I Siciliani - aprile 2012

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I Siciliani n.4 aprile 2012 www.isiciliani.it Mazzeo/ Mafia e Muos: amici o “passavo per caso”? Menapace/ Italia anno zero Mirone/ Intervista a Enzo Maiorca Di Natale/ Nel campo di Mineo Gulisano/ Il mio ‘92 Abbagnato/ I cantieri di Palermo/ Satira/“Mamma!” Jack Daniel Morrione/ Ricordo di “Vik” Arrigoni CASELLI/ DELL’UTRI COME ANDREOTTI DALLA CHIESA/ IN NOMINE PILATI MEMORIA/UN PARTIGIANO DI LICATA giovani A che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare? BAVAGLIO MONTI FA CHIUDERE TELEJATO “..chi ha date ha date ha date chi ha avute ha avute ha avute Mo’ scuordamoce ‘o passate simm’e Pàdani paisà...”

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Rivista di politica, attualità e cultura

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I Siciliani n.4

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012www.isiciliani.it

Mazzeo/ Ma�a e Muos: amici o “passavo per caso”? Menapace/ Italia anno zeroMirone/ Intervista a Enzo Maiorca Di Natale/ Nel campo di Mineo Gulisano/ Il mio ‘92Abbagnato/ I cantieri di Palermo/ Satira/“Mamma!” Jack Daniel Morrione/ Ricordo di “Vik” Arrigoni CASELLI/ DELL’UTRI COME ANDREOTTI DALLA CHIESA/ IN NOMINE PILATI MEMORIA/UN PARTIGIANO DI LICATA

giovaniA che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare?

BAVAGLIO MONTI FA CHIUDERE TELEJATO

“..chi ha dateha date ha datechi ha avuteha avute ha avuteMo’ scuordamoce‘o passatesimm’e Pàdanipaisà...”

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Povero Fardazza, non è riuscito a chiudere Telejato. Invece il professor Monti sì. Hai visto che fa fare la cultura? Un poverac-cio qualunque, un “don” di media tacca (ma a Partinico impor-tante) aggredisce, minaccia, fa tutto il suo onesto lavoro di boss mafioso e non conclude un tubo: Telejato continua a trasmettere e il maledetto Maniàci è ancora là. Invece ti arriva il professore, non si agita, tutto compìto e sorridente, e in capo a un mese da oggi, pufféte, Telejato non c’è più.

E’ vero che al professore una mano l’ha data, con una furba leggina, anche il buon Berlusconi. Ma per il punteggio non con-ta, vale chi segna il gol, non chi gli ha passato la palla. Anche perché la leggina di Berlusconi, il professore, sostanzialmente l’ha lasciata là.

* * *Dei nostri valenti redattori, questo mese, uno non ha potuto

fare il suo pezzo perché s’è dovuto trasferire al nord, non minac-ciato dalla mafia, ma dalla miseria. E’ uno che fa il giornalista da quindici anni. Un altro pezzo non è arrivato perché – ha tirato a pretesto lo scansafatiche – il suo autore era troppo stanco per scriverlo, dopo una decina di ore passate a spaccar marciapiedi come muratore precario. E’ uno che lavora con noi dall’85. Un terzo pezzo è arrivato in extremis perché il suo valente autore, che fa il giornalista circa dal ’95, solo ieri è riuscito a trovare, almeno provvisoriamente, un posto dove dormire. Parlavamo – per l'appunto – di libertà di stampa.

* * *A Catania, città felicissima, l’altro giorno hanno fatto una bel-

lissima festa a tema, sul tema “Sicilia tradizionale del buon tem-po antico”. La festa, difatti, si chiamava “Baciamo le mani par-ty” ed era ospitata da uno dei più moderni e trendly locali etnei, la “Villa Paradiso dell’Etna” che certo, se fate vita mondana, co-noscete.

Sarebbe da film di Pierino (come quasi tutto ciò che riguarda i notabili catanesi) se non ci fosse il particolare che “Villa Paradiso” è anche della Famiglia Rendo, quella che secondo dalla Chiesa “andava alla conquista di Palermo col beneplacito della mafia” e secondo Giuseppe Fava faceva parte dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse”.

Senza questo particolare sarebbero bastati, come dicono qui, “fischi e piriti”per sbarazzarsi dei buffi personaggi. Mentre in-vece a questo punto è necessario l’intervento del ministro dell’interno - che è stato a Catania e sa di che si parla – per dare, con un provvedimento esemplare, certezza del diritto ai soprav-vissuti catanesi onesti.

I Siciliani(r.o.)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 3– pag. 3

Libertàdi stampa

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I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani APRILE 2012 numero quattro

Questo numero

Libertà di stampa I Siciliani 3Come Andreotti di Gian Carlo Caselli 6Ego te absolvo in nomine Pilati di Nando dalla Chiesa 7

Libertà di stampaBavaglio su Telejato di Michela Mancini e Salvo Vitale 8Telejato non ti meritiamo di Ivano Asaro 10Chi ha paura del Casalese? di Arnaldo Capezzuto 11L'agonia del quarto potere di Pietro Orsatti 12Vite precarie, pagine precarie di Valeria Calicchio 14I cronisti ragazzini di san Cristoforo di News Boys 16

Accadde domani di Francesco Feola 18

“Tengo famiglia”Com'è nata la Lega di San Libero 20

Inchieste

Mafia e Muos/ “Passavamo per caso” di Antonio Mazzeo 24Nel campo di Mineo di Rosa Maria Di Natale 30

Sicilia

Palermo/ Dentro i cantieri di Giovanni Abbagnato 34Siracusa/ Intervista a Enzo Maiorca di Luciano Mirone 36Aziende confiscate: falliscono 9 su 10 di Agata Pasqualino 38Trapani/ L'affare porto di Rino Giacalone 40Pozzallo/ Le tangenti di Giorgio Ruta e Daniela Sammito 42Avola/ Agroindustriale fantasma di Giulio Pitroso e Marco Urso 44Salemo/ Sciolti per mafia: e ora? di Rino Giacalone 46

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 4– pag. 4

Tanto per

Come riempire le poche righe che restano, tanto per non

lasciarle in bianco? Crolla (un quarto delle vendite in

meno) la Fiat, che strozza gli operai, e sale invece (15

per cento di guadagni in più) la Volkswagen, che gli

operai li tratta bene. Crolla l’occupazione giovanile in

Italia, con un milione secco di posti in meno.

Dimagriscono i bambini greci (è una notizia vera:

all’Unicef risultano i più sottopeso d’Europa), il vetitré

per cento dei quali vive in condizioni di povertà. E

infine, in Ispagna, il governo prepara leggi per punire (da

due anni di galera in su) chiunque utilizzi l’internet per

convocare manifestazioni di piazza. Spagna

lungimirante, e noi ancora fermi ai semplici bavagli.

*

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SOMMARIOSatira

Mamma a cura di Biani Gubitosa e Kanjano 49Come volevasi dimostrare di Jack Daniel 58

Graphic journalism

Giancarlo Siani a cura di DaSud 53

Fotoreportage

Come una bomba atomica di Ruggero Delfini 59

SocietàItalia/ A che punto siamo di Lidia Menapace 65Le stragi e il Gattopardo di Giorgio Bongiovanni 66L'antimafia a scuola di Irene Di Nora 68Mafia/ La colonizzazione di Ester Castano 70Bologna/ Fra mafia e antimafia di Salvo Ognibene 72Mafia e Lega di Roberto Rossi 73Lavoro/ Vite tossiche di Gaia Bozza 74

StoriaMiraglia/ L'antimafia rossa di Elio Camilleri 76

SpettacoloEmma Dante/ In scena la rivoluzione di Chiara Zappalà 78

TecnologieBitcoin/ A chi fa paura? di Fabio Vita 80

TestimonianzeIl partigiano Severino di Giobatta Canepa “Marzo” 84Due ragazzi a Genova di Cinzia Robbiano 87

La memoria

Ricordo di “Vik” Arrigoni di Roberto Morrione 88Il mio Novantadue di Sebastiano Gulisano 90Il grido e la forza degli abbandonati di Fabio D'Urso 92

Il filoGli invulnerabili di Giuseppe Fava 93

L'immagineRicordatevi che questo è Stato di Raffaele Lupoli 95

______________EbookScidà/Il casoCataniain omaggiocon questonumero

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DISEGNI DI MAURO BIANI

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Il succo delle 146 pagine con cui

la Cassazione ha chiuso il terzo (ma

non ultimo) capitolo del caso

Dell’Utri è a pag. 129, dove sta scrit-

to che “in conclusione il giudice di

merito (cioè la Corte d’appello di Pa-

lermo cui il processo è stato rinviato)

dovrà esaminare e motivare se il con-

corso esterno sia oggettivamente e

soggettivamente configurabile a cari-

co di Dell’Utri anche nel periodo –

1978/1982 - di assenza dell’imputato

dall’area imprenditoriale Fininvest;- e

se il reato contestato sia configurabile

sotto il profilo soggettivo anche

dopo”.

Certezze e dubbi

Dunque, due certezze e altrettanti

interrogativi. La prima certezza è che

il concorso esterno esiste: sono state

severamente bocciate le curiose tesi

che avevano portato il PM Iacoviello

a dichiarare troppo frettolosamente la

morte presunta di questa fattispecie,

che rappresenta l’unica arma disposi-

zione di chi voglia contrastare la ma-

fia anche investigando la “zona gri-

gia” che ne costituisce la spina dor-

sale.

La seconda certezza è che

l’imputato Dell’Utri è responsabile

– in base a prove sicure - del reato

di concorso esterno con Cosa nostra

per averlo commesso almeno fino al

1978, operando di fatto come media-

tore di Berlusconi.

Il concorso esterno c'è

Poi vengono gli interrogativi: e

cioè se il reato debba ritenersi com-

messo anche nel quadriennio succes-

sivo (quando l’imputato andò a lavo-

rare con il finanziere Rapisarda);- e

se nel periodo ancora successivo il

reato – ravvisabile quanto all’elemen-

to materiale, posto che risultano pa-

gamenti Finivest in favore della ma-

fia protratti con cadenza semestrale o

annuale fino a tutto il 1992 (pag. 128

della Cassazione) – possa ritenersi

realizzato anche sotto il profilo sog-

gettivo del dolo.

A seconda delle risposte date a

questi interrogativi sarà calcolata - in

base ai parametri già fissati dalla

stessa Cassazione – la data della

eventuale prescrizione (sempreché

l’imputato non vi rinunzi).

Collusione con la mafia

Quale che sia la risposta agli inter-

rogativi suddetti, fin d’ora è impor-

tante rilevare come il caso Dell’Utri

sia speculare al caso Andreotti: nel

senso che esponenti fra i più autore-

voli del modo politico ed imprendito-

riale italiano non hanno avuto alcuna

esitazione od imbarazzo – anzi! – ad

intrattenere cordiali e proficui rap-

porti, non sporadici, con la criminali-

tà mafiosa. Una realtà di collusione

con la mafia sconvolgente, consacra-

ta in Cassazione.

Facendo finta di niente

Ora, poiché le sentenze - emesse in

nome del popolo italiano – sono mo-

tivate proprio perché il popolo possa

conoscere i fatti i base a cui l’imputa-

to viene dichiarato responsabile, sa-

rebbe lecito attendersi che si apra fi-

nalmente un serio dibattito su cosa

mai sia successo in Italia in certi pe-

riodi.

Altrimenti, facendo finta di niente

anche per Dell’Utri, come già è

avvenuto per Andreotti, potrebbero

essere sostanzialmente legittimati

(per il passato, ma pure per il presen-

te e per il futuro) anche torbidi e ver-

gognosi rapporti col malaffare mafio-

so. Con evidenti pericoli per la quali-

tà della nostra democrazia.

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L'Italia di Dell'Utri

ComeAndreotti di Gian Carlo Caselli

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Sentenza Dell’Utri. Sono uscite le

motivazioni. E una volta di più vien

da pensare che siamo nell’era di una

nuova letteratura giudiziaria. Quella

delle sentenze chirurgiche. Funziona

così. Il giudice non se la sente più di

procedere ad assoluzioni scandalose

nei confronti degli esponenti del po-

tere. E questo è un buon segno.

Come funziona

Vuol dire che non ce la fa a sfidare

frontalmente la storia, a piantare il

suo nome nel grande libro nero dei

complici della mafia o della grande

corruzione che ha devastato il Paese.

E quindi si ingegna di salvare insie-

me la propria poltrona (intesa come

status di relazioni presenti e future) e

la propria onorabilità davanti ai po-

steri.

Santa Prescrizione

E’ un esercizio difficile, complica-

to. Bisogna essere un po’ Pilato e un

po’Azzeccagarbugli. Dunque prima

di tutto si fa la cosa che coincide il

più possibile con i desideri del poten-

te. Oggettivamente, si intende. Non

per interesse, ma per moto interno

dell’animo. Il potente non viene con-

dannato.

Attenzione: non è che venga assol-

to. Semplicemente non viene condan-

nato. Nel senso che il processo va ri-

fatto. Oppure si trascina il processo

fino al momento in cui “purtroppo”

scatta la prescrizione. Oppure si con-

cedono giusto quelle attenuanti (an-

che le più comiche) che fanno scatta-

re sempre Santa Prescrizione. Insom-

ma, si evita l’effetto “assalto al giudi-

ce”, tipo quello che toccò a Caselli.

Tutto vero ma però

Poi però, ed ecco la botta di indipen-

denza, nelle motivazioni si scrive che

i fatti imputati sono sostanzialmente

tutti veri. Certo il reato - che so,

l’associazione mafiosa - è durato fino

al 4 ottobre del 1991, mentre già dal

5 ottobre, oplà, non si può più dire (è

la chirurgia, bellezza…).

La sentenza così può essere usata a

difesa delle proprie ragioni da tutti e

due gli schieramenti: quello

dell’imputato, che reclama l’innocen-

za del proprio beniamino; e quello

avverso all’imputato, che sottolinea

la veridicità dei fatti.

Chiaro, no?

Il guaio è che i due schieramenti

hanno una potenza di fuoco mediatica

molto diversa. E quindi la tesi

dell’innocenza sarà la tesi che entrerà

con più facilità nelle teste degli italia-

ni. Insomma: il giudice, chiamato a

chiudere una partita, non fa che

riaprirla e affidarla ai rapporti di

forza sociali. Che è il contrario della

giustizia. O no?

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L'Italia di Dell'Utri

Ego te absolvoin nomine Pilati di Nando dalla Chiesa

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Libertà di stampa

Tv libere addioBavaglio su TelejatoTelejato, piccola“roc-caforte“dell’informa-zione libera, trasmette da Partinico, a due passi da Palermo, epi-centro di uno dei terri-tori a più alta densità mafiosa. Direttore del-la “più piccola televi-sione del mondo, con il telegiornale più lun-go del mondo“ è Pino Maniaci, un omino con un paio di baffoni e con una telecamera or-mai parte integrante del suo essere

di Michela Mancini e Salvo Vitale

Come ogni televisione comunitaria

ha dei limiti: tre minuti di pubblicità

all’ora e l’ obbligo di realizzare il 60%

di autoproduzione al giorno.

«Significa, dice Maniaci, che una tele-

visione comunitaria è quella che cavalca

il territorio. Telejato è sempre sul posto:

noi arriviamo prima della Polizia. Met-

tiamo in onda i consigli comunali. Siamo

diventati un’istituzione per i Comuni: le

amministrazioni prima di firmare una de-

libera ci chiamano: “possiamo

firmarla?”. Perché sanno che se eventual-

mente c’è un’illegalità gli facciamo il

culo quanto una casa. Finisce che quello

che trasmette Telejato diventa “materia-

le” per le agenzie nazionali».

Ma c’è di più, continua Pino: «Quando

mi mandano le lettere anonime, non

quelle di minacce, ma quelle per denun-

ciare anonimamente come si riformano

le cosche mafiose a Partinico, il maggio-

re dei Carabinieri mi dice: “Ma scusi

perché le mandano a lei e non a noi?”.

Ed io gli rispondo: “Perché si vede che

non c’hanno fiducia, visto che qua c’è

scritto che c’è coinvolto un carabiniere e

un finanziere”». Pino ride. «Se perdiamo

la leggerezza siamo rovinati, è la nostra

unica forza».

“Facciamo l'informazione vera”

Un attimo dopo è già serio: «Siamo noi

che facciamo l’informazione vera. Quel-

la che sta sul territorio, il giornalismo di

strada. Noi per dieci anni abbiamo dato il

culo e non ci siamo fermati davanti nes-

suna intimidazione mafiosa, l’ultima let-

tera non minacciava me, ma la mia fami-

glia».

In certi territori rimanere isolati signif-

ica rischiare la pelle. Semplicemente,

senza giri di parole.

Pino ha un motto che ripete giornal-

mente ai suoi ragazzi: «Ho preso come

punto di riferimento un signore che si

chiama Pippo Fava, il suo modo di inten-

dere il giornalismo dalla schiena dritta:

una buona informazione incide, diventa

determinante per un territorio. Può cam-

biare le cose».

Di tutto questo pare che lo stato possa

fare a meno. Lì dove non è riuscita la

mafia, è bastata una leggina del governo

Berlusconi per rendere imminente la

chiusura di questa e di tante altre voci li-

bere.

Una leggina di Berlusconi

Il 30 giugno, con il cosiddetto “switch

off” le televisioni comunitarie (circa 250

in tutta Italia) verranno abolite. Lo ho de-

ciso la legge di Stabilità del 2011, ma

non se n’è accorto nessuno, neanche

dall’opposizione. La loro lunghezza

d’onda è stata venduta alle reti di telefo-

nia mobile.

Il ministero dello Sviluppo Economico

ha disposto il pagamento per tutte le lun-

ghezze d’onda del digitale terrestre, ec-

cetto che per le tre reti RAI, per La 7, per

Sky. Questo “dono” è stato chiamato

“beauty contest”, ma è difficile capire in

che cosa consista il concorso di bellezza:

non certo nella scadente qualità di quello

che queste emittenti trasmettono.s

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di giro” Di fatto, Berlusconi ha cercato di fare

l’ennesimo regalo alle sue emittenti

estendendolo, per racimolare consenso, a

quelle che attualmente trasmettono su

tutto il territorio nazionale, bloccando

anche la possibile nascita di altre televi-

sioni concorrenti. Scelta che priva lo sta-

to di un introito valutato circa due miliar-

di di euro.

Il ministro Passera - che ha scoperto il

problema probabilmente anche grazie a

Telejato, che ha sollevato il caso con una

petizione corredata da tremila firme - ha

recentemente dichiarato che il beauty

contest sarà annullato e che le emittenti

Mediaset, Sky e La 7 dovranno gareggia-

re alla pari di altre. Una decisione degna

di un Paese normale. Avverrebbe in Italia

quel che accade in tutta Europa.

Una petizione per Telejato

Su questa faccenda si gioca la soprav-

vivenza del governo Monti: Alfano diser-

ta una riunione di maggioranza, Berlusca

annulla un pranzo con Monti. Tutti se-

gnali chiari.Se il provvedimento dovesse

arrivare in Parlamento, i berluscones non

molleranno: in fondo perché dare allo

stato una somma di denaro che potrebbe

finire nelle loro tasche? Sulla RAI, la

questione è aperta: lasciarla in mano ai

partiti che determinano la qualità

dell’informazione, o privatizzarla?

Pertanto la sopravvivenza di Telejato e

di tutte le televisioni comunitarie verrà

decisa in questi giorni. Una prima propo-

sta sarebbe quella di consentire l’esisten-

za di alcune delle piccole emittenti, auto-

rizzate a trasmettere come “fornitori di

contenuti”.

Questa denominazione solleva qualche

perplessità: di quali contenuti si parla?

Forse di quelli culturali, di quelli giorna-

listici, o dell’acqua che è il contenuto di

un bicchiere pieno? Ad ogni modo è sta-

ta inoltrata la domanda con relativa do-

cumentazione, costata 250 euro.

Intanto il Pd aveva promesso di fare un

emendamento con la proposta di asse-

gnare alle televisioni comunitarie il 30%

delle frequenze assegnate alle televisioni

locali, ma la cosa sembra essersi arenata

sulle secche della dimenticanza.

L’altra possibilità è quella di diventare

“operatori di rete” sulla base di una con-

cessione comprata attraverso la parteci-

pazione alle graduatorie regionali per

l’assegnazione. Ogni rete avrà a disposi-

zione cinque bande su cui poter trasmet-

tere, magari concedendone qualcuna a

pagamento a qualche piccola televisione

rimasta fuori dall’asta.

Quali sono i parametri per entrare in

queste graduatorie? Numero dei dipen-

denti, proprietà immobili, situazione pa-

trimoniale. Il tutto genera un paradosso:

una televisione comunitaria, che è al

servizio di un’associazione culturale o

religiosa, è “onlus”, quindi non può

avere un fatturato, per legge può gestire

solo collaborazioni gratuite e volontarie.

Ingegnosamente si è allora pensato di

costituire un “bouquet”, ovvero una rete

di emittenti che consenta di coprire vaste

zone del territorio regionale.

Ci sono contatti con TRM e con Tele-

Sciacca, per la costituzione di questo

consorzio, ma Pino Maniaci è preoccu-

pato: «Abbiamo partecipato ad un con-

sorzio di emittenti, ci siamo uniti ad al-

tre televisioni, così da raggiungere i para-

metri richiesti per l’assegnazione della

frequenza. Ma ce la bocceranno. Il punto

è che siamo un ibrido: televisioni com-

merciali e comunitarie. Non andrà bene».

Anche questa domanda è stata già inol-

trata, ed è costata 1.800 euro.

Una legge incostituzionale

«Ad oggi, dice Pino, per la legge così

com’è dovremmo essere fuori, abbiamo

incrociato le dita in attesa della risposta

del Ministero, che dovrebbe arrivare per

metà maggio. Se non passiamo, violerò

la legge, perché quella è una legge anti-

costituzionale ed iniqua. Accederò lo

stesso al digitale, e il paradosso sarà che

mi dovranno spegnere i microfoni quegli

stessi carabinieri che mi danno protezio-

ne. Io vado avanti perché devo tutelare

quella che è la vita della mia famiglia:

finché avrò un microfono nella mani e i

riflettori accesi. Spegnere Telejato signi-

fica lasciarci in balia della mafia».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 9 – pag. 9

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Libertà di stampa

Telejatonon ti meritiamo

Il “beauty contest” cancellerà Telejato, forse ormai neanche le speranze hanno un senso. Un territorio, il palermitano, che gra-zie all’opera d’informa-zione costante aveva avuto una sua dignità, aveva finalmente qual-cosa di cui vantarsi ol-tre a qualcosa di cui vergognarsi

di Ivano Asaro www.diecieventicinque.it

Pino Maniaci ha saputo nonostante

tutto essere il vessillo nazionale di un

problema che nazionalmente s’ignora:

la mancanza di libertà, di pensiero. Sì,

perché nessuno è libero di pensare se

le verità non sono tutte raccontate. Se

Pino Maniaci non avesse raccontato le

malefatte dei mafiosi, quelli sarebbero

soltanto imprenditori scellerati agli oc-

chi della gente.

Eppure i politici che sanno oliare i

meccanismi dei listini bloccati e la pub-

blica amministrazione per le nomine,

pardon, per le raccomandazioni, non

sono riusciti a salvare un’emittente che

da solo ha formato professionisti, ha fat-

to conoscere una terra esclusa pure dal

mappamondo per volere delle mafie.

E freghiamocene se la Bertolino a Par-

tinico prima ed a Mazara poi non c’è sta-

ta anche e soprattutto per Pino Maniaci, e

freghiamocene se le querele per il bene

di tutti se l’è prese lui. Freghiamocene di

tutto. Anche di un uomo che non ha più

la sua vita, costretto com’è ad interpreta-

re il ruolo di eroe, che lui umilmente dice

di non essere, ma che in fondo è come

del resto tutta la sua famiglia.

Credete che sia facile essere parenti

senza scorta di Pino Maniaci nel territo-

rio stesso di cui si raccontano le verità?

Chi non vuole Telejato

Eppure Telejato chiuderà. Chiude non

perché non si siano trovate le scorciatoie

o i cavilli, quelli si trovano e si sono tro-

vati perfino per questioni più grosse: ri-

cordate l‘affaire Rete 4? Per Telejato, in

una piccola parte della Sicilia invece no.

Ma bisogna chiedersi chi vuole Teleja-

to. Di sicuro non i partiti dei mafiosi,

quelli sempre nominati da Maniaci; di si-

curo non i partiti con i mafiosi, anche

loro citati per le loro strane abitudini; ma

neanche i partiti meno vicini al potere

mafioso, e perciò più colpevoli.

Non uso giri di parole, il Pd si è di-

menticato di Telejato, perché era bello

farsi fotografare con Pino Maniaci, pas-

sare per il suo microfono, ma lo stesso

poi diventava antipatico se diventavi

sponsor di Lombardo, che con la mafia

deve chiarire i suoi rapporti, in base a

quello che ci dicono i magistrati.

Il cane da guardia

Chi lo vuole Maniaci, che è sempre

stato il cane da guardia della Democra-

zia, il cane pazzo da guardia? Nessuno a

quanto pare. Senza rendersi conto che

quando l’ultima parola da quella emitten-

te verrà proferita non si spegnerà soltanto

una televisione, ma una voce, un pensie-

ro, un sogno, l’intero paese che perderà

la sua dignità. Quando Telejato si spe-

gnerà l’economia dello stato, per meglio

dire degli uomini dello stato, avrà vinto

contro i diritti sanciti in Costituzione,

avrà vinto sulla testa delle persone che

saranno meno libere e più deboli.

A Pino non servono i grazie per avere

dato tanto, troppo ad un paese, una regio-

ne, un territorio che non lo merita. No

Pino, noi non ti meritiamo, perché siamo

pronti ad indignarci per Santoro, per cari-

tà degno di una battaglia di civiltà ma si-

curamente in una situazione infinitamen-

te più facile della tua.

E scusatemi se dico solo Pino, conosco

i membri della famiglia ma per discrezio-

ne non li cito, ma specialmente sua mo-

glie sa quanto voglio bene a quella fami-

glia e quanta stima ho per loro, e quanta

impotenza provo in questi momenti.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 10– pag. 10

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Libertà di stampa

Chi ha pauradel Casalese?

CLICCA SULLA COPERTINA

Volevano bruciare unlibro che parla di camorra e di politici collusi. Ma i giornalisti non si arrendono. E na-sce un nuovo giornale

di Arnaldo Capezzuto ladomenicasettimanale.it

Non sarà nè sequestrato né distrutto il libro “Il Casalese” - ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di lavoro -, edito dalla piccola casa editrice parteno-pea “Cento Autori”. Il libro scritto da nove giornalisti napoletani narra senza censure l'escalation della famiglia del disonorevole deputato Nicola Cosentino, ex sottosegretario all'Economia con delega al Cipe nel governo Berlusconi.

Le 255 pagine del manoscritto docu-mentano senza filtri né censure i fatti ed i misfatti di un “sistema” di potere che vede nel deputato casertano il punto terminale di una ragnatela di relazioni e interessi che in pochi anni anni hanno trasformato i comuni del casertano in piccoli feudi. Nel libro vengono snocciolati 1044 tra nomi e cognomi, società, imprese e aziende.

Come era prevedibile la reazione non è tardata a venire. Giovanni Cosentino, fra-tello del deputato Pdl e titolare delle aziende: Aversana Petroli e l'Ip Service, considerate la cassaforte di famiglia ha denunciato la casa editrice e lo stampatore chiedendo nell'atto di citazione un risarci-mento danni di un milione e duecentomila

euro, il sequestro e la distruzione del testo. Così ad inizio aprile è cominciata una querelle giudiziaria che il 26 aprile ha avuto un primo parziale pronunciamento.

Il giudice Anna Giorgia Carbone del Tribunale di Napoli, accogliendo la prima delle contestazioni mosse dalla difesa del-la casa editrice Cento Autori, si è dichia-rata incompetente. Era accaduto infatti che i legali dell'imprenditore casertano si fossero impropriamente rivolti nel loro esposto-denuncia alla “Sezione specializ-zata in materia di proprietà industriale ed intellettuale”. Sarà dunque una Sezione ordinaria a dover esaminare il secondo motivo dell'opposizione dell'editore alla procedura d'urgenza (art.700 del codice di procedura civile).

Nell'Italia della caduta degli Dei im-pressiona pensare che ci siano ancora dei cognomi che non possono essere nominati invano. Dopo il rinvio del 5 aprile e l'udienza del 24 aprile, il giudice Anna Giorgia Carbone, quindi ha adottato la de-cisione di dichiararsi non competente e ri-mandare la materia alla Sezione ordinaria.

Nel corso di una udienza Pietro Valente, amministratore delle Edizioni Cento Au-tori, aveva detto con serenità: “Ho rappresentato le ragioni della casa editrice al magistrato, replicando a tutte le conte-stazioni mosse dai legali di Giovanni Co-sentino. Alla luce di ciò ritengo che il ‘Casalese’ sia la migliore e più realistica immagine di una certa Italia ostaggio di subculture politiche”. C'è una domanda inevasa però che attende una risposta que-sta si urgente : chi ha veramente paura de “Il Casalese”?

Il manoscritto curato da nove giornalisti professionisti e impegnati su vari fronti della cronaca fa le pulci al deputato Nicola Cosentino, ex potente coordinatore campano del Pdl che per ben due volte ha scansato il carcere grazie al voto della Ca-

mera dei Deputati che non ha concesso l'autorizzazione a procedere. L'ex potente sottosegretario all'Economia è un perso-naggio controverso e definito nell'inchie-sta “Il principe e la scheda ballerina” dal giudice per l'udienza preliminare: “Il re-ferente nazionale del clan dei Casalesi”.

All'ombra dell'enorme potere accumula-to da Nik 'o Mericano (questo il sopranno-me del politico) si snoda una famiglia-azienda tentacolare con forti interessi eco-nomici: negli idrocarburi, nell'energia e nel mercato immobiliare. Il libro contiene una biografia non autorizzata - ricca di documenti - dell’esponente politico del Pdl, che da consigliere comunale di Casal di Principe è arrivato, in pochi anni, al governo con Silvio Berlusconi.

Una straordinaria carriera stroncata dalle rivelazioni di sei pentiti che lo hanno indi-cato come il referente nazionale della più sanguinaria e potente cosca della camorra: il clan dei Casalesi. Un racconto appassio-nato che diventa uno spaccato inquietante dell'Italia di disastrosi anni del berlusconi-smo spinto dove sono saltati i confini tra ciò che illecito e ciò che è lecito e dove il potere si conquista con qualsiasi mezzo. La storia narrata nel “Il Casalese” è ag-giornata fino alle ultime vicende proces-suali e politiche che da anni occupano le prime pagine dei giornali e i titoli d’aper-tura dei Tg nazionali. Gli autori sono tran-quilli: “Abbiamo fatto solo i giornalisti”

UN LIBRO E UN GIORNALEIn alto, il libro che ha scatenato le ire della famiglia Cosentino, e, al suo fianco, il pri-mo numero de La Domenica settimanale, il nuovo giornale di denuncia di Arnaldo Capezzuto. Fa parte della rete dei Siciliani giovani e si affianca ai numerosi giornali di base che, su carta o web, lavorano tutti insieme per un'informazione libera e antimafiosa.

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Libertà di stampa

Quarto potereCronacadi un'agoniaChe fine hanno fatto i giornali? E i giornali-sti? Cani da guardia dei cittadini o stanchi ripetitori di un rito de-generato in casta? E la soluzione, dov'è? Nei blog, nel lavoro gratui-to, oppure...

di Pietro Orsatti

Esco di casa e lungo la salita che mi

porta all'edicola conto le monetine per

comprare un quotidiano. Rito scara-

mantico da fare dopo la prima notte

trascorsa in una casa nuova. Una casa

sudata e combattuta oltre ogni limite.

E forse per questo ancora più impor-

tante. Rito, quello del giornale da sfo-

gliare con il sapore del caffè in bocca,

urgente come quello di entrare dal for-

naio a comprare il primo pane ancora

tiepido di forno o incollare l'etichetta

con il proprio nome sulla buca della

posta. Leggo velocemente i titoli, mi

fermo su qualche sommario. Attacco

un pezzo, lo abbandono. Poi vado alle

pagine dello sport e alla fine a leggere

se ci sarà qualche film decente la sera

in tv. Delusione.

Amarezza. Giornale non letto e

lasciato sul sedile di un pullman di

pendolari. Da uno che ha passato la vita

a scrivere sui giornali non è un buon

segnale.

Questo rito, il giornale del mattino,

non è più quello che era. Una roba nor-

male, di popolo. Di gente che si sente

parte di qualcosa e quel qualcosa, la real-

tà collettiva, la va a cercare nel racconto

di carta e inchiostro la mattina con il caf-

fè del risveglio. Negli anni trascorsi in

Brasile il giornale era lì ad aspettarmi da-

vanti alla porta di casa. Le edicole sono

poche da quelle parti, e gli abbonamenti

invece sono abitudine.

Il rito laico del mattino

E leggono tutti. Il giornale ti racconta

la tua città, il tuo paese, il mondo. Ti fa

sentire meno solo in megalopoli come

Sao Paolo o l'area urbana di Rio De Ja-

neiro. O come nel villaggio del semi ari-

do nel nord est o nelle immensità di can-

na da zucchero nello Stato di Goias.

E i giornali sono roba seria in un paese

che crede ancora nella politica,

nell'impegno, nel futuro. Nell'utopia.

scritti e confezionati bene. Attenti. Pieni

di notizie, frutto di lavoro e impegno.

Esercizio intellettuale collettivo.

Qui no. I giornali non cercano di rac-

contare il "tutto", non attraversano la

realtà narrandola. Si pensano, si confe-

zionano, si scrivono per "chi ha orecchie

per intendere". La politica, la lobby, la

corporazione, il salotto.

L'informazione? Faziosa, di parte e

non partigiana, speculare e simmetrica da

destra a sinistra. E le notizie? Accessorio.

Il racconto? Inesistente. Il lettore? Un

surplus. Di tanto in tanto qualche lampo.

Talmente isolato da rimanere invisibile.

Impiegatizio, il lavoro, senza fantasia,

senza impegno, senza nessuna consape-

volezza del mestiere che si fa e del ruolo

che si ha nella società in cui si vive e

opera.

Si fanno festival per festeggiare. Os-

servatori per sorvegliare e monitorare.

Dibattiti per analizzare. Ci si parla ad-

dosso, presuntuosi. La casta? Magari.

Una casta dovrebbe presupporre un

privilegio per pochi eletti.

Qui c’è un micragnoso gruppo di pote-

re - sempre più irrilevante visto il nume-

ro di copie che vengono vendute in que-

sto paese - che ha creato con l’aiuto e la

complicità della politica - nei democri-

stianissimi primi anni 60 - un oggetto,

l’ordine dei giornalisti, in aperta viola-

zione dell’articolo 21 della Costituzione,

sottoponendo l’esercizio della professio-

ne - che non è professione ma mestiere e

questa differenza ormai, non lo nego,

nessuno sa neppure cosa sia - a un’auto-

rizzazione da parte dello Stato e quindi

della politica e dell’esecutivo.

Quarto potere. Ma scherziamo? Cane

da guardia della politica. Ma non pren-

diamoci in giro. Ormai i giornali, che

non vivono delle copie vendute da de-

cenni e ora neanche della pubblicità cam-

pano solo dei soldi pubblici. Tutti.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 12– pag. 12

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di giro”

E soprattutto i colossi editoriali - dai

piedi di argilla vista la catastrofica

perdita di lettori e di credibilità - che la

fetta più grossa di quei finanziamenti

incassano.

Sarà un caso che i tagli annunciati del

governo all’editoria riguardino quasi

esclusivamente i giornali in cooperativa

(compresi quelli dei partiti che però sono

una minoranza) e non tocchino quelle

voci di spesa che invece interessano il

Corriere della Sera, La Repubblica, Il

Sole 24 ore e La Stampa? Di quale liber-

tà di informazione parliamo quando il

potere politico e economico ti tiene per

le palle?

I grandi monopoli che strozzano

Nessuno, poi, affronta i grandi mono-

poli che strozzano i nostri giornali. Di-

stribuzione e pubblicità. Chi distribuisce,

e spesso coincide con chi stampa, decide

di fatto chi vive e chi muore. Se un gior-

nale arriva in ritardo, non viene distribui-

to nei luoghi sui quali è misurato e pen-

sato, diventa invisibile, non vive. Se poi

praticamente il 90% della pubblicità è in

mano a un paio di mega agenzie il gioco

è fatto.

Della televisione e delle radio non par-

liamo. Inutile evidenziare quale sia il li-

vello di condizionamento da parte dello

Stato quando si va all’asta per le fre-

quenze senza tenerne una parte a prezzi

accessibili per soggetti editoriali piccoli,

socialmente e culturalmente importanti e

fortemente radicati sui territori su cui

operano.

Della vicenda “pelosa” di TeleJato in

questo numero dei Siciliani giovani avre-

te ampia documentazione e la possibilità

di ragionarci. Esempi analoghi potrei

farne a decine sia per le radio che per le

televisioni.

Allora ci salverà Internet? I blog sono

la risorsa di libertà? Non scherziamo. E

lo dico da blogger. Il giornalismo, e

l’informazione, sono una roba comples-

sa. Non basta scrivere. Non basta denun-

ciare.

La ricerca - e narrazione - della realtà è

una cosa molto più complessa, che non

può essere solo l’esercizio estemporaneo

anche se valido e importante dei blog e

dei social network.

La gratuità nell’esercizio del giornali-

smo non è un valore. Solo degli artigiani

della parola e dei fatti da raccontare (le

notizie, che ormai sembrano diventate

accessorio) possono garantire una corret-

ta informazione (e parlo sia di qualità e

rigore quanto di continuità e attenzione).

Anche sulla rete il giornalismo ha biso-

gno di “mestiere” e di risorse economi-

che. Faccio un esempio. Uno dei migliori

siti di inchiesta del mondo (Propublica,

che ha vinto, primo sito ad aver ricevuto

questo premio, il Pulitzer) è una testata

di giornalisti che si finanzia attraverso

sottoscrizioni e donazioni dei lettori, fino

ad arrivare a fare raccolta fondi per spe-

cifiche inchieste.

In Italia? Sui siti di informazione (par-

lo delle maggioranza delle grandi e pic-

cole testate presenti in rete) un pezzo si

paga dagli 8 ai 18 euro lordi. Non ci pa-

ghi neanche le spese telefoniche per fare

il servizio!

Figuriamoci se qualcuno si possa stac-

care dal proprio computer a raccattare un

po’ di informazione in rete e andare inve-

ce sui luoghi, parlare con le persone, rac-

cogliere documenti e studiarli con 18

euro lordi a articolo. Inoltre sul web ri-

mane il problemino da nulla del monopo-

lio delle concessionarie pubblicitarie.

Provate voi a tenere in piedi un sito di in-

formazione con le tariffe di Google

News. E’ evidente che il giornalismo sta

diventando un mestiere classista. Se hai

soldi di famiglia per permetterti di lavo-

rare a gratis fai il giornalista. Oppure ri-

nunci. O ancora, se non vuoi rinunciare,

vendi il culo.

Una macchina di potere

Una soluzione? Non facile, certamente.

Perché andrebbe smontata una macchina

di potere (economico e soprattutto politi-

co) radicata da 50 anni e consolidata in

prassi e stile di formazione.

La macchina editoriale, la macchina

pubblicitaria, la macchina dell’ordine e

perfino quella del sindacato che con

l’ordine mantiene una relazione non vir-

tuosa ma di intreccio corporativistico (e

oggi anche blocco generazionale) oggi

indistricabile. Ma una soluzione va tro-

vata. Partendo da una liberarizzazione

della professione giornalistica che ogni

volta che viene accennata trova barricate

degne della linea Maginot.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 13 – pag. 13

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Libertà di stampa

Vite precarie,pagine precarie

Errori di stampa è l'associazione (e il sito) fondata da un gruppo di giovani giornalist... “Giornalisti? Ohibò! Come vi permettete di chiamarvi giornalisti se non avete una tessera! Un contratto! Un...”. Già. Che cos'è un giornalista, oggigiorno? Oltre che un precario?

di Valeria Calicchio erroridistampablogspot.it

Dimenticate quelli che dicevano che

“il giornalismo è il mestiere più bello

del mondo”. Dimenticate il reporter fi-

gura romantica e mitologica in giro

per cinque continenti a cambiare il

corso della storia. Dimenticate Monta-

nelli, Biagi o D’Avanzo. L’Italia di oggi

non è più un paese per giornalisti. O

almeno non lo è più per giornalisti di

quel tipo.

Oggi la situazione è molto cambiata e

fare il cronista, oltre a non essere più

così romantico, è diventato simile alla

lotta per la sopravvivenza nella giungla.

Perché i giornalisti precari o i free lan-

ce sono trattati alla stregua della mano-

valanza che viene assoldata nei campi

del profondo sud dal caporalato mafioso.

Perché ci troviamo di fronte a un’intera

generazione che pur avendo investito in

anni di formazione e gavetta in decine di

redazioni di tutto il paese, è costretta a

dover fare i conti con un precariato siste-

mico e logorante, che non permette di

fare progetti né di vedere vie di uscita

per il futuro.

Cifre umilianti

Perché le cifre che vengono pagate per

un articolo, un servizio o un video sono

umilianti.

Un tempo si parlava degli abusivi, che

una volta entrati in redazione, dopo aver

consumato le suole per qualche anno ed

essersi fatti le ossa con “la nera”, avreb-

bero raggiunto l’agognata stabilità e la

garanzia di poter svolgere un mestiere

delicato e fondamentale per la vita del

paese con le dovute garanzie e tutele.

Oggi no, non ci sono tutele, né garanzie

né dignità.

Ed è per questo che nel giro di pochi

anni in tutta Italia molti colleghi si sono

uniti in coordinamenti e associazioni di

giornalisti precari. Come è successo an-

che nella capitale circa un anno e mezzo

fa con Errori di Stampa. Un pugno di

cronisti per lo più attivi sulla cronaca cit-

tadina, che un giorno decidono di metter-

si insieme per cominciare a denunciare

quanto sia diventata insopportabile la

condizione di sfruttamento di centinaia di

forzati in tutta Italia.

Un anno e mezzo di lotte durante il

quale il coordinamento ha stilato un ma-

nifesto per rivendicare la necessità di

avere un equo compenso, di garantire fe-

rie, malattie e maternità anche a chi non

gode di un contratto stabile, per ottenere

meritocrazia e giustizia attraverso la co-

stituzione di bacini di giornalisti precari.

E poi l’esigenza di fare un censimento

per monitorare in maniera precisa quali

fossero i numeri di questa voragine.

Un’indagine che ha portato alla luce

cifre drammatiche, presentate il 25 aprile

anche a Perugia al festival internazionale

del giornalismo (dopo essere state

divulgate per la prima volta in una

conferenza stampa lo scorso febbraio a

Roma) .

Duemila solo a Roma

L’auto-censimento ha rivelato che solo

nella capitale ci sarebbero circa 2000

giornalisti precari (colleghi che lavorano

a borderò, attraverso finte partite iva e

co.co.pro).

Duemila, una cifra finanche troppo cle-

mente, considerato il fatto che l’indagine

non è riuscita a fare una stima precisa di

tutte le persone impiegate negli uffici

stampa.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 14– pag. 14

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di giro” Ma oltre al numero, quello che più

deve far pensare sono i compensi.

I “tariffari della vergogna” li hanno

chiamati i ragazzi di Errori di Stampa.

Cifre che in media si attesterebbero sui

25 euro lordi per articolo.

Per arrivare a 1000 euro, provocatoria-

mente, il coordinamento ha calcolato che

“un mese non basta”.

Non basterebbe un mese, lavorando

tutti i giorni compresi i festivi e quando

si è malati, per arrivare a 1000 euro.

Ci vorrebbero 40 giorni per raggiunge-

re a una cifra che seppur ancora troppo al

di sotto della decenza, viene da molti in-

dicata come la soglia minima della so-

pravvivenza.

La clausola maternità in Rai

Perché di questo si tratta. Di sopravvi-

vere facendo più di un lavoro per potersi

garantire il diritto a fare quella che si sta

trasformando sempre di più in una pro-

fessione per soli ricchi.

Oltre al dramma emerso grazie al cen-

simento, il coordinamento romano si è

incaricato, primo in Italia, di portare alla

luce anche un altro scandalo.

Quello della clausola maternità in Rai,

che dietro cela non soltanto una norma

sessista e retrograda, ma ancora una vol-

ta l’offesa dell’abuso di finti contratti

mascherati con le partite iva.

La nuova frontiera di uno sfruttamento

che pur non volendo garantire ai giorna-

listi il minimo indispensabile dei diritti

dovuti a chi di fatto svolge un lavoro su-

bordinato a tutti i livelli, ne pretende i

doveri. Senza aver garantito nemmeno

l’accesso nella più grande azienda

editoriale del paese, all’interno della

quale i precari continuano ad entrare con

il pass per visitatori.

Oggi il Coordinamento si fa carico di

garantire un punto di riferimento per tutti

i colleghi precari, sfiduciati rispetto agli

organismi di categoria che per anni si

sono voltati dall’altra parte rispetto al

problema del precariato.

Ultimamente l’interesse sembra essere

maggiore, ma sempre condizionato a

squallidi do ut des che spesso legano a

doppio filo alcuni colleghi garantiti agli

editori, sempre più feroci nel falcidiare la

categoria per aumentare i profitti.

E’ di questi giorni la notizia che solo

nel 2011 gli stati di crisi hanno portato al

licenziamento 637 giornalisti: 469 dei

quotidiani, 124 dei settimanali e 44 delle

agenzie.

A rivelarlo, il presidente dell’Ordine

dei Giornalisti, Enzo Iacopino.

Cifre drammatiche che ovviamente

non tengono conto dei precari.

E tutto questo mentre grandi aziende

editoriali del paese nascondono dietro il

miraggio del “citizen journalism” nuove

forme di sfruttamento.

Con la promessa della visibilità o peg-

gio ancora di un contratto che non arrive-

rà mai.

Oggi occorre ridare dignità a una pro-

fessione che ormai anche nelle classifi-

che mondiali viene indicata come una

delle meno ambite (secondo uno studio

del “careerCast.com”, pubblicata dal

Wall Street Journal, fare il giornalista si

trova al 196° posto tra le 200 professioni

censite, dietro solo i taglialegna, gli ope-

rai delle piattaforme petrolifere, i lava-

piatti e i soldati di professione).

Perché molto presto a farne le spese

non saranno solo i giornalisti precari, ma

tutto il sistema della comunicazione.

E soprattutto la libertà d’informazione,

che senza la giusta retribuzione di chi la

garantisce giorno per giorni, diventerà

solo un guscio vuoto e inutile, sempre

più rarefatta e esclusiva.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 15 – pag. 15

SchedaLE CIFREDEL PRECARIATOGiornalisti precari in Italia:25mila (i 2/3 del totale)

Il 62% di loro denuncia un redditoinferiore ai 5000 euro l’anno

2000 sono i giornalisti precaricensiti nella capitale

Media retribuzione ad articolo: 25 euro lorde (per arrivare a 1000un giornalista precario dovrebbe lavorare 40 giorni)

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Libertà di stampa

I cronisti ragazzinidi san Cristoforo

Qando il vicolo prende la parola

Stavolta non leggerete degli articoli scritti da raffinati giornalisti dalle fir-me famose. Stavolta non leggerete rac-conti di cronaca nera, giudiziaria e di guerra scritti dai “giornalisti d’assal-to” né tantomeno sulla politica estera o sul “super Monti” che salva l’Italia.

Stavolta leggerete racconti veri, molto veri perché scritti prima con gli occhi e con la mente e poi con la penna. Ragazzi-ni e ragazzine che si improvvisano croni-sti, per far diventare ciò che vedono paro-le di carta sulla pagina autogestita offerta-gli dal giornale di quartiere, I Cordai. Una pagina costruita interamente da loro: l'hanno chiamata News boys, gli strilloni.

“Strillano” l’allegria e i colori di San Cristoforo, ma anche i drammi del quar-tiere: l’abbandono istituzionale delle stra-de e delle case, di quella che potrebbe es-sere una piazza, la sporcizia e la carenza dei servizi, il degrado, la negazione di tut-ti i diritti anche i più elementari. Ciò che loro scrivono lo leggono in pochi, e ancor meno lo ascoltano gli amministratori: ma tanto i bambini non votano...

Racconti spesse volte disumani, perché descrivono come la droga ha reso insop-portabile la loro vita in quei vicoli: non perché ne facciano uso (tutt’altro) ma per-ché costretti a subire la volontà indiretta dei pusher, pilotati da una mafia che toglie respiro e democrazia, che li costringe, nel-la semplice azione di recarsi a scuola, ad assistere a scene che altri adolescenti della loro età e in altri luoghi non immaginano.

Questi ragazzi vengono dalla scuola media Andrea Doria, forse l’unico presi-dio democratico del quartiere, e sono se-guiti da quelle brave insegnanti ed insie-me a loro resistono con le armi, anche se piccole, della libera informazione.

Giovanni Carusoi Cordai

“Non ne possiamo piùdi assisterea scene di spaccio”

Giovanna aveva solo 7 anni quando ha assistito alla prima scena di spaccio. La mamma ha preferito non rispondere alle domande su cosa fossero le pasticche bianche che un tizio aveva passato ad un ragazzo in cambio di denaro, proprio da-vanti a loro che camminavano per una delle strade del quartiere. Oggi Giovanna ha 12 anni e non ha bisogno che la mam-ma le spieghi cosa significano le scene a cui, di tanto in tanto, assiste.

La storia di Maria

Maria invece ha una storia più partico-lare da raccontare: circa un mese fa, di notte, tre ragazzi hanno suonato al citofo-no di casa sua. La mamma di Maria ha ri-sposto chiedendo chi fosse; uno di loro ha detto di chiamarsi Salvo, un parente stret-to, del quale, però, la donna non riconosce la voce e così chiede al marito di control-lare dalla finestra.

Il papà di Maria si affaccia e capisce che non si tratta né di Salvo né di cono-scenti. Dalle risposte sconnesse e insensa-te dei tre giovani, l'uomo comprende che

sono sotto l'effetto di sostanze stupefacen-ti e si guarda bene dall'aprire il portone.

Quando l'indomani mattina Maria viene a sapere dell'accaduto ha una sensazione di paura e preoccupazione: chissà cosa sa-rebbe successo se la mamma avesse aper-to! E che dire dell'esperienza che è stata costretta a vivere Marcella, ragazzina di 12 anni, che in un “tranquillo” pomerig-gio, tornando a casa, la trova piena di po-liziotti con mitra spianati, che mettono a soqquadro l'intera abitazione solo perché hanno il sospetto che si sia nascosto nella sua casa un ragazzo che era scappato con delle dosi in mano.

Di fronte a quella scena terribile Mar-cella comincia a tremare, l'ansia e la paura la fanno sbiancare in viso, ma ciò non ba-sta a fermare quella irruzione che per quanto legittima ma incurante di noi ra-gazzini e violenta lascerà una traccia inde-lebile nella sua vita.

Ormai sembra che non ci si possa più indignare ed esprimere la propria disap-provazione verso certi comportamenti, come è successo alla nonna di Piera, la quale, affacciatasi dal balcone e visto che in strada c'erano dei ragazzi che spaccia-vano, li ha invitati a smettere e ad allonta-narsi e per questo è stata “richiamata” da-gli stessi e le è stato intimato di rientrare immediatamente dentro casa.

Queste storie sono solo alcuni esempi delle tante, troppe situazioni, in cui dei bambini e dei ragazzi si trovano coinvolti, nonostante la loro precoce età. Negli ulti-mi anni il fenomeno dello spaccio si è in-tensificato notevolmente, tanto che ormai quando ci capita di sentirne parlare ci sembra che sia “normale”.

Invece non è normale per niente.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 16– pag. 16

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di giro” E sopratutto non è piacevole vedersi ad-

ditati come delinquenti, solo perché abi-tanti di San Cristoforo. Noi sappiamo che tanta gente onesta e per bene abita nel no-stro quartiere ed è a loro, e all’altra Cata-nia ma anche a tutti gli adulti che chiedia-mo di pensare di più a quanto possano es-sere negative certe esperienze per la cre-scita sana e civile dei loro figli e dei gio-vani in genere.

La mitica II D

Un quartierecome il mio

Quando si vive in un quartiere come il mio anche se non si vuole avere a che fare con la droga, può capitare, a un povero adolescente come Giuseppe, di incappare in un uomo di mezza età, che gli chiede della “roba” scambiandolo per uno spac-ciatore, solo perché si trova insieme ad un compagno davanti ad un bar e porta uno zainetto a tracolla.

Inoltre ci sono delle strade e delle piaz-ze in cui non è raccomandabile passeggia-re. Se poi una persona, magari perché la strada solita è interrotta, ci si trova a pas-sare, può incappare in una situazione as-surda: è costretta a fermarsi perché, in mezzo alla strada, uno spacciatore, senza alcun pudore né timore, ha deciso di ven-dere le “dosi”ad automobilisti e motoci-clisti che arrivano da tutta la città con le

loro piccole o grandi macchine e di ogni ceto sociale, come per un appuntamento già concordato, a comprare la “roba”, per scomparire subito dopo.

Così, in pochi minuti, la persona ha as-sistito ad un atto criminale e quando, ri-presasi dalla sorpresa, suona il clacson, contrariata, il delinquente la guarda con occhi minacciosi. Lei non sa se reagire o cautamente ignorare la situazione dopo aver, in ogni caso, subìto una violenza psicologica.

In Via Belfiore capita spesso, come è successo ai genitori dei miei compagni, di essere fermati da spacciatori sulle auto che offrono la droga. In piazza Caduti del mare è capitato a un alunno della scuola di incontrare un compagno che vendeva droga. Massimo era andato a comprare le sigarette a papà e ha visto il compagno fermo nella piazza, lo ha salutato e lui gli ha chiesto se voleva uno spinello.

La droga in piazza

Massimo è rimasto molto sorpreso, ha risposto di no, ma ha anche chiesto perché stava lì a spacciare. Il compagno gli ha detto che dava una mano a sua madre per-ché il padre era in carcere. Massimo non era convinto che fosse una motivazione giusta e ha pensato che i problemi degli adulti devono essere risolti dagli adulti e che il suo compagno, in quella situazione, poteva rischiare di rovinarsi la vita per sempre,

Io penso che parlare della droga sia uti-le perché fa capire ai ragazzi i rischi che si corrono quando si fa uso di certe so-stanze. Bisogna comprendere che spesso si cade nella trappola senza rendersi conto delle conseguenze. Chi spaccia o fa uso di droghe entra in un tunnel dal quale è diffi-cilissimo, se non impossibile, uscire. Il destino di molti ragazzi del mio quartiere è quello di finire in carcere o, ancora peg-gio, uccisi in una delle nostre strade come purtroppo è capitato negli ultimi mesi.

Io spero che proprio noi giovani possia-mo cambiare questa realtà, facendo molta attenzione a non farci coinvolgere in que-ste situazioni: come fare? Resistere alla mafia.

Di Lorenzo Nicolosi III C

Da I cordai, pagina autogestita News boys, scuola Andrea Doria

Nelle foto (di Giovanni Caruso): Via Barcellona, chiamata più comunemente " il supermarket della droga"; e via De Lorenzo. Qui doveva nascere un parco, ma non l’hanno mai fatto. Per cui ci vanno a giocare i ragazzini e i pusher di piazza Don Bonomo ci nascondono la coca.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 17 – pag. 17

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accadrà ieri . . . . . . REWINDa cura di

Francesco Feola

I tuaregA TIMBUKTU

Il 1 aprile in Mali i tuareg entrano a

Timbuktu mentre i soldati governativi

fuggono dalla città. I ribelli del movi-

mento nazionale per la liberazione

dell’Azawad conquistano anche Gao,

la principale città del nord del Paese. Il

6 aprile viene proclamata la secessione

dell’Azawad, regione che è considerata

la patria dei tuareg. Il giorno dopo, la

giunta militare che governa il paese

dopo aver rovesciato il presidente le-

gittimo Amadou Toumani Tourè rinun-

cia al potere sulle regioni del nord, an-

nunciando che entro 40 giorni si ter-

ranno le elezioni. Intanto nell’Azawad

si rompe l’alleanza tra tuareg e islami-

sti. Gli esperti avvertono: “Il Mali ri-

schia di diventare un nuovo Afghani-

stan”.

Guinea-BissauGOLPE E COCA

Il 12 aprile un colpo di stato porta

l’esercito al comando della Guinea-

Bissau. Il golpe è arrivato prima del se-

condo turno delle presidenziali, previ-

sto per il 29 aprile, che vedeva di fron-

te il primo ministro uscente Carlos Do-

mingos Gomes Junior e Kumba Yala,

leader del Partito del rinnovamento so-

ciale. I militari hanno arrestato sia Go-

mes Junior sia il presidente ad interim

Raimundo Pereira. La Guinea-Bissau è

uno snodo importante del traffico della

cocaina, che dall’America Latina arri-

va in Europa.

ItaliaI GIORNI DELLE TORTURE

Il 13 aprile esce nelle sale italiane

Diaz. Don’t clean up this blood, il film

di Daniele Vicari che racconta attraver-

so gli episodi della scuola Diaz e della

caserma di Bolzaneto la sospensione

dei diritti civili avvenuta in Italia nel

luglio 2001 in occasione delle proteste

contro il G8. Nel film, basato sugli atti

processuali e sulle sentenze della corte

d'Appello di Genova, si incrociano le

storie di alcuni partecipanti al G8 che

la notte del 21 luglio 2001 subirono

l’aggressione e i pestaggi da parte di

alcuni reparti della polizia all’interno

della Scuola Diaz, e poi le violenze

nella caserma di Bolzaneto.

TibetFUOCO E LIBERTA'

Il 19 aprile due monaci tibetani si

danno fuoco contro la repressione ci-

nese. È avvenuto a Barma, città situata

tra le montagne della provincia del Si-

chuan, nella Cina sud-occidentale. I

due monaci, Sonam e Choephak Kyap,

entrambi laici e sulla ventina, si sono

immolati davanti a un monastero invo-

cando libertà per la loro terra. Sono al-

meno 34 i tibetani che dall’inizio del

2011 si sono dati fuoco per protesta. A

Barma la situazione è molto tesa dopo

che a gennaio le forze antisommossa

della polizia hanno sparato sulla folla,

uccidendo un manifestante e ferendone

diversi altri.

BahreinLA DITTATURA UCCIDE

Il 21 aprile le forze di sicurezza del

Bahrein uccidono un manifestante che

partecipava alle proteste indette contro

il governo dall’opposizione sciita. I

manifestanti sono scesi in piazza a Da-

mistan, Karzakkan, Malkiya e Sadad,

che distano meno di quattro chilometri

dalla pista di Sakhir dove si svolge il

Gran premio di Formula 1.

Il principe Salman ben Hamad ben

Isa Al Jalifa ha assicurato che la gara,

prevista per il giorno dopo, si svolgerà

regolarmente. Vincerà Sebastian Vettel,

che dichiara: “Dal punto di vista della

strategia tutto ha funzionato alla

perfezione”. Non meno soddisfatto

Romain Grosjean, che festeggia così il

primo podio della sua carriera: “È

fantastico, sono veramente felice ed

orgoglioso per il risultato”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 18– pag. 18

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FORWARD . . . . accadde domani

“Strike!”IL MAY DAY DI OCCUPY

Per il Primo maggio il movimento

Occupy Wall Street ha proclamato il

May Day General Strike. I manifestan-

ti proveranno a bloccare i tunnel e i

ponti che permettono l’accesso a Man-

hattan, per protestare contro la “vergo-

gnosa opulenza dell’1%”. Anche nel

resto del paese sono previsti sit-in e

manifestazioni per chiedere una mag-

giore equità sociale.

Info: www.ocupywallstreet.org

“Nun se vende”ROMA DIFENDE L'ACQUA

Il 5 maggio si terrà a Roma una ma-

nifestazione cittadina contro la vendita

da parte del Comune di Roma delle

quote in suo possesso di Acea, la

società che gestisce l’acqua. Sotto lo

slogan “Roma non si vende”, comitati,

associazioni, partiti e sindacati

esprimeranno la loro contrarietà anche

alla possibile privatizzazione delle

altre aziende pubbliche comunali: Ama

(rifiuti) e Atac (trasporti).

[email protected]

www.acquabenecomune.org

IndignatiDI TUTTO IL MONDO...

Il 12 maggio gli indignati di tutto il

mondo scenderanno in piazza.

L’appuntamento italiano è a Roma, in

piazza San Giovanni. Nelle intenzioni

dei promotori, i manifestanti di tutta

Europa dovrebbero poi convergere a

Francoforte, con l’obiettivo di occu-

parne il quartiere finanziario dal 17 al

19 maggio.

http://www.facebook.com/events/3945

79203894227/

https://www.facebook.com/groups/indi

gnatositalia/

Restiamo umaniRICORDO DI ANNIGONI

Il 25 maggio nello Spazio ChinaTo-

wn Padova va in scena Restiamo uma-

ni, di Ultimo Teatro. Tratto dagli scritti

di Vittorio Arrigoni, l’attivista per i di-

ritti umani ucciso nella Striscia di

Gaza, lo spettacolo vede in scena Ele-

na Ferretti e Luca Privitera, che ne

cura anche la regia.

http://www.forumpalestina.org/news/2

012/Marzo12/01-03-12TeatroRestia-

moUmani.htm

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 19– pag. 19

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Storia d'Italia

“Cuompagno Buossi...” Com'è nata la Lega

Ma chi era veramente Umberto Bossi? Per-ché ha fondato la Lega? Chi c'era dietro? In esclusiva galattica, l'incredibile storia di un capolavoro politico fra Lenìn e Machiavelli

di San Libero

A proposito di Bossi, è arrivato il

momento - evvia, ormai il suo lavoro

l'ha fatto - di rendere finalmente pub-

blica la verità. Me la sono tenuta sul

gozzo per tutti questi anni, ma adesso

è il momento di parlare.

Nel 1975, Umberto Palmiro Bossi (il

secondo nome, da un certo punto in poi,

smise di usarlo per motivi che capirete)

fu convocato dal Responsabile Agit-Prop

della Sezione del Pci di Varese, a cui al-

lora era iscritto. Il Bossi, a quell'epoca,

era un semplice onesto militante come

tanti altri. Dava i volantini contro i pa-

droni, come tutti, e una volta tenne un

piccolo comizio davanti al Bar Sport di

Colgate per difendere un un amico (tale

Alfio La Barbera) a cui uno stronzo fas-

sista aveva dato del terùn. Solo quella

volta, perchè in realtà Umberto Palmiro

era un ragazzo timido e per fargli dire

due parole in pubblico dovevano proprio

tirargliele con le pinze. Però i suoi supe-

riori erano gente sveglia, e si accorsero

lo stesso delle potenzialità rivoluzionarie

del ragazzo.

Un communista ferocissimo e astuto

A quell'epoca ogni sezione del Pci ave-

va fra i suoi dirigenti, per regolamento,

un agente del Kgb o di qualche altro ser-

vizio segreto communista. Costui non

parlava mai tranne che in riunioni clan-

destine e ristrette, non veniva mai mo-

strato in giro e di notte veniva messo a

dormire nel ripostiglio della sezione, fra

le bandiere rosse e i secchi di colla. Era

lui, in ciascuna delle ottomila sezioni

communiste d'Italia, che in realtà dava

gli ordini, che riceveva ogni quindici

giorni, via piccione viaggiatore, dalla Se-

zione Agitazione e Propaganda del Kgb.

Il responsabile della sezione di Varese

si chiamava Ivanov e era un communista

ferocissimo ed astuto. Il compagno Iva-

nov convocò il compagno Bossi.

“Tu, cuompagno!” “Io?”

"Cuompagno Buossi!". "Agli ordini,

compagno!". "Ascuolta, tuovarisc Buos-

si. Debbo dirti un segrueto!". "Si?". "Fra

trent'anni non ci sarà più partito commu-

nista!". "Nooo!". "Si cuompagno, sarà

così, fra trent'anni niet kuommunismo e

niet gloriuosa Unione Suovietika!". "Non

ci credo!". "È cuosì, cuompagno. Nuostri

infallibili scienziati suovietici hanno in-

ventato makkina per predire futuro!

Kuommunismo suovietikuo fatte truoppe

kazzate, finito!". Il Bossi si mise a pian-

gere disperatamente. "Aspuetta, cuompa-

gno Buossi! Non è tutto puerduto! Un

uomo salverà il kuommunismo, perluo-

meno in Italia. E tu sai ki kuell'uomo noi

abbiamo deciso ke può essere?". "Chi?".

"Tu, cuompagno!". "Io?".

Da quel momento la conversazione

proseguì a bassa voce, talmente bassa

che non sono riuscito più a sentire niente.

Vedevo soltanto il compagno Ivanov che

spiegava qualcosa e il compagno Bossi

che assentiva con grande cenni della te-

sta. "Alluora, cuompagno Buossi, hai ka-

pito tutto? Più gruosse sono e meglio è.

Kuando kazzate saranno sufficientiemen-

te grosse e numerose e gente sarà dunkue

sufficientiemente incazzata, alluora

kuommunismo in Italia tuornerà infalli-

bilmente!".

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 20– pag. 20

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“In mercedesdi lusso

con l'autista”

“Pasquania? E che cazzo è?”

La mattina dopo il Bossi andò al Bar

Sport senza fazzoletto rosso al collo e

senza l'Unità regolamentare. Dentro

c'erano già il Gaita, il Rodeulf, il Padula

e naturalmente l'Alfio, tutti già attorno al

biliardo con le stecche in mano. "Ecco

l'Umberto! - fece Alfio - Possiamo co-

minciare!". "Io non gioco!". "E perchè

non giochi?". "Mi non gioco a billliard

con i terun!". "Ma Umberto,.che cazzo ti

ha preso stamattina?". "Zitto tu che sei

venuto da Agrigento a portar via il lavoro

a noi pasquani! Colpa dei communisti

che ti hanno lasciato entrare in Pasqua-

nia!". "Pasquania? E che cazzo è?".

Umberto, perplesso, si frugò nelle ta-

sche e tirò fuori il taccuino su cui a ogni

buon conto aveva segnato i passaggi sa-

lienti delle istruzioni del compagno Iva-

nov. "Padania, volevo dire. Tu sei un ter-

rone e i communisti ti usano per invadere

la Padania".

"Ma Umberto - fece il Gaita a questo

punto - ma non siamo noi, i

communisti?".

"Non più! Basta con queste cazzate -

occhiata al taccuino - veterostaliniste e

giacobbine. I communisti sono la rovina

della Padania, ecco che cosa sono! Basta

coi communisti e i terroni, Pasquania...

Padania indipendente".

"Ma va a dà el cuu - fece il Rodeulf,

che fino a quel momento non aveva detto

una parola - Io non ci capisco una sega di

tutte queste cazzate ma mi sa che sei di-

ventato un politico e che fra poco vieni a

cercarci il voto come gli altri. Sai che ti

dico? Ce la facciamo noi quattro, sta par-

tita, e tu intanto ti fai tutte la Pasquania

che vuoi".

"Padania!" sbraitò l'Umberto e uscì dal

locale.

Purtroppo il compagno Ivanov aveva

progettato bene, e già un paio di mesi

dopo sulla casa di ringhera dell'Alfio

qualcuno già aveva scritto col gesso il

primo "via i terroni". I voti, l'Umberto ex

Palmiro, se li cominciò a cercare davve-

ro. E qualcuno, al Bar Sport, lo cominciò

pure a votare.

“Roma ladrona! Viva Di Pietro!”

E passarono gli anni. Questa fu la fase

uno. Nella fase due (diligentemente pre-

vista dal Progetto Ivanov) l'Umberto, or-

mai capo-partito e senatore, battè dili-

gentemente tutti i bar sport della regione

annunciando che i politici erano tutti la-

dri e che ormai era il momento di riman-

darli tutti a Roma, dove avevano impara-

to a rubare. E siccome di politici ladri,

specialmente in quei tempi, non c'era af-

fatto carestia la gente cominciò a dargli

un certo credito. "Tutti ladri! Roma la-

drona! Abbasso Berluskaiser! Viva Di

Pietro!".

La fase tre scattò, come previsto, al

momento opportuno. I politici, spiegò

Bossi (consultando ogni tanto il taccuino

del compagno Ivanov) non erano tutti la-

dri; erano bensì i magistrati communisti

che volevano farli passare per ladri, ma

loro in realtà erano tutte persone onestis-

sime e perbene, col solo difetto di non

volersi calare le braghe davanti all'odiosa

dittatura communista che dominava spie-

tatamente il paese. "Tutti santi! Abbasso i

maggistrati communisti! Viva Berlusco-

ni! A morte Di Pietro!".

Adesso l'Umberto non comiziava più

al bar sport di Colgate, ma in piazza

Duomo a Milano e nelle televisioni; non

girava più in centoventisette ma, come

tutti i politici, in mercedes di lusso con

l'autista (un autista nuovo, tutto azzima-

to, fornito da Berlusconi; quello della

centoventisette se n'era andato, deluso,

da molto tempo).

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 21– pag. 21

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“Occhiellodi giro”

La gente non è mai cretina del tutto per

tutto il tempo, nemmeno in Pasquania, e

i voti per la Pasquania Libera, che prima

erano moltissimi, adesso diminuivano

continuamente.

La cosa però aveva poca importanza

perchè, essendo ormai al governo,

l'Umberto poteva ormai fregarsene di

quel che pensava la gente. E a questo

punto, del resto, stava ormai per partire

la Fase Quattro.

Altoparlanti, tv, scritte sui muri...

Come il compagno Ivanov (da tempo

riciclatosi in Manager della Caspian Pe-

troleum SpA) aveva lucidamente previ-

sto alla fine la gente, rimbambita dalle

cazzate dei communisti e soprattutto dai

lussi megagalattici che gli apparatniki

del partito si concedevano sempre più

frequentemente (ce ne fu uno a un certo

punto che camminava solo con scarpe da

un milione l'una), cominciò a schifare il

communismo e ogni cosa che anche va-

gamente gli si apparentasse.

Democrazia, senso civile, politica: tut-

ta roba da communisti. Ci siamo stufati

di tutto questo: vogliamo un governo non

politico, che non ci rompa le scatole e

che ci lasci dormire. Un governo che ci

faccia almeno qualche bella promessa il

sabato; lo sappiamo già che il lunedì ci

tocca rimetterci alla carretta; ma almeno,

la domenica, passiamola con un po' di

speranza. Un governo-Sisal, insomma.

E questo governo fu fatto, e andò avan-

ti. Altoparlanti, televisioni, scritte sui

muri, giornali - tutto ripeteva in conti-

nuazione che domenica prossima, sicu-

rissimamente, sarebbe uscito il numero

fortunato; e la gente, senza crederci, ci

credeva.

La gente, senza crederci, ci credeva

La cosa sarebbe potuta andare avanti

molto a lungo. Ma i compagni sovietici,

forti di un'esperienza secolare, non a

caso avevano mandato il compagno Iva-

nov a reclutare l'uomo opportuno. "Per-

chè sappiate, cuompagni, che l'arte del ri-

vuoluziuonario tiene cuonto di tutto e sa

sfruttare per la causa ognunque e qual-

siunque elemento" (Susl., Dottr. del

Comm., IV, 16, 240). E ancora: "In verità,

cuompagni, deve ancuora nascere il pork

kapitalist che ce la metterà in kwel post"

(Brezn., Man. Agit., VI, 13, 190, tomo

secondo).

Ed ecco: appena il capo del porco go-

verno capitalista diceva (purtroppo i go-

verni capitalisti devono far contente le

confindustrie, ogni tanto): "Lavoratori,

lunedì sera purtroppo dovrete prenderla

un momentino in quel posto lì", imme-

diatamente l'Umberto - che s'era abil-

mente intrufolato nel governo - afferrava

il mocrofono e sbraitava: "E senza vase-

lina! Avete capito, stronzi? Vaselina,

niente!".

“Cannonate in pancia!”

Ora voi capite che, di fronte a una cosa

di queste, i lavoratori ci restavano anche

un po' male. E certo la popolarità del go-

verno non ci guadagnava. Il che era esat-

tamente ciò che aveva callidamente pre-

visto, a suo tempo, il compagno Ivanov.

"Bisognerebbe annegare qualche extra-

comunitario, ogni tanto". "No! Bisogna

affogare TUTTI gli extracommunitari!

Cannonate in pancia, altro che cazzi!". E

un altro punto in meno per il governo.

"I magistrati ce l'hanno col governo

perchè sono communisti". "Brigatisti,

sono! Aboliamo i magistrati e mettiamoci

gli sceriffi!". "Licenziamo Santoro!".

"Nein! Fuciliamolo senz'altro!". E vai.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 22– pag. 22

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“Una lapidein più,

vicino a Stalin”

Insomma, a ogni cazzata che il gover-

no diceva il Bossi vedeva, raddoppiava,

rinterzava e ci aggiungeva il carico a de-

nari.

Lo Stato Libero di Paranà

Ora, una cazzata va bene, due si

sopportano, tre pure, ma insomma quan-

do il governo privatizzò l'aria atmosferi-

ca e Bossi, pronto, dichiarò che bisogna-

va anche metterci una tassa, andò a finire

come tutti sapete, e come del resto era

logico che finisse.

Berlusconi, come sapete, fu salvato da

Prodi e Cofferati quando la folla invase

Palazzo Venezia e adesso fa il presidente

dello Stato Libero di Paranà. Dicono che

se la passi bene, a parte Garzon che, osti-

nato, dopo tanti anni si aggira ancora tra-

vestito da alligatore da quelle parti nella

speranza - finora delusa - di beccarlo.

Ferrara è ministro nel governo di

centrosinistra, Mentana dirige il Tg1,

Lerner Canale 5, io sono disoccupato

come al solito e papa Massimo Primo (il

primo papa coi baffi nella storia del

vaticano: chissà come ha fatto) ha

appena nominato cardinale Rondolino.

Tutti sono felici e nessuno s'è fatto male:

come sempre in Italia, salvo qualche

eccezione.

L'unico che manca è Bossi. Fu visto

l'ultima volta il giorno della Gloriosa Ri-

voluzione mentre, in piedi su un carrar-

mato, incitava la folla a fare giustizia del

"mafioso capitalista Berlusconi". Poi non

s'è visto più.

Maroni (che ora è ministro dello

Spettacolo) e Castelli (a capo dell'Ente

Ponte di Messina) sono convinti che sia

caduto combattendo. Qualcuno dice che

è semplicemente sparito ma tornerà

quando la Pasquania avrà bisogno di

essere liberata dalla tirannia di un altro

Berluskaiser. Il popolo ha bisogno di

miti.

Ma nella sala sotterranea del Cremlino,

dove il Kgb (l'Unione Sovietica adesso è

clandestina: per motivi di opportunità si

fanno chiamare Russia e molte cose le

fanno di nascosto, ma è sempre uno del

Kgb quello che comanda) tiene le sue

riunioni segrete, adesso c'è una lapide in

più, a destra di quella di Stalin e pochi

metri avanti a quella di Suslov.

Il popolo ha bisogno di miti...

C'è il busto di un uomo dai marcati

tratti celtici (capelli ricciuti neri e zigomi

sporgenti), con sguardo da visionario e

bocca da profeta; sul suo petto brillano

l'Ordine di Lenin, la Bandiera Rossa, la

Stella di Eroe dell'Unione Sovietica e,

più commovente di tutto, un semplice

nastrino rosso. "Tovarisc Bossi", c'è

scritto sotto. E poche righe in cirillico,

che non abbiamo tradotto.

(22 aprile 2002)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 23– pag. 23

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Inchieste

Sicilia/ Mafia e Muos:parenti, amici o“passavamo per caso”?Il primo maggio a Ni-scemi centinaia di ra-gazzi da tutta la Sicilia concludono tre giorni di protesta (pacifica e gioiosa) contro il Muos, la megacentrale che rischia di mandare in pezzi l'economia e la natura del cuore della Sicilia. Ma perché ce l'hanno tanto col Muos? Di che si tratta? E chi ci fa affari?

di Antonio Mazzeo

Si dice che sono contiguo alla crimi-

nalità organizzata? Ed io chiudo e li-

cenzio tutti! A Niscemi, nel cuore della

riserva naturale che ospita l’ultima su-

ghereta dell’Isola, la Piazza Calce-

struzzi Srl ha completato sbancamenti

e piattaforme in cemento armato dove

innalzare le mega-antenne del MUOS,

il nuovo sistema di telecomunicazioni

satellitari delle forze armate Usa. E

dalle pagine de La Sicilia, il 4 aprile

2012, i titolari annunciano l’affissione

all’ingresso degli l’impianti di un car-

tello choc: cantieri chiusi per mafia!

“Si tratta di un’impresa che dal 31 ot-

tobre dell’anno scorso è chiacchierata on

line con il sospetto di essere vicina ad

ambienti in odor di mafia”, annota il

cronista. Poi il lungo sfogo di Vincenzo

Piazza, “delegato” della Calcestruzzi,

che – spiega il cronista - ha deciso di

dire basta a quelle che considera maldi-

cenze gratuite che continuano ad appari-

re periodicamente nei vari blog d’infor-

mazione della rete.

“Una campagna diffamatoria senza

frontiere nei nostri confronti, attuata con

vari articoli contenenti dichiarazioni di

politici professionisti dell’antimafia che

hanno determinato gradualmente un calo

di richieste di lavoro nei confronti della

nostra ditta, fino al punto che dopo aver

ultimato la fornitura del calcestruzzo per

il basamento dove saranno collocati i tra-

licci del MUOS, ci ritroviamo senza più

richieste di forniture”.

L’1 aprile, la “Piazza Calcestruzzi Srl”

aveva notificato agli otto dipendenti as-

sunti con contratto a tempo indetermina-

to la lettera di licenziamento per “gravi

problemi economici” dovuti alla man-

canza di commesse. All’indice la Prefet-

tura di Caltanissetta, rea di aver negato

all’azienda le necessarie informative an-

timafia.

“Abbiamo subìto in passato attentati

incendiari ad autovetture, escavatori e

betoniere”, si duole ancora su La Sicilia

Francesco Piazza, figlio di Vincenzo.

“Mio padre, addirittura, si è rifiutato di

pagare un pizzo di 170 mila euro ed ha

denunciato 5 estortori di un clan malavi-

toso catanese che sono stati arrestati. E

ciò nonostante, siamo abbandonati da

tutte le associazioni di categoria locali,

provinciali e regionali. Abbiamo così de-

ciso di uscire allo scoperto proprio per-

ché non abbiamo nulla da temere e di

dire basta alle accuse diffamanti. Abbia-

mo sporto 5 querele verso coloro che ci

hanno diffamato e senza mai che questi

abbiano indicato circostanze specifiche

di una presunta nostra vicinanza ad am-

bienti mafiosi”.

La Calcestruzzi Piazza

In verità blogger e giornalisti si sono

limitati a riportare il contenuto di una ar-

ticolata interrogazione parlamentare ai

Ministri della difesa e degli interni, pre-

sentata il 14 febbraio 2012 dal senatore

Giuseppe Lumia (Pd).

“È in atto la ristrutturazione e l’amplia-

mento del sistema di comunicazioni per

utenti mobili denominato MUOS nel ter-

ritorio di Niscemi, iniziativa ritenuta

strategica a fini militari”, esordisce Lu-

mia.

“L’impresa che sta effettuando, in

subappalto per conto della ditta Lageco

di Parisi Adriana Srl, lavori edili e forni-

ture di calcestruzzo è la Calcestruzzi

Piazza che ha come amministratore unico

Concetta Valenti, il cui marito conviven-

te è Vincenzo Piazza, che, in base ad in-

dagini della Direzione distrettuale anti-

mafia (DDA) di Caltanissetta nonché ad

altri elementi info-investigativi segnalati

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 24– pag. 24

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dalle Forze dell’ordine, apparirebbe for-

temente legato al noto esponente mafioso

del clan Giugno-Arcerito, Giancarlo

Giugno, attualmente libero a Niscemi”.

Il senatore spiega che nel corso

dell’indagine Atlantide-Mercurio della

procura antimafia di Caltanissetta (gen-

naio 2009) sarebbero emersi contatti del

Piazza con esponenti mafiosi che “evi-

denziano ingerenze e condizionamenti di

Cosa nostra nell’appalto per i lavori di

recupero, consolidamento e sistemazione

a verde dell’area sottostante il Belvedere,

commissionati dal Comune di Niscemi”.

Vincenzo Piazza, insieme a Giancarlo

Giugno, è stato inoltre denunciato per il

reato di associazione mafiosa nell’ambito

dell’operazione Triskelion, eseguita nel

febbraio 2010 dalla DDA e dal GICO

della Guardia di finanza di Caltanissetta,

contro una “cellula” di Cosa nostra della

provincia di Enna operante in Lombardia

e in Belgio.

Affiliato al clan di Pietraperzia

“Nell’ambito della citata indagine -

scrive il parlamentare - il monitoraggio

dell’utenza in uso a Antonino Tramonta-

na (soggetto affiliato al clan di Pietraper-

zia) dava modo di riscontrare plurimi

contatti che costui intratteneva con alcu-

ni personaggi pluripregiudicati, tra cui

Giancarlo Giugno; quest’ultimo veniva

contattato proprio tramite l’utenza in uso

a Piazza. Sempre tramite Vincenzo Piaz-

za, altro soggetto mafioso di Pietraper-

zia, tale Nino Tramontana, il 24 agosto

2006, incontrava Giancarlo Giugno ed

era per mezzo del suo cellulare che par-

lava con Giugno quando si trovava pres-

so l’impianto di calcestruzzo, il 3 settem-

bre 2006…”.

La “Piazza Calcestruzzi” era finita

nell’occhio del ciclone ben prima

dell’atto ispettivo del senatore Lumia. Il

7 novembre 2011, la Prefettura di Calta-

nissetta aveva reso noto che a seguito

delle verifiche disposte dalle normative

in materia di certificazione antimafia

“sono emersi allo stato degli attuali ac-

certamenti e dagli atti esistenti presso

questo ufficio elementi tali da non potere

escludere la sussistenza di tentativi di in-

filtrazione mafiosa tendenti a condizio-

nare le scelte e gli indirizzi della sopraci-

tata società”.

Alla base del pronunciamento prefetti-

zio, i contenuti di un rapporto della Divi-

sione Polizia anticrimine della Questura

di Caltanissetta del 6 ottobre 2011, e di

quello della Sezione Criminalità organiz-

zata della stessa Questura del 27 dicem-

bre 2010.

A seguito del pronunciamento della

Prefettura, il 25 novembre 2011 il diri-

gente dell’Area servizi tecnici della Pro-

vincia regionale di Caltanissetta aveva

sospeso la “Piazza Calcestruzzi”

dall’Albo delle imprese per le procedure

di cottimo-appalto.

Venti giorni dopo anche il capo riparti-

zione per gli Affari generali del Comune

di Niscemi disponeva l’esclusione della

società dall’elenco dei fornitori e

dall’Albo delle imprese di fiducia.

Contro i provvedimenti, i Piazza hanno

presentato ricorso al TAR. “La conoscen-

za o la frequentazione di Giancarlo Giu-

gno da parte di Vincenzo Piazza non ha

influenzato le scelte personali del

secondo, che invece sono state di segno

esattamente opposto rispetto alla

vicinanza ad un comportamento

mafioso”, affermano i legali della

“Calcestruzzi”.

Un rapporto della Dia

“Non si comprende, dunque, secondo

quale passaggio logico il primo avrebbe

sul secondo un’influenza così profonda

ed estesa, da fare ritenere probabile

l’intromissione nella gestione della so-

cietà, di cui peraltro il secondo non è so-

cio né amministratore”. Una tesi che ha

convinto il Dipartimento della difesa, il

Comando di Sigonella, l’Ambasciata de-

gli Stati Uniti a Roma e le massime auto-

rità militari italiane. Nessuno infatti ha

ritenuto d’intervenire per far rispettare la

legislazione italiana antimafia.

In origine, gli unici lavori pro-MUOS

nella riserva “Sughereta” di Niscemi, au-

torizzati dall’assessorato ambiente e ter-

ritorio della Regione siciliana, riguarda-

vano la recinzione del perimetro interes-

sato al sistema satellitare, la realizzazio-

ne di un impianto di illuminazione e di

un sistema di drenaggio delle acque me-

teoriche, il livellamento superficiale del

terreno e il suo consolidamento, sistemi

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 25– pag. 25

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“In spregioalle leggi

e al sensocomune”

di viabilità e collegamenti dell’area con

le esistenti reti idriche, elettriche e tele-

foniche mediante tubazioni interrate.

Le opere, però, sono state eseguite in

spregio alle leggi e al senso comune. Re-

carsi in contrada Ulmo è come ritrovarsi

in un girone infernale. Il paesaggio è da

incubo. Scempi che si sommano ad altri

scempi. La collina profanata, stuprata,

sventrata. Voragini ampie come i crateri

di un vulcano. Il terreno lacerato dal

transito dei mezzi pesanti, ruspe,

betoniere, camion. Recinzioni di filo

spinato, tralicci di acciaio. Una selva di

antenne. E poi ancora e solo antenne.

Terrazzamenti, gli uni sugli altri, per

centinaia e centinaia di metri. Uno di essi

con evidenti segni di cedimento. In cima,

tre piattaforme in cemento armato. E un

primo blocco di casermette, container in

alluminio e i box per i generatori di

potenza.

“La dislocazione non corrisponde”

“Abbiamo rilevato alcune problemati-

che sulla conduzione delle opere di sban-

camento”, denunciano i rappresentanti

del Movimento No MUOS.

“Negli elaborati grafici del progetto, la

dislocazione delle piattaforme per le an-

tenne non corrisponde con quelle in co-

struzione. Nelle tavole le basi erano di-

sposte lungo una direttrice nord-sud,

mentre la loro realizzazione è in direzio-

ne est-ovest. Non sappiamo se siano mai

state approvate varianti in corso d’opera

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 26– pag. 26

29 APRILE-1° MAGGIONISCEMI/ TRE GIORNI INSIEME PER DIRENO ALLE ARMI E SI AL RISPETTO DELLA NATURA

Siete invitati a partecipare attivamente al presidio di tre giorni presso l'area limitrofa alla "Base U.S. navy tel.sta.", per ribadire il nostro NO:- alla Base strategica-militare-di guerra, della Marina Militare Americana- all'installazione del sistema MUOS, in corso di realizzazione- all'inquinamento elettromagnetico nella nostra riserva,- per ricordare l'uccisione di Pio La torre e la strage di Portella delle Ginestre.

Domenica 29 aprile10:00 Partenza corteo con parata12:00 Arrivo alla baseApertura lavoriConferenza stampa a cura del “Movimento NO MUOS Sicilia”14:00 Passeggiata nella Riserva Naturale della Sughereta16:00 Convegno-Assemblea sull’ inquinamento elettromagnetico18:00 Concerto del tramontoLetture a tema20:00 Teatro tematicoProiezioni nell’area cinema22:00 BACIAMOLEMANIProiezioni nell’area cinema00:00 Dj set live a temaProiezioni nell’area cinema

facebook.com/groups/189693527785926

Lunedì 30 aprile10:00 Convegno sui Movimenti e “Pio La Torre”12:00 Conferenza stampa14:00 Iniziativa “pulisci il tuo bosco”16:00 Assemblea “Incontro tra i Movimenti”18:00 Concerto del tramontoLetture a tema20:00 Teatro tematicoProiezioni nell’area cinema22:00 QBETAProiezioni nell’area cinema00:00 Dj set live a temaProiezioni nell’area cinema

Martedì 1 maggio10:00 Convegno e dibattito sulle iniziative future12:00 Conferenza stampa conclusiva14:00 Concerto del 1°Maggio con Gruppi del TerritorioNel corso della tre giorni:- Dibattiti- Proiezioni- Mostre- Musica- Teatro- Danze- Meditazioni- Happening- Birdwatching- Trekking

Il Comitato NoMUOS

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Page 27: I Siciliani - aprile 2012

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“Adesso No Muosvuol dire

No Mafia”

al progetto. Se non è così, i lavori non

sono coerenti con le autorizzazioni.

Di sicuro questa modifica, per il profi-

lo del terreno, ha comportato un maggior

volume di terra movimentata e di con-

seguenza un più pesante impatto

sull’ambiente. È perfettamente visibile,

poi, la distruzione di essenze arboree

tutelate. La scomparsa di parte della

macchia mediterranea è provata anche

dalle foto satellitari in nostro possesso,

scattate prima dell’inizio dei lavori”.

“L’entità delle trasformazioni in atto

denotano una gravissima manomissione

dell’ambiente con l’aggravante di espli-

carsi a danno di un’area protetta di inte-

resse internazionale”, commenta amara-

mente Salvatore Zafarana, responsabile

del Centro di educazione e formazione

ambientale (C.E.A.) di Niscemi.

“Nei suoli interessati dalla megastrut-

tura è stato stroncato un processo di suc-

cessione ecologica positivo che aveva

portato alla colonizzazione dei suoli sab-

biosi e steppici con specie cespugliose di

gariga mediterranea.

La superficie destinata ad accogliere il

MUOS, unita a quella occupata dalle 41

antenne erette dalla Marina Usa a partire

dagli anni ‘90, hanno vanificato ogni

possibilità di collegamento delle aree bo-

scate più meridionali di contrada Pisciot-

to con quelle più a nord di Apa, Ulmo e

Vituso e con il residuo bosco di Carrubba

ad est. Ad essere definitivamente com-

promessi sono i lotti boscati di Mortel-

luzzo e Valle Porco, di limitate estensioni

ma di indiscusso pregio naturalistico e

paesaggistico”.

Le “presunte” illegalità e l’arroganza

dei potentati criminali rischiano di ripor-

tare Niscemi indietro di alcuni anni,

quando il territorio era sotto il dominio

mafioso e gli spazi di libera espressione

e agibilità democratica per le nuove ge-

nerazioni erano minimi.

Mafia e militarizzazione

“Con il MUOS e i lavori in mano agli

amici del boss, il clima è tornato a farsi

pesante e iniziamo ad avere davvero pau-

ra”, afferma uno dei giovani attivisti No

MUOS. “I nostri genitori, che pure ci

hanno sempre sostenuto, si fanno delle

domande. Dicono che adesso No MUOS

significa No Mafia e che toccando il

MUOS si toccano le relazioni criminali.

E ciò può creare problemi. Hanno paura

che ci possano incendiare l’auto. So che

hai ragione e che ci metti il cuore nella

lotta contro il MUOS, ma stai attento!,

mi ha detto mia madre. Lei non vuole

che molli, ma mi fa male vederla preoc-

cupata. Ci sono state persone che sono

andate dai nostri genitori, consigliando,

anzi denunciando, che eravamo nel Mo-

vimento. E questi a Niscemi sono segnali

chiari, inequivocabili”.

La mafia che genera militarizzazione.

La militarizzazione che rigenera la ma-

fia. “Anche se qui non si spara e si ucci-

de da qualche tempo, imperversa il rac-

ket, i commercianti pagano il pizzo e i

mafiosi impongono le forniture di ce-

mento alle imprese che lavorano”, rac-

conta Tony. “Ho lavorato come commes-

so nel settore dell’ abbigliamento. I ma-

fiosi entravano in negozio, provavano la

merce, se la facevano impaccare e se ne

andavano dicendo poi pagherò. Ma non

pagavano mai. C’è poi il passaggio di

proprietà di piccole quote in mano ai ma-

fiosi. I negozi vengono bruciati o vengo-

no fatte esplodere le auto dei commer-

cianti. A Niscemi non è mai nata

un’associazione antiracket. Doveva na-

scere qualche tempo fa. Fu annunciata

durante la presentazione della festa del

Patrono. Poi, di notte, ci furono tre atten-

tati contro i commercianti che dovevano

costituire l’associazione. L’iniziativa fu

cancellata. E ai grandi processi di mafia

si costituiscono oggi solo il Comune e

l’associazione Libera”.

L’amministrazione di Niscemi è stata

sciolta per infiltrazione mafiosa due volte

in meno di dodici anni, la prima il 18

luglio 1992, il giorno prima dell’assassi-

nio del giudice Borsellino e della sua

scorta, la seconda il 27 aprile 2004.

“La situazione amministrativa risulta

caratterizzata da rilevanti fenomeni di in-

stabilità politica, determinati dalla grave

situazione dell’ordine pubblico ivi esi-

stente, che hanno determinato il susse-

guirsi di tre giunte comunali, la prima

delle quali è stata presieduta dal sindaco

dott. Rizzo Paolo, legato da vincoli di

parentela con esponenti della criminalità

locale”, riportava il decreto di sciogli-

mento a firma dell’allora ministro degli

interni, Nicola Mancino.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 27– pag. 27

Page 28: I Siciliani - aprile 2012

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Il Rizzo, nello specifico, è parente del

presunto boss niscemese Giancarlo Giu-

gno, quello delle frequentazioni con i ti-

tolari della “Piazza Calcestruzzi”. “Il 23

dicembre 1984, Giugno veniva tratto in

arresto in esecuzione di ordine di cattura

emesso dalla procura della Repubblica di

Caltagirone per associazione per delin-

quere di stampo mafioso”, annotava il

ministro. “Il 12 gennaio 1986 riceveva

notifica del provvedimento di diffida

emesso dalla questura di Caltanissetta; il

6 marzo 1991 veniva tratto in arresto per

favoreggiamento personale perché sor-

preso in compagnia del latitante Barberi

Alessandro di Gela, ritenuto personaggio

di rilievo del clan Madonia operante in

quel comprensorio; il 2 aprile 1991

veniva proposto dal comando carabinieri

di Caltanissetta per l’applicazione della

misura della sorveglianza speciale di P.S.

con divieto di soggiorno in Sicilia”.

Sull’ex sindaco Paolo Rizzo, pesarono

altresì i “vincoli di affinità” con tale Sal-

vatore Paternò, denunciato il 18 dicem-

bre 1984 alla Procura della Repubblica di

Caltagirone per associazione mafiosa.

Associazione mafiosa

La sua ingombrante presenza a capo

del Comune di Niscemi si protrasse dal

giugno 1988 al settembre 1991, il perio-

do in cui venne costruita in gran segreto

la stazione per le radiotelecomunicazioni

con i sottomarini nucleari della Marina

Usa. Si tratta di una delle infrastrutture

militari più estese del territorio italiano:

1.660.000 metri quadri di terreni boschi-

vi e agricoli ad uso esclusivo delle forze

armate statunitensi, secondo quanto pre-

visto dall’accordo tecnico Italia-Stati

Uniti dell’aprile del 2006. Una cessione

di sovranità a costo zero.

MUOS/ COSA FA,QUANTO (CI) COSTALA PAROLAAGLI SCIENZIATI

Il MUOS (Mobile User Objective Sy-

stem) è il nuovo sistema di telecomunica-

zioni satellitari per i conflitti del XXI se-

colo, quelli con i missili all’uranio im-

poverito, gli aerei senza pilota e le armi

nucleari in miniatura, conflitti sempre

più “virtuali”, computerizzati, disuma-

nizzati. Disumanizzanti.

Consentirà di propagare universalmen-

te gli ordini di guerra, convenzionale e/o

chimica, batteriologica e nucleare. E fi-

nanche quelli per scatenare la guerra al

clima e all’ambiente. Collegherà tra loro

i centri di comando e controllo delle for-

ze armate Usa, i centri logistici e gli oltre

18.000 terminali militari radio esistenti, i

gruppi operativi in combattimento e gli

arsenali di morte sparsi in tutto il pianeta.

I centri di comando

La nuova rete di satelliti e terminali

terrestri consentirà di moltiplicare di die-

ci volte il numero delle informazioni che

saranno trasmesse nell’unità di tempo,

accrescendo in modo esponenziale i ri-

schi che venga scatenato l’olocausto per

un mero errore tecnico.

Il MUOS incarna le mille contraddi-

zioni della globalizzazione neoliberista.

Elemento chiave delle future guerre stel-

lari, avrà effetti devastanti sull’ambiente,

il territorio e la salute delle popolazioni.

Le tre mega-antenne emetteranno mici-

diali microonde che si aggiungeranno

all’inquinamento elettromagnetico gene-

rato dalla stazione di telecomunicazione

di contrada Ulmo.

Un recente studio sui rischi del nuovo

sistema di trasmissione satellitare a firma

dei professori Massimo Zucchetti e Mas-

simo Coraddu del Politecnico di Torino,

riporta che nel periodo compreso tra il

dicembre 2008 e l’aprile 2010 l’Arpa Si-

cilia ha effettuato una serie di rilievi sulle

emissioni generate dalla radiostazione di

Niscemi che hanno consentito di rilevare

valori di campo elettrico prossimi al

valore di attenzione di 6 V/m.

Le misurazioni hanno evidenziato in

particolare “la presenza di un campo

elettrico intenso e costante in prossimità

delle abitazioni, mostrando un sicuro

raggiungimento dei limiti di sicurezza

per la popolazione e, anzi, un loro proba-

bile superamento. In un caso il valore ri-

levato è risultato prossimo al limite di at-

tenzione stabilito dalla normativa”.

Il Politecnico di Torino ha pure rileva-

to che il nuovo terminale per le Stars

Wars avrà pesantissimi effetti sul traffico

aereo nei cieli siciliani e in particolare

sul vicino aeroporto di Comiso, riconver-

tito ad uso di civile dopo avere ospitato

negli anni ’80 i 112 missili nucleari Crui-

se della NATO.

“La potenza del fascio di microonde

del MUOS è senz’altro in grado di pro-

vocare gravi interferenze nella strumen-

tazione di bordo di un aeromobile che

dovesse essere investito accidentalment-

e”, scrivono i professori Zucchetti e Co-

raddu. “Gli incidenti provocati dall’irrag-

giamento di aeromobili distanti anche

decine di Km. sono eventualità tutt’altro

che remote e trascurabili ed è incompren-

sibile come non siano state prese in con-

siderazione dagli studi progettuali della

Marina militare Usa”.

Interferenze al traffico aereo

I rischi d’interferenza investono

potenzialmente tutto il traffico aereo

della zona circostante il sito MUOS.

Nel raggio di 70 Km si trovano ben tre

scali aerei: Comiso, a poco più di 19 Km

dalla stazione di Niscemi, e gli aeroporti

militare di Sigonella e civile di Fontana-

rossa (Catania), che si trovano rispettiva-

mente a 52 Km e a 67 Km. Sigonella, tra

l’altro, è già oggetto delle spericolate

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 28– pag. 28

Page 29: I Siciliani - aprile 2012

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operazioni di atterraggio e

decollo dei velivoli da

guerra senza pilota Global

Hawk, Predator e Reaper a

disposizione delle forze

armate Usa e NATO.

Per gli studiosi del

Politecnico, l’irraggiamento

a distanza ravvicinata, di un

aereo militare, potrebbe

avere conseguenze

inimmaginabili. “Le

interferenze generate dalle

antenne possono arrivare

infatti a innescare

accidentalmente gli ordigni

trasportati. È quanto

accaduto il 29 luglio 1967 nel Golfo del

Tonchino alla portaerei US Forrestal,

quando le radiazioni emesse dal radar di

bordo detonarono un missile in dotazione

ad un caccia F-14, causando una violenta

esplosione e la morte di 134 militari. Tali

considerazioni dovrebbero portare a

interdire cautelativamente vaste aree

dello spazio aereo sovrastanti

l’installazione del MUOS”.

Dirottato da Sigonella

Gli insostenibili pericoli per il traffico

aereo del nuovo sistema di telecomunica-

zioni satellitari sono del tutto noti ai tec-

nici statunitensi, al punto che sei anni fa

fu deciso di dirottare a Niscemi il termi-

nale MUOS destinato originariamente

alla stazione aeronavale di Sigonella.

A determinare il cambio di destinazio-

ne, le risultanze di uno studio sull’impat-

to delle onde elettromagnetiche generate

dalle grandi antenne (Sicily RADHAZ

Radio and Radar Radiation Hazards

Model), eseguito da due aziende statuni-

tensi, AGI - Analytical Graphics Inc. e

Maxim Systems.

Nello specifico, venne elaborato un

modello di verifica dei rischi di irradia-

zione sui sistemi d’armi, munizioni, pro-

pellenti ed esplosivi (il cosiddetto HERO

- Hazards of Electromagnetic to Ordnan-

ce), ospitati nella grande base siciliana.

Appurato che le fortissime emissioni

elettromagnetiche del MUOS potevano

avviare la detonazione degli ordigni, AGI

e Maxim Systems raccomandarono i mi-

litari statunitensi di non installare i tra-

smettitori a Sigonella.

Anche Filippo Gemma, amministratore

di Gmspazio Srl di Roma (società che

rappresenta in Italia la statunitense AGI),

ha confermato l’esito negativo dello stu-

dio sull’impatto elettromagnetico. Nel

corso dello speciale di Rai News 24 Base

Usa di Sigonella. Il pericolo annunciato,

trasmesso il 22 novembre 2007, Gemma

ha dichiarato che “una delle raccomanda-

zioni di AGI era che questo tipo di tra-

smettitore non dovesse essere installato

in prossimità di velivoli dotati di arma-

mento, i cui detonatori potessero essere

influenzati dalle emissioni elettromagne-

tiche del trasmettitore stesso”.

Contro il devastante progetto militare -

mai discusso in sede parlamentare – si

sono pronunciati tre consigli provinciali

(Catania, Ragusa e Caltanissetta) e quasi

tutti i Comuni vicini alla stazione di con-

trada Ulmo.

In un primo tempo anche il Presidente

della regione siciliana, Raffaele Lombar-

do, si era dichiarato contro il MUOS, poi

con un repentino e più che sospetto giro

di valzer si è trasformato in uno dei suoi

più convinti sostenitori. Ciononostante,

comitati spontanei di cittadini, istituzioni

e associazioni politiche, sindacali e am-

bientaliste stanno moltiplicando gli sforzi

per ottenere la revoca delle autorizzazio-

ni concesse per l’installazione delle

mega-antenne.

Comitati spontanei di cittadini

Dopo un corteo di protesta a Niscemi il

31 marzo scorso e un presidio a Comiso

il 4 aprile in occasione del trentennale

della grande manifestazione contro i mis-

sili nucleari Cruise, i No MUOS siciliani

si ritroveranno a Niscemi il 29-30 aprile

e l’1 maggio per una tre giorni di eventi e

iniziative di sensibilizzazione.

“L’intero territorio dell’Isola ha già pa-

gato altissimi costi sociali ed economici

per le dissennate scelte di riarmo e mili-

tarizzazione”, afferma Alfonso Di Stefa-

no della Campagna per la smilitarizza-

zione di Sigonella. “Il recente conflitto in

Libia ha consacrato il ruolo della Sicilia

come grande portaerei per le operazioni

di attacco Usa, NATO ed extra-NATO in

Africa e Medio Oriente. Dallo scalo civi-

le di Trapani Birgi sono stati scatenati

buona parte dei bombardamenti contro

l’esercito e la popolazione civile libica.

Sigonella è divenuta la capitale mondiale

dei famigerati Global Hawk e proliferano

in Sicilia e nelle isole minori i radar per

l’intercettazione delle imbarcazioni di

migranti.

Tutto ciò per perpetuare il modello di

rapina delle risorse energetiche e arric-

chire i signori del complesso militare-

industriale transnazionale”. Il MUOS,

costato già più di sei miliardi di dollari,

ha come principale contractor Lockheed

Martin, il colosso a capo del dissennato

programma dei cacciabombardieri F-35.

Il dio di tutte le guerre ha sempre lo stes-

so volto di morte.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 29– pag. 29

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Malitalia

Nel Campo di Mineodove noi bianchirinchiudiamo i neri“La Repubblica ricono-sce e garantisce i dirit-ti inviolabili dell' uomo...” Vabbe', que-ste sono le chiacchere. Vediamo com'è vera-mente la realtà

di Rosa Maria Di Natale

Immediatamente fuori dal “Residen-ce degli aranci” è il silenzio a far da padrone. Il via vai pigro di navette, auto dei carabinieri, mezzi della Croce rossa, scivola come se non volesse pe-sare all’esterno. Siamo a Mineo, comu-ne di poco più di cinquemila abitanti. Da queste parti ci sono nati Luigi Ca-puana e Giuseppe Bonaviri. In verità, pure il condottiero siculo Ducezio. Ma sarebbe impossibile bluffare sino in fondo. Perché qui non siamo nel paesi-no accogliente con i caffè e le palme. Qui siamo in campagna, lontanissimi dalla gente, a stretto contatto con gli svincoli stradali. Questa è la Mineo spoglia di case e di persone, dove il vento ti schiaffeggia in ogni stagione dell’anno. Sei isolato.

Il Residence degli Aranci, ribattezzato “della solidarietà”, accoglie il CARA di Mineo dal 18 marzo del 2011 e altro non è, che l’ex complesso che l’impresa Piz-zarotti di Parma tentò di affittare senza successo ai militari americani di Sigonel-la. Poi il Governo pensò di utilizzarlo per fronteggiare il flusso migratorio dal Sud del Mediterraneo. Una buona occasione per la Pizzarotti, e una buona azione per i poveri migranti. Chiamiamolo pure un affare.

Loro, i migranti, entro ed escono senza problemi, hanno anche una card carica di 3, 5 euro al giorno che gli permette di fare piccole spese. Solo che per recarsi a Caltagirone, devono fare un lunghissimo tragitto a piedi. I bus ci sono solo per Mi-neo. Per il resto, sei tagliato fuori.

Spesso i rifugiati richiedenti asilo cer-cano passaggi in auto, oppure vanno via con tanto di borsone con le poche cose e i documenti. A piedi, per chilometri.

Gli “ospiti” parlano poco

Gli “ospiti”, come tutti li chiamano qui, parlano poco o niente con i giornali-sti che sperano di fare due chiacchiere fuori. Colpa della lingua, certo.

Ma qui ci sono parecchi nordafricani che l’Italia la conoscono attraverso la tv, o che vengono da zone turistiche del Ma-ghreb, o che le lingue europee, molto semplicemente, le hanno studiate. Eppu-re scappano di fronte ad una macchina fotografica, ad una telecamera, o anche ad un semplice cellulare.

Molti hanno paura di essere ricono-sciuti nel loro Paese, da dove sono scom-

parsi per ragioni politiche. Altri non si fi-dano dei giornalisti. Altri ancora vorreb-bero socializzare, ma finiscono per dirti poco.

“Ciao, sono pakistano- dice Abdel- Dove vado dopo il CARA? Non lo so, aspetto un lavoro. Qui in Italia non ce n’è, a Catania ancora meno che niente. Forse vado in Francia, forse. Aspetto che succeda qualcosa”.

E nel frattempo? “Resto qui. Mi danno da mangiare e dormo tranquillo. Non sa-prei dove altro andare”.

Anthony come il calciatore

Sono in tantissimi ad usare nomi falsi anche con le autorità. Qualcuno ha dei precedenti penali e spera di azzerare tut-to, sperano di rifarsi una vita.

Per esempio Anthony Yeboah, 31 anni, ghanese, era un omonimo di un ricco e famoso calciatore della nazionale di cal-cio del suo Paese. Era, e non è ancora, perché Anthony è deceduto due mesi fa all'ospedale di Caltagirone. A stroncarlo è stato un ictus. E’ entrato in uno stato soporoso e il trombo non è stato recupe-rato, nonostante si sia fatto in tempo ad effettuare una ecodoppler ed una Tac.

Ma Yeboah si era già recato all'ospedale il 9 marzo, ossia il giorno prima che la condizione si aggravasse; per i sanitari, però, è bastata un'iniezione disintossicante di Plasil per dimetterlo, anche perché il migrante era arrivato – come comunica ufficialmente lo stesso ospedale “Gravina”- in evidente stato di ebbrezza.

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“In attesadi qualcosa

che non avverràmai”

Foto di Rosa Maria Di Natale

"Non sappiamo però nulla sulle condi-zioni di salute di Anthony Yeboah prima che si recasse in ospedale in condizione d' urgenza. Ci chiediamo se si fosse sen-tito male anche nei giorni precedenti la morte e se il malessere sia stato corretta-mente decodificato già all'interno della struttura, soprattutto nelle ore precedenti il ricovero - dice l' avvocato Goffredo D'Antona dell' Osservatorio dei diritti Catania - . Non sappiamo ancora quanti medici ci siano al Cara a fronte di 1800 ospiti. Qualcuno di loro si è lamentato per l'assistenza sanitaria. Sarebbe auspi-cabile sapere se Anthony avesse chiesto aiuto all'ambulatorio, e se sia stata ese-guita una diagnosi del suo problema".

La Croce rossa aveva promesso di fare chiarezza subito dopo l’autopsia, invece non ha più comunicato nulla. Perché An-thony sia morto è un mistero. Perché la prima volta sia stato dimesso dall’ospe-dale senza che nessuno si fosse accorto del suo malessere reale, non è chiaro. Ma chi si occuperà del suo caso?

Dentro il CARA ci sono stati una deci-na di suicidi, ma la notizia è trapelata per caso, grazie alle associazioni umanitarie e a quelle che operano sul territorio, ma dal CARA non viene comunicato nulla di ufficiale.

In verità qualcosa è cambiato rispetto ai mesi scorsi. Da dicembre 2011 il Vil-laggio della solidarietà è aperto ai gior-nalisti, ai fotografi e alle telecamere. Un passo avanti non da poco, visto che nelle prime settimane di attività i volontari della Croce rossa arrivavano a provocare i cronisti arrivati da ogni parte d’Italia.

“Ma perché non la butta giù quella te-lecamera? Perché non la rompe?”, diceva qualcuno di loro, infastidito anche da do-mande banali tipo: “Come stanno i rifu-giati?”.

Dentro il Villaggio

Ora - almeno questo - la vita quotidia-na dentro il Centro è parzialmente osser-vabile. Inutile inventarsi storie: il cibo non manca, la vita scorre, esistono strut-ture accoglienti come le ludoteche per bambini, le aule per i corsi d’italiano, gli internet point, i bazar, la grande sala mensa. Gli alloggi sono puliti e ben orga-nizzati- sono 404 in tutto- con tanto di acqua calda, c’è pure lo psicologo. I mi-granti passeggiano per questi vialoni con gli alloggi “a schiera”. C’è chi sorride, chi no.

Il direttore del centro, Ianni Maccarro-ne, non lo dice ma di certo non nasconde la sua soddisfazione per questo “gioiello” di accoglienza. Maccarrone guida il Villaggio da quando la struttura è passata dalle mani della Croce rossa a quelle del consorzio Sisifo, in associazio-ne temporanea di imprese con Solco.

L’ente attuatore è la Provincia di Cata-nia. La capienza massima degli ospiti è di duemila unità. Oggi sono 1800, per lo più nigeriani, somali e pakistani, e il get-tone percepito dai gestori è di circa 23 euro a migrante. Ci vogliono tanti soldi per mantenere il centro. Fino a poche set-timane fa il CARA di Mineo era meta continua di trasferimenti da altri CARA. L’equazione “più ospiti, più soldi” è im-

mediata. Ora i flussi sono diminuiti. Ma sono troppi quelli che dal Centro non se ne vogliono andare, anche col permesso in tasca. Qui

Il ministero dell'Interno ha prorogato la convenzione per il dicembre 2012. Però se a Maccarrone si dice che tutto questo costa troppo lui dice che tutti stanno fa-cendo il proprio dovere. “E che facciamo , non li accogliamo? Andata a vedere cosa sta succedendo al CIE di Trapani, e fatevi un’idea…”

Se al direttore chiedi come mai tutti questi suicidi, lui risponde che si tratta di persone provate, che vengono da guer-re e condizioni estreme, che hanno fatto viaggi orribili prima di venire da noi: vero anche questo. Ma cosa succederà quando la proroga finirà? E, soprattutto, che fine ha fatto l’integrazione, quella vera, col territorio?

“Guardi che alcuni di loro sono dive-nuti mediatori culturali, vengono persino stipendiati per questo. A qualcuno siamo usciti a trovare anche un lavoro”. A quanti? Maccarrone non è preciso, ma cita pochissimi casi, inferiori come nu-mero alle dita di una mano.

Il fatto è che il CARA, oggi, è una sor-ta di prigione dorata dove in assenza di alternative, il migrante più sfortunato, quello che non ha parenti o amici all’estero o al Nord Italia, si rifugia in at-tesa di qualcosa che non avverrà mai.

Ancora Maccarrone: “Ma qui è anche nato l’amore tra coppie. Da ottobre ad oggi sono nati una ventina di piccoli e speriamo prima o poi di mandarne qual-cuno all’asilo, a Mineo.

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La ReteAntirazzista:

“Chiudeteil campo”

E poi guardi che noi fronteggiamo i pos-sibili contrasti con il calcio; usiamo orga-nizzare tornei con squadre volutamente promiscue, in modo che facciano grup-po”. Ah, giá, il calcio...

Il dossier dell'Arci

L’identikit del CARA di Mineo rico-struito da associazioni siciliane è ben riassunto dall’Arci di Catania, che in un dossier firmato dal legale Francesco Au-ricchiella, del Comitato territoriale area integrazione, mette a fuoco aspetti buro-cratici, e soprattutto ombre di un’istitu-zione che è piombata a Mineo in pochi mesi.

“Non è stato elaborato un piano inte-grato per la programmazione e realizza-zione dei servizi connessi fra il centro ed il territorio, con il coinvolgimento ed il concerto delle amministrazioni locali, piano che avrebbe dovuto definire i tem-pi di attuazione.- si legge nel dossier- Non è stato programmato il potenzia-mento del sistema scolastico al fine di consentire l’inserimento della nuova utenza in relazione all’obbligo – previsto dalla legge - di garantire l’accesso ai ser-vizi scolastici a parità di condizione con la popolazione residente. Non è stato previsto un piano di risorse aggiuntive per l’Azienda Sanitaria Locale rendendo ancora più difficile l’efficienza di una tu-tela sanitaria per tutta la popolazione pre-sente sul territorio”.

C’è poi un altro problema drammatico, sebbene non collegato alla gestione del CARA.

“La sezione della Commissione territo-riale per il riconoscimento della protezio-

ne Internazionale di Siracusa si è insedia-ta a Mineo solamente il 19.5.2011, e cioè due mesi dopo l’apertura del centro (cioè il 18.3.2011). Gli esordi burocratici della Commissione per l’esame delle domande sono stati molto lunghi, circa 15-20 casi a settimana, con conseguenti disagi e tensioni fra gli ospiti del centro- si legge nel dossier - la Commissione non si è av-valsa, per le audizioni, di interpreti com-petenti, né è stata garantita trasparenza alle procedure per la loro selezione e no-mina. Non è stata garantita la presenza, nel corso delle interviste, di interpreti delle lingue di alcuni richiedenti asilo.

Alcuni provvedimenti di rigetto della domanda di asilo (peraltro, resi in italia-no e non tradotti) non hanno specificato il foro competente, ma hanno erronea-mente indicato, quale Tribunale ove ri-correre, quello del luogo di provenienza, quando, invece, nel caso di ospitalità nel CARA, è competente il Tribunale ove in-siste il CARA - nel caso in ispecie, Cata-nia - . Con grave pregiudizio del diritto di difesa ed il concreto rischio che molti richiedenti, che non possano impugnare tempestivamente i provvedimenti, siano espulsi dal territorio dello Stato senza il previsto accertamento giurisdizionale della fondatezza della loro richiesta”.

Ad oggi, risulta che la Commissione di Mineo prosegua i propri lavori con la stessa lentezza degli inizi. Anche se il di-rettore del CARA, Sebastiano Maccarro-ne, assicura che sono circa 250, al mo-mento, gli ospiti in attesa di un pronun-ciamento.

Eppure molti ospiti del Centro conti-nuano a lamentare che la Commissione non rispetti, a parità di status e di condi-

zioni di fatto, alcun criterio logico e cro-nologico nella disamina delle istanze e nella convocazione per l’audizione.I ri-tardi nelle procedure di esame delle do-mande da parte delle commissioni terri-toriali e l’assoluta incertezza sul futuro delle persone rischiano di alimentare una spirale di rivolte e di conseguenti dure repressioni nonché di aumentare lo stato di disagio dei soggetti vulnerabili e trau-matizzati tuttora presenti al centro.

I nuovi interrogativi

Ma chi sceglie i professionisti che la-vorano al Centro? Al momento sono cir-ca 200 gli addetti che si occupano dei ri-chiedenti asilo a tutti i livelli e il pensiero malizioso che il CARA diventi un bacino elettorale trapela forte.

Altro quesito. Quanto sono tutelate le donne, soprattutto quelle sole? Le voci su abusi all’interno del centro sono sempre più insistenti, e non è un caso se gli abor-ti si moltiplicano. Su questi aspetti sta in-dagando anche la Procura di Caltagirone

Insomma, pasti sicuri e corsi d’italiano a parte, il CARA di Mineo prospetta tanti di quegli aspetti inquietanti che sarebbe ridicolo pensare di risolverli con una gara d’appalto, o una gestione ordinaria.

C’è sempre l’altra possibilità. Chiuder-lo. La Rete Antirazzista catanese ha nei mesi scorsi lanciato una campagna nazio-nale per la chiusura del Cara di Mineo. In più di un anno (e anche prima che il CARA aprisse) si sono susseguite tutta una serie di proteste. Ma cosa succederà a questo migliaio e rotti di persone nei messi che verranno, proprio non è dato sapere.

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S C A F F A L ES C A F F A L E

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Palermo

Tanti cantieri perun cantiere solo

“I cantieri che voglia-mo”: un modo di co-minciare a capire – ma senza retorica, som-messamente – il tipo di Palermo che voglia-mo. E di cominciare a costruirlo, senza gran-di parole

di Giovanni Abbagnato

Per una mattina la Piazza Pretoria

di Palermo, centro simbolico

dell’incontro – scontro tra cittadini e

istituzioni – ha visto una manifesta-

zione molto creativa inscenata dal Co-

mitato spontaneo dei “Cantieri che

vogliamo”che da tempo prova a sensi-

bilizzare città e amministrazione sulla

gravità della situazione di abbandono

e degrado dei Cantieri culturali della

Zisa.

Un vasto giacimento di archeologia

industriale che prima dell’avvento di-

struttivo della decennale amministrazio-

ne Cammarata ha costituto un

interessante incubatore di attività

culturali espresse della città e un luogo

di eccellenza per circuiti culturali di re-

spiro internazionale.

La manifestazione, supportata da una

serie di trovare creative, al grido di

“APRIAMO” – campagna di comunica-

zione tra le diverse del Comitato - ha fe-

stosamente animato la piazza dominata

dal Palazzo delle Aquile, sede del Co-

mune di Palermo, per un tempo luogo

aperto della città che vive oggi costante-

mente l’immagine della chiusura milita-

rizzata dei blindo e degli agenti in tenuta

antisommossa. Una triste immagine che

ormai scandisce le giornate in un’emer-

genza continua in cui i tanti problemi di

una città allo sbando dopo la funesta ge-

stione Cammarata, ruggiscono sotto le

finestre del Palazzo tristemente assedia-

to e non più sede dell’incontro delle ra-

gioni possibili con le tante speranze irri-

nunciabili.

Una timida speranza

Ormai non si fa più distinzione, tutto

diviene un problema di ordine pubblico

e ormai ci si affida solo alla timida spe-

ranza che si possa approdare presto ad

una stagione in cui ritrovino un senso la

proposta politica e il confronto demo-

cratico delle idee, invero duramente

messe alla prova dalle recenti vicissitu-

dini in vista delle elezione del prossimo

6 e 7 maggio.

Palermo prova a trovare una sua pro-

spettiva democratica affidando progetti

e interessi ad una campagna elettorale su

tutti fronti, forse come non mai, aspra e

contraddittoria e, in certi frangenti, addi-

rittura apparentemente insensata.

Intanto, la Commissaria straordinaria

Luisa Latella , insediatasi nello scomo-

dissimo Palazzo delle Aquile, sperimen-

ta l’impossibilità di parlare di ordinaria

amministrazione in una città come quel-

la che gli è toccato di guidare dopo

l’uscita di scena di un sindaco come

Cammarata, tanto negativamente evane-

scente da sembrare già consegnato ad un

tetro oblio, nonostante i tremendi lasciti

di quasi dieci anni di presenza nominale,

ma in realtà di irresponsabile assenza

sostanziale.

E' tutta un'emergenza

Ormai è decisamente tutta un’emer-

genza e il quadro presente, a dir poco

deprimente, rappresenta una città nuova-

mente bombardata dalle faide interne

del ceto politico dominante di centro-

destra che, insieme all’insipienza

dell’opposizione politico-sociale, ha

consentito una disamministrazione tota-

le di una municipalità come quella di

Palermo, tanto importante da non poter

vivere un tale stato di abbandono in cui

risultavano confuse perfino le azioni dei

comitati di affari, nefaste consorterie

politico-affaristiche costantemente

presenti nelle grandi città siciliane.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 34– pag. 34

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“Cantieredi tutta

la città”

Va detto che la capacità di reazione

della società palermitana appare abba-

stanza fiaccata anche nel campo generi-

camente definibile progressista che si

presenta lacerato da un’insensata condu-

zione delle primarie e del successivo di-

battito complessivo nel centro – sinistra.

Si tratta della crisi visibile di un’area

politica di variegata opposizione che

sembrava “naturalmente” chiamata a

guidare il tentativo della città, se non di

riscatto, di normalizzazione amministra-

tiva in una situazione che definire inso-

stenibile non è un modo di dire, ma una

realtà composita vivibile ogni giorno, in

ogni angolo di strada, come in ogni uffi-

cio o dovunque l’elemento della sociali-

tà, comunque prende una qualche forma.

Centro-destra diviso

Da parte sua il centro-destra, che già

prima delle dimissioni di Cammarata di-

mostrava di considerare perduta la parti-

ta delle amministrative nel capoluogo si-

ciliano, dopo qualche momento di rilan-

cio, nel mezzo dello scontro della parte

politica avversa, adesso non sembra es-

sere riuscito a stabilire una tregua che

possa supportare un candidato come Co-

sta, probabilmente non apprezzato da

non pochi di quelli che dovrebbero esse-

re i suoi sostenitori.

Se questo è lo scenario, meritano una

particolare considerazione i fremiti di

una parte della città che, pur non sotto-

valutando i problemi drammatici della

crisi sociale ed occupazionale, assume la

responsabilità di ricostruire il tessuto

culturale a partire dal recupero di impor-

tanti istituzioni, come i Cantieri della

Zisa, da salvaguardare, oltre che dal de-

grado, da ottuse mire speculative che ne

vogliono minare alla base la loro natura

e destinazione di Bene Comune, nella

più alta accezione etica e civica del ter-

mine.

In questo senso, si presenta molto in-

teressante l’altra vertenza aperta al tea-

tro Garibaldi, culminata in un’esperienz-

a di occupazione, analoga a quelle del

Valle di Roma e del Coppola di Catania,

che vede lavoratori dello spettacolo re-

sponsabilizzarsi in prima persona nel ri-

fiutare logiche di abbandono e sistemi di

gestione di strutture culturali basate sul-

le assegnazioni determinate da apparte-

nenze, tempi e cordate politiche.

Un altro segno di vitalità non sottova-

lutabile che, certamente, va verificato

nella sua capacità di mostrare coerenza

alle linee politico – culturali lanciate con

il manifesto lanciato dagli occupanti e

sulla reale condivisione di tali intenti da

parte di tutti i soggetti sostenitori.

La vertenza al Garibaldi

Tuttavia, va considerato che l’agire

implica il rischio e l’azione politica, in

senso di partecipazione diffusa, se non

esclude certo i rischi di contraddizioni,

nè limita fortemente la possibile inci-

denza, e favorisce il confronto delle idee

che è origine e strumento del controllo

democratico. Un controllo che è essen-

zialmente presenza e protagonismo della

gente necessari in ogni società che si vo-

glia liberare della logica delle Istituzio-

ni, tanto tristemente quanto inutilmente,

blindate militarmente all’interno dei vari

Palazzi pubblici.

I Cantieri della Zisa, da tempo aperti

spontaneamente dalla gente, come quel-

lo più recente del Garibaldi e altri rico-

noscibili per la città, sono una possibili-

tà concreta perché Palermo possa aprire

il Cantiere di tutta una città non rasse-

gnata ai ruderi del passato e alla demoli-

zione del presente.

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Interviste/ Enzo Maiorca

Il nuovo tiranno di Siracusa? Il cemento!

Due porti turistici, otto villaggi, decine di con-domini a schiera... E minacce a un vecchio cronista. Una città as-sediata

di Luciano Mirone

“Siamo alla vigilia di una immensa

cementificazione che stravolgerà

l’identità di una città unica al mondo,

di una città definita dall’Unesco ‘Pa-

trimonio dell’umanità’. Il nuovo Pia-

no regolatore prevede la costruzione

di due porti turistici, di otto villaggi

turistici e di decine di condomini a

schiera che prenderanno il posto dei

resti archeologici e della natura incon-

taminata”. Enzo Maiorca non ha dub-

bi. Il nuovo strumento urbanistico di

Siracusa – approvato nel 2007 – deva-

sterà un territorio pieno di testimo-

nianze storiche e naturalistiche tra le

più importanti del pianeta.

L’ex primatista del mondo di immer-

sioni in apnea – un mito per gli italiani

degli anni Settanta, oggi impegnato in

questa battaglia con il Wwf, con Italia

nostra e con decine di associazioni sira-

cusane – denuncia i politici invischiati

in un “affaire” che frutterà ai cementifi-

catori (solo a loro?) decine di milioni di

euro.

Chi sono? L’ex sindaco di centrode-

stra Giovanbattista “Titti” Bufardeci,

primo degli eletti in provincia alle ulti-

me regionali con oltre 17mila voti, fino

a due anni fa vice presidente della Giun-

ta regionale presieduta da Raffaele Lom-

bardo, e l’attuale sindaco Roberto Vi-

sentin (Pdl), spalleggiati, secondo Ma-

iorca, dall’ex ministro Stefania Prestig-

iacomo che “quando c’è da spezzare una

lancia, la spezza sempre a favore dei ce-

mentificatori”.

I fratelli Caltagirone

L’ex sub punta il dito contro i Grandi

signori del cemento, che stanno metten-

do le mani sulla città, in primis i fratelli

Caltagirone. Ma non solo.

Certe imprese locali pretendono la

loro fetta di torta – con appalti, subap-

palti, scavi, movimento terra – acqui-

stando immense porzioni di territorio

per scaricare il loro cemento. Se hanno

miseri capitali sociali di appena 10mila

Euro non ha importanza. L’importante è

che i denari si moltiplichino.

Dietro al nuovo “sacco” di Siracusa –

dopo quello perpetrato negli anni Set-

tanta – si scorge l’ombra di Cosa nostra.

Le minacce ad un cronista di settanta-

tré anni, Salvatore Maiorca, sembrano

dimostrarlo.

Minacciato anche il Wwf

Da quando Salvatore Maiorca (quasi

omonimo del sub siracusano) ha comin-

ciato ad occuparsi del Piano regolatore,

sono arrivate le lettere di minaccia: “Chi

ti paga? Anche altri pagano. La devi

smettere di occuparti della Pillirina (una

località di mare presa di mira dagli spe-

culatori, n.d.r.), dei porti e dei villaggi

turistici, sono opere che si devono fare”.

E siccome “si devono fare”, il consi-

glio è di non ficcare il naso in cose più

grandi di lui. Stesso “consiglio”, ovvia-

mente “bonario”, al presidente del Wwf

di Siracusa, Giuseppe Patti: “Faremo

prendere un bello spavento anche a lui”.

“Questo è il risultato di una politica

miope e affaristica, che da decenni, con

l’alibi del lavoro, vuole giustificare certe

nefandezze”, dice il sub siracusano.

“Uccidono l'anima della città”

L’ex primatista del mondo, a ottantun

anni suonati, conduce questa battaglia

con lucidità, con grinta ma anche con un

velo di malinconia.

“E' terribile assistere alla distruzione

della tua città. È come se uccidessero

una parte della tua anima”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 36– pag. 36

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“Un Pianoregolatore

che faaccapponare

la pelle”

“Questo Piano regolatore – spiega – è

stato redatto su delle stime di crescita

completamente errate: un sovradimen-

sionamento di popolazione che a Siracu-

sa non esiste. Siccome devono giustifi-

care una dissennata colata di cemento,

succede anche questo. Questa città non

può diventare un immenso villaggio tu-

ristico”.

Enzo ci conduce in questi luoghi bel-

lissimi, passeggia e ogni tanto ricorda

un brano di Tucidide, la storia del tiran-

no Dionisio, le leggende dei vecchi pe-

scatori che gli hanno instillato l’amore

per il mare e per il paesaggio.

Passeggia e guarda il mitologico fiu-

me Ciane (dove nell’antichità si coltiva-

va il papiro) e le saline dismesse, la ri-

serva naturale piena di canne e le svaria-

te specie di uccelli che stagionalmente

migrano da queste parti.

Poi volge lo sguardo su quel lembo di

mare che nel V Secolo avanti Cristo fu

teatro di una cruenta battaglia tra atenie-

si e siracusani, nel quale si specchia un

ampio pezzo di città con l’isola di Orti-

gia e le case di pietra bianca che si inte-

grano con i colori della natura, e sovrap-

pensiero dice: “Dopo che hanno massa-

crato un tratto di costa con le ciminiere

del petrolchimico, vogliono completare

l’opera con delle mostruosità che ucci-

deranno definitivamente la città e il ter-

ritorio”.

Una pausa e poi: “Vede quelle barche

laggiù? Lì anticamente esisteva il Porto

grande: secondo Tucidide vi si svolse la

prima battaglia navale della storia. Sul

fondo ci sono ancora una settantina di

navi ateniesi. Fare delle ricerche non co-

sterebbe molto. Ma non le fanno. E sa

perché? Perché se trovano qualcosa si

potrebbero bloccare gli affari, quindi

meglio lasciare tutto sott’acqua”.

Un Piano regolatore, quello di Siracu-

sa, che fa accapponare la pelle. “Per co-

struire i due porti turistici dovranno

sventrare l’area del Porto grande e del

fiume Ciane”. Come? “Attraverso il pro-

sciugamento di 100mila metri quadrati

di mare. Vi rendete conto? Devono

riempire di terra il Porto grande e co-

struirci sopra un’isola artificiale. Una

roba da pazzi”.

“Siracusa resterà senza mare”

Ci spostiamo nella riserva naturale del

Plemmirio e poi nella spiaggia che i si-

racusani chiamano Pillirina. “Qui saran-

no edificati due villaggi turistici di 1000

posti letto. Sono gli unici tratti di costa

incontaminata che confinano con l’area

marina protetta della Maddalena e con il

promontorio del Plemmirio, un tratto di

macchia mediterranea pieno di tombe si-

cule, utilizzate successivamente dagli

ateniesi per seppellire i loro morti”. Il

Plemmirio è un posto pieno di fascino,

un promontorio di rocce bianche che si

protende sul mare, cantato perfino da

Virgilio nell’Eneide.

“Se fanno il villaggio turistico alla

Pillirina, Siracusa resterà senza mare.

Era l’ultima spiaggia libera rimasta”.

Qualche chilometro e siamo al castel-

lo Eurialo, un altro posto di rara bellez-

za. “Qui neanche la campagna con i

mandorli, i carrubi e i mirti esisterà più.

La zona del castello (una delle parti ar-

cheologiche più importanti della zona)

scomparirà sotto i colpi incessanti delle

ruspe e del cemento”.

Poco dopo ecco le Mura dionigiane,

muraglioni costruiti dal tiranno Dionigi

il vecchio che corrono dal castello Eu-

rialo verso il mare. “C’era un assoluto

divieto di costruire. Niente da fare.

Scempi anche qui”.

“Stanno costruendo i palazzi perfino

sull’Artemision di Scala greca, una zona

ricca di grotte risalenti all’età del bron-

zo, con una chiesetta rupestre edificata

dai greci nel settimo secolo avanti Cri-

sto. Il fatto assurdo è che i palazzinari e

i politici devono costruire per forza,

malgrado i vincoli. Qualcuno, per evita-

re lo scempio, ha tirato fuori il Piano

paesaggistico, che vieta le costruzioni

nella zona del Porto grande. Bene: il sin-

daco e la Giunta hanno presentato ricor-

so al Tar. Questo per dire come la politi-

ca siracusana cerchi di fare gli interessi

degli speculatori e non della città”.

“Per circa tre anni – seguita Maiorca –

abbiamo avuto una Soprintendente ai

Beni culturali, Mariella Muti, che con la

sua opera ha facilitato il processo di di-

struzione. Adesso il sindaco Visentin

l’ha nominata assessore. Ogni tanto or-

ganizza un convegno sulla storia e sulle

bellezze di Siracusa”.

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Interviste/ Pucci Giuffrida

Mafia, su 10 aziendeconfiscate 9 falliscono

Chiude anche la Riela Group, confiscata nel '99 a una famiglia vici-na ai Santapaola. Come mai non si rie-sce a gestire queste imprese? Lo abbiamo chiesto a un esperto di amministrazione dei beni confiscati. «Man-cano uomini e mezzi» risponde

di Agata Pasqualino CtZen

La Sicilia è la regione d’Italia con più aziende confiscate alla mafia. Sono 567 di cui 489 in gestione all’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e con-fiscati. Nella provincia etnea ce ne sono 91. Il 90 per cento viene general-mente messo in liquidazione o fallisce dopo la confisca.

Un esempio tra tutti – di quello che per molti rappresenta una sconfitta dello Sta-to – è la Riela Group, la società di tra-sporti e di distribuzione di merci di Piano Tavola, nella zona industriale di Belpas-so, di proprietà di Lorenzo Riela (dece-duto nel 2007) e del figlio maggiore Francesco (detenuto all’ergastolo per omicidio), appartenenti al clan Santapao-la.

Le mosse dei vecchi proprietari

All’epoca della confisca, nel 1999, era la quattordicesima azienda più ricca della Sicilia, con un fatturato di 30 milioni di euro e 250 dipendenti. Adesso ne sono ri-masti 22, che rischiano di restare senza lavoro in seguito all’annunciata chiusura.

Il declino è cominciato dieci anni fa, quando gli ex proprietari hanno cercato di riappropriarsi dell’azienda di famiglia, fondando un nuovo consorzio, Se.Tra. Service, che si è accaparrato tutti i clienti ed è addirittura diventato il principale creditore della società. Proprio a causa di questi debiti è stata messa in liquidazio-ne. Le responsabilità di questa vicenda sono ancora tutte da accertare. È chiaro però che qualcosa non ha più funzionato nella sua amministrazione, proprio sotto il controllo pubblico.

Ma come funziona la gestione finan-ziaria delle aziende confiscate alla mafia? Quali sono le difficoltà? E come mai un’azienda come la Riela è sull’orlo della liquidazione?

Lo abbiamo chiesto a Pucci Giuffrida, dottore commercialista con una venten-

nale esperienza di amministratore giudi-ziario di beni confiscati. Prima della con-fisca definitiva ha gestito la Riela Group insieme ad altri quattro colleghi per quasi due anni, con cui amministrava anche le altre quattro aziende del gruppo. Oggi tra le attività che gestisce ci sono anche esempi che rientrano nel dieci per cento di quelle che sopravvivono e anzi miglio-rano.

Il successo o il fallimento di un’azien-da confiscata dipende da molti fattori. La risposta del mercato, dei clienti e fornito-ri, dei lavoratori e soprattutto dalle capa-cità dell’amministratore finanziario. Dal 2010, anno della costituzione dell’Agen-zia nazionale dei beni sequestrati e confi-scati, gli amministratori sono nominati dal tribunale e confermati dalla stessa agenzia.

“Alcune sono cotte in partenza”

Tra le aziende confiscate «alcune sono cotte in partenza – dice Giuffrida – Le al-tre si dividono tra quelle che si riescono a gestire in maniera sana e quelle che in-vece si fanno morire. Quest’ultimo caso rappresenta una sconfitta – spiega – Vuol dire alimentare l’opinione che con la ma-fia si lavora e con lo Stato no».

Influisce sulle sorti dell’azienda anche la sua tipologia. Mentre per le aziende di beni immobili è più facile mantenere il valore di avviamento, per quelle pretta-mente commerciali ci sono più difficoltà, dovute al fatto che il mafioso può dirotta-re la clientela. Ed è ciò che è avvenuto nel caso della Riela.

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“Un'aziendaconfiscata,

se amministratabene, porta

soldi allo Stato”

I ragazzi di Liberaal lavoro

nei campi confiscatialla mafia in Sicilia

«Ma chi ha firmato i contratti con il nuovo consorzio? – si chiede l’ammini-stratore – Bisognerebbe risalire ai re-sponsabili, perché quando si amministra un bene confiscato alla mafia non si può essere sprovveduti».

Non tutte le aziende confiscate sono però destinate a morire e non mancato gli esempi positivi.

Giuffrida gestisce al momento le aziende di Michele Aiello, tra cui il lido dei Ciclopi e il Sigonella Inn, e la LA.-RA. srl, un’azienda con circa 60 dipen-denti che si occupa di condizionamento per ambienti e rifornimento in volo per aerei militari.

L’amministra da sette anni e attual-mente presenta un utile netto di circa 300mila euro e «altrettanti ne paga di im-poste», sottolinea il commercialista.

“La mafia condizione il mercato”

Perché un’azienda confiscata, se si rie-sce a non farla fallire, porta ricchezza allo Stato. Lavora rispettando le regole: paga le tasse e non ha lavoratori in nero, ma quelli che sono i suoi punti di forza, possono diventare anche i motivi per cui non riesce a stare sul mercato.

«La mafia può condizionare il mercato e ne altera le regole – dice Giuffrida – Basti pensare semplicemente ai metodi che usano per il recupero crediti. E a quelli che hanno per eliminare la concor-renza».

Per l’amministratore ci sono tanti aspetti su cui lavorare per far aumentare la percentuale delle aziende confiscate

che riescono a mantenere la loro presen-za nel mercato. Primo fra tutti colmare la carenza di uomini e mezzi dell’Agenzia nazionale.

«Ci vorrebbe un ufficio dedicato solo a questo – afferma Giuffrida – E invece, da un lato, c’è la mafia con organizzazioni megagalattiche internazionali e dall’altro 30 persone che devono occuparsi di più di 12mila beni in tutta Italia».

I difetti della legge

Secondo il commercialista, anche la legge ha dei difetti che contribuiscono a rendere più complicata la gestione dei beni confiscati.

«La nuova normativa prevede la vendi-ta degli immobili, ma non se ne venderà uno – dice – perché la gente ha paura di appropriarsi di un bene appartenuto a un mafioso e sarà molto alto il rischio che quando accadrà si daranno a dei presta-nome».

Per le aziende, invece, la legge prevede che quelle non operative vengano messe in liquidazione. Le altre possono essere affidate a delle cooperative appositamen-te costitute o si possono vendere «a chi ne abbia fatta richiesta», come specifica un trafiletto della norma.

Un altro dettaglio pericoloso per Giuf-frida, perché «è assurdo – fa notare – che si voglia procedere senza aste pubbliche. Così si limita la trasparenza e si rischia di svendere l’attività».

La soluzione di Giuffrida per limitare gli insuccessi è chiara: «Se fossi il legi-slatore, le piccole aziende non le confi-

scherei. Confischerei solo le grosse e le grossissime, perché con queste si ha più possibilità di successo».

Le piccole aziende, infatti, sono più difficili da gestire e da mantenere in vita.

«Si pensi a un’azienda unipersonale come può essere un posto da pescivendo-lo o quelle gestite da nuclei familiari come un piccolo negozio o un panificio – spiega Giuffrida – Quando si arresta il proprietario e si confisca l’attività, questa è destinata a chiudere e vuol dire mettere in mezzo alla strada il figlio o la moglie. Non sarebbe meglio lasciarli lavorare?», si chiede.

Le grandi aziende, invece, sono più strutturate ed «in un certo senso si reggo-no in piedi da sole», dice Giuffrida. «I la-voratori sperano solo che non fallisca l’azienda – aggiunge – e dopo il primo periodo di sbandamento si rendono per-fettamente conto che continuare a lavora-re bene vuol dire fare il proprio interesse».

“Non fare il gioco dei mafiosi”

Certamente bisogna saperle ammini-strare o si finisce per fare il gioco dei mafiosi come nel caso dell’azienda di Belpasso. «Con la Riela – commenta l’amministratore – forse si poteva trovare una soluzione, ora è tardi. Si doveva rin-novare il parco macchine. Renderla com-petitiva sul mercato. Tutto questo non si è fatto. Adesso resta solo da accertare le responsabilità».

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Trapani/ L'affare porto

E' arrivato unbastimentocarico di appaltiProtezione Civile e Grandi eventi: il capo-lavoro è stato L'Aquila. Ma il primo modello è stato preso qui...

di Rino Giacalone

Il sistema di relazioni poco limpide tra “Protezione Civile-Grandi Eventi”, che oggi si ricorda tanto perché legato all’”affaire”, finito sotto inchiesta, per la Maddalena prima e L’Aquila dopo, fu collaudato per la prima volta nel 2004, in Sicilia a Trapani. Occasione: le regate della “Louis Vuitton Cup” tenu-tesi tra la fine di settembre ed i primi di ottobre del 2005, le gare preliminari - acts 8 e 9 - alla sfida valenciana della 32ma Coppa America (finale nel 2007). Trapani fu per un paio di giorni una delle “capitali” della vela mondiale per quelle gare e per quei pochi giorni di “festa” per tutto il precedente anno, a cominciare dal settembre del 2004, fu-rono stanziati e spesi quasi 70 milioni di euro per “allestire” il porto della città.

C’erano progetti e fondi previsti per il porto di Trapani e non da poco tempo a proposito di rifacimento di banchine, ab-battimento di strutture oramai degradate ed eliminazione di zone malsane, costru-zione di una caserma per i vigili del fuo-co, costruzione di nuovi attracchi turistici e commerciali e collocazione di nuove di-ghe foranee.

Opere da decenni ritenute indispensabili per la vita del porto ma che a quel punto diventavano ancora più indispensabili per l’ospitalità da darsi alle barche di Alinghi e concorrenti, come Luna Rossa, Mascal-zone Latino, Oracle.

L’arrivo della Coppa America fece il miracolo, e ogni cosa fu immediatamente sbloccata, progetti resi immediatamente cantierabili, somme statali messe a dispo-sizione. Qui entrò in campo come vera prima volta la relazione tra Protezione Ci-vile e “grandi eventi”, così furono qualifi-cate quelle gare trapanesi.

Appalti modello Berlusconi

Il Governo Berlusconi nel settembre 2004 approvò il relativo decreto con il quale non solo si individuava la Protezio-ne Civile come soggetto attuatore dei la-vori ma si stabiliva che gli stessi lavori venissero appaltati e avessero inizio nelle more del rilascio delle autorizzazioni.

Situazione di emergenza non c’entrava il terremoto o altri fenomeni naturali che avevano messo sottosopra il territorio ma c’entrava lo sport, la “grande vela”.

Regista “politico” di tutto l’allora sotto-segretario all’Interno, il senatore trapane-se del Pdl Tonino D’Alì.

A Roma ad occuparsi che tutto andasse bene il potente sottosegretario alla Presi-

denza, Gianni Letta.Unico ministro a venire a fare un so-

pralluogo quello ai Trasporti, Lunardi, che all’epoca e molto tempo prima aveva avu-to già modo di spiegare la sua linea politi-ca, indispensabile colloquiare con la ma-fia.

Lunardi: con la mafia si parla

Come finì? Bene, per la Coppa Ameri-ca, le gare risultarono essere un vero e proprio successo. E per la città di Trapani? Finì bene perché conquistò la ri-balta internazionale, ma finì anche male, ci furono delle indagini che fecero scopri-re come la mafia riuscì a imporre le pro-prie aziende per le forniture alle imprese che si appaltarono quei lavori.

Ma finì ancora peggio perché ad oggi, a sette anni dalla conclusione di quelle gare la parte più importante di quei lavori, la costruzione di nuove banchine per 40 mi-lioni di euro, è ancora in corso.

E questo è raccontato in una sentenza che si è conclusa con una serie di prescri-zioni e (poche) assoluzioni, per imprendi-tori, funzionari pubblici di Autorità Por-tuale, Provincia, Genio Civile opere ma-rittime, ma che ha elencato una incredibi-le serie di malefatte a proposito di traffico illecito di rifiuti, smaltimento di residui di lavorazione, violazioni ambientali, anche circa l’esecuzione di opere del tutto abusi-ve. Tutto questo quando a vigilare erano importanti istituzioni come la Protezione Civile, all’epoca era quella “targata” Ber-tolaso, e la prefettura.

Tra il 2004 e il 2005 man mano che i la-vori al porto andavano avanti, la magistra-tura era costretta a intervenire e a seque-strare immense discariche abusive.

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La cosa non piaceva ai politici che ac-cusavano magistrati e investigatori di vo-lere interferire sullo svolgimento del “grande evento”, e questo mentre colline di fanghi si accumulavano al porto.

E così quando nel settembre 2005 arri-varono le barche della Coppa America re-stavano incomplete le nuove banchine.

Lo svolgersi delle gare però era incom-patibile con la prosecuzione dei lavori (che si disse erano stati completati quasi all’80 per cento) e quindi quel cantiere, l’unico rimasto in piedi, fu temporanea-mente fermato.

Finite le gare i lavori ripresero ma arri-vò il sequestro della magistratura.

I lavori infatti non potevano più conti-nuarsi con le deroghe del decreto del 2004, e servivano i nulla osta che ancora non c’erano e soprattutto andavano ferma-ti i camion che stavano portando via i ri-fiuti inquinanti (15 mila mc) e che si vole-vano usare per realizzare una colmata nel-la vicina Marsala.

Apriti cielo: il sequestro fu bocciato dalla politica, si gridò allo scandalo, si impediva alla città di Trapani, si sentì dire, di avere un nuovo porto. A favore della magistratura ci fu solo Legambiente: "Mai si erano viste tante violazioni di leg-ge e di procedure come è avvenuto in oc-casione della Coppa America" dichiarò Angelo Dimarca: "È successo di tutto, con violazioni commesse anche nelle cose più semplici e banali - continuò Dimarca -: ri-fiuti di scavo smaltiti illegalmente, analisi di fanghi non conformi a legge, amianto demolito come se si trattasse di materiale qualunque, rifiuti pericolosi gettati in fos-se. Le dichiarazioni di alcuni esponenti politici, amministratori e pubblici funzio-nari sulla regolarità degli appalti avviati per l'organizzazione della Coppa America

lasciano increduli e sbigottiti".La magistratura fece gli accertamenti e

in pochi mesi, nei primi mesi del 2006 ar-rivò al dissequestro.

Ma i lavori invece di riprendere sono ri-masti bloccati, fino all’altro ieri.

Basta solo questo lasso di tempo (sei anni trascorsi senza che il cantiere riuscis-se a ripartire) a capire che le questioni sul-la legittima prosecuzione di quei lavori non erano pretestuose.

Ciò non di meno alla notizia della sen-tenza che ha dichiarato prescritti i reati qualcuno ha scritto, a critica per la magi-stratura, “tanto rumore per nulla”.

Altro che “molto rumore per nulla”

Il giudice che ha pronunciato questa sentenza, il gup Lucia Fontana, depositan-do le motivazioni di quella pronuncia adesso, negli stessi giorni in cui quel can-tiere ha riaperto, dopo il rilascio dei nulla osta ministeriali di impatto ambientale, ha voluto proprio scrivere che non c’è affer-mazione più sbagliata di quella che ha portato a dire, per l’appunto, “tanto rumo-re per nulla”: “La conclusione (dibatti-mentale ndr) non consente in considera-zione del contenuto degli atti di indagine di affermare con shakespeariana ed in conferente citazione “molto rumore per nulla”. Dagli atti infatti emergono una pluralità di vicende di indubbio rilievo pe-nale…”, come il traffico illecito di rifiuti…i materiali provenienti dai lavori erano rifiuti speciali e non assimilabili alle terre di scavo, taluni risultano rifiuti speciali pericolosi…”.

Ma come, la Protezione Civile che do-veva occuparsi di eliminare gli aspetti pe-ricolosi ha finito per determinarli mag-

giormente? Tra le cose venute fuori la cir-costanza che il riempimento per una ban-china portata invece a compimento è stato fatto usando “rifiuti contenenti sostanze pericolose” perché si trattava di residui provenienti dai dragaggi e finiti dentro i cassoni di cemento usati per formare la banchina.

Oggi al porto di Trapani c’è una ban-china, denominata Isolella, usata per gli approdi commerciali (e che in occasione della Coppa America del 2005 ospitò il quartiere generale dei team in gara) nel cui sottosuolo vi sono rifiuti pericolosi, ri-fiuti altamente tossici.

“Più che un doloso preventivo allesti-mento organizzativo volto alla gestione abusiva di un ingente quantità di rifiuti, emerge dagli atti – si legge nella sentenza del gup Fontana – la estemporanea ancor-chè spregiudicata ricerca di una soluzione al problema della collocazione dell’ingen-te materiale di risulta proveniente dal can-tiere portuale…come se questo fosse un aspetto marginale”.

Per la cronaca vanno dette ancora due cose.

La prima che durante quei giorni di re-gata, il patron della Protezione Civile Ber-tolaso si fece vedere a Trapani rarissime volte, per riunioni veloci, e poi si sarebbe andato ad occupare della sua barca vela che teneva in un cantiere della città, l’altra è pure di queste ore, quel porto che dove-va essere rilanciato in ogni sua parte da sei mesi assiste muto alla protesta degli operai del più grande cantiere navale della città che praticamente ha chiuso i battenti non riuscendo nemmeno a mettere in mare la prima petroliera “Marettimo M.” qui costruita e che per la festa dei politici è stata inaugurata un paio di volte ma re-sta agli ormeggi.

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Pozzallo

Tangential Comune

E‘ in corso un proces-so a carico di un fun-zionario accusato di aver ricevuto tangenti per “aiutare” un B&B per migranti

di Giorgio Ruta e Daniela Sammito Il Clandestino

La polizia giudiziaria lo prese dopo

che l’imprenditore che aveva pagato

le tangenti denunciò tutto recandosi

in Procura. In piena estate, le forze

dell’ordine organizzarono una trap-

pola con l’imprenditore e presero Mi-

nardo con le mani nel sacco. Subito

fu chiaro che dietro gli accreditamen-

ti delle strutture di accoglienza si na-

scondeva un intreccio tra affari e po-

litica.

Giovanni Manenti, l’imprenditore

che ha fatto scoppiare il caso, ha rac-

contato con precisione i particolari che

stavano dietro a questa tangentopoli in

salsa ragusana.

Nessuno ne sapeva niente?

La domanda che subito ci si è posti,

cui solo il processo sarà in grado di ri-

spondere, è: Giovanni Minardo inta-

scava tangenti senza che nessuno ne

fosse a conoscenza o dietro di lui c’era

un sistema congegnato? Fino ad oggi è

stato negato qualsiasi coinvolgimento

dell’amministrazione Sulsenti.

Due udienze, al Tribunale di Modica,

hanno cominciato a far luce sull’acca-

duto.

Il 1° marzo, dinanzi al Collegio Pe-

nale del Tribunale di Modica,

presieduto dal giudice Antongiulio

Maggiore, è comparso Giovanni Ma-

nenti, che ha parlato per circa tre ore.

Il racconto dell'imprenditore

Alle numerose e dettagliate domande

poste dal pubblico ministero, il dott.

Gaetano Scollo, l’imprenditore ha ri-

sposto minuziosamente, ricostruendo

la cornice entro la quale si sono svilup-

pati i fatti che riguardano questo pro-

cesso.

Nel 2008, mentre la città di Pozzallo

era coinvolta nell’emergenza determi-

nata dai numerosi sbarchi di migranti

provenienti dall’Africa, Manenti, pro-

prietario di un B&B dentro Pozzallo,

veniva contattato da Minardo, che gli

manifestava la necessità di mettere a

disposizione una struttura per

accogliere i clandestini.

Manenti individuò una vecchia villa,

fuori dal centro abitato, la prese in af-

fitto e la predispose per l’accoglienza,

affrontando, di propria tasca, le spese

per il cambio dell’impianto elettrico,

per farvi arrivare acqua potabile, per

installare caloriferi e luci di emergenza

e per l’arredamento. La spesa comples-

siva sostenuta ammontò a circa

45.000,00 euro.

Contributo non erogato

Il centro arrivò ad ospitare dalle die-

ci alle quindici persone, tutti immigra-

ti, sia maggiorenni che minorenni.

L’ Ufficio Immigrazione del Comune

di Pozzallo forniva l’elenco delle per-

sone da ospitare, svolgendo un’attività

di intermediazione tra la Prefettura e la

struttura di accoglienza.

Il contributo per ogni persona ospita-

ta, che la Prefettura avrebbe dovuto

corrispondere al centro, trascorso un

termine di tre mesi, non fu erogato,

perciò anche le spese per il vitto e

l’alloggio dei migranti furono anticipa-

te da Manenti, il quale già si era inde-

bitato, avendo stipulato un fido con la

banca per predisporre la vecchia villa

all‘accoglienza.

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“Una bustagialla

con i soldiin contanti”

L’albergatore si trovò così nella ne-

cessità di rivolgersi a Minardo – a

quanto dichiara lui - che, essendo pre-

posto all’Ufficio Immigrazione, era il

suo referente per i rapporti con la Pre-

fettura, chiedendo di sollecitare l’ero-

gazione dei pagamenti previsti.

In quel frangente, Minardo chiese

per sé, per “l’interessamento”, una par-

te delle somme che spettavano al cen-

tro: 2.000,00 euro su 20.000,00.

Un “interessamento” in contanti

Questi contributi furono finalmente

versati dalla Prefettura nel febbraio

2009 e Minardo ricevette da Manenti i

2.000,00 euro in contanti, in pezzi da

cinquanta.

E pare che ci sia traccia del prelievo

di questa somma, sul conto corrente di

Manenti in cui la Prefettura aveva ver-

sato i 20.000,00 euro.

Superata l’emergenza sbarchi, per la

struttura nacque il problema dell’accre-

ditamento presso la Regione, per otte-

nere il quale occorre essere una coope-

rativa, e in particolare per continuare

ad accogliere minori non accompagna-

ti. Così Manenti si mise in contatto con

la presidente della cooperativa “Filo-

tea”, di Comiso, per entrare a farne

parte, conferendo la villa restaurata in

cui era sorto il centro di accoglienza.

All’epoca, Comune e Prefettura do-

vevano ancora al centro di accoglienza

una somma di 8.000 euro.

Nel 2011 ricominciarono gli sbarchi,

la cooperativa riprese l’attività di acco-

glienza, sfruttando anche il centro di

Pozzallo, ma Manenti venne estromes-

so, con una scusa, dal consiglio di am-

ministrazione della cooperativa. A suo

dire, la scelta immotivata di isolarlo di-

pese dal fatto che non aveva più pagato

tangenti a Minardo, vicino per motivi

politici alla presidente della cooperati-

va Filotea.

In seguito a questi fatti, Manenti ac-

cumulò debiti su debiti, sia verso le

banche che verso i fornitori, e cadde in

depressione.

I finanzieri appostati

Decise, poi, di incontrare Minardo,

per raccontargli dell’estromissione dal

consiglio di amministrazione della

cooperativa e questi gli fece capire che

la cosa poteva essere risolta, ancora

una volta, con una “somma per l’inte-

ressamento”.

Così, il 5 luglio 2011 Manenti de-

nuncia Minardo e si dà avvio alle inter-

cettazioni telefoniche.

Nel corso di una telefonata tra i due,

finalizzata a determinare il giorno e il

luogo dell’incontro per lo scambio del-

la tangente di 1.500,00 euro, Minardo

dichiarò che, in questo modo, si sareb-

bero potuti salvare “capre e cavoli”.

Alle 14:00 del 10 luglio venne predi-

sposto il servizio di appostamento in

via Garibaldi, a Pozzallo, presso il

B&B di Manenti, dal quale 10 minuti

dopo uscì Minardo con una busta gialla

in mano contenente i 1.500,00 euro, in

banconote di vario taglio, che Manenti

aveva precedentemente fatto vidimare,

numerare e fotocopiare dalla guardia di

finanza.

I finanzieri appostati intervennero

subito ad arrestare Minardo, che fu

così colto in flagrante.

La ricostruzione fornita da Manenti

coincide, per la parte finale della vi-

cenda - quella che si svolge dalla de-

nuncia all’arresto del funzionario - ,

con le testimonianze rese dall’ispettore

Sammito, che aveva accolto la denun-

cia dell’imprenditore pozzallese e av-

viato le intercettazioni, e dal marescial-

lo Giannone, che si era materialmente

occupato di queste ultime e aveva pre-

so parte all’appostamento.

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Avola

L'agroindustrialefantasmaUna storia infinitaSiamo in provincia di Siracusa. “Una stupida provincia - diceva Sciascia - che in fatto di morti ammazzati aveva poca pratica...”

di Giulio Pitroso e Marco Urso

GenerazioneZero

Fiorente cittadina sullo Jonio. Celebre per la sua pianta esagonale, la mandorla, i limoni, il nero d’Avola e per le rivolte bracciantili del 2 dicem-bre 1968. Passato e futuro si trovano mischiati apparentemente senza un preciso perché, lasciando sul territorio idee ibride di gattopardiano sviluppo.

I braccianti di un tempo solevano riu-nirsi la mattina presto nella grande piaz-za centrale del paese in cerca della jurnà-ta di lavoro. Venivano scelti accurata-mente dai caporali, come capita ancora oggi ai fratelli di colore a Cassibile, du-rante la stagione della raccolta delle pata-te o delle fragole. Riuscirono tutti insie-me a ribellarsi e a ottenere l’eliminazio-ne della figura del caporale, dell’ingag-gio della manodopera in piazza e l’aboli-zione delle “gabbie salariali”.

Ma ci vorranno quasi due anni affinché dalla mattanza di Avola del 68 si arrivi alla costituzione dello Statuto dei lavora-tori del 70. La rabbia, però, rimane sem-pre la stessa ed è riesplosa un paio di mesi fa sotto l’egida dei Forconi: Avola è stata la capitale di questo movimento.

La Sicilia, granaio galleggiante, ha sfamato tantissimi popoli diversi. Per tutti, l’agricoltura era un’arte, se non l’emblema dell’onestà. Marco Porcio Ca-tone, nel suo De agricultura, lo dichiara apertamente: fra i contadini si formano uomini di fortissima tempra e soldati va-lorosissimi; e dall’agricoltura consegue il profitto più onesto, più stabile, meno so-spetto: chi è occupato in quell’attività non nutre pensieri malevoli.

L’agricoltura era il cuore dell’econo-mia di questo paese. Per questo si voleva investire in questo settore. Di che cosa stiamo parlando? Il progetto in questio-ne, doveva offrire un’agognata possibili-tà a una larga fetta di economia locale. Il protagonista di questa storia è il centro agro-industriale polivalente di contrada Torrente Risicone, alle porte della città in direzione Noto.

Il suo completamento si collocava al primo posto del piano triennale delle opere pubbliche, approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 49 del 22-06-2010, “in quanto opera di primaria im-portanza nel quadro delle iniziative infrastrutturali e di servizio volte a pro-muovere e favorire lo sviluppo economi-co del territorio siracusano e limitrofo”.

Il progetto era partito, ma...

L’8 giugno del 2001 il decreto n. 638 dell’Assessorato Regionale dell’Industria finanziava la somma residua di lire 36.295.000.000 per il completamento dell’opera, secondo le previsioni della perizia approvata dal Commissario Straordinario del Comune di Avola, con delibera n.73 del 12-10-1999, per l’ammontare complessivo di 42,700,000,000. Il progetto era partito. Passano il tempo, le amministrazioni, e

altri otto anni senza che si completi l’opera. Poi la sorpresa. Il 15 – 09 – 2010, determinazione del Sindaco n. 68 del registro (questo il termine tecnico): 10000 euro per una consulenza per la re-dazione di uno studio di fattibilità

Si è quindi pagato un esperto 10,000 euro per sapere se si poteva andare avanti nei lavori, poiché il Comune era sprovvi-sto del necessario personale. Totale spe-sa? 6,5 miliardi di lire + 10,000 euro. E oggi, in che stato è il centro agroindu-striale? L’ingresso alla gigantesca area è totalmente aperto e fruibile a chiunque volesse andarci. Persone per bene, ladri, vandali o semplici curiosi: a tutti è per-messo un giro al luna park. Un cancello a due sbarre orizzontali è totalmente aperto. Nessuna recinzione delimita la zona.

Una discarica di scarti

Superato il cancello a sinistra una di-scarica di scarti di eternit e altro materia-le vario. Di fronte un’altra piccola disca-rica di all’incirca cinquanta lastre di eter-nit. Le lastre sono state adagiate una so-pra l’altra, a formare un ammasso e sem-brano state sistemate con cura, con gran-de disponibilità di tempo. Continuando nella via sacra degli orrori, subito sulla destra una nuova discarica di materiale vario, forse isolante spugna per edilizia.

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Seguendo la strada che sale leggermen-te e che vira a sinistra, si erge il moderno “monumento ai caduti” copertoni di trat-tori usurati nelle assetate campagne sici-liane. Finalmente si arriva nella spianata della disperazione. Un camposanto di pali d’acciaio stanno dritti da più di dieci anni in attesa di copertura dal gelo e dal caldo siciliano. E più in fondo la struttura che doveva ospitare gli uffici.

Finestre sfondate, muri rotti

In che stato è questo stabile? Le finestre sono tutte sfondate, i vetri staccati e lasciati rotti sul pavimento. Le stanze sono piene di bottiglie di birra, residui forse di qualche festino. I muri sfondati, alcuni presentano tracce di cenere come dopo un falò. I bagni con tutti i sanitari rubati. E, in uno dei sancta santorum

dell’intimità umana, un vespasiano, tro-viamo un tesoro particolare: una splendi-da siringa, di quelle che si usano per l’eroina. Qua e là palline da softair. All’angolo di una stanza, seminascosta, una boccetta, simile a quelle che si usano per certi tipi di droghe.

Fuori, vicino alle vasche dove sarebbero stati raccolti i limoni, una tettoia fati-scente, forse pericolante, sotto la quale sarebbero dovuti stazionare i tir della ric-chezza. E poi, poco più avanti, dei pali della luce, inchinati, segati quasi alla base, perché se ne potesse estrarre l’oro rosso, il rame: furti di questo genere sono divenuti comuni in Sicilia, ma non se n’era ancora avvertita la presenza ad Avola. Intorno al perimetro di quello che sarebbe dovuto essere il centro agroindu-striale vero e proprio, un po’ di immondi-zia varia.

Rubati i cavi di rame

Nota positiva per gli ambientalisti è la forte presenza di tracce di coniglio, che sembra aver trovato in quest’ambiente un terreno favorevole. Nota dolente, invece, per gli stessi ambientalisti, è l’abbandono dei cani: in questo caso, peggiore del so-lito, perché vede protagonisti tre cuccioli, che troviamo vicini a una scatola, con su scritto “Agrumi”. I tre cagnolini, lasciati a se stessi, preda della fame e dello sconforto, piangono alla vista degli esseri umani. Per nostra segnalazione, la Polizia Municipale di Avola li raccoglie nel pomeriggio. Moriranno di gastroenterite al canile, subito dopo. Forse lo stare in quelle condizioni li aveva segnati irrime-diabilmente? Non si poteva far nulla? E viene da chiedersi: perché lasciare un po-sto in balia di chiunque? La terra di nes-suno, crudele, impastata di eroina e morte, di alcol e ladrocinio di rame.

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SCHEDEIL CENTRO AGROINDUSTRIALE

DATI GENERALISuperficie totale: 85.000 mq.Soldi stanziati: lire 42 miliardi e 700 milioni Soldi spesi: lire 6,5 miliardi.Soldi restanti: lire 36 miliardi e 295 milioni.

10MILA EURO PER CONSULENZA:- 5000 euro quale residuo dell’impegno di spesa n. 2766/09 assunto sul cap. 341/4 spese per interventi in favore dell’agricoltu-ra e della pesca con determina area 2 n.36 del 24-12-2009- restanti 5000 come segue:1880 euro sul capitolo 37/0, prestazioni professionali per studi, progettazioni etc. del vigente bilancio comunale,2785 euro quale residuo dell’impegno di spesa n. 2766/09 assunto sul capitolo 341/4 spese per interventi in favore dell’agricoltura e della pesca con determi-na area 2 n.36 del 24-12-2009, 335 euro quale residuo dell’impegno di spesa n. 2768/09 assunto sul cap. 340/0 spese partecipazione città dei sapori con determina area 2 n. 36 del 24-12-2009

LA DETERMINAZIONE SINDACALEN.68 DEL 15-09-2010"Oggetto: affidamento di incarico professio-nale per la redazione di uno studio di fatti-bilità del centro agroindustriale polivalente in Avola – contrada torrente Risicone – SS 115 – Ferrovia Siracusa – Licata.Scorrendo nella delibera:Considerato che, in ragione del lungo las-so di tempo intercorso, si rende necessario provvedere ad un aggiornamento delle pre-visioni di progetto, alla luce del mutuato quadro socio-economico e del progresso delle conoscenze tecnologiche anche al

fine di motivare la richiesta di re iscrizione del finanziamento alla Regione Siciliana come meglio evidenziato nella relazione allegata al presente atto;Accertata la carenza in organico di ade-guate professionalità inerenti allo specifico settore cui si riferisce l’oggetto dell’incarico da affidare, si ritiene opportuno e necessa-rio ricorrere a soggetti esterni nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.Visto l’avviso del 20 luglio 2010, pubblicat-o per quindici giorni all’Albo Pretorio Co-munale e sul sito internet istituzionale, per la ricerca di una figura professionale ester-na di alto ed indiscusso valore [...] con comprovata esperienza tecnico-professio-nale, preferibilmente docente universitario, cui affidare in via fiduciaria la realizzazione di uno studio di fattibilità tecnica ed econo-mica che, previa disamina del progetto ori-ginario, delle opere incomplete e non fun-zionali già realizzate, dell’assetto finanzia-rio attuale nonché dell’odierna produzione agricola dell’intero comprensorio del sud-est siciliano, delle esigenze del mercato e delle prospettive di sviluppo future, indichi una proposta progettuale sostenibile e con-vincente volta alla valorizzazione, trasfor-mazione e commercializzazione dei pro-dotti agricoli della zona […]Propone: 1) l’affidamento dell’incarico professionale relativo alla redazione di uno studio di fatti-bilità del Centro Agroindustriale polivalente sito nel territorio di Avola […]2) l’approvazione dello schema del Discipli-nare d’Incarico che prevede quale corri-spettivo omnicomprensivo di euro 10,000 IVA inclusa […]3) di impegnare il suddetto importo di euro 10,000 sui fondi del bilancio comunale […]"

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Salemi/ Sciolti per mafia. E ora?

Il sindaco, il vicesindaco... Una storia proprio sgarbata“Non solo il sindaco Sgarbi – rapportano gli ispettori – ma anche il vicesindaco, Antonella Favuzza, era molto corrivo verso il “don” del paese, Pino Giam-marinaro

di Rino Giacalone

A Salemi, Comune che ha visto ap-

pena sciolti per inquinamento mafioso

i propri organi politico amministrativi,

Giunta e Consiglio, non vi era, a legge-

re il rapporto ispettivo condotto dai

funzionari incaricati dal prefetto di

Trapani, Marilisa Magno, alcun argine

ad impedire l’influenza dell’ex deputa-

to democristiano Pino Giammarinaro

per il quale il Tribunale di Trapani ha

applicato nei recenti anni la sorve-

glianza speciale e adesso è tornato a ri-

proporre un nuovo dibattimento per

l’applicazione di un ulteriore periodo

di sorveglianza speciale accompagnata

anche da un massiccio sequestro di

beni, nell’ordine dei 30 milioni di euro.

Tra l’on. Giammarinaro, ex capo della

corrente andreottiana della Dc trapanese,

e la mafia i contatti non si sarebbero mai

interrotti.

E i vertici politici del Comune nemme-

no avrebbero posto precisi paletti.

Anzi, il sindaco Sgarbi prima e il vice

sindaco, Antonella Favuzza dopo, si sono

più che prodigati per “sentenziare” sulla

inesistenza della mafia e sull’esercizio di

un diritto politico dell’on.Giammarinaro

che a loro dire avrebbe avuto piena legit-

timità nell’occuparsi dell’ amministrazio-

ne cittadina quale indiscusso leader poli-

tico.

Discutibile, sempre secondo Sgarbi e

Favuzza, e altri soggetti, la descrizione

che di Giammarinaro danno gli organi

investigativi e giudiziari.

Col tempo queste posizioni sono cam-

biate, nel senso che ad un certo punto per

Sgarbiu, Favuzza, e “loro” soci, Giam-

marinaro avrebbe smesso di interessarsi

al loro operato, nonostante un ex asses-

sore, come Oliviero Toscani, il famoso

fotografo, chiamato da Sgarbi al “capez-

zale” di Salemi, ha raccontato ai pm di

Palermo che le interferenze, con fare ma-

fioso, non si sono mai interrotte.

E’ pesante la relazione del Viminale

sull’inquinamento mafioso di Salemi, re-

lazione successiva alle procedure di ac-

ceso decise dal prefetto Magno, i cui

ispettori per molti mesi, tra giugno e di-

cembre 2011, hanno lavorato al Comune

spulciando decine e decine di atti pubbli-

ci, delibere, determine, provvedimenti

amministrativi.

E’ una relazione che scardina il sistema

degli alibi e delle giustificazioni che

sono state addotte dai protagonisti di

questa vicenda all’indomani dell’opera-

zione di sequestro dei beni contro l’on.-

Giammarinaro, eseguita da Polizia e

Guardia di Finanza.

In quelle indagini, condotte dal pool

anticrimine diretto dal primo dirigente di

Polizia, Giuseppe Linares, si faceva rife-

rimento oltre che agli interessi di Giam-

marinaro nel mondo della sanità, anche

alla parte politica delle intromissioni

dell’on.Giammarinaro, ed i politici chia-

mati in causa, a cominciare da Sgarbi si

sono oltremodo sgolati per gridare al

complotto e per dire che non era niente

vero di quello che si andava leggendo nel

rapporto d’indagine infine firmato dal

questore Esposito e consegnato ai giudici

che hanno fatto scattare il maxi sequestro

preventivo.

Una relazione drastica

Oggi la relazione del ministero

dell’Interno è drastica.

Tanto drastica che questa stessa rela-

zione ha portato il Viminale ad ottenere

dal Tribunale di Marsala una appendice

che non sempre viene applicata per tutti i

casi di scioglimento delle amministrazio-

ni per inquinamento mafioso e cioè la di-

chiarazione di incandidabilità del prof.

Sgarbi e del suo ex vice sindaco Favuzza

per le elezioni in Sicilia.

E questo perché, secondo il Viminale,

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Lavori aggiudicatia un'impresa

col titolaregià in galeraper turbativa

d'incanti...

nel procurato inquinamento mafioso l’ex

sindaco, e l’ex vice sindaco, hanno preci-

se responsabilità. Insomma non sono par-

te lese.

La radiografia del Municipio è inquie-

tante, si parla di soggetti, amministratori,

funzionari e impiegati con precedenti

giudiziari e di polizia messi a controllare

determinate branche del Municipio, quel-

le più delicate, e ancora il fatto che rap-

porti di relazione con soggetti anche pre-

giudicati o sospettati mafiosi venivano

condotti alla luce del sole, e i vertici del

Comune, a cominciare dal sindaco Sgar-

bi “non possono dire di non sapere”.

“Storici esponenti dei clan locali”

“Il vice sindaco è legato da stretti vin-

coli con noti e storici esponenti delle lo-

cali famiglie criminali… il vice sindaco

nell’esercizio del proprio mandato eletto-

rale non ha posto in essere alcun serio ef-

fettivo contrasto al condizionamento po-

sto in essere (dall’on.Giammarinaro ndr)

ma ha invece perseguito nel corso del

proprio mandato finalità volte a incre-

mentare i propri interessi economici in

ciò coadiuvato da soggetti con precedenti

per reati associativi e contigui alle locali

cosche malavitose”.

Questo passaggio è contenuto nella re-

lazione.

Il riferimento alla presenza a livello lo-

cale di cosche malavitose “fa giustizia”

di quella che fu la prima dichiarazione

del sindaco Vittorio Sgarbi quando si in-

sediò al Municipio dopo la sua elezione a

sindaco, e cioè che la mafia non esisteva

più come organizzazione, e che se esiste-

va era per la presenza di qualche mafio-

so, che non dava più fastidio a suo dire, e

che perciò la cosa migliore era fare un

museo dedicato alla mafia, quasi che fos-

se qualcosa appartenente alla storia e fos-

se anche qualcosa da prendere dalla sto-

ria e mostrare al pubblico come se la ma-

fia fosse da esporre alla pari dei beni arti-

stici che finiscono nelle teche museali.

Per Sgarbi poi la mafia esisteva perché

c’era una antimafia che doveva avere per

propri tornaconti ragione di esistere.

Il ministro Anna Maria Cancellieri su

questo lo ha smentito con dati di fatto.

Evidenziando per esempio l’antimafia

di facciata perseguita a proposito di ap-

palti pubblici.

E ad essere “calpestato” in questo caso

è stato il nome del generale Carlo Alber-

to Dalla Chiesa.

Il Comune di Salemi risulta avere ade-

rito al protocollo di legalità che porta il

nome del generale e prefetto di Palermo

ucciso dalla mafia negli anni ’80.

Protocollo di legalità

Si tratta del protocollo di legalità che

vede concordemente coinvolti i ministeri

dell’Interno e dell’Economia e la Regio-

ne Sicilia.

A Salemi c’è stata l’adozione a fronte

di una serie di gare di appalto “ma i con-

tenuti del protocollo non sono stati ri-

spettati dall’amministrazione comunale

che avrebbe dovuto richiedere per una

serie di imprese le certificazioni antima-

fia sia per appalti di opere pubbliche sia

per le gare di aggiudicazione di servizi”.

E così è potuto accadere che i lavori di

ristrutturazione del Palazzo Municipale

“sono stati aggiudicati ad impresa il cui

titolare è stato in carcere per reati contro

la pubblica amministrazione, turbativa

degli incanti e utilizzo di dati falsi” .

Se fosse stata chiesta la certificazione

alla prefettura questo appalto non sareb-

be potuto andare a chi è stato invece as-

segnato.

I contributi post-terremoto

Altro tema toccato dalla prefettura e

dal ministero dell’Interno, quello dei

contributi.

In particolare di quelli relativi alle ri-

costruzioni post-terremoto.

C’è una commissione che se ne occu-

pa, e l’ispezione prefettizia ha messo in

evidenza che ad occuparsi di queste cose

sono stati nel tempo molto spesso sog-

getti che non avevano la dovuta profes-

sionalità e che possedevano semmai altro

genere di “requisiti” che in quel contesto

sarebbero stati tenuti in maggiore consi-

derazione, e cioè la frequentazione “con

soggetti contigui ad ambienti mafiosi”.

Per non parlare poi “dei conflitti di in-

teresse” c’era chi faceva parte la com-

missione e nel frattempo era destinatario

della liquidazione dei contributi.

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L'ultima listadi Sgarbi?“Concorso

Esterno”

Speculazione in bella vista, si è cercato

di camuffare ogni cosa intestando a terzi

le proprietà destinatarie dei contributi, un

assessore, Salvatore Angelo, nel 2011 è

stato condannato per truffa aggravata.

Contro il Comune le accuse anche di

non avere vigilato sull’utilizzo dei con-

tributi.

Per essere chiari: nel periodo novem-

bre 2008-settembre 2011 sono state liqui-

date 356 domande di contributo, solo per

sei sono state attivate le procedure per

rientrare in possesso delle somme, nel

solo mese di agosto 2011, quando arriva-

rono gli ispettori prefettizi quell’ufficio

che praticamente non aveva controllato

nulla in quei soli 30 giorni risulta avere

avviato 22 verifiche.

I debiti fuori bilancio

Altra smentita che arriva al sindaco

Sgarbi è quella dei debiti fuori bilancio,

non ce ne sono ebbe a dire e se ci sono,

risultano di modesta entità, e invece agli

atti c’è una intercettazione di un collo-

quio tra lui e l’on.Giammarinaro: c’era

da sostituire un assessore e l’on.Giam-

marinaro fu sentito consigliarlo (ma non

sarebbe stato un consiglio, ma quasi un

ordine) di nominare un assessore che fos-

se espressione di una certa maggioranza

di consiglieri così da avere garantita

l’approvazione in Consiglio dei debiti

fuori bilancio.

Non è frutto di fantasia degli investiga-

tori la circostanza che l’on.Pino Giam-

marinaro ha partecipato a riunione di

Giunta.

Anche questo è un passaggio della re-

lazione del ministro Cancellieri: “è in

questo modo che è stata esercitata

l’influenza nelle decisioni amministrati-

ve e se non direttamente attraverso fidati

personaggi….a casa dell’on.Giammari-

naro furono scritti alcune parte di un bi-

lancio di previsione”.

“Autorizzati da Giammarinaro”

Tra i casi che possono anche far sorri-

dere quello di un assessore al Patrimonio

(Bivona) che si era vista negare da Sgar-

bi l’autorizzazione a usare un locale co-

munale (l’asilo) per una festa di Natale e

però lo spettacolo in quella scuola mater-

na fu fatto lo stesso “con l’autorizzazione

dell’on.Giammarinaro”.

Tra gli altri casi che fanno sorridere

meno quello della gestione dei beni con-

fiscati: inerzia e condizionamento eserci-

tato dall’on.Giammarinaro sono stati po-

ste alla base del mancato utilizzo di alcu-

ni beni, come i 70 ettari di terreno confi-

scato al narcotrafficante mafioso Totò

Miceli, uomo di Matteo Messina Denaro.

La relazione evidenzia come quel ter-

reno stava per essere assegnato all’asso-

ciazione Aias il cui titolare non è altro

che un uomo del “sistema” affaristico

impianto nella sanità dall’on.Giammari-

naro, associazione che su altri versanti

emerge come perennemente favorita dal

Comune a proposito di elargizione di

contributi pubblici.

Quel terreno confiscato oggi resta inu-

tilizzato e di recente l’agenzia nazionale

dei beni confiscati ha revocato il posses-

so al Comune.

Passaggio significativo di questa vi-

cenda è quello che ad un certo punto in

una intercettazione quando sembrava che

il terreno potesse essere assegnato e ridi-

ventare produttivo, assegnato a Slow

Food che avrebbe voluto gestirlo assieme

all’associazione Libera, il sindaco Sgarbi

espresse nettamente la sua contrarietà,

dicendo un chiaro “a quelli di don Ciotti

no” e rivolto ad un assessore chiese:

“Pino che ne pensa”.

“No, a quelli di don Ciotti no”

Sgarbi comunque ha deciso di non de-

mordere, e rivolto a Napolitano, con

estrema confidenza, gli ha scritto, “hai

firmato un cumulo di menzogne”.

Bugiardo non lui ma gli altri, come al

solito. Scene già viste, purtroppo accade

che c’è chi gli dà credito a Cefalù, dove

si è candidato, non abbandonando la sfi-

da, con una lista dal nome eloquente,

“concorso esterno”, chiaro riferimento al

concorso esterno in tema di mafia, altro

terreno messo in discussione.

Proprio dal Pd locale qualcuno ha mes-

so in discussione una interrogazione par-

lamentare di altri deputati del Pd che

chiedono al ministro di mettere fine alla

sceneggiata “sgarbata”.

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MAMMA !

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Giancarlo Siani

Un giornalismo fatto di etica e passione

Tratto dalla grafic novel Giancarlo Siani

(E lui che mi sorride)

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I L C O N T A S T O R I EI L C O N T A S T O R I E

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Satira

Come volevasi dimostrare

dajackdaniel.blogspot.it/

«Abbiamo rielaborato i dati ancora oggi pomeriggio, abbiamo impiegato computer particolarmente potenti».

Il Presidente diede tempo ai Ministri seduti attorno al grande tavolo da riunio-ni di assimilare la notizia e, dopo aver loro rivolto uno sguardo, «Allora siamo d’accordo?».

Ci furono muti cenni di assenso. «Bene, variamo la manovra».

“Bene, variamo la manovra”

Premette un pulsante alla sua destra e sugli schermi cominciarono a rincorrersi pagine che annunciavano le variazioni appena apportate: tassi di interesse che diminuivano, pensioni che calavano e si allungavano, salari e tredicesime che di-magrivano.

Il deficit calava, l’Europa approvava. La Borsa saliva dello 0,12%.

Sorrisero.Dal frigo bar furono estratte due botti-

glie di Prosecco, con bicchieri di comune vetro. Brindarono, con sobrietà.

Poi cominciarono ad apparire le ultime notizie d’agenzia. Una pensionata, a cau-sa della testé approvata manovra si era vista ridurre l’assegno e si era buttata sotto il treno della metropolitana mentre

quattro fabbriche, sette imprese commerciali, sei cantieri edili e nove agenzie d’assicurazioni chiudevano simultaneamente nella provincia di Ragusa. I lavoratori licenziati cominciarono a bloccare la statale.

Al vedere quelle notizie un grande Mi-nistro lasciò il bicchiere e il Prosecco, riavvitò la stilografica (Montblanc, ov-viamente), la infilò nel taschino, ripose le sue carte nella borsa di pelle pregiata, disse «Mi dissocio dalla manovra», si alzò e uscì dal Consiglio.

L’Europa cominciò a nutrire dubbi.Le Borse cominciarono a nutrire forti

dubbi.Un industriale brianzolo strozzato dai

debiti, nel frattempo, fece harakiri con un coltello da macellaio nella piazza centra-le della sua cittadina spargendo sangue a fiotti sul selciato. In base ad un corollario del teorema di Morganstaller Kreutz-mann la vedova si vide recapitare una tassa sullo smaltimento di rifiuti organici maggiorata del 24,3% a causa degli oneri straordinari sopraggiunti.

Due altri ministri, a questo punto, si dissociarono.

L’Europa criticava.La Borsa perdeva.Un depravato, che però era stato anche

lui Presidente, dichiarò che ai suoi tempi

tutto questo non succedeva.Sugli schermi scorrevano immagini di

manifestazioni.«Potete alzare l’audio? - chiese il Pre-

sidente a coloro che erano vicino allo schermo – non sento bene.».

«Presidente, forse sarebbe il caso di abbassarlo».

Le grida, infatti, provenivano dalla piazza. Ed erano via via più alte e distin-te.

“Sono quelli dei forconi?”

Si alzarono, andarono vicino alle fine-stre. Non si riusciva a capire granché: fumo, confusione, qualche fiamma qua e là.

«Sono quelli dei forconi?».«A dir la verità vedo pure asce, picco-

ni, mazze ferrate. Anche qualche matta-rello, laggiù sulla destra.»

Un inserviente ritirò le bottiglie di Pro-secco e se le portò di là, per finirle più tardi in santa pace.

«Sapete – il Presidente parlò dopo un lungo silenzio – comincio a pensare che forse abbiamo commesso qualche errore».

«Lei crede, Presidente?»«Sono del parere che forse dovevamo

considerare un parametro non inferiore a 3,07».

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 58– pag. 58

«Ne è sicuro, Presidente?». «Sì, la soluzione per uscire dalla crisi è il teorema di Morganstaller Kreutzmann, con un parametro pari a 2,78». «2,78?»...

di Jack Daniel

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Elettrosmog

Comeuna bombaATOMICA

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Ai cittadini di Cesano e delle zone limitrofe, insieme al messaggio evangelico, i ripetitori di Radio Vaticana

diffondono onde elettromagnetiche responsabili di numerosi casi di leucemie, mielomi e linfomi. Un pericolo a cui sono esposti soprattutto i più piccoli: sotto i 14 anni la possibilità

di ammalarsi è 6 volte superioredi Ruggero Delfini

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Un ragazzo del comitato "Bambini senza onde" durante una giornata

di sensibilizzazione distribuisce volantini informativi sulla

pericolosità delle antenne. Dodici anni fa il parroco di Cesano,

don Giovanni, cominciava a parlare di elettrosmog

nelle sue omelie

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Dal cimitero di S.Maria di Galeria un gruppo di antenne. L'indagine epidemiologica del 2010 condotta dal dott. Andrea Micheli, rivela un nesso tra le onde elettromagnetiche e i casi tumorali che si sono verifcati tra il 1998 e il 2004 nel raggio di 12 km dagli impianti

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Italia

A che puntosiamo

Stato sociale,humanitas, politiche dei consumi

di Lidia Menapace

Sembra straordinariamente difficile fare l'analisi della situazione. L'anda-mento della crisi (genericamente indi-cata così, senza ulteriori specificazioni) va come il tempo: una precoce prima-vera interrotta da un gelido ritorno d'inverno, il mercato l'unico vero dio che il tempo presente riconosce, sem-pre più capriccioso e arbitrario, sicché un modesto catechismo cattolico par-rocchiale sembra la Critica della Ra-gion pura.

A me pare che l'alienazione regni so-vrana e viene accettata qualsiasi scusa detta con apparente sicumera.

Probabilmente Monti è in buona fede, come lo era l'Avvocato Agnelli in un epi-sodio che di lui si narra. Pare infatti che un giorno abbia voluto visitare Mirafiori (un luogo dal nome idilliaco) e ne sia uscito sconvolto dicendo:"Mirafiori è un inferno!". Non sembrava neanche che l'aveva fatto lui!

Così Monti e la Fornero dichiarano che naturalmente il parlamento è sovrano, ma guai se si attenta a toccare la legge-dele-ga che gli propongono. E se protesta la Marcegaglia, alla quale pare che il testo definitivo sulla riforma del mercato del lavoro approdato in aula, non sia così fa-vorevole ai licenziament senza rimedio, che si aspettava, Monti le spiega tran-quillamente che non capisce, stia calma , lui ha confezionato un testo che di fatto non consentirà di ripristinare alcun posto perso per ragioni economiche.

Si profila all'orizzonte un altro problema molto grande: siccome la vita umana si prolunga, oltre a obbligare tutti e tutte a lavorare più a lungo, se tutti e tutte campano troppo, non si può mantenere lo stato sociale.

Penso che si aprirà un grande dibattito per decidere se bisognerà ricorrere ai me-todi "naturali" di regolazione delle nascite, cioè guerre inondazioni epidemie catastro-fi incidenti sia sul lavoro che da eccesso di velocità ubriachezza e simili. Oppure?

Il sonno della ragione

Qualcuno propone già di rivedere l'art.11Cost., così non ci sarà più da cerca-re motivazioni civili per giustificare parte-cipazioni ad imprese militari e belliche.

Si rilanciano le religioni come freno alle speranze troppo alte e come radici del vi-vere associato: le radici cristiane d'Europa! E pensare che le radici sono la morte, se è vero, come è vero, che per nascere bisogna tagliare il cordone ombelicale e il non far-lo significa morire.

Può bastare per documentare che davve-ro "il sonno della ragione produce mostri".

Dunque il compito più urgente è sve-gliarsi e svegliare la ragione, vincere paure e meschini orizzonti e correre l'avventura dell'alternativa allo stato delle cose presenti, per mutarle. Che strano: sono pa-role che si capiscono subito, che indicano una strada difficile, ma dotata di senso, ca-pace di suscitare entusiasmi e impegni, di aprire la dimensione dell'universo e dispiegare le capacità umane intere.

Gli alfabeti di tutti

Per esempio: se la vita umana si allunga, si può allungare il tempo della scuola, ral-lentando anche i ritmi di apprendimento e imparando tutti gli alfabeti: non ha senso ed è anche contro l'art.3 Cost. preparare all' apprendistato chi è già destinato/a al lavoro manuale, alle mansioni più faticose e modeste: invece bisogna cogliere l'occa-

sione di far approdare tutti e tutte alla più ampia conoscenza fornendo all'universo delle persone tutti gli alfabeti, per poter leggere l'universo, non più solo il vecchio leggere scrivere far di conto, ma anche fotografare cantare danzare comporre musica dipingere scolpire ecc.ecc.

Troverà ciascuno e ciascuna l'alfabeto che gli è più congeniale e nel quale può eccellere: ma intanto conoscendo altrl al-fabeti allargherà mirabilmenge l'arco del-la conoscenza e la dimesione del capire. Per fare ciò è utlle che la scuola duri più a lungo sicché poi tutti e tutte si affacce-ranno alla vita produttiva riproduttiva e relazionale con gli stessi livelli di capaci-tà, lo stesso bagaglio di nozioni, la stessa voglia di capire.

Niente F35, niente Tav, niente Ponte

Prima di passare ad altri esempi, so di dover rispondere a una domanda che so impellente: "Ma se dobbiamo addirittura cancellare il Welfare e tornare all'assi-stenza pubblica per i poveri e al benesse-re privato per chi se lo può permettere? il fatto è che spendiamo in armamenti e in opere faraoniche e inutili un monte di ri-sorse monetarie, che invece possono ser-vire per alzare progressivamente i livelli di eguaglianza sociale e personale.

Dunque niente F35, niente Tav, nè ponte sullo Stretto. Mi soffermo sul pro-getto Tav perché ha una apparenza di ra-zionalità e progresso, miti cui la sinistra è incline.

Il terreno, la terra non è una risorsa in-finita, bensì è misurabile o almeno stima-bile. Le risorse alimentari climatiche e abitative inerenti sono pure stimabili. Bi-sogna perciò commisurare l'impiego di terra ai limiti intrinseci del territorio e alle necessità della popolazione. Sono inoltre da considerare le conseguenze del mutamento climatico.È meglio usare bene i terreni vicini che consumare pro-dotti da lontano, con danno dei lavorato-ri/trici che li producono.

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Interviste/ Giangualberto Pepi

Stragi di statonel segno delgattopardoParla l’avvocato dei fratelli Graviano

di Giorgio Bongiovanni Antimafia Duemila

Nei processi per le stragi del ’93 lei ha difeso i fratelli Graviano, ritiene che a commettere quelle stragi sia stata la mafia ed “altro”, o solo “altro”?

Io penso che sia stato soprattutto “altro”, poi che vi possano essere stati a livello di esecutori anche alcuni soggetti collegati alla mafia è plausibile, ma io credo che l’idea di un interesse da parte di Graviano e Riina a fare queste stragi nel Continente sia una ipotesi assurda.

Negli ultimi anni sono emerse impor-tanti verità in merito alle indagini sulle stragi del ’92 grazie al nuovo collabora-tore Gaspare Spatuzza. Qual è la sua opinione a riguardo?

Quando c’è una situazione di crisi na-zionale si verifica sempre un evento lega-to alla mafia. Nel ‘92-’93 c’era tangento-poli, c’era il passaggio fra prima e secon-da Repubblica, ed ecco che si verificano quelle stragi di mafia. Poi si passa al go-verno Berlusconi che però dopo un po’ entra in crisi. Ecco allora che viene arre-stato un capomafia (Leoluca Bagarella, ndr) e poi alcuni suoi sodali. Ultimamente ci troviamo nella crisi più totale ed ecco che si verificano altri arresti come quello del capo dei Casalesi.

Seguendo questo ragionamento io credo che, purtroppo, la verità sarà molto difficile da dimostrare perché questi dinamismi sono in gran parte dei “diversivi” dei poteri forti.

Ma quali sono questi poteri forti?Come ho detto nella mia arringa di 12

ore i poteri forti sono la massoneria, i ser-vizi segreti, le forze deviate e politiche. Io sostengo che le stragi hanno come fonda-mento il discorso del Gattopardo: cambia-re tutto per non cambiare nulla.

Tra questi poteri forti c’è anche il Va-ticano?

Secondo me si. Guarda caso l’attentato alla struttura di San Giovanni in Laterano si verifica nella parte dove era ubicato lo Ior. Così come l’attentato al Velabro era un noto luogo dove si riuniva la congrega di San Giustiniano formata tra l’altro da ufficiali in congedo. Un esempio tipico di commistione di poteri forti lo si può ri-scontrare nell’attentato a Milano. Secondo l’accusa si doveva colpire il patrimonio artistico, ebbene nella capitale lombarda viene colpito il Pac (Padiglione Arte Con-temporanea, ndr). Ma a Milano c’erano ben altri simboli come il Duomo o il tea-tro alla Scala... Bene, a due isolati dal Pac c’era la sede della nuova massoneria.

Cosa pensa delle dichiarazioni di Spatuzza relative alla presenza di un esponente dei Servizi al momento della preparazione dell’autobomba per via D’Amelio?

Credo che su questo punto non abbia torto. Per non parlare poi del mistero della sparizione dell’agenda rossa di Paolo Bor-sellino. Così come della “stranezza” dell’attentato a Maurizio Costanzo: quat-tro picciotti siciliani che vengono a Roma e guarda caso rubano una macchina che doveva servire per l’attentato che risulta essere riconducibile ai Servizi.

Lei comunque non esclude la “mano-valanza” dei mafiosi nell’attuazione delle stragi.

Non mi sento di escluderlo.

Una “manovalanza” posta in essere in maniera consapevole o inconsapevo-le?

Ma probabilmente quei mafiosi sono stati “contattati” da questi poteri forti. Ed è un dato di fatto che questi picciotti han-no già pagato con pesanti condanne.

Tra i mafiosi che hanno messo le bombe nel Continente c’era anche Mat-teo Messina Denaro, l’attuale capo di Cosa Nostra.

Si c’era anche lui, nessuno sa dove si trovi, ma nel momento che sarà funziona-le al “sistema” verrà arrestato anche lui.

La mafia “usata” nelle stragi?

Si può dire quindi che la mafia è stata “usata” nelle stragi?

Può essere che sia stata “usata” e co-munque io escludo che i vertici della ma-fia come Riina e Graviano avessero inte-resse a compiere questi attentati.

Lei comunque non esclude che questi boss avessero contatti con i poteri forti.

Penso che la mafia abbia sempre avuto contatti con personalità di potere. La sto-ria dei “rapporti” di uomini come Dell’Utri è alquanto significativa.

Perché nel ‘99 nel processo per le stragi lei chiese di ascoltare Berlusconi e Dell’Utri? Di fatto dieci anni più tardi Spatuzza ha dichiarato: “Ho incontrato Giuseppe Graviano al Bar Doney e mi ha parlato di Berlusconi e Dell’Utri”.

La mia tesi si basava sulla convinzione che in quel processo erano implicati tutti i poteri forti.

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“Se si aprissel'archivio

di Andreotti...”

L’intervista integralesul n. 68 di Antimafia Duemila

Del resto chiesi non solo di sentire Berlusconi e Dell’Utri, ma anche Oscar Luigi Scalfaro. Ho sempre ritenuto che le bombe del ’93 fossero un avvertimento a lui o a poteri a lui collegati, in tal senso avevo chiesto di sentire ugualmente Car-lo Azeglio Ciampi. E comunque non mi è stato possibile interrogare nessuno di co-storo. Allo stesso modo è stata rigettata la mia richiesta di sentire Giorgio Napo-litano e i vertici dei Servizi di allora.

Non è vero quindi che i Servizi ser-vono il Governo, servono bensì i pote-ri.

Certo, servono i poteri e questo è stori-camente dimostrato a cominciare dalla strage di Piazza Fontana.

Cosa le ha riferito Giuseppe Gravia-no in merito alle stragi del ‘93?

Graviano ha sempre sostenuto la sua estraneità nelle stragi. Un giorno mi dis-se: “Guardi avvocato io nella mia vita di errori ne posso anche aver fatti, ma con le stragi del nord non c’entro nulla”.

Ma a parte questa risposta secondo lei Graviano sa bene come si sono svol-ti gli avvenimenti legati alle stragi?

Secondo me si.

E allora perché non lo dice?Perché non ha scelta.

Ma potrebbe dare delle indicazioni importanti.

Sicuramente, ma potrebbe temere ri-percussioni sulla sua famiglia.

Ripercussioni da parte di chi?Da parte di questi poteri forti di cui

stiamo parlando.

Lei ritiene che le stragi del ’93 ab-biano un collegamento con le stragi del ’92?

Secondo me si. Per le stragi di Falcone e Borsellino ci sarà stata pure la mafia, ma sono concorsi anche altri elementi. Ora per la strage di Borsellino stanno emergendo i coinvolgimenti dei Servizi. E’ bene ricordarsi che in quel periodo Falcone si stava occupando di indagini relative a capitali provenienti dall’Est Europa e destinati all’Italia, quindi lo scenario che emerge è molto più ampio. Se dovesse morire Giulio Andreotti e fosse aperto il suo archivio penso che emergerebbero tanti di quei segreti che nemmeno possiamo immaginarci.

Quindi anche le stragi di Capaci e Via D’Amelio sono eccidi organizzati dell’esterno di Cosa Nostra?

Secondo me si.

Le bombe del '93

L’obiettivo delle bombe del ‘93 ri-guardava prettamente la discesa di Berlusconi o altro?

Una ipotesi poteva essere quella relati-va alla discesa di Berlusconi. Il muro di Berlino cade nel 1989, dopodiché cadono le ideologie e si giunge fino all’attuale crisi politica gestita dalle banche e dalle multinazionali. E’ evidente che all’epoca ci fossero dei poteri che avessero interes-se a far cambiare un certo tipo di Gover-no immettendo un soggetto come Berlu-sconi.

Secondo lei quanto è influenzato questo Governo dai poteri forti?

Basta guardare gli uomini che lo com-pongono: Monti, Passera ecc. Sono tutti uomini che non lavoreranno certamente a favore della povera gente.

Ma lei crede che questo Governo sia stato scelto per evitare nuove bombe?

E’ probabile.

E quindi significa che Berlusconi ha dovuto cedere.

Si. Berlusconi ha ceduto anche per un altro motivo. Si è reso conto, a livello in-ternazionale, che lo stavano colpendo se-riamente nelle sue imprese.

Ma oggi c’è ancora il pericolo di nuove stragi?

Se dovessero accadere gli autori sareb-bero esclusivamente i Servizi. Ripeto, se-condo me dalla caduta del muro di Berli-no non ci sono più ideologie. Per tante stragi si sono serviti sia dalla destra che dalla sinistra.

Le stragi fasciste e le stragi comuni-ste sono quindi servite ai poteri.

Esattamente. Recentemente ho scritto un libro di memorie, in un capitolo so-stanzialmente dico che rossi e neri si sono ammazzati fra di loro per far gover-nare i bianchi, cioè i poteri.

In queste storie di stragi che ruolo gioca l’America?

L’America c’è sempre stata. Noi siamo un Paese a sovranità limitata. Dopo i conflitti mondiali noi siamo alla mercé degli americani, basti pensare alla trage-dia del Cermis. Per quanto riguarda le stragi, il ruolo Servizi era assolutamente collegato non tanto alla Cia quanto inve-ce al Mossad.

Che scenari ipotizza per il futuro?A livello politico vedo un gran magma.

Non vedo quale differenza ci sia tra il Pd e il Pdl. Sostanzialmente sono la stessa cosa, è una lotta di poltrone e basta. Que-sti grandi poteri hanno distrutto la gio-ventù dando loro falsi miti: la droga, il successo, il denaro e il sesso. Non c’è più un valore in Italia. Il pericolo per il pote-re è sempre stata la gioventù. E l’hanno fermata.

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Società

Addiopizzo:l'antimafiaa scuolaIncontro con unimprenditore chesi è ribellato

di Irene Di Nora Addiopizzo Catania

L’aula, fino a quel momento densa di

chiacchiericcio, è affondata nel silen-

zio. E’ lì Rosario. E racconta la sua

storia. Rosario Barchitta,

imprenditore di Scordia, ha deciso

anni fa di denunciare i suoi estorsori

ed oggi si racconta ad alcuni studenti

mostrando le sue fragilità, il suo

orgoglio, la sua forza, il suo essere

semplicemente uomo. Non gli

piacciono le cattedre, ed ha deciso fin

da subito di scendere fra i banchi, fra

quei ragazzi un po’ scalmanati, dalle

rapide ore divorate alla velocità

distratta dei loro motorini.

Eppure, in quel momento, a quel rac-

conto inusuale fatto di coraggio e digni-

tà, anche il loro tempo s’è fermato, e il

famelico quotidiano consumare è diven-

tato insolito assaporare.

Sono una trentina quei ragazzi. E non

sanno chi sia Libero Grassi. La lotta alla

mafia per loro è argomento da fiction o,

di tanto in tanto, da manifestazione utile

per bigiare un giorno di scuola. Non cre-

devano che l’antimafia, quella mattina,

avrebbe bussato alla porta delle loro clas-

si raccontando con un linguaggio nuovo

di volti sconosciuti.

A diciassette anni le illusioni infantili

si scontrano con una realtà non sempre

facile, e le storie di quegl’uomini barba-

ramente trucidati per strada, fatti saltare

in aria o assassinati davanti agli occhi dei

loro cari, lasciano un senso di morte che

sembra più forte di qualunque lotta, di

qualunque sogno. La morte sembra aver

vinto sulla vita, su quella solitaria batta-

glia per la quale quegl’uomini hanno per-

so tutto quel che possedevano.

Mani grandi e sguardo fiero

Ma un signore dai capelli bianchi, le

mani grandi e lo sguardo fiero, si alza in

piedi, si mischia fra loro, ed inizia a rac-

contare la sua storia: il perché abbia de-

ciso di denunciare gli estorsori, di cosa

significa farlo.

Ed è come avere in aula Libero Gras-

si: lì, vivo, nella storia e nella forza di

Barchitta. Ed è in quel momento che la

vita ha la meglio sulla morte.

Con semplicità e commozione Rosario

racconta come sia possibile dir di no ai

soprusi, alle prepotenze; di come il co-

raggio, con costanza e perseveranza, ri-

paghi sempre; di come sia importante

sentirsi liberi e poter guardare in volto i

propri figli senza vergognarsi, sentendo-

si, nella denuncia, migliore di ieri.

Centosessantamila commercianti

Nel nostro paese sono circa 160.000 i

commercianti colpiti dal racket, fenome-

no che riesce a muovere annualmente 9

miliardi di euro. Alla tradizionale richie-

sta estorsiva delle mafie si lega ormai il

preoccupante aumento del reato d’usura

che coinvolge circa 180.000 imprenditori

per affari che oscillano intorno ai 35 mi-

liardi di euro.

Proprietario di una cava, il pizzo Bar-

chitta lo pagava attraverso il gratuito pre-

lievo del materiale da parte degli estorso-

ri.

«Quando tornavo a casa mi vergogna-

vo a guardare mia moglie e i miei figli»

racconta, «ho capito che denunciando

avevo fatto la cosa giusta perché mi sono

sentito nuovamente un uomo».

Attraverso l’esempio Rosario abbatte

muri e i luoghi comuni, ricostruisce i

ponti con lo Stato andati distrutti dalla

solitudine, dal disagio sociale, dalla sfi-

ducia nella politica e nelle istituzioni.

Non è sotto scorta, non ha perso la sua

attività, eppure è riuscito a mettere in gi-

nocchio i suoi estorsori.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 68– pag. 68

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Dopo una prima denuncia, nel 2009 gli

venne bruciato un escavatore immediata-

mente riacquistato con la solidarietà di

12 colleghi e successivamente risarcito

dallo Stato grazie alla legge 44 del 1999,

che prevede il risarcimento per i danni ri-

cevuti sia agli strumenti di lavoro, sia per

le perdite finanziarie subite durante la

forzata cessata attività.

Si può dire di no

Rosario è la dimostrazione che si può

alzare la testa, dir di no, e vivere senza il

timore di morire, aver la possibilità di

costruirsi una vita migliore scevra dalla

schiavitù di ieri. Egli prova che la mafia

non è invincibile e che con l’impegno, il

lavoro, la coesione fra gli onesti, una

realtà sociale più equa è già realtà.

Quell’agognato cambiamento sociale,

impossibile per adolescenti abituati dalla

cattiva politica a non chiedere nulla per

sé, a non sperare, ad abbassare le proprie

pretese, a immaginare il proprio futuro

lontano dalla loro terra, è invece sotto i

loro occhi. Se Libero Grassi venti anni fa

veniva ucciso perché da solo combatteva

la criminalità, oggi più di 800 imprendi-

tori, commercianti e liberi professionisti,

scrivono ogni giorno la loro lettera di ri-

bellione al loro “caro estorsore” dichia-

rando pubblicamente che non intendono

sottomettersi al ricatto mafioso.

Quando Rosario termina di raccontare

la sua storia lascia dietro di sé un silenzio

denso di pensieri, e in ogni volto si legge

incredulità mista a commozione.

Spinti dalla speranza che qualcosa di

diverso sia realmente possibile, quei ra-

gazzi, in quell’incontro, hanno smesso

d’essere bulimici spettatori per decidere

di diventare unici autori della loro vita.

Capiscono quale sia il loro pizzo ogni

volta che, dietro pagamento, “l’amico” fa

ritrovare il motorino rubato, quando la-

sciano una moneta al parcheggiatore abu-

sivo, e comprendono che la mafia si na-

sconde nella raccomandazione, nella

quotidiana mancanza di rispetto delle re-

gole.

La legalità comincia ora

La legalità, per questi ragazzi, non è

più solo un argomento per magistrati e

scrittori, il futuro non è più un miraggio

promesso in attesa del quale devono star

buoni, ma quei ragazzi sono già chiamati

a far le loro scelte d’onestà, il presente è

in loro possesso, hanno l’opportunità im-

mensa di cambiare la loro terra e a co-

struire, ogni giorno, che uomini e le don-

ne che desiderano essere.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 69– pag. 69

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Mafia/ La colonizzazione

Si comincia conslot e usura e poi si va avantiMilano. A venti chilo-metri dal Duomo, la 'ndrangheta ha mes-so in piedi un vero e proprio fortino, con guardie, sala-riunio-ni, uffici e organizza-zione diffusa dapper-tutto

di Ester Cassano Stampoantimafioso

La 'ndrangheta calabrese si im-

possessa della provincia milanese

scegliendo come porto d'approdo i

caffè, le osterie e gelaterie di paese.

Succede a Cisliano, 4mila anime in

quel che rimane del Parco Agricolo

del Sud Ovest di Milano. Sono stati

arrestati qui, nel corso degli ultimi

due anni, a 20 km dalla Madonnina

della guglia del Duomo, i compo-

nenti di un’importante struttura

‘ndranghetista: i Valle-Lampada.

Valle-Lampada è un clan attivo già

dagli anni Settanta e rappresenta

l'emblema della capacità delle cosche

malavitose di rigenerarsi nonostante i

provvedimenti della magistratura.

Dopo i primi arresti per usura negli

anni '80, il terreno fertile della provin-

cia ha permesso ai Valle - Lampada di

far rifiorire i propri affari. Partendo

dalle slot machine.

“Un modo facile per riciclare”

E' il guidice Guido Salvini, consu-

lente nel 2007 della Commissione

Parlamentare Antimafia e oggi gip a

Cremona, a far luce sul meccanismo:

"Le slot machine sono un modo facile

per riciclare e guadagnare denaro, e

nel contempo controllare un esercizio

pubblico.

Molto spesso chi gestisce un bar è

obbligato da strutture criminali a col-

locare nel proprio negozio apparecchi

e macchinette d'azzardo.

Ed è un settore in cui la ‘ndrangheta

ha trovato un meccanismo semplice e

veloce per spostare i soldi derivati

dall’illecito e di farli fruttare ancor più

rapidamente.

Il clan Valle - Lampada a Cisliano

aveva un vero e proprio fortino: una

masseria che ricalcava quelle di certe

regioni meridionali con tanto di guar-

die, ristorante per le riunioni, abitazio-

ni per i vari componenti della famiglia

e uffici per le loro società.

L’attività primaria di questa orga-

nizzazione era l’usura in danno a com-

mercianti e imprenditori in Ma come

venivano utilizzati i soldi dell’usura? I

Valle - Lampada hanno individuato

proprio nelle slot machine la

possibilità di immediati guadagni,

costituendo società dai nomi molto

accattivanti tanto da piacere ai

bambini come la 'Peppone Giochi'.

Il meccanismo - spiega Salvini - è

semplice: gli affiliati del clan colloca-

no macchinette negli esercizi pubblici

e impongono la sistemazione di questi

apparecchi nei luoghi controllati

dall’organizzazione.

Ciò consente agli 'ndranghetisti sia

di fare gli esattori delle somme incas-

sate dagli esercenti, che di raddoppia-

re il fenomeno del racket controllando

il locale stesso e, quindi, di imposses-

sarsi del territorio a partire dal gioco

d'azzardo".

“Meglio in galera che contro i Valle”

E parlando del potere di questo clan,

è passata alla storia la frase di Antonio

Chiriaco, ex direttore sanitario della

Asl di Pavia sotto processo oggi per

l'indagine Infinito: "Tra i Valle e la

magistratura - affermò Chiriaco alle

autorità giudiziarie - preferisco avere

dietro le spalle la magistratura; è chia-

ro che ad un certo punto preferivo una

condanna piuttosto che avere i Valle

dietro le spalle".

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 70– pag. 70

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“Si aggredisconoi gestorie si picchiachi non paga”

Anche l'estorsione in danno a locali

pubblici è un meccanismo che al Nord

si sta espandendo sempre più: le co-

sche cercano di raggiungere le zone

ancora vergini mediante l'usura e il

racket.

"La tecnica - dichiara Salvini - è

quella classica della minaccia mafio-

sa: si aggrediscono i gestori e chi non

paga lo si chiude nel locale per pic-

chiarlo cercando di convincerlo con la

violenza a cedere l'esercizio".

Non resta che chiedersi: ci sono del-

le zone immuni? Dalle inchieste degli

ultimi due anni Bad Boys e Infinito

emerge che di Milano e del suo hinter-

land poco o nulla si salva.

Ci sono ancora zone immuni?

Persino i più piccoli centri urbani

della provincia milanese sono finiti

nelle carte della Direzione Nazionale

Antimafia: chi nominato nelle socio-

linguisticamente interessanti intercet-

tazioni telefoniche e ambientali, chi

vittima di collusione vera e propria fra

mondo legale e mondo illegale.

E il resto della Lombardia non si

trova in condizioni migliori.

Salvini, che in questi due anni da

Milano è passato a lavorare come gip

a Cremona, racconta come anche nella

lombardissima 'città del torrone' ba-

gnata dal fiume Po stiano comincian-

do ad emergere segnali riconducibili

al fenomeno malavitoso.

Fatture false

"Cremona non presenta dei gruppi

organizzati che al momento possono

essere identificati come “locali” o “fa-

miglie” della ‘ndrangheta, però anche

qui si intravedono fenomeni che costi-

tuiscono veri e propri companelli

d'allarme.

Ad esempio recentemente un grande

imprenditore del settore della ristruttu-

razione e dell’edilizia ha notato fatture

per un milione di euro emesse da arti-

giani e piccole ditte che ufficialmente

gli fornivano prodotti e manodopera

per la realizzazione di opere.

Questo imprenditore si è accorto

che le fatture erano false: servivano

semplicemente per aumentare il passi-

vo e abbattere l’attivo, con lo scopo

per le piccole società e ditte artigiane

di ottenere un vantaggio fiscale enor-

me.

Si tratta già dell’inizio della collu-

sione: abbiamo infatti scoperto che

tutte queste società appartengono a

soggetti calabresi di una determinata

zona che non operavano ma semplice-

mente producevano fatture".

Assorbendo l'attività legale

Un segnale ben visibile di come i

due mondi - quello legale e quello il-

legale - siano in grado di avvicinarsi.

E se inizialmente ciò che il commer-

ciante comune potrebbe intravedere è

un vantaggio reciproco, ben presto

emerge l'obiettivo finale del mondo il-

legale: quello di succhiare ed impa-

dronirsi dell’attività legale, assorben-

dola.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 71– pag. 71

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Bologna

Fra mafiee antimafia

Casalesi, ‘ndrangheti-sti, russi, cinesi, ru-meni, albanesi, nige-riani… Bologna oramai da diversi anni ospita le diverse mafie “no-strane”, quelle con la doc Italia e le moltepli-ci mafie straniere.

di Salvo Ognibene www.diecieventicinque.it

E’ passato più di mezzo secolo da

quando la mafia entrò in questa regio-

ne, in punta di piedi, da “sorvegliata

speciale”. Mafia che è cambiata, mafia

che si è adattata alla pelle di questa

città. Poco, ma non troppo, rumore e

tanti affari. Le diverse mafie presenti

sul territorio hanno raggiunto degli

accordi tali da spartirsi affari e terri-

torio senza pestarsi i piedi.

In uno degli ultimi rapporti di Sos-

Impresa Confesercenti emerge che il 5%

dei Commercianti bolognesi è sottoposto

a pizzo, non mancano le intimidazioni e

gli attentati incendiari che per molti si

chiamano autocombustione.

Uno su venti sotto pizzo

Abbiamo assistito nell’ultimo anno a

diversi arresti ed a molteplici operazioni

delle Forze dell’Ordine.

La regione ha varato un paio di leggi in

materia ed il Comune lavora alla costitu-

zione di un Osservatorio.

20 beni e 18 aziende confiscate.

“La lotta alla mafia dev'essere innanzi-

tutto un movimento culturale” diceva

Paolo Borsellino, l’antimafia giudiziaria

allora non basta per contrastare il feno-

meno criminale, è necessaria un’antima-

fia sociale anche a Bologna, dove le ma-

fie sono d’importazione. Parafrasando

potremmo dire che le mafie si contrasta-

no nelle “aule”, da quelle bunker e quelle

universitarie, anche a Bologna.

Un corso di antimafia

Così a Giurisprudenza, nell’Università

più vecchia d’Europa è nato un corso

vero e proprio, “mafie e Antimafia”, del-

la Prof.ssa Stefania Pellegrini. Un inse-

gnamento a scelta dello studente, un cor-

so di 48 h diviso in due parti. Nella pri-

ma parte viene affrontato il fenomeno dal

punto di vista storico, nella seconda gli

studenti incontrano testimoni illustri del-

la lotta alla criminalità organizzata, giu-

diziaria e sociale.

Per tutta la durata del corso l’aula stra-

ripa di studenti che seguono con

un’attenzione altissima.

In questo percorso ci siamo inseriti an-

che noi con Diecieventicinque, un gior-

nale on-line che prova a raccontare la

realtà avendo come strumento principale

l’informazione e come obiettivo ultimo

l’informazione stessa.

Un nuovo giornale a Bologna

Tra le diverse erealtà presenti sul terri-

torio si distingue l’associazione “Rete

NoName - Antimafia in movimento”,

nata quattro anni fa qui a Bologna e che,

in collaborazione con la cattedra di “ma-

fie e Antimafia” , studenti e altri sta

lavorando ad un nuovo dossier sulle

mafie in Regione che sarà presentato il 9

maggio, giorno del 34esimo anniversario

della morte di Peppino Impastato.

Una rete, una piccola rete che crede

fermamente che il cancro mafioso debba

essere estirpato e non gli si debba conce-

dere la possibilità di crescere ancora, so-

prattutto con le nuove generazioni.

Cari bolognesi, aprite gli occhi che di

guai ne abbiamo fin troppi.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 72– pag. 72

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Politica

Dove finisce la mafiaDove comincia la lega

La finanza occulta del cassiere leghista

di Roberto Rossi Azione nonviolenta

La bufera che si è scatenata nella Lega Nord a seguito delle indagini condotte dai magistrati di Reggio Ca-labria, di Napoli e di Milano – cui si aggiungono mentre scrivo tre filoni an-che a Reggio Emilia, Bologna e Geno-va – dice due cose importanti sul tema del rapporto tra mafia e politica nel nostro paese. Prima cosa, se non era abbastanza chiaro, la Lega c’è dentro fino al collo.

Ora si può dire, senza timore di smen-tita, dati i chiari collegamenti tra uomini della ‘ndrangheta ed esponenti del partito di Umberto Bossi. Secondo – segno di un cambiamento ormai consolidato nei rap-porti tra le due forme di potere, mafia e partiti – non si tratta più solo di un lega-me basato sullo scambio (tu mi procuri i voti necessari alla mia elezione, io ti pro-curo appalti, prebende e ti garantisco im-punità), ma di una relazione saldata dal comune interesse a occultare e riciclare capitali.

Per essere chiari, stando a quanto sta emergendo, la scandalosa quantità e qua-lità (denaro facilmente reimpiegabile) di finanziamento pubblico ha creato nei partiti la necessità di gestire enormi capi-tali. C’è chi, come nel caso Lusi, si è af-fidato “ingenuamente” – volendo credere al leader dell’ex Margherita Francesco Rutelli – a tesorieri ladroni che hanno in-

tascato milioni di euro senza colpo ferire. C’è chi, come emerge dall’inchiesta del pm reggino Giuseppe Lombardo sulle cointeressenze tra Lega e ‘ndrangheta, si sarebbe affidato ai broker della criminalità organizzata per gestire il rimborso elettorale. Probabilmente assieme alla criminalità organizzata.

L’inchiesta parte a Reggio Calabria nel 2009, la Dda indaga sulle operazioni di ri-ciclaggio del clan reggino dei De Stefano, uno dei più potenti, “vincitore” di quella guerra di mafia che nei primi anni novanta ha messo a terra quasi mille morti. La testa di ponte al Nord è il boss Paolo Martino. I capitali della ‘ndrangheta sono ingentissi-mi: «Sappiamo bene che il giro di affari delle mafie ammonta nel 2011 a 138 mi-liardi di euro – ha dichiarato a commento dell’inchiesta il pm Lombardo – è chiaro che quei proventi devono essere in qual-che modo ripuliti per essere ricollocati nel mercato».

Soldi “ricollogati”

Una parte di questi denari è “ricollocata” grazie a Romolo Girardelli, finito sotto inchiesta nel 2002 con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso assieme al boss Martino per «aver messo a disposizione dei clan le sue com-petenze finalizzate alla monetizzazione di “strumenti finanziari atipici” di illecita provenienza». Un procacciatore di affari della famiglia De Stefano, insomma, per la quale avrebbe anche espatriato capitali.

Lo stesso lavoro (Tanzania e Cipro) Ro-molo Girardelli avrebbe fatto per la Lega, il cui tesoriere Francesco Belsito – uomo intorno al quale gira l’inchiesta sulla Lega – è da almeno un decennio in affari col fi-glio di Girardelli, Alex, assieme al quale ha dato vita ad una società immobiliare a Genova.

Nel giro di finanza occulta del cassiere leghista, ci sarebbero anche l’imprenditore veneto Sergio Bonet e l’avvocato Bruno Mafrici, nominato con-sulente della commissione parlamentare per la Semplificazione normativa proprio grazie a Belsito, e fotografato dai Ros nel centro di Milano assieme a un imprenditore calabrese e al già citato boss ‘ndranghetista Paolo Martino.

Una chiara vicinanza

Ai primi di aprile è ancora presto per stabilire con certezza se la chiara vici-nanza tra uomini della Lega e affaristi mafiosi abbia portato a una comune ge-stione di capitali, provenienti dal narco-traffico da parte ‘ndranghetista, e dai rimborsi elettorali da parte leghista. Ma le recenti perquisizioni, una delle quali ha riguardato la segreteria nazionale del-la Lega in via Bellerio, hanno messo a disposizione dei magistrati antimafia una gran mole di reperti che li fanno essere fiduciosi su un esito dell’inchiesta in questa direzione.

In questo caso, il cambiamento dei rap-porti tra mafia e partiti che emergerebbe sarebbe di grande portata, frutto di un mutamento più generale intervenuto in ambito economico e politico. Oltre che la prova definitiva di una trasformazione del ruolo dei partiti all’interno della de-mocrazia (da rappresentante di interessi di una parte di cittadini a holding poli-tica-affaristico-finanziaria), il caso Lega aprirebbe nuove prospettive di interpreta-zione sulla natura del sistema mafioso, da sempre costruito sui comuni interessi di killer, imprenditori e politici, ma che oggi si presenterebbe più strettamente in-trecciato, oltre che da ragioni di scambio elettorale, soprattutto da criminali opera-zioni finanziarie.

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Lavoro

La vita tossicadi noi restauratori

Lavorano sui ponteggi, non hanno quasi mai protezioni, respirano solventi e si ammalano presto. Il novanta per cento sono donne

di Gaia Bozza Napoli Monitor

Secondo i dati della Fillea Cgil, il mestiere di restauratore e di collabora-tore-restauratore è ad alto rischio per la salute e l’incolumità fisica. Si svolge nei cantieri, sui ponteggi, in qualsiasi stagione dell’anno. E poi ci sono i sol-venti utilizzati: molti sono stati vietati, ma vengono utilizzati ugualmente. Però anche quelli consentiti sono quasi tutti altamente tossici: acido acetico, acetone, ammoniaca, formaldeide, aci-do formico, toluene, tricloroetano, cile-ne. I rischi: problemi alle articolazioni, allergie, tumori, infertilità.

Il 90 per cento dei lavoratori nel setto-re è donna, circa il 50 per cento ha meno di quarant’anni. Le protezioni sono spes-so un optional: te le devi procurare tu, e se te le dà l’azienda, poi è cura tua utiliz-zarle. Se non lo fai, nessuno ti controlla. Le pessime condizioni lavorative sono l’altra faccia della medaglia: (finti) contratti a progetto, (finte) partite Iva, lavoro nero sono le tipologie di impiego più diffuse e amate dalle ditte.

Certo, a voler scegliere c’è anche il finto contratto a termine, nel quale però viene stabilita sottobanco una retribuzio-ne inferiore e il lavoratore non usufruisce né di ferie, né di congedo per malattia, né di liquidazione. C’è poi il problema del riconoscimento professionale: ancora manca un quadro normativo coerente che regoli la professione.

Poche vie di fuga

Il quadro delineato da Giovanni Sanni-no, segretario della Fillea Cgil Campa-nia, lascia poche vie di fuga. A quanto pare, le regole sono poche e quelle che esistono.

“Non vengono assolutamente rispettate – spiega - Ad esempio, un’azienda di re-stauro deve avere obbligatoriamente de-terminate figure di restauratori, di colla-boratori senza le quali non si potrebbe accedere a lavori né conferiti a trattativa privata né su evidenza pubblica. Ci sono invece molti casi in cui imprese edilizie che si professano di restauro, ma anche aziende specializzate in restauro non hanno questi requisiti. E impiegano lavo-

ratori attraverso i contratti più disparati: mai a tempo indeterminato, pochissimi casi di contratto a tempo determinato, spesso contratti a progetto mascherati. E lavoro nero”.

Ci sono anche i numeri: il 35 per cento dei contratti, secondo una delle ultime ri-levazioni del sindacato, è di collabora-zione continuativa, mentre solo il 15 per cento del campione intervistato è assunto a tempo indeterminato col rispetto del contratto nazionale. Facile comprendere come la sicurezza diventi un optional. Un po’ è colpa del sistema degli appalti, spiega senza giri di parole Sannino: le Soprintendenze “invitano alle gare solo ditte e imprese di restauro di fiducia”. E poi le norme di sicurezza costano, dicono in molti, anche tra quelli che vincono ap-palti pubblici. E la Soprintendenza, in-tanto, che fa?

A questo punto, mi sono detta, queste cose le voglio sentire da chi le ha vissute.

“Lo sapevano tutti”

“Tutti sapevano che stavo a nero, che stavamo a nero. Ho lavorato alla reggia di Caserta, che è pure sede della Soprin-tendenza. Lì per non tenerti a nero ti fa-cevano il contratto a progetto finto. Cioè: risultavi un collaboratore a progetto ma invece eri un dipendente a tutti gli effetti, con orari e obblighi da dipendente”. Me-lina ora non vive più a Napoli, se n’è an-data perché finalmente è riuscita a pren-dere una supplenza e a lasciare quella che per tanti anni è stata la sua amara passione: il restauro pittorico.

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“Proprio alla Reggia di Caserta, nel 2002, ho subìto un incidente”.

Da allora Melina ha protusioni a livello cervicale, perché ha battuto la testa.

“In seguito ho deciso di lasciare gra-dualmente. Ho problemi alle braccia, non ce la faccio a portare pesi”.

Ma dove sei caduta?“Stavo sul ponteggio, che presentava

una fessura. Ci sono finita dentro con tut-ta la coscia, mi sono piegata e ho battuto la testa. Ed era nella reggia, dove si sup-pone che un ponteggio sia in regola. Non solo non lo era, ma ci avevano messo un telo sopra che rendeva il buco non visibi-le”.

Alla fine Melina ha detto di essere ca-duta sul pavimento, e non sotto la volta, dove era per un restauro. Però il collare l’ha portato, è stata a casa e con il con-tratto a progetto l’Inail risarcisce un for-fait: su 1100 euro medi di retribuzione, ne riconosce al massimo 700. Ma i di-spositivi di sicurezza, almeno, ce le ave-vi?

“Zero protezioni”

“Zero, zero protezioni”.E sbotta in una risata nervosa. Brutta storia, ma pare che il peggio sia

arrivato dopo, “quando è arrivata l’edili-zia nel restauro. I tempi di lavoro si sono ristretti e i materiali sono più scadenti”.

Nel 2007, Melina viene contattata per un lavoro: questa volta in nero, ancora nella reggia di Caserta.

“Mi è stato detto che erano state fatte le prove con un solvente cancerogeno e

vietato perché, secondo loro, era l’unico che funzionava bene. In quel caso non ho accettato, ma di sicuro qualcun altro lo avrà fatto. Qui lavorano per pochi soldi, con materiali nocivi per la salute ma an-che per l’opera. Ormai si usa di tutto per risparmiare”.

“Dovevo pensare io alla sicurezza”

“Io ho sempre lavorato in cantiere, e spesso non sto bene dopo aver usato qualche solvente tipo acetone, anche se uso la maschera e altre cose. Per un pe-riodo mi veniva la febbre. Ma poi penso, troppe cose insieme: l’ambiente freddo e umido, i solventi, la polvere. Ora ho di-versi problemi: dal tunnel carpale all’artrosi alle anche”.

Silvia ha l’atteggiamento forte e disin-cantato di chi ne ha viste tante. Anche se è giovane, ha iniziato a lavorare presto. E ha visto, negli anni, peggiorare la sua si-tuazione: “Ho iniziato con un contratto a tempo indeterminato – racconta - e mano a mano le cose sono andate sempre peg-gio: contratto a progetto, contratti a tem-po indeterminato “finti”. Ora prendo lo stesso stipendio che prendevo quando ho iniziato”.

E come funzionano, i contratti a tempo indeterminato “finto”?

“Funziona che uno dovrebbe fare una vertenza. Ti contattano e concordano un’altra retribuzione: senza ferie, malat-tia, liquidazione. Per esempio, io non ho mai preso più di mille euro. Mi sembra che quando è capitato a me era un appal-to pubblico, o forse direttamente la curia,

il committente”. I dispositivi di sicurezza?“Dove lavoro ora me le hanno compra-

ti. Ma in passato ho dovuto procurarmi le scarpe antinfortunistiche da sola”.

Stefania: mi dicevano di bere il latte dopo aver usato i solventi tossici, ma non serviva a niente

“Mi dicevano di bere il latte...”

I rischi c’erano e ci sono ancora. Ma “con la maturità ho sviluppato un po’ di attenzione. Se pulisco metto la maschera, cambio i filtri, cerco il più possibile di mettere i guanti. Sai, a volte siamo anche noi che prendiamo sotto gamba i perico-li”.

L’atteggiamento di Stefania è cambiato quando ha “subìto un’operazione alla gola per una discheratosi alla corda voca-le. I medici mi dissero che una delle cau-se possibili era l’uso prolungato dei sol-venti”.

Stefania, però, si ritiene fortunata: “Un collega che conoscevo è morto qualche anno fa per un tumore alla vescica, che è una delle malattie che può colpire un re-stauratore”.

Le cose però sono migliorate, qualche solvente è stato vietato. Fino alla fine de-gli anni Novanta dicevano spesso ai re-stauratori di bere il latte, dopo le puliture. Per la cronaca: era lo stesso consiglio che davano anche all’Eternit, dove si produce l’amianto.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 75– pag. 75

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Storia

Accursio Miraglia e l'antimafia rossa

Un giorno del settem-bre 1946 migliaia di contadini siciliani occu-parono le terre incolte. Li guidava Miraglia. I mafiosi lo uccisero po-chi mesi dopo

di Elio Camilleri

Sia che ci fosse il Duce e la Monar-chia o gli Americani e poi i nuovi gover-nanti e la Repubblica visse queste di-verse situazioni storiche non dimenti-cando mai che la sua storia doveva es-sere quella di aiutare i deboli e gli sfrut-tati, gli esclusi e i disgraziati, di colpire, inevitabilmente, gli interessi e i privilegi dei forti e dei padroni di sempre.

Diplomatosi ragioniere, trovò subito la-voro in banca presso il Credito Italiano di Catania; dopo un anno fu trasferito a Mi-lano e qui entrò in contatto con il gruppo anarchico di Porta Ticinese e svolse un’intensa attività politica e sindacale schierandosi apertamente a fianco degli operai in lotta e, inevitabilmente, fu licen-ziato “per contrasti di natura politica”.

Tornò a Sciacca e si diede da fare nell’attività della conservazione del pesce e del commerciò del ferro e dei metalli in genere.

Era riuscito ad allontanare e ad abban-donare lo stato di difficoltà che, talvolta, aveva avvertito da bambino e sembrava desiderasse fortemente che quello stato d’indigenza non dovesse essere sofferto da nessuno.

Padre Michele Arena trovò sempre in Accursio Miraglia un formidabile soste-gno nella ristrutturazione di una parte dell’orfanotrofio. Puntualmente garantì il rifornimento di beni di prima necessità per tutte le orfanelle del “Boccone del povero”.

Fu nominato amministratore del teatro “Mariano Rossi” e in questa veste il desti-no volle che incontrasse Tatiana Klimen-co, la donna della sua vita. Di famiglia aristocratica russa imparentata con lo zar, costretta a cedere tutte le proprietà, a ven-dere agli inglesi i gioielli pur di mettersi in salvo. I fuoriusciti giunsero in Italia trovarono il modo di tirare a campare for-mando una compagnia di avanspettacolo con musiche e danze russe da portare in giro nei teatri italiani.

La prima Camera del Lavoro

Agli inizi degli anni trenta la compa-gnia si esibì al teatro Massimo di Paler-mo.

“Mio padre andò a Palermo, vide que-sta compagnia, vide pure mia madre e scritturò la compagnia per farla venire a Sciacca. E quando vennero a Sciacca “sequestrò” mia madre e non la fece più tornare con la compagnia. S’innamoraro-no l’uno dell’altra e così mia madre e mia nonna si fermarono qui”. (Intervista a Nico Miraglia. Ebano, 2005)

Allo scoppio della seconda guerra mon-

diale Accursio Miraglia si adoperò per al-leviare le difficoltà di tutti; non disdegnò di fornire di nascosto agli artigiani quei materiali ferrosi e metallici in genere che, a causa della guerra, venivano rigorosa-mente requisiti.

Quando arrivarono gli Alleati Accursio approdò al Partito comunista e alla Confe-derazione Generale del Lavoro, istituendo a Sciacca la prima Camera del Lavoro della Sicilia ed il CLN locale.

Contro i latifondisti

Entrò in rotta di collisione con i latifon-disti che boicottavano l’ammasso del gra-no e allora Accursio non fu più il buon be-nefattore dei poveri, ma il nemico da ab-battere.

Ecco, allora, che si capisce bene la frase “Meglio morire in piedi, che vivere in gi-nocchio” tratta dal romanzo “Per chi suo-na la campana” di Ernest Hemingway che Accursio ricordava sempre a se stesso e agli altri.

Ecco, allora, la liturgia delle minacce, delle intimidazioni e dei consigli più o meno interessati a farsi da parte, a lasciar correre, a pensare, piuttosto, alla famiglia.

Accursio Miraglia visse questo scontro in maniera totale, anche come membro della Commissione per l’individuazione delle terre da assegnare ai contadini a pre-scindere dalla loro appartenenza politica.

Il figlio di Accursio mi ha raccontato che a un contadino comunista che si la-mentava del fatto che al sorteggio avrebbe pure partecipato un contadino fascista, ri-spose che non importava in quel momento essere comunisti o fascisti, ma semplice-mente e ugualmente contadini.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 76– pag. 76

Page 77: I Siciliani - aprile 2012

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“Sulla stragedi Portella

fascicoliancora

secretati”

Un momento particolarmente signifi-cativo della lotta per l’assegnazione delle terre fu, nel settembre 1946, la cavalcata cui parteciparono circa diecimila conta-dini. “Prima di allora, manifestazioni simili non se ne erano mai viste, né in provincia di Agrigento, né altrove, e anche in seguito non ce ne furono altre che l’eguagliassero per imponenza e ordine, fatta eccezione per quel paio di

grandi e straordinarie manifestazioni effettuate a Palermo con la presenza di contadini venuti con ogni mezzo da tutta la Sicilia”. (Renda, Storia della Sicilia. Sellerio. Palermo. 1999)

La seconda cavalcata fu organizzata da Miraglia per occupare le terre del feudo Santa Maria e ancora una volta fu una fe-sta per tutti quelli che parteciparono: a cavallo, con carretti, biciclette o anche a

piedi si mossero in più di 1.500 cantando i versi della tradizione proletaria e brac-ciantile; non conoscevano neanche bene i particolari di quello che avrebbero dovuto fare, ma erano profondamente convinti che qualcosa di nuovo sarebbe arrivato.

In effetti, Accursio Miraglia riuscì ad ottenere l’assegnazione di ampi appezza-menti di terra alla cooperativa “La Madre Terra” ed erano terre, fra l’altro, non del tutto scadenti.

Sotto il fuoco mafioso

La cooperativa, le cavalcate, i successi che con tanta determinazione e fatica si erano conseguiti, resero il conflitto con gli agrari definitivamente irresolubile.

Il 21 dicembre 1946 il Segretario della Camera del Lavoro di Baucina Nicola Azoti era caduto sotto il fuoco mafioso e dopo due giorni morì e Accursio Mira-glia avvertì su di sé l’incombere di un destino terribile e non fece nulla per sot-trarvisi.

Nel suo ultimo comizio:“ La forza dell'uomo civile è la legge,

la forza del bruto e del mafioso è la vio-lenza fisica e morale”.

La sera del 4 gennaio 1947 Accursio Miraglia morì ammazzato sulla porta di casa tra le braccia di Tatiana, impazzita dalla disperazione.

La verità giudiziaria su mandanti ed esecutori fu praticamente impedita, quel-la storica attende ancora di essere chiari-ta e si aspetta la desecretazione dei fasci-coli sulla strage di Portella della Gine-stra. per una contestualizzazione chiara e articolata.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 77– pag. 77

SCHEGGELA PARTIGIANAGRAZIELLA

Numerosi cittadini catanesi parteciparono alla Resistenza, i più fortunati tornarono e raccontarono ai familiari l’incredibile, drammatica ed esaltante avventura della Liberazione.Tanti altri non tornarono e a noi tocca il dovere della Memoria, l’obbligo di non dimenticare.Tra gli altri, Graziella Giuffrida, volontar-ia nelle Squadre di Azione Partigiana.Era nata a Catania, a S. Cristoforo, nel 1924; appena ventenne emigrò al nord a fare la “maestrina” dalle parti di Genova.La primavera del 1945 era appena cominciata, ma per Graziella il 24 marzo sarebbe stato l’ultimo giorno e non solo di primavera.Tutto accadde quasi per caso: per caso lei prese quel tram, per caso su quel tram c’erano dei tedeschi. Lei bella e giovane, loro stronzi e basta cominciarono ad im-portunarla e lei reagì e loro, stronzi e vi-gliacchi, le misero le mani addosso e ad-dosso le trovarono una pistola.

Gli stronzi e vigliacchi l’arrestarono e la torturarono e la violentarono e poi gli stronzi e vigliacchi e, ora anche assassini, l’ammazzarono e la buttarono in un fosso.Il suo corpo e quello di altri quattro giovani partigiani furono ritrovati a Fegi-no, in val Polcevera, qualche giorno dopo la Liberazione.Anche suo fratello Salvatore fu preso ed ammazzato dai tedeschi e a Catania, a casa rimase la madre che, avendo saputo della tragica fine di Graziella e Salvatore, impazzì dal dolore.Sul fronte di una casa da molti anni ormai senza vita, tra via Bellia e piazza Machiavelli, resta una lapide “Alla libertà e alla patria offrì la giovane esistenza nel-la guerra di Liberazione”.Vorrei sapere come e perché i nostri Am-ministratori ancora non abbiano pensato d’intitolare a Graziella e Salvatore Giuf-frida una via o una piazza. Risulta dalla testimonianza di Domenico Stimolo che nel gennaio 2003 furono consegnate all’Amministrazione comunale 5000 fir-ma per intitolare tre vie a tre martiri della Resistenza, tra cui Graziella Giuffrida. E allora?

Page 78: I Siciliani - aprile 2012

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Lirica/ Emma Dante

Va in scenala rivoluzione

Come si esprime una donna muta protagoni-sta di un'opera lirica? La regista Emma Dan-te ha pensato che la sua Fenella, personag-gio principale de La Muette de Portici, all'Opéra Comique di Parigi dal 5 aprile, debba parlare attraver-so una sciarpa rossa

di Chiara Zappalà

Troppo semplice per lo spettatore

pensarla come fil rouge che dà unità ai

cinque atti di quest'opera dalla strut-

tura complessa. E in verità sono tanti i

simboli ne La Muette de Portici di

Emma Dante.

“Nel libretto originale ci sono milioni

di ambienti – spiega la regista seduta in

platea dell'incantevole sala fine-ottocen-

tesca del teatro parigino, durante la pausa

delle prove – si passa dal mare al giardi-

no del palazzo reale, e poi si va al Vesu-

vio: questi numerosi cambi di scenogra-

fia sono difficili da rappresentare a tea-

tro. Quindi ho scelto di lavorare sul sim-

bolismo attraverso certi elementi, come

per esempio le porte della città. Queste

rappresentano un dentro e un fuori, la

gente le attraversa e porta con sé i propri

sentimenti, la propria storia. Dietro que-

ste porte si nascondono le cose intime, i

segreti. È il dentro e il fuori nella rivolu-

zione di Masaniello, ed è il dentro e il

fuori nella dominazione degli Spagnoli

che si installano nella città e ne rubano la

cultura”.

E infatti è proprio la rivoluzione che

La Muette de Portici racconta. Una rivo-

luzione scatenata fortuitamente dall'inge-

nua e povera Fenella. La muta viene se-

dotta da Alphonse, il figlio del viceré,

che sposerà poi la ricca principessa Elvi-

re. E contro questa offesa alla donna, in-

tesa come offesa al popolo tutto, sarà

Masaniello, fratello di Fenella ferito

nell'orgoglio, a invocare la rivolta degli

umili. Questa è la storia che ha affascina-

to Emma Dante.

“E' il richiamo alla dignità dell'uomo –

racconta la regista siciliana – all'indigna-

zione nei confronti di un potere che op-

prime, che distrugge, che ruba la cultura

di un popolo”.

Quella in scena nel teatro di Emma

Dante è una nobiltà imbambolata, immo-

bile, senza vita come le bambole, appun-

to. E infatti, non a caso, nel primo atto,

quello in cui la costumista Vanessa San-

nino ha fatto un lavoro eccezionale, i sol-

dati ballano con quattro bambole e le

donne sono spogliate di una buona parte

del loro abito e ostentano solo lo schele-

tro della crinolina.

“Questa nobiltà – continua Dante –

sarà contrastata dalla povertà che è il

mondo di Masaniello, ovvero il mondo

della vitalità, o anche il mondo dei valo-

ri, della morale che l'altra categoria ha

perso perché si è installata in un mondo

che non gli appartiene e a cui sta rubando

tutto”.

Ritorno alla lirica

Dopo la Carmen alla Scala di Milano

nel 2010, Emma Dante, regista di teatro

sperimentale, torna quindi alla lirica con

La Muette de Portici e lo fa in un teatro

che ama la sperimentazione, l'Opéra Co-

mique. È comunque una sfida per una re-

gista che spinge quasi fino all'impossibi-

le le richieste ai suoi attori. Emma Dante

li maltratta e loro amano farsi maltratta-

re. Per la Muette gliene sono arrivati al-

cuni dalla Francia.

Il gruppo di attori dell'opera è infatti

composto da alcuni dei suoi fedeli stabili

a Palermo e da un gruppo di francesi che

lei ha cominciato a conoscere la scorsa

estate, durante due laboratori nel capo-

luogo siciliano.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 78– pag. 78

Page 79: I Siciliani - aprile 2012

www.isiciliani.itFoto di Carmine Maringola

Il risultato è una equipe già affiatata,

che nel passaggio della tarantella al mer-

cato, ad esempio, riesce a mettere in sce-

na una danza per certi versi improvvisa-

ta, in cui la coreografia non è un impera-

tivo, come Emma Dante comanda.

“Ecco ora è passato Masaniello”

Poi c'è Elena Borgogni, che riesce a far

parlare questa muta, Fenella, con i suoi

movimenti convulsi e con le espressioni

del volto. Come quella, alla fine tragica

dell'opera, in cui diventa statua in una

teca votiva (mentre nell'opera originale si

getta dal Vesuvio), martire immolata di

una rivoluzione a cui nemmeno pensava,

lei ingenua innamorata, sedotta e abban-

donata. Nel suo volto deformato e con

bocca spalancata sembra urlare tutta la

voce che non ha.

Per i cantanti lirici, per queste “creatu-

re fragili” come li chiama Emma Dante,

il lavoro non può che essere differente.

“La sfida è fare recitare i cantanti – spie-

ga – ecco ora è passato Masaniello”. La

regista smette di parlare e per qualche se-

condo osserva Michael Spyres, il tenore

nel ruolo del capo popolo, che si aggira

nella sala dell'Opéra Comique.

“Una follia tenera e violenta”

“Ecco – continua – secondo me lui fa

un personaggio bellissimo, a parte la

voce, che è la sua caratteristica. Lui è an-

che un grande interprete e fa questa follia

di Masaniello, riesce a essere tenero, vio-

lento, aggressivo e romantico contempo-

raneamente. Ma quando chiedi ai cantan-

ti di fare un movimento difficile mentre

stanno cantando gli chiedi molto perché

li metti in difficoltà. E quindi l'interpreta-

zione che chiedi a un cantante gli deve

essere di protezione sennò la voce esce

male. Bisogna stare molto attenti, biso-

gna essere molto delicati. Poi ci sono al-

cuni cantanti come Michael che si lascia-

no andare, o come Kauffman per la Car-

en. Con loro infine ho avuto attori tra le

mie mani”.

La Muette de Portici, opera del 1828

con la musica di Daniel-François-Esprit

Auber, è frutto di una collaborazione tra

l'Opéra Comique di Parigi e Théâtre

Royal de la Monnaie di Bruxelles – suoi

infatti l'Orchestra e il Coro diretti da Pa-

trick Davin – dove sarà rappresentata, a

data da destinarsi, dopo il debutto parigi-

no. E pare che, proprio alla Muette, il

Belgio debba, in parte, la sua indipen-

denza.

La platea si riversò per le strade

Si racconta infatti che, dopo la rappre-

sentazione il 25 agosto 1830 in onore del

cinquantanovesimo compleanno di re

Guglielmo I, la platea, catturata dalla sto-

ria di ribellione del popolo guidato da

Masaniello, si riversò nelle strade della

città incitando alla rivoluzione e rivendi-

cando l'indipendenza che arrivò il 4

ottobre dello stesso 1830.

E allora cosa può accadere nel 2012, in

una Francia in fermento per le elezioni

presidenziali? “Non so se è più il tempo

della rivoluzione – ammette Emma

Dante – non so se vedendo un'opera

lirica, poi si scenda in piazza. Siamo

cambiati. Scriviamo i blog, facciamo

altre cose”. Qui si ferma e sorride

ironica. Poi continua: “Però è bello

quando il teatro ti porta a una reazione

vitale nei confronti del mondo. Esci dal

teatro e sei cambiato”.

“Ma lasciare la Sicilia no”

E allora forse il mondo istituzionale di

Palermo, la città della regista, non ha mai

visto un suo spettacolo perché nella lun-

ga e densa carriera di Emma Dante, nulla

è cambiato nel rapporto con chi gestisce

il capoluogo siciliano.

“Non succede il miracolo”, dice lei.

Emma Dante porta i suoi spettacoli in

tutta Italia, in Francia, in Belgio, è ap-

plaudita e amata ovunque, tranne che

nella sua Palermo. Troppo vero per lei il

“nemo propheta in patria”. E cionono-

stante resiste. “Lavoro tanto in Francia,

per fortuna c'è chi crede in me. Ma la-

sciare Palermo no, non ho motivo. Maga-

ri penso di vivere un po' qua e un po' là, e

già lo faccio”.

“A Palermo farò il mio primo film”

Non a caso, proprio a Palermo Emma

Dante farà il suo primo film, finanziato

dal ministero per i Beni e le Attività Cul-

turali, dalla Svizzera e dalla casa di pro-

duzione Vivo Film.

“In estate preparerò un film sulla

strada di Via Castellana Bandiera. È la

storia due donne che guidano una

macchina, che si incontrano in un vicolo

molto stretto e nessuna delle due vuole

passare l'altra”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 79– pag. 79

Page 80: I Siciliani - aprile 2012

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Monete elettroniche

A chi fa paurail bitcoin?

xxxxxOgni tanto sui princi-pali quotidiani leggia-mo che la moneta elet-tronica (libera dalle banche e dalle multi-nazionali) è una cosa terribile, usata da cri-minali d'ogni genere per sfuggire alla poli-zia. Sarà vero?

di Fabio Vita

Esattamente un anno fa i quotidia-

ni italiani hanno scoperto Bitcoin,

che ormai aveva raggiunto una certa

notorietà. Il tipo della scoperta si ca-

piva dai titoli (Repubblica: “La mo-

neta degli hacker e della Cia”). Allo-

ra un bitcoin valeva cinque dollari,

dai pochi centesimi dell'anno prima.

L'economia ufficale, contempora-

neamente, cominciava a dibattersi

nella crisi del dollaro.

Un mese fa, all'improvviso, la cam-

pagna ricomincia: “L'Internet segreto

delle mafie dove si paga con soldi vir-

tuali”... Parliamo di campagna perché,

come l'anno scorso, viene lanciata con-

tempoaneamente dai principali giorna-

li.

Questo dell'”internet mafioso” era un

titolo de La Stampa, ma anche gli altri

non scherzavano. Repubblica: “Sesso,

droga e armi: la faccia cattiva del web”

(“se Bin Laden avesse avuto Bitcoin

avrebbe potuto comprare qualunque

arma...”). Corriere: “Il web senza rego-

le dove tutto è possibile” (e video di un

hacker incappucciato e coi guanti che

scrive al computer).

Come in “Profondo Blu”

Qualcuno (ancora Corriere) scopre

un “assassination market”: che però

non è un mercato di killer ma un "pre-

diction market" in cui si piazzano

scommesse (come in “Profondo Blu”

di Jeffrey Deaver) sulla morte di perso-

nalità famose.

Il dollaro, nel frattempo, aveva tra-

scinato nella crisi anche l'euro, e la

maggior parte delle banche, mnentre il

bitcoin continuava a godere di ottima

salute.

Una settimana fa, Repubblica.it apre

con un “Bitcoin, la criptomoneta digi-

tale anonima e sganciata dalle banche“,

più “ragionevole”, meno urlato ma

insistito “sui pagamenti virtuali di armi

e droga”. Un articolo non firmato, e

involontariamente eloquente dove

depreca che così chiunque può

“diventare una piccola banca” e

slegarsi dai tradizionali processi

economici come l'inflazione, le tasse,

le commissioni, i vincoli delle ban-

che”.

Le banche, già.

Ma il bitcoin è tracciabile

Ma come stanno le cose? Il punto

più interessante è che nessuno di tutti

questi articoli, pieni di allarmi-bitcoin

su mafia, trafficanti d'armi e criminali

d'ogni genere cita la caratteristica più

importante (dal punto di vista “polizie-

sco”) del bitcoin: il bitcoin è tracciabi-

le. Ogni singolo bitcoin, ogni transa-

zione, porta la firma indelebile di chi

l'ha fatta. Una firma elettronica, pro-

dotta automaticamente dal software, e

facilmente accessibile agli hacker e

alle polizie di tutto il mondo.

Altro che moneta nascosta

Altro che moneta nascosta: è come

se su ogni singola banconota da un

dollaro ciascuno, a ogni passaggio, do-

vesse mettere la propria firma, come in

un passaporto. Non esattamente la mo-

neta ideale per chi ha qualcosa da na-

scondere – neppure per chi da nascon-

dere ha molto, come certe grandi ban-

che.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 80– pag. 80

Page 81: I Siciliani - aprile 2012

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Bitcoin – accusano Corriere, Repub-

blica e altri – è la moneta usata su Silk

Road, un sito di transazioni illegali na-

scoste a tutti. In realtà il problema in

questo caso non è Bitcoin, ma il soft-

ware di anonimato usato su Silk Road.

Cos'è Tor

Si tratta di è Tor (The Onion Router),

originariamente sponsorizzato dal la-

boratorio di ricerca della marina ameri-

cana e dagli avvocati per le libertà ci-

vili dell'Electronic Frontier Founda-

tion. Utilizzato dai dissidenti in Iran e

più di recente in Egitto, è anche effi-

cace contro i tentativi di restrizione im-

posti ai provider (come in Francia).

L'Italia è al quarto posto al mondo

nell'uso di Tor, che tecnicamente è un

normale programma che si installa

come tutti gli altri e la pagina di Silk

Road, inaccessibile senza Tor, è

visibile persino da wikipedia.

L'otto giugno Reuters riporta una let-

tera alla Dea (l'ente antidroga america-

no) di due senatori Usa (Manchin e

Schumer) su Silk Road e bitcoin. La

Dea risponde – distinguendo opportu-

namente i due soggetti - che Su Silk

Road ci sono difficoltà tecniche, ma su

Bitcoin non è emerso niente di rilevan-

te.

Il team di sviluppo risponde

Dal team di sviluppo di Bitcoin pre-

cisano (a firma di Jeff Garzik che Bit-

coin non è anonimo come i critici di

Silk Road vogliono far credere.“Tutte

le transazioni – spiega - sono registrate

pubblicamente e le forze dell'ordine,

con metodi sofisticati, possono risalire

ai singoli utenti che usano bitcoin.

Appena il programma viene installato

ogni utente infatti scarica l'intera

catena di transazioni, dal primo giorno

di attività di Bitcoin, chiamata

Blockchain”.

L'intera catena di transazioni

Un semplice utilizzatore di bitcoin

insomma vede solo numeri e lettere

che compongono gli indirizzi da cui ri-

cevere o inviare moneta; ma un esperto

– sia esso un comune hacker o un inve-

stigatore della polizia - può recuperare

informazioni incrociate dalla block-

chain pubblica e ricostruire quindi ogni

singolo movimento.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 81– pag. 81

La moneta elettronicaTrend, tecnologia, applicazioni, mercati

Tutto sul bitcoin(aggiornamenti in tempo reale)

LINK http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=10293&ID_sezione=38 http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/04/11/news/sesso_droga_e_armi_la_faccia_cattiva_del_web-33089682/http://www.corriere.it/inchieste/droga-armi-minori-killer-viaggio-deep-web-zona-web-senza-regole-morale-dove-tutto-possibile/44ed8fce-8935-11e1-a8e9-f84c50c7f614.shtmlhttp://www.repubblica.it/tecnologia/2012/04/26/news/bitcoin_la_moneta_digitale-33184225/ http://gawker.com/5805928/the-underground-website-where-you-can-buy-any-drug-imaginablehttp://www.reuters.com/article/2011/06/08/us-financial-bitcoins-idUSTRE7573T320110608https://en.bitcoin.it/wiki/Anonymityhttps://bitcointalk.org/index.php?topic=241.0http://en.wikipedia.org/wiki/Bitcoin#Transactionshttp://bitcoincharts.com/charts/mtgoxUSD#rg360ztgSzm1g10zm2g25zvhttp://www.reuters.com/article/2011/06/08/us-financial-bitcoins-idUSTRE7573T320110608http://www.forbes.com/sites/jonmatonis/2012/04/26/be-your-own-bank-bitcoin-wallet-for-apple/ http://www.laprivatarepubblica.com/santa-inquisizione-popolare-riccardo-luna/

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Testimonianze

Il partigianoSeverino

Per quanto l'avessi chiesto più di

una volta, mai nessuno aveva sapu-

to dirmi di che paese fosse Severi-

no, nè il suo nome vero: si sapeva

soltanto che era siciliano; e anche

nella lapide che lo ricorda a Borzo-

nasca, nella Valle dell'Avete, c'è il

suo nome di battaglia e basta.

Era capitato a Favale di Malvaro

con due compaesani: il Beppe, che

catturato poi dai fascisti doveva finire

in un « lager »; e il Rizzo che ci toccò

allogare in una famiglia di contadini

e non si fece più vivo, forse gli era

passata la voglia di combattere, o non

l'aveva mai avuta.

Si sapeva soltanto che era siciliano

Severino invece no, perchè era ap-

pena giunto, verso la metà di settem-

bre, che già parlava di fare qualcosa,

di cominciare a menar le mani: non si

poteva stare intanati in quella bàita,

diceva, bisognava uscirsene, scorraz-

zare per la Fontanabuona, in cerca di

fascisti...

« In cerca di grane » borbottava

qualcuno.

« E sia pure, ma se non cerchiamo

grane, mi sapete dire cosa siamo ve-

nuti a fare, qui? »

Erano quelli i primi partigiani che,

disarmati vivevano della carità della

gente del posto, che in quella zona è

poverissima.

Finalmente coloro che prima di ab-

bandonare le caserme avevano pensa-

to di nascondere le armi, parlarono di

andarle a riprendere; si dovette aspet-

tare il giorno della grande fiera, a

Chiavari, e così fu più facile traspor-

tarle sotto il naso dei fascisti, avvolte

com'erano in frasche da parere arbo-

scelli da trapianto.

Severino n'ebbe una tutta sua, per-

chè ne aveva trasportato un bel cari-

co, forte com'era e agile; e anche

pronto se era necessario a rischiare la

pelle.

Pronto a rischiare la pelle

Come quando si seppe di camicie

nere che erano piombate a Castello di

Favale e avevano invaso la casa

dov'era rifugiata la famiglia del Co-

mandante; lassù erano giunte notizie

assai confuse, chi diceva che avessero

preso in ostaggio sua moglie e anche

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 84– pag. 84

Era di Licata e lo fucilarono i fascisti in una piazza della Liguria. Lo ricorda il suo comandante di allora, in un povero indimenticabile libro di memorie partigiane

di Giobatta Canepa “Marzo”

Page 85: I Siciliani - aprile 2012

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Partigiani della divisione garibaldina Pinan-Cichero.Nella pagina a fianco: la copertina di “Una repubblica a Torriglia”,

la storia di uno dei primi territori liberati dai partigiani sulle montagnedella Liguria, e il comandante partigiano Giobatta Canepa “Marzo”,

morto a Milazzo nel 1994.

la figlia piccoletta; altri invece che

erano riuscite a scappare, ma di preci-

so non si sapeva nulla, sicché grande

era l'apprensione di tutti i componenti

della banda.

Continuava a chiedere di Severino

E fu lui, Severino, a offrirsi di

scendere a Favale dov'erano accam-

pati quei porci, per attingere notizie

certe. Ricomparve tre giorni dopo,

quando tutti l'avevano già dato per

disperso: e aveva con sè la Maria e

portava a cavalluccio anche l'Enrica,

la figlioletta.

L'Enrica poi la condussero lontano,

al sicuro: naturalmente non le fecero

sapere nulla della sua morte per non

rattristarla, e cosi continuava a scri-

vere e a chiedere del suo Severino;

poi, come succede, si stancò e ora che

s'è fatta grande, lo ricorda appena e

certo non immagina quanto rischiare

avesse fatto per lei, povero figlio...

Quando lo presero la prima volta

Quando lo presero per la prima vol-

ta, era di guardia sul Rondanara e

mentre il suo compagno correva ad

avvertirci, lui, per dargli tempo, si

tenne sul posto, sparando di tanto in

tanto qualche colpo di fucile, di modo

che quelle canaglie, che avevano una

fifa da morire, non osavano più avan-

zare.

Un salto dal camion in corsa

Soltanto quando s'accorsero che

aveva terminato le cartucce, allora

osarono saltare fuori e circondarlo.

Ma poi, come lo portavano giù a

Chiavari, fu lesto a spiccare un salto

dal camion in corsa e a dileguarsi per

i vicoli.

Ritornò a Favale che la formazione

s'era spostata a Cichero, ma insistette

a rimanere sul Rondanara dov'era la

bàita dei Cereghino « i Paccianìn del

colle »: una bàita che ci serviva da

posto d'avvistamento e dove si faceva

tappa negli spostamenti, perchè tutti

di quella famiglia erano dalla nostra

parte e si davano d'attorno per aiutar-

ci.

“Dicci dov'è e ti liberiamo”

Non era certo prudente restare lassù

dov'era già stato preso, e il Comand-

ante glielo ripeteva; ma qualcuno bi-

sognava pure che ci restasse, e s'inte-

stò a restarci lui, finché finirono an-

cora per catturarlo.

Subito che lo riconobbero, lo lega-

rono ben bene e lo trascinarono giù a

Chiavari: « Dov'è la tua banda? Dov'è

il tuo Comandante? » continuavano a

chiedergli: « Dicci dov'è e ti liberia-

mo ».

« Nun u sacciu » rispondeva. E

quelle due parole-nel suo dialetto, «

nun u sacciu », furono le sole che po-

terono cavargli di bocca, la sua rispo-

sta ostinata alle lusinghe, alle minac-

cie, alle botte: le ripetette come una

sfida quando lo legarono a una sedia,

sulla piazza, con le spalle alla chiesa;

e infine come un'invettiva, con rab-

bia, mentre gli sparavano come a un

bersaglio: prima sui piedi, poi aggiu-

stando il tiro, sulle gambe e man

mano più alto, finché l'urlo disperato

si fece rantolo.

Sulla piazza del paese

Era l'imbrunire; all'alba la banda

Beretta aveva operato un'incursione a

Borzonasca e la notizia era giunta a

Chiavari mentre lo stavano interro-

gando. Visto che non c'era verso di

farlo parlare, decidettero di ammaz-

zarlo per rappresaglia.

Lo portarono dunque sulla piazza

di quel paese e, poverino, pareva I'«

ecce homo », legato com'era e tutto

pesto di botte: chiese soltanto d'un

suo diritto, quello di avere il conforto

dei Sacramenti, e gli risero in faccia

perchè, dissero, era figlio d'una cagna

e all'inferno sarebbe andato ugual-

mente.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 85– pag. 85

Page 86: I Siciliani - aprile 2012

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La fucilazione per i “banditi”

Tempo fa, nell'anniversario della

sua morte, mi misi alla ricerca della

Sabina dei Cereghino, che non avevo

più vista perchè sposandosi è andata

a stare altrove; e quando l'ebbi rin-

tracciata le dissi perchè ero venuto, e

cioè perchè mi parlasse di Severino e

di come l'avessero preso.

Glielo portarono davanti

Glielo portarono davanti, mi rac-

contò, e volevano per forza che lo ri-

conoscesse come uno di quei banditi

che si aggiravano da quelle parti: ma

lei, suo padre, tutti, giurarono e sper-

giurarono che non l'avevano mai vi-

sto, che forse si trattava di uno sban-

dato...

« Ho conservato il portafoglio che

mi dette quando ci fu l'allarme — dis-

se, — e subito corse a frugare

nell'armadio finché non lo trovò; era

un portacarte di tela rossa, tutto logo-

ro e sfilacciato e conteneva delle fo-

tografie e una carta d'identità, la sua,

col nome cognome e tutto: Saverino

Raimondo, nato nel 1923 a Licata.

Il suo vero nome

E così dopo tanti anni sono venuto

a sapere che il vero nome discostava

di poco dal suo di battaglia: Saverino

invece di Severino. Forse eravamo

stati noi a deformarlo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 86– pag. 86

Page 87: I Siciliani - aprile 2012

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Testimonianze

Altre Resistenze

Due ragazzi a Genova, sessant'anni dopo

di Cinzia Robbiano

Mi hanno colpito due giovani, tra i tanti alla giornata di Libera a Genova il 17 marzo, che ho visto quella matti-na alle 8 dirigersi con passo spedito verso il corteo. Davano l’impressione di voler marciare “su” Genova, non a Genova. Qualcosa me li ha fatti senti-re immediatamente cari e li ho avvici-nati. Mi hanno raccontato del loro lun-go viaggio in treno e mentre intorno a noi si confezionavano le bandiere che avrebbero sfilato, mi hanno mostrato orgogliosamente la loro scritta con un pennarello appena prima di partire: troppo poveri, mi hanno detto, per averne una ufficiale.

Avevano viaggiato tutta la notte e sa-rebbero ripartiti la notte successiva, stan-chi ma felici come si usa dire. Ho chie-sto di poterli fotografare, hanno accettato con gioia. Ci siamo salutati senza neppu-re presentarci.

Giorni dopo riordinando le tante foto-grafie di quelle giornate sono ritornata più volte sulla loro. Mi ero ripromessa di approfondire la loro conoscenza, la foto sarebbe stato il tramite. L’ho mandata a Radio Siani con una mail in cui dicevo quello che di loro mi aveva colpito, la bellezza della loro semplicità.

Il primo a scrivermi è stato Michele “quello grosso” come si è definito : una mail solare come il suo sorriso, piena di ringraziamenti e di entusiasmo. Poi è ar-rivata la mail di Vincenzo, quello magro e pensieroso. Le due facce di un corteo mi venne da pensare.

La voglio condividere qui, perché in giorni come questi in cui tanto si parla di Resistenza, offre uno spunto in più di riflessione. La Resistenza non può più essere solo memoria e sopravissuti, deve rivivere in nuove forme attraverso altri giovani e non solo perché c’è ancora bi-sogno di essere “liberati”.

* * *< Cara Cinzia, Io sono Vincenzo

(l'altro ragazzo della foto), del presidio Libera Afragola . Sono stato molto con-tento nell'aver letto le vostre mail, sì. Mi ha fatto molto piacere essere a Geno-va. certo, è stato massacrante, siamo stati tutta la notte in viaggio, arrivati di matti-na presto a Genova; per poi ritornare a Napoli verso le 5 del mattino successi-vo. Ma ne è valsa la pena, perché abbia-mo incontrato una parte di Italia che con-tinua a resistere.

Purtroppo dalle nostre zone è molto raro assistere a manifestazioni di questo

tipo. La camorra inquina soprattutto la mentalità delle persone, degradando il li-vello culturale in generale. Se mi sono iscritto a libera e sono venuto a Genova è stato per questo. Per riuscire a dimo-strare che in realtà è possibile vivere di-versamente.

Ci sono molti concittadini che non solo non denunciano e non disdegnano le or-ganizzazioni criminali, ma anzi si sento-no protetti dai vari boss. Quasi come se la camorra fosse una sorta di stato assi-stenziale e i camorristi dei benefattori. Anche attraverso film, canzoni e giornali locali (sempre monopolizzati dalla ca-morra) è sempre passato questo tipo di messaggio.

Se vuoi posso illustrare anche come questo tipo di sottocultura si è imposto a livello locale. E ahimè è molto triste con-statare come ciò spesso è ignorato dai media. Il discorso è molto lungo. Noi in meridione, non abbiamo conosciuto il fe-nomeno della resistenza antifascista come si è diffuso al nord, con tutte quelle vittime. Però qui, forse, una certa mili-tanza antimafiosa può richiamare quel tipo di resistenza.

C'è una diversa forma di resistenza. Ri-cordare le vittime uccise innocentemente, significa prendere parte. Ed è stato bello incontrare a Genova tante realtà accomu-nate da quello stesso spirito di rinascita, resistenza, cambiamento. L'Italia miglio-re, che indifferenza e malaffare vogliono spegnere.

Grazie ancora per le email. Ci risentia-mo presto. Cordialmente, Vincenzo >

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 87– pag. 87

Page 88: I Siciliani - aprile 2012

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Memoria

In ricordo di “Vik”,la voce liberadella paceL'editoriale di Roberto Morrione in memoria di Vittorio Annigoni

di Roberto Morrione Liberainformazione

"La speranza sta tutta nella grande

umiltà e dignità con cui questo popolo

affronta da più di sessantanni il peso

della sua sofferenza. Senza capitolare e

consegnare all'oppressore la propria

resa. Per me vivere a Gaza è una quo-

tidiana lezione di vita". Questo un pas-

saggio dell'intervista che Vittorio Arri-

goni, giornalista - attivista per i diritti

umani ucciso a Gaza il 15 aprile scor-

so, aveva rilasciato al direttore di Li-

berainformazione, Roberto Morrione.

Libera Informazione, un anno dopo,

pubblica l'intenso editoriale che Mor-

rione dedicò a "Vik" poche ore dopo

la notizia della sua morte. A seguire,

l'articolo integrale.

Quando nel tardo pomeriggio è arriva-

ta nelle redazioni la notizia del sequestro

e l’immagine di Vittorio Arrigoni legato,

bendato, ferito, minacciato di morte, per

ore non c’è stato TG o GR, della Rai o

privato, che non abbia genericamente

parlato di un “pacifista” o di un “volon-

tario italiano a Gaza”.

Corto circuito della memoria, incapaci-

tà di trarre un suono specifico dall’indi-

stinto rumore di fondo che omogeneizza

ormai la comunicazione, l’ennesimo se-

gnale del male diffuso quanto subdolo

che caratterizza l’informazione, anche

quella solitamente motivata, più attenta

al contesto e al valore delle notizie.

Corto circuito della memoria

Eppure, sarebbe bastato un clic su In-

ternet per aprire “il mondo di Vik”, di

una vita dedicata alla causa del popolo

palestinese e ai diritti civili, che a Gaza

sono ancora negati dallo spietato blocco

israeliano a due milioni di bambini, don-

ne, uomini, stretti in più dal potere inte-

gralista e autoritario di Hamas.

Con l’associazione pacifista Internatio-

nal Solidarity Movement Vittorio Arrigo-

ni, “Vik per gli amici e per i tanti che ne

hanno ascoltato il racconto su web radio

o le cronache appassionate su “Il Manife-

sto” nei giorni dei bombardamenti israe-

liani nell’inverno 2008-2009, aveva più

volte infranto il blocco navale israeliano,

era stato ferito, arrestato, espulso, sempre

pronto però a tornare a Gaza.

In questa sua seconda patria

In questa sua seconda patria era infatti

soprattutto uno “scudo umano”, che aiu-

tava con la presenza fisica e le sue de-

nunce i pescatori di Gaza costretti a for-

zare il blocco navale per cercare il pesce

di cui far vivere le proprie famiglie o i

contadini a lavorare poveri orti nelle

zone limitrofe ai confini, sorvegliati da

truppe israeliane pronte ad aprire il fuo-

co.

Durante la guerra e il tentativo di occu-

pazione militare di Gaza da parte di

Israele, nel dicembre 2008, Vik si era fat-

to giornalista, quando gli inviati da tutto

il mondo erano costretti a osservare con

il binocolo quanto accadeva a Gaza

dall’alto di una collina, chiamata presto

“del disonore”.

Su Il Manifesto e un suo blog, ripreso

anche in voce da siti e radio pacifiste, per

22 giorni andarono le sue cronache, sin-

cere e vere, fatte di testimonianze, storie,

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 88– pag. 88

Page 89: I Siciliani - aprile 2012

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“Un uomogeneroso

che credevain ideali

veri”

drammi che sapevano di morte, paura,

fame, crimini di guerra come l’uso di

nuovi ordigni e del devastante fosforo

bianco, cifre oggettive di feriti, distruzio-

ni senza senso e limiti.

“Restiamo umani”

Ogni suo pezzo si concludeva con un

messaggio, “restiamo umani”, da cui si

trasse anche un libro. Era un messaggio

di speranza, ma anche la consapevolezza

di quanto la disumanità, la ferocia, il ci-

nismo della politica e degli interessi in-

ternazionali, avessero cancellato ogni va-

lore esistenziale e civile. Per questa sua

missione, Vittorio era stato più volte mi-

nacciato di morte, come da parte di un

sito americano legato agli oltranzisti

israeliani.

Allegro insieme ai contadini

A Vittorio Arrigoni, nell’ambito della

giuria del Premio Sasso Marconi, fonda-

to da Enzo Biagi insieme a quel comune

dell’Appennino bolognese, feci assegna-

re un premio speciale. Vik era a Gaza e

inviò un bellissimo video, in cui lo si ve-

deva allegro sui pescherecci o con i con-

tadini al confine con Israele, sullo sfondo

i tank e le sentinelle con i cannocchiali,

ben vicini gli sbuffi di sabbia dei proietti-

li intimidatori sparati in mezzo a donne e

uomini muniti solo di cesti destinati a re-

stare vuoti.

Venne a ritirare il premio e a parlare

del figlio la mamma Egidia Beretta, una

donna forte e intelligente, sindaco di

Bulciago in provincia di Lecco, rieletta

due volte per il suo forte e limpido impe-

gno amministrativo.

Capimmo quella sera da chi e sulla

base di quali valori civili avesse attinto

Vittorio Arrigoni. Con lui ebbi poi un

complesso scambio di mail, che culminò

in una lunga intervista per “Cometa”, tri-

mestrale di critica della comunicazione

diretto da Giulietto Chiesa.

L'operazione “piombo fuso”

La documentazione sugli orrori

dell’operazione “piombo fuso”, sulle re-

sponsabilità di Israele e internazionali,

sugli errori e i soprusi autoritari di Ha-

mas, ma soprattutto sulle sofferenze e le

speranze di un popolo costretto a vivere

un una sorta di lager, fu eccezionale e in-

controvertibile.

Come la risposta che mi diede, al ter-

mine dell’intervista, alla domanda se

avesse ancora speranze sul futuro del po-

polo palestinese: “La speranza sta tutta

nella grande umiltà e dignità con cui

questo popolo affronta da più di ses-

sant’anni il peso della sua sofferenza.

Senza capitolare e consegnare all’oppres-

sore la propria resa. Per me vivere a

Gaza è una quotidiana lezione di vita”.

Ora non sappiamo e forse non sapremo

mai in quali contesti e perché questi ter-

roristi salafiti, probabilmente legati a Al

Qaeda, più volte al centro di omicidi e

attentati terroristici, abbiano preso di

mira Vittorio e quale sia stato il ruolo di

Hamas.

Sappiamo però con certezza che è stato

ucciso un “giusto”, un uomo generoso e

limpido, che credeva in ideali veri.

Come Enzo Baldoni, massacrato a Na-

jaf nel 2004 e di cui Governo, Parlamen-

to, mondo dell’informazione, si sono ben

presto dimenticati, nonostante la sua te-

stimonianza, breve e stroncata in breve

tempo da un’inspiegabile violenza, sia

una pagina alta e creativa di libertà.

Prima di partire un anno fa con la

“flottilla” decisa a rompere il blocco na-

vale israeliano e poi sanguinosamente re-

spinta, Vik mi chiese un aiuto organizza-

tivo e di aggancio con europarlamentari,

che cercai di dargli e mi promise “quan-

do torno, ce ne andiamo in trattoria per

bere in allegria e raccontarci le nostre

storie…”.

“Raccontare le nostre storie”

Non avremo più questa possibilità,

Vik, ma almeno farò di tutto perchè la

tua storia, insieme con quella di tanti tuoi

compagni sulle vie della pace, della giu-

stizia, dei diritti umani e dei popoli, esca

dal rumore di fondo che avvolge e stra-

volge chi costruisce e chi riceve le noti-

zie, affinchè, almeno in questo modo,

“restiamo umani”.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 89– pag. 89

Page 90: I Siciliani - aprile 2012

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Memoria

Il mioNovantadue

E come potrei dimenticarlo, il ’92,

ché quell’anno mi sono trasferito a

Roma. Viaggio di sola andata. Era un

sabato di settembre, che nella capitale

è gradevole come giù da noi, in Sicilia;

ultimi scampoli d’estate, di un’estate

che ha fatto epoca. Indimenticabile.

Purtroppo.

Sceso dal treno, a Termini comprai Re-

pubblica e un biglietto della metro; un

quarto d’ora dopo ero nella “mia” nuova

casa, dalle parti di Piazza Vittorio, il

quartiere multietnico per antonomasia.

Il quartiere multietnico

Ero stato fortunato, l’alloggio non ave-

vo dovuto cercarlo, ché quando, in pri-

mavera, Claudio s’era trasferito nella ca-

pitale, Miki era andato ad abitare con lui

liberando la stanza nell’appartamento

ammobiliato che condivideva con Ric-

cardo. E quella stanza aspettava me.

Riccardo mi aveva lasciato le chiavi di

casa dal portiere, era caporedattore di

Avvenimenti, il settimanale con cui col-

laboravo da un paio d’anni, fra i motivi -

le speranze - che m’avevano spinto a

cambiare aria.

Riccardo di cognome fa Orioles, è un

giornalista militante dell’antimafia, oggi

a Siciliani giovani. Ci eravamo conosciu-

ti otto anni prima nella redazione di un

altro giornale, a Catania, I Siciliani, il

mensile fondato da Giuseppe Fava, uno

degli otto giornalisti ammazzati dalla

mafia nell’isola.

Lì avevo conosciuto anche Miki (Mi-

chele Gambino), che in quel ’92 faceva

l’inviato di Avvenimenti, e Claudio

(Fava, figlio di Giuseppe), anche lui

giornalista, ma che a Roma c’era venuto

da deputato, eletto nelle liste de La Rete

– Movimento per la Democrazia, «la

Rete di Orlando» nell’approssimazione

dei media, che la legavano al più noto

dei suoi fondatori, Leoluca Orlando, «il

sindaco della Primavera di Palermo». Ai

Siciliani ero approdato, come tanti altri,

in seguito all’omicidio del direttore,

nell’84, imparando i primi rudimenti del

mestiere e diventandone presto redattore.

La mia camera romana era spaziosa e

luminosa, con due grandi finestre che da-

vano su via Tasso, quasi di fronte al Mu-

seo della Resistenza sorto negli stessi lo-

cali in cui, prima della Liberazione, i na-

zisti torturavano partigiani, ebrei e pa-

trioti. Spalancai le imposte e, senza nem-

meno disfare la valigia, stesi il quotidia-

no sul letto e mi misi a sfogliare le crona-

che romane finché una notizia non cala-

mitò la mia attenzione: concerto dei

Kunsertu al Villaggio Globale,

nell’ambito del Festival internazionale

dei popoli. Quella stessa sera. Gratuito.

Cinquemila persone festanti

Non potevo perdermelo. Avevo tutti i

loro dischi – i primi in vinile, i più recen-

ti in cd –, li avevo visti/ascoltati dal vivo

svariate volte e conoscevo personalmente

gli otto musicisti della band composta da

quattro messinesi, tre catanesi e uno

straordinario cantante palestinese, Faisal

Taher, una voce magica. Non immagina-

vo che fossero così popolari anche fuori

dell’isola, lo capii quando mi ritrovai con

oltre cinquemila persone festanti e ne fui

certo quando tutti intonarono Mokarta, la

canzone più nota del gruppo, in dialetto

siciliano.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 90– pag. 90

“E come potrei dimenticarlo. Ultimi scampoli di un'indimenticabile estate...”. L'anno delle speranze e dell'orrore, delle nuove politiche e delle stragi nel ricordo di un cronista che di quegli anni può dire “io c'ero”

di Sabastiano Gulisano

Page 91: I Siciliani - aprile 2012

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“L'Italiadelle stragi

e degli omicidieccellenti”

Era come se fossi ancora a casa, in Si-

cilia. O, forse, “casa” è dappertutto,

ovunque ci siano altre persone sulla tua

stessa sintonia. Quel sabato sera, il Vil-

laggio Globale era casa.

I tempi del cambiamento

Roma, dunque. Lunedì avrei comincia-

to a lavorare alla Camera dei deputati,

collaboratore di Claudio Fava, al gruppo

della Rete, il movimento politico nato

l’anno prima, dopo che Luca (così chia-

mavamo il leader) aveva lasciato la Dc e,

insieme ad altri notissimi esponenti della

vita politica, sociale e culturale italiana

aveva dato vita al movimento, fondato su

una trasversalità virtuosa, contrapposta

alla trasversalità occulta del sistema di

potere dell’epoca.

Non ho mai avuto tessere di partito. E

la Rete, purtroppo o per fortuna, non lo

era, un partito.

Decisi di aderire perché – presuntuoso

– pensavo che in quel momento storico

ci fosse bisogno anche di me; che

anch’io dovessi “sporcarmi le mani” con

la politica (lo consideravo un impegno a

termine, pochi anni, poi di nuovo giorna-

lista a tempo pieno); che in quel momen-

to così basso della vita civile e democra-

tica del Paese ci fossero le condizioni per

invertire la rotta, per spaccare la Dc, per

dare vita a un’alternativa democratica di

berlingueriana memoria.

Caduto il Muro di Berlino, dissolto il

blocco sovietico, sciolto il Patto di Varsa-

via, poteva e doveva cadere la pre-

giudiziale anticomunista che per qua-

rant’anni aveva fatto dell’Italia «una de-

mocrazia bloccata» e favorito incrosta-

zioni di potere che si erano autoalimenta-

te attraverso il clientelismo e la corruzio-

ne diffusi; era l’Italia “stabilizzata” con

le stragi e gli omicidi eccellenti.

I tempi per il cambiamento sembrava-

no maturi. E i fatti lo lasciavano intende-

re. A fine gennaio la Cassazione confer-

mò le condanne del maxiprocesso ai boss

di Cosa nostra istruito dal pool di Capon-

netto, Falcone e Borsellino, chiudendo la

stagione delle assoluzioni per insuffi-

cienza di prove.

Due settimane dopo, l’arresto a Milano

del craxiano Mario Chiesa innescò la va-

langa che rapidamente travolse la classe

politica di governo della cosiddetta Pri-

ma Repubblica, provocando la scompar-

sa dei partiti tradizionali. Poi l’omicidio

Lima.

“Hanno ammazzato Lima!”

Ero ancora a Palermo, lavoravo al

gruppo della Rete all’Ars: «Hanno am-

mazzato Lima!» annunciò qualcuno. E

io, da catanese, pensai a Felice, il magi-

strato, mica a Salvo, il proconsole an-

dreottiano cerniera tra Cosa nostra e

l’allora presidente del Consiglio. Poi,

compreso che si trattava dell’europarla-

mentare, subentrò lo sbigottimento. Ri-

cordo una Palermo smarrita, in quei gior-

ni, attonita. Neanch’io mi ci raccapezza-

vo. Mi era chiaro solo che c’erano due-

centomila voti in “libertà”.

Ricordo un breve scambio di battute

con Claudio: «Temo che il prossimo pos-

sa essere nello schieramento opposto»,

disse. Non avemmo modo di approfondi-

re. Mi colpì che ipotizzasse un «prossi-

mo», mentre io ero spaesato. E ancora di

più lo sarei stato il 23 maggio e, dopo, il

19 luglio.

Tirava aria di golpe

Tirava aria di golpe. Prima dell’omici-

dio Lima un ambiguo personaggio legato

ai servizi segreti, Elio Ciolini, aveva an-

nunciato una campagna destabilizzante a

base di omicidi eccellenti e stragi, nel pe-

riodo marzo-luglio.

Il Viminale allertò le prefetture, An-

dreotti lo bollò come «pataccaro» (era

stato condannato per avere depistato le

indagini sulla strage alla stazione di Bo-

logna), l’allarme rientrò. Ma la “profe-

zia” s’avverò, nei tempi previsti.

Poi lasciai la Sicilia. Anche le auto-

bomba emigrarono. Però era il ’93 e an-

drei fuori tema.

Nel mio piccolo, a cambiare...

Lo ricordo, certo che lo ricordo il mio

’92: pensavo – ero convinto – che, nel

mio piccolo, avrei contribuito a cambiare

l’Italia. In meglio. E sbagliavo. Oh, se

sbagliavo.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 91– pag. 91

Page 92: I Siciliani - aprile 2012

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“In nomedei quartieri

abbandonati”

L’Italia è cambiata, sì, ma in peggio,

molto in peggio: l’etica è letteralmente

evaporata e sulle stragi di quell’anno, a

vent’anni di distanza, la verità fatica a

farsi strada. La cerco nelle sentenze, nei

ritagli di giornali sulle nuove indagini,

nella trentina di libri impilati accanto al

pc, nella gran quantità di files accumulati

negli anni nel pc. Sono ossessionato da

quell’anno e dal bisogno di verità e

giustizia. La cerco, quella verità, per

mestiere e senso civico, ché non riesco a

scindere il giornalismo dal senso civico,

dall’idea di servizio alla collettività. La

cerco tenendo presente l’annuncio

preventivo del «pataccaro» (che non era

un veggente), altrimenti non ci capirei

nulla.

Per mestiere e senso civico

E mentre riordino i ricordi del “mio”

1992, torno col pensiero a quella sera al

Villaggio Globale e mi sovviene che an-

che i Kunsertu si sono sciolti. Mettermi

ad ascoltare il loro cd Live, frutto della

tournée europea di quell’anno, non li ri-

porterà insieme né contribuirà a riportare

l’etica al centro della vita politica e so-

ciale di questo martoriato Paese, né –

meno che mai – mi aiuterà ad aggiungere

un nuovo tassello ai motivi per cui qual-

cuno ha deciso che Falcone e Borsellino

dovevano morire, ma darà un po’ di sol-

lievo alla mia anima straziata.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 92– pag. 92

MemoriaIL GRIDO E LA FORZADEGLI ABBANDONATI

...Poi un giorno, a Catania, Luciano

ha cominciato ad usare la sua voce e

la sua memoria in nome della gente

violentata, in nome dei quartieri ab-

bandonati.

Poi un giorno la consapevolezza sua

è diventata di tutti, è diventata il grido

e la forza dei ragazzini della città nuo-

va di Librino e della città antica.

Poi un giorno la gente, quella

dell'Antico corso e di San Cristoforo,

o di Cibali, di Picanello, o di Ognina e

San Giovanni Li Cuti, la gente dimen-

ticata che vive nei luoghi della città

che portano i segni della vendita della

città alla mafia e alla corruzione della

politica si è sentita difesa e raccontata

e unita.

Quel giorno ascoltandolo raccontare

la storia dei ragazzini in cerca del pal-

lone e del campetto, ma anche di un

riscatto morale di tutto un mondo di-

menticato, di tutta una collettività a

cui è stato negata ogni diritti reale, in

nome dello stato di sopravvivenza, de-

gli individui, diversi e distinti nei loro

percorsi di resistenza, si sono final-

mente sentiti uniti nella loro forza di

collettività con una percezione com-

mossa che la mafia può creare enormi

sofferenze ma non distruggere la me-

moria comune.

Fabio D’Urso

Page 93: I Siciliani - aprile 2012

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IL FILO

Gli invulnerabilidi Giuseppe Fava

Anteprima dell'“Ultima violenza”,

nella sala ci sono tutti i rappresentanti

del potere nel territorio, i buoni e i

cattivi, i giusti e gli iniqui, i

galantuomini e i mascalzoni. Sulla

scena per tre ore sfilano i personaggi

equivalenti. Che abbiano autentico

vigore drammatico e bellezza teatrale,

non ha qui importanza. Sfilano! Al

termine delle tre ore Turi Ferro,

splendido avvocato Bellocampo, ha

un ultimo guizzo drammatico, sulle

sue parole spara la musica del Dies

Irae, il pavimento del teatro sembra

incendiarsi di bagliori, si alza

lentamente e su questo declivio rotola

il cadavere insanguinato del terrorista

Sanfelice, ucciso pochi attimi avanti,

prima che potesse rivelare il nome dei

grandi assassini mafiosi. E' come se il

teatro, compiuta la sua

rappresentazione, gettasse quel corpo

incontro al pubblico, quasi per

restuirglielo; infatti quel pavimento è

di metallo, una specie di immenso

specchio nel quale gli spettatori della

sala vedono se stessi plaudenti.

Ovazione finale, gli attori vengono

avanti per ringraziare; viene avanti il

cavaliere del lavoro Lamante, che ha

saccheggiato la società e alla cui

ricchezza sono state sacrificate

centinaia di vite umane, clap-clap,

applausi vigorosi, applaude

contegnoso anche l'autentico cavaliere

del lavoro che sta in sala. Ecco

l'imprenditore Marullo, inteso

Palummo 'e notte , imprenditore che

monopolizza tutti gli appalti della

regione, e per tale monopolio ha fatto

eliminare i concorrenti a raffiche di

mitra, clap-clap, applausi anche

dall'imprenditore d'assalto che sta in

sala e guardando la sua immagine

nello specchio sembra quasi divertito.

Bravo, bene! Cla-clap-clap, viene

avanti il senatore Calaciura, tre volte

parlamentare, ex ministro, sfiorato da

una candidatura al quirinale, sommo

manipolatore di alleanze, complicità,

miliardi di pubblico denaro e qualche

assassinio, e in sala applaudono tutti,

galantuomini e ribaldi. Complimenti,

bis! Eccolo: quell'attore che si

presenta con un inchino è il

Procuratore Generale della corte di

giustizia, gli hanno dato una legge e

lui l'ha applicata, senza mai pensare

per un attimo che potesse costituire

un'infamia. Uragano di applausi.

Bravissimo! I magistrati presenti

applaudono.

Il clima morale è questo

Il clima morale della società è

questo. Il potere si è isolato da tutto, si

è collocato in una dimensione nella

quale tutto quello che accade fuori,

nella nazione reale, non lo tocca più e

nemmeno lo offende, né accuse, né

denunce, dolori, disperazioni, rivolte.

Egli sta là, giornali, spettacoli,

cinema, requisitorie passano senza far

male: politici, cavalieri, imprenditori,

giudici applaudono. I giusti e gli

iniqui. Tutto sommato questi ultimi

sono probabilmente convinti d'essere

oramai invulnerabili.

(I Siciliani, novembre 1983)

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 93– pag. 93

“Il potere si è isolato da tutto, si è collocato in una dimensione nella quale tutto quel-lo che accade fuori, nella nazione reale, non lo tocca più...”

____________________________________La Fondazione FavaLa fondazione nasce nel 2002 per mantenere vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava, con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri, l'educazione antimafia nelle scuole, la promo-zione di attività culturali che coinvolgano i gio-vani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette la consultazione gratuita di tutti gli articoli di Giuseppe Fava sui Siciliani.Per consultare gli archivi fotografico e teatrale, o altri testi, o acquistare i libri della Fondazione, scrivere a [email protected] [email protected]____________________________________Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito operativo, della prima generazione dei Siciliani. Senza retorica, senza celebra- zioni, semplicemente uno stru- mento di lavoro. Serio, concreto e utile: nel nostro stile.

Page 94: I Siciliani - aprile 2012

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I SicilianiI Sicilianigiovani giovani Rivista di politica, attualità e cultura

Fatta da:Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Michela Mancini, Salvo Vitale, Ivano Asaro, Arnaldo Capezzuto, Pietro Orsatti, Valeria Calicchio, News Boys, Francesco Feola, San Libero, Antonio Mazzeo, Rosa MariaDi Natale, Giovanni Abbagnato, Luciano Mirone, Agata Pasqualino, Rino Giacalone, Giorgio Ruta,, Daniela Sammito, Giulio Pitroso,, Marco Urso, Rino Giacalone, Mauro Biani, Carlo Gubitosa, Kanjano, Jack Daniel, Ruggero Delfini, Lidia Menapace, Giorgio Bongiovanni, Irene Di Nora, Ester Castano, Salvo Ognibene, Roberto Rossi, Gaia Bozza, Elio Camilleri, Chiara Zappalà, Fabio Vita, Cinzia Robbiano, Sebastiano Gulisano, Fabio D'Urso, Raffaele Lupoli

Webmaster: Max Guglielmino [email protected] engineering: Carlo Gubitosa [email protected] director: Luca Salici [email protected] Coordinamenti: Giovanni Caruso [email protected] e Massimiliano Nicosia [email protected] Segreteria di redazione: Riccardo Orioles [email protected]

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Pio La Torre

Ricordatevi che questo è Stato

L’esistenza di Pio La Torre è stata contrassegnata dalla difesa del

lavoro e dei diritti, dall’impegno per la pace e dalla lotta alle mafie. Dalle

lotte contadine al lavoro da parlamentare (in commissione antimafia)

fino all’impegno contro l’installazione della base missilistica della Nato

a Comiso, l’obiettivo era uno soltanto: la difesa dei principi

fondamentali di quella Costituzione vergata con il sacrificio e il sangue

dei partigiani che hanno combattuto la barbarie nazifascista. La Carta

fondamentale è il testimone che i liberatori hanno lasciato nelle mani di

chiunque volesse raccoglierlo facendosi carico di riaffermarne lo spirito

e La Torre ha cominciato a farlo quando ancora i padri costituenti non

l’avevano materialmente redatta, animando in Sicilia una splendida

“resistenza” contadina. È innegabile la rilevanza, per la storia della lotta

al crimine organizzato nel nostro Paese e non solo, della sua intuizione

rispetto alla necessità di colpire il patrimonio dei mafiosi (intuizione poi

diventata legge “Rognoni-La Torre”). Ma la lezione più importante di Pio

La Torre è probabilmente un’altra: egli era consapevole che i suoi

diversi fronti di impegno rappresentavano in realtà un’unica battaglia

combattuta su più fronti. Una battaglia il cui “grido” racchiude in sé un

messaggio semplice quanto rivoluzionario. Quei contadini che urlavano

“La terra è di tutti” oggi forse direbbero “Noi siamo il 99 per cento”. La

Torre ha analizzato e contrastato lucidamente e a viso aperto il legame

tra potere politico e potere mafioso rappresentando un esempio di

coerenza, coraggio di protestare (pagato anche con il carcere) e

capacità di aggregare un vasto movimento democratico attorno a quelle

rivendicazioni. Se non fosse irriverente si potrebbe sintetizzare così:

“Ricordate che questo è Stato”. Buona Liberazione. Raffaele Lupoli

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 95– pag. 95

Page 96: I Siciliani - aprile 2012

Nel 1984 gli imprenditori siciliani non facevanopubblicità sui giornali antimafiosi. E ora?

Un tempo, gli imprenditori siciliani non facevano pubblicità sui giornali antimafiosi. Perciò i giornali come I Siciliani

alla fine dovevano chiudere. Nessun giornale può sopravviveresenza pubblicità, per quanto fedeli siamo i suoi lettori.

Noi facciamo la nostra parte. Voi, fate la vostra.

I SicilianiI Sicilianigiovanigiovani – pag. 96– pag. 96