I FILOSOFIA DEL DIRITTO -...
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Università Telematica Pegaso La filosofia del diritto e la concezione ideologica del diritto naturale e del diritto positivo
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO E LA CONCEZIONE IDEOLOGICA DEL DIRITTO NATURALE E DEL DIRITTO POSITIVO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
BIBLIOGRAFIA: -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
Università Telematica Pegaso La filosofia del diritto e la concezione ideologica del diritto naturale e del diritto positivo
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La filosofia del diritto e la concezione ideologica del diritto naturale e del diritto positivo
Non sempre è stato facile accostare il diritto alla filosofia, ossia accostare al diritto l’amore
per la saggezza, la passione per il pensiero dell’uomo e la capacità di meravigliarsi.
La filosofia giuridica cerca di trovare un senso ontologico al concetto di diritto, chiedendosi
che cosa sia sostanzialmente il diritto, intendendolo soprattutto come l’idea concernente la
possibilità di regolare tutti i vari rapporti che si possono instaurare tra le persone di una società.
Quindi, la filosofia studia il diritto inteso come relazione tra gli uomini dove vengono messi in
gioco una pluralità di interessi da dover ponderare.
Rileva nello studio terminologico del diritto il rapporto tra ius, iussum e iustum. Per ius
s’intende il diritto come tutte le possibili relazioni che ci possono essere tra gli uomini, la società e
la giuridicità; per iussum si fa riferimento alla vincolatività del rapporto giuridico perché il diritto
viene inteso come un comando da rispettare; infine per iustum s’intende il diritto come la continua
aspirazione ad una giustizia ideale. Soltanto prendendo le mosse da tale distinzione terminologica si
può muovere verso una più facile comprensione del rapporto sostanziale –che ha sempre inquietato
il giurista teorico come il giurista pratico- tra diritto naturale e diritto positivo e procedere a spiegare
quella che può definirsi come la: concezione ideologica del diritto naturale e del diritto positivo,
ovvero il giusnaturalismo e il giuspositivismo..
Il diritto naturale comprende tutte quelle regole non scritte che provengono da tutto ciò che
precede e prevale sulla volontà dell’uomo (Dio-mondo-natura). Esso si studiava sin dall’antica
Grecia dove i sofisti si chiedevano se quest’ultimo potesse essere inteso come forza della natura,
ovvero come regole imposte dal più forte in uno stato naturale di conflitto e di caos o se invece
potesse essere concepito come un cosmo ordinato nel quale si instaura un ordine naturale simile a
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quello degli animali o delle api (Mandeville). Infatti, nella Repubblica di Platone, Trasimaco
sostiene la tesi del diritto naturale come legge del più forte, contrariamente a Socrate, il quale,
invece, reputa lo stato di natura come un cosmo ordinato che tende ad una giustizia ideale, dove non
regna la legge del più forte e dove non c’è la conflittualità del caos.
Per diritto positivo si considera solo la legge scritta ed emanata validamente dal legislatore,
ossia lo ius positum. Per fare un esempio, i dieci comandamenti ed il codice di Hammurabi
rientrano nella concezione di diritto positivo, posto dal legislatore. Come vedremo nel prosieguo, il
diritto positivo diventerà l’unico diritto possibile solo a partire dalla pace di Westfalia del 1648 e
dunque con la nascita dei primi stati-nazione e con le prime codificazioni, sino ad arrivare ai giorni
nostri.
Il giusnaturalismo è quell’ideologia per cui il giudice, oltre ad applicare le leggi scritte,
deve anche considerare ed applicare i principi di un diritto sovraordinato alla legge positiva. E’ una
concezione più ampia del diritto, perché in essa il diritto non si riduce alla sola legge scritta emanata
dal legislatore.
Il giuspositivismo, al contrario, è l’ideologia del diritto scritto posto dal legislatore. Il diritto,
per tale concezione, è solo la legge scritta avalutativa e formalmente valida, perché emanata
correttamente dall’apparato legislativo ed il giudice potrà applicare solo le norme scritte senza
essere influenzato da principi non scritti di matrice giusnaturalistica.
Per il giuspositivismo il diritto si riduce al solo iussum, ossia alla sola legge prestabilita dal
legislatore che rappresenta il potere politico. Esso soltanto può regolare i rapporti tra gli uomini,
società ed ordinamento giuridico ed è sempre lo iussum che assicura un’idonea giustizia materiale.
Al contrario, per la corrente giusnaturalista, il diritto non si può ridurre al solo iussum,
perché comprende un magma più ampio, che va oltre la legge scritta dal legislatore, estendendosi ai
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principi non scritti provenienti da un diritto di natura o da altre fonti di diritto, che possono regolare
le relazioni tra gli uomini ed i vari interessi messi in gioco, proiettandosi verso una giustizia ideale.
Per più di 2000 anni il diritto come concetto ha compreso sia il diritto naturale non scritto,
sia il diritto imposto dal potere politico, ma dal 17 sec., con l’affermarsi del giuspositivismo, ha
prevalso una visione riduttiva del diritto, ormai considerato come la sola legge valida scritta
emanata dal legislatore. Nella seconda metà del XX secolo, la concezione giuspositivistica, che ha
dominato lo scenario giuridico per quattrocento anni, viene messa in crisi con il sorgere di nuove
teorie giusnaturalistiche.
Abbiamo visto il rapporto ambivalente che il diritto può avere sia con lo iussum che con lo
iustum. Quindi il diritto, ossia lo ius, filosoficamente parlando, ha un’ambivalenza giuridica perché
esso può tendere sia alla giustizia ideale che alla legge imposta dal potere politico ed il rapporto tra
lo con lo iussum e lo iustum riflette la realzione che si instaura tra il diritto naturale con il diritto
positivo.
L’epoca del positivismo giuridico, dove tutto il diritto si riduce alla sola legge scritta
emanata dal legislatore, è molto recente se la si confronta con le origini del diritto naturale antico
già studiato nell’antica Grecia.
Nella filosofia antropologica greca il diritto era solamente un momento parziale del pensiero
dell’uomo ed era solo una parte della più grande problematica della politica e della filosofia. Infatti
i greci, nell’analizzare la conduzione di una società, non si soffermavano a studiare solamente la
predisposizione delle regole, ma preferivano studiare tutte le relazioni che l’uomo potesse avere in
una determinata società, focalizzandosi ad osservare la posizione che assumevano le regole nella
collettività.
La polis greca, dove si instauravano tutte le relazioni sociali, si contrapponeva alla stato di
natura inteso come caos, rispecchiando, viceversa, lo stato di natura inteso come cosmo ordinato.
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La prima concezione del diritto naturale antico era quella di pensare alle regole come se
fossero poste direttamente dalla natura stessa secondo una prospettazione orizzontale.
Tuttavia, nel diritto naturale antico troviamo una dicotomia che concerne la
contrapposizione tra Kosmos e Caos, ponendo una delle prime problematiche del giusnaturalismo
antico.
Ci si chiedeva se il diritto naturale dovesse essere inteso come cosmo ordinato, nel quale
s’instaura un ordine naturale simile a quello delle api ed a quello presente in tutti gli animali,
oppure, se per diritto naturale, si dovesse intendere un caos nel quale prevale solamente la legge del
più forte.
A questa dicotomia del diritto naturale si aggiunge una terza possibilità di concepire il diritto
inteso come la volontà dell’uomo di regolare la propria società, ponendo lui stesso le leggi,
determinandosi in tal modo una primordiale concezione di giuspositivismo. Possiamo utilizzare la
famosa espressione del “Nomos Basileus”, concepita dal poeta greco Pindaro (518 a.c – 538 a.c),
per intendere che solamente il re può fare la legge ed il re è la legge. Quella stessa legge non ne ha
un’altra al di sopra di sé e ad essa sottostanno tutte le leggi degli uomini, che non possono per
questo né controllarla né manipolarla.
Circa 2000 anni dopo, successivamente alla controriforma, con la pace di Vestfalia del 1648
che pose fine alla guerra dei trent’anni , nasceva lo stato moderno, fenomeno storico poi teorizzato
da Thomas Hobbes, precursore dell’idelogia giuspositivistica.
In Europa, da quattrocento anni a questa parte, il diritto positivo e la sua ideologia
giuspositivistica hanno caratterizzato il nostro pensiero giuridico continentale, cosicché, ancora sino
ad appena trenta anni fa, nelle nostre aule di tribunale il diritto era concepito riduttivamente come la
sola legge scritta formalmente valida, senza lasciare alcuno spazio ad un diritto altro.
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Il Diritto naturale è dunque cosa diversa dal giusnaturalismo, perché ha a che fare con tutto
quello che è il diritto oltre il limite posto dalle leggi positive, mentre il giusnaturalismo come
momento ideologico è l’idea che, dal punto di vista del diritto, non si possa mai considerare tutto il
diritto inglobato nella legge e all’esame della legge scritta positiva, vada affiancata sempre l’idea di
una volontà o di una ragione posta al di sopra della legge stessa.
Il diritto positivo è dunque cosa diversa dal giuspositivismo, perché si limita espressamente
allo studio della legge scritta posta dal legislatore, sia o non sia essa la sola forma di diritto
possibile, mentre il giuspositivismo è l’idea che tutto ciò che non è legge non è diritto e che nessuna
altra forma di volontà o razionalità possa essere affiancata e considerata al di là della volontà o
razionalità del legislatore inserita nel testo scritto.
Filosofi come Platone, Socrate ed Aristotele risposero a dei quesiti giuridici peculiari per il
diritto e formularono delle argomentazioni valide e attuali anche per il nostro pensiero giuridico
moderno.
Una domanda fondamentale a cui questi filosofi cercarono di dare una risposta era se fosse
preferibile il governo delle leggi o il governo degli uomini, intendendo non la forma di governo ma
il modo di governare. Se volessimo attualizzare il quesito, potremmo chiederci se sia preferibile che
il Presidente del consiglio decida secondo la propria coscienza e saggezza ispirandosi ad un diritto
naturale ideale non scritto o, viceversa, prenda le sue decisioni basandosi solamente sulle leggi
scritte formalmente valide.
Platone giunse alla conclusione per la quale il governo degli uomini fosse preferibile al
governo delle leggi. Il governo degli uomini infatti, era inteso come un cosmo ordinato, ossia come
quell’ordine naturale opposto al caos.
Con Platone abbiamo la concezione idealistica del diritto, proprio perché tutte le leggi
scritte, per essere giuste, si dovranno ispirare al diritto naturale scaturito dal cosmo. Anche il re,
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colui che non è sottoposto alla legge, non ha un arbitrio assoluto nell’emanare le proprie leggi
scritte, perché dovrà comunque rispettare il diritto naturale ideale ed astratto, altrimenti le sue leggi
saranno ingiuste. Solamente gli uomini che si ispirano alle leggi ideali della natura sono degni di
scrivere le leggi.
E’ importante ricordare che nella Repubblica di Platone, Socrate, in dialogo con
Trasimaco, propone la concezione per la quale si deve sempre rispettare il governo delle leggi,
proprio perché la legge, anche se ingiusta, va comunque adempiuta, facendo così coincidere il
concetto di “iussum” con il concetto di “iustum”. Lo stesso Socrate, per rispettare le leggi scritte di
Atene, decide di avvelenarsi bevendo la cicuta.
Platone, invece, scelse il diritto e non la legge come Socrate, in quanto credeva che la legge
scritta potesse essere fallace se non avesse rispettato le regole dettate dal cosmo e,
conseguentemente, l’uomo aveva un diritto di resistenza a quelle leggi scritte che non rispettassero
una giustizia ideale universale derivante da un ordine di regole astratto e giusto.
Hobbes poi riprenderà il concetto di avalutatività della legge espresso da Socrate e non
accetterà mai il diritto di resistenza ad una legge ingiusta, pure già concepito da Platone.
Aristotele, invece, non scelse mai in maniera netta tra il governo degli uomini ed il governo
delle leggi.
Egli ritenne che fosse preferibile un governo delle leggi, ma sempre tenendo presente che
alcuni uomini saggi, con uno spessore culturale elevato, potevano pur sempre evitare di seguire il
governo delle leggi, perché si ponevano direttamente al di sopra di esse e quindi servivano già da
soli la giustizia universale del cosmo.
Nell’antica Grecia, quindi, i filosofi avevano già teorizzato il diritto naturale distinguendolo
tra Kosmos e Caos ed avevano anche approfondito l’idea di diritto positivo, concependo anche il
principio dell’avalutatività della legge. Ma nella filosofia greca non è mai definito il rapporto tra
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un’idealità ed una realtà intesa come la volontà di un sovrano umano ( Hans Welzel, Diritto
naturale e giustizia materiale); intellettualismo greco, significa soltanto predominio della ragione
sulla volontà.
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Bibliografia:
• AA.VV. , Filosofia del diritto. Concetti fondamentali, a cura di POMARICI ULDERICO,
Giappichelli, Torino, 2007.
• BARBERIS, MAURO, Giuristi e filosofi. Una storia della filosofia del diritto, il Mulino,
Bologna, 2011.
• D’AGOSTINO, FRANCESCO, Lezioni di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2006.
• FASSO’, GUIDO, Storia della filosofia del diritto, voll. I -II, Laterza, Roma-Bari, 2003-
2005.
• PASSERIN D’ENTRÈVES, ALESSANDRO, La dottrina dello stato, Giappichelli, Torino,
1970. Ristampa Giappichelli, Torino, 2009;
• PIOVANI, PIETRO, Giusnaturalismo e etica moderna, Laterza, Bari, 1961, rist. Liguori,
Napoli, 2000:
• WELZEL, HANS, Diritto naturale e giustizia materiale, Giuffrè, Milano, 1965;