro aKu mP

nicola. r–esistenza precaria

the Holy Bileno alla guerra,no al nucleare

La mia terra la difendo

Un libro per scoprire che non esiste un “nucleare civile” senza applicazio-

ni militari derivate, non esiste “energia atomica pulita” senza rischi inaccettabili, non esistono “armi sicure” all’uranio impoveri-to senza vittime di guerra.Il figlio di una sopravvissuta alle radiazioni di Nagasaki ha tra-sformato in una appassionata denuncia a fumetti la cronaca degli incidenti alle centrali nucle-ari giapponesi e statunitensi, che sono stati nascosti da un velo di silenzio. Nana Kobato, studentessa delle medie, si affaccia sul “lato oscuro del nucleare”, e scopre i pericoli delle centrali atomiche, gli effetti dei proiettili all’uranio impoveri-to, le devastazioni ambientali che uccidono adulti e bambini. In un racconto a fumetti chiaro e docu-mentato, Rokuro haku descrive gli effetti delle guerre moderne sull’uomo e sull’ambiente, e met-te a nudo i poteri occulti che so-stengono l’energia nucleare.

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Il libro degli autori di Scarica-Bile, il “pdf satirico di cattivo gusto” che ha ridefinito su

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ISBN 9788897194026

Certi fumetti non possono farli i radical chic col culo parato o gli intellettuali

da salotto. Ci voleva un lavora-tore emigrato come Marco “MP” Pinna, che si è bruciato due set-timane di ferie per partorire la saga di Nicola, l’antieroe in tuta blu del terzo millennio. Un mondo precario dove Nicola lotta per salvare la sua fabbrica dalla chiusura, e scopre i trucchi più loschi con cui i padroni frega-no le classi medio–basse.Più spericolato di Batman, più sfigato di Fantozzi, più ribelle di Spartacus e più solo di Ulisse: Nicola è il simbolo della nostra voglia di resistere alle ingiustizie. Contro di lui un padrone senza scrupoli e una famiglia senza ver-gogna, incarognita dalle mode più devastanti del momento.Uno spietato “reality show” a fumetti, un micromanuale di eco-nomia finanziaria, un prontuario di autodifesa sindacale ma so-prattutto lo sfogo di satira rab-biosa di un “artista–operaio”.Ottanta pagine di sopravvivenza proletaria: astenersi perditempo.

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ISBN 9788897194019

La storia di Giuseppe Gatì, 22 anni, pastore per vocazione, produttore di formaggi per

mestiere, attivista antimafia per passione.Il suo volto è salito agli onori delle cronache nel dicembre 2008 per la contestazione al “pregiudicato Vittorio Sgarbi”, che ha scosso la città di Agrigento al grido di “Viva Caselli! Viva il pool antimafia!”Con l’aiuto degli amici e dei fa-miliari di Giuseppe, Gubi e Kanja-no hanno scoperto gli scritti, le esperienze e il grande amore per la terra di Sicilia di questo ragazzo, che ha lasciato una ere-dità culturale preziosa prima di morire a 22 anni per un banale incidente sul lavoro.Un racconto a fumetti che non cede alle tentazioni del sentimen-talismo e della commemorazione, per restituire al lettore tutta la bel-lezza di una intensa storia di vita.

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ISBN 9788897194033

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S C A F F A L ES C A F F A L E

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Memoria

Un piccolo paesedal grande cuore

Canicattini Bagni, set-temila abitanti in pro-vincia di Siracusa. E' il giorno della Memoria. E qui la gente ricorda...

di Gabriella Galizia

E’ il primo giorno di primavera,col suo vento che spazza via le nuvole e fa posto ad una giorno di sole e festeggia ilrinnovo di una militanza civile. E’ la XVIII giornata della Memoria e dell’Impegno organizzata ogni anno da Libera in memoria delle vittime di ma-fia. Siamo a Canicattini Bagni, provinc-ia di Siracusa e 7.500 abitanti appena.

Un paese come tanti, con la piazza,il comune e la chiesa. Ma oggi abbraccia virtualmente tutte le città che celebrano il 21 marzo, da Palermo a Torino. Fin qui, cuore della provincia “babba”, dove qua-si nulla si pensa accada. Qui in 1500 si sono dati appuntamento per ribadire il “NO”alle mafie e la vicinanza alle vittimedi mafia e ai loro familiari.

”L’illegalità condiziona lo sviluppo, l’economia l’equilibrio sociale e le libertà individuali. Non è più tempo di stare alla finestra ad assistere da spettatori alla lotta tra Stato e antistato; i cittadini devono saper scegliere da che parte stare”.

Sono le prime parole della giornata pro-nunziate dal Colonnello dei Carabinieri, Perdichizzi, mentre simbolicamente si pianta un albero di memoria e di speranza.E' un richiamo a chi, senza prender parte, si affaccia alla finestra incuriosito dagli slogan e dal corteo.

Si scandiscono uno per uno i nomi di chi non c’è più. Partono applausi quando si pronunciano i più noti ma la maggior parte sono nomi sconosciuti. Non è sol-tanto una lista: ogni nome è una storia.

Ogni nome è una storia

“Ripercorrere la storia di queste vite ci aiuta a capire cosa è stata e cos’è la mafia ma, ancor di più, cosa è stata e deve esse-re l’antimafia” dice Giusy Aprile, coordi-natrice provinciale di Libera.

Per chi è un attivista, oggi è il com-pleanno di un impegno per costruire una terra libera da ingiustizie e prepotenze, la spinta decisa ad una mentalità nuova e azioni che sollecitino le attenzioni delle istituzioni.

La memoria che diventa il fondamento di un impegno. Qui a Canicattini? Messe da parte le animazioni per i più piccoli ci si concentra sul contrasto al gioco d’azzardo, nuovo affare della criminalità epiaga della società del bisogno. Si parte proprio da proposte concrete per i sindaci,coscienti che è tempo di porre freno ad ungioco che diventa patologia.

Siamo nel Sud più a Sud d’Italia, e fino a vent'anni fa era impensabile una manife-stazione del genere. Ma ormai da tempo qui nel siracusano il 21 marzo è un’istitu-zione. Il coordinamento siracusano di Li-

bera ha voluto organizzare qui la sua giornata dell’impegno per dare ancora piùvigore al neonato presidio locale e raffor-zare la rete di associazioni e singoli che animano questo territorio e che per la giornata hanno messo in campo le loro migliori potenzialità.

A Canicattini, il presidio di Libera si è stretto intorno alla memoria di Salvatore Raiti,carabiniere ucciso in un agguato ma-fioso nel 1982. Giovanna Raiti, sorella di Salvatore,è una delle animatrici del grup-po. Al presidio, intitolato al fratello, ha donato i diritti d’autore della sua pubblic-azione.

“Oggi è avvenuto – dice - il miracolo dell’ascolto e del risveglio. Un miracolo voluto ostinatamente da un un piccolo paese, dimostrando alle più grandi isti-tuzioni che anche i “piccoli” possono fare la voce grossa”.

“Il miracolo dell'ascolto e del risveglio”

A quanti si sono stretti attorno al suo dolore dice: “Siete una soffio d’aria tiepida che scalda il cuore, una pacca sullespalle che conforta e lenisce. Tutte cose che attendevo dalle istituzioni da trent’anni. Non mi pareva di pretendere tanto eppure fino ad oggi mi mancavano”.

Come un raggio di sole che lenisce il freddo dell’inverno, giornate come il 21 marzo servono proprio a rinnovare questa vicinanza. Il bilancio non è fatto solo di cifre. Basta guardare gli occhi di chi ha partecipato, di chi si è stretto in lunghi ab-bracci di gioia, per capire. Benvenuta pri-mavera!

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Trapani

Il prefetto antimafianostro concittadino

A ventott'anni dalla strage mafiosa di Piz-zolungo, è ancora mal-visto il conferimento della cittadinanza ono-raria a Fulvio Sodano, il prefetto che combat-té la mafia trapanese

di Rino Giacalone

Raccontiamo queste ultime settima-ne trapanesi cominciando dal 21 feb-braio. Quel giorno eravamo nell’aula del Consiglio comunale di Trapani, trovammo tanto pubblico, tanti pre-senti indossano una maglietta bianca con caratteri stampati dove, in grande evidenza, si legge: “Fulvio Sodano cit-tadino onorario”.

Fulvio Sodano è stato prefetto di Tra-pani dal 2001 al 2003. Nel dicembre 2005 quando la Squadra Mobile di Tra-pani a conclusione di una indagine deca-pitò con una serie di arresti la cupola ma-fiosa di Trapani, capeggiata dall’impren-ditore Ciccio Pace, “padrino” per volontàdel boss (latitante ancora) Matteo Messi-na Denaro, si scoprì che Cosa nostra vo-leva inquinare il lavoro del prefetto So-dano a difesa delle imprese confiscate alla mafia, che la mafia voleva riprender-si o voleva far fallire.

L’operazione della Squadra Mobile nel2005 svelò l’esistenza di una serie di in-trecci: ne emerse che i mafiosi erano statiascoltati auspicare la cacciata da Trapani di quel prefetto.

Da Trapani Sodano andò via veramen-te nel luglio del 2003, improvvisamente trasferito ad Agrigento dal governo Ber-lusconi.

La sua vicenda è racchiusa tra i faldonidel processo in corso a Palermo contro il senatore Tonino D’Alì (requisitoria 3 maggio) che era sottosegretario all’Inter-no quando Sodano fu trasferito da Trapa-ni ad Agrigento e che era pure sottose-gretario quando Sodano combatté a Tra-pani la battaglia per difendere i beni con-fiscati alla mafia. In una occasione, comeha dichiarato Sodano ai magistrati che andarono a sentirlo, il sen. D’Alì lo avrebbe affrontato dicendogli che così facendo, prendendo cioè le difese dei beni confiscati, si mostrava come un “fa-voreggiatore”, termine usato per chi aiutai delinquenti.

Quando nel novembre del 2005 la cu-pola finì in carcere e si seppe di quello che la mafia voleva fare del prefetto So-dano, in Consiglio comunale fu approva-to a maggioranza un documento con il quale si chiedeva all’amministrazione guidata dal sindaco targato “Forza Italia”, Mimmo Fazio, di conferire la cit-tadinanza onoraria al prefetto Sodano. Però Fazio, guarda caso amico di D’Alì, disse di no, e lo disse anche scrivendo al prefetto Sodano che “l’antimafia è peg-gio della mafia”.

Da qualche mese in città si è costituito un comitato, capeggiato da una battaglie-ra Rosaria Bonello, che invece è tornato

a insistere perché il prefetto Fulvio Soda-no diventi cittadino onorario di Trapani. Sono stati i rappresentanti di questa asso-ciazione assieme ad altri cittadini a riem-pire il 21 febbraio lo spazio destinato al pubblico per seguire i lavori del Consi-glio comunale. Gli stessi tempo prima hanno incontrato il sindaco che è succe-duto a Fazio, il generale dei Carabinieri Vito Damiano, eletto ancora in quota Pdl,che rispose che senza un regolamento eraper lui impossibile conferire cittadinanze onorarie.

“Ci vuole il regolamento”

L’atto di indirizzo proposto da Vincen-zo Abbruscato, consigliere Pd (ora Me-gafono, movimento ispirato dal presiden-te della Regione, Rosario Crocetta), per la stesura del regolamento, è stato così votato e approvato sotto lo sguardo dell’attento pubblico. A molti è sfuggito che è la seconda volta che il Consiglio comunale ha votato lo stesso atto di indi-rizzo: era accaduto già nell’ottobre 2012,quando ancora era sindaco il forzista-pidiellino Fazio.

All’amministrazione comunale sono stati concessi 30 giorni di tempo per redi-gere il regolamento e portarlo in Consi-glio per l’approvazione: pare sia stato giàscritto e trasmesso, ma non ancora inseri-to all’ordine del giorno. La cittadinanza onoraria al prefetto Sodano deve attende-re ancora.

Come scriveva Sciascia, se si vuole difendere la democrazia e la libertà nel nostro Paese è in Sicilia che ogni giorno bisogna combattere la battaglia.

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E intantoil sindaco

parla di“malandrini”

e non di mafiosiA fianco: il prefettoFulvio Sodano,strenuo oppositoredi mafia e malaffare.

E la vicenda della mancata concession-e della cittadinanza onoraria a Fulvio So-dano è esempio di quanto sia vera questa affermazione.

Eppure ci raccontano in tanti che le mafie oramai hanno fatto armi e bagagli e si sono trasferite al nord; poi ci sono coloro i quali sono pure convinti e soddi-sfatti credendo che le novità politiche elettorali abbiano già messo alle corde Cosa nostra, ma la realtà è ben altra.

Abbassare la guardia è cosa pericolosa.E questo in Sicilia sta avvenendo. Questaè la terra che ancora dopo 20 anni conti-nua a nascondere quel gran delinquente mafioso e assassino che porta il nome di Matteo Messina Denaro.

Una latitanza che non viene interrotta perché la mafia trapanese - ancor prima che Matteo Messina Denaro - ha vissuto con incredibili coperture da parte della politica, della massoneria, di forze im-prenditoriali, da parte di banche e ban-chieri, di colletti bianchi. Qui resiste la mafia sommersa, quella che ha riposto ma non sotterrato le lupare e le bombe e che ha saputo fare indossare ai suoi uo-mini grisaglie per portare in giro 24 ore colme di denaro per corrompere.

Il 2 aprile segnea il 28° anniversario della strage mafiosa di Pizzolungo. Cosa resta di quell’attentato del 1985? Il boatocausato dall’esplosione di quell’auto-bomba destinata ad uccidere un magi-strato in servizio alla Procura di Trapani, il pubblico ministero dott. Carlo Paler-mo, non si è ancora esaurito nei suoi ef-fetti devastanti.

Il tritolo mafioso ha ucciso tre giovani vite: Barbara Rizzo Asta ed i suoi figlio-letti gemelli Salvatore e Giuseppe di 6

anni, e ne ha minato altre: quelle del ma-gistrato e dei suoi agenti di scorta Ma ha anche comunicato un forte segnale di in-timidazione all’intera società civile tra-panese, che preferisce farsi scorrere ad-dosso le notizie di condanne e sequestri, di casseforti mafiose violate e confiscate dallo Stato.

E così Trapani continua ad eleggere in-dagati, rinviati a giudizio e parlamentari sotto processo come il senatore D’Alì, mantiene in carica sindaci condannati come quello di Valderice, Camillo Iovi-no, mentre in Consiglio provinciale sono stati seduti fino ad una recente sospen-sione prefettizia un consigliere, Pietro Pellerito, che faceva favori ai mafiosi, e un sindacalista, Santo Sacco, che portavain giro i pizzini di Messina Denaro.

E Trapani continua a eleggere indagati

Due Comuni sono stati sciolti per ma-fia: Salemi, dove il sindaco Vittorio Sgarbi è andato via prima che arrivasse lo scioglimento, e Campobello di Maza-ra, dove il sindaco Ciro Caravà di matti-na inaugurava i beni confiscati alla mafiae di pomeriggio si scusava con i boss; a Pantelleria è finito in manette un sindacoche già c’era finito e che era stato rielettoa furor di popolo, Alberto Di Marzo; a Castelvetrano il sindaco, Felice Errante, ha mandato a dire in giro che Matteo Messina Denaro non è il principale dei problemi, salvo poi prendersela con i giornalisti che hanno “chiosato” su que-ste parole; a Trapani il sindaco, generale dei carabinieri, ex ufficiale del Sismi, Vito Damiano, preferisce parlare di ma-

landrini e non di mafiosi; un ex senatore, Nino Papania di Alcamo, aveva a suo servizio un ortolano che faceva anche da autista ai capi mafia. Tutto questo per fare solo una rapida rassegna, ma si po-trebbe approfondire. Una provincia di impresentabili.

Cerchiamo la via del riscatto nel nome del 2 aprile 1985. A Trapani c’è una via, nei pressi del porto, dedicata, leggete bene, “ai grandi eventi”. Fu il riconosci-mento che il sindaco dell’epoca, Girola-mo Fazio, oggi deputato regionale Pdl ma in crisi col partito, diede alla Coppa America in salsa trapanese, e su cui la mafia si fiondò a mettere le mani preda-trici.

Un grande evento che, se si celebra, celebra quindi mafie e mafiosità. Dedi-chiamo questa via al 2 aprile 1985 come testimonianza perenne per chi è stato col-pito ed ucciso, Barbara Rizzo Asta, Sal-vatore e Giuseppe Asta, per chi ha co-munque pagato con la vita anche se più tardi, come Raffaele Di Mercurio; per chiè rimasto ferito ma è stato costretto a nonlavorare più, come gli altri agenti della scorta La Porta e Ruggirello; per un ma-gistrato, Carlo Palermo, che fu come morto per lo Stato, costretto a lasciare la magistratura.

Infine per tutti coloro i quali vogliono continuare a combattere credendo alle parole di Peppino Impastato, che ci dice-va che la “mafia è una montagna di mer-da”, di Mauro Rostagno, che ci ha inse-gnato a cercare di costruire una società nella quale valga la pena trovare un po-sto, e di Giovanni Falcone, che ci ha in-segnato a credere che “la mafia un giornoè destinata a morire”.

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Catania

Il saccheggiodell’Antico CorsoFra sindaci “nuovi” e vecchi affari

di Collettivo Experia

Leggiamo con stupore e rabbia le di-chiarazioni rilasciate dal candidato sin-daco Enzo Bianco sulla “riqualificazio-ne” del quartiere Antico Corso.

Stupore perché ancora una volta prova-no a rifilarci la favoletta della riqualifica-zione del quartiere legata all’università; stavolta hanno addirittura rispolverato il progetto che prevede la dismissione dell’ospedale Vittorio Emanuele per far posto a un enorme campus universitario completo di, citiamo dall’intervista, «aule studio, biblioteca, mensa, punti di aggre-gazione come palestra e bar ristorante. Il tutto da realizzare in project financing conla collaborazione dei privati». (Ricordate-vi di questa espressione inglese, apparen-temente innocua: nasconde invece la svendita di beni pubblici per favorire la speculazione dei soliti sciacalli).

L’ingegnere Alfio Monastra, già mem-bro di una commissione di studio sul quartiere negli anni ’80, si spinge più in làe parla di chiusura anche per l’ospedale Santo Bambino: una struttura dotata di pronto soccorso ostetrico che serve tutta l’area della I municipalità e un reparto di ginecologia fondamentale in un’area in cui il numero di gravidanze tra le mino-renni è ancora drammaticamente alto.

Non solo, Monastra lo definisce, testua-li parole, “un tumore all’interno del quar-tiere”, un edificio da abbattere e sostituire con case terrane, che rispetterebbero “la tipologia urbanistica tradizionale del quar-tiere”. Dentro queste case però bisogna metterci gli studenti, naturalmente, in modo da “migliorare la qualità delle fre-quentazioni” del quartiere.

In pratica, grazie all’ingegnere Mona-stra, scopriamo che: l’armonia architetto-nica del quartiere è più importante dei ser-vizi di un presidio ospedaliero specializ-zato che da decenni si prende cura di mamme e bambini di una vasta area della

città. Secondo questa teoria, bisognerebbedunque abbattere il liceo Spedalieri, l’ospedale Santa Marta, nonché la struttura in ferro di via Biblioteca, che svetta brutta e abbandonata e sulla cui utilità e scopo ancora la gente si interroga.Anche gli abitanti storici di quel quartiere sono antiestetici, perché brutti, sporchi, cattivi e, come se non bastasse, anche abbastanza poveri. Quindi che se ne vadano lontano, a Librino e a San Giorgio, dove l’ingegnere Monastra non lipossa vedere e lascino il posto a studenti di buona famiglia, professori universitari e professionisti di bell’aspetto.

Il vero “tumore” del quartiere Antico Corso è semmai l’Università di Catania: dopo anni di permanenza, è rimasta un corpo estraneo, ha decretato l’espulsione di migliaia di abitanti storici, ha fatto im-pennare il prezzo degli affitti e del costo della vita in modo esponenziale, ha con-gestionato l’area, riversando sulle viuzze un flusso automobilistico insopportabile per una zona che non è neanche servita dai mezzi pubblici e non gode di ampi parcheggi, senza offrire alcuna contropar-tita in cambio.

Speculatori, affaristi e politici

Ebbene, anche noi abbiamo un sogno dacoronare: debellare il cancro degli specu-latori, degli affaristi e dei politici loro complici in questa città. Perché il candi-dato sindaco Bianco e l’entusiasta Mona-stra non parlano chiaro? Perché non dico-no senza troppi giri di parole che voglionoespellere gli abitanti storici per permettereai soliti noti, i potenti Virlinzi, Ciancio, Lo Bello, Vecchio ecc., di arricchirsi an-cora un po’ con il metodo del project fi-nancing, tuffandosi per primi sull’affare dei servizi universitari privatizzati?

Se ancora vi stavate chiedendo perché ilCPO Experia sia stato sgomberato con tanta decisione e una spesa di 70.000 eurodi soldi pubblici; se ancora non riuscivate a spiegarvi perché in un quartiere con una dispersione scolastica altissima si tenti da anni di smantellare l’unica scuola presen-te, la Manzoni: bene, avete avuto le vostre

risposte. Centri di aggregazione, scuole e servizi sociali sono solo un ostacolo per il grande progetto dell’UniDisneyland cata-nese, e devono essere spazzati via in frettae furia. Sarà un peccato per i distinti si-gnori intervistati scoprire che noi abbiamoaltri progetti per l’Antico Corso e che gli impediremo insieme alle forze sane e one-ste di questa città, di realizzare un altro scempio come quello dell’Experia (come mai non vanno a vedere come è brutto e sporco e pieno di siringhe adesso il loro progetto di legalità?) e di mettere in atto i loro marci piani, come del resto facciamo da decenni insieme agli abitanti dell’Anti-co Corso.

Un quartiere che ha invece bisogno di strutture sportive gratuite, di spazi all’aperto per grandi e piccoli, di una bat-taglia durissima contro la dispersione sco-lastica, invertendo la tendenza che vede lachiusura imminente della scuola media Manzoni, della creazione di asili e scuole a tempo pieno; un quartiere il cui patrimo-nio artistico e culturale deve essere rivalu-tato con la costituzione di un parco ar-cheologico, affidato a cooperative di di-soccupati che si occupino della fruizione edella vigilanza degli stessi. L’Antico Cor-so deve essere arricchito da spazi di vera aggregazione sociale e culturale e il de-grado provocato con la chiusura del CPO immediatamente sanato con la sua riaper-tura ai cittadini.

Le passerelle elettorali ci fanno schifo enon abbiamo intenzione di delegare i no-stri progetti al politico di turno mai visto prima, che li appoggia per qualche setti-mana per poi scordarsene quando ha otte-nuto la fiducia e il voto della gente, così come ha deciso di fare il comitato Antico Corso, creato anni fa dagli abitanti del quartiere e dai militanti del Centro Popo-lare Experia e oggi convertitosi nel mega-fono locale dell’onorevole Berretta.

Infine, invitiamo coloro i quali, nell’imminenza delle elezioni del nuovo sindaco, pensano in buona fede di destina-re il proprio voto a personaggi come quel-li citati in questo intervento, a riflettere suquanto essi e i loro piani per la città siano “di sinistra” o, piuttosto, molto “sinistri”.

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Libertà di stampa

Leonardo Orlandoun giornalistacol vizio della notizia“Barcellona P.G. Incendiata l'automo-bile di un cronista...”

di Norma Ferrara www.liberainformazione.org

Si trova ogni giorno davanti ai fatti eda quindici anni li racconta. LeonardoOrlando è un giornalista, ha 51 anni e scrive da Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, per il quotidiano“La Gazzetta del Sud”.

Non è abituato a fare passi indietro: che si tratti dell’arresto dell’ultimo lati-tante della cosca locale, Filippo Barresi odelle indagini per il furto di benzina, dentro il vicino stabilimento della Raffi-neria Mediterranea. Così, all’origine dell’incendio doloso che due giorni fa hadistrutto la sua automobile potrebbero esserci diversi moventi.

Non guarda subito alla mafia Orlando, sebbene delle cosche barcellonesi si sia occupato per anni. Ma non la esclude. I clan, fiaccati dalle indagini della magi-stratura della Dda di Messina e dalle col-laborazioni di alcuni boss regolano i con-ti alla luce del sole, a due passi da piazzee dentro i bar della città. E da mesi a Barcellona Pozzo di Gotto si teme una nuova guerra di mafia.

«Di fronte all’incendio la prima sensa-zione che ho avuto – racconta Orlando a “Ossigeno per l’informazione” e “Libera Informazione”– è quella di essere impo-tente rispetto a ciò che stava accadendo davanti ai miei occhi.

Le fiamme che si alzavano dalla vettu-ra ci impedivano di uscire dal portone di casa, temevamo anche per un’anziana che vive proprio al primo piano. A sve-gliarci sono stati i vicini che hanno suo-nato al campanello e poi si sono dovuti allontanare a causa dell’incendio».

Alcune tracce di benzina, rubata da un’altra automobile, sono state trovate sul posto: per i magistrati e i vigili del fuoco si tratta di un attentato, un segnale intimidatorio in piena regola. Un atto premeditato e organizzato contro il gior-nalista che negli ultimi mesi ha racconta-to di arresti eccellenti, delle prime colla-borazioni di ex appartenenti al clan ma anche di malaffare e illegalità.

Un “cono d'ombra” d'informazione

Nonostante ciò, Orlando è sorpreso dalgesto di intimidazione ricevuto la scorsa notte. «La provincia – si legge nella rela-zione annuale della procura nazionale antimafia è stata per molti anni avvolta in un “cono d’ombra” informativo che harafforzato le cosche» e isolato chi prova-va a contrastare il sistema.

«Ho percepito alcuni segnali di tensio-ne nei miei confronti – racconta Orlando – quando il giorno dell’arresto del lati-tante più importante della cosca locale, Filippo Barresi – davanti al commissaria-to per tutto il giorno c’eravamo soltanto io e i suo famigliari. Chiaramente quan-do hanno capito che ero “il giornalista” hanno provato ad osteggiarmi, quasi con l’intento di allontanarmi».

Il fatto di essere soli di fronte ai fatti, in momenti così delicati, espone ancora di più, spiega Orlando. La “Gazzetta del Sud” giornale molto criticato per alcune posizioni “conservatrici” è una testata ra-dicata nei paesi della provincia messine-

se. «Molto spesso diamo le notizie primadegli altri - spiega - Come quando abbiamo denunciato, a seguito di una indagine della magistratura, il furto di benzina da parte di dieci dipendenti dellaRaffineria Mediterranea. Siamo stati attaccati per questo, anche dai sindacati, eppure c’è una inchiesta, si tratta di fatti di cronaca giudiziaria e abbiamo il dovere di raccontarli». Ma vedere il pro-prio nome sul giornale locale più letto nella provincia non fa piacere. E spesso si reagisce anche attraverso commenti anonimi su portali on line.

«Avevo denunciato alcuni mesi fa un imprenditore, oggi testimone di giustizia,che mi accusava di diffamazione a causa di articoli di cronaca pubblicati un sito». L’accusa mossa ad Orlando era quella di stare dalla parte di un gruppo criminale in luogo di altri.

Le latitanze dorate

Può accadere anche questo, quando fai il giornalista locale perché come ha scrit-to il collega Nuccio Anselmo nel suo “Vivere e scrivere in terra di mafia”: «Mentre gli inviati stanno al massimo un paio di giorni, parlano con questo e quel-lo, e poi se ne vanno, il cronista attento e scrupoloso di un giornale radicato nel territorio come il nostro affronta ogni giorno i mafiosi da vicino, se li vede in-torno, li “annusa”alle spalle, non se ne può liberare».

A Barcellona Pozzo di Gotto, lo ricor-diamo, vent’anni fa la mafia uccideva il cronista de “La Sicilia” Beppe Alfano, che in solitudine raccontava l’ascesa dei barcellonesi e le latitanze dorate dei boss della mafia nella provincia babba.

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Call center/ Il caso Misterbianco

Matilde, Almavivae la delocalizzazione

Anche in provincia di Catania è arrivata la nuova economia. Si-gnifica lavorare senza diritti – in un call cen-ter, in questo caso – e poi all'improvviso ve-dersi “delocalizzati” perché i proprietari vogliono risparmiare ancora. A volte – comequi a Misterbianco – i lavoratori rispondono con la lotta

di Vincenzo Rosa

Matilde ha ventisei anni, studia Eco-nomia e le mancano poche materie allalaurea.

“Ho trovato per caso l'offerta di lavoro in un call center, ormai si trovano da tut-te le parti. Avevo bisogno di un'entrata che mi garantisse un minimo di autono-mia economica dai miei genitori nell'attesa di completare gli studi. Lavoro6 ore al giorno, con gli straordinari paga-ti la metà come prevede l'ultimo contrat-to nazionale, guadagnando massimo 500 euro al mese.

Somma che non mi permette di realiz-zare i miei progetti, comprare una mac-china, pensare ad una casa...”

Questo lavoro per lei, come per moltis-simi altri, è l'unica opportunità per rima-nere ancora a Catania, il solo modo per allontanare l'idea di emigrare.

“Sono stata assunta con un contratto disomministrazione a tre mesi, rinnovato due volte. Poi nel 2011 sono stata stabi-lizzata a tempo indeterminato grazie ad alcune sovvenzioni regionali. Credevo che quell'assunzione mi avrebbe garanti-to un minimo di serenità in più.

Alcuni di noi ci hanno sperato vera-mente, hanno acquistato case, acceso mutui. Ricordo ancora le parole del no-stro direttore, quando dopo la firma del contratto ci disse che adesso ci saremmo potuti sposare tutti quanti. Io però in fon-do non mi sentivo pienamente garantita. Il contratto sarà pure stato a tempo inde-terminato ma sapevo che era proprio il lavoro a essere instabile.”

Il “lavoro” dei tempi neri

I call center forse sono il “lavoro” che rappresenta meglio gli sconvolgimenti sociali e produttivi del Paese. Un lavoro stressante, scandito da ritmi frenetici, il più delle volte mal retribuito e con po-chissime prospettive di carriera (il registaPaolo Virzì lo descrive in Tutta la vita davanti). In un’economia reale strozzata dalla recessione economica, dove le im-prese falliscono e di lavoro ce n'è poco, i call centers spesso sono gli unici posti di lavoro disponibili.

Anche in provincia di Catania il feno-

meno si rivela una delle più consistenti opportunità lavorative.

A Misterbianco, in particolare, ci sono decine di società piccole e grandi che operano nel settore: come Almaviva, multinazionale con sedi sparse in Italia, Brasile, Cina e Tunisia. Nello stabilimen-to etneo lavorano circa 3000 dipendenti, 1.300 dei quali a tempo indeterminato.

Da Treu a Biagi a Fornero

Dagli anni novanta in poi, l'espansione

dei call center è andata di pari passo con la flessibilizzazione del mercato del lavo-ro, dalla riforma Treu alla legge Biagi, fino alle ultime misure adottate del mini-stro Fornero.

Sempre allo scopo di “elasticizzare” il mercato del lavoro ma con l'effetto, vice-versa, di determinare la moltiplicazione dei contratti “atipici”, diversi fra loro ma accomunati tutti dall'instabilità temporalee da tutele ridotte e a volte del tutto inesi-stenti, a causa di una legislazione man-cante e frastagliata.

Chi lavora in questo settore viene as-sunto nella stragrande maggioranza dei casi con contratti a termine di pochi mesi, a volte anche uno solo, nella spe-ranza poi di un successivo rinnovo e ma-gari di una stabilizzazione. Ma gli oneri legati all'assunzione senza termine sono alti, e le imprese preferiscono non rinno-vare i contratti, dotandosi di organici strutturalmente composti da lavoratori precari. Trattandosi di mansioni che ri-chiedono più che altro doti di spigliatezz-a e comunicatività, le aziende hanno gio-co facile nel ricambiare periodicamente il

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Un “liberomercato

sempre piùferoce”

personale, perchè in un mese (durata del tirocinio, non retribuito) è possibile “ad-destrarne” altro per ricambiare quello in uscita che altrimenti - secondo legge - dovrebbe essere stabilizzato.

Così le imprese possono attingere a un mercato del lavoro in condizioni dram-matiche, in una corsa al ribasso sempre più forte a causa della disoccupazione al-tissima. I costi del personale calano, ma iprofitti restano gli stessi.

Ma anche il ramo delle telecomunica-zioni ora sta entrando in crisi: i costi deb-bono essere ridotti ancor di più. E questosi fa alla maniera globale, cioè delocaliz-zando nei paesi in cui costi del lavoro sono inferiori.

“Via 650 dipendenti”

“A inizio marzo – dice ancora Matilde - abbiamo ricevuto una lettera dal presi-dente di Almaviva spa nella quale ci ve-niva comunicato che Vodafone stava mettendo in atto un piano di delocalizza-zione dei suoi servizi verso i paesi dell'est Europa, che avrebbe causato un esubero di circa 650 dipendenti su Mi-sterbianco. Per molti è stato un dramma, alcuni non sapevano davvero cosa fare.

Immagina che a un mio collega sta per nascere un figlio. E' stato bello vedere però tutti uniti, immediatamente è scatta-ta una macchina della solidarietà che ha coinvolto anche quelli in cui posto di la-voro non era in pericolo”.

In poche ore su tutti i social network e sui media locali scoppia il caso. La per-dita di quei posti di lavoro è un dramma sociale di enormi proporzioni, che si ag-giunge alle altre emorragie di lavoro del-la provincia. I dipendenti si mobilitano sin da subito, anche quelli che non ver-rebbero coinvolti dalla riduzione di per-sonale. Si organizzano sit-in, nasce un gruppo su facebook per organizzare in-sieme le iniziative. I lavoratori rispondo-no uniti.

Dopo qualche giorno a Roma si riuni-sce un tavolo tra sindacati, Almaviva e Vodafone, e alla fine si arriva a un com-promesso: gli esuberi saranno divisi tra Misterbianco e Napoli (altra sede della società); in più, “ammortizzatori sociali” come contratti di solidarietà e cassainte-grazione a rotazione.

“Il problema sembra essere momenta-neamente risolto, perlomeno così ci dico-no i nostri rappresentanti sindacali - spie-ga Matilde - ma con questa notizia ci

sentiamo ancora più precari di prima, percerti versi pensiamo che l'agonia sia statasolo posticipata. Io sono sicura solo del fatto che se perdo questo posto dovrò andarmene da Catania. Sappiamo che non è finita e sabato 6 aprile abbiamo convocato un sit-in per protestare contro la delocalizzazione e contro il fatto che manca un'adeguata copertura legislativa; inizieremo anche una raccolta firme”.

“Flessibilità” a ogni costo

La storia di Matilde è quella di una qualunque persona giovane nel mercato occupazionale italiano del post-Duemila. Il paradosso di una generazione: obbliga-ti a percorsi lavorativi incerti perchè il mercato non riesce ad offrire di meglio, con la flessibilità ad ogni costo come ideologia ufficiale; e in pericolo di veder svanire le già precarie aspettative a causadella delocalizzazione. Un lavoratore in Albania, Romania, Bulgaria, d'altronde, costa dieci volte meno di uno italiano. Una rincorsa al ribasso sempre più forte che genera una nuova lotta tra poveri tra i lavoratori dei paesi che compongono i diversi Sud di questa Europa.

La precarietà è un aspetto fondante dei rapporti produttivi attuali. E' la loro vera novità rispetto a prima, e influisce pesan-temente sul rapporto ineguale fra capitalee lavoro. E quando tali assetti sembrano diventati “normali”, entrando profonda-mente nelle trame dei rapporti produttivi dei singoli territori, la delocalizzazione arriva come una mannaia a ricordare la totale assenza di regole di un “libero mercato” sempre più feroce.

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Storie dal Clandestino

La bellezzadi fareun giornaleDa sud a nord. E da sud a sud. Tante storiedi vita dentro un'unicastoria: quella del Clan-destino, giornale che cresce e si fa laborato-rio di idee

di Enrica Frasca Caccia www.ilclandestino.info

Torino, primavera. Giorgio ritira la

posta, apre una busta e si emoziona.

Tra le mani ha il numero di marzo del

Clandestino, quello nuovo, tutto a colo-

ri, quello che è stato pensato e sognato

nelle notti estive di festival, tra una

pizza e una birra, dopo giornate di

stanchezza e nervosismo, sorrisi e pac-

che sulle spalle, sempre di corsa per le

viuzze del centro.

Giorgio è emigrato al nord per fare la

scuola di giornalismo. E pensare che lui

neanche voleva farlo il giornalista. Non

era il mestiere che gli balenava in testa

all’età in cui i ragazzini pensano a cosa

vogliono fare da grandi. Però era in quel

garage di Modica alta, la sera in cui Il

Clandestino nacque.

Dall’esigenza di raccontare il suo terri-

torio, alla passione per questo mestiere, il

passo è stato breve. Dopo la laurea a Sie-

na con una tesi sui Siciliani di Pippo

Fava, Giorgio è tornato a lavorare come

cameriere in pizzeria, per vivere nuova-

mente Modica e poterla raccontare sulle

pagine di quella testata che nel frattempo

‘i ragazzi del garage’ avevano registrato.

Giorgio oggi fa la scuola di giornalismo.

Gli piace, è contento, ma ripete sempre

con orgoglio che Il Clandestino, oltre che

palestra di vita, è stato la sua prima vera

scuola, perché gli ha insegnato a raccon-

tare consumando le scarpe in strada.

Crescere assieme

Anche Ciccio, suo fratello, era in quel

garage. Aveva quindici anni. Lui e Il

Clandestino sono cresciuti assieme, stret-

ti in un legame lungo sette anni. Il gior-

nale fa parte della sua quotidianità. An-

che a Roma, dove studia fotografia da

due anni. Racconta che spesso si addor-

menta e si sveglia con Il Clandestino in

mente, che vive molte delle sue giornate

pensando all’inchiesta del mese e a come

far crescere questo 'bimbo’.

Da sud a sud

Il Clandestino porta con sé storie di mi-

grazioni al nord. Ma la storia di Andrea è

diversa perché lui ha puntato verso sud.

Calabrese d’origine e siciliano conquista-

to, Andrea espone le sue foto su Rosarno

al terzo festival del giornalismo e sale a

bordo. Andrea corre ad ogni sbarco sulle

nostre coste, Andrea consuma le scarpe

per raccontare con le immagini; sogna,

crea, realizza la nuova veste grafica del

giornale. Fa festa e ci delizia coi suoi

brindisi in rima, in perfetto stile calabro.

È appena iniziato il suo terzo ‘cammino

di fotografia’, che fa scoprire a tanti

adulti e ragazzi la bellezza di vedere

l’immagine come racconto.

Festival e nuova linfa

Daniela ha la valigia pronta per andar via da questo lembo di Sicilia in cui non intravede alcuna possibilità di realizza-zione. Ma la disfa quando partecipa a un workshop di ‘giornalismo residente’ du-rante il terzo festival. Per lei Il Clandesti-no è una rivoluzione. Scopre, con sua grande sorpresa, di avere una forte pas-sione per il giornalismo, oltre che delle capacità. Salpa anche lei, insieme a Fran-cesco, Rossana, Angela, Chiara, Antonio,Salvo, Giovanni…e alle loro storie.

Non soltanto Daniela si è avvicinata al

giornale grazie al festival. Tanti sono sta-

ti negli anni i ragazzi che hanno parteci-

pato per dare una mano, divenendo poi

parte integrante della redazione; tanti i

lettori che sono diventati collaboratori;

tanti e belli gli scambi con la rete che

hanno dato nuova linfa al giornale. È in

quelle quattro giornate di fine estate che

Il Clandestino ricarica le batterie e trova

la forza per mandare avanti il progetto,

perché si rende conto che a crederci sono

in tanti. E non solo a Modica.

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Ogni anno, a settembre, riposte in

cantina le ultime scartoffie di festival, si

torna a incontrare la gente, da sempre

prima fonte di ispirazione per inchieste e

articoli, si torna a raccontare Modica,

con la stessa freschezza e curiosità.

Si parla di centri commerciali, trivella-

zioni, cimitero, opere incompiute, cultu-

ra; si intervista il gelataio o il falegname;

si prepara l’inserto satirico, ‘a minimi-

nagghia’, le rubriche… A volte con

qualche peccato di ingenuità e inespe-

rienza a fare da pungolo per migliorare.

È ancora artigianale, Il Clandestino.

Sicuramente lo è in maniera diversa

rispetto a quando non aveva 'il suo

permesso di soggiorno', ma lo è. Perché

porta con sé, da sette anni, quel gusto di

‘fare’ il giornale, la bellezza di pensarlo,

costruirlo, pagina per pagina, con la testa

e con le mani, mese dopo mese, anno

dopo anno.

Giornale e laboratorio

È un giornale, Il Clandestino. Ma è an-

che laboratorio di idee, di socialità, di

scambio, di giornalismo sul campo. È

un’esperienza che profuma di bottega

dove si impara un mestiere, anche con

fatica, ma sempre con il piacere di farlo.

È politica. E c’è vita in tutto questo. Per-

ché l’emozione di andare in tipografia,

fuori provincia, a prendere ‘la creatura’ è

sempre la stessa. Come lo è l’emozione

che si prova quando una macchina piena

di giornali parte per distribuirli alle edi-

cole e per portare Il Clandestino a casa di

ogni abbonato, persino in campagna.

La mansarda del circolo 'Di Vittorio'

Il Clandestino è il punto d’incontro di

persone che amano ‘fare’ un giornale e

una sera a settimana tornano a Modica

alta, nel cuore antico della città, per riu-

nirsi nella mansarda del glorioso circolo

ricreativo Di Vittorio.

In un angolo una vecchia chitarra sen-

za corde con l’adesivo dei Litfiba, un

vecchio giradischi e un 33 giri di Gucci-

ni, cassette della frutta a mo’ di libreria,

un salottino riciclato, la scacchiera, i resi

delle edicole, una candela consumata e

mozziconi di sigaretta; un secchio sotto il

tetto, nel punto da cui piove dentro. I

vecchietti al piano di sotto hanno finito la

briscola giornaliera. In mansarda un cer-

chio - a volte largo, altre più raccolto - e

pizza a tarda sera. Il tema principale del

prossimo numero? Su cos’altro potrem-

mo scrivere? Le date del prossimo festi-

val?

Ecco perché Giorgio apre la busta e si

emoziona. Perché sa che a Modica, in

quella mansarda, dopo tanti anni la luce è

ancora accesa.

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Il compleanno del Clandestino

SognonumerotreDa giornalino scolasti-co a mensile “con per-messo di soggiorno”. Ha festeggiato i suoi quattro anni con una bella novità. Vi raccon-tiamo il Clandestino sognato

“Ciascuno cresce solo se sognato” -

scriveva Danilo Dolci. “Facciamo un

giornale, come lo chiamiamo?” – questa

fu la prima volta che Il Clandestino ven-

ne sognato.

Quasi sette anni fa, in un garage di

Modica alta, dove alcuni amici, per lo

più minorenni, si riunivano spesso.

Un brindisi alla nascita del giornale e

via con articoli e impaginazione improv-

visata. Poi la festa nel salone di una chie-

sa in occasione della prima uscita, quat-

tro pagine in bianco e nero stampate a

casa e fotocopiate, da distribuire nelle

scuole.

All’inizio Il Clandestino ha parlato so-

prattutto di acqua, sostenendo le ragioni

del movimento contro la privatizzazione.

Ma non solo. Da subito ha raccontato

Modica, con la sua bellezza e le sue om-

bre, ne ha toccato i poteri forti e le mille

contraddizioni.

Il permesso di soggiorno

È stato sognato ancora, Il Clandestino.

Dai suoi fondatori, ma an-

che dalle tante persone che

si sono avvicinate nel tem-

po per dare il loro contribu-

to. Così nel 2009 il grande

salto, con la registrazione

della testata. Il Clandestino

prendeva “il permesso di

soggiorno” e approdava in

tipografia e in edicola.

Cambiava il formato, mi-

gliorava la grafica e ogni

pagina a colori era una con-

quista.

L'idea del festival

È sempre del 2009 l’idea di un Festival

del Giornalismo a Modica, per festeggia-

re l’informazione libera di inchiesta e di

approfondimento, il giornalismo spesso

‘con le pezze al culo’, ma sempre con la

schiena dritta, per vivere la rete. Un

evento di respiro nazionale che ha archi-

viato la sua quarta edizione.

Compleanno con novità

Dal 15 marzo i nostri lettori sfogliano

il sogno numero tre. Abbiamo festeggiato

i quattro anni di 'permesso di soggiorno'

con il lancio del nuovo formato. “Ci sia-

mo ridotti bene e abbiamo preso colore”

– ha amato dire qualcuno di noi. Il Clan-

destino si allontana definitivamente dal-

l’adolescenza per affacciarsi alla maturi-

tà. E non ha paura di farlo. Perché l’ani-

ma del Clandestino è fatta di persone ed

è sempre la stessa.

Cambiamo. Ma non cambiamo

Le parole ‘bimbe’ del primo editoriale

che spiegava cosa fosse Il Clandestino

oggi hanno lo stesso valore. Non ci sia-

mo arricchiti, né imborghesiti. Quella del

Clandestino è ancora una volta una storia

di volontariato, una storia di ragazzi che

mese per mese, dalla sera del 30 settem-

bre 2006, scendono in strada con la vo-

glia di raccontare e approfondire. E lo

fanno ancora. Con la stessa passione e la

stessa freschezza di prima.

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“Non ci siamo arricchiti,nè imborghesiti.La nostra èancora una voltauna storia di volontari,di ragazzi che scendonoin strada con la vogliadi approfondiree di raccontare”

Quella del Clandestino è anche

la storia di sponsor, lettori e

abbonati. È grazie a loro se ogni

mese si va in stampa, con in testa

e nel cuore l’idea che una città è

viva quando viene raccontata.

Continueremo a fare la stessa

cosa, ma tenendo per mano un

Clandestino cresciuto. Cresciuto,

sì, perché è stato – ed è ancora –

tanto tanto sognato.

E.F.C.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6363

SchedaUN NUOVO FORMATOE TANTI COLORI

Dal numero di marzo Il Clandestino lascia il vecchio formato editoriale da quotidiano per avvicinarsi a quello di una vera e propria rivista mensile. Cambia veste, cambia stile. Formato più piccolo e maneggevole e grafica rivisitata, meglio si adattano a veicolare la maniera di raccontare che da sempre caratterizza Il Clandestino. La ‘rivoluzione’ del colore dà nuova linfa ai contributi fotografici cheaccompagnano le parole. Ma non solo, perché permette anche una suddivisione tematica dei contenuti. A livello comunicativo è sicuramente un Clandestino che cresce. Free road – stradalibera – è il nome del nuovo font utilizzato. È un bell’augurio. E ce lo prendiamo tutto.

SchedaI CLANDESTINI,O DELLA LIBERTA'

Tu pensa a una comarca di liceali, nella parte più a sud della Sicilia, che un bel giorno si mette insieme per far campagna per l'acqua libera nella loro zona. La campagna riesce benissimo (la provincia diRagusa è stata la prima a de-privatizzare l'acqua) ma i ragazzi non sono ancora soddisfatti. Vanno avanti, e fondano adddirittura un giornale.

Così "Il Clandestino" prende piede, si afferma, diventa la voce riconosciuta di Modica, la loro città. Poi incontrano altri ragazzi come loro, altri giornali: e formanotutti insieme una rete, i "Siciliani giovani": il nome è di un vecchio giornale della storia d'talia, "I Siciliani " di Giuseppe Fava.

La storia, in quattro e quattr'otto, è tutta qua. Enrica, Giorgio, Andrea, Ciccio e tuttigli altri sono ancora al lavoro, un giorno dopo l'altro, senza mai fermarsi. Ogni annofanno un loro "festival del giornalismo", giù a Modica, che ridendo e scherzando è diventato un appuntamento importante di questo nostro mestiere.

Hanno trovato una strada che è giornalismo ma è anche politica, società civile. Ed èun modello per tutti: lavorare, lottare, fare le cose seriamente e sul serio, e tutti insieme.

Non sono ricchi per niente, se si parla di soldi. Sono piuttosto precari, anzi, come quasi tutti i ragazzi della loro età. Ma sonoanche ricchissimi: di libertà.

*

Page 64: I Siciliani - marzo 2013

w.isiciliani.it

Storia

La stragedi Palermo19 ottobre 1944: i sol-dati sparano sulla folla in via Maqueda. Fu il primo di una serie di massacri - “ufficiali” e no – che segnano tutta la nostra storia

di Elio Camilleri

La strage di Palermo fu il primo epi-

sodio stragista della storia della Sicilia

riconsegnata all’Italia. Circa tremila di-

mostranti, tra cui anche gli impiegati

del Comune in sciopero, stavano prote-

stando contro il carovita davanti la Pre-

fettura. Improvvisamente i soldati della

divisione Sabaudia cominciarono a spa-

rare sulla folla che si disperse, lascian-

do sulla via morti e feriti.

La responsabilità dei fatti di Palermo

non fu accertata del tutto, né unanime-

mente condivisa. Le colpe furono, per

così dire, distribuite: un po’ ai soldati, un

po’ agli organi di PS, un po’ ai vigili urba-

ni, un po’ all’educazione antidemocratica

delle truppe.

“I palermitani di allora la definirono la

“strage del pane” perché la folla manife-

stava contro il caro-vita, chiedendo pane

e lavoro, è stata per oltre mezzo secolo

dimenticata da tutti. Anzi, sistematica-

mente ed incredibilmente rimossa dalla

memoria collettiva. Di quella triste e lut-

tuosa giornata non ci sono fotografie, di-

segni, testi, accenni nei libri di storia ita-

liani e, pertanto, nemmeno in quelli di

storia siciliana.

E’ stata portata così a compimento

un’operazione di rimozione dalla

memoria storica, avviata con tiepide e

pilotate indagini effettuate da funzionari

accomodanti e conclusasi con un

processo-farsa in cui tutti gli esecutori

materiali restarono impuniti ed i

mandanti non furono minimamente indivi-

duati”.

Per comprendere la tragica successione

dei fatti bisogna tenere conto degli ordini

del generale Taddeo Orlando, già dal 31

agosto. L’esercito doveva essere impiega-

to per servizio di ordine pubblico con

l’obbligo di reprimere senza esitazione

con le armi “qualunque perturbamento

del’ordine pubblico”.

“Aprire il fuoco senza preavviso”

Contro la popolazione si doveva “pro-

cedere in formazione di combattimento”.

L’ordine era di "aprire il fuoco, anche a

distanza, con mortai e artiglieria, senza

preavviso di sorta, come se si procedesse

contro truppe nemiche".

Destinataria degli ordini fu la Divisione

Sabaudia, trasferita in Sicilia dalla Sarde-

gna. Composta in prevalenza da ragazzi

sardi, in maggioranza pastori analfabeti e

distribuita sul territorio siciliano, fu mal

sopportata dalla popolazione che soffriva

già per mancanza di cibo, di lavoro, di

servizi, di tutto.

Quella mattina del 19 ottobre in via Ma-

queda c’erano gli impiegati del comune

che manifestavano per l’aumento dello

stipendio, insieme a migliaia di palermita-

ni che chiedevano “pane e pasta per tutti”.

Una delegazione chiese di essere ricevuta

dal Prefetto D’Antone e dall’Alto Com-

missario Aldisio, ma né l’uno, né l’altro si

trovavano quel giorno a Palermo. Il Vice

Prefetto, Giuseppe Pampillonia, ritenne di

fare intervenire la “Sabaudia”, e fu strage.

“Mitragliatori e bombe a mano”

Dalle caserme di Corso Calatafimi due

camion con una cinquantina di ragazzi

sardi raggiunsero via Maqueda, al coman-

do del giovanissimo sottotenente Caloge-

ro Lo Sardo che applicò alla lettera l’ordi-

ne del generale Orlando. In meno di un

minuto, a colpi di fucili mitragliatori e

bombe a mano, ventiquattro disperati fu-

rono massacrati e decine di altri disperati

furono feriti.

Nel processo di Taranto il tenentino e

21 soldati furono riconosciuti colpevoli di

eccesso colposo di legittima difesa, ammi-

nistiati e liberati. In sostanza si stabilì che

loro, con bombe a mano e fucili mitraglia-

tori, furono costretti a difendersi.

Il 19 ottobre del 1944 è una di quelle

date della storia della Sicilia da non di-

menticare: quel giorno si consumò la stra-

ge di Palermo, la prima nella Sicilia ricon-

segnata all’Italia proprio per mano della

divisione Sabaudia.

E intanto, i Decreti Gullo...

Il Governo Italiano, esattamente nello

stesso giorno, nelle stesse ore della strage,

promulgò i “Decreti Gullo”, che provoca-

rono l’avvio di un irreversibile processo

di dissoluzione del latifondo, di progressi-

va diminuzione del numero dei latifondi-

sti e, di conseguenza, di un annientamento

del ruolo degli stessi come classe domi-

nante. Ma questa è un’altra storia...

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6464

Page 65: I Siciliani - marzo 2013

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Storie

Protocollodi democrazia

dajackdaniel.blogspot.it/

. La discussione, piuttosto calma nel forum principale s’infervorava nei sub forum che ancora non avevano espresso la loro preferenza. Era lì che bisognava intervenire, e mancava solo un’ora.

Eva contattò Adam, un suo conoscente attivo in quel meetup dell’Alaska che ancora doveva esprimere il suo like. L’ultimo protocollo di Democrazia, il 3.12, infatti, aveva adottato uno schema di votazione che ricordava quello dei vecchi caucus delle presidenziali ameri-cane: ogni meetup locale esprimeva un solo voto, e questo era determinato dallevotazioni dei suoi iscritti.

Non era il sistema ottimale, anzi, ma aveva il pregio di rivitalizzare le località che, in caso di un’unica votazione gene-rale, avrebbero perso la loro identità. Si era arrivati al 3.12 dopo le cattive espe-rienze delle versioni 2.XX che, preve-dendo il principio tot capita tot senten-tiae, di fatto scatenavano un referendum globale sulla rete con forum impossibili da gestire .

Le versioni 3.0 e seguenti, riprendendoil meccanismo dei caucus avevano dato un grande sviluppo ai gruppi locali e avevano permesso una maggiore parteci-pazione. Eva continuava a preferire, però, i sistemi 2.XX: con i 3.XX una po-

sizione minoritaria nel meetup locale finiva per non contare nulla a livello glo-bale. E, inoltre, il sistema di votazione era diventato pachidermico, a tutto svan-taggio della velocità di risoluzione. Per ogni votazione, infatti bisognava preve-dere l’apertura simultanea di un forum globale e di miriadi di forum locali, cia-scuno dei quali si prendeva il suo tempo per discutere ed esprimere il suo voto. Lungaggini, a volte infinite.

“E' lo scopo della mia vita”

«Adam, come vanno le cose lì in Ala-ska?»

«Ce la faremo».«Mi raccomando».«Inutile che tu me lo dica: l’abolizione

di questa legge è lo scopo della mia vita»«E’ importante. Mancano ancora pochi

like per i due terzi»«Lo so, ce la faremo, sarà una nuova

era per l’Umanità»Si aprì una finestrella in basso a destra

sullo schermo: Tasmania, Bengala e Se-negal avevano posto il like. Immediata-mente dopo seguì il dislike del Galles, ma fu sovrastato da altri like provenienti da ogni parte del mondo. 67%, e il nume-ro dei subforum che non avevano espres-

so il voto si assottigliava.«Adam, se Alaska pone il like siamo

alla maggioranza matematica, indipen-dentemente da quello che votano gli al-tri»

«Vedo. Ormai ci siamo»Infatti, contemporaneamente apparve,

nella solita finestrella, l’avviso del like dell’Alaska e poco dopo i forum si oscu-rarono e comparve la schermata di fine votazioni. Votazione conclusa –si annun-ciava. Raggiunta la maggioranza dei due terzi. E poi, in grandi caratteri stampatel-lo,

LA PROPOSTA E’ STATA ACCOLTA.LA LEGGE DI GRAVITAZIONE

E’ ABOLITA.Ad Eva, distante migliaia di chilometri

, parve quasi di sentire l’urlo di gioia di Adam. Il quale, infatti, appena conosciu-to l’esito del voto volle finalmente coro-nare il sogno della sua vita e corse verso la finestra, l’aprì e, con foga, scavalcò il davanzale.

I suoi informi resti biologici, spalmati sull’asfalto, dieci piani più in basso, fu-rono poi ritirati dalle squadre di raccolta biologica e conferiti al compost comuna-le. Da quel concime, poi, sarebbero nati molti alberi, per un pianeta più green.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6565

I like erano arrivati al 65%, un buon numero ma non ancora sufficiente: per quel tipo di risoluzioni erano necessari i due terzi di pareri favorevoli di Jack Daniel

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Polemiche

Il divoratoredi movimentiGrillismo come rimozio-ne dei conflitti sociali?

di Pietro Orsatti www.orsattipietro.wordpress.com

Prima fu il verbo. In gran parte frut-to delle felici penne di Michele Serra e Stefano Benni. Poi venne il tempo del fiume in piena contro la finanza e le banche che straripava dai palchi di tea-tri e palasport.

Così sopravvisse e prosperò l'uomo che dal tempio del Festival di Sanremo si la-sciò sfuggire quella battuta sui socialisti ladri (alla vigilia di Tangentopoli) e si vide da un giorno all'altro cacciato dalle tivvù nazionali per lesa maestà. Forse la cacciata arrivò con il concorso sempre di Serra e Benni, che all'epoca erano gli au-tori di Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe.

Mi sono sempre domandato se la battu-ta sul Psi fosse sua. Forse era così telefo-nata che la improvvisò. Oppure era frutto dei suoi autori, fra migliori dell'epoca. Di certo fece scalpore e scatenò l'ira di Craxi e del CAF (Craxi/Andreotti/Forlani) tutto e il calcione arrivò nel giro di poche ore.

Il periodo di esclusione dalla Tv fu, per Grillo, fruttuoso. Il comico, sempre più sganciato dai vincoli e dai condiziona-menti delle televisioni pubbliche e priva-te, si costruì in breve tempo un nuovo lin-guaggio e un nuovo obiettivo su cui con-centrare la propria attenzione: l'intreccio del potere finanziario e bancario nel mo-mento in cui il pensiero neo liberista più estremo diventava egemone con la caduta del Muro di Berlino. Era l'inizio della glo-balizzazione e dell'egemonia mondiale delpotere finanziario che si sottrasse a qual-siasi controllo da parte della politica, svincolandosi anche dall'economia reale basata sulla produzione. Era il trionfo del-la speculazione fine a se stessa.

E Grillo si ritagliò per un decennio il ruolo del censore delle abiezioni più evi-

denti in Italia. La vicenda Telecom, i pe-trolieri, le banche, le privatizzazioni comequella di Enel, e ancora Parmalat. E in scena era un uragano. "Come era meglio il mondo antico" sembrava urlare distrug-gendo computer sul palco o mettendo in atto blitz (Tg al seguito) nel corso di as-semblee di azionisti.

La cacciata dalla Tv era stata quindi la sua fortuna e il suo sdoganamento defini-tivo da semplice comico a uno dei riferi-menti di un determinato ambito culturale. E infatti Grillo era ormai ospite fisso di vari salotti prestigiosi che facevano riferi-mento a Antonio Ricci (ormai lanciato ad essere la star produttiva di Fininvest e unodegli uomini più potenti della televisione italiana), Serra e Benni.

Serra, Benni, Gaber, Fo, Celentano...

E poi Giorgio Gaber (che aveva curato regie di suoi spettacoli), la famiglia Fo (Dario, Jacopo e Franca Rame). E ancora Adriano Celentano, don Gallo e quello che potremmo chiamare il laboratorio del-la Rete Lilliput di Quarrata, area del dis-senso cristiano sociale e dell'associazioni-smo e del volontariato, embrione del mo-vimento contro la globalizzazione che fa-ceva riferimento ed era in collegamento con i movimenti sociali del Sud del Mon-do.

Grillo non era più il comico scoperto daCostanzo e coccolato da Baudo. Era parte del salotto buono della cultura "di sini-stra" che andava da Fo a Gaber fino alle aree movimentiste del cristianesimo so-ciale. Ma quel salotto gli andava stretto. Non voleva essere uno dei riferimenti, vo-leva essere il riferimento. Punto.

Torniamo a Quarrata per capire bene di cosa stiamo parlando. La marcia della pace di Quarrata vicino a Pistoia. Ogni anno sul palco sfilavano i big di quell'areanon violenta del movimento spazzata via dalla macelleria messicana a Genova 2001. E molte altre voci che a quel movi-mento guardavano con simpatia. Don Ciotti, Alex Zanotelli, Gherardo Colom-bo, Giancarlo Caselli, teologhi della libe-razione e attivisti dei movimenti sociali

come Leonardo Boff e Frei Betto. E anchelui, Beppe Grillo, come ospite fisso.

Il movimento spazzato via a Genova

È probabilmente qui, a Quarrata, che Grillo intuisce le potenzialità di questa enorme parte del movimento spazzato via a Genova nel 2001. Un movimento fru-strato dai partiti e da organizzazioni come il sindacato che lo avevano scaricato alla vigilia di quella tragedia che fu il G8 con-sentendo poi la repressione indiscrimina-ta. È in quelle occasioni che Grillo viene in contatto e poi viene sdoganato da una serie di teste pensanti di quel dissenso. È qui dove Grillo smette di essere semplice-mente un uomo di spettacolo rompico-glioni e inizia a essere un abbozzo di lea-der carismatico di un embrione di forza politica.

Il blog e poi i meetup e ancora i gruppi degli "amici di Beppe Grillo" arriveranno poco dopo. E forse quegli ulteriori salti in avanti arrivarono non tanto per la sua fre-quentazione dei luoghi di elaborazione delmovimento, quanto per le sue battaglie su finanza e banche e aziende. In particolare contro Telecom.

Perché l'incontro chiave che trasformeràGrillo in quel fenomeno politico che co-nosciamo oggi è con un uomo che è stato al centro dello scontro Telecom/Olivetti diquel periodo: Gianroberto Casaleggio, il co-fondatore dei Cinque Stelle.

Una storia “aziendale” di rilievo

Scrivevo sul numero 5 del 2010 di Mi-cromega: “Il teorico e inventore del grup-po è […] Gianroberto Casaleggio. «È sta-to dirigente», si legge sul suo curriculum, «di aziende ad alto indirizzo tecnologico»,e la sua principale attività, oltre a curare personalmente l’oggetto mediatico Grillo […] è quella della pubblicistica.

E anche Casaleggio ha una storia «aziendale» di rilievo, parallela anche se meno convenzionale a quella di Sassoon (ex socio oggi dimessosi dalla società, Nda).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6666

Page 67: I Siciliani - marzo 2013

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“Unicoproprietariodel logo, delnome, dello

statuto...”

Inizia infatti a farsi notare non in un la-boratorio di qualche campus, ma nell’Oli-vetti di Roberto Colaninno, e qualche anno dopo diventa amministratore delega-to di Webegg, come abbiamo già detto suotrampolino di lancio, in seguito come guru nostrano della rivoluzione della Rete. La Webegg ha origine da una joint-venture tra Olivetti e Finsiel (della Tele-com), ma nel 2002 l’azienda di Ivrea cedeil suo 50 per cento alla Telecom. Intanto Casaleggio ha dato vita a un’altra società, la Netikos, dove siede per alcuni mesi nel consiglio di amministrazione accanto a unfiglio di Colaninno (Michele). Ma è un’avventura di breve durata, o forse solo il momento di transito per creare con i vecchi amici della Webegg qualcosa di to-talmente nuovo. E infatti nel 2004 Gian-roberto chiude baracca e burattini e va a fondare con altri dirigenti Webegg la Ca-saleggio Associati”. Che Casaleggio aves-se, e abbia, qualche sassolino da tirare fuori dalle scarpe nei confronti della Tele-com può essere stato uno dei motivi che hanno spinto l’attentissimo Gianroberto a osservare le azioni di Grillo e poi a pensa-re di avvicinarlo.

Dal blog ai Cinque stelle

Grillo e Casaleggio si incontrano, scop-pia una reciproca fascinazione e nel 2005 vede la luce il blog www.beppegrillo.it. E subito dopo la rete di gruppi degli “amici di Beppe Grillo” e dei MeetUp. E’ l’iniziodi un processo che condurrà alla nascita dei Cinque Stelle.

Ma torniamo ai movimenti dove Grillo e Casaleggio vanno a pescare a piene mani. Dopo Genova 2001 il movimento dimovimenti si ritrovò in parte criminaliz-zato e in parte schiacciato e senza più rife-rimenti, se non le proprie lotte specifiche tematiche e territoriali. Non più un movi-mento di movimenti ma tante istanze di-sgregate e solo faticosamente in relazione l’una con l’altra. Ogni tavolo di elabora-zione comune scompare, se non in occa-sione dei movimenti per l’acqua che però si andranno a scontrare, come anche nella vicenda del movimento viola, con il carro

armato Di Pietro che ha maciullato in par-te anche quei coordinamenti cavalcandoli prima e poi cercando di inglobarli. E con Grillo che proprio da lì si sostituisce, in termini di immagine, ai movimenti come loro sintesi.

Lentamente ma inesorabilmente davantiall’immenso palasport che è il suo blog, lui diventa quei movimenti. Non è la real-tà, ma è la proiezione che lui fa della real-tà. I movimenti diventano, nel suo raccon-to, l’emanazione del disagio che lui incar-na. Tutto. Radicalmente.

“Mettono il cappello” su tutto

Dichiara Wu Ming in un’intervista al Manifesto: “La nascita del grillismo è unaconseguenza della crisi dei movimenti al-termondialisti di inizio decennio. Man mano che quel fiume si prosciugava, il grillismo iniziava a scorrere nel vecchio letto. Nei primi anni, i liquidi erano anco-ra «misti», e questo ha impedito di vederecosa si agitava nel miscuglio, oltre ad at-tenuare certe puzze. In seguito, la crescita tumultuosa del M5S è divenuta a sua vol-ta una causa – o almeno una concausa im-portante – dell’assenza di movimenti radi-cali in Italia, per via della sistematica «cattura» delle istanze delle lotte territo-riali, soprattutto di quelle più «fotogeni-che».Non c’è lotta «civica» su cui il M5S non abbia messo il cappello, descrivendo-si come suo unico protagonista.

“Oltre la destra, oltre la sinistra”

Temi, rivendicazioni e parole d’ordine sono stati cooptati e rideclinati in un di-scorso confusionista e classicamente «né-né», cioè che si presenta come oltre la de-stra e oltre la sinistra. È un discorso che accumula sempre più contraddizioni, per-ché mette insieme ultraliberismo e difesa dei beni comuni, retorica della democra-zia diretta e grillocentrico «principio del capo», appoggio ai No Tav che fanno di-sobbedienza civile e legalitarismo spiccio-lo che confonde l’etica col non avere con-danne giudiziarie”.

Rincara la dose lo scrittore Sandrone Dazieri sul suo Blog: “Sono convinto che vi siano esponenti 5 Stelle che partecipa-no alle lotte No Tav, per lo meno lo spero (anche se, una volta presa una condanna per manifestazione non autorizzata o blocco stradale immagino non possono più candidarsi, viste le regole che equipa-rano qualsiasi condanna).

Quello che volevo mettere in luce, però,è il fatto che se il Movimento no Tav esi-ste è perché è stato costruito e creato dal basso, in modo orizzontale, non deciso da qualcuno in piedi su un palco. E’ la diffe-renza tra una lotta di popolo e un movi-mento truppe”. Ma come giustificare quel dato impressionante del 25% ottenuto a li-vello nazionale alla prima corsa elettora-le? E come comprendere quel livello di impermeabilità dimostrato dagli attivisti edagli eletti che non si sono posti il mini-mo dubbio davanti alle 11 società in Co-starica fondate dall’autista e dalla cognatadi Grillo?

Lui il presidente e suo nipote il vice

Nessuna domanda neanche davanti alla comparsa di uno statuto (che fa carta straccia del tanto sbandierato non statuto) registrato a pochi mesi dal voto in cui emerge che Beppe Grillo è il presidente del Movimento Cinque Stelle (non era solo il “megafono?), suo nipote il vice presidente e il suo commercialista il se-gretario?

E nessuna domanda viene alla luce nell’apprendere che sempre Grillo è il proprietario del logo, del nome, del sito/blog ed è l’unico che ha la titolarità a autorizzare la presentazione di liste e l’unico che può sindacare sull’attività di attivisti e eletti? E cosa dire di quell’assemblea dell’associazione Movi-mento Cinque Stelle che si dovrebbe te-nere a aprile 2013?

L’unica risposta possibile è la fidelizza-zione acritica ottenuta grazie a un proces-so di marketing estremamente accurato messo in atto da Casaleggio associati e dallo staff che gestisce ogni informazione (e processo di formazione) verso il bacino

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“I movimenti, masticati e digeritidalla nuova balena a cinque stelle,faticano a ritrovareuna propria identità autonoma...”

di attivisti e il controllo sistematico eser-citato sempre dalla stessa struttura su ogniinformazione o voce discordante.

Scrive Giovanni Boccia Artieri, docentepresso la Facoltà di Sociologia dell’Uni-versità degli Studi di Urbino Carlo Bo, sulsuo blog: “Nel continuo tentativo di com-prendere un fenomeno elettorale come questo e la sua natura comunicativa osser-verei infine le preferenze dei giovani Ita-liani: tra i 18 e i 24 anni il 47,2% dei vo-tanti si è espresso in favore del movimen-to 5 Stelle (dati Tecné). Ecco, per esem-pio, questa fascia d’età nella Rete/ambien-te abita, e costituisce la fascia che è più attiva online: tempo medio per persona di 1 ora e 40 minuti al giorno e 186 pagine viste (dati Audiweb). Credo poi che questidati non tengano effettivamente conto del fatto che il mobile ha consentito di portar-si i social network con sé in modi sempre più continuativi e pervasivi”.

Una rete proprietaria E ancora: “Ma a questa visione corri-

sponde anche la concezione di Rete che ha il mondo Cinque Stelle, che non è il web ma la rete proprietaria e fidelizzata descritta da Serena Danna sul Corriere della Sera:”Il progetto di Grillo e Casaleg-gio ricorda quello dei colossi del web Google e Facebook, che lavorano per creare una dimensione esclusiva di navi-gazione online dove tutta l’attività dell’utente si svolge dentro il perimetro del mondo di valori, idee, contenuti e ser-vizi costruito su misura per lui. […] La strategia 5 Stelle su Internet, lungi dall’essere centrifuga, trasparente, conflit-tuale e diffusa -come la Rete stessa è-, fi-nisce con l’essere centripeta e partigiana: con un centro che diffonde i messaggi senza rispondere a critiche e commenti”. Ed è esattamente il modello che promuo-ve, in ambito di strategia di marketing, Gianroberto Casaleggio nelle sue pubbli-cazioni e sul sito aziendale della Casaleg-gio Associati. Non da ieri. Da anni.

«Online il 90 per cento dei contenuti è creato dal 10 per cento degli utenti, questepersone sono gli influencer», scrive in un

articolo Gianroberto Casaleggio, «quandosi accede alla Rete per avere un’informa-zione, si accede a un’informazione che di solito è integrata dall’influencer o è creatadirettamente dall’influencer. L’influencer è un asset aziendale, senza l’influencer non si può vendere, c’è una statistica mol-to interessante per le cosiddette mamme online, il 96 per cento di tutte le mamme online che effettuano un acquisto negli Stati Uniti è influenzato dalle opinioni di altre mamme online che sono le mamme online influencer».

Le colpe della classe politica

E ancora si legge sul sito web della Microsoft in un post del 2010: «Uno stu-dio della società statunitense Rubicon Consulting ha tracciato il profilo degli in-fluencer, la loro diffusione e le modalità di comunicazione e di propagazione dei loro messaggi. Le comunità online, gli spazi dove agiscono gli influencer, non sono tutte uguali, ognuna ha peculiarità proprie». Non si capisce se questo brano l’abbia scritto Gianroberto Casaleggio stesso o se a questo testo del gigante sta-tunitense si sia rifatto. L’articolo della Microsoft prosegue: «Le comunità online originate dalle connessioni, come Face-book, sono le più frequentate (25 per cen-to degli utenti) e le più importanti per i giovani sotto i 20 anni, seguono, con circail 20 per cento, quelle con attività in co-mune e condivisione di interessi. La mag-gior parte degli utenti delle comunità ha un’età tra i 20 e i 40 anni. In questo conte-sto operano gli influencer».

Allora è solo un’abile campagna di marketing virale che ha portato un elettoresu quattro a votare per Grillo? No di cer-to. Le ragioni sono da ricercare nel crollo morale e politico dell’intera classe politi-ca che ha operato ed è maturata nei vent’anni dominati e condizionati dalla discesa in campo di Berlusconi. Un crollo che si è costruito in anni di affari, corru-zione, patti scellerati. E immobilismo. E da qui l’assenza di un’offerta politica cre-dibile che affrontasse la crisi economica, sociale e culturale che stiamo subendo.

Di certo ha giocato la frammentazione edisgregazione dei movimenti dopo Geno-va 2001. Di certo ha dato una mano l’informazione ufficiale e la categoria dei giornalisti incapaci di capire cosa stava mutando sia in termini di linguaggi che di media, e che si sono aggrappati alla mera sopravvivenza ponendosi proni davanti a chi erogava il finanziamento pubblico.

Ma l’operazione di marketing ha pesato molto più di quanto si pensi. Come pesò nel ‘94 nella nascita di Forza Italia. Si è passati dal “partito di plastica” (Forza Ita-lia) al “partito che non c’è” (M5S). Se Forza Italia nasce grazie al lavoro impren-ditoriale e organizzativo di quella costola della Fininvest (Publitalia) diretta da Mar-cello Dell’Utri, il M5S nasce invece dal lavoro organizzativo e dal Marketing vira-le della Casaleggio.

La natura stessa dei due progetti do-vrebbe spingerci a riflettere. Le promesse della libertà assoluta berlusconiana (d’impresa, dai laccioli burocratici, dalle tasse, dalla magistratura, da uno Stato pe-sante e dall’orrido pericolo comunista) rappresentano la facciata della prima ora del cavaliere.

Alla faccia dei movimenti

Mentre Grillo promette la fine delle ca-ste (e minore burocrazia, e libertà d’impresa e Stato più leggero nei confron-ti del mercato, per curiosa analogia con il suo predecessore), la promessa di una de-mocrazia diretta (uno vale uno) che si so-stituisca alla democrazia rappresentativa dopo una sorta di apocalisse che inceneri-sca, partendo dai partiti, l’intero sistema costituzionale.

E i movimenti masticati e digeriti dalla nuova balena a Cinque Stelle? Faticano a ritrovare una propria identità autonoma o sono stati letteralmente schiacciati dalla macchina elettorale di Grillo. Che li ha resi, loro malgrado, parte di un spot elet-torale, su youtube ovviamente, della nuo-va casta di cittadini-parlamentari-asses-sori-sindaci e consiglieri. E del loro pro-prietario. Alla faccia dei movimenti dal basso.

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Politica

Dove il caosnon paga

Il “guru” Grillo vor-rebbe che i grillini fos-sero una setta: lui co-manda, detta i tempi, dice chi può parlare e chi no, dove lo può fare, cosa deve dire e achi. Gli adepti ubbidi-scono...

di Riccardo De Gennaro

Grillo è convinto che anche un mini-mo tasso di democrazia interna sareb-be lo snaturamento e dunque la distru-zione del Movimento 5 Stelle.

Chi sa riconoscere che l’M5S ha avuto

dei meriti, ad esempio nel portare alla

politica molti giovani che non le si erano

mai avvicinati e nel costringere gli altri

partiti a non includere nelle liste elettora-

li alcuni “impresentabili”, ha dunque ac-

colto con soddisfazione la notizia che la

setta non è monolitica e che non tutti gli

adepti si suiciderebbero se il loro capo lo

chiedesse.

È accaduto in occasione

dell’elezione del presidente

del Senato, quando un pugno

di senatori grillini, in particolare delle

regioni del Sud, ha deciso di disubbidire

al diktat di Grillo e votare il candidato di

Pd-Sel, Libero Grasso.

Un voto, questo, che non soltanto pre-

miava un magistrato antimafia, ma pena-

lizzava il suo avversario Renato Schifani,

il cui passato, in ordine alle cose di ma-

fia, non pare tra i più limpidi.

Un mandato da rispettare

Questi grillini, una decina al massimo,

si sono resi conto che anche loro hanno

un mandato elettorale da rispettare:

“Come lo spiego ai miei elettori che in

occasione del voto per il presidente del

Senato, seconda carica dello Stato, non

ho scelto tra Grasso e Schifani?”, si sono

detti.

Uno di loro non ha avuto dubbi: non

solo voto secondo coscienza, ma lo di-

chiaro apertamente e me ne assumo le re-

sponsabilità.

Il suo nome è Giuseppe Vacciano, na-

poletano, che si è autodenunciato in

quanto “colpevole di alto tradimento dei

principi dell’M5S”, come da anatema del

leader, con un video pubblico. Dopo Vac-

ciano, forse perché sollecitati a farlo dal

capogruppo Crimi, anche gli altri “repro-

bi” hanno “confessato”.

Il “caso” costituirà un precedente per

una “democratizzazione” del Movimento

5 stelle?

Impossibile dirlo ora. Si può, tuttavia,

prevedere che se la strada non sarà que-

sta, l’iniziativa dei grillini e il loro av-

vento in Parlamento risulterà inutile e

che con il passare dei giorni la protesta si

dimostrerà sempre più sterile.

Non solo: buona parte dell’elettorato,

come ha dimostrato lo scontro sulla for-

mazione del nuovo governo, non trovan-

do comprensibile l’integralismo ostruzio-

nistico potrebbe – se l’obiettivo di Grillo

è quello di nuove elezioni per aumentare

il suo bottino di consenso – non confer-

mare il suo appoggio.

Si sente circondato

L’impressione è che Grillo soffra di

una sindrome paranoide. Dice “siete cir-

condati”, ma è lui che si sente circonda-

to, vede “trappole” ovunque, parla di in-

ciucio continuo Pd-Pdl, laddove Bersani,

nella scelta dei candidati alla presidenza

delle Camere, ha dimostrato che talvolta

questa tentazione non ce l’ha. Probabil-

mente Grillo deve rivedere la linea: una

cosa è la piazza, un’altra il parlamento,

dove il caos non paga, nemmeno per i

“rivoluzionari” come lui.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 6969

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Città

“A Palermosi riprendea sparare”Così titola da qualche tempo la stampa la-sciando intendere non solo il dato oggettivo dei morti ammazzati platealmente in certe strade e con certi ri-tuali simbolici, ma an-che una presunta im-prevedibilità degli eventi...

di Giovanni Abbagnato

E come non rifugiarsi in una pre-sunta imprevedibilità dell’evento se si è sostenuto da tempo che ormai la ma-fia “militare” dei quartieri di Palermo era allo sbando? Come non mostrare un’ingiustificata sorpresa se si è soste-nuto che la dimensione socio-politica della mafia, semmai c’è stata, è passa-ta totalmente altrove, a un presunto nuovo livello dallo schema, diversissimo da quello del tutto ana-cronistico che conoscevamo.

E’ il solito delirio che gratifica chi vuolfare intendere di comprendere le muta-zioni, mentre gli altri si attardano in ana-lisi che sanno di antico. Un “nuovismo” fuorviante che è ben lontano dall’atten-zione alla complessità e all’adattabilità dei fenomeni, soprattutto se di natura si-stemica, come nel caso della mafia.

Questa deriva nell’interpretazione del fenomeno mafioso non è una sorpresa, ma è, prevalentemente, frutto di un pam-phlettistica, che oscilla impunemente dal risaputo dèjà vu al sensazionalismo di maniera, e di un giornalismo che vive di agenzie ed opinioni nelle confortevoli re-dazioni.

Può sembrare una considerazione ripe-titiva, ma è vero che i giornalisti, anche i giovani invischiati tra le spire peggiori del precariato nelle grandi testate, non consumano più le suole delle scarpe camminando tra gli angoli presidiati da Cosa nostra e annusando l’aria nei quar-tieri, del centro come della periferia.

La mafia presidia ancora

In questo modo può sfuggire la realtà di un sistema socio-criminale in una cittàmagmatica come Palermo, che può fare scomparire tutto per poi farlo riapparire imprevedibilmente. In una dimensione temporale e concettuale diversissima si ripete il tragico errore interpretativo de-gli anni ’70, in cui presuntuosi giovani rivoluzionari snobbavano la potenza cri-minale innervante della mafia dei quar-tieri e dei paesi, che, a loro avviso, sareb-be stata insignificante rispetto all’impe-

rialismo e allo strapotere del capitalismo vorace.

Chi avvertiva il terribile pericolo so-ciale rappresentato da cosche dalle origi-ni e i connotati arcaici, ma capaci di co-struire un formidabile sistema criminale adeguato a sfide economiche di grandi dimensioni, veniva guardato patetica-mente come uno che non sapeva “leggerela fase” preoccupandosi di poco più che rubagalline, mentre erano sempre altri i problemi.

Resistere sul territorio

Spesso negli ambienti più rivoluzionarinon si fa qualcosa - per esempio attrezza-re una resistenza antimafiosa sul territo-rio - perché c’è sempre qualcosa di più importante da fare. Mutatis mutandis, oggi si rileva un’antimafia che ha neces-sità di piantare le proprie bandierine per legittimare i propri successi, senza legge-re i dati oggettivi che, senza voler nulla togliere al valore innegabile delle azioni svolte, debbono essere sempre tenuti ben presenti. Questo perché i dati danno con-to della realtà e qualche volta di un peri-coloso adagiarsi sugli allori, anche da parte delle più meritevoli associazioni, fatto di deliri di onnipotenza ed esagerataemotività imposta in ogni situazione.

Tali eccessi di emotività e medianicità inevitabilmente mostra, anche involonta-riamente, chi dovrebbe avere ben chiaro che, essendo la lotta alla mafia qualcosa di molto serio, ognuno dovrebbe stare nelle proprie competenze e capacità, fos-se solo quelle di testimoni di un percorsodi liberazione personale e collettivo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7070

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C'è semprequalcosa

di “ben piùimportante”

da fare...

Senza questo rigore nell’impegno anti-

mafioso possono nascere le “ubriacature”che, soprattutto in una città di forte tradi-zione mafiosa, procurano quel calo di tensione, spesso evocato senza adeguata convinzione e consequenzialità.

Omicidi sottovalutati

Così, per esempio, a Palermo si sono sottovalutati alcuni omicidi del 2011 di forte significato, oltre che simbolico, strategico. Quello del picciotto del tradi-zionale enclave mafioso di Borgo Vec-chio, Davide Romano trovato nudo e le-gato dentro un portabagagli al confine trai due importanti mandamenti di Porta Nuova e Pagliarelli. Successivamente, l’esecuzione plateale di Giuseppe Cala-scibetta, capo dell’altro importante man-damento di Santa Maria di Gesu, con l’accento sulla “e”, come pronunziano i vecchi palermitani. Più recentemente, il più classico dei rituali di omicidio di ma-fia riservato all’esponente della cosca di Brancaccio Francesco Nangano, assolto dopo una condanna all’ergastolo e, addi-rittura, risarcito lautamente dallo Stato per “ingiusta detenzione”.

Quando le cose si muovono a suon di omicidi eclatanti in diversi quartieri, de-cisivi per il peso criminale del manda-mento, significa che il territorio della quinta città d’Italia, capoluogo della Sici-lia, è nella sostanza più che controllato dalle cosche, con buona pace degli anali-sti dell’era post-mafiosa.

Ma nel caso in cui qualcuno avesse giàmandato in soffitta lo schema di una ma-fia autonoma, ma in relazione funzionale

con una collusa e contigua borghesia ma-fiosa, basta scorrere la recente cronaca nera di Palermo. La DIA ha sequestrato quote e beni aziendali per oltre 30 milio-ni di Euro di società riconducibili a noti boss palermitani che qualcuno considera-va ormai poco più che folkloristici, comeAntonino Spadaro, Maurizio Gioè e Gi-rolamo Buccafusca. In particolare, cosa facevano le società con sede a Palermo, riconducibili ai citati boss, come la New Port, la Portitalia, la Containers Palermo,la Csp servizi portuali e la cooperativa Cipg Tutrone?

Semplicemente - e come da tradizione - controllavano capillarmente le attività dei porti di Palermo e Termini Imerese. Già dovrebbe indurre ad una seria rifles-sione autocritica dell’antimafia pensante,la notizia del controllo di Cosa nostra – quella già nota e non quella ancora da delineare - di due punti fondamentali dell’economia palermitana e siciliana.

Il controllo capillare dei porti

Poi, se si volesse fare qualche ragiona-mento più “sofisticato”, si potrebbe pro-vare a immaginare, per esempio, cosa si-gnifica per l’intera economia meridionaleil solo controllo accertato di due dei più importanti porti siciliani, in termini di sviluppo di relazioni politiche, affaristi-che e mafiose. In questo senso, assume qualche significato il tormentato iter pro-gettuale nel quale si sono arenati perfino comitati di affari del periodo delle ammi-nistrazioni comunali del decennio di Cammarata, riguardante la sistemazione dell’intera costa palermitana, compresa

l’area portuale, da riqualificare sul piano turistico-ambientale, trasferendo il com-merciale interamente a Termini Imerese.

Chissà se qualcuno sarà ancora capace di sostenere che c’è ben altro di più im-portante in ballo mentre i boss del folklo-re dimostrano di avere le mani sui porti econtinuano a decidere, perfino dal carce-re, le condizioni alle quali si entra in due fondamentali punti di snodo dell’econo-mia siciliana. Chissà se qualcuno si chie-de cosa significa sul piano dell’agibilità criminale il controllo pressoché assoluto dei moli di Palermo e Termini Imerese, anche nella prospettiva dei grandi appaltiattesi tra le banchine.

Solo una punta d'iceberg

Se poi pensiamo all’evidenza, ammes-sa anche dagli inquirenti più impegnati, di un’indagine che ha scoperto solo la punta di un iceberg degli snodi dei tra-sporti commerciali al Sud, possiamo far-ci un’idea su quanto è importante che tut-ti i soggetti dell’antimafia impegnata in tutti settori, compresi quelli dell’analisi edell’informazione, alzino la guardia con fattivo realismo. Probabilmente è neces-sario distinguere tra l’attenzione ai cam-biamenti ed eventuali, fuorvianti, voli pindarici, dato che gli eventi, come le ammazzatine per le strade e le tante evi-denze di controllo mafioso del territorio, accadono anche quando a noi può sem-brare non ci siano più le condizioni per-ché accadano. Se si potesse, sarebbe molto importante tenere, insieme alla mente vigile, anche gli occhi aperti e pie-di a terra.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7171

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Pianeta

L'euro, il dollaroe il bitcoin

E intanto la crisi avan-za: Cipro, oramai si ca-pisce, non è poi così lontana. “Torniamo allalira!” urla qualcuno. “No, senza euro va tut-to a fondo!”. Il dollaro dal canto suo, non sta troppo bene. Eppure, c'è una moneta che va crescendo. Ma nessunone parla...

di Fabio Vita bitcoin-italia.blogspot.com

Sopravviverà l'euro fino al 2015? Probabilmente sì, anche se metà dei paesi che lo adottano non ne sono del tutto convinti. Sopravviverà il dollaro fino al 2015? Probabilmente sì, nono-stante la catastrofe del debito pubblico e privato. Sopravviveranno le grandi banche fino al 2015? Sicuramente sì, vi-sto che drenano soldi sia dall'area del dollaro che da quella dell'euro, e non si vedono controtendenze.

E infine: sopravviveremo noi, semplici cittadini, in questo scontro titanico fra monete e banche? Cosa potremo compra-re coi nostri (pochi) dollari o euro, nel 2015? C'è una via d'uscita?

E se la moneta fosse indipendente dalle banche? Se fosse, o tornasse a essere, semplicemente una quantità di un qualchebene, riconosciuto dai cittadini?

Se questo bene fosse non più il "vec-chio" oro o argento ma una merce moder-na, la potenza di calcolo per esempio? Se una moneta del genere non nascesse per decisione di qualche multinazionale o go-verno, ma direttamente – come per Wiki-pedia e per Linux – dall'incontro di tante volontà e competenze, senza obiettivi di-versi, nella rete?

Un sistema economico in cui i soggetti principali non siano le grandi banche e i governi ma un gran numero di cittadini connessi in rete, liberamente. Utopia? Certo. Ma anche Linux, una volta, era un'utopia: oggi fa funzionare la maggior parte di internet. Libero, senza grandi po-teri, open source e basato sul web: il mon-do del futuro tutto sommato potrebbe an-che essere così.

Un sistema economico di rete

Gavin Andresen spiegava, in un video di due anni fa il ruolo dei cypherpunks (termine ufficializzato dal libro omonimo di Julian Assange del 2012): attivisti che utilizzano le loro conoscenze crittografi-che per contribuire a un cambiamento po-litico e sociale. Chi sono? Oltre allo stessoAssange di Wikileaks, John Gilmore de l’Electronic Frontier Foundation (Eff) e Bram Cohen creatore di Bittorrent e, sem-pre con maggiore evidenza, Satoshi Naka-moto (nome dietro il quale si cela un gruppo di crittografi di altissimo livello), creatore di Bitcoin.

Poco più di tre anni fa, un utente del fo-rum Bitcoin, che abitava in Florida, chie-deva dove compare una pizza pagandola in Bitcoin. Pagò per due pizze maxi il conto di quarantuno dollari: 10 mila Bit-coin. Il valore di quelle monete oggi supe-ra il mezzo milione di dollari. Qualche giorno fa un canadese ha messo in venditala propria casa in cambio di Bitcoin.

Bitcoin diventa sempre più diffuso e ac-cettato, quando non apertamente richiesto.I dipendenti di Archive.org hanno chiesto di essere pagati in Bitcoin. La principale

piattaforma di blog Wordpress e il forum social network Reddit lo utilizzano con successo da mesi.

Un Bitcoin oggi (marzo 2013) vale 77 dollari, (59 euro, 51 sterline). Più di un'oncia d'argento, più di un'azione Face-book. La capitalizzazione di mercato di Bitcoin, il valore cioè di tutti gli undici milioni di monete, pari a 800 milioni di dollari, supera il totale del valore della moneta circolante di diversi piccoli Stati.

Quanto vale un Bitcoin?

Una delle caratteristica di Bitcoin tra le meno comprese tra le persone che sono nuove a Bitcoin, e forse la più difficile da mettere in testa è che Bitcoin non ha un'organizzazione o un'autorità centrale.

Persino il gruppo Occupy (Occupy Cor-poratism) si è imbattuto in questa difficol-tà, dicendo cose del tipo: “Bitcoin ha otte-nuto lo status di provider di servizi a pa-gamento (payment service provider)” e “Bitcoin ora ha un numero identificativo di banca internazionale (International Bank ID)". Anche se la comunità Bitcoin include organizzazioni che si chiamano “Bitcoin Foundation” e Bitcoin Central, nessuna di queste sono qualcosa di simile alle autorità centrali per Bitcoin, non avendo nessun potere nelle caratteristiche del suo funzionamento. Bitcoin Central è solo uno dei cambiavalute Bitcoin tra molti altri – e neanche il più grande.

La fondazione Bitcoin è semplicemente un' organizzazione composta da membri altamente rispettati nella comunità Bitcoine dagli sviluppatori di un particolarmente popolare software client Bitcoin. Chiun-que può potenzialmente creare il proprio servizio cambiavalute e fondazione.

Piuttosto che pensare a Bitcoin come prodotto rilasciato da una tradizionale multinazionale, è più appropriato pensarlocome una merce digitale che si autoso-stiene, simile all'oro. Ha una sana indu-stria satellitare che fornisce prodotti e servizi basati su di esso, e ha il proprio

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7272

La moneta elettronicaTrend, tecnologia, applicazioni, mercati

Tutto sul bitcoin (in tempo reale)

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“Una monetaalternativa

e sicurache si va

diffondendosempre più”

business e organizzazioni di difesa, ma non esiste una centrale Gold Corporation. I database che mostrano a che indirizzo Bitcoin corrisponde un certo saldo sono tutti salvati collettivamente nella rete usando un network peer-to-peer simile alle reti utilizzate da servizi di filesharing,come BitTorrent.

Il Bitcoin e la stampa italiana

La stampa mainstream italiana (quoti-diani e settimanali, anche economici) ha finora trattato Bitcoin in maniera superfi-ciale e a volte apertamente disinformata. Su questo argomento finora fanno infor-mazione –il che è solo apparentemente paradossale– i blog di utenti più o meno e specializzati, il forum BitcoinTalk, il Bit-coin Magazine o anche le poche righe in cui Jeff Garzik, sviluppatore Linux e Bit-coin, rispondendo sul portale Gawker chiarisce ciò che paginate d’inchiostro mal tradotto avevano reso confuso.

Bitcoin è anonimo nel senso che non vengono chiesti dati d’identità, nome e cognome ma le transazioni, contraria-mente alle banche con il loro segreto ban-cario, sono pubbliche e consultabili.

Per essere più precisi, l’intero storico delle transazioni viene scaricato da ogni singolo utente Bitcoin prima di poter uti-lizzare il programma. Con mezzi sofisti-cati e competenze adeguate ogni buon hacker – compresi quelli dell'Fbi – può ri-salire a transazioni e utenti. Le contromisure possibili sono quelle comunial tutto internet (non solo a Bitcoin), comela rete Tor.

Prima stupore e grossolanità

Si possono distinguere tre fasi nel rap-porto Bitcoin-stampa italiana. Se la prima è basata su stupore e grossolanità (“Se Bin Laden avesse avuto a disposizione un computer in grado di creare Bitcoin, avrebbe potuto comprare qualunque arma”), la seconda riesce ad andare oltre.

I pericoli e i timori evocati nella prima fase sono affascinanti: banche che crolla-no, Osama Bin Laden, Cia, hacker, Wiki-leaks. Nella seconda fase la falsificazione assume connotati pratici ma tirati dentro aforza. La Stampa: “L'Internet segreto del-le mafie dove si paga con soldi virtuali”. La Repubblica: “Sesso, droga e armi la faccia cattiva del web”

“Sesso droga e armi”...

Ma non è solo in Italia che Bitcoin vie-ne osteggiato in maniera grossolana e a uncerto punto – alla prima fluttuazione di valore verso il basso – dato per morto. La stampa italiana si è spesso accodata con traduzioni dei peggiori articoli. (Independent, Wired). In positivo è For-bes il più attento, con lo specialista di mo-nete elettroniche Jon Matonis; e anche l’Economist o il Guardian (questo con tanto di guide pratiche all’uso) hanno fat-to informazione accurata.

Il passaggio dalla seconda alla terza fase, nell'approccio della stampa italiana su Bitcoin, è tra ottobre e dicembre 2012. L’articolo de Il sole 24 ore “Baratto2.0 al-ternativa anti-crisi” appartiene ancora allaseconda fase, ma è arrivata una carta di

credito Mastercard compatibile anche con Bitcoin, che di lì a poco verràutilizzato anche dalla più diffusa piattaforma di blog Wordpress, e Bitcoin viene definito “una delle più ingegnose monete virtuali”.

Poi l'accettazionedella realtà

La terza fase psicologica è l’accettazione degli eventi. Un nuovo articolo de Il sole 24 ore del dicembre scorso, “Il Bitcoin ha aperto il conto”fa finalmente autocritica: “Leimplicazioni stanno affascin-

ando gli economisti: c'è chi critica e chi invece magnifica le sorti progressive di questa moneta differente dalle altre, che finora solo pochi la prendevano sul serio, nonostante alcune aziende avessero decisodi offrire servizi di cambio con dollari ed euro (oggi attorno ai 13,6 dollari e 10,4 euro).

«Eppure – dice l'economista della Bocconi Carlo Alberto Carnevale Maffé –è evidente che il monopolio della moneta per diritto sovrano come lo conosciamo dagli ultimi secoli è messo in discussione e che i mezzi di scambio informativo a disposizione delle persone sono sufficientia chiudere le transazioni anche in pre-senza di scarsa liquidità. Questa è una progressiva crepa nel grande muro della moneta così come la conosciamo»”.

È con l’articolo di Carola Frediani per l’Espresso, “Addio Euro pago in Bitcoin”,che riusciamo a leggere un buon pezzo di-vulgativo; viene anche contattato il mode-ratore della sezione italiana del forum se-miufficiale BitcoinTalk, HostFat.

Fabio VitaSenza bancheBitcoin, la monetadi Internet

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7373

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Scienze

Il bosone di Higgse variazionisulla teoria della massaIl concetto di massa, vecchio di duemila anni, da Newton a Ein-stein è sempre stato centrale nella nostra vi-sione del mondo fisico.Adesso...

di Diego Gutkowski

Fino al 5 marzo contavo di proseguirenel numero de I Siciliani Giovani che era in lavorazione il discorso sulle ri-cerche sui neutrini, iniziato nel numero 7 (luglio – agosto 2012) e continuato nelnumero 10 (novembre dicembre 2012), ma un fatto di attualità mi ha indotto a cambiare il mio programma.

Il 6 marzo scorso un comunicato dell’ANSA (cerca su Google “Il bosone diHiggs è quello previsto dalla teoria”) an-nunziava che al CERN era stato dichiaratoufficialmente che la particella rivelata nel luglio 2012, che appariva per diversi aspetti simile al bosone di Higgs, era pro-prio il (o forse un) bosone di Higgs.

A partire da quel giorno diversi quoti-diani riportavano questa notizia, alla qualetuttavia non mi pare che in Italia sia stato dato il rilievo che meritava, forse perché offuscata dalle vicende del conclave e da quelle economiche, politiche e giudiziarie che riguardavano l’Italia.

Parecchi fisici attendevano con trepida-zione la rivelazione del bosone di Higgs, perché questa particella, ipotizzata nel 1964 da Peter Higgs (nato nel 1929) è un importante “ingrediente” di un modello molto usato nella fisica delle particelle elementari, il modello standard. Inoltre il bosone di Higgs avrebbe un ruolo molto importante per ragioni di cui in parte è scritto in seguito.

Il modello standard

La rivelazione di una particella avente tutte le caratteristiche che il modello stan-dard prevede per il bosone di Higgs rende questo modello un candidato sempre più plausibile per la descrizione di gran parte della fisica delle particelle.

Ovviamente il risultato del CERN non èuna conferma del modello standard, infattinon si può escludere che in futuro si possano osservare fenomeni incompatibilicon questo modello, né che si possano formulare altre teorie che rendano conto dei fatti sino ad oggi osservati; ma ciò è ovvio, perché tutte le teorie scientifiche non sono una descrizione della realtà, ma solo di un insieme di fatti conosciuti.

Già prima dell’annuncio dato al CERN il 6 marzo il modello standard dava con buona approssimazione i valori misurati di diverse osservabili fisiche relativi a nu-merose particelle sia, per quanto oggi se ne sa, elementari, che composte.

Per i concetti di particella elementare e particella composta rimando alla introduzione alla voce “Particelle elemen-tari” scritta da Nicola Cabibbo (1935-2010) per la Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, reperibile anche sul web.

Il modello standard comprende in un unico schema due teorie ciascuna delle quali si riferisce ad una famiglia di parti-celle e, con l’eccezione della gravità, ne descrive tutte le interazioni.

Queste due teorie sono quella elettrode-bole, che riguarda sia l’interazione elettro-

magnetica che l’interazione debole, e la cromodina- mica quantistica che riguarda le interazioni forti.

Oggi si ritiene che tutte le interazioni tra gli oggetti dell’universo fisico siano una conseguenza delle interazioni elettro-magnetica, debole, forte e gravitazionale dette perciò interazioni fondamentali. In-vero questo è più un atto di fede, larga-mente condiviso tra gli addetti ai lavori, che un risultato scientifico.

Per le ragioni della unificazione dell’interazione elettromagnetica con l’interazione debole in un’unica interazio-ne detta “elettrodebole” si può vedere su Wikipedia la voce “Interazione elettrode-bole”.

Le particelle subatomicheLe particelle subatomiche osservate si

possono classificare secondo diversi criteri. Secondo uno di questi criteri le particelle subatomiche possono essere: a) leptoni , soggetti solo all’interazione elet-trodebole, b) adroni, soggetti sia all’inte-razione forte che a quella elettrodebole, c)certi bosoni (fotone e gluoni) che medianole interazioni fondamentali .

Alla famiglia degli adroni appartengonoi barioni e i mesoni. I barioni sono com-posti da tre quark , i mesoni da un quark eda un anti-quark.

Quark, antiquark, leptoni, fotone e gluo-ni sono considerate particelle elementari.

La prima particella subatomica che fu osservata da un essere umano fu l’elettrone, scoperto da Joseph John Thomson (1856-1940) nel 1897.

Nel 1905 Albert Einstein (1879-1955) suppose che luce fosse emessa e assorbita per fotoni e sviluppando questa ipotesi, facendo anche uso di risultati ottenuti in precedenza da Max Planck (1858-1947), riuscì a spiegare diversi fenomeni che era-no stati osservati.

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“Quantitas materiaeest mensura

ejusdem orta ex illius Densitate

& Magnitudineconjunctim”

Nel 1922 Arthur Compton (1892-1962)

studiando la diffusione di un fascio colli-mato di raggi X da un bersaglio di grafite riuscì a interpretare i risultati osservati come un urto tra fotoni del fascio e elet-troni del bersaglio. Nella trattazione di Compton elettroni e fotoni si comportavano come particelle.

Quando ero studente all’università (a partire dall’anno accademico 1954-55), le particelle subatomiche di cui mi avevano parlato erano il fotone, l’elettrone e la sua antiparticella (leptoni), il protone e il neu-trone (barioni) e venivano dati solo pochi cenni sul neutrino (leptone). Più di due-cento altre particelle subatomiche di cui credo oggi si parli agli studenti di Fisica non erano allora note.

Ma il rilievo che merita la scoperta del bosone di Higgs è maggiore di quello che merita la scoperta di una qualsiasi delle altre particelle rivelate in tempi recenti, per diverse ragioni, tra cui quella che il bosone di Higgs attribuisce una massa a tutte le particelle che ne sono dotate.

La definizione di Newton

Il concetto di massa è stato formulato e usato almeno da duemila anni (si veda di Max Jammer (1915-2010) Storia del Concetto di Massa nella Fisica Classica eModerna, Feltrinelli 1980 ), ma qui, per seguire l’evoluzione di questo concetto, parto da tempi molto più vicini a noi.

Isaac Newton (1642-1727) nella sua fa-mosa opera “Philosophiae Naturalis Prin-cipia Mathematica” scrisse:

Definitiones - Def. I.Quantitas Materiæ est mensura eju-

sdem orta ex illius Densitate & Magnitu-dine conjunctim.

Aer, densitate duplicata, in spatio etiamduplicato, fit quadruplus; in triplicato sextuplus. Idem intellige de Nive et Pulve-ribus per compressionem vel liquefaction-em condensatis. Et par est ratio corpo-rum omnium, quæ per causas quascunquediversimode condensantur. Medii interea, si quod fuerit, interstitia partium libere

pervadentis, hic nullam rationem habeo. Hanc autem Quantitatem sub nomine Corporis vel Massæ in sequentibus passim intelligo. Innotescit ea per corporis cujusque Pondus. Nam Ponderi proportionalem reperi per experimenta Pendulorum accuratissime instituta, uti posthac docebitur.

[da books.google.com/books/…/Philosophiae_Naturalis_Principia_...; ivi l’opera è prece-duta da tre prefazioni di Newton, l’ultima del-le quali reca la data 1726; in altre edizioni si trovano versioni un po’ diverse. Numerose edestese note di Newton, che non riporto, chia-riscono diversi punti del brano]Traduco il brano in Italiano nel modo

seguente: DEFINIZIONI - Def.ILa quantità di materia è la misura della

stessa che sorge dalla sua densità e dalla sua mole congiuntamente.

L’aria, raddoppiata la densità, in uno spazio anch’esso raddoppiato, diventa quattro volte tanto; in uno spazio triplica-to sei volte tanto. La stessa cosa intendi riguardo alla neve e alle polveri condensate mediante liquefazione o com-pressione. E identica è la proporzione di tutti i corpi che per qualunque causa ven-gono condensati in modo diverso. Frattan-to io non mi occupo qui del mezzo, se purci sia stato, che pervade liberamente gli interstizi tra le parti dei corpi. Indico d’ora in poi questa quantità col nome di massa o corpo. Essa diviene nota median-te il peso di ciascun corpo. Infatti la trovaiproporzionale al peso per mezzo di esperimenti sui pendoli compiuti con mol-ta accuratezza, come sarà insegnato più avanti.

L'osservazione di Quigg

Chris Quigg (nato nel 1944) nel suo ar-ticolo Spontaneous Symmetry Breaking asa Basis of Particle Mass, arXiv.org/abs/0704.2232v2 rileva che la nozione di massa come attributo intrinse-co della materia, compendiato da F = m ae la legge della gravitazione universale, sono il fondamento della fisica classica.

La massa, per Newton, è allo stesso tem-po una misura dell’inerzia e la sorgente dell’attrazione gravitazionale. Ne segue immediatamente che la massa è conserva-ta: la massa di un oggetto è la somma del-le masse delle sue parti, in accordo con l’esperienza di ogni giorno. Questa pro-prietà è anche affermata esplicitamente daNewton in una delle note al brano che ho riportato prima, con le parole:

Materiae quantitas est aggregatum seu summa omnium materiae particularum quibus compositus est corpus.

L'idea di Abraham e Lorentz

L’estensione della legge di conservazio-ne della massa alle reazioni chimiche, fat-ta da Michail Vasil'evič Lomonosov (1711-1765) e da Antoine-Laurent de La-voisier (1743-1794), diede impulso attra-verso il lavoro di John Dalton (1766-1844) e di altri, allo sviluppo della chimica come scienza quantitativa; ma, nella visione classica, la massa non sorge, semplicemente è. La massa così intesa fu considerata parte essenziale della natura delle cose per più di due secoli finché Max Abraham (1875-1922) nel 1903 (Prinzipien der Dynamik des Elektrons , Annalen der Physik 10, 105-179) e Hen-drik Antoon Lorentz (1853-1928) nel 1904 (Electromagnetic phenomena in a system moving with any velocity smaller than that of light, Proceedings of the Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, si può trovare anche nelle pagi-ne web all’indirizzo en.wikisource.org/wiki/Electromagnetic_phenomena) pensarono di interpretare la massa dell’elettrone come auto-energia elettromagnetica.

Il concetto di massa si aprì a nuove pro-spettive con una pubblicazione di Einstein( Ist die Trägheit eines Körpers von sei-nem Energieinhalt abhängig?, Annalen der Physik, 18, 639, 1905).

Questo titolo, tradotto in Italiano, è la domanda: “E‘ l‘inerzia di un corpo dipendente dal suo contenuto di energia?“

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7575

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“La massadi un corpoè la misura

del suo contenutoin energia”

La risposta data da Einstein si può com-

pendiare nell’eguaglianzae = mc2

Nella precedente eguaglianza e rappre-senta l’energia totale di un corpo, m la massa del del corpo e c la velocità della luce nel vuoto. L’eguaglianza, secondo la teoria di Einstein, vale per un qualsiasi si-stema materiale.

E‘ importante osservare che se è vera lateoria di Einstein, allora la massa non è una grandezza additiva, cioè in generale non è vero quel che ritenevano precedenti illustri studiosi quali Newton, Lomono-sov, Lavoisier, Dalton e altri quando af-fermavano esplicitamente o assumevano implicitamente che la massa di un oggettoè la somma delle masse delle sue parti.

Nella maggior parte dei fenomeni stu-diati in chimica l’additività della massa, pur non valendo esattamente, è soddisfattacon buona approssimazione e in molte condizioni sperimentali non si è in grado di misurare la differenza tra la massa di un sistema e la somma delle masse delle sue parti, ma per altri tipi di fenomeni le cose non vanno affatto così.

L'addittività della massa

Se vale l’eguaglianza (1), allora la mas-sa di un corpo è una misura del suo conte-nuto di energia, se l’energia cambia di L la massa cambia nello stesso senso di L/. Questo permette di usare per la massa l’unità eV/che in fisica delle particelle ri-sulta più comoda dell’unità Kg del Siste-ma Internazionale.

Esaminiamo la violazione dell’additivi-tà della massa che ne consegue in alcuni casi. L’energia di legame dell’elettrone 1 sdell’atomo di idrogeno è di 13,6 eV, che è appena 1,45 × moltiplicato per l’energia dell’atomo di idrogeno ricavata dalla sua massa e dall’eguaglianza (1). Per una particella α, stato legato di un sistema formato da due protoni e due neutroni, il rapporto tra (la differenza tra la somma delle masse dei due protoni e due neutroniche costituiscono la particella) e la massa

della particella stessa, è di ¾ %. Le cose vanno in modo completamente diverso per un nucleone.

Secondo la cromodinamica quantistica il contributo principale alla massa di un nucleone non è la somma delle masse dei quark che lo costituiscono ma l’energia necessaria a confinare i quark in un volu-me molto piccolo. Le masse e dei quark up e down sono solo pochi MeV/ ciascu-na, contro i circa 939 Mev/ della massa di un nucleone, ottenuti facendo la media trala massa del protone e quella del neutro-ne. Adroni come il protone e il neutrone rappresentano quindi una materia di tipo completamente diverso da quello della materia “ordinaria“.

La teoria di Higgs

Secondo la teoria sviluppata da Higgs per le interazioni elettrodeboli, e successivamente estesa alle interazioni forti, il campo del bosone di Higgs confe-risce una massa alle particelle che ne sonodotate tramite una rottura spontanea di simmetria.

Dò alcuni esempi di rottura spontanea di simmetria in situazioni che non riguar-dano le interazioni fondamentali.

Il primo esempio riguarda il protagoni-sta di un paradosso: l’asino di Buridano. Ilparadosso è attribuito al logico Buridano (?1295-1361). Un asino è posto nel punto medio di un segmento. Ciascun estremo del segmento tocca un mucchio di fieno e i due mucchi di fieno toccati dagli estremidel segmento appaiono uguali tra loro. Il paradosso sta nel fatto che l’asino muore di fame, perché non ci sono ragioni suffi-cienti perché vada verso un mucchio di fieno piuttosto che verso l’altro. Ma può darsi che l’asino, in barba a tutti i Burida-ni di questo mondo, si diriga verso uno dei due mucchi, scelto non sappiamo come. Se l’asino si comporta in questo se-condo modo, che mi pare più saggio, allo-ra c’è stata rottura spontanea di sim-metria.

Secondo esempio: se un palloncino sfe-rico che contiene un gas a pressione moltoelevata scoppia, allora c’è stata rottura spontanea di simmetria, non essendoci ra-gioni sufficienti perché la lacerazione si produca in una parte, piuttosto che in un’altra.

Un oggetto presenta una simmetria se c’è un insieme G di trasformazioni dell‘oggetto che ne lascia invariato qual-che aspetto. Per esempio un triangolo equilatero presenta una simmetria perché se lo ruotiamo di un angolo n × 120° at-torno alla retta perpendicolare al piano che contiene il triangolo e passante per il baricentro del triangolo, prendendo n = 0, 1, -1, 2, -2, …, allora il triangolo ruotato per chi lo guarda e non vede i nomi dei vertici presenta lo stesso aspetto che ave-va prima della rotazione. Abbiamo fatto laconvenzione che per n > 0 la rotazione ap-pare all’osservatore in verso orario e per n< 0 in verso antiorario.

Un insieme G come quello menzionato nel precedente capoverso si chiama grup-po. I gruppi sono stati molto studiati: se ne parla in centinaia di libri e in migliaia di articoli.

La teoria dei gruppi

Per l’applicazione della teoria dei grup-pi alla fisica subnucleare si può consultaredi Floarea Stancu Group Theory in Sub-nuclear Physics, Oxford University Press,ISBN 978-0-19-851742-9, disponibile an-che sul web nei Google books.

Per vedere in che cosa consiste il mec-canismo di rottura spontanea di simmetriadi Higgs e come esso dà origine alla mas-sa, oltre all’articolo prima citato di Chris Quigg, si può consultare il libro di Silvio Bergia (nato nel 1935) Relatività e fisica delle particelle elementari, Carocci Edito-re, ISBN 978-88-430-4770-3. Sono co-munque reperibili molte altre fonti.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7676

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Sabato6 aprile 2013

AssociazioneGAPA - GiovaniAssolutamente

Per Agire

… a Rivarolo (TO)Liceo “Aldo Moro”

ASSEMBLEA D’ISTITUTO

“Mafia e informazione oggi. Al Nord e al Sud”ore 8,10-11,10/ Aula Magna (biblioteca del Liceo)

RELATORI:Giovanni Caruso, ex fotoreporter, ha collaborato prima al "Giornale del Sud", e poi a "I Siciliani", dove ha lavorato con il giornalista e scrittore Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia nel 1984. Fondatore e animatore dell’Associazione “GAPA” che opera nel quartiere ad alta densità mafiosa di S. Cristoforo a Catania. Coordinatore de “I Siciliani Giovani” (www.isiciliani.it , dir.resp. Riccardo Orioles).Piercarlo Gattolin, corrispondente del settimanale Il Risveglio, porterà nei contenuti dell’Assemblea uno sguardo più specifico sul contesto del canavese, con particolare attenzione al fenomeno della ‘ndrangheta.

I TEMI CHE VERRANNO AFFRONTATI:1 Le caratteristiche del fenomeno della mafia e della ‘ndrangheta al Nord e al Sud con particolare riferimento al contesto siciliano (Catania) e piemontese (Torino e canavese).

2 Cosa possiamo fare noiProspettive di azione e cambiamento: cosa può fare ciascuno di noi e cosa possiamo fare insieme.

P. Gattolin parlerà della “zona grigia”: la mafia non si combatte (solo) con le manette ma con le scelte che ciascuno può fare o non

fare nella sua vita personale e professionale. Verrà chiesto ai ragazzi partecipanti all’assemblea di scrivere su un bigliettino ciò che pensano di fare dopo il liceo; sarà stilata, in tempo reale, una statistica dei profili che emergono (tot infermieri, tot avvocati, tot

artigiani ecc...). I relatori potranno riferirsi a questi profili per indicarli come potenziali attori antimafia (indicando anche sulla base della loro esperienza quali di queste professioni siano più a rischio di infiltrazione mafiosa...).G. Caruso parlerà dell’esperienza del GAPA nel quartiere S. Cristoforo, quale esempio concreto di “antimafia sociale” e di impegno nei quartieri e con i più giovani. E' un modello di possibilità di AGIRE e di agire INSIEME... contro impotenza e individualismo.

3 Il ruolo dell’informazione e del giornalismoIn questa parte sarà rimarcata l’importanza dell’informazione e del giornalismo nonché il ruolo dei giornalisti nel creare una cultura di verità e giustizia. Il riferimento per noi è la concezione di giornalismo espressa da Giuseppe Fava:

“Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe esserequella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte

corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizisociali. tiene continuamente all'erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il

buon governo”. (Giornale deL Sud, “Lo spirito di un giornale”, 11 ottobre 1981)

Alcune delle domande che gli studenti sottoporranno ai relatori:: Qual è l’ambiente in cui si è trovato a lavorare? Ha mai

avuto paura? E’ mai stato contattato da “qualcuno” contrario al suo operato? Ha fatto il possibile perché a vincere fosse la verità?

Si è mai trovato a compiere qualcosa di “illegale” in nome della verità? E’ soddisfatto del suo lavoro? Ha qualche rimpianto?

Qual è il valore della verità? Le si può dare un prezzo? Le è servito quanto le hanno insegnato a scuola? Come si attingono le

informazioni? C’è differenza fra il giornalismo dei suoi tempi e d’oggi? I giovani hanno un futuro? Anche in Italia?

Al termine dell’assemblea verrà lanciato il progetto di un laboratorio di giornalismo da attivare e costruire insieme ai ragazzi.

…a Favria (TO)Incontro aperto con GIOVANNI CARUSO

“Mafia, Informazione e cittadinanza attiva“Centro Polivalente, via Barberis,10 - ore 20,45

Dopo aver ospitato nel luglio 2012 lo spettacolo teatrale "Io + te = Amore" Favria accoglie nuovamente l’esperienza di “antimafiasociale” del GAPA, associazione che opera nel quartiere ad alta densità mafiosa di S. Cristoforo a Catania, attraverso un lavoro diretto con i minori (doposcuola, animazione, campi estivi) ed un’attività politica per la rivendicazione dei tanti diritti negati a causa dell’infiltrazione mafiosa nel territorio e nelle istituzioni. Fra i temi affrontati anche la nuova avventura della rivista I Siciliani Giovani.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 77– pag. 77

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Memoria

Peppino eil movimento del '77L'anno in cui esplose l'Italia. Fra ribellioni e integrazione

di Salvo Vitale

Il movimento del ’77 rappresenta l’ultima onda, quasi il riflusso del ’68. Alcune idee legate alla lotta contro il si-stema, al bisogno di sentirsene fuori, al combatterlo con le manifestazioni di piaz-za, l’organizzazione militante del dissen-so, i tentativi non sempre riusciti di usciredalla camicia di forza della politicizzazio-ne per cercare un rapporto, una sponda con il mondo studentesco, visto che quel-lo operaio diventava sempre più lontano, cominciarono a sciogliersi definitivamen-te,a fare i conti con se stessi, coi propri

fallimenti, con l’impossibilità d' infran-gere il muro della borghesia dominante, leregole millenarie di articolazione del po-tere, i parametri delle culture ufficiali, dell’intoccabilità del privilegio, della per-sistenza atavica di bisogni spirituali, ses-suali, affettivi, materiali, dove diventava preminente la ricerca della propria identi-tà sommersa dalle sedimentazioni di mes-saggi familiari, scolastici, sociali.

Gran parte dei “settantasettini” rientra-rono nel proprio guscio, (il personale) al-tri, molto pochi, tra cui il gruppo di Peppi-no, continuarono la militanza politica ini-ziata nove anni prima, altri ancora, po-chissimi, scelsero di liberare il loro disag-io attraverso la lotta armata.

I sintomi di questa “crisi di certezze”, legati a una revisione politica di alcuni temi del movimento del ’77, furono al centro del travaglio interiore attraversato in quei mesi da Peppino e ne trovano la migliore espressione in una sua lettera, poi utilizzata dai carabinieri come prova per avallare la tesi del suicidio.

La critica era rivolta a tutto un modo di concepire la politica solo come politica della propria persona, e quindi come pri-vilegiamento e centralità della soddi-sfazione dei propri bisogni isolati dal con-testo del rapporto sociale e della lotta di classe.

Isole di malcontento

Se tutto questo aveva originariamente comportato la demolizione di alcune for-me culturali tipiche dell’autoritarismo borghese, per altro aspetto ne segnava un modo di recupero, proprio per la disinte-grazione delle coscienze e il disimpegno della militanza, insiti nel rifiuto della struttura organizzata.

Si può dire che si riaffacciavano dalla finestra gli aspetti di quella cultura mafio-sa gettati via dalla porta, ma quasi conna-turati a un certo modo di essere, più orien-tato verso l’indifferenza qualunquistica che verso la lotta, più verso la scelta di so-litudine, legata all’antica sensazione che niente sarebbe cambiato, che verso la stra-da di un rapporto d’intervento che trae forza dalla socializzazione.

Ognuno era un’isola di malcontento e non riusciva a trovare il modo di comu-nicare con gente nuova e cercare di rom-pere il cerchio. Senza dubbio si pagava, ed anche dopo si è pagato, la scelta di essere andati troppo avanti, di avere erettoil rifiuto a sistema di esigenza, la volontà di ritagliare il proprio pezzo di vita senza interferenze e senza voler cadere nella “palude” dell’integrazione e del compromesso con il sistema.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7878

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Lo sfascio del “movimento”di giro”

L’eterogeneità del gruppo, edili, fem-ministe, diplomati, ragazzi, laureati, stu-denti, lavoratori giornalieri, quasi tutti disoccupati, trovava un punto d’identifi-cazione solo in questa sensazione di “di-versità”, in rapporto ad un esterno sordo, che si rifiutava di ascoltare e che chiede-va sottomissione per offrirti un lavoro e la garanzia di sopravvivenza: conseguen-te quindi, in molti casi, lo scollamento e il ripiegamento nel microcosmo di se stessi.

Nelle tematiche del movimento del ’77Peppino si era subito buttato con l’entu-siasmo che lo rigenerava nel momento incui scopriva strade nuove e nuove espe-rienze di lotta contro il sistema: «ripren-diamoci la vita», cioè ristabilire un rap-porto diretto con la propria soggettività, era qualcosa di cui avvertiva urgente-mente il bisogno.

La sbronza del “personale” era tuttaviatroppo fuori dai suoi schemi di militante e di soggetto politico con una solida pre-parazione marxista: presto ne aveva in-travisto i limiti, con l’intuizione politica che lo contraddistingueva, e ne aveva drammaticamente vissuto le conseguen-ze, constatando lo sfascio generale del “movimento”.

* * *La mattina del 9 maggio carabinieri e

agenti della Digos fecero irruzione nella casa della zia di Peppino, presso la sta-zione Cinisi-Terrasini, dove solitamente Peppino dimorava e pernottava. Portaro-no via sacchi di materiale, libri, appunti ealtra roba. Di tutto questo non venne re-datto, per quel che ne sappiamo, un det-tagliato verbale né fu possibile prendernevisione, tanta era in quel mattino la con-fusione e il senso di smarrimento.

Tra le cose sequestrate venne trovata lafamosa “lettera” che sarebbe il presunto testamento, con il quale Peppino dichia-rava di volere abbandonare «la politica e la vita». Chi dirigeva le indagini credette di toccare il cielo con un dito e si buttò su quella lettera, che avrebbe dovuto es-sere l’elemento probante del suicidio.

* * *Cercando accuratamente tra le poche

cose scritte rimaste e sfuggite al seque-stro, sono state trovate le note autobio-grafiche e una seconda copia autografa della lettera. Trascriviamo i due testi, ri-copiando, del primo, quello che riporta il“Giornale di Sicilia”, cui il documento è stato fornito da coloro, inquirenti o magi-strati, che ne erano venuti in possesso dopo la perquisizione.

La lettera

«Oggi ho provato un senso profondo dischifo alle 18,30 circa. Sono nove mesi, quanti ne servono per una normale gesta-zione, che medito sull’opportunità, o for-se sulla necessità di “abbandonare” la politica e la vita. Ho cominciato esatta-mente il 13 febbraio, alla vigilia delle prime manifestazioni studentesche citta-dine».

Nelle sue righe poi Impastato esprime il desiderio di ritornare a vivere e a sorri-dere come nel 1968 e fino a tutto il 1976.

«Le persone peggiori – continua – che ho conosciuto sono proprio i “personali-sti” e i cosiddetti “creativi” (ri-creativi, visto che non creano un cazzo): a loro preferisco criminali incalliti, ladri, prosti-tute, stupratori, assassini e la “canaglia” in genere. Ho buttato la mia sensibilità inpasto ai cani. Ho cercato con tutte le for-ze che mi restano in corpo di riprendere quota: non ci sono riuscito, anche se con-fortato dall’affetto e dalla fiducia di com-pagni, “alcuni” compagni, vecchi e nuo-vi. Il parto non è stato indolore, ma la de-cisione è presa. Proclamo pubblicamente il mio fallimento come uomo politico e come rivoluzionario (la frase è sottoli-neata). Non voglio funerali di alcun ge-nere, dal punto di morte all’obitorio (la sola seconda parte della frase è sottoli-neata). Gradirei tanto di essere cremato eche le mie ceneri venissero gettate in unapubblica latrina della città, dove piscia più gente. Addio. Giuseppe».

La seconda lettera

Ed ecco il testo della seconda lettera:«Sono nove mesi ormai, quanti ne oc-

corrono per una normale gestazione, che medito sull’opportunità, o forse sulla ne-cessità di “abbandonare” la politica. Ho cominciato esattamente il 13 febbraio, vigilia della prima manifestazione stu-dentesca cittadina.

Ricordo molto bene che trascrissi, quelgiorno, su una parete del circolo una strofa tratta da una famosa canzone del ’68 in cui si parla di compagne e compa-gni, di operai e studenti e di “tante facce sorridenti”. Volevo esprimere, con quel gesto, il desiderio di tornare a sorridere e a vivere intensamente come mi succede-va nel ’68 e fino a tutto il ’76. Ma si trat-tava soltanto di una pietosa aspirazione e ne avevo piena coscienza.

Due mesi e mezzo di menate sul “personale” e di allucinanti enunciazioni sul “riprendiamoci la vita” mi avevano aiutato a ritagliarmi notevoli “spazi di morte”, mi avevano annegato in un mare di ipocrisia e di malafede, pregiudicando irrimediabilmente ogni mia possibilità di recupero.

La gente peggiore l’ho conosciuta pro-prio tra i “personalisti” (cultori del perso-nale) e i cosiddetti “creativi” (ri-creativi):un concentrato di individualismo da por-cile e di “raffinata” ipocrisia filistea: a loro preferisco criminali incalliti, ladri stupratori, assassini e la “canaglia” in ge-nere.

Debbo purtroppo riconoscere d’aver dato la mia sensibilità in pasto ai cani. Ho cercato con tutte le forze che mi restavano in corpo di riprendere quota, incoraggiato dalla fiducia e dall’affetto dialcuni compagni (vecchi e nuovi): non cel’ho fatta, bisogna prenderne atto. Il mio sistema nervoso è prossimo al collasso e,sinceramente, non vorrei finire i miei giorni in qualche casa di cura. Ho biso-gno, tanto bisogno, di starmene un po’ solo, riposarmi, curarmi.

Spero di riuscirci. Il parto non è stato indolore, ma la decisione è ormai presa. Proclamo pubblicamente il mio fallimen-to come uomo e come rivoluzionario».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 7979

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I mesi del dolore

Per chi vi presta un po’ d’attenzione, i due testi presentano sostanziali differen-ze: il primo è stato scritto in un momentoemozionale difficile e di sfiducia: simili momenti di crisi depressiva erano tipichedel carattere di Peppino, che poi riusciva a venirne fuori, maggiormente ricaricato,nell’impegno e nella lotta politica, come era successo nelle ultime settimane, al-lorché la campagna elettorale lo aveva visto impegnatissimo, al punto da ricor-rere alle fleboclisi, per risolvere certi fa-stidi epatici, e da rifiutare assolutamente di bere alcun tipo di alcolici.

Da escludere quindi totalmente che, nei giorni precedenti alla sua morte Pep-pino fosse abbattuto e depresso.

Del resto, se è detto: «Ho cominciato il13 febbraio», e se sono accorsi «nove mesi ormai, quanti ne servono per una normale gestazione», la data della lettera è localizzabile nella prima quindicina delnovembre ’77. E dal novembre del ’77 almaggio ’78 intercorrono sette mesi.

Oltre l'angoscia

Nel secondo testo è detto: «Medito sull’opportunità di abbandonare la politi-ca»; si noti, «la politica», non «la vita»; manca inoltre l’ultima parte relativa ai funerali e alle «ceneri». Inoltre la grafia della prima lettera è affrettata e nervosa, in confronto a quella della seconda, che èin caratteri quasi in stampatello e presen-ta pochissime cancellature: il che dimo-stra che i due testi sono stati scritti in unabreve scadenza di tempo, ma che il se-condo rappresenta un momento di supe-ramento del precedente stato di angoscia e di correzione e revisione di alcune frasidel primo.

La volontà di morte, dalla quale ognu-no di noi è passato prima o poi, in qual-che giorno della sua vita, è superata, e il senso di sfiducia nei riguardi dell’attivitàpolitica, che peraltro, nei residui sette mesi non si è concretizzato, è derivato dalla diversa proiezione dell’ombra del Rostagno macondiano, rispetto al mili-tante di Lotta Continua, che tanto aveva colpito Peppino.

La militanza attiva

Certamente l’originaria esperienza nei gruppi marxisti-leninisti aveva lasciato forti radici nella formazione di Peppino, il quale riusciva a concepire l’impegno politico essenzialmente come militanza attiva e, per contro, non riscontrava tale modo di azione in nessuno dei nuovi compagni, da quando il “gruppo storico” si era disperso, soprattutto per motivi di lavoro.

La nuova ideologia dei “bisogni”, con-nessa all’esigenza di non perdere il valo-re dello stimolo alla “creatività”, aveva-no creato una serie di problemi e con-traddizioni, la cui soluzione, del resto, si presenta ancora problematica per molti compagni della sinistra rivoluzionaria.

Salvo Vitale,“Peppino Impastato,una vita contro la mafia”,Rubbettino 2002

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In rete, e per le stradeDiffondilo anchenella tua città!

Il foglio dei SicilianigiovaniI SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8181

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Donne

Le mimosedi BucarestAnna è la mamma di Rares, un bambino “troppo piccolo” per lasua età...

di Miriana Squillaci www.associazionegapa.org

Questa è la storia di uno degli eroi di

cui vi ho raccontato: non conosco il

suo nome, la sua età, e la descrizione

fisica non è importante. L’ho conosciu-

ta, per caso, durante una delle mie ses-

sioni di animazione clinica nel reparto

di ortopedia dell’ospedale Marie Curie

di Bucarest, e non ho mai dimenticato

il suo sorriso, la sua curiosità, l’ener-

gia che ci ha regalato.

Lei è la mamma di Rares, un bambino

di 9 anni “troppo piccolo” per la sua età

ma con una fantasia e un entusiasmo

molto più grande del suo corpo, e forse

anche del nostro.

Parlando con le altre donne

Non capita spesso di poter interagire

con le madri dei bambini, un po’ per le

barriere linguistiche, un po’ perché dopo

aver passato così tanto tempo in ospeda-

le, totalmente assorte nella cura dei pro-

pri figli (di solito i bambini con cui fac-

ciamo animazione hanno un lungo perio-

do di ospedalizzazione), alcune di loro

approfittano delle nostre attività con i

bambini per fare una piccola pausa e

parlare con le altre donne. Ma questa

volta è stato diverso.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8282

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“Una dei milionidi donne

che ogni giornodonano

un pezzettodi se stesse”

Fra un wow e un mama mea

Anna (la chiameremo così) è stata con

noi durante tutta la sessione, continua-

mente richiamata all’attenzione da Rares,

ansioso di mostrale il pupazzetto di carta,

gli origami, la corona e lo scettro magico

che abbiamo costruito insieme. Tra un at-

tività e l’altra, tra un wow e un mama

mea, nonostante il nostro rumeno un po’

stentato e molto divertente Anna ci ha

fatto molte domande su di noi, sul nostro

lavoro, sui nostri paesi (insieme a me

c’era un’altra volontaria dall’Estonia),

con un volto che trasudava curiosità ed

interesse, riuscendo con lo stesso interes-

se e pazienza a raccontarci un po’ della

sua storia.

Rares, già affetto da una forma di ra-

chitismo, ha dovuto combattere con

un’epatite che lo ha costretto ad un tra-

pianto di fegato; trapianto possibile gra-

zie alla forza di questa grande donna che,

mostrandoci la sua ferita, ci ha spiegato

di avergliene donato un pezzo. Avrebbero

preferito fare questa operazione in Spa-

gna ma il viaggio, così come l’assistenza

medica, sarebbe stato troppo costoso,

così l’unica soluzione è stata sperare in

una buona riuscita dell’operazione in Ro-

mania.

Adesso si trovano nella loro piccola e

buia stanza d’ospedale, senza bisogno di

accendere nessuna luce perché bastava la

loro speranza, il loro coraggio, la loro

energia, ad illuminarla. Una luce che ci

ha travolte ed ha iniziato a far nascere in

me la volontà di osservare e valorizzare

di più di questi piccoli grandi eroi che

ogni giorno migliorano le nostre vite con

piccoli gesti e grandi doni.

La bellezza di essere donne

Anna è solo una delle milioni di donne

che oggi giorno donano un pezzetto di se

stesse. Ho conosciuto madri forti come

rocce capaci di trasformarsi in speranza;

incontrato insegnanti pronte a regalare le

loro energie per educare e formare, non

soltanto istruire; ho visto direttrici di mu-

sei quasi piangere di fronte all’abbando-

no e alla distruzione dell’arte e della cul-

tura...

E poi ho pensato a voi cari amici che

state leggendo, ed ho sentito il desiderio

di condividere la necessità di far cono-

scere e apprezzare queste storie, questi

eroi, questa semplicità perché attraverso

queste possiate riconoscere l’importanza

e la bellezza di essere donne.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. – pag. 8383

Page 84: I Siciliani - marzo 2013

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Integrazioni/ Bologna

Lavora e diventeraicome noi (forse)Abdou è un meridiona-le come tanti altri. Con una laurea in tasca...

di Attilio Occhipinti www.generazionezero.org

Siamo in primavera. Qui a Torino il sole inizia a fare il simpatico, dopo es-sersi nascosto tra le nuvole per tutto l’inverno, dispettoso nei confronti di chil'ha chiamato invano.

Si sente proprio nell’aria che il tempo è cambiato, lo si può leggere sui volti delle persone che passeggiano in centro; molti di loro, con gioia, hanno riposto la sciarpae i guanti dentro l’armadio.

Camminare per le strade di Torino è molto piacevole perché è tutta pianeg-giante, la fatica si sente poco. Tantissime persone, studenti e lavoratori, vanno in bici. Scorrazzano pedalando veloci sui marciapiedi, quasi sbeffeggiando chi cam-mina a piedi.

Circa un paio di settimane prima delle ultime elezioni andai al mercato di Porta Palazzo con la mia collega. E’ uno dei piùgrandi mercati d’Europa. C’è davvero di tutto, i prezzi sono vantaggiosi e la roba è molto buona, basta avere occhio. Le gri-da, la confusione modello Bombay, gli odori, il cibo, le bancarelle, tutto ricorda la Fiera di Catania. Se mi concentro possoritornarci col pensiero, immaginando per un attimo che in fondo al mercato ci sia via Etnea e non Corso Regina Margherita.

Dopo aver attraversato il mercato, ac-cettai l’invito della mia collega e salii a casa sua per un caffè. Lei abita in un mo-nolocale, un posto piccolo, ma molto carino, insieme al suo ragazzo. Preso il caffè, andammo a fumare una sigaretta sulpianerottolo davanti alla porta d’ingresso dell’appartamento, per non riempire il monolocale di fumo. E fu allora che co-nobbi Abdou.

“Un mio amico dell'università”

Stava salendo le scale con in mano una busta del panificio: «Ciao, come stai?» fece lui, la mia amica rispose «Bene bene,tu? Ti presento un mio amico dell’univer-sità». Abdou è in Italia da circa sei anni,

ha famiglia e da poco ha perso il lavoro. Sua figlia aspetta spesso che la mia amica rincasi, così possono giocare insieme a pallone. Il volto di Abdou è segnato dalla stanchezza, gli occhi sembrano quasi adagiati sulle due grandi occhiaie. Sicuramente dev’essere stata una giornatamolto dura. Si appoggia contro il muro e tira un sospiro di sollievo. Forse ha dei dolori alla schiena.

A pochi giorni dalle elezioni

Eravamo a pochi giorni dalle elezioni e Abdou sembrava avere le idee molto chia-re:«Deve tornare Berlusconi! Lui è me-glio per Italia. Lui ha occhio aperto e oc-chio chiuso perché lui molto furbo. Ci vuole governo stabile in Paese: cinque, sette, dieci anni Berlusconi». Abdou ha superato la quarantina; nel suo paese, il Marocco, si era laureato in giurisprudenzae qui a Torino, dopo aver fatto il manoval-e, si ritrova senza lavoro e con una fami-glia da campare.

«Berlusconi ricco perché imprenditore eallora non ruba soldi di Italia come quello di una volta… come si chiama?! Eh…ecco, Prodi!». Insomma è illogico per Ab-dou che Berlusconi, essendo ricco, possa trarre profitto dalla politica. Prima di la-sciarci, ci dice con convinzione: «Studia-te, ma fate studio che serve per mercato…per lavoro, altrimenti difficile è vivere».

Camminando lungo la Dora verso casa mia, pensai alle parole di Abdou. Un im-migrato che ora non aveva più un lavoro, con una laurea in giurisprudenza che non vale nulla qui da noi e che con rabbia ave-va parlato a me e alla mia amica di merca-to del lavoro. Pensai alla sua laurea e alla sua attuale condizione nel nostro Paese. Pensai a quante ore avrà passato sui libri.

Passarono i giorni e ci furono le elezio-ni, con i risultati che ormai noi tutti sap-piamo recitare a memoria. Chiesi alla mia amica come stesse Abdou e la risposta fu secca e precisa: «L’hanno sfrattato. Avevale lacrime agli occhi, poverino».

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Integrazioni/ Bologna

E ti senti per sempreun po' cambiatoFacile diventare bolo-gnesi, qua dove “non siperde neanche un bambino”

di Beniamino Piscopo www.diecieventicinque.it

Lucio Dalla e Francesco Guccini era-no gli antenati, i Mani musicali del pe-riodo classico i cui vinili ispiravano gli strimpellatori di note, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Vasco invece è arrivato dopo, monopolizzando gli anniottanta, quelli del chic e dell’eccessivo, quelli contaminati dal disimpegno e dal barbarismo crauto, pater tanto dell’avanguardismo quanto dell’elettro dance tamarra.

Negli anni novanta c’è stata l’ondata del tortellini pop. Il periodo post classico ha visto l’affermarsi di cinni in vespa, di boy band debitrici di costumi e sonorità sassoni, e di hit che dagli Appennini sono celermente scese a valle, risuonando nei walkman e nelle audiocassette di tutto il suolo Italico.

Parallelamente a tutti questi periodi si sviluppava la scena underground che, ba-date, in tutte le sue molteplici forme non ha mai avuto un percorso separato ma in-vece, scevra da pregiudizi, si è spesso concessa a situazioni di amichevole pro-miscuità con la scena pop, intesa come popolare, e viceversa.

La Storia della musica italiana è anche la storia di una città, insomma. Bologna e l’Emilia, sono il crogiolo che spartana-mente ha forgiato le schiere di artisti che, in ogni tempo, hanno lottato per mantene-re alta la qualità delle canzoni nostrane.

Del resto, pensandoci bene, quale se non la città italiana del comunismo-ma-di-buon-senso, della cultura e della con-trocultura, organizzata ma che ogni tanto vuole atteggiarsi ad anarchica, poteva es-sere un’incubatrice più perfetta?

La domenica in piazza grande

Lucio sarebbe stato Dalla senza le sue passeggiate domenicali in piazza Grande, mentre cresceva stimolato dalla città in cui “non si perde neanche un bambino”?

Oggi, attraversando i giardini di piazza Cavour, può capitare di ascoltare un paio di tizi con voce vagamente rotta, dire “ Lì abitava Lucio Dalla” indicando il lungo piano di un palazzo borghese.

È passato più di un anno dalla sua mor-te, e i bolognesi quel signore tappetto, bu-sone, ricoperto da una consistente peluria che tradiva le sue origini terrone e dotato della voce più bella che abbia cantato la lingua italiana, lo ricordano ancora con l’affetto che solo agli eroi mitologici ve-niva elargito.

E di lui infatti la città ne parla come di un eroe o di un dio pagano. Il grande jaz-zista, il grande autore, il grande cantante, il grande scopritore di talenti…Per Bolo-gna tutte queste qualità, e la musica legge-ra in generale, sono cose troppo importan-ti per non farti elevare, soprattutto dopo lamorte, allo status di semidio.

Qualcuno considererebbe tale caratteri-stica come un segno di una società diver-samente laicizzata, io credo che la radice

vada piuttosto ricercata nell’amore che Bologna nutre per la bellezza, in tutte le sue arti, in tutte le sue forme. Ed esserne fonte, tanto basta per farti ricevere dalla città rispetto e gratitudine. È questo che rende speciale.

Quell'aria di lbertà

Perché Bologna non ti colpisce a prima vista. A un turista di passaggio apparireb-be l’ennesima graziosa città del centro nord, gotico-romanico- rinascimentale che, come le altre della zona, ha toccato ilsuo splendore nell’età comunale. Bella, ma non come Firenze; caratteristica, ma non più di Siena o Perugia.

Bologna però conquista gradualmente, il tempo necessario a cogliere quell’aria dilibertà, tolleranza e sperimentazione e so-prattutto di abituarsi alla meravigliosa idea che stia sempre per succedere qual-cosa. Perché Bologna è una città in dive-nire, qui tutto si crea e tutto si distrugge: mode, tendenze, ideologie.

Gente che viene, gente che se ne va

Cose che passano, come molte delle persone che vi vivono. È una città in dive-nire, perché parte della sua gente lo è.

Ogni anno, col finire dell’estate e l’ini-zio dell’anno accademico, si ripete da mille anni circa a questa parte il rituale della semina di nuove idee, nuove passio-ni, nuove personalità.

È questo il suo segreto, svelato il suo miracolo. E per gente che arriva e che renderà Bologna un po’ diversa, c’è gente che parte, per sempre un po’ bolognese e un po’ cambiata, rispetto a quando era ar-rivata.

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mondo su NORD &SUD mondo giù a cura di Tito Gandini

VotareIN TEMPO DI CRISIPaesi in crisi che hanno eletto un nuovo parlamento negli ultimi due anni: Irlan-da, Portogallo, Grecia, Spagna, Cipro, Italia. In nessuno di questi sei Paesi è stato confermato il Governo uscente. In 5Paesi e mezzo su sei hanno vinto partiti conservatori (in pratica la sinistra vince solo con Bersani alla Camera). Il primo punto di preoccupazione dei cittadini di questi Paesi è la disoccupazione: si va dal 51% per gli italiani al 78% degli spa-gnoli. Il debito pubblico (12% in Irlanda;21% in Irlanda) non è visto come un pro-blema dai Paesi in crisi, ma paradossal-mente per quelli non in crisi: il dato più alto è quello della Germania. L’affluenzaalle urne dei Paesi in crisi è oscillata tra il 58% e oltre il 70%.

Lavori in rete?E YAHOO TI LICENZIAMelissa Mayer, nuova capa di Yahoo (proveniente da) Google ha soppresso la possibilità per i dipendenti di lavorare dacasa. Al suo arrivo ha scoperto che molti dipendenti, con la scusa di lavorare da casa, in realtà si occupavano di progetti alternativi, arrivando anche a creare pro-prie start up. Etica individuale o colpa del management? Probabilmente entram-be le cose: da un lato per lavorare da casa serve una forte motivazione personale, dall’altro diminuisce così la capacità di indicare obiettivi misurabili e indipendenti dalla presenza fisica in ufficio. In ogni caso, questa è una brutta notizia per tutti.

DroniPERICOLOSIJohn O. Brennan è stato confermato con voto bipartisan a capo della Cia. I repubblicani hanno legato il loro sostegno a Brennan alla pubblicazione degli atti relativi agli omicidi miranti a cittadini americani, eseguiti dai droni, in territorio straniero. Quattro le vittime ufficiali, tre delle quali sono tuttavia dovute ad errori.

ChavezCRONOLOGIA

Febbraio 1992. Hugo Chávez tenta un colpo di stato contro l’allora presidente venezuelano Carlos Andres Perez. Chá-vez viene arrestato e passerà due anni in prigione, dove preparerà minuziosamenteil suo ingresso in politica.Dicembre 1998. Vince le presidenziali e diventa a 44 anni il più giovane presi-dente del Venezuela.Luglio 2000. Dopo l’entrata in vigore della costituzione bolivariana, gli viene confermato l’incarico con maggioranza assoluta. Aprile 2002. Subisce un tentativo di gol-pe che lo sospende per due giorni dal po-tere. Febbraio 2003. Resiste ad uno sciopero generale di 63 giorni senza dimettersi.Agosto 2004. Una commissione di osser-vatori internazionali conferma la regolar-ità del referendum con il quale viene confermato alla guida del Paese.Dicembre 2005. Mentre l’opposizione boicotta le elezioni, Chávez occupa tutti i167 seggi del parlamento.Aprile 2006. Cuba, la Bolivia e il Vene-zuela firmano un patto volto a impedire la realizzazione di un’area di libero scambio tra stati latinoamericani e Usa.Dicembre 2006. Chávez viene rieletto per 6 anni alla guida del Paese.Maggio 2007. Statalizza i giacimenti pe-troliferi dell'Orinoco (stimati come i più grandi del mondo).Maggio 2008. Statalizza la maggiore azienda acciaifera del Paese.Novembre 2009. Alleanza strategica del Venezuela con l’Iran.Dicembre 2009. Cuba e il Venezuela concordano progetti comuni per un mon-tante di 2,1 miliardi di Euro.Aprile 2010. Cooperazione militare con la Russia. Putin finanzia 17 elicotteri mi-litari.Ottobre 2012. Chávez vince le elezioni con il 55% dei suffragi.Marzo 2013. Muore a 58 anni.

In fugaDALLA SIRIA L’Onu annuncia che ci sono un milione di rifugiati che sono fuggiti dalla Siria: 7-8.000 al giorno. Milioni sarebbero coloroche sono stati obbligati a lasciare la propria casa, pur non essendo ancora usciti dal Paese. Medici senza frontiere continua, come tutte le ONG occidentali,a non essere autorizzata dal regime di Assad ad operare nei territori più critici della Siria.In due anni di guerra sono morte secondol’Onu 70.000 persone. Paradosso: 21 osservatori dell’ONU sonostati rapiti dagli oppositori al regime di Assad sulle alture del Golan.

MicrosoftMULTATA IN EUROPALa commissione europea ha multato per 561 milioni di Euro la Microsoft, per nonaver consentito agli utilizzatori la scelta del browser. Microsoft sostiene essersi trattato di un errore tecnico di cui intendeassumersi la responsabilità.

BusinessMODELLO GEORGIANOLa banca mondiale, pubblica la classificadei Paesi in cui è più facile fare business:per la cronaca, l’Italia è settantatreesima.Interessante è il caso della Georgia, che èpassata dalla posizione 137 nel 2005 alla posizione 9 oggi. Come hanno fatto? Hanno istituito una commissione che ha analizzato tutti i parametri di controllo che la classifica andava a spulciare per determinare l’ordine e ha legiferato con l’unico obiettivo di risalire la classifica. Stanziati 13 milioni di dollari per un pro-getto chiamato Georgia Business ClimateReform. Va be', successone, congratula-zioni dal Financial Times, CNN e BBC. Peccato però che nel frattempo sempre laGeorgia, avendo soppresso varie cose fracui i controlli antisofisticazione sugli alimenti, abbia fatto crescere il livello di botulismo presente, portandola a un pocoglorioso primo posto mondiale: le industrie alimentari sono tante, molte a conduzione famigliare, i black out frequenti, pochi i controlli.

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“Troppe botte,MI DIMETTO”Il presidente del consi-glio bulgaro Boiko Bo-risow si è dimesso in

seguito alle manifestazioni contro gli alti costi dell’elettricità: “Non voglio essere parte di un governo la cui polizia picchia i manifestanti”. In una recente manife-stazione la polizia ne aveva feriti venti-cinque.

“Ah, se fossimoRIMASTI IN IRAQ...”Prima di lasciare il proprio posto a capo del Pentagono, Leon Panetta ha voluto sottolineare come l’uscita repentina dall’Iraq, voluta da Obama, abbia sostan-zialmente annullato l’inflsuenza USA sulgoverno iracheno. Il rapporto evidenzia anche alcuni errori della politica ameri-cana, con un eccesso non coordinato di programmi grandiosi su cui non si è chiesta l’opinione degli iracheni, andan-do sostanzialmente ad operare nel vuoto di poteri che la guerra stessa aveva crea-to, senza riuscire a riportare il Paese alla normalità.

Governo tecnicoRESPINTO IN TUNISIAIl presidente del consiglio tunisino Ha-madi Jebali si è dimesso dopo aver pro-posto un Governo tecnico ed esserselo visto respingere. Dopo l’omicidio di Chokir Belaid, che la vox populi attribui-sce all'establishment tunisino, si sono susseguite le manifestazioni antigover-native.Dopo la primavera araba in Tunisia è ancora aperta la questione della defini-zione della nuova costituzione, mentre lavecchia nomenclatura politica stenta a farsi da parte. C’è voluto un mese per definire il nuovo gabinetto, e un mese per scoprire che in fondo va bene così: Ali Larayed, l’ex ministro dell’interno, sarà il nuovo presidente del consiglio e guiderà la stessa coalizione tripartita del Governo precedente.

Guerradi Corea“RIFACCIAMOLA!”Terzo test nuclearenordcoreano. Nuove sanzioni da parte dell’Onu. La Corea del Nord ha dichiarato nulli tutti gli accordi di non aggressione firmati con la Corea del Sud.Il 10 marzo gli Usa e la Corea del Sud hanno annunciato delle esercitazioni militari congiunte.

“Via i corrotti!”E SI DA' FUOCOPlaren Goranov, 36 anni, si è dato fuoco davanti al municipio di Varna, durante una manifestazione contro la corruzione. I politici gli hanno dedicato una giornata di lutto nazionale.La Bulgaria è il Paese più povero della comunità europea.

“Scappa, orso!ARRIVA IL CANADESE”I Paesi membri della convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate ha rifiutato di vietare il com-mercio internazionale dell’orso bianco. Per ferocia si è distinto il Canada, che sostiene che le popolazioni locali abbia-no sviluppato un modello equilibrato di caccia.

Il fantasmaDI SARKOZYIl tasso di disoccupazione in Francia è salito al 10%. Nicolas Sarkozy ha dichiarato che potrebbe essere “obbliga-to” a rientrare in politica dallo stato disa-stroso della politica francese.

Cento tibetaniTESTIMONI COL FUOCOIl 13 febbraio si è dato fuoco il centesi-mo tibetano a Kathmandu. La Cina continua con la linea dura, malgrado il cambiamento della guida politica avve-nuto a novembre.

CyberwarriorARRUOLATINEGLI USAGli Stati Uniti hannoistituito una medagia in onore deiosiddetti “cyberguerrieri”, un riconosci-mento per chi militarmente combattein difesa della patria via Web.

Waterloo:LA FRANCIA NON PERDONAJacques Delors ex presidente della com-missione Europea, ha suggerito al Regno Unito di lasciare l’Europa.

FratelliD'EUROPADaniel Cohn-Bendit ritiene che in Europ-a ci sia un asse schiacciasassi Cameron-Merkel, che ha monopolizzato l’accordo (2,1 miliardi di Euro alla Francia).

StragiDIMENTICATEQuattro poliziotti serbi di Bosnia sono stati condannati a 22 anni di reclusione per aver ammazzato 150 civili durante la guerra, il 21 agosto 1992.

ImagineA MILIONI IN PIAZZA PER LA PACESono passati 10 anni dalla manifestazion-e pacifista mondiale contro la guerra in Iraq: 30 milioni di persone in 60 Paesi.

Ancora fuoriBULGARI E ROMENILa Romania e la Bulgaria continuano a non essere parte dell’area Schengen. Sospesa la decisione dei ministri europei.

LontaneGUERRE D'AFRICAIl Brigadiere Wilfred Pingaud37 anni è laquarta vittima dell’esercito francese in Mali.

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IL FILO

Le guerre dei siciliani di Giuseppe Fava

Io ero un ragazzo e rimasi ferito sotto un bombardamento aereo che distrusse ilmio paese. Ebbi una gamba e un braccio spezzati, e un occhio quasi lacerato da una scheggia. Mi tennero una settimana in un ospedale da campo, mi ricucirono le ferite e tolsero le schegge senza ane-stesia. Ci davano un pomodoro al giornoper sopravvivere, dopo una settimana fi-nirono anche i pomodori. Allora scappai;avevo ancora le stesse bende insanguina-

te e putrefatte del primo giorno, avevo perduto dieci chili, con quella gamba spezzata percorsi venti chilometri per tornare al mio paese, volevo soprattutto disperatamente sapere se mia madre era ancora viva.

Quando arrivai alla periferia del mio paese distrutto, c'erano i soldati inglesi che rastrellavano i vecchi contadini e i ragazzi delle campagne. Presero anche me e mi dettero una vanga. “Seppellisci quei morti!” dissero. Lungo la strada, accanto al cimitero, c'erano quattrocentomiei compaesani morti nel bombarda-mento di sette giorni prima, una monta-gna di corpi spezzati, divelti, gonfi, dila-niati, putrefatti, e in mezzo a loro c'eranoesseri umani che per anni io avevo salu-tato per strada, ragazzi con cui avevo giocato, certo anche miei compagni di scuola, nessuno tuttavia riconoscibile poiché nessuno aveva sembianza umana.

Con le baionette innestate i soldati inglesi ci spinsero verso quella cosa or-renda.

“Seppelliteli!”. Con i bulldozer ave-vano scavato un'immensa fossa in un campo. Io ero un ragazzo, con la gamba e il braccio spezzati, una crosta di san-gue su mezza faccia e almeno cinque o sei schegge ancora dentro che l'ufficiale medico non aveva avuto tempo di estrar-mi, pesavo altri dieci chili di meno e so-prattutto ero convinto che sarei morto per la fame. Ero cioè in uno di quei mo-menti eccezionali della vita (può capita-re una volta, talvolta non capita mai) in cui ci si sente disposti a un gesto di eroi-smo. Perciò finalmente dissi: “Perché io?”. E l'ufficiale inglese, con la benda bianca sul naso e il berretto rosso disse dolcemente su per giù: “because you fall the war and those are your dead people!”.

Pressappoco: perché tu hai perduto la guerra e questo è il tuo popolo sconfitto!

Un popolo sconfitto

Solo molto più tardi nella vita capii che per tremila anni innumerevoli eser-citi si erano dati battaglia per conquista-re la Sicilia e che comunque i siciliani erano stati sempre sconfitti e avevano dovuto alla fine sempre seppellire i loro morti.

Questo concetto mi si para perfetta-mente dinnanzi, autentica verità storica, al cospetto della cosiddetta sindrome-Comiso, cioè della installazione della base di missili nucleari in Sicilia.I Siciliani,marzo 1983

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Il Direttore ne conobbe una da ragazzo, i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Si battè disperatamente per evitarne un'altra, quella dei missili di Comiso. In entrambi i casi la Sicilia era un bersaglio, con tutta la sua gente

____________________________________La Fondazione FavaLa fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promo-zione di attività culturali che coinvolgano i gio-vani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette la consultazione gratuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani.Per consultare gli archivi fotografico e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazione, scrivere a [email protected] [email protected]____________________________________Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani. Senza retorica, senza celebra- zioni, semplicemente uno stru- mento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

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I SicilianiI Sicilianigiovani giovani Rivista di politica, attualità e cultura

Fatta da:Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Giovanni Caruso, Giovanni Abbagnato, Francesco Appari, Lorenzo Baldo, Valerio Berra, Nando Benigno, Mauro Biani, Lello Bonaccorso, Paolo Brogi, Luciano Bruno, Anna Bucca, Elio Camilleri, Giulio Cavalli, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano, Salvo Catalano, Carmelo Catania, Giulio Cavalli, Antonio Cimino, Giancarla Codrignani, Dario Costantino, Irene Costantino, Tano D’Amico,Fabio D’Urso, Jack Daniel, Riccardo De Gennaro, Giacomo Di Girolamo, Tito Gandini, Rosa Maria Di Natale, Francesco Feola, Norma Ferrara, Pino Finocchiaro, Paolo Fior, Enrica Frasca, Renato Galasso, Rino Giacalone, Marcella Giamusso, Giuseppe Giustolisi, Carlo Gubitosa, Sebastiano Gulisano, Bruna Iacopino, Massimiliano Nicosia, Max Guglielmino, Diego Gutkowski, Bruna Iacopino, Margherita Ingoglia, Kanjano, Gaetano Liardo, Sabina Longhitano, Luca Salici, Michela Mancini, Antonio Mazzeo, Martina Mazzeo, Emanuele Midoli, Luciano Mirone, Pino Maniaci, Attilio Occhipinti, SalvoOgnibene, Antonello Oliva, Riccardo Orioles, Pietro Orsatti, Salvo Perrotta, Giulio Petrelli, Aaron Pettinari, Giuseppe Pipitone, Domenico Pisciotta, Antonio Roccuzzo, Alessandro Romeo, Vincenzo Rosa, Luca Rossomando, Giorgio Ruta, Daniela Sammito, Vittoria Smaldone, Mario Spada, Sara Spartà,Giuseppe Spina, Miriana Squillaci, Giuseppe Teri, Marilena Teri, Fabio Vita, Salvo Vitale, Chiara Zappalà, Andrea Zolea

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GiambattistaScidà e GianCarlo Casellisono stati frai primissimipromotori dellarinascita dei Siciliani.

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Cronache

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Gli ebookdei SicilianiI Siciliani giovani sono stati fra i primissimi in Italia adadottare le tecnologie Issuu, a usare tecniche diimpaginazione alternative, a trasferire in rete e su Pdf iprodotti giornalistici tradizionali. Niente di strano,perché già trent'anni fa i Siciliani di Giuseppe Favafurono fra i primi in Italia ad adottare ­ ad esempio ­ lafotocomposizione fin dal desk redazionale.Gli ebook dei Siciliani giovani, che affiancano ilgiornale, si collocano su questa strada ed affrontanocon competenza e fiducia il nuovo mercato editoriale(tablet, smartphone, ecc.), che fra i primi in Italia hannosaputo individuare.

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dalla vita com'è

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Ai lettori 1984Caro lettore, sono in tanti, oggi, ad accusare la Siciliadi essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia inprima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca ditradizioni, storia, civiltà e cultura, tiranneggiata dallamafia ma non rassegnata ad essa. Questo, però,bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere ditutti noi siciliani, prima che di chiunque altro; di frontead esso noi non ci siamo tirati indietro.Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci,non con le parole ma coi fatti. Abbiamo bisogno dilettori, di abbonamenti, di solidarietà. Perciò tiabbiamo mandato questa lettera: tu sai che dietro diessa non ci sono oscure manovre e misteriosi centri dipotere, ma semplicemente dei siciliani che lottano perla loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo stessoPaese: la mafia, che oggi attacca noi, domanitravolgerà anche te.Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze nonbastano. Perciò chiediamo la solidarietà di tutti isiciliani onesti e di tutti coloro che vogliono lottareinsieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lostesso: ma sarà tutto più difficile. I Siciliani

Ai lettori 2012Quando abbiamo deciso di continuare il percorso,mai interrotto, dei Siciliani, pensavamo che questaavventura doveva essere di tutti voi. Voi che ci aveteletto, approvato o criticato e che avete condiviso connoi un giornalismo di verità, un giornalismo giovanesulle orme di Giuseppe Fava.In questi primi otto mesi, altrettanti numeri deiSiciliani giovani sono usciti in rete e i risultati cilasciano soddisfatti, al punto di decidere di uscire entrol'anno anche su carta e nel formato che fuoriginariamente dei Siciliani.Ci siamo inoltre costituiti in una associazioneculturale "I Siciliani giovani", che accoglierà tutti icomponenti delle varie redazioni e testate sparse danord a sud, e chi vorrà affiancarli.Pensiamo che questo percorso collettivo vadasostenuto economicamente partendo dal basso,partendo da voi. Basterà contribuire con quello chepotrete, utilizzando i mezzi che vi proporremo nelnostro sito.Tutto sarà trasparente e rendicontato, e per esserecoerenti col nostro percorso abbiamo deciso diappoggiarci alla "Banca Etica Popolare", che con i suoiprincipi di economia equa e sostenibile ci garantiscetrasparenza e legalità. I Siciliani giovani

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Nel 1986, e di nuovo nel 1996, i Sicilianidovettero chiudere per mancanza dipubblicità, nonostante il successo dipubblico e il buon andamento dellevendite. I redattori lavoravano gratis, magli imprenditori non sostennero in alcuna

maniera il giornale che pure si batteva per liberare ancheloro dalla stretta mafiosa.Non è una pagina onorevole, nella storia dell'imprenditoriasiciliana.

Chi sostiene i Siciliani

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I Siciliani giovani è un giornale, è un pezzo di storia,ma è anche diciotto testate di base ­ da Milano aModica, da Catania a Roma, da Napoli a Bologna, aTrapani, a Palermo ­ che hanno deciso di lavorareinsieme per costituire una rete.Non solo inchieste e denunce, ma anche il raccontoquotidiano di un Paese giovane, fatto da giovani, vissuto inprima persona dai protagonisti dell'Italia di domani. Fuori daipalazzi. In rete, e per le strade.

facciamorete!In rete, e per le strade

I Siciliani giovani che cos'è

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"A che serve essere vivi, se non c'èil coraggio di lottare?"

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